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Delle Arti

Caravaggio in Sicilia

(I parte)

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Rodolfo Papa

Caravaggio giunse in Sicilia nell’ottobre 1608, e il suo soggiorno a Siracusa fu predisposto «dall’amico e collega nello studio di pittura, Mario Minniti, pittore siracusano. Lo stesso supplicò quel senato della città acciò impiegasse il Caravaggio in qualche lavoro», secondo quanto racconta Francesco

Susinno nelle Vite del 1724.

Infatti, Caravaggio ricevette subito la commissione per la pala d’altare per la chiesa di

Santa Lucia, dedicata al Seppellimento di Santa Lucia (1608 - 1609 ca., Chiesa di

Santa Lucia al Sepolcro, Siracusa), come ricorda Giovan

Pietro Bellori nel suo trattato biograUico-teorico Le Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, pubblicato a Roma nel 1672:

«Pervenuto in Siracusa, fece il quadro per la Chiesa di Santa Lucia, che stà fuori alla Marina: dipinse la Santa morta col Vescovo, che la benedice; e vi sono due che scavano la terra con la pala per sepelirla».

Caravaggio è molto abile nel rappresentare il drammatico momento della sepoltura della martire, sintetizzando realismo e sacra rappresentazione. Infatti, la composizione è ambientata nel luogo reale dell’ingresso delle catacombe, dove realmente il corpo fu sepolto, poco fuori la cinta muraria nella zona orientale, luogo ben noto ai siracusani. I due personaggi che scavano la fossa vengono rappresentati in modo da risultare vicinissimi all’osservatore, cosı̀ da coinvolgerlo nell’azione, e renderlo presente.

Figura 1. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il seppellimento di Santa Lucia. 1608-09 ca., Santuario di Santa Lucia al Sepolcro, Siracusa. Lo spazio pittorico è concepito in maniera monumentale e la concentrazione delle Uigure nella parte bassa della tela aumenta questa idea di grandezza. In questo modo, la pittura serve la devozione, sottolineando la concretezza della storia, il realismo topograUico, la contemporaneità tra visione e contemplazione.

Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e Uilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della PontiUicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti. Già docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturali, FilosoUia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; PontiUicia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo PontiUicio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monograUie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società”; “Rogate Ergo”; “Theriaké” ). Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE. Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanUilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …)

Il quadro fu molto apprezzato, tanto che Susinno a più di un secolo di distanza, può affermare:

«riuscı̀ di tal gradimento questa tela che comunemente viene celebrata, ed è tale di questa dipintura il meritato concetto che in Messina ed altresı̀ in tutte le città del regno se ne veggono molte copie».

Generalmente nel percorso siciliano di Caravaggio si mettono in evidenza alcune mete principali, quali Siracusa, Messina, Palermo, ma è stata documentata la sua presenza anche in altri luoghi dell’isola, come Caltagirone, dove nel medesimo anno soggiornava il francescano fra’ Bonaventura Secusio, già ministro generale dell’Ordine, patriarca di Costantinopoli, consigliere di Filippo III, arcivescovo di Messina, che fu probabilmente responsabile dell’accoglienza e delle commissioni di ambito francescano che Caravaggio ricevette sull’isola (Spadaro, 2008). A dicembre, Caravaggio era presente a Messina, dove lavorò per Giovan Battista della famiglia Lazzari, ricchi mercanti genovesi che si erano trasferiti a Messina e che vantavano ascendenti di nobiltà (Spadaro, 1995). E^ documentato che Giovan Battista Lazzari si era impegnato a costruire una cappella nella chiesa dei Padri Crociferi, detta anche dei Ministri degli Infermi, ed a decorarla con un quadro, in cambio della perpetua proprietà della stessa cappella. Fu proprio Caravaggio ad eseguire tale tela, dedicata alla Resurrezione di Lazzaro (1608-1609, Museo Regionale, Messina), anche se nell’atto notarile relativo alla costruzione e decorazione della cappella, Lazzari faceva riferimento a un’opera rafUigurante la Madonna, con san Giovanni Battista ed altri santi. Il tema fu forse scelto da Caravaggio, con diretto riferimento al cognome del committente, come conferma Susinno, precisando che la tela fu pagata 1000 scudi. L’opera venne consegnata prima del 10 giugno 1609, come i documenti notarili testimoniano.

Figura 2. Monumento funebre di Bonaventura Secusio (Caltagirone 1558 - Catania 1618), Patriarca di Costantinopoli, Vescovo di Patti, Arcivescovo di Messina, Vescovo di Catania. Cattedrale di Sant’Agata, Catania. Foto di Giovanni Dall’Orto.

Figura 3. Menelao che sorregge il corpo di Patroclo, Loggia dei Lanzi, Firenze. A destra, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608 - 1609, Museo Regionale di Messina.

Caravaggio sceglie di rappresentare la scena dentro una chiesa, come si può capire dalla grande cornice marmorea della porta dipinta sulla sinistra, scelta non tanto insolita, giacché Uino al secolo scorso le chiese venivano usate come cimiteri. La luce, cadendo dall’alto, evidenzia il gruppo di Marta, Maria e dei monatti che assistono alla resurrezione del giovane, colmi di stupore. Anche in questo contesto, Caravaggio fa riferimento alla statuaria antica, prendendo ispirazione dal famosissimo gruppo ellenistico di Menelao che sorregge il corpo di Patroclo, più noto a Roma con il nome popolare di Pasquino, per la rappresentazione del monatto che sorregge Lazzaro. Caravaggio offre una composizione complessa, proponendo più fuochi di visione, e spostando il centro del dipinto oltre il dipinto stesso. Vediamo, infatti, da una parte il corpo morto di Lazzaro che riprende vita tra teschi ed ossa, chiamato da Cristo che è posto dalla parte opposta, attorniato da un gruppo dinamico di personaggi, colti in atteggiamenti diversi: alcuni sembrano farsi spazio per vedere meglio, alzandosi sulle punte dei piedi per sovrastare

quelli che li precedono, altri si voltano e guardano in direzione opposta verso la fonte di luce. Entro questo gruppo è riconoscibile l’autoritratto di Caravaggio, con le mani giunte e gli occhi spalancati, lo sguardo rivolto a destra verso un punto esterno al quadro stesso. E^ evidente che la luce che proviene dall’esterno e verso cui lo stesso «Caravaggio offre una composizione autoritratto Caravaggio guarda, è il Padre, cui si complessa, proponendo più fuochi di visione, rivolge la preghiera di e spostando il centro del dipinto oltre il Cristo: «Padre, ti ringrazio dipinto stesso» che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato» (Gv 11, 41-42). L’artiUicio retorico dell’autoritratto serve sempre a palesare che l’artista è il testimone di ciò che rappresenta, come abbiamo più volte posto in evidenza. A Messina, su commissione del Senato della città, per un compenso di mille scudi, Caravaggio dipinse l’Adorazione dei pastori (1609 Museo Regionale, Messina), per l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Concezione retta dai Padri Cappuccini. L’alto compenso è un segno della stima e della considerazione che veniva tributata alle sue opere.

Figura 4. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Adorazione dei pastori. 1609, Museo Regionale di Messina.

Samperi nel testo Iconologia della gloriosa vergine Maria (Messina, 1644) scrive:

«Sull’altare maggiore della divota chiesa dei Frati Capuccini si riverisce l’artiUicioso quadro della “Madonna del Parto” opera dell’eccellente pittore Michelangelo da Caravaggio stimata dall’intendenti per cosa singolare, se si riguarda l’artiUicio».

Bellori descrive la tela sottolineandone gli aspetti singolari:

«Passando egli dopo à Messina, colorı̀ à Cappuccini il quadro della “Natività” Uiguratavi la Vergine col Bambino fuori la capanna rotta e disfatta d’assi, e di travi; e vi è San Giuseppe appoggiato al bastone con alcuni pastori in adorazione».

Il tema pittorico dell’opera fa riferimento al brano evangelico di Luca, precisamente Lc 2, 8-21, che è molto ricco di particolari. Caravaggio sceglie di rappresentare il momento in cui i pastori sono giunti davanti a Maria e al Bambino. Il tema natalizio, dalla lunga e ricca tradizione, viene narrato con grande poesia e con grande capacità di rispondenza all’atmosfera francescana cui è destinato. La tela va, infatti, letta nel contesto della spiritualità francescana e cappuccina in particolare; la composizione proposta da Caravaggio spesso è stata avvicinata al tema della “natività dolente”, tipica delle meditazioni funebri cappuccine. Caravaggio si inserisce in questa tradizione, componendola con altre tipologie. Si sente, infatti, anche l’eco dei prototipi bizantineggianti; infatti, proprio il gruppo di Maria e del bambino Gesù ricorda le Madonne dipinte in ambito bizantino e nell’ambito italiano tra il Duecento e il Trecento. Maria viene rappresentata sdraiata per terra all’interno di una grotta, con il bambino tra le braccia o deposto accanto, avvolto in panni simili a un sudario, con la mangiatoia rappresentata in forma di sarcofago. Questo elemento iconograUico antico possiede un forte valore simbolico, capace di tenere insieme Incarnazione, morte e Resurrezione. Caravaggio sicuramente aveva avuto modo di osservare i già citati mosaici del Cavallini in Santa Maria in Trastevere a Roma, come già abbiamo sottolineato a proposito del riquadro della Dormitio, e doveva essere stato colpito dalla composizione della Natività, in cui Maria appare appunto sdraiata, accanto a Gesù posto in una mangiatoia a forma di sarcofago, come se già nella sua nascita ci fosse il presagio della morte. Caravaggio reinterpreta questi segni, mantenendone il forte signiUicato teologico, evidenziando, tuttavia, in modo naturalistico anche l’amore materno e l’infanzia indifesa.

Figura 5. Pietro Cavallini, Natività. 1240 - 1330 ca., Santa Maria in Trastevere, Roma.

Figura 6. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Adorazione dei pastori, (particolare). 1609, Museo Regionale di Messina.

Caravaggio riesce ad offrire, dunque, un’immagine complessa, in cui sembrano conUluire molte riUlessioni sulla nascita di Gesù. La composizione dell’opera ricorda, infatti, anche il volgarizzamento trecentesco di un testo di Meditazioni sulla vita di Gesù, all’epoca considerato testo di San Bonaventura, che nel capitolo Como Joseph e la nostra Donna andarono in Bectaleem, racconta:

«E puoi Joseph fece el simigliante, e tolse la sella de l’asino, e tràsene fora el saconcello de la lana, ovvero de la borra che sia, e póselo allato a la mangiatoia, per ch’ella i sedesse suso, a anco la sella a lato. Et ella se pose a sedere suso in quello saconcello, tenedosi el góvito in su la sella. E cosı̀ stava la regina del mondo, e teneva el volto sopra la mangiatoia, con gli occhi Uitti e con tutto l’afetto sopra lo dolcissimo suo Figliolo».

Ritroviamo nella tela di Caravaggio la stessa atmosfera, in cui l’eccezionalità misteriosa della regalità divina, si esprime nella quotidianità reale e povera della stalla. Il dipinto è portatore di un’atmosfera francescana in molti particolari: la stalla come luogo storico della natività, i pastori inginocchiati in adorazione, la presenza del bue e dell’asinello, gli attrezzi di lavoro di Giuseppe, la sporta con il pane. Tutti questi elementi iconograUici, infatti, fanno riferimento alla devozione del presepe e alla connessa spiritualità, che lo stesso san Francesco propose a Greccio nel dicembre del 1223, come strumento di meditazione popolare. La presenza del pane conferma, peraltro, il doppio registro rappresentativo di realtà visibili e di signiUicati invisibili: il pane fa infatti evidente riferimento all’Eucaristia, che è pane e corpo di Gesù. I pastori si appressano alla scena, con atteggiamento silenzioso e rispettoso, nonostante la realistica resa della loro indigenza. Del resto, abbiamo notato spesso come i pauperes siano protagonisti privilegiati delle opere di Caravaggio, con un evidente riferimento al pauperismo borromaico e oratoriano, ma anche come sigillo realistico della rappresentazione pittorica. Con quest’opera Caravaggio prosegue il suo cammino di ricerca delle possibilità retoriche dell’arte, coinvolgendo ancora una volta lo spettatore Uino a renderlo protagonista dell’evento storico. Gli osservatori sono posti nella condizione dei pastori, e come loro testimoni diretti, grazie all’arte della pittura. In quest’opera sembra che Caravaggio, forse stimolato dall’ambiente o forse maturato ancora dagli eventi, riesca a usare in modo eccellente le dimensioni dell’arte sacra come lex credendi, orandi, vivendi et ornandi, per la sua abilità rappresentativa e retorica, e per la sua capacità di coinvolgere la quotidianità e muovere gli animi. Il Susinno, sempre molto critico verso Caravaggio ed incline a sottolinearne gli aspetti caratteriali, riconosce che «tra le opere sue a mio credere questa si è la migliore».

(segue)

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