nuovocentro

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l’aquila

Politecnico di Milano facoltà del design_corso di laurea magistrale in interior design a.a 2011/2012 |parco urbano e centr0 temporaneo per la città de l’aquila relatore_ prof. luca guerrini Alessandro Frigerio 739425 Emilio Lonardo 754581

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Ringraziamenti di Emilio Ringraziare qualcuno è un’opportunità ma troppo spesso ce ne dimentichiamo, per egoismo, per menefreghismo o per distrazione, per orgoglio; ringraziare qualcuno può cambiare una giornata, o una vita intera, un semplice grazie apre le porte del cuore. E allora un enorme grazie a mia mamma e a mio papà che mi hanno messo al mondo, grazie perché siete stati sempre presenti anche se negli ultimi anni siamo stati fisicamente distanti, grazie perché avete sempre appoggiato tutte le mie scelte, anche se non erano quelle da voi auspicate, grazie per essere rimasti in disparte lasciandomi la libertà di scegliere, di sbagliare, di cadere e dandomi una mano a rialzarmi, vi adoro. Grazie a mia sorella che pure quando ho smesso di essere un fratello esemplare mi ha sempre mostrato il suo affetto, ti voglio bene. Un grazie speciale ad Alessandro, compagno di quest’avventura che a tratti ci è sembrata infinita. Grazie di avermi sopportato , appoggiato e criticato al momento giusto, grazie perché anche quando ci sono stati momenti di sconforto e frustrazione siamo riusciti ad uscirne fuori. Un grazie a chi ci ha guidati in questo lavoro, nella persona del professor Guerrini il quale finalmente dopo tanto tempo è riuscito a liberarsi di noi, grazie per avermi fatto capire l’importanza dei dettagli. Grazie a tutto il resto della mia famiglia perché anche se sono lontano mi fanno sentire la loro presenza e tranquilli che pure se ora mi sono preso questa “laura” la testa ce l’ho sempre al solito posto, cioè, sul collo. Grazie a tutti i ragazzi di Via Candiani, chi c’è sempre stato e chi era solo di passaggio, un grazie particolare a Davide , Giovanni, Marco e Matteo, ormai la mia seconda famiglia e un grazie speciale a Rizzi, coinquilino ad honorem e amico vero. Grazie ai miei vicini di casa, la famiglia Re, due persone squisite. Grazie di cuore a Sasá, Simona e al piccolo Stefano, per aver rallegrato tante domeniche, dovrò farmi perdonare per le troppe assenze recenti. Ancora grazie a tutti i compagni di Università. Sarebbe troppo lungo elencare tutti e rischierei sicuramente di dimenticare qualcuno. Grazie a Fabrizio, Alessia e tutto il team di Street Studio per le magnifiche esperienze vissute assieme, per i consigli e le opportunità che mi avete dato Grazie anche a Duilio e ai ragazzi dell’Atelier Forte per avermi fatto vivere un’esperienza dura ma magnifica. Grazie a Francesco per le belle parole che ha sempre speso per me, un amico. Un grazie di cuore anche al prof. Fanchiotti per la disponibilità e i consigli, così come un enorme grazie va al prof. La Pietra, per le stesse ragioni. Grazie al prof. Biagio Di Carlo per avermi aperto al mondo delle trutture reciproche. E grazie all’ arch. Patrizia Pozzi per la sua consulenza. Un grazie a te a Claudia perché anche se non sono stato un buon amico non mi ha mai abbandonato; E un grazie a te anche a Chiara e suo gatto Grazie a Cristina e Riccardo per il supporto fisico nelle ultime settimane di lavoro. Grazie ai tanti sigari fumati, compagni, martiri, ispiratori di idee Grazie a chi ci sarà in un giorno importante Grazie a chi sicure te ho dimenticato in queste righe ma è presente nel cuore, certo che possa capire il mio stato di scarsa lucidità (dovuta alla stanchezza). infine, un grazie a me stesso; penso di essermelo meritato, per l’impegno e la determinazione con cui sono riuscito ad affrontare i momenti felici e quelli complicati di questi anni.


Ringraziamenti di Alessandro Questo progetto non nasce dall’ambizione di lasciare un segno, ma dalla volontà di instaurare uno scambio con chi entrerà in contatto con esso. A conclusione di questo lungo, faticoso e soddisfacente lavoro (finalmente) desidero ringraziare alcune persone che hanno fatto si che potessi essere qui oggi: GRAZIE al prof. Luca Guerrini per avermi accompagnato e aiutato con pazienza e determinazione nella stesura di questo progetto; GRAZIE al comune dell’Aquila e a Federico per i documenti che mi hanno fornito; GRAZIE al prof. Fanchiotti e a all’arch. Patrizia Pozzi per le consulenze; GRAZIE a Vittoria e Valerio: per aver condiviso la prima parte del percorso fatto fino a qui, per le paranoie, per i momenti di sconforto e quelli di soddisfazione…anche se ci siamo divisi la stima e l’amicizia non cambia! GRAZIE ai miei genitori, mie certezze, che mi hanno sostenuto psicologicamente ma soprattutto economicamente rendendo possibile questo percorso di studi, appoggiandomi e consigliandomi nelle diverse scelte; GRAZIE a Eleonora e Stefano; GRAZIE a Daniela, Cristina, Carolina (per il lavoro prezioso) e Federica, Laura ed Eleonora (per la disponibilità); GRAZIE alla casa di via Candiani (Davide, Marco, Giovanni, Matteo e Mattia): per l’accoglienza, la disponibilità e il suo stile che hanno reso un po’ meno faticoso quest’ultimo periodo (w il tennis e il limesca!); GRAZIE a Richi, Beppe e Mosca per il piccolo ma efficace aiuto; GRAZIE a My Good Food per avermi sfamato in modo salutare; GRAZIE a tutti coloro che mi hanno aiutato, ascoltato e consigliato per la riuscita di questo progetto; GRAZIE a tutti quelli che ho conosciuto in questi anni di università; GRAZIE ai miei amici e a tutti quelli a cui ho detto che ce l’avrei fatta a laurearmi prima a dicembre 2011 e poi ad aprile 2012! GRAZIE a Emilio: la sua presenza e la sua convinzione sono state fondamentali nella riuscita di questo progetto, un percorso durato quasi un anno e mezzo e che mi ha portato a capire sempre più la mia strada. GRAZIE perché ha voluto condividere con me questa tesi, grazie per le nottate senza dormire, per il sonno polifasico, per il thè nero, per il caffè al ginseng, per le batterie e carica-batterie del pc distrutti, per i litigi e le prese di posizione, per la testardaggine, per il suo “grazzie a tte”, per radio MonteCarlo, per Jovanotti, per Samuele Bersani, per Tony Tammaro, per le strutture reciproche, per le briccole, bomber, per la sua disponibilità, per il suo esserci sempre, per il suo continuo mettersi in gioco e discussione, per il Fat-Boy. Infine, non perché ultimo, GRAZIE ad Alice: unica fonte di ispirazione e di gioia nella mia vita e fulcro della mia esistenza! GRAZIE per avermi sopportato e supportato in questi anni di studio. A lei dedico ogni parte di questa tesi.


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indice

INDICE introduzione

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1 | l’aquila 1.1 | prima del 6 aprile

21 23

1.1.1_Le origini della città 1.1.2_La leggenda dei 99 castelli 1.1.3_La grande espansione del dopoguerra 1.1.4_Elementi della struttura socio-economica della città 1.1.5_Tra artigianato e botteghe 1.1.6_Agricoltura e gastronomia

1.2 | 6 aprile 2009 1.3 | dopo il 6 aprile

44 46

1.13.1_L’abbandono del centro storico 1.3.2_Decentramente e piccole “new town” 1.3.3_La problematica gestione delle macerie

1.4 | conclusioni

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2 | possibili approcci alla ricostruzione 2.1 | città tempiranea: città trasformabile, città reversibile 2.2 | ricostruire la qualità sociale

59 62 65

2.3 | impegno per la rinascita culturale ed economica 2.4 | Indagare le potenzialità locali: materiali ed ecologia industriale 2.5 | Macerie: da rifiuto a risorsa 2.6 | Comunità: autocostruzione e partecipazione 2.7 | Valorizzazione della qualità ambientale

67 69

3 | il progetto 3.1 | Inquadramento dell’area

72 75 81 87 91

3.1.1_Il masterplan di Mario Cucinella 3.1.2_La situazione attuale – Giugno 2012

3.2 | parcheggi - a cura di alessandro frigerio

108


3.3 | Studio della natura - a cura di emilio lonardo

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3.3.1_Importanza e ruolo del verde urbano 3.3.2_Criteri di progettazione 3.3.3_Scelta e accostamento delle specie 3.3.4_Permacultura 3.3.5_Il ruolo del paesaggio tra cultura e progettazione 3.3.6_Il progetto del verde

3.4 | Sistema dei percorsi - a cura di alessandro frigerio 3.5 | mercato e parco giochi - a cura di alessandro frigerio

156 168

3.5.1_ La nascita e l’evoluzione del mercato ambulante 3.5.2_Il ruolo del mercato ambulante 3.5.3_Il mercato aquilano 3.5.4_Leggi, normative e altre prescrizioni a L’Aquila 3.5.5_Il nuovo mercato a L’Aquila 3.5.6_Il gioco e la necessità degli spazi attrezzati 3.5.7_Progettare un parco giochi 3.5.8_Requisiti prestazionali 3.5.9_Responsabilità e sistema 3.5.10_La normativa europea in materia di attrezzature da gioco 3.5.11_Da parcheggio a risorsa ludica ed educativa

3.6 | laboratorio - a cura di emilio lonardo

199

3.6.1_Sistema costruttivo 3.3.2_Tecniche e materiali

3.7 | borgo - a cura di emilio lonardo

215

3.7.1_Il progetto del borgo

3.8 | modulo - a cura di emilio lonardo 3.8.1_Progetto del modulo 3.8.2_Perchè il legno 3.8.3_Cenni sull’evoluzione storica dell’utilizzo del legno nelle costruzioni 3.8.4_Scenario sintetico dell’evoluzione del ruolo del legno come materiale da costruzione 3.8.5_Aspetti ecologici, economici ed energetici dei manufatti in legno 3.8.6_Legno e materiali a base di legno

230


indice

3.8.7_I pannelli 3.8.8_Tipologie di modulo

3.9 | teatro - a cura di alessandro frigerio

263

3.9.1_Il luogo scenico della Grecia antica 3.9.2_Gli edifici teatrali greco-romani 3.9.3_I luoghi dello spettacolo medievale 3.9.4_Il teatro dei nostri giorni 3.9.5_Un teatro per ripartire

3.10 | torre - a cura di emilio lonardo

287

3.10.1_Sistema costruttivo

conclusioni

297

4 | casi studio

302

5 | BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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INDICE DELLE IMMAGINI

FIG. 01_Pianta della città prima del terremoto del 1703._PAG. 25 FIG. 02_Pianta della città del 1600. Incisione in rame, Foglio unico su carta spessa (mm 507x380 misurati alla battuta)._PAG. 25 FIG. 03_Foto storica del corso Vittorio Emanuele II, città dell’ Aquila._PAG. 26 FIG. 04_Foto storica del piazza Duomo, città dell’ Aquila._PAG. 27 FIG. 05_La cinta muraria nei pressi di Porta Leoni._PAG. 29 FIG. 06_Fontana delle 99 Cannelle._PAG. 29 FIG. 07_Resti di un colonnato in una villa romana ad Amiternum_PAG. 32 FIG. 11_Panoramica aerea del Forte Spagnolo_PAG. 32 FIG. 08_Piazza Duomo con il mercato quotidiamo._PAG. 32 FIG. 12_Chiesa di san Pietro a Coppito del XIII secolo._PAG. 32 FIG. 13_Chiesa di san Silvestro del XIV secolo._PAG. 32 FIG. 09_Emiciclio o palazzo delle Esposizioni del 1888._PAG. 32 FIG. 10_Basilica di san Bernardino del 1444._PAG. 32 FIG. 14_Chiesa di santa Giusta del 1300._PAG. 32 FIG. 15_Portici che caratterizzano i corsi di Vittorio Emanuele II_PAG. 39 FIG. 16_Placca maiolicata di Carlo Antonio Grue, disegno del trionfo di bacco e arianna, 1685-1690._PAG. 40 FIG. 18_Conca di rame._PAG. 40 FIG. 20_Blocco scolpito di pietra della Maiella._PAG. 40 FIG. 21_Donne al lavoro del tombolo._PAG. 41 FIG. 23_Gioiello tipico abruzzese._PAG. 41 FIG. 25_Lavoro della pietra._PAG. 41


indice

FIG. 26_Tipica strada rurale._PAG. 43 FIG. 27_Casale distrutto dal terremoto._PAG. 44 FIG. 28_Il palazzo del governo ridotto in macerie dopo il terremoto._PAG. 51 FIG. 29_Scorcio in una delle strade del centro storico con i puntellamenti sulle case._ PAG. 51 FIG. 31_Le case della città distrutte dal terremoto._PAG. 52 FIG. 33_Veduta a volo d’uccello di un quartiere dell’Aquila._PAG. 52 FIG. 30_Le macerie della città._PAG. 52 FIG. 32_L’interno di una strada bloccata dalle macerie_PAG. 52 FIG. 34_Chiesa di Bazzano._PAG. 54 FIG. 35_Slavina._PAG. 54 FIG. 36_Campo 2 a Barete._PAG. 55 FIG. 37_Centro storico dell’Aquila._PAG. 55 FIG. 38_Centro storico dell’Aquila._PAG. 56 FIG. 39_Portici nel centro storico dell’Aquila._PAG. 57 FIG. 40_Veduta del mercato di piazza Duomo._PAG. 64 FIG. 41_Una via all’interno del centro storico._PAG. 64 FIG. 42_Cittadini aquilani all’opera durante la ricostruzione._PAG. 76 FIG. 43_Volontari aquilani all’opera durante la ricostruzione._PAG. 76 FIG. 44_Una locandina per una iniziativa per la ricostruzione._PAG. 77 FIG. 45_Una locandina per una iniziativa per la ricostruzione._PAG. 78 FIG. 46_Progetto di parco del Sole all’Aquila di Beverly Pepper._PAG. 82 FIG. 47_Keymap riguardante la città dell’Aquila e la sua provincia; sono evidenziate le aree verdi del territorio della provincia dell’Aquila._PAG. 98 FIG. 48_Keymap riguardante la città dell’Aquila e la sua provincia; sono evidenziati i comuni limitrofi colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009._PAG. 100 FIG. 49_Foto aerea da www.google.maps.it dell’area sportiva di piazza d’Armi._PAG. 101 FIG. 50_Foto della tendopoli in piazza d’Armi dopo il terremoto del 6 aprile 2009._ PAG. 101 FIG. 51_Masterplan del progetto di Mario Cucinella per la piaza d’Armi._PAG. 105 FIG. 52_Progetto vincitore del concorso indetto dal comune dell’Aquila._PAG. 106 FIG. 53_Foto del mercato in piazza Duomo prima del terremoto del 6 aprile 2009._ PAG. 107 FIG. 54_Foto del nuovo mercato in piazza d’Armi inaugurato il 13 giugno 2012._ PAG. 107 FIG. 56_Sezione per il progetto del parcheggio per le automobili._PAG. 112 FIG. 55_Prospetto per il progetto del parcheggio per le biciclette._PAG. 112 FIG. 57_Vista prospettica del muro in gabbioni._PAG. 112 FIG. 58_Vista prospettica del parcheggio delle biciclette._PAG. 113 FIG. 59_Modulo Green Parking drenante alveolare in HDPE riciclato per la pavimentazione dei parcheggi._PAG. 115 FIG. 60_Particolare della stratificazione dei percorsi._PAG. 166 FIG. 62_Immagine storica della Piazza Duomo con gli edefici delle Cancelle._PAG. 169 FIG. 61_Le cancelle dell’Aquila_PAG. 169 FIG. 64_Mercato in Piazza Duomo._PAG. 173


FIG. 63_Mercato in Piazza Duomo._PAG. 173 FIG. 65_Mercato in Piazza D’Armi._PAG. 174 FIG. 68_Veduta d’uccello del mercato in Piazza D’Armi._PAG. 174 FIG. 67_Mercato in Piazza D’Armi._PAG. 174 FIG. 66_Mercato in Piazza D’Armi._PAG. 174 FIG. 69_Spiegazione del sistema costruttivo e dei vari livelli che formano il laboratorio._PAG. 206 FIG. 70_Tecnica per la formazione di mattoni in terra cruda._PAG. 208 FIG. 71_Pannelli in struttura di legno e interno in paglia._PAG. 210 FIG. 72_Esploso della copertura del laboratorio._PAG. 212 FIG. 73_Scorcio da una via della cittadina di Bugnara._PAG. 220 FIG. 74_Esempio degli elementi del borgo ripresi nel progetto: giardini spontanei._ PAG. 220 FIG. 75_Scorcio di Castal del monte._PAG. 222 FIG. 76_Esempio degli elementi del borgo ripresi nel progetto: cornici_PAG. 222 FIG. 77_Scorcio da una via della cittadina di Santo Stefano di Sessanio._PAG. 223 FIG. 78_Esempio degli Elementi del borgo ripresi nel progetto: edifici a ponte, cornici e profferli._PAG. 223 FIG. 79_Scorcio di Pacentro-Foto di Riccardo Condò_PAG. 224 FIG. 80_Esempio degli elementi del borgo ripresi nel progetto: edifici a ponte e cornici._PAG. 224 FIG. 81_Vista prospettica del modulo._PAG. 240 FIG. 82_Fachwerk, termine che si usa per definire una geniale e plurisecolare metodologia costruttiva in cui l’edificio è sorretto da una struttura lignea portante, fatta di montanti, travi e puntelli, sapientemente assemblati tra loro._PAG. 242 FIG. 83_Uomini alle prese con la costruzione di una casa con il metodo ballonn frame Omaha Reservation, Nebraska, 1877 - Photo by William Henry Jackson._PAG. 242 FIG. 84_Blockbau._PAG. 242 FIG. 85_Teatro di Dioniso di Atene._PAG. 265 FIG. 86_Modello del teatro totale di Walter Gropius._PAG. 269 FIG. 87_Codice Atlantico foglio 310 (ora 899)._PAG. 288 FIG. 88_Tenda indiana._PAG. 288 FIG. 89_Schemi di griglia ripresi dai disegni di leonardo da vinci._PAG. 288 FIG. 90_Struttura reciproca umana._PAG. 288 FIG. 91_Schema di griglia ripreso dai disegni di leonardo da vinci._PAG. 288 FIG. 92_Ponte reciproco studiato da leonardo da vinci._PAG. 288 FIG. 93_Cupola Oaxaca - Biagio Di Carlo - SBAM 2011._PAG. 288 FIG. 94_Costruzione di un tetto reciproco._PAG. 289 FIG. 95_Olivier Baverel - Poligono Reciproco._PAG. 289 FIG. 96_Dettaglio del giunto._PAG. 290


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INDICE DEI GRAFICI

GRAFICO 01_Confronto tra la pianta di Gerusalemme e la pianta del centro storico dell’Aquila. Elementi salienti: l’Aquila come specchio di Gerusalemme, la divisione in 4 quarti e la vicinanza con il fiume._PAG. 28 GRAFICO 02_Fasi storiche della popolazione della città._PAG. 31 GRAFICO 03_Indicatore delle fasce di età a l’Aquila e in Italia (2007)._PAG. 34 GRAFICO 04_Quadro delle attività del centro storico dopo il terremoto._PAG. 35 GRAFICO 05_Quadro socio economico._PAG. 36 GRAFICO 06_Distribuzione della popolazione sul territorio prima e dopo il sisma._ PAG. 49 GRAFICO 07_Metabolismo biologico._PAG. 70 GRAFICO 08_Metabolismo biotecnologico._PAG. 71 GRAFICO 09_Immagine concettuale delle diverse zone progettate._PAG. 102 GRAFICO 10_Parole chiave delle diverse aree progettate._PAG. 103 GRAFICO 11_Situazione della presenza dei parcheggi nella città prima del sisma._ PAG. 110 GRAFICO 13_Specie arboree._PAG. 132 GRAFICO 14_Specie arbustive._PAG. 133 GRAFICO 15_Filari._PAG. 134 GRAFICO 16_Colture._PAG. 135 GRAFICO 17_Primavera._PAG. 136 GRAFICO 18_Autunno._PAG. 137 GRAFICO 19_Progettazione della barriera boscata._PAG. 138 GRAFICO 20_Progettazione del bosco a valenza ambientale._PAG. 140


GRAFICO 21_Progettazione del bosco urbano._PAG. 142 GRAFICO 22_Progettazione del bosco a biomassa._PAG. 144 GRAFICO 23_Progettazione del bosco di latifoglie._PAG. 146 GRAFICO 24_Progettazione del bosco di conifere._PAG. 147 GRAFICO 25_Progettazione del forest garden._PAG. 148 GRAFICO 26_Studio delle evoluzioni cromatiche nel corso delle stagioni._PAG. 153 GRAFICO 27_Studio e sviluppo dei percorsi._PAG. 158 GRAFICO 28_Distinzione tra il mercato e il parco ludico._PAG. 180 GRAFICO 29_Disposizione del mercato._PAG. 180 GRAFICO 31_Parole chiave._PAG. 181 GRAFICO 30_Dimensioni e numeri degli stalli del mercato._PAG. 181 GRAFICO 32_Azioni principali all’interno del parco giochi._PAG. 190 GRAFICO 33_Sviluppo del borgo ._PAG. 219 GRAFICO 34_Elementi del borgo ripresi nel progetto: giardini spontanei._PAG. 221 GRAFICO 35_Elementi del borgo ripresi nel progetto: profferli._PAG. 221 GRAFICO 36_Elementi del borgo ripresi nel progetto: edifici ponte._PAG. 225 GRAFICO 37_Elementi del borgo ripresi nel progetto: cornici._PAG. 225 GRAFICO 38_Disposizione dei moduli all’interno dell’area progettata._PAG. 227 GRAFICO 39_Tipologie di aggregazione dei moduli._PAG. 229 GRAFICO 40_Sviluppo della matrice del modulo._PAG. 237 GRAFICO 41_Individuazione dell’area, posizione delle quinte e creazione gradoni._ PAG. 272 GRAFICO 42_Parole chiave._PAG. 276 GRAFICO 43_Sviluppo della costruzione della torre della torre._PAG. 293


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INDICE DELLE TAVOLE

TAV. 1_Masterplan di progetto._PAG. 89 TAV. 2_Inquadramento delle aree di sosta progettate all’interno dell’area._PAG. 108 TAV. 3_Pianta del progetto del parcheggio._PAG. 111 TAV. 4_Pianta e sezione approfondita per il progetto del parcheggio per la automobili._PAG. 112 TAV. 5_Pianta e sezione approfondita per il progetto del parcheggio per le biciclette._ PAG. 113 TAV. 6_Sezione e particolare della stratigrafia del terreno per il progetto del parcheggio per le automobili._PAG. 114 TAV. 7_Sezione e particolare della stratigrafia del terreno per il progetto del parcheggio per le biciclette._PAG. 114 TAV. 8_Inquadramento della natura progettata all’interno dell’area._PAG. 116 TAV. 9_Inquadramento dei percorsi progettati all’interno dell’area._PAG. 156 TAV. 10_Pianta del percorso principale in pavè._PAG. 160 TAV. 11_Pianta del percorso secondario in calcestre._PAG. 163 TAV. 12_Pianta della pista di atletica._PAG. 164 TAV. 13_Pianta del percorso principale in legno._PAG. 165 TAV. 14_Inquadramento del mercato e del parco giochi progettati all’interno dell’area._ PAG. 178 TAV. 15_Pianta del mercato e del parco giochi._PAG. 182 TAV. 17_Sezione trasversale per il progetto del mercato._PAG. 184 TAV. 16_Sezione longitudinale per il progetto del mercato._PAG. 184 TAV. 18_Particolare della pavimentazione del parcogiochi e dell’aggancio a terra dei pali


di legno._PAG. 192 TAV. 19_Particolare del fissaggio delle travi al palo di legno._PAG. 193 TAV. 20_Particolare della pavimentazione del parcogiochi e dell’aggancio a terra dei pali di legno._PAG. 194 TAV. 21_Vista prospettica dell’area per ragazzi._PAG. 196 TAV. 22_Vista prospettica dell’area per i bambini._PAG. 196 TAV. 23_Vista prospettica dello skatepark._PAG. 196 TAV. 24_Inquadramento del laboratorio progettato allìinterno dell’area._PAG. 200 TAV. 25_Pianta laboratorio._PAG. 202 TAV. 26_Prospetto per il progetto del laboratorio._PAG. 204 TAV. 27_Prospetto per il progetto del laboratorio._PAG. 205 TAV. 28_Pianta e sezioni del laboratorio._PAG. 207 TAV. 29_Inquadramento del borgo progettato all’interno dell’area._PAG. 216 TAV. 30_Sezione lungo il percorso principale._PAG. 229 TAV. 31_Inquadramento dei moduli progettati all’interno dell’area._PAG. 230 TAV. 32_Planimetria della dispisizione dei moduli divisi in tipologie._PAG. 234 TAV. 33_Disegni tecnici del modulo base._PAG. 238 TAV. 34_Particolare del tetto del modulo._PAG. 244 TAV. 35_Particolare dell’aggancio dei gabbioni alla struttura del modulo di legno._ PAG. 244 TAV. 36_Particolare dell’angolo del modulo._PAG. 246 TAV. 37_Stratificazione del pannello progettato._PAG. 246 TAV. 38_Schema dell’aggancio alla struttura._PAG. 246 TAV. 39_Tipologie di pannelli del modulo._PAG. 253 TAV. 40_Tipologie di pannelli del modulo._PAG. 254 TAV. 41_Tipologie di pannelli del modulo._PAG. 255 TAV. 42_Disegni tecnici della tipologia del modulo per produttori diretti._PAG. 258 TAV. 43_Disegni tecnici della tipologia del modulo per produttori diretti._PAG. 258 TAV. 44_Disegni tecnici della tipologia del modulo per l’albergo diffuso._PAG. 259 TAV. 45_Disegni tecnici della tipologia del modulo per il commercio._PAG. 260 TAV. 46_Disegni tecnici della tipologia del modulo per le botteghe._PAG. 261 TAV. 47_Inquadramento del teatro all’interno dell’area progettata._PAG. 270 TAV. 48_Planimetra generale e sezione del teatro._PAG. 274 TAV. 49_Pianta della struttura del palco e delle quinte._PAG. 278 TAV. 50_Pianta della struttura del palco e delle quinte._PAG. 279 TAV. 51_Prospetti e sezioni della struttura del palco e delle quinte._PAG. 280 TAV. 52_Prospetti e sezioni della struttura del palco e delle quinte._PAG. 281 TAV. 53_Vista prospettica degli elementi del teatro._PAG. 282 TAV. 54_Struttura in legno del locale magazzino._PAG. 284 TAV. 55_Struttura in legno della quinta._PAG. 285 TAV. 56_Modulo di costruzione della torre_PAG. 292 TAV. 57_Pianta e prospetti della torre._PAG. 292


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introduzione

Introduzione Questo progetto di tesi nasce in seguito allo svolgimento del Laboratorio di Sintesi Finale del Politecnico di Milano alla Facoltà del Design con indirizzo Interni. Il laboratorio frequentato durante l’anno accademico 2009/2010 ha avuto inizio nel settembre 2009, a pochi mesi dal tragico sisma che ha coinvolto la città de L’Aquila e gran parte della provincia radendo al suolo gran parte del suo patrimonio storico ed artistico. Il laboratorio presentava quattro possibili ambiti di progetto. In particolare le azioni progettuali avrebbero potuto interessare il centro storico, l’analisi delle problematiche dei M.A.P (Moduli Abitativi Provvisori), la progettazione dei servizi per gli aggregati di C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) ed infine la progettazione di un doppio temporaneo del centro storico da pensarsi presso l’area di Piazza D’armi, una superficie di 18 ettari ex-demanio militare acquistata dal comune nei mesi successivi al terremoto prevedendone la riconversione in parco urbano. La nostra scelta è ricaduta su quest’ultimo argomento; la preoccupazione di non saper gestire un progetto a scala urbanistica era forte, ma la possibilità di pensare ad un progetto partendo dal nulla era molto stimolante, e ci ha aiutato a superare decisamente ogni timore. Le ricerche più accurate e l’evoluzione (o non evoluzione) della situazione della città ci ha spinti verso scelte progettuali differenti da quelle iniziali.

Abstract Questa relazione si divide così in quattro parti. La prima riguarda la storia della città, la sua evoluzione nel corso dei secoli fino ad arrivare al tragico 6 Aprile 2009. Nella seconda parte sono state analizzate le strategie che si sarebbero potute o si dovrebbero attuare per favorire la rinascita del capoluogo abruzzese, focalizzando l’attenzione su quelle che poi abbiamo utilizzato come linee guida per l’elaborazione della proposta progettuale. La terza parte riguarda il progetto in sé, articolato in diversi paragrafi in cui si approfondiscono i diversi elementi del progetto, chiarendo le ragioni che ci hanno portato a determinate scelte. Infine, la quarta parte è dedicata all’analisi di casi studio e riferimenti progettuali.

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L’AQUILA


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l’aquila

L’Aquila è una città di 72.988 abitanti, capoluogo della regione Abruzzo e dell’omonima provincia. Situata sul declivio di un colle, alla sinistra del fiume Aterno rispetto al massiccio del Gran Sasso, conta una ulteriore presenza giornaliera sul territorio di circa 30.000 persone per studio, attività terziarie, lavoro e turismo. La città è sede di Università e di enti ed associazioni che la rendono vivace sotto il profilo culturale. L’Aquila è posta nell’entroterra abruzzese e possiede una superficie comunale di 467 km² che, su scala nazionale, la pone al decimo posto per ampiezza. Proprio a causa dell’estensione del territorio, sparso su una zona montuosa interna, L’Aquila dispone di una rete infrastrutturale e di servizi complessa e di non facile amministrazione. Il capoluogo infatti conta più di dieci cimiteri, diversi depuratori, decine di complessi scolastici, quasi 3.000 km di strade e molte migliaia di chilometri di reti impiantistiche. L’Aquila oltretutto è divisa in 59 tra quartieri e frazioni. Parte del territorio comunale è compresa nel Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, ed alcuni punti superano i 2.000 metri di quota.

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PRIMA DEL 6 APRILE 2009

Le origini della città L’Aquila può essere considerata una delle principali città medievali del centro Italia. Adagiata su un altipiano lambito sul versante Ovest e Sud dal fiume Aterno, è dominata da una fortezza cinquecentesca a pianta quadrata con possenti bastioni angolari. L’insediamento originario si completò in circa mezzo secolo, dalla metà del 1200 in poi, quando gli abitanti dei castelli del territorio circostante ottennero da Federico II il permesso di costruire una nuova grande città. Secondo una leggenda, L’Aquila sarebbe stata costruita sulla stessa pianta di Gerusalemme, la città in cui si trovava il Tempio di Re Salomone, custode di un immenso tesoro. Molte le analogie, come evidenziano studi recenti pubblicati da Luca Ceccarelli e Paolo Cautilli. La prima, innanzitutto, è rappresentata dal fatto che entrambe le città sorgono in collina, l’Aquila a 721 m. s.l.m., Gerusalemme a 750 m. s.l.m. Ponendo a confronto le mappe del centro storico delle due città, si ottiene una sovrapposizione alquanto precisa, che vede corrispondere il Sud de L’Aquila al Nord di Gerusalemme. Sin dall’epoca dei Romani, Gerusalemme era divisa in quattro quartieri che oggi corrispondono agli aggregati di cultura cristiana, musulmana, ebraica e armena; anche l’Aquila è divisa in quattro quarti, una divisione del tutto originale per le città dell’epoca. La disposizione dei fiumi che fiancheggiano le due città, rispettivamente Cedron e Aterno, sembra identica. Inoltre, molte sembrano essere anche le similitudini tra due importanti costruzioni delle rispettive città: la piscina di Silo a Gerusalemme e la fontana delle 99 cannelle a L’Aquila, entrambe opere di ingegneria idraulica costruite nella parte più bassa della città adiacenti ad una porta muraria. Novantanove, poi, sarebbero anche i castelli che, secondo un’altra antica leggenda, avrebbero dato inizio alla storia della città, e dei quali è conservata memoria ancora oggi grazie ai novantanove rintocchi della campana della torre civica. La fondazione de l’Aquila, secondo alcuni studiosi, fu “una delle più grandi imprese urbanistiche” in quanto travalicava il significato strettamente inteso

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FIG. 01_Pianta della città prima del terremoto del 1703.

FIG. 02_Pianta della città del 1600. Incisione in rame, Foglio unico su carta spessa (mm 507x380 misurati alla battuta).

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FIG. 03_Foto storica del corso Vittorio Emanuele II, città dell’ Aquila.

di città, rappresentando, piuttosto, una “città-territorio” identificata nel Comitatus Aquilanus. Quest’ultimo, il quale pare abbia avuto il suo momento di massima espansione tra il 1254 e il 1529, costituiva un sistema insediativo e politico-economico che legava intimamente la nuova città e i centri abitati circostanti, i boschi, i pascoli e le montagne. La città, sorta su una superficie di circa 157 ettari, e divisa in 4 quarti, al cui interno trovavano posto diversi “locali” realizzati dai vari castelli fondatori e vere e proprie proiezioni intra moenia del castello stesso. Ciascuno dei quattro aggregati formati da castelli e ville costituiva così una continuità reale fra la città ed il territorio. Nel corso dei secoli, l’assetto della città ha risentito delle tante ricostruzioni avvenute in seguito alle numerose distruzioni sismiche e belliche. Il primo terremoto di cui si ha notizia risale al 13 dicembre 1315. Solo tre decenni più tardi un nuovo sisma di magnitudo 6,5 della scala Richter distrusse ampi tratti delle mura e numerose case e chiese. I primi cinquanta anni del Quattrocento furono segnati da una grande espansione ed evoluzione della città, che ottenne il privilegio di battere moneta raggiungendo il proprio apice con l’istituzione, nel 1458, dell’Università, destinata ad essere paragonata in spessore a quelle di Bologna, Napoli, Siena e Perugia. Purtroppo, però, nel 1461 si verificò un sisma tremendo che portò alla distruzione di Onna, Poggio Picenze e Castenuovo. Altri terremoti si susseguirono nel 1648 e nel 1672. Il potente sciame sismico che investì la città tra la fine del 1702 e l’inizio del 1703 la rase completamente al suolo. Quasi tutte le chiese e gli edifici pubblici crollarono o riportarono gravissimi danni. La successiva ricostruzione non portò a rilevanti modifiche del tessuto urbano. Determinò, però, l’impronta barocca degli edifici del centro storico aquilano così come abbiamo imparato a conoscerlo. Quando, nel 1917, l’ingegnere Giulio Tian presenta la prima stesura del “Piano regolatore e di ampliamento della città di Aquila”, si trova di fronte ad una città ferma, nel suo impianto, al disegno del Settecento: un tessuto urbano compatto ed omogeneo, con ampi vuoti all’interno delle mura ancora intatte. Preso atto dello stato di fatto, tutto il nuovo progetto è confinato all’interno delle mura medievali, con la sola eccezione della stazione ferroviaria. Infatti, le zone di

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FIG. 04_Foto storica del piazza Duomo, città dell’ Aquila.

ampliamento riguardano aree ancora vuote, dove il progettista si occupa di ricucire le smagliature dei margini urbani. Per una maggiore armonizzazione, inoltre, Tian ricorre ad una cintura di giardini e viali alberati che, nel loro insieme, compongono una circonvallazione, elemento di margine e continuità fra il tessuto urbano storico e gli ampliamenti ad esso successivi. All’interno del centro storico, invece, il piano prevede un nuovo asse di penetrazione ottenuto attraverso interventi di sventramento e il ridisegno di alcuni spazi urbani quali piazza Palazzo, Corso Vittorio Emanuele le piazze del Duomo e Bariscianello. La rottura del perimetro storico de L’Aquila avviene durante gli anni del fascismo con il tracciamento di viale Gran Sasso e la realizzazione di importanti opere civili come lo stadio (1932), la fontana luminosa (1934) e la piscina (1936). Per dare spazio a queste attrezzature urbane viene demolito un lungo tratto delle mura antiche, con la conseguente scomparsa del margine fisico della città. Questo momento coincide con la spinta urbana verso la periferia.

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La leggenda dei 99 castelli Come visto, il numero novantanove è un’ elemento forte della città ed è ricco di rimandi alla città di Gerusalemme, che ha come numero il 66, il valore numerico corrispondente alla parola di Dio. Una possibile spiegazione per la forte presenza del numero novantanove a L’Aquila, progettata con i punti cardinali topograficamente invertiti rispetto alla città santa, potrebbe essere proprio questa. Tra il 1250 e 1260 la città fu coinvolta nello scontro tra Manfredi di Hohenstaufen [1232-1266] e il papato, il quale non vedeva di buon occhio l’insediamento della casa imperiale di Svevia nel regno di Sicilia. In questa contesa L’Aquila prese una posizione ben precisa, decidendo di appoggiare il papato; per questo motivo nel 1259 (alcune fonti parlano però del 1254) Manfredi ne attuò la distruzione. La

GRAFICO 01_Confronto tra la pianta di Gerusalemme e la pianta del centro storico dell’Aquila. Elementi salienti: l’Aquila come specchio di Gerusalemme, la divisione in 4 quarti e la vicinanza con il fiume.

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99 66


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FIG. 05_La cinta muraria nei pressi di Porta Leoni.

rinascita iniziò nel 1265 per opera di Carlo I d’Angiò e grazie ai signori proprietari di cento castelli presenti nel territorio circostante la città. La leggenda racconta che ogni castello dovesse costruire in città una piazza, una chiesa e una fontana. All’ultimo momento però un castello si tirò indietro, portando così il numero dei castelli fondatori a novantanove. Certamente questo numero sembra molto elevato, il che rende la leggenda poco verosimile. Contestualizzando temporalmente la storia, però, dobbiamo ricordare il significato che assumeva la parola “castello” all’epoca. Infatti, dal 1250 in poi il fenomeno dell’incastellamento, altamente diffuso nei secoli antecedenti, subisce un’inversione di moto: i castelli ed i castra presenti si trasformarono gradualmente in villaggi più o meno grandi. Se consideriamo inoltre che lo storico aquilano Bernardino Cirillo in uno dei suoi scritti cita novantaquattro castelli ci rendiamo conto che forse questa leggenda non è poi così lontana dalla verità, riflessione che ha insinuato in noi una suggestione molto forte.

FIG. 06_Fontana delle 99 Cannelle.

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La grande espansione del dopoguerra Fino agli anni Trenta del secolo scorso, la struttura urbana del capoluogo abruzzese era, come detto, interamente confinata all’interno delle sue mura medievali. La realizzazione, in epoca fascista, delle attrezzature sportive e del Viale Gran Sasso costituisce il primo passo di una forsennata espansione urbana. Risale agli anni Trenta anche il primo intervento residenziale posto al di fuori del perimetro del centro storico. Si tratta del quartiere Eritrea, primo quartiere popolare, avamposto delle future espansioni a Nord. Come nel resto d’Italia, il salto quantitativo dell’espansione urbana non avviene però prima della ricostruzione postbellica. Fino alla seconda guerra mondiale L’Aquila era formata sostanzialmente da un grande centro urbano (il centro storico) e da una moltitudine di piccoli borghi disseminati in un territorio molto vasto. Dopo cinquant’anni di ininterrotta crescita il territorio si presenta invece coperto da una sorta di nebulosa, articolata ma continua, che occupa buona parte dei terreni pianeggianti della valle dell’Aterno. Per comprendere meglio le dinamiche urbane che hanno caratterizzato gli ultimi cinquant’anni della città ci è stato utile guardare i principali documenti di pianificazione urbanistica. Il primo, come anticipato, fu il piano dell’ingegner Tian, presentato nel 1917 e approvato solo nel 1930. In un quadro politico completamente rinnovato, con spinte speculative ed espansionistiche della città, il piano non riuscì ad incidere sull’effettivo sviluppo de L’Aquila. Il secondo piano urbanistico di cui la città si ritrova protagonista è quello coordinato da Luigi Piccinato all’inizio degli anni Sessanta. Adottato dal Consiglio Comunale nel 1962, fu definitivamente approvato dal ministero dei Lavori pubblici nel 1965. Così, nonostante la città, alla fine degli anni Cinquanta, continuasse a presentare vuoti importanti all’interno delle mura storiche, nuovi nuclei urbanizzati cominciarono a sorgere all’esterno di esse, spinti da una forza centrifuga crescente. Piccinato mira ad attuare un salto di scala anteponendo il consolidamento delle relazioni territoriali al ridisegno delle forme spaziali della città. In definitiva, però, anche questo piano resta sostanzialmente inattuato e sostituito, appena dieci anni più tardi, da uno strumento tutt’ora in vigore.

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<1930

ACCENTRAMENTO Fino agli anni trenta la configurazione urbana della città era interamente confinata all’interno delle mura medievali

1930

espansione Come nel resto d’italia grazie all’imulso di ricostruzione postbellico la città viene interessata da una forte spinta di espansione all’esterno delle sue mura

2012

dispersione In seguito al terremoto si è assistito ad un decentramento e ad una dislocazione di tutti quei servizi e quelle attività che rendevano il centro storico il cuore pulsante de L’Aquila

GRAFICO 02_Fasi storiche della popolazione della città.

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FIG. 07_Resti di un colonnato in una villa romana ad Amiternum FIG. 11_Panoramica aerea del Forte Spagnolo

FIG. 08_Piazza Duomo con il mercato quotidiamo. FIG. 12_Chiesa di san Pietro a Coppito del XIII secolo.

FIG. 13_Chiesa di san Silvestro del XIV secolo.

FIG. 09_Emiciclio o palazzo delle Esposizioni del 1888.

FIG. 10_Basilica di san Bernardino del 1444. FIG. 14_Chiesa di santa Giusta del 1300.

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Elementi della struttura socio-economica della città Sul piano economico, la tenuta della città era basata su un mix variegato fatto soprattutto di lavoro pubblico, piccolo commercio, ma anche edilizia ed industria, nonché attività professionali. Fattore non trascurabile, la ricchezza immobiliare, che, grazie alla presenza di una consistente popolazione universitaria di studenti fuori sede, garantiva, attraverso gli affitti, flussi di reddito significativi. Un quadro quindi non allarmante, ma certamente poco dinamico ed incapace di attrarre grossi investimenti e risorse umane, di creare nuova occupazione e trattenere parte della popolazione giovane; sicuramente però il tutto è inserito in una dimensione a misura d’uomo, connotata da fattori positivi di qualità di vita, elevata sicurezza e alta qualità ambientale. Il suo centro storico che, grazie alla conformazione evolutiva, costituiva un fattore di identità per la comunità, essendo poi così vitale e variegato, ricco di funzioni diverse e perfettamente integrate tra loro, rappresentava senza dubbio la maggiore forza della città. Trattandosi di un capoluogo regionale presentava una grande concentrazione di sedi del terziario pubblico, ad alta frequentazione quotidiana: Comune, Regione, Provincia, Tribunale, ma anche sedi regionali delle amministrazioni dello Stato. La presenza dell’Università, che aveva in centro il Rettorato (Palazzo Carli) e la Facoltà di Lettere (Palazzo Camponeschi), e soprattutto l’esistenza di una nutrita comunità di studenti fuori sede (circa seimila), rafforzava la vitalità dell’area. Di qui la presenza di un tessuto diffuso fatto di attività commerciali (circa 800), dello storico mercato ambulante di Piazza Duomo (alcune fonti lo danno attivo addirittura dal 1303), di una pluralità di bar, ristoranti e locali animati da una fervida vita notturna e, ovviamente, di una naturale concentrazione di attività professionali (avvocati, notai, medici, ingegneri ed architetti). Infine, in rapporto alla dimensione, la città de L’Aquila era pervasa da una significativa attività culturale, grazie alla presenza di importanti istituzioni soprattutto nel campo teatrale e musicale. Punti di riferimento in tal senso erano certamente il Conservatorio “Alfredo Casella” e il Teatro

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italia

15-64 anni 66%

0-14 anni 12,7%

19,9%

65 anni e oltre

l’aquila 0-14 anni

65 anni e oltre 19,3%

12,7%

68% GRAFICO 03_Indicatore delle fasce di età a l’Aquila e in Italia (2007).

15-64 anni

Comunale, sede del Teatro Stabile, massima istituzione abruzzese di produzione artistica (di cui sono soci il Comune, la Regione e le quattro province abruzzesi). Ad esso si affiancava il Teatro Stabile d’Innovazione “L’Uovo”, particolarmente attento, con la sua attività, ad un pubblico giovane e aperto alla sperimentazione. Sul fronte musicale, oltre al già citato Conservatorio, nato come sede distaccata del celebre “Santa Cecilia” di Roma, ma resosi poi autonomo, la città poteva contare sull’apporto della Società Aquilana dei concerti “Bonaventura Barattelli”, del gruppo cameristico dei “Solisti Aquilani, dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese, che vanta un’orchestra stabile di ottimo livello, e dell’Officina Musicale. Nel campo cinematografico va ricordato l’Istituto Cinematografico de L’Aquila “La Lanterna magica” che, insieme all’Accademia dell’Immagine, gestiva con grande successo il Cinema Massimo. Naturalmente il valore del centro storico era ed è dato anche dalla qualità del patrimonio architettonico e dalla presenza di numerosi monumenti, i più importanti dei quali, come la basilica di Collemaggio, la Chiesa della Anime Sante a San Bernardino, il Duomo e la Fontana delle 99 Cannelle, costituiscono elementi di identificazione della città.

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residenza circa diecimila residenti e seimila studenti

comercio circa 800 unità mercato giornaliero

beni culturali castello-basilica collemaggio fontana delle 99 cannelle Piazza duomo

attività professionali circa 1000 tra avvocati-commercianti architetti-medici-ecc.

uffici pubblici Prefettura-regione comune provincia

ristorazione bar-pub-ristoranti-locali notturni

attività culturali teatro stabile -teatro ovo orchestra sinfonica abruzzese cinema massimo

credito

principali banche locali e nazionali

alta formazione facoltà di lettere e filosofia conservatorio a. casella accademia dell’immagine botteghe

GRAFICO 04_Quadro delle attività del centro storico dopo il terremoto.

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culturale

naturalistico

sportivo

attivitĂ commerciali

prodotti alimentari

musica

mercato giornaliero

teatro

rame e ferro battuto tessuti universitĂ pietra strumenti musicali

legno

metalli preziosi

pelletteria pattinaggio calcio

rugby

GRAFICO 05_Quadro socio economico.

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sport invernali

ceramica


l’aquila

Tra Artigianato e Botteghe Possiamo tranquillamente affermare che la storia dell’artigianato sia nata con quella della specie umana. La parola “artigianato” descrive, infatti, la produzione o la riparazione di un oggetto eseguita attraverso metodologie manuali e tradizionali; questo approccio si contrappone a quello industriale e su larga scala, che si avvale di macchine e di automazioni di vario genere, la cui caratteristica peculiare è l’assoluta precisione della realizzazione. Gli oggetti industriali risultano perfetti in ogni loro parte, freddi replicanti. Il risultato di questo processo, che si riflette nella società contemporanea, è un massiccio appiattimento delle produzioni e dei valori degli oggetti prodotti, oggetti che risultano quindi vuoti, freddi, apatici ed asociali, pronti per essere buttati prima ancora di essere venduti. E’ sintomatico a tal proposito che oggi si dia una grande importanza in fase di progettazione alla riciclabilità dei componenti utilizzati. In realtà dovrebbe forse esserci una riflessione precedente, che dovrebbe riguardare la riutilizzabilità degli oggetti stessi, sfida probabilmente più interessante e stimolante. Per fortuna esistono progettisti attenti che hanno compreso l’importanza della vita utile di un manufatto ed hanno incentrato la loro ricerca progettuale su questo aspetto. Tra i grandi maestri non possiamo non citare Ugo La Pietra, che con il suo lavoro di riconversione progettuale di attrezzature urbane ha pensato ad una seconda vita per cabine telefoniche, cassette della posta, fioriere e pali, trasformandoli in docce, mensole, amache e lampioni. Per rimanere, in un certo senso, in tema, ci piace citare anche un lavoro di Paolo Ulian: “Una seconda vita” per l’appunto, un centro tavola in ceramica con al suo interno dei piccoli fori a tratteggio, i quali delineano una serie di forme ellittiche che, in caso di rottura, potrebbero “salvarsi” e quindi svincolarsi dal contesto del centrotavola, acquistando una propria autonomia di piccole ciotole. La rottura accidentale può trasformarsi così da evento negativo ad evento generatore di nuovi stimoli e nuove realtà. L’oggetto diventa, quindi, una sorta di ammonimento a non disfarsi delle cose con troppa facilità, nemmeno quando, apparentemente, sono solo cocci [Dal sito www.paoloulian.it], stimolando piuttosto il processo creativo insito

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nell’indole umana per arrivare a pensare nuove possibilità e, perché no, nuovi stili di vita. Questa breve riflessione ci è sembrata necessaria per arrivare a capire meglio le ragioni che si nascondono dietro ad alcune scelte progettuali presenti all’interno del lavoro. Risulta inoltre importante, a nostro avviso, per valorizzare lo spirito insito nella produzione di opere artigianali, esprimere e comprendere l’intrinseco legame tra artigiano e compratore, legame che si forma proprio grazie all’unicità del prodotto, alla sua pelle compromessa da gesti che restano, per quanto precisi, comunque umani, gesti carichi di pathos e che conferiscono al manufatto un valore che prescinde da quello meramente economico. A L’Aquila, e in generale in Abruzzo, la tradizione artigianale ha una storia antichissima, che affonda le proprie radici nel Neolitico. Sono numerosissimi, infatti, i ritrovamenti di raffinati oggetti in selce, scheggiati ad arte e lavorati con una finezza ed una precisione sorprendenti, realizzati in vere e proprie officine preistoriche, localizzate soprattutto alle pendici della Majella, “Montagna Madre”. Lo stesso accadeva con il legno, grazie al quale si producevano bastoni ed altri utensili. In epoca romana ci fu una decisa crescita del livello qualitativo dell’artigianato, coinciso con lo sviluppo di tecniche per la produzione di manufatti in ceramica, in metalli come rame, bronzo e oro e tessuti. Il successivo sviluppo delle botteghe artigianali è stata una logica conseguenza. Queste piccole realtà commerciali, conformate come rivendite di prodotti con annesse le officine di produzione (e non di rado l’abitazione del titolare, il maestro o masto), si sviluppavano solitamente lungo le strade principali della città, dei paesi e dei villaggi, a seconda della grandezza dell’aggregato urbano, diventando sovente luoghi di ritrovo in cui gruppi di amici trascorrevano i pomeriggi (soprattutto quelli invernali) chiacchierando mentre l’artigiano svolgeva il suo lavoro; questa situazione si verificava soprattutto dal barbiere, il cui “salone” era sempre affollato di clienti. Quasi tutti gli artigiani, nei ritagli di tempo, imparavano a suonare uno strumento musicale e quindi formavano dei gruppi musicali che solitamente venivano chiamati per animare le feste. E’ giusto precisare che con il termine bottega venivano intesi sia i laboratori artigianali veri e propri, ma anche le rivendite di generi alimentari; in ogni caso la struttura generale non differiva di molto tra le diverse tipologie di attività. Come accennato in precedenza, infatti, quasi tutte le botteghe erano composte da una zona che ospitava l’attività commerciale, ed una destinata alla lavorazione e produzione dei manufatti; spesso al piano superiore trovava posto l’abitazione del maestro di bottega, caratteristica che anticipava in qualche modo il moderno concetto di atelier. Alla bottega è da associare anche la nascita del portico, il quale, posto a prolungamento dell’attività, consentiva di lavorare all’esterno tenendosi al riparo dal sole e dalla pioggia, svolgendo allo stesso tempo una funzione sociale. In epoche precedenti, per le stesse ragioni venivano impiegati i “rebalzini”, dei piccoli tettucci di legno e coppi posti a cappello delle botteghe. C’è poi un altro tema associato alle botteghe che sta tornando prepotentemente attuale: l’andare “a bottega”. Quando l’artigianato era una delle strade lavorative maggiormente percorse, i ragazzi di età compresa tra gli undici e i dodici anni venivano mandati dai propri genitori ad imparare un mestiere presso un artigiano, spesso di conoscenza della famiglia. Grandi personalità del passato, come Leonardo Da Vinci, sono andati “a bottega” presso famosi artigiani dell’epoca. I ragazzi iniziavano un periodo di apprendistato in cui svolgevano mansioni semplici, che andavano dalla pulizia della bottega al suo riassetto alla fine della giornata lavorativa, e spesso si trovavano ad aiutare i maestri artigiani passando loro gli attrezzi; le spiegazioni erano poche e l’apprendimento era “atto di illegalità”, un furto visivo di tutti quei gesti e trucchi che contribuivano a formare l’eccellenza del prodotto. Durante le festività l’apprendista riceveva un piccolo compenso in denaro come premio per il lavoro svolto. Questa cosa fa quasi sorridere (ma è un sorriso amaro) se si pensa alla situazione lavorativa in cui versa la gran parte della gioventù, che si trova, terminato il proprio percorso di studi, a cercare lavoro senza saper fare veramente qualcosa, con la necessità e la pretesa di guadagnare subito cifre alte che consentano il proprio mantenimento senza gravare sui propri genitori. Considerare che la cultura della bottega, con le sue sperimentazioni ed innovazioni, ha costituito la base del successo conquistato dal “Made in Italy” nel mondo, ci aiuta a capire maggiormente l’importanza di questo sistema di attività all’interno della storia del nostro Paese. Formare una nuova generazione di artigiani d’eccellenza risulta cruciale per consentire l’evoluzione del valore

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FIG. 15_Portici che caratterizzano i corsi di Vittorio Emanuele II

dei prodotti italiani: così come di vitale importanza risulta essere la capacità di risvegliare l’interesse e la passione il patrimonio materiale ed immateriale presente sul nostro territorio, un risveglio che può (e deve) passare anche attraverso la cultura del fare: perché dall’esperienza tattile, dalla creazione di un oggetto, dalla familiarità che si crea nel rapporto con i materiali nasce spesso una passione in grado di dare un senso anche ad una vita intera, senso che non di rado oggi viene a mancare, portando troppo spesso anche alla negazione della vita stessa. Per questi motivi ci è venuto spontaneo immaginare che l’Aquila potesse essere un ideale punto di (ri)partenza per uno stile di vita che non deve essere visto come un regresso, ma , anzi, come l’evoluzione di un atteggiamento radicato nella cultura italiana, un filo rosso in grado di unire il Paese partendo dalla valorizzazione delle diversità proprie dei singoli territori. Lavorazione del legno, della pietra, di tessuti e metalli, assieme alla produzione di strumenti musicali e prodotti alimentari sono le principali attività che riempiono le giornate delle botteghe aquilane ed abruzzesi, ognuna con le proprie caratteristiche distintive: _Ceramica: L’arte della ceramica è praticata in Abruzzo sin dalla sua nascita, ma è dal Rinascimento che si sviluppa una delle più raffinate e colte produzioni di maiolica d’Italia, dando luogo ad una serie di tipologie formali e decorative ben riconoscibili a seconda degli artefici e delle fornaci in cui venivano prodotte, e oggi esposte nei più importanti musei del mondo. La grande qualità che hanno raggiunto le opere ceramiche abruzzesi si deve soprattutto alla località di Castelli, piccolo e pittoresco borgo alle pendici del Gran Sasso, nel quale la tradizione e l’arte della maiolica, durante il corso dei secoli non sono mai cessate. Castelli non è stato, però, l’unico centro abruzzese di produzione ceramica; eccellenti manufatti provenivano anche dalle fornaci di Anversa degli Abruzzi, Tagliacozzo, Lanciano, Bussi, Torre dei Passeri, Atri, L’Aquila, Rapino e Palena. _Oro e argento: L’arte orafa toccò in Abruzzo il suo apice durante il Rinascimento, grazie alla figura di Nicola da Guardiagrele e alle importanti botteghe di Sulmona e dell’Aquila. La produzione più diffusa è stata però quella dei gioielli e dei monili popolari, che ha partorito manufatti di straordinaria ricchezza, originalità e bellezza, in una simbolica gara fra le botteghe

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FIG. 16_Placca maiolicata di Carlo Antonio Grue, disegno del trionfo di bacco e arianna, 1685-1690. FIG. 17_ FIG. 18_Conca di rame. FIG. 19_ FIG. 20_Blocco scolpito di pietra della Maiella.

di Pescocostanzo, Guardiagrele, Orsogna, Scanno, Sulmona, L’Aquila e Casoli. Fra le lavorazioni tipiche ritroviamo la qualità di filigrana utilizzata per spille, orecchini, medaglioni, pendenti; ma anche la lamina sbalzata a tutto tondo, pensata per realizzare i vaghi (chicchi) di importanti collane, girocollo e “manine”, ovvero le fedine tipiche delle zone interne dell’Abruzzo che sono soliti regalarsi i promessi sposi. Tra i gioielli più rappresentativi ricordiamo anche le Sciacquaje, grandi orecchini a mezzaluna, finemente cesellati e arricchiti di pendenti; la Presentosa, il grande ma aereo medaglione simbolo di amore in filigrana e lamina sbalzata; la Cannatura, collana girocollo con i vaghi realizzati in filigrana o in lamina a sbalzo a tutto tondo. L’arte orafa rappresenta oggi la forma di artigianato artistico più florida e diffusa nella regione, con produzioni eccellenti a Pescocostanzo, Scanno, Guardiagrele, Orsogna, Castel di Sangro, L’Aquila, Sulmona, Pescara e Francavilla. _Rame e ferro battuto: La lavorazione del ferro e del rame vanta in Abruzzo una tradizione antica ed attestata in tutta la regione con regolare omogeneità. In ferro battuto si producevano soprattutto testate di letti, lampadari, ringhiere, cancelli, inferriate, insegne, alari, cornici, candelieri ed oggetti di arredo vari; con il rame si producevano, invece, soprattutto pentole e tegami, utensili da cucina, ancora insegne, ma soprattutto le classiche conche un tempo utilizzate per raccogliere e trasportare l’acqua dalla fonte tenendola in equilibrio sulla testa. La capitale abruzzese dell’artigianato di questo tipo è ancora Guardiagrele, ma produzione di notevole valore si ritrovano anche a Pescocostanzo, Lanciano, Ortona, Vasto, Tossicia, Scanno e L’Aquila, di cui è caratteristica la tecnica dello sbalzo nominata in precedenza, la quale consiste nel battere la lastra di metallo con un particolare martello di legno su di una specie di incudine anch’essa di legno; questa antica tecnica consente la realizzazione di figure artistiche molto caratteristiche mediante rilievo su una faccia della lastra metallica. _Pietra: La convivenza tra uomo e montagne ha fatto sì che in Abruzzo, soprattutto alle pendici della “Montagna Madre”, la Majella, si sviluppassero, sin da epoche remote, attività di estrazione e lavorazione della pietra: la duttile pietra bianca e quella nera, più resistente e compatta, che più

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FIG. 21_Donne al lavoro del tombolo. FIG. 22_ FIG. 23_Gioiello tipico abruzzese. FIG. 24_ FIG. 25_Lavoro della pietra.

si presta alla lucidatura. A partire dall’epoca romana, i maestri abruzzesi hanno scolpito la pietra locale per realizzare chiese ed edifici, adornandoli con sculture, monumenti, fregi e decori. Anche la finissima pietra calcarea della media valle dell’Aterno fu utilizzata per la composizione degli elementi di pregio della maggior parte dei palazzi e delle chiese dell’Aquila. Più tenera e facile da lavorare, infine, anche l’arenaria dei monti della Laga ha permesso lo sviluppo di un interessante artigianato che produce camini, stipiti, mensole, capitelli, pavimenti e lastricati, oltre a svariati elementi di arredo. _Tessuti: La lana, da sempre disponibile in abbondanza in Abruzzo, ha fatto si che la tessitura abbia avuto sempre un ruolo importante nell’economia artigiana della regione. Celebri in tutta Italia sono le tarante, le coloratissime coperte di lana prodotte a Taranta Peligna, ancora oggi realizzate seguendo antichi disegni tradizionali. Tra i prodotti più diffusi e noti dell’artigianato tessile abruzzese ci sono anche gli eleganti merletti al tombolo tipici di Pescocostanzo e di Scanno, ma realizzati anche a L’Aquila, Bucchianico e Canzano. _Strumenti musicali:,Tra gli strumenti musicali tradizionali abruzzesi il più noto è senza dubbio la fisarmonica diatonica (o organetto), conosciuta in Abruzzo anche con il nome di “ddu bbotte”, prodotta soprattutto nel teramano ed ampiamente utilizzata per rallegrare le feste popolari della regione. Sul territorio regionale sono inoltre attivi alcuni liutai. _Legno: La ricchezza di materia prima offerta dalla varietà dei boschi della regione ha consentito lo sviluppo di una vasta tradizione nella lavorazione del legno: sedie, tavoli, elementi di arredo, utensili da cucina, oltre alla classica chitarra per tagliare in spaghetti la sfoglia di pasta fatta in casa. _Pelletteria e cuoio: Terra di allevatori sin dagli albori della storia, l’Abruzzo conserva naturalmente un importante artigianato anche in questo settore. Nelle mani esperte dei maestri, la materia prima si trasforma in borse, cinture e portafogli, che vengono prodotti in molti centri della regione. Particolare rilevanza storica è attribuita alla tradizione di selleria della città dell’Aquila, i cui sellai sono regolari fornitori della casa regnante inglese.

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Agricoltura e gastronomia Fino alla prima metà del secolo scorso il cuore della città, racchiuso nelle sue mura medievali, era in gran parte riempito da spazi verdi, molti dei quali agricoli. Questo denota la forte vocazione agricola della popolazione aquilana e, in realtà, abruzzese in generale. Se a questo aggiungiamo che L’Aquila e l’Abruzzo sono terre di “tratturi”, grandi vie battute dagli armenti nelle loro trasmigrazioni periodiche primaverili e autunnali, abbiamo un quadro generale abbastanza esaustivo di quale fosse una delle maggiori fonti di sostentamento del territorio. In realtà l’Abruzzo ha conservato questa sua caratteristica, compiendo negli ultimi anni dei passi decisivi per lo sviluppo di una nuova agricoltura, capace di produrre qualità rimanendo fortemente legata ai prodotti tipici territoriali, come testimonia l’importanza assunta da vini come il Montepulciano, dagli oli d’oliva, dai formaggi, dai legumi, e soprattutto dallo zafferano. _Formaggi: L’Abruzzo vanta una grossa tradizione nella produzione del formaggio pecorino, basti citare, ad esempio, la salatura collettiva fatta a Pescocostanzo (in provincia de L’Aquila) da maestri salatori in pile di pietra decorata, che rappresenta un momento quasi magico ed allo stesso tempo di liturgia sociale. Il latte delle greggi allevate in altura, ricco di aromi delle erbe spontanee, è una materia prima eccellente per confezionare formaggi squisiti, che con la stagionatura acquistano gusti inimitabili. Il pecorino abruzzese è un formaggio meno duro di quello romano o sardo, sottoposto ad una cottura più lunga ma a temperature più basse. Decisamente apprezzate sono le versioni di pecorino sott’olio e di pecorino erborinato, con l’aggiunta cioè di erbe di montagna e di peperoncino rosso. Altri formaggi interessanti sono il caciofiore aquilano, la cacio-ricotta, il caciocavallo, la caciotta, le scamorza fresche, passite e quelle affumicate. _Olio extravergine di oliva: In Abruzzo è forse riduttivo parlare semplicemente di olio extra-vergine di oliva. Forse sarebbe più corretto citare anche le diverse aree di provenienza per evidenziare come, in ogni ambiente dove l’olivo viene coltivato, c’è una diversa associazione e composizione varietale. Così nell’area vestina del pescarese primeggiano la Dritta ed il Leccino, e nei paesi

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FIG. 26_Tipica strada rurale.

limitrofi altre varietà che prendono il nome direttamente da questi centri, come ad esempio la Castiglione, la Toccolana e la Carpinetana. Nel teramano è il Tortiglione a rappresentare l’antica tradizione olivicola locale, insieme alla Dritta, al Leccino e alla Carboncella. Nel chietino, nell’area del vastese, troviamo la Gentile, il Nebbio, il Leccino, il Cucco; nella valle del Sangro e nel lancianese sono tipici il Leccino e la Gentile. Di particolare rilevanza è l’area del casolano, dove è presente l’Intosso, utilizzata come oliva da mensa. Anche la provincia aquilana ha le sue varietà, rappresentate dalla Gentile de L’Aquila e dalla Rustica della valle Peligna. _Miele: ogni pianta produce un nettare particolare che ha un suo profumo, un suo sapore. Così ogni valle, ogni collina e ogni altipiano dell’Abruzzo produce, a seconda dei diversi periodi dell’anno, un particolare tipo di miele e di prodotti derivati come polline e pappa reale. Le piante dai cui fiori le api producono il miele sono ovviamente quelle che meglio si adattano ai diversi climi abruzzesi; tra le specie principali ci sono l’acacia, la lupinella, il girasole, il castagno, il timo, e la menta. _Legumi: L’Abruzzo ha molto da offrire in fatto di tipicità e qualità in questo genere di prodotti, considerati un tempo la “carne dei poveri” per la loro ricchezza in proteine, carboidrati, fibra, vitamine e sali minerali. Ceci e cicerchie, fagioli, piselli, fave, e soprattutto lenticchie, quelle aquilane di Santo Stefano di Sessanio, reputate le più prelibate della regione per la loro buccia sottile e per la loro dimensione. Tutti questi legumi sono alla base del tipico minestrone abruzzese, originario del teramano. Altro piatto tra i più tipici della tradizione gastronomica abruzzese è la minestra di ceci e castagne, che a L’Aquila apriva il cenone della vigilia di Natale. _Ortaggi ed erbe spontanee: Da sempre nella cucina contadina le combinazioni più gustose tra gli alimenti tipici trovano nell’impiego di ortaggi ed erbe aromatiche un connubio di ottimo gradimento. Inoltre questi alimenti uniscono il vantaggio dell’economicità alla garanzia di benessere per i consumatori, come affermano dietologi e nutrizionisti, convinti sostenitori della dieta mediterranea. Tra le erbe più saporite e ricercate della terra d’Abruzzo trovano un posto d’onore gli orapi, o spinaci di montagna che sono alla base di tantissime ricette tipiche del territorio come gli gnocchetti conditi proprio con questa particolare erba. _Tartufo: L’Abruzzo è terra ricca di tartufi. Dai boschi dell’aquilano e del teramano, fino alle pinete marittime della costa, il tartufo è presente con una eccezionale ricchezza di varietà, rese tipiche dalle varie zone di provenienza. Nella ricca produzione tartuficola abruzzese un posto d’onore spetta al tuber magnatum pico, o tartufo bianco, sicuramente il più rinomato e ricercato. Una consistente fetta della produzione complessiva regionale è poi rappresentata dal tartufo nero, considerato il “diamante nero” della cucina abruzzese. _Zafferano: Originario del Medio Oriente, il bulbo dai caratteristici fiori viola è stato introdotto per la prima volta in Italia attorno al 1300 proprio in Abruzzo, per opera di un frate domenicano, tale Domenico Santucci di Navelli. Dalla provincia de L’Aquila al primato sul mercato internazionale il passo è stato breve, grazie alla sua riconosciuta alta qualità. La coltivazione dei fiori di zafferano è ancora manuale e la raccolta, nel breve periodo della fioritura, si effettua al mattino presto, prima che i fiori si siano completamente schiusi. Per ottenere un chilo di zafferano in fili occorrono circa duecentomila fiori, ma sono sufficienti pochi grammi di pistilli per dare sapore e colore a piatti e bevande alcoliche.

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6 APRILE 2009

FIG. 27_Casale distrutto dal terremoto.

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Il 6 aprile del 2009 è stato un giorno iniziato troppo presto per la città dell’Aquila, un giorno sciagurato e, per trecentonove persone, un giorno mai incominciato. Alle 3:32 il fragore di un violentissimo sisma è riecheggiato per le strade del capoluogo abruzzese e della sua provincia. Nelle 48 ore successive alla prima scossa (di magnitudo momento 6,3 Mw) sono state registrate altre 256 scosse, delle quali più di 150 nel giorno del 7 aprile. Il terremoto è stato avvertito su una vasta area del Centro Italia. La regione più colpita è stata, ovviamente, l’Abruzzo, seguita dal Lazio; lievi danni sono stati riscontrati anche nelle Marche. A seguito dell’evento sismico di maggiore importanza si è provveduto, oltre ai quasi immediati soccorsi, all’istallazione di tende da campo, mentre i ricoverati dell’ospedale San Salvatore, dichiarato inagibile al 90%, sono stati trasportati in parte in una tendopoli adibita a struttura di soccorso, in parte all’ospedale di Avezzano e in altre strutture della provincia. Il sisma ha completamente sventrato la sede della Prefettura dell’Aquila, che avrebbe dovuto essere il centro di coordinamento dei soccorsi. Oltre alla Prefettura, anche altri importanti edifici sono crollati o sono risultati fortemente danneggiati; tra questi ci sono la cupola della chiesa delle Anime Sante, l’abside e transetto del Duomo e della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, il Dipartimento di Lettere e Storia ed il polo di Ingegneria ed Economia dell’Università dell’Aquila. Il vero simbolo della tragedia però è sicuramente la Casa dello Studente della città, miserabilmente crollata nella sua ala Nord e sotto le cui macerie hanno perso la vita otto ragazzi, tutti giovanissimi. Ancora oggi non sono state chiarite le cause di tale crollo ma di certo le immagini di quel grosso edificio sgretolato restano tra le più forti e le più toccanti. Tanto altro ci sarebbe da raccontare di quella lunga, amara ed interminabile giornata e di quelle immediatamente successive ma probabilmente non è questa la sede adatta, per cui rimando alla bibliografia per chi volesse approfondire.



dopo il 6 APRILE 2009

Non è semplice reperire dati attendibili sul danno generato dal sisma del 6 aprile 2009. Infatti, a valle delle verifiche di agibilità, tutto ciò che è stato prassi ordinaria in altre occasioni, non è accaduto per L’Aquila e dintorni. Non sono state prodotte analisi sufficientemente approfondite sulle quali basare poi le strategie di intervento. La stima del danno grave, ovvero il conto di quanto costerà far ripartire una città, un sistema urbano come L’Aquila, non c’è, forse anche perché è impossibile calcolare una cifra che sia veritiera; inoltre, nulla di ciò che è stato programmato sembra aver avuto una fase di pianificazione a monte. Anzi, al metodo della pianificazione, della valutazione e della progettazione degli interventi, si è sostituito lo slogan “dalle tende alle case” inculcato negli sfollati come un sedativo. La ricostruzione dell’Aquila è il risultato di semplificazioni brutali, ridotta ad una semplice questione edilizia, tralasciando assolutamente la dimensione urbanistica e territoriale del problema, nonché quella sociale ed economica. Dalla restituzione cartografica del danno grave si evince come l’area maggiormente interessata sia quella del centro storico, con 4.418 edifici censiti in classe “E” o “F”. Per la prima volta dal terremoto di Messina e Reggio del 1908 è stato colpito un importante centro urbano, colpito al cuore: è importante infatti ricordare che il centro storico dell’Aquila non è soltanto il centro simbolico della città, ma ospitava anche le principali funzioni amministrative ed economiche, centinaia di attività commerciali e il mercato di Piazza Duomo. E’ necessario quindi capire che la ricostruzione della città deve essere intesa come rinascita di un sistema territoriale con particolare attenzione all’importanza che rivestiva il centro storico e non come mero risarcimento edilizio. La previsione di orizzonti temporali lontani per il completo riassesto delle membra della città ha poi aperto scenari poco rassicuranti costringendo molte attività amministrative, culturali, commerciali a cercare asilo in altre città o addirittura regioni, sino ad arrivare ad una condizione nomade ed ambulante di molte attività commerciali. Il risultato ottenuto da questo processo è quello di una profonda confusione sociale aggravata dalla mancanza di punti di riferimento prontamente ristabiliti: emblematico è il caso della gioventù aquilana, una volta assidua frequentatrice del centro storico, che ora i ritrova in centri commerciali asettici e stranianti.

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L’abbandono del centro storico Come accennato in precedenza, nell’assetto de L’Aquila il centro storico del capoluogo ha ricoperto un ruolo di particolare importanza. Infatti, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, la città coincideva sostanzialmente con il perimetro del centro storico stesso (esteso su circa 157 ettari), e anche il polo sportivo realizzato durante gli anni del fascismo era stato costruito in stretta aderenza con la città storica. Fino ad allora, il cuore della città era ancora in larga parte murato, essendo la crescita della città sostanzialmente confinata entro le mura storiche per tutta la prima metà del secolo scorso. Nel suo piano di ampliamento del 1917, Tian aveva imposto l’urbanizzazione delle aree ancora libere entro i confini storici. Ancora cinquant’anni più tardi, quando il piano Piccinato propone un grandioso ampliamento della città, ampie porzione di essa, all’interno delle mura, risultano occupate da orti e giardini. Fino al disastroso terremoto del 6 aprile 2009, il centro storico del L’Aquila rappresentava, quindi, il cuore morfologico e funzionale del territorio; per la sua qualità architettonica, per le funzioni presenti e per la sua valenza simbolica, esso era l’elemento primario dell’identità culturale degli Aquilani ed ospitava, dato non trascurabile, ancora diecimilaquattrocento presenze, alle quali vanno aggiunti i circa seimila studenti fuori sede che alloggiavano nelle case del centro. La complessità funzionale della sua struttura è poi testimoniata dal fatto che, unitamente alla componente residenziale, vi è la presenza di oltre 800 attività commerciali, di moltissimi studi professionali e delle sedi di rappresentanza delle amministrazioni e di numerosi enti. Le verifiche di agibilità effettuate dalla Protezione Civile indicano all’interno della “zona rossa”, 2.495 edifici danneggiati, il 62,8% dei quali ricadono in classe “E” (edificio inagibile). Consapevoli dell’altissimo valore del centro storico e della rilevanza del danno da esso subito, lascia sgomenti

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l’assenza di una strategia di ricostruzione se non immediata, quantomeno di primaria importanza. 1.3.2 Decentramento e piccole “new town” La ricostruzione della città de L’Aquila è stata fino ad ora affrontata quasi esclusivamente attraverso il progetto C.A.S.E. ed il progetto M.A.P. C.A.S.E. è un acronimo che significa “Complessi Antisismici Sostenibili ed ecocompatibili”. Si tratta, in buona sostanza, di lottizzazioni residenziali su venti aree individuate dalla protezione civile, propagandate come tante piccole città, né provvisorie né definitive, ma durevoli. Nel complesso sono stati previsti 164 edifici, per un totale di circa 4500 appartamenti che saranno capaci di ospitare quindicimila persone, privilegiando i cittadini de L’Aquila con casa risultata distrutta o inagibile in seguito al sisma. Il progetto C.A.S.E. prende il via nelle dichiarazioni rese già poche ore dopo il terremoto, senza tenere presente, in quanto ancora non quantificata, l’entità del danno. Non nasce quindi come risposta ragionata alla specificità del terremoto che ha colpito la città, né tiene presente il suo complesso sistema urbanistico e sociale. Dal punto di vista urbanistico forse è improprio parlare di “new town”. Il concetto di “new town”, insieme a quello di “green belt” (cinture verdi), rappresentarono, nell’Inghilterra del dopoguerra, il tentativo di contrastare la crescita a macchia d’olio delle metropoli. Si trattò di progetti pubblici molto complessi, incentrati sulla costruzione di nuovi centri urbani attraverso la realizzazione non solo di case, ma anche di servizi, infrastrutture e posti di lavoro. Al contrario, il Progetto C.A.S.E. riduce l’urbanistica alla mera edilizia, banalizza la complessità della città alla singolarità della palazzina, abolisce il governo della forma della città e ne incentiva, all’opposto, la crescita incontrollata ed informe. Le aree di intervento sono disseminate su tutto il territorio comunale. A prima vista non sembrano seguire alcuna logica urbanistica se non quella della disponibilità immediata dell’area. Noncuranti della forma urbana, presupposto per ogni qualità di vita, le aree di intervento insistono su aree in aperta campagna, mal servite dal trasporto pubblico (precludendo a priori ogni soluzione di

prima

zone urbane

zone urbane 51%

dopo

38%

centro storico 34%

56%

nuclei sparsi nuclei sparsi

6%

15%

centro storico

GRAFICO 06_Distribuzione della popolazione sul territorio prima e dopo il sisma.

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FIG. 28_Il palazzo del governo ridotto in macerie dopo il terremoto.

mobilità sostenibile) e si propongono come saldatura fra due distinti nuclei urbani, distruggendo di fatto l’identità dei borghi ed alterando il rapporto fra città e campagna. L’edilizia realizzata all’interno delle aree di intervento si basa su moduli standardizzati di edifici alti tre piani, realizzati con materiali diversi (legno lamellare, calcestruzzo precompresso, laterizi e metallo isolato termicamente) su innovative solette isolate sismicamente. Alla maniacale cura degli interni, comprensivi di ogni tipo di confort, corrisponde la totale assenza di servizi collettivi. L’accento è posto esclusivamente sulla casa, piuttosto che sulla città, sul bisogno individuale che prevale e annulla le esigenze della collettività e dei valori sociali. Il significato dell’abitare, e forse troppo spesso ce ne dimentichiamo, non può essere ricondotto esclusivamente alla sicuramente primaria necessità di avere un tetto sopra la testa, poiché coinvolge una serie di ragioni e relazioni sociali eteree ma presenti. Abitare vuol dire avere la possibilità di capire un luogo, di amarlo, di odiarlo e di esplorarlo, di viverlo in relazione a se stessi ed a tutte le altre presenze viventi e costruite, materiali e immateriali. Per questo motivo, un aggregato di C.A.S.E. così come è stato pensato, non potrà mai diventare una città, isolato com’è dal contesto sociale e territoriale, se non addirittura posto in contrasto con essi. Il progetto M.A.P., invece, il cui acronimo sta per “Moduli Abitativi Provvisori”, ha portato alla costruzione di 1.273 abitazioni. Queste, quasi tutte unifamiliari e in alcuni casi bifamiliari, sono state costruite utilizzando in alcuni casi legno massello, ed in altri pannelli coibenti. A differenza delle abitazioni del progetto C.A.S.E., gli aggregati di M.A.P. sono stati posizionati a ridosso dei centri abitati distrutti dal terremoto e la loro planimetria è stata studiata e concordata con i cittadini congruentemente allo svolgimento del tessuto urbano originario. I moduli con struttura in legno sono stati realizzati seguendo criteri antisismici e posati su una soletta di calcestruzzo armato che, una volta smantellato il villaggio provvisorio, resterà probabilmente come visibile testimonianza del passaggio dell’uomo trovatosi a fronteggiare l’emergenza forse con troppa fretta. In ogni caso il progetto M.A.P., per una serie di caratteristiche come i tempi e i costi di realizzazione ridotti e le scelte urbanistiche operate, risulta più apprezzato dai cittadini, che per loro natura e cultura

FIG. 29_Scorcio in una delle strade del centro storico con i puntellamenti sulle case.

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sono stati abituati nel corso dei secoli a fronteggiare l’emergenza con le proprie forze, senza essere subordinati a decisioni prese da persone prive di un’adeguata conoscenza del territorio e spinte da capricci politici. Quello attuale è, dunque, un assetto assai meno compatto e ben più articolato e frammentato del precedente, legato alla delocalizzazione delle periferie e dei nuclei industriali, non solo, quindi, delle residenze, ma anche della maggior parte delle strutture pubbliche e private, con effetti rilevanti anche sulla mobilità urbana. Anche il piccolo commercio si è in parte riorganizzato in forme spesso spontanee e scoordinate, producendo, specie negli orari di punta, una mobilità congestionata; molte attività commerciali, in realtà, hanno ripreso in sedi altamente provvisorie e, talvolta, anche in modo abusivo. Gran parte delle scuole e degli istituti superiori, poi, è stata ricollocata in sedi provvisorie (grazie alla realizzazione dei M.U.S.P., Moduli ad Uso Scolastico Provvisori). Questa città temporanea si trova a dover sopperire anche alla mancanza di luoghi di aggregazione collettiva, ritrovati solo in sterili centri commerciali come nel caso de L’Aquilone, luoghi privi di un’identità che connotava invece gli spazi del centro storico, fucina di relazioni e rapporti sociali e intrisi di quell’identità che rendeva la popolazione aquilana una comunità forte e unita.

FIG. 31_Le case della città distrutte dal terremoto. FIG. 33_Veduta a volo d’uccello di un quartiere dell’Aquila.

FIG. 30_Le macerie della città.

La problematica gestione delle macerie

FIG. 32_L’interno di una strada bloccata dalle macerie

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L’evento sismico che ha colpito la città de L’Aquila ha generato un quantitativo di macerie derivanti dai crolli e dalle demolizioni degli edifici danneggiati dal sisma che alcuni dati attestano approssimativamente intorno ai 4,5 milioni di tonnellate. Dall’analisi degli ultimi dati ufficiali della regione Abruzzo, riguardanti le elaborazioni effettuate nell’anno 2005 delle Dichiarazioni Ambientali (MUD) relative all’anno 2004, la produzione annuale di rifiuti provenienti dalle attività di costruzione e demolizione (compresa la costruzione stradale) è di circa 40.000 tonnellate per la provincia de L’Aquila e di circa 200.000 tonnellate per l’intera regione. Il confronto tra i dati fa emergere chiaramente la dimensione del problema della gestione di questi rifiuti che è risultato particolarmente aggravato dalla condizione di urgenza e dalla particolarità della composizione merceologica dovuta alla straordinarietà dell’evento che li ha generati. La mancanza di una strategia di pianificazione e di una identificazione dei siti idonei allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti che derivano dalle emergenze, stanti le considerevoli quantità in gioco, ha fatto sì che la catena dello smaltimento e del recupero sia diventato il “collo di bottiglia” della gestione della prima fase dell’emergenza che ha rallentato, di conseguenza, tutte le fasi successive.



FIG. 34_Chiesa di Bazzano.

FIG. 35_Slavina.

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FIG. 36_Campo 2 a Barete.

FIG. 37_Centro storico dell’Aquila.

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conclusioni

FIG. 38_Centro storico dell’Aquila.

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Fino al 6 aprile 2009, nonostante la grande espansione del dopoguerra, L’Aquila continuava ad essere un sistema urbano prezioso e delicato. La città aveva conservato diversi elementi di qualità che la rendevano piacevolmente vivibile. La dilatazione della sua struttura non aveva generato un progressivo distaccamento dai suoi valori, preservando ancora un rapporto diretto con la campagna (anche il centro storico, grazie ad un sistema di verde ambientale che lo cingeva a Est e a Sud, dialogava direttamente con lo spazio naturale); inoltre la città poteva ancora contare su un nucleo urbano centrale che fungeva da vero e proprio magnete per le frazioni del comune. Tutto ciò è stato cancellato nella sua parte strutturale dal terremoto, ma molto ha contribuito la strategia di ricostruzione, rea di aver portato ad una disgregazione sociale prepotente, risultato di un approccio che si distingue nettamente da molte delle precedenti esperienze. L’esperienza recente ha palesato un’assoluta mancanza di solidità istituzionale, di criteri stabili e di norme per governare al meglio la ricostruzione post-catastrofe, ma, tuttavia, ha anche testimoniato con forza l’esistenza di pochi ma imprescindibili valori. Tra questi, sul piano socio-culturale, vi è sicuramente quello di una ricostruzione che metta alla base la conservazione della struttura del territorio e dei suoi abitanti, in modo da preservare quel sentire profondo e radicato che tiene unita una popolazione colpita dalla potenzialità disgregatrice della disgrazia. Sistematicamente vi è sempre stato, in seguito a tutte le precedenti calamità, qualcuno che abbia proposto l’abbandono del preesistente, che abbia ceduto alla seduzione della ri-progettazione drastica delle caratteristiche di un territorio, sedimentatesi nel corso dei secoli. Certamente la ricostruzione costituisce anche un’opportunità, e non solo per quei pochi (o molti) furbi speculatori dell’edilizia, un’opportunità di innovare grazie ad una seria ed intelligente analisi progettuale. E’ difficile pensare ad una riproposta fotocopia del passato, ma una ri-fondazione nata sulle basi di ciò che è rimasto (o non è rimasto) sembra una strada percorribile nonché simpatica. Purtroppo però la fase di ricostruzione de L’Aquila è partita spinta dal motto “dalle tende alle case”. La soluzione adottata, o peggio ancora imposta, appare come sfoggio di un tecnicismo asettico e arrogante, fautore di una semplificazione estrema dell’identità di un luogo stuprato dei


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suoi contenuti culturali e sociali. Prima del sisma, ben due terzi della popolazione del comune abitavano nel capoluogo (tra centro storico e zone urbane adiacenti), mentre solo un terzo era residente nelle frazioni e nei nuclei periferici; il tema del centro storico è forse l’aspetto più sensibile, il capitolo più critico dell’intera questione e che rischia di lasciare alla gente, agli Aquilani, un doloroso vuoto. Le strade del centro, che vivevano di commercio il giorno e dello “struscio” dei ragazzi la notte, rischiano di rimanere vicoli di un’Aquila-Land per turisti, richiamati dalla possibilità di ammirare il cadavere di una città allegra e preziosa. La scelta poteva e doveva essere quella di impostare le strategie di ricostruzione a partire dalle tante esigenze di ripristino e magari di sviluppo della città, dalla ridefinizione del suo ruolo rispetto al suo territorio. Nella gestione del post-terremoto l’ossessione ad essere il più veloci possibile nel fornire un ricovero duraturo alla gente ha fatto erroneamente ritenere che l’obbiettivo di abbandonare le tendopoli fosse il senso della ricostruzione. Sparpagliando case lì dove si potevano mettere e procrastinando l’apertura di una riflessione sulla città da ricostruire si è assunti un atteggiamento assolutamente irrispettoso verso una comunità e verso la tematica di un progetto di rinascita carico delle potenzialità di ripresa sociale e sviluppo economico che ahimè non sono state confermate in territori del mezzogiorno come l’Irpinia, ma che invece sono state il germoglio per il boom del Nordest alla fine del secolo scorso. Dimenticavo, in Friuli ci si è rimboccati le maniche al grido: “prima il lavoro, poi la casa, dopo le chiese”; a L’Aquila, invece, la parola lavoro è stata solo sussurrata.

FIG. 39_Portici nel centro storico dell’Aquila.

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possibili approcci alla ricostruzione


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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

Avere la possibilità di ricostruire una città significa anche avere la responsabilità di compiere delle scelte in merito alle strategie da attuare per migliorare le qualità degli spazi urbani e la loro abitabilità. Questo comporta l’obbligo di una ragionata quanto delicata fase di analisi della situazione seguita da un’attenta campionatura delle possibili alternative e dei fini da perseguire. A tal proposito è importante ricordare che la tragedia che il 6 Aprile 2009 ha colpito la città de L’Aquila è stata una delle poche calamita occorse, in epoca contemporanea, ad un importante centro urbano. Questo significa avere l’opportunità di aprire un dibattito sui cambiamenti che interesseranno le città in un prossimo futuro. Ovviamente ogni città ha una sua storia più o meno remota e quindi è necessario, in prima istanza, conoscere le caratteristiche territoriali e sociali del luogo dove si va ad intervenire. Nel caso de L’Aquila, come detto in precedenza, il fulcro del tessuto urbano era costituito dal centro storico, vero e proprio cuore pulsante per gli abitanti del capoluogo abruzzese. Questo significa che qualsiasi piano di ricostruzione avrebbe dovuto prevederne un recupero prioritario al fine di restituire alla vita quotidiana gli spazi e le strutture della città, oltre a creare i presupposti per un rilancio economico ed occupazionale e il rafforzamento delle reti sociali messe a dura prova da uno sconvolgimento profondo delle abitudini di vita degli abitanti. Allo stato attuale, l’orizzonte temporale in cui si arriverà ad una situazione di questo tipo è quanto mai incerto. Per questo motivo è necessario studiare delle soluzioni che permettano di ristabilire quegli equilibri capaci di restituire un’identità sentita e definita ai cittadini aquilani. La strada del “dov’era com’era” è, dunque, decisamente impraticabile oltre che, forse, poco corretta se si considera la ricostruzione come un’opportunità evolutiva. Sicuramente, però, è di fondamentale importanza impostare qualsiasi proposta progettuale elaborata da qui in avanti tenendo presente le qualità territoriali e le dinamiche sociali che costituivano la linfa vitale della città.

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Città temporanea: città trasformabile, città reversibile

Nell’ottica di un recupero quanto più completo possibile del centro storico posto come fine ultimo della ricostruzione, è necessario provvedere a realizzare interventi che guardino sia alle esigenze e ai bisogni attuali degli abitanti, che al futuro, valorizzando al massimo le risorse e le vocazioni, ponendo così le basi per una nuova prospettiva positiva anche in termini di consolidamento economico ed occupazionale. Essendo i tempi di gestione della criticità del centro storico per forza di cose incerti, è necessario provvedere ad interventi che mirino ad inserirsi nel contesto territoriale promuovendo l’impegno a costruire le condizioni per un rapido recupero di reale vivibilità per i cittadini in situazioni di temporaneità intesa come provvisorietà e non certo come precarietà. Azioni progettuali intelligenti consentono sicuramente di agire in questo senso, proponendo soluzioni che non siano limitate al loro utilizzo principale, ma che siano anche capaci di stimolare un atteggiamento critico verso il loro riutilizzo o la loro rifunzionalizzazione, soluzioni per una città trasformabile, quindi, ma anche, all’occorrenza, reversibile, capace di tornare sui suoi passi in maniera silenziosa nel caso se ne dovesse sentire il bisogno.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

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FIG. 40_Veduta del mercato di piazza Duomo.

FIG. 41_Una via all’interno del centro storico.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

Ricostruire la qualità sociale

Nell’immaginario collettivo della comunità aquilana, fino al giorno del sisma, la città ha coinciso essenzialmente con il suo centro storico, e più precisamente con una sua parte, quella dove si svolgeva la vita collettiva; una zona di estensione limitata ma molto vissuta per tutto l’arco della giornata, dalla mattina, grazie alle attività commerciali e al mercato di Piazza Duomo, fino alla sera e alla notte, movimentata dallo “struscio” dei tanti ragazzi che giravano per bar e locali. Gli interventi di ricostruzione fin qui attuati, hanno di fatto “spalmato” la città su una superficie molto vasta senza restituire dei punti fermi, luoghi in cui i cittadini abbiano la possibilità di riconoscersi e ritrovarsi. La riqualificazione delle frazioni è stata semplificata ad una semplice opera di edilizia residenziale. Realizzando solamente delle abitazioni, senza prevedere quei servizi necessari per una confortevole abitabilità degli spazi degli aggregati, si è prodotta una grande disgregazione dell’intero tessuto della comunità aquilana. Le persone si sono ritrovate scaraventate in un universo a loro sconosciuto, costretti ad abitare di fianco a persone con cui avevano poco a che fare. Se da un lato questa caratteristica può sembrare un buon pretesto di socialità, c’è però anche da considerare la volontà delle persone, molte delle quali anziane, che hanno sempre esposto il loro dissenso in merito a questa decisione. C’è poi la problematica dei giovani della città, confinati in una periferia senza luoghi di ritrovo né mezzi pubblici per raggiungere zone più centrali. E anche quelli che hanno la possibilità di spostarsi in macchina si trovano a passare i loro momenti di libertà in centri commerciali privi di personalità. In una visione di medio - lungo periodo la città deve tornare ad investire con coraggio sui propri punti di forza. Non è possibile permettersi di cancellare un background culturale che per anni ha consentito a L’Aquila di eccellere nei settori della musica, del teatro e dell’alta specializzazione tecnica grazie a strutture come l’Università e il Conservatorio, le quali rischiano, a causa di un approccio poco interessato a queste dinamiche, una dislocazione in altre città, se non in altre regioni. La possibilità di tornare a formare delle figure di qualità anche in ambito artigianale, settore di grande eccellenza nella storia del nostro Paese e di cui l’Abruzzo rappresenta uno dei casi più esemplari, costituisce un’ulteriore possibilità di offrire ai giovani delle occasioni di crescita,

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nonché di sviluppo economico per l’intero territorio. Una delle problematiche più urgenti da risolvere risulta, quindi, quella di ricucire quel tessuto di relazioni che facevano de L’Aquila una città mai a riposo, caratterizzata dal vociare del mercato durante il giorno, delle passeggiate per i negozi e dell’incessante laboriosità delle poche botteghe rimaste durante il pomeriggio, e dell’euforia dei giovani alla sera. Restituire un luogo capace di adempiere a tali funzioni è sicuramente una sfida ma anche un obbligo per chi si occupa delle scelte relative alle strategie da adottare per la ricostruzione, un obbligo ma anche un’opportunità, che consentirebbe di ripartire dal basso, dalle persone, da chi fa la città, dal suo cuore pulsante, dando quindi la giusta importanza alla loro coesione, qualità che ha caratterizzato la storia della comunità aquilana nei suoi momenti felici, ma, soprattutto, che ha profuso la forza necessaria per superare quelli difficili, attraversati più volte nel corso della storia.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

Impegno per la rinascita culturale ed economica

La dimensione sociale della ricostruzione è fondamentale per una comunità urbana che ha tragicamente perso i suoi punti di riferimento, che ha subìto uno sradicamento dei suoi abitanti dai propri spazi di vita. In questo contesto, l’allestimento di strutture temporanee per il commercio, la cultura e l’aggregazione sociale è fondamentale per consentire il ritorno ad una condizione, se non di normalità, quanto meno di riconoscibilità identitaria grazie al ripristino di quelle dinamiche che caratterizzavano la vita della popolazione aquilana. Un intervento di questo tipo riguarda in particolare due fasce precise di popolazione: gli anziani e i giovani, ovvero quelle categorie che più hanno risentito degli effetti di una ricostruzione intervenuta dall’alto, con la presunzione di sapere cosa sarebbe stato meglio fare per una popolazione dal passato storico così particolare come è quella aquilana. La dimensione culturale, al pari di quella economica, dovrebbe essere considerata come un aspetto centrale nella rinascita della città, in quanto fattore identitario e di sviluppo sociale; L’Aquila era e deve tornare ad essere una città della cultura, orgoglio e risorsa economica per la città. La città del post terremoto soffre gravemente dell’assenza di spazi idonei per poter svolgere attività culturali; se riportare la vita nel centro storico deve essere l’obbiettivo di fondo dell’intera opera di ricostruzione, il recupero dei beni culturali, ed in modo particolare di quelli che sono i simboli della città, appare come una necessità di primaria importanza. Un discorso a parte va fatto per quel che riguarda il tessuto del piccolo commercio, uno dei motivi di maggior frequentazione del centro storico ed una delle questioni peggio gestite in questi primi tre anni di ricostruzione. Prevedere una situazione che coinvolga i commercianti fissi e quelli ambulanti, riportandoli, uniti, al centro di un progetto, consentirebbe di ricostruire, in buona parte, quelle dinamiche che animavano il cuore della città, scandito dalle mattinate passate tra le bancarelle del mercato, tra incontri e pettegolezzi, e da passeggiate infinite per le stradine costeggiate dai negozi, interrotte puntualmente dall’incontro di qualche conoscente con cui fermarsi a parlare, recuperare tutto ciò, dare la possibilità di potersi ancora ritrovare come si faceva una volta, ricordando il passato e ciò che si aveva, lamentandosi di un presente non sentito, delle occasioni mancate, ma, soprattutto, immaginando un futuro finalmente normale.

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Indagare le potenzialità locali: materiali ed ecologia industriale

La rinascita di una città come L’Aquila passa, quindi, anche dalla ricostruzione del suo tessuto socio-economico, attraverso un recupero non solo delle attività che hanno subìto danni, ma anche cercando di creare nuove filiere. Questo fine può essere perseguito attraverso uno sviluppo di tipo sostenibile, in accordo con il territorio, senza perdere di vista i fattori sociali. Attraverso un’attenta analisi di ciò che il territorio offre, dei materiali presenti su di esso, traendo insegnamento dalle architetture del passato proprie del paesaggio aquilano e studiando la storia della dimensione sociale del luogo, è possibile trarre interessanti spunti su possibili scenari di intervento. Un ulteriore spunto deriva dalla corrente architettonica denominata neoempiristica, che si sviluppa essenzialmente in Svezia e Norvegia negli anni Quaranta e Cinquanta. Si tratta di una posizione che per ogni incarico concreto cerca l’ispirazione con i dati del luogo, il clima, il programma, i futuri utenti, i materiali autoctoni; il dettaglio e il concreto, tutto ciò che le metodologie definiscono come aneddotico, diventa protagonista. Siamo di fronte ad un approccio che si ribella alla crudeltà dell’idea di standardizzazione. Secondo il “new empiricism” bisogna progettare umanizzando, in modo da rispondere alla psicologia degli utenti, ricorrendo a forme irripetibili, private, spontanee ed organiche. In questo modo si imposta un’architettura che su pianta è razionale, ma che nello stesso tempo è disponibile verso forme articolate ed aperte, che si adattino alla topografia e al paesaggio ed approfittino dei migliori panorami. I giardini e i boschi si avvicinano all’architettura e si rincorre un bisogno di qualità, si utilizza il colore e si ricorre al confort dei materiali tradizionali, come legno, pietra e ferro, combinati con pannelli ed elementi industrializzati; si inseguono la fantasia formale ed i riferimenti alle forme tradizionali, accettando prove ed errori. Per un architetto come Alvar Aalto, i condizionamenti e le limitazioni di ogni progetto non costituivano in alcun modo un ostacolo, ma il tema centrale intorno al quale si costruiva tutto il progetto; il neoempirismo si basa su questa ambizione paradossale. Più tardi si comproverà come la stessa cultura neoempiristica arriva a ragionare sulla scala urbanistica, favorendo l’aggregazione, la spontaneità e la flessibilità. Si tratta, pertanto, di una

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

grande rivoluzione di metodo: l’empirismo è contrario ad un razionalismo radicale e globalizzato, che parta da soluzioni stabilite o da tipologie architettoniche, supera la sensibilità schematica del Movimento Moderno e difende un nuovo tipo di razionalismo basato sul ragionamento e sull’accumulo di esperienza partendo dal piccolo, dal concreto e dal dettaglio, dal rispetto del senso comune. Grazie all’attitudine agricola, soprattutto di valenza cerealicola, conservata da parte della popolazione, si produce annualmente un grosso quantitativo di paglia da smaltire; la montagna, con l’allevamento delle pecore, produce importanti volumi di lana e rifiuti organici; infine, la risorsa forestale, se messa a sistema, produrrebbe non solo legna da ardere ma anche una discreta quantità di legname da destinare a lavori di artigianato o di edilizia. E’ possibile, quindi, ipotizzare una simbiosi industriale che unisca le attività già presenti a nuove industrie “low tech”, che utilizzino come materie prime produzioni del territorio unitamente ad eventuali scarti, mettendo a sistema le risorse non utilizzate, prima fra tutte quella boschiva. Il ridimensionamento del sistema economico diventa così occasione per partorire le scelte future con nuova sensibilità. Il riferimento per l’attivazione di simbiosi territoriali è quello dell’ecologia industriale, un metodo che sta emergendo prepotentemente come strategia per lo sviluppo sostenibile e che pone come sue fondamenta i principi dell’agire sistemico, integrato e globale, tra tutte le componenti del sistema industriale e le loro relazioni con la biosfera. Tutto ciò prende spunto dal sistema naturale: l’ecosistema naturale scambia sostanze con l’ambiente circostante e con il terreno. Ogni elemento rilasciato viene reso disponibile come materia principale di un altro sistema rendendo privo di senso, così, il concetto di rifiuto, il quale, semplicemente, non esiste. La ciclicità dei rapporti fa sì che ogni sistema dipenda dall’altro in un armonico scambio reciproco di sostanze, il tutto coadiuvato dall’apporto derivante dall’energia del sole. La differenza con il sistema di produzione antropico tradizionale è netta, poiché sposta l’ago della bilancia verso un tipo di economia circolare, la quale rimette in gioco le sostanze di scarto in modo che possano essere riutilizzate, abbandonando, quindi, un sistema di tipo lineare che consuma risorse senza rigenerarle, innescando la produzione di rifiuti. Partendo dai concetti base di metabolismo biologico è possibile aspirare ad un sistema a impatto zero, che è l’obbiettivo dell’ecologia industriale. Il metabolismo biologico riguarda i cicli della natura e tutti i prodotti che, essendo composti di materiali biodegradabili, diventano cibo per i cicli biologici. L’ecologia industriale studia le interazioni tra sistema industriale e sistema ecologico, attraverso la chiusura dei cicli e attraverso le simbiosi. L’ipotesi di creare le condizioni industriali per realizzare prodotti per l’edilizia è supportata dal basso impatto dei cicli dei materiali messi in gioco. Si tratta di introdurre lavorazioni “low tech” in quelle che sono le maggiori economie del territorio: lo scarto della lana ottenuto in seguito alla tosatura delle pecore può essere utilizzato come materia prima nella produzione di pannelli isolanti, mentre dai rifiuti zootecnici si può ottenere biogas; la paglia di risulta del raccolto dei cereali, raccolta in balle quadrate, può essere intelaiata con pannelli di legno e utilizzata come tamponatura, ma anche come muratura portante nella ricostruzione; la terra derivata da eventuali lavori di sistemazione di parchi pubblici costituisce un ottimo materiale per la produzione di mattoni crudi e di pareti se mescolate sempre con la paglia; infine la risorsa legno, mal sfruttata a causa di diseconomie, ma presente in grandi quantità nei boschi limitrofi, se ben gestita, sarebbe utile per produrre componenti per l’edilizia e manufatti di artigianato. Riuscendo ad attuare un ciclo di valorizzazione del territorio, si creerebbero di conseguenza nuovi posti di lavoro improntati alla “green-economy”. Per questo non sembra impossibile pensare di affrontare la ricostruzione che investirà il territorio aquilano seguendo un approccio improntato sull’utilizzo di materiali “leggeri” e provenienti dal territorio, con un ciclo di vita a km zero e che facciano dimenticare le strutture utilizzate per l’emergenza, interamente prodotte in altre località e portate in Abruzzo già pronte e finite. In questo modo, inoltre, si avrà la possibilità di far crescere il territorio in termini ambientali oltre che economici, di invertire il fenomeno dello spopolamento, già in atto prima del sisma e, nello stesso tempo, avere la possibilità di costituire un precedente, un esempio da seguire in eventuali (speriamo rare) situazioni simili dovute a catastrofi ambientali.

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piante e animali

nutrienti del suolo

tempo di vita

decomposizione naturale

GRAFICO 07_Metabolismo biologico.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

produzione

rifiuto

prodotto

tempo di vita

GRAFICO 08_Metabolismo biotecnologico.

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Macerie: da rifiuto a risorsa

Dell’enorme quantitativo di macerie derivanti dai crolli occorsi a causa del terremoto e delle successive demolizioni degli edifici danneggiati si è già parlato in precedenza. Diventa di fondamentale importanza, allora, provvedere ad individuare delle strategie volte all’ottimizzazione di quello che può essere considerato non come rifiuto, ma, anzi, come una grande risorsa da sfruttare. Un efficace recupero di materiale consentirebbe un evidente risparmio di materie prime vergini. Per essere avviati al recupero, i rifiuti inerti non possono, ovviamente, essere impiegati così come sono, ma devono subire una serie di trattamenti successivi, atti alla loro frantumazione, selezione, deferrizzazione, asportazione di materiali leggeri e/o indesiderati, omogeneizzazione del prodotto finale. Le tecnologie presenti sul mercato vengono generalmente suddivise in due macrocategorie: impianti fissi e impianti mobili; in realtà questa definizione non è del tutto corretta, poiché non è l’eventuale stazionarietà dell’impianto ad essere importante, bensì la qualità dei materiali ricavati dai processi sopra elencati, la quale è tanto maggiore quanto più l’impianto è dotato di tecnologie avanzate, come i sistemi di classificazione granulometrica e di separazioni delle componenti non idonee. La tecnologia di un impianto efficiente deve essere in grado di frantumare, classificare, vagliare, immagazzinare e trasportare; deve, inoltre, essere in grado di suddividere il materiale in ingresso in tre flussi fondamentali: il materiale lapideo nuovamente utilizzabile, la frazione leggera (carta, plastica, legno, impurezze) e la frazione metallica. Gli impianti mobili, invece, derivano dai tradizionali impianti di frantumazione degli inerti da cava e sono nati per rispondere all’esigenza di ridurre volumetricamente i rifiuti, sia per risparmiare sui costi di trasporto, sia per essere utilizzati in situ per la produzione di aggregati da utilizzare a scopi non strutturali. Il loro utilizzo è motivato essenzialmente dal costo di acquisto, che è nettamente inferiore a quello degli impianti fissi, e dalla possibilità di abbattere le spese di trasporto nel caso in cui sia necessario frantumare grosse quantità di materiale da reimpiegare in loco, senza particolari esigenze di qualità del materiale da impiegare o di eliminazione della quantità di rifiuti presenti in esso. Gli aspetti negativi di questa tipologia di impianti risiedono nel fatto che non offrono garanzie in merito alla qualità dei prodotti ottenuti, poiché non consentono la separazione sistematica e razionale delle diverse tipologie di macerie estranee presenti nel materiale da trattare; consentono solamente una riduzione granulometrica, senza, però, garantire un adeguato assortimento delle pezzature prodotte; la loro impostazione costruttiva, poi, legata all’esigenza di trasportabilità,

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

contrasta con l’introduzione di efficaci accorgimenti e dotazioni per il completamento del processo di trasformazione e per la riduzione del rumore e delle polveri, condizione, quest’ultima, fondamentale per l’utilizzo delle macerie in ambiente urbano. Gli impianti di ultima generazione, tuttavia, possono essere completati da sistemi aggiuntivi di captazione delle polveri e da separatori magnetici per la rimozione delle parti in ferro dal frantumato. Gli impianti fissi di trattamento e riciclaggio hanno, invece, la finalità di offrire innanzitutto una valida alternativa di smaltimento alla discarica, ma costituiscono anche una fonte stazionaria di approvvigionamento di aggregati riciclati per le costruzioni. Progettati con alti standard tecnologici, sono in grado di ottenere un materiale omogeneo e controllato dal punto di vista granulometrico, privo di componenti non inerti, aumentando, così, il valore dello stesso. Tale tipologia di impianto è normalmente caratterizzata da soluzioni standard per le fasi di frantumazione, vagliatura e deferrizzazione, mentre la fase di selezione della frazione leggera risulta particolarmente diversificata a seconda del livello di riciclaggio che si intende perseguire. Esiste una stretta relazione tra le tecniche di demolizione, le tecnologie di riciclaggio dei rifiuti prodotti e la qualità degli aggregati ottenuti. Le tecniche di demolizione impiegate, infatti, influenzano in modo determinante la qualità dei rifiuti da costruzione e demolizione e conseguentemente dei materiali riciclati: le materie prime seconde (MPS) ottenute dai flussi di rifiuti omogenei sono di qualità superiore rispetto a quelle provenienti da mix eterogenei. Le operazioni di riciclaggio rendono, quindi, indispensabile la selezione e la separazione dei diversi materiali per ottenere frazioni merceologiche omogenee. Per far ciò è possibile agire in due modi, che corrispondono a fasi separate dell’attività di cantiere. Prima della demolizione strutturale è possibile definire una separazione dei vari materiali, facilitandone lo stoccaggio in contenitori separati; in tal caso si parla di “demolizione selettiva”. A demolizione conclusa è invece possibile operare una differenziazione tra i rifiuti riciclabili e quelli che non lo sono. Per “demolizione selettiva” si intende quell’insieme di tecniche di smantellamento il cui scopo è quello di ottenere frazioni omogenee e valorizzabili, accrescendo notevolmente il livello di riciclabilità degli scarti generati sul cantiere di demolizione, secondo un approccio che privilegi l’aspetto della qualità del materiale ottenibile dal riciclaggio. Per ottenere un risultato di questo tipo, l’attività di demolizione deve avvalersi di una pluralità di strumenti di demolizione parziale, prevedendo uno smantellamento per fasi successive dell’intero edificio. In realtà accade quasi sempre che, nella scelta delle tecniche di demolizione, si privilegi l’aspetto economico e la rapidità di esecuzione dell’operazione, senza tenere conto della necessità di ricollocare, nel processo produttivo, le diverse tipologie di rifiuti e componenti. Queste considerazioni spingono a demolire soprattutto in maniera tradizionale, con l’adozione di procedure non selettive, che non consentono la migliore valorizzazione possibile dei rifiuti edili. I vantaggi di una demolizione selettiva, però, sono concreti e consentono di conseguire contemporaneamente molteplici risultati tra i quali i più importanti, soprattutto da un punto di vista ambientale, sono una drastica riduzione dei rifiuti da depositare sul territorio, la messa al riparo dai rischi di inquinamento del suolo connessi al riutilizzo per riempimenti, e un risparmio di materie prime naturali pari alla percentuale di materiale riciclato reimmesso nel ciclo produttivo. Una demolizione selettiva può essere organizzata in modo tale da consentire la separazione degli elementi riusabili, delle diverse frazioni costituenti il rifiuto da demolizione, nonché l’allontanamento delle sostanze estranee o inquinanti. Sono completamente riutilizzabili le porte, le finestre, i cancelli e le ringhiere dotati di prestazioni residue sufficienti per consentire il loro reimpiego secondo la loro funzione originaria, in seguito ad un processo di nobilitazione, consistente nella pulitura, manutenzione ed eventuale adattamento. Altri materiali che possono essere riutilizzati sono, ad esempio, i coppi i quali, una volta puliti, possono essere impiegati in nuove costruzioni; i mattoni fatti a mano, che, in seguito ad una accurata pulizia possono servire alla realizzazione di pavimentazioni interne ed esterne; le travi di legno, adoperabili per scopi non strutturali. Gli elementi in pessimo stato di conservazione, invece, possono essere smontati, al fine di recuperare i singoli materiali costituenti, quindi legno, vetro, ferro, da avviare al riciclaggio. Un tipo di approccio alla demolizione di questo tipo, non solo consente un recupero della maggior parte dei rifiuti prodotti, ma consente anche la produzione di materie prime seconde per l’edilizia di elevata qualità.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

Comunità: autocostruzione e partecipazione

Uno dei temi emersi con maggiore forza in questi primi tre anni di emergenza è rappresentato dal dissenso dei cittadini, che lamentano il loro mancato coinvolgimento nella scelta delle strategie da adottare in merito alla ricostruzione. Particolarmente grave e frustrante è stato l’atteggiamento presuntuoso e semplicistico con cui gli organi competenti hanno deciso il modus operandi, con la convinzione che bastasse riabilitare l’abitato domestico per restituire la serenità agli abitanti de L’Aquila. Nel capoluogo abruzzese, così come in qualsiasi altro luogo, esistono, però, delle logiche, delle forze, delle problematiche e degli equilibri dai quali non è possibile prescindere nel momento in cui si intende intervenire su un tessuto urbano. In diverse città del mondo, proprio in risposta a questo sistema dirigistico “top-down”, gli organismi di pianificazione urbana hanno cercato di aumentare il grado di legittimità delle proprie iniziative, favorendo forme di partecipazione sociale. Il movimento delle città “fai da te”1 ha di recente raggiunto risultati significativi ad Almere, nei Paesi Bassi, dove due nuovi enormi siti sperimentali, attualmente in costruzione, sono stati aperti a livelli di condivisione e partecipazione senza precedenti nelle società industriali2. In realtà questa tematica, che appare così attuale in epoca contemporanea, è nata e affonda le proprie radici nel passato. In particolare, durante gli anni Sessanta una risposta di tipo anarchico per molti sembrava essere l’unica teoria capace di descrivere una vita senza il controllo dello Stato. Al movimento anarchico è sempre stato associato un completo rifiuto della città, con la convinzione che, abbandonando quest’ultima e rifugiandosi nella natura, in un paesaggio scarsamente abitato, i mali della società del consumo, di colpo, svaniscano automaticamente3; la metafora maggiormente utilizzata da una grossa parte degli esponenti dei gruppi anarchici era l’idea di un grande salto all’indietro, verso l’arcaismo, rifiutando di guardare in avanti, verso un futuro. Cercare un ritorno pedissequo al passato è, però, un atteggiamento estremo, nonché banalizzante, in merito ad una questione in realtà molto complessa. Esistono, comunque, esempi di comunità che ne hanno fatto uno stile di vita; l’esempio di “Drop City”4 era proprio questo, una grande diserzione della vita in città in favore di un’ esistenza a contatto con la natura; atteggiamento tornato in voga in questi

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FIG. 42_Cittadini aquilani all’opera durante la ricostruzione.

FIG. 43_Volontari aquilani all’opera durante la ricostruzione.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

FIG. 44_Una locandina per una iniziativa per la ricostruzione.

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FIG. 45_Una locandina per una iniziativa per la ricostruzione.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

anni di crisi in cui il sogno di una vita agreste è diventato il sogno di molti. In realtà forse quello che maggiormente conta, qualsiasi spazio si abiti, è che bisogna ricercare un equilibrio tra costruito antropico e territorio, la più grande delle utopie. Questi concetti sono stati esposti con chiarezza da Levi-Strauss nel suo “Tristes tropiques” del 1965. In particolare l’antropologo francese dimostrava come nelle culture primitive del Sud America l’architettura e le città siano rimaste sottomesse all’uomo e integrate con l’ambiente. Questo senso comune e questa organicità nei rapporti uomo-ambiente si sono interrotti per l’assurda pretesa razionalistica di creare nuove città come quelle iniziate all’interno del Brasile5. Appare quindi necessario, soprattutto in questo particolare momento storico, recuperare un atteggiamento progettuale di questo tipo, che consideri prioritario il rapporto tra tessuto urbano e territorio. Sempre negli anni Sessanta accadeva anche che, grazie alla fioritura dei movimenti ecologisti, nascessero quelle visioni che mettevano in dubbio il modello capitalistico ed imperialistico di sviluppo, attraverso la rincorsa a nuove forme di sviluppo basate su stili di vita alternativi. Già negli anni Cinquanta, nella strada aperta dalle avanguardie artistiche, si proponevano approcci ad un’architettura partecipata; il pittore austriaco Hundertwasser propose, ad esempio, nel suo “Manifesto dell’ammuffimento contro il razionalismo dell’architettura”, un architettura del «fai da te». Succede così che nei due decenni successivi si produce un nuovo fenomeno culturale, grazie al quale l’architettura si mostra disponibile ad accettare le conseguenze del relativismo antropologico, comprendendo che non tutte le società possono essere misurate secondo medesimi modelli di sviluppo, ammettendo, di fatto, le pluralità e le diversità culturali. In particolare, negli anni Settanta si comincia a lavorare, soprattutto in ambito urbanistico, cercando soluzioni altre rispetto ai criteri culturali, economici e tecnologici del momento; soluzioni che fossero più sperimentali, audaci e maggiormente adeguate al contesto di riferimento. Sempre in quegli anni, relazioni redatte da economisti ed industriali paventavano il prevedibile esaurimento delle risorse naturali in caso di perseguimento di quelle regole di crescita, consumo e sperpero che segnavano l’evoluzione di quei tempi. Così il filosofo ed economista E.F Schumacher, nel suo libro ”Ciò che è piccolo è bello” (1973), sviluppa le proposte basilari per raggiungere una società ed una tecnologia a misura d’uomo, che sostituisca il modello basato sul culto della crescita economica. Ciò comporta la ricerca di tecnologie intermedie, per così dire “soft”, basate su elementi prodotti in serie, ma pensati in modo che per forma, dimensione e costruzione materiale facilitino la loro manipolazione da parte delle persone che devono interagire con essi. Questo movimento si concretizza in esperienze che vanno dal coinvolgimento del singolo, come nel caso della proposta di mobili autocostruiti elaborata da Enzo Mari nel 19746, fino a proposte di un’urbanistica di progettazione partecipata che consente l’intervento della comunità, avvicinando, di fatto, il mondo degli artisti e dei tecnici, al mondo degli utenti, ovvero di coloro i quali partecipano alla vita quotidiana della città.

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Riteniamo che un intervento di questo tipo sia, per quanto complesso, sicuramente ipotizzabile, se non addirittura auspicabile, in un contesto sociale come quello esistente a L’Aquila. Un tale intervento consentirebbe ai cittadini di riappropriarsi della città, nonché di dimostrare che l’universo della progettazione, aprendosi alla realtà della maggioranza, può essere utile a tutti, e non solo a pochi privilegiati clienti che usano il linguaggio dell’architettura e del design in maniera egoistica, senza pensare al bene della comunità, concetto che non si è riusciti a concretizzare in quegli anni, portando, di fatto, al fallimento di tale movimento. Per quanto le ideologie di base fossero forti, non si è riusciti a compiere il passaggio successivo, quello di tramutare le teorie in «comunità concrete»7, ovvero spazi che definiscono una «misura umana» e in cui una persona può vivere effettivamente la propria vita relazionale. Secondo Adriano Olivetti, le comunità, al cui centro trovavano posto le persone, devono avere dei compiti; una concezione moderna dell’urbanistica, un’economia di intervento nella dirigenza delle aziende, un’integrazione fra città e campagna, e politiche sociali di istruzione e assistenza. Nelle sue parole, a tratti profetiche, sono contenute le indicazioni di una grande riforma: «Determinate imprese private saranno progressivamente trasformate in enti di diritto pubblico e prenderanno il nome di Industrie sociali autonome o Associazioni agricole autonome […] la società individualista, egoista, che riteneva che il progresso economico e sociale fosse l’esclusiva conseguenza di spaventosi conflitti di interessi e di una continua sopraffazione dei forti sui deboli, la società polverizzata in atomi elementari o spietatamente accentrata nello Stato totalitario, è distrutta. Sulle sue rovine nasce una società umana, solidaristica, personalista: quella di una comunità concreta». Seguendo queste indicazioni i giovani progettisti dovrebbero cercare di creare spazi e oggetti che abbiano maggiori qualità sociali, evitando di concentrarsi esclusivamente sugli aspetti formali; le stesse qualità sociali che dovrebbero essere ripristinate con estrema rapidità a l’Aquila, sfruttando la naturale abilità dell’uomo nel costruire, e la sua propensione a collaborare, in modo da rendere il cittadino homo faber capace di affrontare il mondo da un punto di vista materiale, sociale e ambientale.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

Valorizzazione della qualità ambientale

Quando si tratta un argomento come la ricostruzione di una città non si può prescindere dal considerare un punto critico: il tema del verde e della sua valorizzazione, concentrandosi sulla possibilità di rendere la natura protagonista delle nostre città, ricreando una certa armonia tra essa e il costruito antropico. Nel caso de L’Aquila, il capoluogo abruzzese possiede un patrimonio verde tra i più importanti del nostro paese, che comprende parchi di notevole estensione, ma soprattutto una superficie boschiva che prolifera su una superficie di circa 10.000 ettari. La proprietà di questi boschi è in gran parte privata, decisamente frammentata, e soprattutto mal gestita. Il bosco, quindi, da risorsa si trasforma in problema: il bosco di proprietà pubblica, mancando i fondi, è completamente abbandonato a se stesso, mentre i privati ne fanno un uso limitato, tagliando la poca legna che serve ad uso personale per la produzione di calore. Questo si traduce in un enorme spreco di potenzialità. Il bosco, infatti, è un sistema multifunzionale: non sfruttandolo viene meno, oltre al suo ruolo produttivo, anche quello sociale (la gestione del bosco offre la possibilità di creare posti di lavoro), oltre, naturalmente, al valore paesaggistico, turistico, didattico. Anche la funzione di difesa del suolo (idrogeologica), che di certo è un fattore non trascurabile, risulta indebolita a fronte di una gestione non adeguata, con conseguenze spesso disastrose (incendi, frane). Il primo passo da fare sarebbe, quindi, quello di attivare una gestione continua del territorio coinvolgendo non solo le proprietà comunali, ma anche le realtà private, instaurando un processo partecipativo. Una buona strada percorribile è la creazione di una filiera corta del “legno da energia” che faccia da apripista ad una situazione che comprenda poi, in questo processo di valorizzazione, un’ attività di gestione del legname per l’edilizia e l’artigianato. Un secondo fattore di grande importanza nella valorizzazione del verde è la gestione dei parchi urbani: oggi più che mai, la città ha bisogno di conservare e arricchire i propri spazi verdi, rendendoli luoghi di socializzazione dove i giovani, i bambini, le famiglie e gli anziani possono trascorrere serenamente il proprio tempo libero. E’ il caso di citare al riguardo i quattro poli verdi più importanti della città: Parco del Sole, Parco del Castello, Murata Gigotti a Coppito e l’ex area militare di Piazza D’Armi. Mentre di quest’ultima, in quanto area del nostro intervento

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FIG. 46_Progetto di parco del Sole all’Aquila di Beverly Pepper.

progettuale, parleremo in maniera più approfondita nel successivo capitolo, ci sembra giusto spendere qualche parola per le restanti aree che costituiscono motivo di grande interesse per i cittadini; in particolare il Parco del Sole è già dotato di un masterplan per la sua riqualificazione, che prevede il rifacimento e la risistemazione dell’intera area verde; la realizzazione di impianti di illuminazione e di irrigazione, ma anche di un piccolo planetario e di uno spazio espositivo e didattico di supporto; l’installazione di strutture temporanee per servizi agli studenti, oltre alla costruzione di un teatro all’aperto per opera dell’artista Beverly Pepper, di un ristorante e di un parco giochi per bambini e di attrezzature per lo sport. Tra le strutture di nuova realizzazione, previste dal Masterplan, trova posto un’area adibita a parco scientifico, frutto di un accordo con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ai fini di creare percorsi didattici, anche in funzione di un utilizzo per il turismo didattico. Per quanto riguarda il Parco del Castello, esso è stato interessato da un’opera di riqualificazione di cui il simbolo sarà costituito da un’ auditorium temporaneo progettato dall’architetto Renzo Piano e finanziato interamente dalla provincia autonoma di Trento, il quale andrà a sostituire l’auditorium da 240 posti che già trovava posto all’interno del cinquecentesco Forte Spagnolo, ma reso inagibile a causa dei danni provocati dal terremoto. Il nuovo Auditorium, a detta dello stesso progettista, è stato concepito come edificio provvisorio, effimero ma al tempo stesso capace di rispondere in modo eccellente ai requisiti acustici e funzionali necessari per uno spazio di questo tipo; un vero e proprio strumento musicale, insomma, un grande Stradivari, che verrà appoggiato nel parco accanto al Castello in attesa che quest’ultimo venga restaurato. Per quanto concerne, infine, il Parco Murata Gigotti, sono stati stanziati dei fondi per la sua risistemazione; in particolare l’intervento riguarderà la predisposizione di tutti i sottoservizi, della rete elettrica e wi-fi e della pubblica illuminazione, la riqualificazione dei muri perimetrali e la relativa messa in sicurezza, il taglio della vegetazione infestante e la realizzazione di un parcheggio di circa 1.500 metri quadri. In conclusione, al di là dei singoli interventi di riqualificazione per i vari parchi, forse la cosa più interessante sarebbe riuscire a mettere a sistema questi nodi verdi, in modo di creare una rete che coinvolgerebbe, oltre agli stessi parchi, anche le vie di comunicazione tra di essi, che potrebbero diventare, almeno in parte, pedonali o ciclabili, escludendo di fatto le automobili, il cui utilizzo nell’area del centro storico è stato uno degli argomenti più dibattuti già prima del catastrofico sisma che ha interessatola città.

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

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NOTE La pratica dell’autocostruzione ha origini antichissime ed è connotata da prassi e metodi vari in relazione ai diversi contesti; oggi però può essere intesa in modo univoco ed efficace. Ad un gruppo portatore di know-how tecnologico e progettuale, informato delle peculiarità locali, possono aggiungersi nuclei autoctoni precedentemente sensibilizzati da azioni partecipative e condivise a livello amministrativo, rafforzando così la coesione sociale, e, al tempo stesso, ponendo le basi per uno sviluppo sostenibile. Il processo ha anche l’obiettivo di coinvolgere tecnici locali che, a loro volta, possono identificarsi in nuovi gruppi di coordinamento per disseminare il know-how in situazioni analoghe, determinando un effetto a scacchiera. A questa prima fase, emergenziale, dovrebbe poi succederne una seconda, di stabilizzazione e sviluppo, in cui le azioni artigianali vengano sistematizzate ed evolvano in pratiche produttive stabili, legate a formule industrializzate a carattere sostenibile (ecologia industriale) – M.C. Forlani, L’Università per il territorio, 2009 2 Quando abbiamo bisogno dei nostri vicini? – Abitare n. 523, p. 55 3 Questa idea riprende in parte l’idea di «città giardino», nata in Inghilterra durante la metà del XIX secolo. In quel periodo, il crescente sviluppo delle industrie e l’aumento della popolazione nei centri urbani avevano creato un forte degrado alle città con conseguenti disagi e abbrutimenti che mal si conciliavano con la vita dell’uomo. Questa originaria idea fu ripresa e sviluppata da Ebenezer Howard, che aveva come principale obiettivo quello di salvare la città dal congestionamento e la campagna dall’abbandono. Lo scopo era raggiungere contemporaneamente due vantaggi: gli agi e le comodità della vita urbana e gli aspetti sani e genuini della vita di campagna. La progettazione di questo nuovo tipo di città doveva quindi tener conto di tutti gli aspetti della vita umana, rispettando le esigenze primarie dell’individuo. Si pensò quindi a nuclei abitativi formati da residenze unifamiliari, attorniate dal verde, collegate tra loro, con servizi, negozi, teatro, chiesa, zone produttive e zone amministrative, in modo tale da rendere questi centri completamente autosufficienti. 4 Drop City, vicino a Trinidad, nel Colorado, ha visto i primi esperimenti sul campo di quelle forme di vita individuali basate sul principio del “do-it-yourself ”, ovvero “fatelo da soli, con le vostre mani”. Dieci cupole e tetti di lastre di acciaio , alluminio e legno di mille colori sono stati eretti sull’ammasso dei detriti di una città mineraria abbandonata. Come si vede, già dall’area fabbricabile economica si incomincia a far buon uso degli scarti della società dei consumi. Nel 1966 Buckminster Fuller ha assegnato a Drop City, esperimento concluso definitivamente nel 1970, il Premio Dymaxion - Lotus n. 8, sett. 1974, pp. 186-187 5 J. M. Montaner, Dopo il movimento moderno-Architettura e antropologia, p. 130 6 Partendo da un atteggiamento anti-industriale, Enzo Mari proponeva un’ampia serie di mobili semplici, di facile realizzazione. In questo modo regalava progetti affinché ognuno potesse servirsene per autocostruire. 7 Termine coniato da Adriano Olivetti nella sua opera “L’ordine politico delle comunità, 1945 1

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POSSIBILI APPROCCI ALLA RICOSTRUZIONE

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il progetto



IL PROGETTO

1 bosco 2 ORTI 3 mercato/parco ludico 4

percorsi percorso in pavè passerella in legno pista di atletica percorsi secondari

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borgo

5

segheria

7

parcheggi

8

teatro

9

torre

10 area sportiva

TAV. 1_Masterplan di progetto.

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IL PROGETTO

INQUADRAMENTO DELL’AREA

L’area interessata dall’intervento di progetto è situata nella parte occidentale della città ed è delimitata nel suo perimetro dal Viale Corrado IV nella su parte inferiore, grazie al quale è collegata con il centro storico, dalla Via Ugo Piccinini sul versante Ovest, da Via del Beato Cesidio ad Est, e da Via Raffaele Paolucci sul fronte Nord. L’area si estende per una superficie di circa 18 ettari e presenta una leggera pendenza verso l’asse della valle segnata dal fiume Aterno, con un’altezza media di 650 m s.l.m. In passato rivestiva la funzione di campo di addestramento per i militari delle vicine caserme (Guardia di Finanza e Carabinieri), ma quando si parla di Piazza d’Armi nell’immaginario collettivo degli abitanti della città si fa riferimento anche all’adiacente polo sportivo, composto da una pista di atletica e da un campo da calcio risalente all’epoca fascista. In seguito al terremoto, uno dei primissimi interventi di ricostruzione ha visto realizzata, nella parte Nord dell’area, la Basilica di San Bernardino in supplenza dell’edificio storico eretto al centro della città fra il 1454 e il 1472 e gravemente danneggiato dal sisma. Durante la fase di prima emergenza conseguente al terremoto, Piazza D’Armi è diventa la più grande tendopoli della città, con le millecento persone ospitate al suo interno; se Onna è stato il paese della completa distruzione, Piazza D’Armi ha ricoperto, almeno dal punto di vista mediatico, il ruolo di centro, di simbolo del terremoto. Quasi in parallelo, con il tradizionale apporto fornito da parte di volontari e protezione civile, sono iniziate a nascere iniziative volte al sostegno della tendopoli di Piazza D’Armi; forse la più interessante di queste è stata la creazione di un giornale on-line redatto da giovani adolescenti aquilani, il “Piazza D’Armi Post”, distribuito anche in forma cartacea all’interno del campo. Da questa iniziativa esce uno dei commenti più toccanti in merito alla situazione in cui versava la città nei mesi successivi al sisma, e in cui si trova tutt’ora. Queste le parole di Alex, uno dei ragazzi che ha dato vita al progetto: «Non scappate amici miei, combattete! Con queste parole voglio parlare al cuore dei miei fratelli Aquilani. Sono qui per chiedervi, anzi spronarvi, di vedere tutto questo non come la fine di un qualcosa, ma come l’inizio di qualcos’altro. Voglio ricordarvi che non è la prima volta che la nostra città viene devastata dal terremoto e non è la prima volta che viene ricostruita. Pertanto, questo dovrà darci

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92


IL PROGETTO

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IL PROGETTO

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IL PROGETTO

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arischia

preturo coppito 3

coppito

sassa pagliare

sant’antonio area aquilone

pagliare genzano

colle di roio

roio po roio 2

L’aquila - piazza d’armi L’aquila - zona rossa

roio piano

poggio di roio

Centro commerciale “l’aquilone” FIG. 47_Keymap riguardante la città dell’Aquila e la sua provincia; sono evidenziate le aree verdi del territorio della provincia dell’Aquila.

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L’aquila - territorio

aree verdi

Progetto C.A.S.E.

parchi urbani

a24

Comuni limitrofi

aree agricole

ss17


IL PROGETTO

assergi 2

collebrincioni

camarda

tempera

PAGANICA sud

PAGANICA

centro storico

PAGANICA 2

gignano sant’elia 1

oggio sant’elia 2

bazzano

bazzano onna

pianola monticchio

ss80

sr17bis

sr80dir

sp103

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100

cese

cese di preturo

pagliare

pagliare area aquilone

roio piano

colle di roio

arischia

coppito

genzano

coppito 3

sassa

preturo

FIG. 48_Keymap riguardante la città dell’Aquila e la sua provincia; sono evidenziati i comuni limitrofi colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009. roio poggio

poggio di roio

roio 2

sant’antonio

Progetto C.A.S.E.

Comuni limitrofi

L’aquila - territorio

centro storico

Centro commerciale “l’aquilone”

L’aquila - zona rossa

L’aquila - piazza d’armi

sant’elia 2

gignano

sp103

sr17bis

sr80dir

ss80

ss17

a24

bazzano

PAGANICA 2

PAGANICA sud

tempera

bazzano

sant’elia 1

pianola

collebrincioni

monticchio

onna

PAGANICA

camarda

assergi 2


IL PROGETTO

FIG. 49_Foto aerea da www.google.maps. it dell’area sportiva di piazza d’Armi.

FIG. 50_Foto della tendopoli in piazza d’Armi dopo il terremoto del 6 aprile 2009.

speranza per un nuovo inizio. Abbiamo la possibilità di ricostruire un’altra volta la nostra città, da capo, e renderla più bella di prima. […] L’Aquilano vero è quello con la testa dura più del marmo, quello che non abbandona la propria casa per nulla al mondo, il vero Aquilano è quello che è attaccato alla sua terra! Voglio concludere che non sono quattro case a fare la città ma, a fare la città sono gli uomini che ci vivono, ciò significa che: tanto forti saranno gli aquilani e tanto forte sarà L’Aquila!». Da questo incitamento emerge una cosa fondamentale, la spirito con cui gli Aquilani sono soliti affrontare e vivere la città, una città che è parte di loro, anzi, sono loro ad essere la città e sono loro a chiedere di avere la possibilità di ricostruirla; per questo motivo è apparso assolutamente fuori luogo l’atteggiamento con cui le istituzioni hanno affrontato la ricostruzione fino a questo momento. E in merito a Piazza D’Armi, già prima del terremoto i cittadini del capoluogo abruzzese sapevano cosa volevano diventasse questa importante area della città, che dopo 120 anni è tornata di proprietà del Comune. Un avvenimento epocale; infatti nel 1888, con un atto firmato ad Ancona dall’allora sindaco de L’Aquila Ciolina, l’area era stata concessa all’Esercito Italiano con lo scopo di permettere l’acquartieramento delle truppe. L’idea di rilanciare Piazza D’Armi è nata in seguito ad un incontro svoltosi nel marzo 2010 tra l’amministrazione comunale ed alcuni cittadini, desiderosi di attivarsi per il recupero e la riqualificazione di uno spazio tanto grande ma anche fortemente trascurato, però così importante per i risvolti sociali che può acquisire; occasioni di aggregazione e partecipazione capaci di ricucire quel tessuto sociale divelto non solo dall’evento sismico, ma anche dalle politiche di ricostruzione adottate fino a questo momento, testimoni di un diffuso bisogno di socializzazione che mette da parte l’individualismo in favore del bene collettivo, senza il quale sarebbe impossibile una vera ripresa della città. Rifiutando ogni possibile strumentalizzazione, la maggior parte degli aquilani, prescindendo dalla fascia di età e dalla condizione sociale, vogliono riprendere in mano le redini della loro vita, contribuendo fattivamente alla rinascita del loro territorio duramente colpito, senza intermediari, non da spettatori, ma da protagonisti, e Piazza D’Armi offre la possibilità di compiere la scelta, certamente coraggiosa, di consegnare l’area non più al Comune, ma alla comunità, con lo scopo di soddisfare il proprio bisogno di socializzazione, di lavoro, di cultura e di svago.

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chiesa

forest garden

mercato

bosco

area commerciale

botteghe teatro

laboratorio

area sportiva

GRAFICO 09_Immagine concettuale delle diverse zone progettate.

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u

mento

ff t r ser ici viz o i

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o t e atiche i t t be arom an u b ura er frermacultcolta i ur

edicola

IL PROGETTO

librer ie

agenzie

f

il

locali

ist prodruuzione zione

calcio

campetti tro

esemplari

biom vendassa cippa ita to

soc r iali

ela tĂ x GRAFICO 10_Parole chiave delle diverse aree progettate.

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IL PROGETTO

FIG. 51_Masterplan del progetto di Mario Cucinella per la piaza d’Armi.

Il Masterplan di Cucinella Nell’agosto del 2010 è stato approvato un masterplan di progetto relativo alla riqualificazione di Piazza D’Armi, donato alla città da Mario Cucinella. Secondo l’idea dell’architetto siciliano, il piano d’intervento dividerebbe l’area in tre zone. La zona più ad ovest servirebbe ad ospitare il mercato giornaliero, in precedenza sito in Piazza Duomo, con rispettivo parcheggio coperto. Per la parte centrale è previsto un parco urbano, nel quale si snoderanno percorsi benessere e troverà posto un teatro stabile. La terza porzione è rappresentata dal complesso sportivo che ha ospitato le tende. In ordine temporale il primo intervento riguarderebbe la realizzazione della piazza provvisoria per gli ambulanti e del parcheggio, un intervento, questo, già previsto, tra l’altro, da un’ordinanza della Presidenza del Consiglio a cui si aggiunge un accordo successivo per la parte del parcheggio. Quasi in contemporanea dovrebbe partirebbe il ripristino dell’attuale complesso sportivo, la pista di atletica e il campo da calcio, recuperi garantiti nell’arco di pochi mesi, e stiamo parlando di quasi due anni fa, per consentire lo svolgimento di attività agonistiche. Per quanto riguarda la parte centrale del masterplan, quella riservata al parco urbano, l’idea è quella di realizzare una serie di aree verdi collegate fra di loro da “percorsi benessere” e piste ciclabili, e rafforzate da un elemento aggregativo e di forte impatto come il teatro stabile da 500 posti, che costituirebbe il cuore del progetto.

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FIG. 52_Progetto vincitore del concorso indetto dal comune dell’Aquila.

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La situazione attuale – Luglio 2012 Nel febbraio 2012 il Comune de L’Aquila ha bandito «il concorso internazionale di progettazione “Parco Urbano di Piazza D’Armi” con oggetto la riqualificazione urbanistica ed ambientale dell’intero contesto urbano riguardante l’area di Piazza D’Armi, occupante una superficie territoriale complessiva di mq. 181.300. […] Il progetto deve prevedere la realizzazione di un parco urbano che si estenda a tutta l’area interessata, con un teatro e annessi spazi di pertinenza e […] deve essere integrato con il sistema di aree e attrezzature (aree gioco, percorsi verdi, ecc), di sosta per disabili, di accessi pedonali dai diversi fronti dell’area, di un accesso carrabile di esclusiva pertinenza del teatro per mezzi di servizio e di soccorso, dell’eventuale predisposizione del collegamento diretto con il parcheggio. […] La progettazione del parco urbano, con gli spazi e le attrezzature dedicate alle funzioni ed attività di cui sopra, sarà improntata alla ottimizzazione della sostenibilità e della riduzione dell’impatto ambientale (limitazione dei movimenti terra, degli interventi di pavimentazione impermeabile, dei muri di contenimento, delle cordolature ecc, degli interventi edilizi e similari contenuti allo stretto necessario per le funzioni richieste). Il progetto del teatro dovrà essere ispirato alla realizzazione di una struttura complementare a quella esistente nel centro storico di tipo tradizionale, e per la quale sono in corso le procedure di riparazione e di restituzione alle attività. Pertanto dovrà essere concepita come una struttura polivalente da poter essere utilizzata sia per attività teatrale di tipo classico che per rappresentazioni ispirate al teatro musicale polivalente, teatro d’avanguardia, popolare ecc., nonché per essere eventualmente utilizzata, con opportuni accorgimenti da prevedere in progetto, anche per attività teatrali estive all’aperto.» Questo in sintesi il contenuto del bando con scadenza fissata per il 10 aprile 2012. Il 13 giugno 2012 è stato inaugurato, dopo numerosi rinvii e tante polemiche, il nuovo mercato di Piazza D’Armi. Il primo giorno è trascorso pervaso dall’emozione dei cittadini, increduli nel vivere uno scorcio di passato proiettato nel futuro, e la soddisfazione degli operatori che, nonostante le critiche che hanno accompagnato tutto il tempo necessario al ripristino della loro attività, si sono


IL PROGETTO

FIG. 53_Foto del mercato in piazza Duomo prima del terremoto del 6 aprile 2009.

FIG. 54_Foto del nuovo mercato in piazza d’Armi inaugurato il 13 giugno 2012.

detti molto soddisfatti; In data 18 giugno 2012 il Comune ha comunicato che la giuria ha iniziato il lavoro di selezione dei progetti vincitori, i cui esiti saranno comunicati in data 25 giugno. Per quanto riguarda il complesso sportivo, invece, il clima è tutt’altro che allegro. Infatti i lavori, che dovevano essere conclusi due anni fa, non sono nemmeno partiti, lasciando un velo di tristezza nei cittadini che continuano ad utilizzare un’area ai limiti dell’agibilità. Al termine dei lavori di giudizio, la commissione ha nominato vincitore il progetto redatto da Modostudio che trae la sua ispirazione nel rapporto tra artificiale e naturale.

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I PARCHEGGI

a cura di alessandro frigerio

TAV. 2_Inquadramento delle aree di sosta progettate all’interno dell’area.

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Nella progettazione dell’area di piazza d’Armi abbiamo preso in considerazione l’inserimento di un parcheggio riservato ai fruitori del parco. Il territorio aquilano offriva, prima del terremoto, 26 aree di sosta con parcheggi a rotazione a raso disposti in quasi tutto il centro storico, un parcheggio scambiatore nell’area sud est della città, appena fuori dal centro storico e il parcheggio dell’area sportiva di piazza d’Armi. Per quanto riguarda il servizio di trasporto pubblico, c’è solo una linea che prevede la fermata in via Corrado IV. Questo porta a ripensare ad un assetto viario migliore, con l’inserimento di un’area di sosta, magari di scambio o autorimessa, e il potenziamento del servizio di navette, aumentando così la possibilità di raggiungimento della zona, dandole più importanza. Il possesso di una vettura privata per compiere spostamenti è ormai una condizione acquisita su tutto il territorio nazionale. In tale direzione, la legge italiana obbliga, in caso di nuove costruzioni, a garantire almeno 1 m2 di parcheggio ogni 10 m3 di costruzione. Il grande numero di automobili e l’impossibilità di trovare spazi adeguati di ricovero fanno corrispondere un degrado del luogo urbano, il rallentamento del traffico e l’impossibilità di impiegare liberamente il luogo pubblico per altre attività (passeggio, fare compere, ecc.). Il congestionamento dei centri urbani e la necessità di dotare la città di idonee strutture di servizio impongono l’esigenza di potenziare le infrastrutture di supporto ai collegamenti, e, soprattutto, le aree per la sosta ed il parcheggio. Nel progetto del concorso indetto dall’amministrazione comunale lo scorso febbraio 2012 era oggetto di indagine l’inserimento di un parcheggio con accesso da via Piccinini, il quale dovrà costituire la dotazione minima a servizio dell’insieme del parco urbano. Il punto di partenza della nostra proposta è stato quello di individuare un punto strategico in grado di servire agevolmente tutte le aree della piazza: la collocazione scelta è stata lungo tutta la via Piccinini, presentando un’area di sosta con parcheggi a raso, per un totale di 118 stalli di cui 5 per disabili. I vari parcheggi seguono perfettamente l’andamento della strada, un primo accesso è situato all’incrocio di Via Piccinini con Viale Corrado IV, mentre un secondo sull’angolo


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piazza d’armi

26 parcheggi a raso 1 parcheggio scambiatore

centro storico

GRAFICO 11_Situazione della presenza dei parcheggi nella città prima del sisma.

opposto, sempre su Via Piccinini, in prossimità della nuova Basilica di San Bernardino. Due sono i requisiti fondamentali di cui abbiamo tenuto conto nell’elaborazione della proposta progettuale: innanzitutto volevamo assicurare una schermatura visiva lungo tutta la linea di parcheggi e, in secondo luogo, riuscire ad integrare il verde con il parcheggio. Per quanto riguarda il primo punto, per evitare che dall’interno della piazza si abbia un accesso visivo ai parcheggi, abbiamo pensato di utilizzare dei gabbioni metallici riempiti di macerie e posizionati proprio a ridosso del parcheggio. Il risultato è una piccola muraglia alta 150cm che consente di non percepire le automobili parcheggiate. Per evitare una unica e forte chiusura, questa segno formato dai gabbioni presenterà un andamento frastagliato, ottenuto posizionando in maniera intervallata i diversi elementi, restituendo così una effetto di muraglia in rovina. La scelta di riempire i gabbioni di macerie ottenute dai crolli dovuti al terremoto intende proprio richiamare l’idea di muro decadente, oltre a costituire una sorta di monumento della memoria. In corrispondenza delle linee di livello, il muro verrà aperto e si creerà un passaggio verso il parcheggio e viceversa mettendo, di fatto, in relazione le due aree. Il ruolo della natura si palesa in questo momento: posizionata su tutta la superficie della piazza, in corrispondenza dei parcheggi, e, di conseguenza delle aperture citate in precedenza, avrà l’opportunità di estendersi e dichiarare la propria presenza anche all’esterno, esaltando la tensione espansionistica verso ciò che la circonda. Ad accentuare maggiormente la presenza del verde, abbiamo pensato di prevedere una pavimentazione in erba armata, secondo il modulo GREEN PARKING, un elemento alveolare in HDPE riciclato, di colore verde con una superficie drenante di circa il 90%. GREEN PARKING è destinato alla realizzazione di zone di parcheggio e percorsi carrabili inerbati. La caratteristica struttura a nido d’ape, presenta un’ottima resistenza al transito di qualsiasi tipo di automezzo, proteggendo il manto erboso.

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TAV. 3_Pianta del progetto del parcheggio.

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FIG. 56_Sezione per il progetto del parcheggio per le automobili.

FIG. 55_Prospetto per il progetto del parcheggio per le biciclette.

5m

2,5m

5m

TAV. 4_Pianta e sezione approfondita per il progetto del parcheggio per la automobili.

FIG. 57_Vista prospettica del muro in gabbioni.

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IL PROGETTO

2,5m

2,5m

1,5m

TAV. 5_Pianta e sezione approfondita per il progetto del parcheggio per le biciclette.

FIG. 58_Vista prospettica del parcheggio delle biciclette.

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gabbione DI MACERIE

MODULO green parking terra stabilizzatA CIOTTOLAME

PRATO GREEN PARKING

TAV. 6_Sezione e particolare della stratigrafia del terreno per il progetto del parcheggio per le automobili.

PITTURAZIONE A BASE EPOSSIDICA terra stabilizzatA CIOTTOLAME TAV. 7_Sezione e particolare della stratigrafia del terreno per il progetto del parcheggio per le biciclette.

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ASFALTO

ASFALTO


IL PROGETTO

FIG. 59_Modulo Green Parking drenante alveolare in HDPE riciclato per la pavimentazione dei parcheggi.

rete metallica zincata 20x5 cm

50

50

50

rete metallica maglia esagonale

100

GRAFICO 12_piegazione dei gabbioni metallici per le macerie.

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studio della natura a cura di emilio lonardo

TAV. 8_Inquadramento della natura progettata all’interno dell’area.

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In questo lavoro il progetto del verde riveste un ruolo decisamente importante. Quello che vorremmo emergesse è che qualsiasi progetto di spazio dovrebbe prevedere l’inserimento di una componente verde, considerata non come elemento ultimo, quasi come fosse una toppa per coprire dei buchi, bensì pensata già in fase preliminare. La progettazione del verde, infatti, può risolvere diversi problemi o addirittura veicolare le scelte progettuali in una determinata direzione nel caso in cui venga considerato come parte integrante dell’idea di base. La difficoltà nel progettare il verde risiede soprattutto nel fatto che la natura non è qualcosa di statico da poter inserire a piacimento con la pretesa che resti lì dove la posizioniamo. La bellezza di progettare con la natura (e non la natura) è proprio la sua insita peculiarità di essere un “materiale” vivo, che cambia con il passare delle stagioni e degli anni, e che regala sempre qualche sorpresa, bella o brutta che sia. Per poter riuscire ad elaborare un progetto del verde occorre tener presente una serie di condizioni e caratteristiche che vedremo approfondite più avanti, ma, per riuscire a sviluppare un lavoro quanto più possibile vicino ai risultati immaginati, il fattore più importante da acquisire è l’esperienza diretta, grazie alla quale é possibile iniziare a capire alcuni meccanismi con cui la natura agisce, riuscendo ad utilizzarli a proprio favore. Per questi motivi il nostro progetto del verde (noi che di esperienza ne abbiamo ben poca) è da considerarsi soprattutto come spunto di riflessione sull’argomento, per quanto sia stato elaborato seguendo il più possibile quanto appreso durante la fase di ricerca.


6 2

7

8

8

5

2

4

8 8 1

8 3

1

barriera boscata

2

siepe arborea

3

bosco di latifoglie

4

bosco di conifere

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biomassa

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bosco a valenza ambientale

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fruit garden

8

bosco urbano


Importanza e ruolo del verde urbano Fino a metà del secolo scorso la società italiana viveva direttamente correlata ai ritmi e alle regole dell’agricoltura. In questo contesto parlare di verde pubblico appariva superfluo, essendo la presenza di impianti naturali sul tessuto urbano limitata alla sola funzione ornamentale. Oggi giorno, a causa dell’eccessiva urbanizzazione del territorio, gli ampi spazi agricoli non costituiscono più il polmone verde delle nostre sempre più asfittiche città. Così, sul finire degli anni Sessanta, la legislazione italiana ha posto l’accento sulla crucialità del verde pubblico inteso come quantità minima di aree da riservare a quest’ultimo e in proporzione al numero di abitanti. È sotto gli occhi di tutti come una politica di applicazione esclusivamente quantitativa di questi parametri abbia portato a pessimi risultati. Anche se nella maggior parte dei casi la quantità di verde pubblico può essere ritenuta nell’insieme sufficiente, la sua dislocazione in aree frammentate e spesso assolutamente distaccate da percorsi pedonali e ciclabili ne rendende di fatto nulla la funzione reale. L’incompiuta politica degli standard e il malcostume generale hanno poi completato il processo di progressiva carenza di disponibilità e accessibilità agli spazi verdi destinati con sempre maggiore frequenza ad utilizzi impropri.

Criteri di progettazione Un possibile approccio alle problematiche esposte è quello ambientalista che, considerando città e territorio come l’insieme di più ecosistemi, pone in primo piano le leggi che regolano gli equilibri naturali, identificandoli quali elementi fondamentali per la vita degli spazi aperti. Le alberature, quindi, vengono identificate ed utilizzate come strumenti indispensabili per la purificazione dell’aria da sostanze nocive e polveri, e per la regolazione della temperatura attraverso l’evapotraspirazione. Risulta di primaria rilevanza, poi, constatare come un qualsiasi aggregato urbano non sia composto da soli edifici, ma da un tessuto molto più variegato e complesso in cui si inseriscono e si intrecciano, con differenti valori e significati, le varie piazze, monumenti, le strade

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IL PROGETTO

e, ovviamente, il verde sia pubblico che privato, che quindi costituisce un valore fondamentale nella composizione dell’immagine che la città restituisce di se stessa. Appare evidente, perciò, la necessità di approcciarsi alla progettazione degli spazi verdi con un adeguato bagaglio culturale che consente di correggere, limitare ed infine annullare, tutti quegli errori compositivi che vanno dall’abuso di essenze improprie, all’abbandono della coltivazione delle piante locali, passando per gli spesso evidenti problemi di portamento di alberi sovente costretti in spazi troppo piccoli o posizionati in maniera errata. È ancora importante tenere presente il concetto secondo cui la progettazione del verde deve essere affrontata con la stessa dignità formale ed un livello di definizione analogo a quello dell’edificato classico: in altre parole il ruolo dell’elemento natura dovrebbe andare oltre la semplice funzione ecologica assumendo anche precisi valori e stimoli culturali. Gli strumenti a disposizione del progettista sono, ovviamente, le piante che teoricamente possono essere scelte tra tutte quelle esistenti, ma che, in realtà, dovrebbero risultare selezionate solo tra quelle adatte al luogo in cui saranno inserite, tenendo poi in considerazione un secondo fattore fondamentale: il tempo. Nella corretta progettazione di ogni spazio verde è infatti di centrale importanza considerare come questo ne condizioni le scelte, in relazione a diversi parametri, come ad esempio il tempo di attecchimento delle piante, il tempo di crescita e sviluppo di queste ultime e la loro vita media. Ovviamente, questo non vuol dire escludere dal processo progettuale piante la cui vita media supera i due secoli, e il cui momento di massimo sviluppo è osservabile dopo 60-80 anni, tutt’altro. Se venissero progettati parchi costituiti esclusivamente da piante “leggere”, non lasceremmo alcuna traccia della nostra opera. Vediamo ora di presentare in maniera più approfondita i parametri influenzati dal tempo: _tempo di attecchimento è in dipendenza delle caratteristiche fisiologiche proprie di ogni singola specie, delle condizioni d’allevamento in vivaio, delle condizioni climatiche e pedologiche del luogo in cui verrà messa a dimora, dall’età e dello sviluppo raggiunto al momento del trapianto definitivo. Ogni trapianto, infatti, induce condizioni di stress fisiologico provocato dalla rilevante riduzione dell’apparato radicale, causato dalla zollatura: alla ripresa vegetativa la pianta si troverà a germogliare grazie alla riserva di linfa, ma ben presto le risorse non saranno rimpinguate da una adeguata quantità di nuova linfa e la pianta entrerà in crisi, spesso defogliandosi e assumendo un aspetto sofferente. Particolarmente sensibili al trapianto e quindi soggette a un lento o difficile attecchimento sono le piante con apparato radicale fittonante: nel caso di un loro utilizzo, quindi, sono da preferire esemplari giovani o di piccole dimensioni. _tempo di crescita e sviluppo anche questo fattore dipende dalle caratteristiche fisiologiche proprie di ogni singola specie, dalle condizioni di allevamento in vivaio, dalle condizioni climatiche e pedologiche del sito di messa a dimora, dal tempo d’attecchimento e dalla gravità dello stress causato dal trapianto subìto ed infine dalle cure dedicate. _tempo di vita media Dipende sempre dai fattori precedentemente esposti ed influisce particolarmente sulle modalità di messa a dimora (sesto di impianto) potendo sfruttare la sostituzione naturale dei piani di vegetazione, ad esempio nella realizzazione di schermature a pronto effetto. Nella fase preliminare di progettazione di un’area verde è necessario conoscere e approfondire le presenze e le caratteristiche della flora locale in relazione a parametri cruciali quali la direzione e la forza dei venti prevalenti, dell’effetto delle gelate e dei periodi di siccità, dell’effetto delle nebbie e delle nevicate, ma anche le condizioni adeguate di soleggiamento, esposizione, tipologia di terreno, rapporti con altre specie che consentono una corretta e fruttuosa vegetazione di alberi, arbusti, cespugli e piante rampicanti. In pratica compito primo è quello di scoprire l’amplitudine geologica delle specie selezionate, ovvero la capacità di ogni organismo vivente di adattarsi a diverse condizioni ambientali, rispondendo al variare di queste con variazioni morfologiche fisiologiche e biochimiche tali da consentire lo svolgersi normale e proficuo delle singole funzioni vitali. In un secondo momento, i risultati di questa ricerca sulla flora locale andranno giocoforza incrociati con una serie di dati relativi alle condizioni di vita a cui le piante scelte andranno incontro e all’analisi dei fattori climatici quali la radiazione luminosa, la temperatura, le precipitazioni e i valori di

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umidità. _radiazione luminosa Per quanto riguarda la radiazione luminosa alle nostre latitudini dipende da fattori come l’altitudine, l’esposizione dei versanti, la pulizia e la qualità dell’aria. A seconda delle reazioni a questi elementi le diverse specie di piante possono distinguersi in: _eliofile, amanti cioè della piena e intensa radiazione solare, tra cui troviamo: Betula pendula, Larix decidua, Pinus sylvestris, Pinus nigra, Pinus mugo, Populus tremula, Populus alba, Prunus avium, Quercus spp., Robinia pseudoacacia, Salis spp. _intermedie (o indifferenti), quali Acer, Alnus, Castanea sativa, Fraxinus excelsior, Pinus strobus, Sorbus aucuparia, Tilia spp. _sciafile ovvero che prediligono posizioni ombreggiate e tra le quali troviamo Abies Alba, Boxus sempervirens, Carpinus betulus, Fagus sylvatica, Taxus baccata. -temperatura Le piante che vegetano allo stato spontaneo indicano perfettamente quali specie si adattano al clima del luogo; va precisato però che condizioni di temperature massime e minime i cui estremi oscillano con una periodicità pluridecennale, possono stroncare anche esemplari adulti apparentemente adattatisi al microclima locale. _acqua Le reazioni delle piante all’acqua dipendono in particolar modo dallo stato in cui essa si trova (liquido, solido, aerosol), che a sua volta dipende dalla temperatura dell’aria e del suolo. Alcune specie tipiche delle zone umide, ad esempio, vegetano esclusivamente su terreni fortemente intrisi d’acqua (specie igrofile, quali Alnus spp., Populus spp., Fraxinus excelsior, Taxodium distichum), altre sono sicuramente adatte a terreni aridi (specie xerofile, quali Quercus pubescens, Pinus sylvestris, Juniperus communis), mentre altre sono intermedie (specie mesofile, quali Acer campestre, Carpinus betulus, Pinus spp., Quercus robur e Quercus petraea). Particolare attenzione nella scelta delle piante più adatte al nostro progetto va posta non solamente alla quantità d’acqua disponibile, ma soprattutto alla sua distribuzione nell’arco dell’anno. Dall’analisi ecologica è possibile individuare un gruppo abbastanza preciso di piante utili, escludendo quelle decisamente inadatte; ci troveremo così ad aver definito una griglia di caratteristiche specifiche e peculiari che riporterà, per ogni tipologia di pianta: -esigenze pedologiche (calcare, acidità, argilla, pH) -esigenze termiche (tolleranza a temperature estreme) -esigenze di illuminazione (ombra, mezz’ombra, pieno sole) - esigenze idriche (tolleranza a siccità/umidità). In alcuni casi è buona norma annotare caratteristiche secondarie, come la salinità del terreno e l’incidenza del vento, che, in alcuni casi, costituiscono informazioni fondamentali ai fini di una corretta progettazione. Per le notevoli implicazioni di carattere urbanistico e sociale, particolare importanza è assunta dal grado di resistenza delle piante all’inquinamento atmosferico (i cui valori, per la verità, a L’Aquila sono molto bassi) e, conseguentemente, la maggiore o minore resistenza alle malattie indotte proprio dal deperimento delle resistenze naturali causato dall’inquinamento dell’aria.

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IL PROGETTO

Scelta e accostamento delle specie Tutta l’analisi tecnica fin qui descritta non è ancora sufficiente per operare delle scelte definitive di progetto. Una serie di caratteristiche aggiuntive, forse maggiormente accostabili al mondo del design, come possono essere canoni formali, estetici, percettivi e simbolici, potranno essere utilizzati al fine di orientare ulteriormente le nostre scelte: le tabelle di grandezza, accrescimento, portamento, fogliame, chioma, colore, stagionalità, parti legnose, unitamente ai dati raccolti in precedenza, potranno finalmente accompagnare le nostre scelte definendo una campionatura che includa determinate tipologie di piante, a discapito di altre. A questo punto del lavoro, avremo definito per grandi linee i “materiali” da utilizzare, trascurando ancora la parte allestitiva. E’ bene approfondire ulteriormente, prima di questa fase, alcune regole di percezione sensoriale: _Distanza Una bella pianta, per poter essere percepita in maniera corretta dall’osservatore, dovrebbe rapportarsi con esso secondo uno schema ben preciso. L’occhio umano possiede un angolo di ripresa abbastanza ampio in senso orizzontale, ma è sensibilmente ridotto nell’estensione verticale (30° rispetto all’orizzontale); di conseguenza, per vedere completamente un albero alto 15 metri, dovremo porci ad una distanza di 19 metri. _Prospettiva E’ una caratteristica molto importante di cui tener conto per riuscire a donare profondità alla quinta della nostra area verde. _Studio delle particolarità Nella fase di studio delle particolarità, si scende finalmente in una descrizione grafica d’insieme, senza renderla però eccessivamente dettagliata. Infatti, più un disegno è particolarizzato, più informazioni esso contiene, concedendo ben poco alla fantasia. E’ impensabile, poi, immaginare di rappresentare un momento statico di un progetto del verde; ricordando quanto detto sul fattore

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tempo, infatti, è facile intuire che la natura è un organo dinamico, che mal si sposa con una rappresentazione statica e precisa. La vera funzione di un disegno del verde è, in realtà, quella di studiare e verificare l’armonia che si deve ricercare tra le gerarchie formatesi tra le piante utilizzate, quindi gli accostamenti tra alberi di prima e seconda grandezza, arbusti, cespugli, siepi e bordature fiorite; tra i diversi piani di vegetazione, la loro forma saliente, l’equilibrio fra aree coperte da alberi e superfici di prati, tra le diverse colorazioni assunte dalle piante durante i mesi primaverili e autunnali, e tra i vuoti e i pieni degli alberi a foglia caduca e sempreverdi durante gli inverni. _Studio dei cromatismi Per quanto riguarda gli accostamenti cromatici c’è da fare un discorso particolare: se in generale possono valere tutte le regole e le buone norme che un progettista dovrebbe conoscere, c’è che in natura le piante non sono di certo disposte secondo criteri estetici o cromatici programmati, però sicuramente l’aspetto di un bosco in autunno sarà sempre emozionante; al contrario, l’uomo, nella progettazione dei suoi giardini e dei suoi spazi verdi in generale, si basa quasi sempre ed esclusivamente su criteri tradizionali. Lo sforzo che, invece, andrebbe fatto, sarebbe cercare di ricreare quegli accostamenti e quelle suggestioni di forme, colori e odori che la natura ci regala durante i diversi periodi dell’anno. Tutto ciò può essere appreso solamente in seguito ad un’attenta e approfondita osservazione critica degli spazi verdi che già esistono, in particolar modo quelli già presenti sul territorio nel quale andremo ad agire. Questo e altri aspetti sono alla base del concetto di permacultura che verrà approfondito successivamente.

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IL PROGETTO

Permacultura La permacultura è un approccio alla progettazione (soprattutto di spazi verdi) che integra idee e pratche prese in prestito da molte altre discipline, che vanno dalle pratiche agricole tradizionali, ad applicazioni derivate da ricerche e studi scientifici molto recenti. L’unicità della permacultura risiede nel proporre modelli nati dall’osservazione degli ecosistemi, ovvero dalle comunità spontanee di piante ed organismi animali, così come possono essere un bosco, una prateria, uno stagno o una palude. Per chiarire meglio il concetto, basta immaginare di trovarsi in una foresta. Il sole filtra tra le chiome degli alberi più alti, sotto si incontrano le piante più giovani, poi gli arbusti, grandi e piccoli; procedendo ancora verso il basso troviamo lo strato di vegetazione costituito da rampicanti, che occupano gli spazi verticali, piante erbacee a taglia bassa, e poi muschi, tartufi e funghi che si sviluppano prevalentemente nei primi strati del terreno creando delle simbiosi con gli alberi. Questa variegata stratificazione fa sì che la produzione di sostanza organica per unità di superficie sia enormemente superiore rispetto a quella che si ottiene, per esempio, da un campo di grano, dove troviamo un unico strato di piante, alte circa 50 cm. Inoltre, per produrre tale quantità di biomassa, un bosco utilizza solo il sole, la pioggia e il terreno su cui cresce; a confronto, un campo di grano, è decisamente meno vantaggioso: necessita di arature e lavorazioni, semine e concimazioni, diserbo e trattamenti contro i parassiti, quindi tutti interventi che richiedono un grande dispendio di energia, sotto forma di lavoro fisico e consumo di combustibili fossili. Se fossimo in grado di creare un sistema che funzioni come un bosco, ma con piante che possano produrre frutti utilizzabili (a scopo alimentare, medico, ecc), non avremmo bisogno di ricorrere ad una quantità così massiva di risorse non rinnovabili; ed è proprio questa l’idea che sta alla base della permacultura. Ciò che rende produttiva ed autosufficiente una foresta, è la biodiversità che la costituisce: più del numero di specie presenti al suo interno, conta la quantità di “collegamenti” utili e “relazioni produttive” fra loro. In natura non vige esclusivamente la “legge del più forte”; in realtà la

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cooperazione è altrettanto importante e lo possiamo comprendere andando ad analizzare le correlazioni esistenti tra differenti specie. Piante differenti si sono specializzate nell’estrarre dal terreno sali minerali, e quando le loro foglie cadono, o la pianta muore, questi elementi sono messi a disposizione delle piante vicine; questo, però, non è un processo che avviene in maniera diretta: richiede l’intervento di funghi e batteri, i quali convertono il materiale biologico morto in elementi nutritivi che possono essere facilmente assorbiti dalle radici. Allo stesso tempo, le piante provvedono al fabbisogno energetico dei funghi e dei batteri, secondo quel processo di simbiosi di cui si accennava nel paragrafo relativo all’ecologia industriale. In particolare, poi, i concetti di cooperazione e comunità in natura rappresentano una metafora molto suggestiva per esprimere quelli che dovrebbero essere gli atteggiamenti delle persone, in particolare in fasi di emergenza, ma comunque nella vita di tutti i giorni, come abbiamo già avuto modo di dire in precedenza. Per continuare con gli esempi del funzionamento di queste simbiosi possiamo ricordare come molte specie di erbe aromatiche rilascino sostanze volatili in grado di aiutare le piante vicine a mantenersi in salute. Più si osserva la rete di relazioni utili presenti in natura, più si riesce ad intuire come queste siano fitte e diversificate. Un valido sistema in permacultura è tale solo se, a fondamento di esso, vene anteposta un’attenta fase progettuale. Per creare quanti più collegamenti utili tra i vari elementi, è necessario che ogni attore venga posizionato nel miglior modo possibile. Per questo motivo la permacultura è prima di tutto un metodo progettuale. L’obbiettivo è quello di utilizzare la mente umana per ridurre al minimo l’impiego di energia fisica e di energia fossile con i relativi effetti inquinanti. Va inoltre aggiunto che la permacultura è un processo che guarda al “tutto”, cercando di individuare le relazioni utili tra le parti, valutando come intervenire per modificare tali collegamenti in modo da ottimizzarne il funzionamento; è giusto sottolineare quest’ultimo concetto: ottimizzare non significa sfruttare per ricavare il maggior guadagno possibile in termini di produzione, ma creare quei sistemi di collegamento in cui l’uomo è parte attiva, ma non al vertice di una piramide, bensì come elemento in equilibrio con il resto, attore di un processo che lo porta ad essere integrato con il paesaggio nella sua interezza. _ Le origini La permacultura è nata dal concetto di agricoltura permanente, ma, dato che i principi su cui si basa possono essere applicati a qualsiasi attività umana, oggi è stata ripensata come “cultura permanente”, che si è sviluppata fino ad includere l’edilizia, l’urbanistica, l’approvvigionamento idrico e il trattamento delle acque, fino ai sistemi commerciali e finanziari. In sostanza possiamo definire la permacultura come “un atteggiamento atto alla progettazione di insediamenti umani sostenibili”, che è poi esattamente il fine che si prefigge questo lavoro di tesi. Non è sbagliato affermare che i concetti introdotti dalla permacultura non siano nuovi. Infatti, in diverse parti del pianeta ci sono popolazioni, come gli abitanti di alcuni villaggi del Kerala, nel sud dell’India, che coltivano i propri orti imitando quello che avviene nella vicina foresta; alberi, piante rampicanti, cespugli, erbe aromatiche ed ortaggi vengono coltivati assieme, proprio come in una foresta. La parola permacultura è stata coniata da due studiosi australiani, Bill Mollison e David Holmgren, con la pubblicazione del libro “Permaculture One” del 1978. L’idea affascinava Mollison già da diversi anni; aveva trascorso gran parte della sua vita all’aperto, nella natura, prima come forestale e poi come agronomo. La sua ispirazione derivava direttamente dall’osservazione delle foreste. Le studiò, cercando di capirne il funzionamento come ecosistema, fino a giungere alla consapevolezza di poterne ricreare uno. Tra gli anni Sessanta e Settanta, dopo essersi reso conto della situazione complicata a cui stava arrivando l’umanità, trascinata da una cultura dominante troppo invasiva, e dopo aver partecipato infruttuosamente a diversi movimenti di protesta, arrivò alla conclusione che un cambiamento reale può nascere solo dal basso. Lasciò perdere le proteste, tornò a casa ed iniziò a dedicarsi al suo terreno; nacque così la permacultura così come è definita dall’accezione moderna, un invito ad assumersi le proprie responsabilità personali, cambiando il proprio stile di vita, invece di aspettare che altri agiscano per conto nostro. Questo significa che la nostra reazione prima, trovandoci di fronte ad un problema, dovrebbe essere di natura progettuale, dovrebbe farci interrogare su cosa possiamo fare e non su cosa si dovrebbe fare.

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IL PROGETTO

_Una base etica Profondamente radicato nel concetto di permacultura, c’è il desiderio di agire secondo un senso di giustizia, di essere parte della soluzione, piuttosto che del problema. In altre parole, avere una tensione etica. L’etica permaculturale può essere riassunta in tre principi chiave: -Cura della terra: Di primo acchito, prendersi cura della terra potrebbe apparire come una sorta di egoismo illuminato, come se fosse un atteggiamento fondato sull’obbligo di prendersi cura della Terra e dei suoi ecosistemi perché ne va della nostra sopravvivenza come specie. In realtà, ad un livello più profondo, si tratta di diventare consapevoli del fatto che la Terra è un organismo vivente, di cui noi esseri umani facciamo parte, alla pari di tutte le piante e degli altri animali. In quanto esseri umani abbiamo lo stesso diritto di moltiplicarci e sopravvivere di qualsiasi altra specie. Gli insediamenti umani progettati in permacultura sono molto più vicini alla Terra rispetto a quelli creati con gli atteggiamenti tradizionali. -Cura delle persone: Nell’universo della permacultura, prendersi cura delle persone è altrettanto importante quanto prendersi cura del nostro pianeta. In passato, sono esistite civiltà completamente sostenibili, ma a discapito della qualità di vita della maggior parte della popolazione, costretta ad affrontare grandi fatiche e difficoltà di vario tipo. La permacultura si propone di limitare al massimo la fatica fisica e l’utilizzo di energia di origine fossile, grazie ad un’attenta progettazione. In effetti possediamo già quasi tutte le conoscenze necessarie per giungere a stili di vita sostenibili, ma la gestione delle emozioni umane, come la paura e l’avidità, è molto complessa, ci blocca e ci inibisce rispetto a qualsiasi forma di cambiamento. Chi si occupa di permacultura sta acquisendo una sempre maggiore coscienza che, per ottenere successo nella creazione di ambienti umani, sia necessario un preciso impegno nella direzione della cura delle persone e della cura della terra. Nella pratica, questo si traduce in diverse tipologie di intervento che vanno dal miglioramento della nostra capacità di ascolto e comunicazione, all’affermazione di un’urbanistica incentrata sui reali bisogni degli ecosistemi. _Equa condivisione Parlare di equa condivisione significa riconoscere i limiti fisici del pianeta. L’unica reale ed immediata soluzione risiede nella drastica riduzione del consumo delle risorse non rinnovabili (già in programma per l’anno 2020). Questo non significa condannarci ad una vita di stenti, ma avere il coraggio di vivere l’ambiente condividendolo con gli altri uomini e con le altre specie viventi, lasciando loro lo spazio di cui necessitano per sopravvivere e per creare quelle relazioni utili all’intera comunità. Tutte le politiche di “sviluppo”, in Occidente come ormai anche in Oriente, hanno come obbiettivo quello di incentivare l’economia dei mercati, avendo sostituito la produzione locale con il commercio a lunga distanza. Quella che chiamiamo crescita economica non è altro che l’aumento di quel gap che si è venuto a creare tra noi e le risorse da cui dipende la nostra sopravvivenza. In verità, solo ricollegandoci alle risorse locali potremo tornare sulla strada di una società sostenibile. Ovviamente non sarebbe corretto promuovere una società in cui non esistono scambi con realtà altre rispetto a quella autoctona, ma il punto di partenza deve essere comunque la produzione locale, come fattore di interesse e merce di scambio per poter attingere anche a ciò che offre il resto del pianeta. L’approccio della permacultura è quello di lavorare, quindi, sull’esistente prima di tutto, affinchè venga tutelato ciò che già funziona, per poi migliorare il sistema presente non disdegnando l’introduzione di nuovi elementi e processi. Le soluzioni proposte, quindi, varieranno da Paese a Paese, ma anche da città e città, finanche tra un orto e un altro della stessa città. _Soluzioni locali per problemi locali Dai concetti precedentemente esposti scaturisce la considerazione che ciò che è adatto ad una situazione, non debba esserlo necessariamente anche per altre. Per questo motivo, i principi della progettazione in permacultura sono generalmente specifici: ogni progetto permaculturale è preceduto da una conoscenza profonda del territorio dove si va ad agire, e quindi abbinato ad essa. L’approccio convenzionale, invece, tende a rimpiazzare i metodi tradizionali e locali del saper fare con un’unica cultura secondo cui le soluzioni proposte siano utilizzabili su scala globale; la

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permacultura, invece, prende in considerazione anche le più sottili differenze tra i territori, come i diversi stili di vita e i bisogni e i desideri dei futuri utilizzatori. _Progettare in permacultura La capacità di progettare è un elemento essenziale per chi si avvicina alla permacultura. L’approccio migliore è impiegare molta energia, conoscenza e creatività in fase progettuale, in modo da far funzionare in seguito le cose in modo corretto e con il minimo sforzo. Indubbiamente le città rappresentano la sfida più grande per chi progetta in permacultura. Il principio base più noto di questa tipologia di progettazione, e forse quello più utile, è la divisione di una macroarea in più zone (zooning) a seconda del loro utilizzo e della necessità di attenzione delle piante in esse contenute. Accanto al concetto di “zona” c’è quello di “settore”. In questo caso, si studia come posizionare gli elementi di un progetto in base ad influenze esterne come possono essere i fattori meteorologici, climatici, il panorama e la presenza di rumori. Prima di iniziare la fase di realizzazione del progetto, pertanto, sarebbe buona norma spendere un periodo di tempo abbastanza lungo (almeno un anno) ad osservare il territorio nel quale si andrà ad intervenire, annotando i cambiamenti climatici che avvengono nel corso delle stagioni, le zone d’ombra e di sole, gli angoli più ventosi, quelli maggiormente riparati, e quelli dove si ferma più a lungo la brina durante l’inverno. La gestione dei boschi è un ulteriore elemento di cui solitamente si tiene conto nella progettazione in permacultura; la boscaglia rappresenta la forma naturale più pura e maggiormente funzionante. Nell’ambito dei boschi gestiti in permacultura, alcuni di essi vengono utilizzati per la produzione di legna8, altri lasciati allo stato selvatico. Sempre per quanto riguarda i boschi, c’è da tenere presente l’eventuale pendenza del terreno: un terreno scosceso potrebbe rivelarsi il posto giusto per un bosco da legna. Il taglio indiscriminato, però, può lasciare il suolo esposto all’erosione. Ci sono, però, metodologie atte ad organizzare la raccolta del legname, come il taglio intercalare, che consiste nell’abbattimento graduale degli alberi, mantenendo, quindi, intatte, la copertura del suolo e l’ecologia del bosco. Pianificare in base alla pendenza significa lavorare con il paesaggio, basando le proprie scelte sulla preesistenza. _Il villaggo permaculturale L’attivazione di relazioni utili tra le diverse parti di un sistema, come già anticipato in precedenza, è il meccanismo alla base del funzionamento della permacultura. Questo principio può essere applicato non solo alle relazioni tra piante, ma, ovviamente, anche tra esseri umani. Una comunità permaculturale, dovrebbe essere composta dai residenti di un piccolo paese o di un quartiere di un centro urbano; ciò che importa è che tale comunità sia abbastanza piccola da consentire alle persone di conoscersi ed interagire in maniera diretta. Imparare a comunicare apertamente è uno dei fondamenti di ogni vera comunità, l’unità base necessaria a costruire un mondo sostenibile, che sia capace di superare le distanze partendo dalle strutture locali. Non si sta parlando di completa autosufficienza o di isolamento: il commercio e lo scambio (fisico e culturale) è sempre stato proficuo, oltre che necessario, ma in una comunità che sappia fare affidamento sulle proprie peculiarità, le persone sono qualcosa in più di semplici pezzi di un complicato meccanismo; inoltre, per chi vive in città, avere accesso ad un luogo dove poter vivere la natura e la socialità, potervi lavorare attivamente o semplicemente rimanendosene in contemplazione, costituisce una grande opportunità di crescita personale. Far parte di una comunità risulta, quindi, decisamente importante; lavorare da soli, a volte, può essere frustrante, mentre un gruppo di persone unite da uno scopo comune, come può essere ricostruire il tessuto sociale ed urbano di una città distrutta da un terremoto, porta a risultati apprezzabili in termini di qualità sia lavorativa che relazionale, funzionando proprio come un ecosistema: i singoli elementi si aiutano e si supportano reciprocamente, come dimostrano le testimonianze dirette che si sono costituite nel tempo in varie parti del mondo, ed anche in Italia. Il primo villaggio in permacultura è stato Crystal Waters, nel Queensland, in Australia; si tratta di un villaggio auto-costruito, in cui luoghi di lavoro, terreni agricoli, boschi ed aree riservate alla vita selvatica convivono tra di loro. La permacultura è presente anche in Italia, e nella “Cascina Santa Brera” si ritrova una delle realtà maggiormente consolidate. Questo progetto, situato all’uscita del casello di Melegnano (A1), coinvolge non soltanto le coltivazioni, ma anche gli insediamenti umani e le relazioni sociali.

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IL PROGETTO

_Applicazioni al progetto E’ doveroso specificare che l’applicazione dei concetti di permacultura al progetto è prettamente concettuale. Come è stato espresso nei paragrafi precedenti, per elaborare un buon progetto in permacultura, come del verde in generale, è necessario un lungo periodo di osservazione del territorio, oltre ad un importante bagaglio culturale di nozioni che può essere formato solo dopo diversi anni di studi e di esperienze dirette. Ciò che credo sia interessante, ed è questo che mi ha spinto ad introdurre il concetto di permacultura, è l’approccio al progetto basato sul rispetto del territorio e delle presenze locali, nonché delle basi etiche, concetti ed obbiettivi già immaginati in precedenza. Proprio sulla base di queste mi sono imbattuto nella permacultura che, quindi, ho cercato di applicare al progetto, correggendone alcuni aspetti; in questo modo è stato possibile restituire al progetto anche dei fondamenti culturali precisi.

Il ruolo del paesaggio tra cultura e progettazione Descrivere cosa sia il paesaggio può sembrare all’apparenza semplice, ma provando a dare una propria definizione ci si rende conto che il ventaglio di possibilità che ci si apre davanti è decisamente ampio: territorio, bellezze naturali, definizione di spazi sono tutte caratteristiche che possono essere associate all’idea di paesaggio, come le architetture di una città. Il paesaggio è, in effetti, nell’accezione maggiormente riconosciuta, il risultato della presa di possesso di uno spazio da parte di una comunità umana, prodotto di una progettazione fatta di confini e trasformazioni, nomi e significati. È il documento visibile di come gli uomini hanno pensato e plasmato la Terra come supporto alle loro attività; è uno dei modi sviluppati dall’uomo per «addomesticare» la natura, per controllarla e manipolarla9. Per quanto detto fino a questo momento, forse, però, sarebbe ora di rivedere questa definizione; nell’idea di paesaggio sono racchiusi valori simbolici e significati attribuiti che possono variare col tempo. In passato, ad esempio, il bosco e gli ambienti naturali, erano spesso descritti come luoghi della paura, proibiti perché popolati da animali pericolosi. Il luogo sicuro era la città, così civile e controllata dall’uomo; oggi questa convinzione si è completamente ribaltata. _Attaccamento ai luoghi Il legame che si viene a creare tra l’uomo e i luoghi che abita si forma anche grazie alla nostra tendenza di attribuire funzioni differenti a ciò che ci circonda. In particolare, possiamo isolare quattro tipologie di legame che si rapportano alle funzioni che assegniamo: _Legame funzionale: il territorio è apprezzato nel momento in cui risponde a bisogni di tipo pratico, per esempio per l’offerta di servizi sociali e di aree attrezzate per il tempo libero; _Legame simbolico: il legame con i luoghi dipende dal fatto che vi si trovano le radici familiari e sociali, sono legati a diversi momenti importanti della vita dell’individuo o della comunità di appartenenza e sono considerati importanti nella formazione di un’identità; _Legame affettivo: il rapporto si basa sulle emozioni e riguarda i luoghi che soddisfano bisogni fisici e psicologici legati alla sicurezza e al benessere; _Legame estetico: il paesaggio è apprezzato come fosse un’opera d’arte, per la bellezza e le risonanze emotive che suscita. _Paesaggio multisensoriale La conoscenza di un luogo non si limita agli aspetti legati agli stimoli visivi. La vista, nel corso della storia è diventata il senso predominante per la specie umana, forse anche grazie alla sua riproducibilità. La realtà spaziale è, però, composta dalla complessa commistione degli aspetti corporei, affettivi, spirituali, e coinvolge tutti quanti i sensi. Gli odori, i suoni, le percezioni tattili e gustative sono informazioni che contribuiscono alla conoscenza dei luoghi. _Paesaggio sonoro I suoni sono certamente elementi caratterizzanti ed hanno un forte potere evocativo. Per questo

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motivo, il paesaggio sonoro ha la capacità di connotare i luoghi, legandosi alle attività e alle vicende che vi avvengono, perpetuandone il ricordo come fosse un’immagine. Il fruscio dell’aria che si fa strada fra le fronde, o il vociare di un mercato, sono capaci di suscitare in noi emozioni che restano legate alla memoria dei luoghi che essi caratterizzano. Molti studi, negli ultimi anni, hanno documentato il ruolo del paesaggio sonoro nel definire la qualità della percezione di un luogo, e la progettazione sonora è entrata negli studi di progettazione architettonica e paesaggistica come importante elemento di studio. Questa crescente attenzione al ruolo che rivestono i suoni, dimostra che la progettazione del paesaggio non si può limitare al progetto del visibile, ma deve tener conto delle percezioni che anche gli altri sensi producono, in quanto parte dell’esperienza antropica dei luoghi. La società odierna ha prodotto un appiattimento delle sonorità, che sono sempre più spesso dislocate differentemente rispetto alla reale origine. Il risultato prodotto è una perdita dell’educazione all’ascolto dell’ambiente vissuto. Il paesaggio sonoro urbano ha subìto, nella contemporaneità, molte trasformazioni, con l’introduzione progressiva di nuovi caratteri sonori, dalla rumorosità delle infrastrutture di trasporto fino ai fruscii delle città cablate, il brusio costituito dalla presenza umana ha come sottofondo il rumore del traffico, che c’impedisce di percepire gli stimoli acustici provenienti da lunghe distanze, uno scenario diametralmente opposto al silenzio dei villaggi agricoli e alla quiete dei centri storici. È molto importante chiarire il concetto che la sonorità dell’ambiente è fatta da tutti gli impulsi sonori che vivono al suo interno e che il suono considerato come entità fine solo a se stessa è un’astrazione; i suoni possono essere morbidi, duri, riposanti, eccitanti, diffusi, freddi, caldi, diretti e indiretti, rifratti, bianchi, colorati, e la loro mescolanza contribuisce a creare la percezione complessiva, che a sua volta presenta le differenti caratteristiche di fragilità, rimbombo, nitidezza, vivacità e diffusione. In questo lavoro non ci siamo spinti nella progettazione di sistemi sonori e non ci sembra neanche il luogo giusto per scegliere degli esempi, esistendo già una grande letteratura in merito, però ci piace citare il lavoro di Clini Trini Castelli il quale ha basato gran parte della propria attività sullo studio della percezione e della multisensorialità. Ci siamo semplicemente soffermati sull’importanza della componente sonora nella percezione di un ambiente per comporre il sistema in cui i brusii delle persone siano accompagnati in sottofondo dall’umore della natura per comporre un paesaggio sonoro tradizionale, vero. _Paesaggio olfattivo L’olfatto è uno dei sensi meno considerati ed utilizzati nell’epoca contemporanea, mentre in passato era probabilmente più sviluppato perché svolgeva importanti funzioni legate alla sopravvivenza, come il riconoscere la presenza di certi cibi. Ciononostante, recenti studi hanno verificato come l’olfatto sia, in realtà, una componente basilare in molte delle attività umane, compresa la scelta del luogo dove abitare e quella del partner. Così, la presa di coscienza dell’importanza dell’olfatto nella percezione di un oggetto o di un ambiente che sia, sta cambiando decisamente l’approccio progettuale, andando ad intaccare l’assoluta preponderanza di scelte basate solo su canoni formali o, al più, tattili. A livello culturale l’universo olfattivo risiede nella nostra sfera intima e spesso diventa fonte di imbarazzo. Inoltre, ci manca il vocabolario adeguato per parlarne: descrivere un odore a qualcuno che non lo sente, o non lo conosce, è davvero un’impresa ardua; nella nostra cultura, come più in generale in quella occidentale, il linguaggio olfattivo è molto scarno e dipende soprattutto da giudizi di valore (buono o cattivo), dall’eco di altri sensi (dolce, soave, fruttato), dall’evocazione di qualcosa (odore di prato, odore di pulito), da paragoni; non gode, quindi, di un linguaggio espressivo e particolareggiato. Negli ultimi anni, però, ci si è resi conto che l’olfatto è una componente ovviamente presente, ma, soprattutto, fondamentale nella percezione del mondo che ci circonda, diventando così materia di ricerca e approfondimento in relazione alla progettazione applicata alle diverse scale. Se poi si parla di progettazione di spazi verdi, è facile intuire quanto risulti importante orientare le proprie scelte in relazione alla componente olfattiva dell’ambiente: conoscere le caratteristiche delle piante da inserire nel nostro progetto, i periodi di fioritura, l’intensità e la piacevolezza (tono edonico) degli odori emessi (ci sono ad esempio piante che emanano odori sgradevoli nel periodo di fioritura) puó rivelarsi un fattore molto utile per il progettista. Ma che cos’è in realtà un odore? L’odore è una risposta specifica dell’organo

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IL PROGETTO

dell’olfatto, che varia in funzione delle sostanze da cui è provocata. Lo stimolo olfattivo è generato da sostanze in grado di emettere dei vapori, perché un odore può essere rilevato solo quando una molecola gassosa si dissolve nella nostra mucosa olfattiva riuscendo a legarsi ad un recettore. In materia di progettazione, una caratteristica molto interessante in riferimento all’olfatto è, forse, il suo potere evocativo, quindi il potere di stimolare la memoria, caratteristica che si può tradurre in un utilizzo a scopo ludico, terapeutico e didattico. La memoria olfattiva agisce sulla lunga durata ed è sempre intrisa di affettività ed emozioni, quindi continuamente ricordi olfattivi ci fanno tornare con la mente al luogo e al tempo in cui abbiamo avvertito in precedenza un determinato odore, al vissuto emozionale a cui lo abbiamo legato attraverso una sensazione positiva o negativa, di malessere o benessere, di disagio e di meraviglia, influenzando i nostri stati d’animo. C’è un odore di casa che si sente ogni volta che vi si ritorna dopo un viaggio; hanno un odore le città, ed hanno un odore gli spazi naturali, che cambiano al ritmo ciclico delle stagioni. Per questo motivo, in ambito progettuale e quindi nel nostro caso specifico, utilizzare materiali della tradizione locale può aiutare a stimolare ricordi presenti nella memoria dei cittadini su ciò che era la città prima del terremoto. Può anche riportare alla mente momenti drammatici, ma di sicuro contribuisce a disegnare un paesaggio della memoria che non sia solamente visivo. La continua assimilazione di stimoli diversi va a creare, quindi, quelli che sono definiti “paesaggi olfattivi”, ovvero quelle componenti sensibili che caratterizzano i luoghi, connotandoli spesso più del loro aspetto estetico. Gli autori di opere letterarie utilizzano i paesaggi olfattivi, proprio per la loro forza evocativa, contribuendo ad aggiungere significato alla narrazione dei luoghi. Tra gli esempi più suggestivi del loro utilizzo, ricordiamo due opere: una, “L’odore dell’India”, scritta da Pier Paolo Pasolini come fosse un diario, un resoconto di un viaggio che l’autore compie in compagnia di Alberto Moravia ed Elsa Morante sul finire del 1960; l’altro, “La strada di Swan” di Marcel Proust, che descrive gli odori come anime che perdurano vivide, immateriali, persistenti e fedeli, «a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla, quasi impalpabile, senza vacillare, l’edificio immenso del ricordo». Nelle città contemporanee, gli odori che avvertiamo sono alterati, orientati a dissimulare o a trasformare gli odori naturali, a conferire odore agli oggetti comuni per renderli più accattivanti (marketing olfattivo), a mettere in atto una rielaborazione olfattiva dei luoghi dell’abitare, consentendo di fatto, alla chimica di sintesi di prendere il sopravvento sulle atmosfere olfattive naturali.

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Il progetto del verde Progettare un parco significa pensare a qualcosa che muta di stagione in stagione, di anno in anno, che è sempre in divenire, senza punto di ritorno, che si trasforma secondo i ritmi della vita vegetale del pianeta. Il progetto di un parco è allora il punto di arrivo di uno sviluppo vitale, lontano nel tempo e mai verificabile; il disegno di un parco è il tentativo di rappresentare, di fermare su carta una pluralità, di inventare metodi di rappresentazione per il suo aspetto mutevole. Progettare un parco è allora la proposta di concepire uno spazio costituito da materiali vivi, dall’insieme di alberi, di prati, di fiori, di cespugli; un’architettura di erba e di terra, di dune, di canali, di terrazzamenti, costituita capendo l’importanza di un dosso o di un solco nel terreno, degli assi delineati dagli alberi e dalla loro geometria organica10. Partendo da quanto detto ora e nei paragrafi precedenti è stata affrontata la fase progettuale per quanto riguarda la parte relativa alla natura. In primo luogo ci si è concentrati sulla ricerca delle specie di piante maggiormente presenti sul territorio e quelle che potessero essere adattate ai climi aquilani. Successivamente abbiamo iniziato una ricerca sulle tipologie ambientali da poter inserire nel nostro progetto in base alle funzioni e alle caratteristiche che volevamo assumesse. In particolare l’idea presentata si sviluppa a partire dalla volontà di creare una sorta di mura di cinta vegetale, capace di proteggere il costruito. Ricollegandoci all’accezione che il bosco aveva in passato, ovvero quella di luogo invalicabile e pericoloso, il progetto intende quasi esorcizzare questa idea, rendendo il bosco un ambiente che abbia sì come funzione originaria quella di protezione, diventando però comunque permeabile, esplorabile, un luogo da vivere e non solo da attraversare, grazie alle diverse funzioni che assume sviluppandosi su tutto il perimetro del parco. Abbiamo individuato, così, le diverse tipologie ambientali da ricreare, basandoci sulle ricerche effettuate e prendendo spunto da progetti già realizzati. Nella nostra idea, con il passare degli anni necessari alla ricostruzione, l’intero parco potrà essere man mano svuotato dal costruito urbano, lasciando solamente alcuni elementi caratterizzanti

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IL PROGETTO

come la torre, il teatro ed il laboratorio. In questa maniera la natura potrà gradualmente riappropriarsi di ciò che era suo, andando ad intaccare anche quelle strutture lasciate giacere all’interno dell’area come i gabbioni di macerie che quindi andranno ad essere ricoperti da piante rampicanti, testimoni del passare del tempo. La decisione di inserire in maniera così importante la presenza del verde è dettata, oltre che dalle ovvie motivazioni ambientali, anche dalla possibilità di creare un ingente numero di posti di lavoro da assegnare agli abitanti della città. Per una migliore contestualizzazione abbiamo deciso di introdurre del verde, sotto forma di alberi e arbusti, anche all’esterno dell’area, in modo da creare una maggiore coesione tra il parco e il suo intorno. Per quanto riguarda le tipologie di bosco scelte per essere inserite all’interno del progetto, possiamo ora vederne nel dettaglio le singole caratteristiche.

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esemplari specie arboree principali specie arboree accessorie

GRAFICO 13_Specie arboree.

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IL PROGETTO

GRAFICO 14_Specie arbustive.

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GRAFICO 15_Filari.

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IL PROGETTO

specie da biomassa alberi da frutto orti tradizionali

GRAFICO 16_Colture.

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GRAFICO 17_Primavera.

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IL PROGETTO

GRAFICO 18_Autunno.

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2,5m 2

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6 4 6 4 7 5 7 5 6 4 6

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6 4 6 4 7 5 7 5 6 4 6

5 7 5 7 4 6 4 6 5 7 5

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27,5m

1 2 3

specie arbustiva uno specie arbustiva due specie arbustiva tre

GRAFICO 19_Progettazione della barriera boscata.

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4 5

specie arborea accessoria uno specie arborea accessoria due

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specie arborea principale uno specie arborea principale due

2 2 1 1 3 3 3 1 1 2 2


IL PROGETTO

_Barriera boscata Questa tipologia di impianto è pensata come protezione dell’ambiente del teatro ed è posizionata quindi a ridosso del fronte stradale di Viale Corrado IV, ovvero quello più importante e trafficato. In questo modo chi arriva dal centro storico o dallo svincolo autostradale non riesce a percepire cosa possa esserci dietro questa barriera verde, che diventa una sorta di insegna dell’intero parco. La barriera boscata è un impianto ad alta densità, in grado di favorire la deposizione e la trasformazione dei composti inquinanti e ha funzione frangivento, oltre che di barriera visiva e sonora. L’efficacia è generalmente maggiore con l’aumentare della densità della chioma delle specie che si sceglie di adottare, della persistenza delle foglie, della tormentosità e della loro estensione superficiale. Al fine di consentire le funzioni di schermo e l’abbattimento degli agenti inquinanti, nell’impianto sono state scelte specie con caratteristiche adatte a garantire anche d’inverno un’elevata efficacia, privilegiando ovviamente specie che ben si adattano ai climi aquilani, in modo da creare un habitat naturale idoneo al territorio. Per svolgere con efficacia l’azione di filtraggio e protezione, la barriera boscata deve essere piantumata con specie arboree e arbustive e solitamente non si adatta ad essere utilizzata come luogo ricreativo, ma si presta molto bene a diventare luogo di rifugio e di vita di numerose specie animali. Le piante della barriera boscata assorbono gli inquinanti e li rilasciano nell’ambiente dopo averli neutralizzati, trattenendo sulla superficie fogliare il particolato e lasciandolo cadere lentamente sul terreno; l’azione di filtraggio è condizionata dal tipo di specie utilizzate e dal loro sesto di impianto. La nostra proposta, però, è adatta ad un utilizzo diversificato, abbinando le funzioni tipiche di una barriera boscata a quelle necessarie per il suo utilizzo periurbano con finalità ludiche e ricreative. Le prime due file alternano esemplari arbustivi ad alcune varietà ornamentali, esteticamente piacevoli per la fioritura o per la forma stessa della pianta, o ancora per altre caratteristiche come l’andamento dei rami ed il colore delle foglie. Segue poi una terza fila dove è previsto un filare monospecifico di Carpino, in modo tale da formare una struttura monoplana compatta, la quale funga da schermo anche durante la stagione invernale. La quarta fila prevede l’alternanza di individui di primaria grandezza ornamentali e non, in mezzo ai quali si inseriscono delle specie arbustive. Nel complesso l’impianto è caratterizzato da una distanza tra le piante molto ridotta, in modo tale da garantire l’effetto schermante del soprassuolo. E’ possibile prevedere che le specie ornamentali e quelle di primaria grandezza siano a pronto effetto, in modo da ridurre i tempi di attesa per ottenere l’effetto desiderato. Per la restante parte delle piante (arbusti e specie di accompagnamento) verranno utilizzati semenziali di due anni di età. Nei primi due anni di inserimento, sarà importante controllare lo sviluppo della vegetazione erbacea per limitare la concorrenza con le piante giovani. Grazie alla presenza di esemplari a pronto effetto nella zona centrale dell’impianto, la barriera boscata inizierà a svolgere le sue funzioni sin dall’inizio, anche se in maniera blanda. Dopo 4-5 anni di popolamento si inizierà ad evidenziare il futuro portamento di ogni singola specie. Sarà inoltre possibile effettuare un diradamento blando allo scopo di favorire, così, l’aumento di dimensioni degli individui principali.

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GRAFICO 20_Progettazione del bosco a valenza ambientale.

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27m specie arborea accessoria uno specie arborea accessoria due specie arborea accessoria tre specie arborea accessoria quattro

8 9 10 11 12

specie arbustiva uno specie arbustiva due specie arbustiva tre specie arbustiva quattro specie arbustiva cinque


IL PROGETTO

_Bosco a valenza ambientale Le funzioni di questo tipo di boschi sono le più varie, e vanno dalla ricostruzione di sistemi naturali scomparsi, alla ridefinizione del paesaggio rurale. Nel nostro caso non è da escludere la fruizione da parte dei cittadini. Da non sottovalutare l’importanza che questo bosco può rivestire per la produzione agricola e fruttifera, essendo collegato direttamente al settore adibito a “forest garden”. Il modulo di questo impianto è relativamente semplice, ed è costituito da due tipologie di zone differenti ed alternate, in modo da ottenere isole di arbusti, intervallate da aree con esemplari arborei e di accompagnamento. Nel modulo base che compone questo bosco, le prime quattro file ripetono uno schema identico, con l’alternanza di specie principali e di accompagnamento, concludendosi con una fila di esemplari arbustivi; successivamente questo schema si ripete in maniera speculare. L’impianto delle specie arbustive è abbastanza ravvicinato, mentre la distanza tra le specie arboree e gli esemplari di accompagnamento deve essere almeno di 2,5 m. Un impianto di questo tipo può svolgere differenti funzioni: schermante, ecologica, paesaggistica, ricreativa, didattica. Per quanto riguarda le specie arbustive è preferibile utilizzare semenzali in pane di terra di un anno di età, mentre, per quanto riguarda gli esemplari arborei e le specie di accompagnamento si preferiscono soggetti più grandi (2-3 anni di età). Nei primi anni successivi all’impianto, lo sviluppo della vegetazione erbacea può compromettere l’affrancamento dei soggetti messi a dimora, per questo motivo è necessario provvedere ad un controllo regolare della situazione. Al secondo e quarto anno si dovrà effettuare una potatura degli esemplari arborei nel caso in cui vengano destinati alla produzione di legna da opera, per limitare la presenza di nodi lungo il tronco e per correggerne la forma. Intorno al quinto anno sarà necessario diradare le specie arboree ornamentali piantate in gruppo, per selezionare gli individui migliori. In particolare devono essere tagliate 2 piante per ogni gruppo di tre, lasciando così piante di questo tipo a circa 7,5 metri l’una dall’altra. Dopo circa cinque anni le piante messe a dimora non dovrebbero più soffrire la concorrenza con le specie erbacee, e sarà quindi possibile intervenire sulle specie di accompagnamento per limitarne lo sviluppo e garantire la corretta crescita delle specie principali.

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specie arborea perimetrale specie arborea principale

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21m specie arborea accessoria uno specie arborea accessoria due

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specie arbustiva uno specie arbustiva due specie arbustiva tre specie rampicante

GRAFICO 21_Progettazione del bosco urbano.

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IL PROGETTO

_Bosco urbano Storicamente, con il termine “bosco urbano” si definisce quella tipologia di interventi di forestazione che coincidono spesso con il recupero ambientale di aree degradate da un punto di vista ecologico, nonché paesaggistico; in questo senso il bosco urbano riveste un ruolo molto importante poiché consente di riqualificare gli ambienti degradati, offrendo funzioni ludico-ricreative. Nel nostro caso, il progetto del bosco urbano, chiamato così perché incontra l’architettura del costruito antropico al centro dell’area di progetto, prevede la costituzione di aree che vadano ad inserirsi in maniera organica, partendo dalla cintura verde posta lungo quasi tutto il perimetro di Piazza D’Armi, nel sistema di boschi, prati, filari e siepi, assumendo un carattere ricreativo, e quindi sociale, naturalistico, didattico e paesaggistico. La funzione principale del bosco urbano è, quindi, di consentire lo svolgimento di attività umane a contatto con la natura; progettato in maniera adeguata, però, può diventare anche un habitat favorevole alla nidificazione per diverse specie di volatili. Per quanto questa tipologia di composizione resti, per la maggior parte, molto permeabile, essa consente di ottenere anche una funzione frangivento e di isolante naturale, come avviene nel caso della parte adiacente al versante superiore del teatro. In questo caso, lo schema proposto è funzionale all’isolamento del mercato e presenta una prima fila di arbusti posizionati lungo il confine del mercato, che consente un maggior controllo, aumentando il grado di sicurezza soprattutto dei bambini che giocano nel parco. Questa porzione di bosco è accessibile ed esplorabile però dai percorsi e ovviamente dal teatro. Nella parte centrale verranno inseriti alberi di prima e seconda grandezza posizionati in maniera alternata, da impiantare a pronto effetto in modo da ridurre i tempi di attesa. Gli individui delle singole file verranno disposti a distanze differenti in modo da esaltare maggiormente l’aspetto naturaliforme. Inoltre, utilizzando specie dalle caratteristiche differenti, il soprassuolo garantisce una notevole variabilità cromatica lungo tutto l’arco dell’anno. Per quanto riguarda la restante parte del bosco urbano, esso costituisce un esempio di area boscata con prevalente funzione ricreativa, in cui le specie arboree ed arbustive sono inserite in gruppi monospecifici, all’interno dei quali i singoli soggetti non presentano una regolarità nel sesto di impianto, mentre ogni gruppo è inserito in maniera sparsa all’interno dell’area, garantendo l’alternanza di pieni e vuoti. Per migliorare la funzionalità estetica e ridurre i tempi di attesa, è necessario utilizzare esemplari a pronto effetto o specie a medio sviluppo. Nella fase iniziale di impianto, sarà opportuno procedere con la semina di un prato erboso da sfoltire nel corso dei primi anni per garantire uno sviluppo ordinato e curato dell’intero sistema; inoltre, utilizzando soprattutto piante a pronto effetto, può essere utile l’impiego di tutori a cui legare i soggetti.

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2m

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2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 4 4 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 4 4

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 4 4 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 4 4

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1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 4 4 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 4 4

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28m 1 2

GRAFICO 22_Progettazione del bosco a biomassa.

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specie arborea a ceduo uno specie arborea a ceduo due

3 4

specie arborea a ceduo tre specie arborea a ceduo quattro


IL PROGETTO

_Colture arboree Nell’elaborazione di un progetto di imboschimento, è necessario decidere quali aspettative privilegiare e quali non sono simultaneamente assicurate per ciascuna tipologia di bosco. Le colture arboree sono costituite da poche specie differenti, ed in alcuni casi risultano essere anche soprassuoli monospecifici orientati verso un unico tipo di produzione (biomassa legnosa, legname da opera, ecc.). La scelta di prevedere un impianto per arboricoltura appare in ogni caso una scelta adeguata al progetto poiché, oltre alla creazione di posti di lavoro, costituisce fonte di reddito per la comunità. Abbiamo scelto di isolare tre tipologie di bosco per arboricoltura: un settore è dedicato esclusivamente alla produzione di biomassa legnosa a fini energetici, sia come cippato sia come legna a pezzi. La struttura del popolamento prevede l’alternanza di specie differenti in modo da limitare la diffusione di eventuali agenti patogeni. In questo arboreto dovranno essere utilizzati semenzali di un anno in pane di terra, mantenuti a ceduo per la produzione di biomassa. Gli altri due settori sono stati pensati in modo da restituire alla terra ciò che le viene tolto per la costruzione del parco; abbiamo differenziato quindi un bosco di conifere ed uno di latifoglie che prevedranno l’inserimento di tutte quelle essenze utilizzate per la realizzazione degli elementi del progetto. Solo in un secondo momento, e solo in caso di necessità, potranno essere utilizzati per la produzione di legna da opera, considerata la già grande quantità di boschi atti a questo scopo nelle zone limitrofe alla città. In questo modo questi boschi potranno essere vissuti dai cittadini, ma anche dalla fauna locale, che vi potrà trovare rifugio. L’impianto verrà realizzato, quindi, in modo da garantire comunque in 50-70 anni la produzione di piante con tronchi diritti e privi di ramificazioni almeno per 5-6 metri di altezza, almeno per quanto riguarda il settore di latifoglie; per quanto riguarda le conifere, infatti, le specie utilizzate hanno una crescita molto più rapida ed un utilizzo più intensivo e si prestano meno, quindi, ad essere utilizzati dalla comunità. Per questo motivo il bosco per la biomassa e quello di conifere sono adiacenti.

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1 2

specie arborea principale uno specie arborea principale due

GRAFICO 23_Progettazione del bosco di latifoglie.

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3

6

10m specie arborea accessoria uno specie arborea accessoria due

5 6

specie arbustiva uno specie arbustiva due


IL PROGETTO

1 2

conifera uno conifera due

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2 2

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3

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10m latifoglie di accompagnamento uno latifoglie di accompagnamento due

5 6

specie arbustiva uno specie arbustiva due

GRAFICO 24_Progettazione del bosco di conifere.

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10 10 10 10

11 11 11 11

11 11 11 11

16m 1 2 3 10

specie arborea da frutto alto fusto uno 4 specie arborea da frutto basso fusto uno specie arborea da frutto alto fusto due 5 specie arborea da frutto basso fusto due specie arborea da frutto alto fusto tre 6 specie arborea da frutto basso fusto tre piante erbacee 11 piante da radice 12 piante da copertura 13 piante aromatiche

GRAFICO 25_Progettazione del forest garden.

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7 8 9 14

specie arbustiva uno specie arbustiva due specie arbustiva tre piante rampicanti


IL PROGETTO

_Orti e forest garden Progettare un orto, con annesso un forest garden significa lavorare seguendo i principi della permacultura. Il forest garden è, infatti, una tipologia di bosco che ha la specifica funzione di produrre generi alimentari mescolando piante perenni ad altre annuali, seguendo i principi degli ecosistemi naturali ricreandone la successione per strati. L’orto, dal canto suo possiede una significato profondo. Certamente a livello superficiale ritroviamo tutti quei concetti di ritorno alla natura, di riappropriazione della propria responsabilità alimentare, nonché la critica ad un sistema massificato. Ma c’è anche dell’altro: attraverso la cura dell’orto si diventa persone in grado di apprendere, attraverso l’esperienza, e replicare quelle sottili dinamiche che collegano eventi e sensazioni attraverso processi di creazione. In maniera un po’ romantica, e con trasporti derivanti dallo “Sturm und Drang”, questa è una delle volontà di questo progetto. All’interno degli orti e del forest garden verranno coltivati ortaggi ed alberi idonei al territorio e tipici della tradizione aquilana. Riuscire a gestire un sistema di questo tipo, per una comunità come quella che si verrebbe a creare è di certo una grandissima sfida, che rivoluzionerebbe diversi atteggiamenti ormai tipici della nostra società, come l’egoismo cumulativo e la prepotenza, ma che all’Aquila non sono mai attecchiti, e per questo motivo proprio L’Aquila ci sembra il luogo adatto per proporre questo tipo di esperienza. La loro gestione sarà affidata ad un organismo facente sempre parte della comunità, ma ogni cittadino potrà parteciparvi, convertendo poi le ore di lavoro spese in buoni da utilizzare all’interno delle attività presenti nel parco; questo sistema consente di responsabilizzare le persone al rispetto di un bene di tutti, che consentirà di ottenere prodotti da rivendere, garantendo un’ulteriore fonte di sostentamento. L’ideatore di questo sistema di coltivazione è stato Eric Toensmeier, animatore del progetto Nuestras Raices, il quale da anni studia e progetta sistemi di produzione che ricreino la caratteristica successione per strati, tipica dei boschi, applicata ad insediamenti umani. La stratificazione tipica è composta seguendo uno schema preciso che prevede, partendo dal versante a ovest: 1° livello – canopia formata da alberi da frutta o semi ad alto fusto (castagni, mandorli, ecc)

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2° livello – alberi da frutta o semi “nani” (albicocchi, pruni, ecc) 3° livello – arbusti e piccoli frutti (mirtilli, olivastro spinoso, ecc) 4° livello – piante erbacee (spinaci, biete, ecc) 5° livello – piante da radice 6° livello – piante da copertura del suolo (fragole) 7° livello – piante rampicanti (viti, leguminose, zucche) Tra una micro zona e l’altra verranno creati dei corridoi di piante aromatiche che accompagneranno nel settore riservato alla coltivazione degli ortaggi più comuni (pomodori, cavoli, carciofi, ecc). I vantaggi di questo sistema, rispetto ad uno che prevede solo la costituzione di orti tradizionali risiede nel fatto che in questi ultimi, ogni anno la terra viene smossa, rigirata, diserbata, disgregando e riducendo in maniera drastica il contenuto di materia organica nel suolo. Cosa che ci costringe, conseguentemente, a periodiche concimazioni per rifornire delle sostanze nutrienti di cui hanno bisogno le piante che coltiveremo. Inoltre la classica coltivazione “a filari” fa sì che, in un dato spazio, vi siano solo radici delle stesse dimensioni e piante dagli stessi fabbisogni nutritivi cosa che può portare ad ulteriori impoverimenti del suolo. Con questo sistema, che prevede l’utilizzo di piante perenni, non sono necessarie continue lavorazioni del suolo; le piante perenni, attraverso i cicli vegetativi estate-inverno cedono continuamente materia organica al suolo contribuendo attivamente alla sua creazione. Letteralmente le perenni producono suolo attraverso i propri “detriti”. Nelle loro radici i microorganismi, che in ambiente naturale sono parte fondamentale dei cicli di fertilità, possono trovare sicuro rifugio anche in periodi difficili di freddo intenso o di siccità prolungata mantenendo a lungo correttamente areato il suolo, e disponibili, là dove maggiormente servono, buona parte dei micronutrienti. Sempre nel suolo intorno alle radici non disturbate da lavorazioni possono crearsi stabili legami simbiotici con batteri azotofissatori (come nel caso delle leguminose) o con ife fungine come le micorrize arbuscolari, vere e proprie reti neurali sotterranee in grado di spostare enormi quantità di nutrienti a favore delle piante ospiti. Questo sistema comporta uno stravolgimento dell’orto classico: siamo abituati a pensare all’orto come a qualcosa che dura un paio di stagioni in cui le perenni (normalmente carciofi, a volte asparagi) sono relegate in un punto remoto, ai confini del sistema. In realtà le perenni edibili sono moltissime ed ognuna, oltre a fornire abbondanti scorte alimentari, è in grado di svolgere funzioni essenziali per la salute ed il corretto sviluppo delle piante limitrofe. La vera sfida è riuscire ad individuarle e procurarsi il materiale per la propagazione. Esistono, in rete, enormi database sulle perenni spontanee ed i loro vari utilizzi alimentari e erboristici. Uno dei migliori è quello del progetto “Plant For a Future”, organizzazione non governativa basata in Inghilterra che da anni raccoglie informazioni sui vari usi delle specie botaniche “coltivabili” dei climi temperati e non. Infatti anche molte specie esotiche possono essere ottimi “tasselli” nella realizzazione di un orto perenne. Si pensi a piante come l’Ibisco (Hibiscus syriacus), l’Igname, il Platano (Musa acuminata), il Taro (Colocasia esculenta) o il Loto, in grado, con le dovute accortezze, di dare frutti per moltissimi anni anche alle nostre latitudini.

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IL PROGETTO

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barriera boscata

bosco ambientale

Alloro Bosso Carpino bianco Carpino nero farnia frassino Lentaggine pioppo cipressino piracanta robinia tiglio viburno lantana

Acero campestre Alloro Carpino comune castagno farnia ginepro olmo campestre palla di neve rovere salicone sorbo degli ucc.

bosco urbano

produzione biomassa

specie arboree accessorie biomassa essenza da legno

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Acero campestre Acero negundo Agrifoglio Alloro Betulla Carpino bianco ciavardello ciliegio crespino gelsomino Lentaggine ligustro palla di neve pioppo tremulo piracanta platano robinia rosa canina rose rampicanti tiglio Betulla Carpino comune ontano salice

specie arbustive esemplari

bosco di latifoglie

bosco di conifere

Alloro farnia olmo campestre pioppo bianco robinia rovere salicone sambuco tiglio ulivo

Abete rosso Betulla gelsomino ginepro pino silvestre rovere

specie rampicante o lianosa

forest garden

siepe arborea

Acero negundo Alloro castagno ciliegio gelsomino Melo Melograno Mirtillo nespolo nocciolo rose rampicanti sorbo degli ucc. ulivo

Acero negundo Agrifoglio Carpino bianco ontano palla di neve pioppo cipressino rosa canina sorbo degli ucc.


Abete rosso Acero campestre Acero negundo Agrifoglio Alloro Betulla Bosso Carpino comune Carpino bianco Carpino nero castagno ciavardello ciliegio crespino farnia frassino gelsomino ginepro Lentaggine ligustro Melo Melograno Mirtillo nespolo nocciolo olmo campestre ontano palla di neve pino silvestre pioppo bianco pioppo cipressino pioppo tremulo piracanta platano robinia rosa canina rose rampicanti rovere salice salicone sambuco sorbo degli ucc. tiglio ulivo viburno lantana

IL PRO PROGETTO

GRAFICO 26_Studio delle evoluzioni cromatiche nel corso delle stagioni.

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IL PROGETTO

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sistema dei percorsi a cura di alessandro frigerio

TAV. 9_Inquadramento dei percorsi progettati all’interno dell’area.

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Nell’ambito della progettazione di un parco il sistema dei percorsi costituisce un elemento di primaria importanza. Considerata la sua funzione primaria, ovvero quella di collegamento tra i vari punti dell’area e tra queste e l’esterno, risulta evidente quanto importante sia prestare grande attenzione alla progettazione del suddetto sistema. Ci sono delle caratteristiche di grande importanza da tenere a mente, e dalle quali partire nella definizione dello sviluppo dei percorsi, che siano essi all’interno di uno spazio verde o di un centro storico fa poca differenza, e dei materiali da utilizzare per la loro realizzazione. Importante è considerare ad esempio l’eventuale passaggio di mezzi di trasporto leggeri o pesanti, oltre a quello dei pedoni, perché questo condizionerà certamente le scelte progettuali. Altra considerazione va fatta sul territorio nel quale si andrà ad agire e sulle condizioni climatiche presenti in esso durante l’anno: ad esempio in una città con un alto tasso di precipitazioni, dovendo progettare un percorso pedonale e carraio, non userò certamente un lastricato levigato. Lo studio del territorio ci può fornire dati utili in questo senso, perché ci offre la possibilità di guardare cosa è stato fatto in passato per risolvere lo stesso problema in condizioni simili, valutare i pregi delle soluzioni adottate e capirne i difetti. Nel progetto del “Nuovo Centro”, la gerarchia di percorsi si produce in una distinzione di carattere dimensionale, formale e concettuale. La loro progettazione si fonda sull’osservazione dell’orografia del terreno, tenendo presente le curve di livello e quelle che noi abbiamo chiamato linee di forza, ovvero quelle forze tensionali che si generano dalle inclinazioni del suolo.



curve di livello

linee di tensione

GRAFICO 27_Studio e sviluppo dei percorsi.

ristorazione

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attivitĂ commerciali

passeggio

transito ciclistico

corsa

attivitĂ motoria


IL PROGETTO

risultante|percorsi

transito veicolare leggero

strutture sopraelevate

interesse naturalistico

escursionismo

segnaliteica informativa

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TAV. 10_Pianta del percorso principale in pavè.

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IL PROGETTO

_Percorsi principali Saranno tre in tutto, e si snoderanno tagliando la nostra area da nord a sud, collegando di fatto la chiesa al teatro, passando per la piazza centrale, dove si ergerà una torre, fulcro del progetto e cuore attorno al quale partirà lo sviluppo del costruito. Riprendendo le strade principali del centro storico de L’Aquila, questi percorsi saranno costituiti da blocchi in pavè di pietra arenaria locale, proveniente dai monti della Laga, ed avranno una larghezza di 4 metri per consentire un’agevole passeggiata. Lungo di essi sono previsti lampioni in legno prodotti secondo gli stessi principi del resto dei manufatti del parco, così come le sedute, ma l’arredo urbano non è stato oggetto di approfondimento all’interno di questo lavoro. Sarà lungo queste vie che si avrà la possibilità di ricreare quelle caratteristiche sociali che connotavano la vita del centro storico del capoluogo abruzzese: le lunghe passeggiate per i negozi, intervallate da soste obbligate dall’incontro di qualche conoscente, e lo struscio dei ragazzi alla sera. Per questo motivo è molto probabile che si verranno a formare zone di sosta spontanea, non escludendo di poterle attrezzare in un secondo momento con dei servizi accessori, che però, come nel caso dell’arredo urbano, non sono state oggetto della nostra ricerca. La disposizione dei blocchetti di pietra prevedrà una fuga abbastanza grossa tale da consentire una leggera formazione vegetale, coerente con il concetto della progressiva riappropriazione del luogo da parte della natura. Ci sarà poi un percorso trasversale e che costeggerà la piazza principale che rivestirà il ruolo di via di passaggio per i mezzi che trasporteranno i materiali per rifornire le attività del parco. In particolare abbiamo previsto uno spiazzale (o un piazzale?) in cui i mezzi di trasporto pesante scaricheranno il materiale, che verrà poi smistato da mezzi di trasporto più leggeri.

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_Tecniche e materiali I percorsi principali saranno realizzati in blocchi di pietra locali a formare una pavimentazione pavè tipica del centro storico aquilano. Per quanto riguarda la posa, nonostante siano disponibili diverse configurazioni, come quelle a coda di pavone o ad archi sia contrastanti che contrastanti alternati, si è scelto di eseguire una posa che segua l’andamento della strada lasciando una fuga di 2cm per consentire la crescita di vegetazione al suo interno. La posa in opera per pavimentazioni di questo tipo si articola in quattro fasi. La prima riguarda la formazione del sottofondo che è la parte sulla quale poggia la pavimentazione , per cui deve mantenere le proprie caratteristiche fisico-meccaniche inalterate nel tempo. Deve, inoltre, risultare incompressibile e indeformabile. Da questo punto di vista funzionale, la sua conformazione è finalizzata alla costituzione delle pendenze che, nel caso in cui la pavimentazione si trovi all’aperto, consentono lo smaltimento delle acque meteoriche. La scelta del sottofondo viene effettuata in funzione del terreno esistente e del carico che dovrà sopportare la pavimentazione. Due sono le tipologie più ricorrenti: la massicciata e il massetto di calcestruzzo; in questo progetto verrà utilizzata la prima. La massicciata è un riporto di ghiaia compatta dello spessore di almeno 30cm, costituita da ghiaione di dimensioni maggiori a contatto con il terreno e completata nella parte più alta con materiale ghiaioso di granulometria minore per ottenere un efficace intasamento superficiale. La seconda fase consiste nell’allettamento, ovvero la preparazione del letto di posa della pavimentazione; posto al di sopra del sottofondo, può essere realizzato di due tipologie differenti a seconda che la pavimentazione sia interna o esterna. Nel caso di pavimentazioni esterne il sistema di allettamento qualitativamente migliore è costituito da granelli di pietra frantumata di forma poliedrica e dal diametro variabile tra i 3 e i 5 mm. In questo modo, oltre a dare grande stabilità al pavimento dopo la battitura, si conferisce un effetto drenante in presenza di acqua sia durante che dopo la posa; il suo spessore, considerando che per effetto delle operazioni di posa (bagnatura e battitura), subirà una riduzione di circa 2 cm, dovrà essere di 8 cm per arrivare ai 6 cm necessari allo stato finale. A posa ultimata, utilizzando appositi spazzoloni, la superficie dovrà essere ripulita e tutti gli spazi rimasti tra un elemento e un altro saranno riempiti con sabbia calcarea. Si procederà quindi alla battitura atta a comprimere i singoli pezzi nello strato di allettamento fino alla loro collocazione definitiva e quindi alla perfetta parificazione del piano. Questa fase di lavorazione avviene manualmente, oppure utilizzando un particolare pestello in ferro (mazzeranga). La pavimentazione deve subire almeno due passaggi di battitura, in due direzioni ortogonali tra loro, preceduti da un getto d’acqua controllato, che serve a facilitare il definitivo assestamento della pavimentazione. Nelle pose di sola sabbia, come nel nostro caso, la superficie è annaffiata abbondantemente, dopo aver effettuato un primo passaggio di battitura e prima di procedere con il secondo; in questa fase è ancora possibile porre rimedio ad eventuali difetti e sostituire i pezzi rotti o danneggiati. L’ultima fase di lavorazione riguarda, infine, la sigillatura dei giunti tra gli elementi che viene effettuata possibilmente con materiale legante. Tra i vari sistemi di sigillatura i più frequenti sono: con sabbia, con boiacca cementizia, con bitume a freddo o a caldo o, infine, nel caso di pavimentazioni interne, con boiacca mista a colla. La sigillatura con sabbia, che verrà utilizzata per la pavimentazione all’interno del parco, si ottiene spargendo sulla pavimentazione, dopo la battitura, uno strato di sabbia fine, possibilmente calcarea, cercando di riempire con l’aiuto di spazzoloni, tutti gli interstizi. La sabbia dovrà rimanere stesa per almeno quindici giorni sulla pavimentazione, per consentire il completo intasamento delle fughe, dopo di che si potrà procedere all’asportazione di quella in eccesso. Tale tecnica permette un completo recupero del prodotto utilizzato nel caso di rimozione della pavimentazione per lavori di scavo, ma necessita di una maggiore cura nei lavori di manutenzione poiché la semplice sabbia può essere asportata per effetto del ruscellamento delle acque.

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IL PROGETTO

_Percorsi secondari All’interno dei percorsi principali si innesteranno poi dei percorsi secondari, larghi due metri, realizzati in calcestre. Il loro sviluppo sarà dettato dalla conformazione che assumerà il tessuto formato dalle microarchitetture in legno che ospiteranno servizi e attività commerciali. Tale scelta è motivata dal fatto che questi percorsi dovranno consentire di raggiungere agilmente tutte le attività temporanee presenti, sia agli utenti, pedoni e ciclisti, che ai mezzi di rifornimento di piccola dimensione. _Tecniche e materia Con la previsione di percorsi secondari in calcestre si è voluto richiamare una tipologia di viabilità molto meno cittadina rispetto a quella pensata per i percorsi principali. L’idea di creare dei sentieri si innesta con prepotenza nella tradizione della provincia aquilana collegata alla città molto spesso attraverso strade di campagna. Il calcestre è un materiale sempre più spesso utilizzato in sostituzione della tradizionale ghiaia. Solitamente si ottiene dalla stratificazione di materiali lapidei o sabbiosi. In particolare si stende sul terreno uno strato di materiale stabilizzato di 15 cm, al di sopra del quale si predispone uno strato di finitura di 4 cm; infine viene posato lo strato di calcestre per uno spessore di 3 cm. Il calcestre è un materiale permeabile, fa respirare il terreno e restituisce un gradevole aspetto estetico; inoltre può essere soggetto all’attacco dell’erba in caso di utilizzo non intenso, caratteristica che si inserisce in maniera adeguata e coerente con la nostra intenzione di restituire il parco al controllo della natura successivamente al completo ripristino del centro storico.

TAV. 11_Pianta del percorso secondario in calcestre.

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_Percorsi spontanei Come è facile intuire, questi percorsi non sono progettati, né progettabili, ma ci piaceva comunque l’idea che con il passare del tempo si venissero a creare percorsi segnati dal passaggio delle persone sul prato, nei boschi, a testimonianza del passare del tempo. Non ci sono materiali da scegliere, quindi, ma solo l’istinto e lo spirito di curiosità dell’uomo che lo porta ad avventurarsi al di fuori di ciò che è consueto o stabilito, alla ricerca del nuovo, dell’altro.

TAV. 12_Pianta della pista di atletica.

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_Pista di atletica Ad un certo punto del progetto ci siamo resi conto che mancava qualcosa che collegasse il polo sportivo al resto del progetto, contrassegnandoli, di fatto, come due entità separate. Ciò non era in linea con un progetto che si basa, tra le altre cose, anche sull’integrazione e compenetrazione di spazi e funzioni. Per questo motivo ci è sembrato simpatico, nonché coerente, far proseguire la pista di atletica all’interno del nostro parco, allungandola, seguendo l’orografia del terreno, fino all’estremo opposto dell’area. Per quanto possa sembrare bizzarro e poco funzionale, realizzare una pista che non sia in piano, va ricordato che in realtà il tracciato originario è sviluppato proprio in questo modo, ed è questa la caratteristica che lo rende così interessante agli occhi dei cittadini, che continuano ad utilizzare la struttura nonostante le condizioni di degrado. L’area sportiva sarebbe dovuta essere già stata riqualificata, ma, in ogni caso, esiste già un progetto importante che prevede anche un intervento sulla viabilità con il ripristino del doppio senso di marcia di Viale Corrado IV e l’introduzione di alcune rotonde. Così ci siamo basati su questo progetto considerandolo come stato di fatto visti i tempi di realizzazione che erano stati previsti; così, tornando al progetto del percorso/pista, abbiamo deciso di utilizzare lo stesso colore e lo stesso materiale previsti dal progetto in essere. Con l’introduzione di questo elemento abbiamo, di fatto, proposto una linea di collegamento fra il polo sportivo e l’area del mercato, che potrebbe essere letta però anche come un legame tra passato, presente e futuro. _Tecniche e materiali Il manto della pista di atletica, sintetico, elastico e drenante è composto dalla stratificazione di diversi materiali: il primo, adagiato sul suolo, è composto da una massicciata dallo spessore totale di 25 cm, al di sopra del quale si stende uno strato di stabilizzato fine di 5 cm; prima di posare la gomma antitrauma è necessario predisporre un strato di binder bituminoso dello spessore di 4 cm e un tappetino bituminoso di 2,5 cm. Lo strato finale, di 1,3 cm viene posato in opera senza giunti, è drenante ed è progettato per ottenere un’ adeguato assorbimento degli urti , con


IL PROGETTO

conseguente ottimizzazione del ritorno dell’energia elastica , in modo da conferire una perfetta risposta alle esigenze biomeccaniche dell’atleta. _Passerella in legno Inizialmente avevamo immaginato che quest’ultima tipologia di percorso potesse essere una passerella panoramica organica e rialzata, capace di offrire un secondo punto di vista di quell’area. Ragionandoci meglio ci siamo accorti che forse sarebbe convenuto tornare, letteralmente, con i piedi per terra, così ci siamo abbassati di quota fino ad appoggiarci sul terreno. La passerella conserva in parte il suo intento organico, caldo e naturale, grazie all’utilizzo, per la sua realizzazione, di legno massello di Robinia, essenza calda, durevole e resistente agli agenti atmosferici. In aggiunta, il percorso fa da confine alla zona dedicata al teatro, costituendone anche l’ultimo gradone e proponendosi come riferimento per la creazione di quelli successivi e più vicini al palco. _Tecniche e materiali Il percorso in legno, largo 250 cm è costituito da assi in legno di robinia di formato 4x30 poggiate su listelli di supporto sempre in legno di robinia 7x5 cm; al di sotto di essi verrà steso uno strato di materiale stabilizzato come copertura di una massicciata di 25 cm.

TAV. 13_Pianta del percorso principale in legno.

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cubetti in pietra locale 8/10

massicciata 30cm

allettamento in sabbia 6cm suolo

stabilizzato 15cm

calcestre 3cm

finitura 4cm suolo

stabilizzato 5cm

manto sintetico antitrauma 0,13cm binder bituminoso 4cm

tappeto bituminoso 2,5cm massicciata 25cm suolo

assi in legno di robinia 30x4cm

supporti in legno di robinia 7x5cm

massicciata 25cm FIG. 60_Particolare della stratificazione dei percorsi.

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suolo


IL PROGETTO

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mercato e parco giochi a cura di alessandro frigerio

La nascita e l’evoluzione del mercato ambulante Non è facile individuare un momento preciso in cui il mercato nasce; il lavoro del mercante, in particolare l’ambulante, ci suggerisce che esso sia la prima vera professione del genere umano. Il mercato viene inteso sia come luogo di scambi commerciali, sia come luogo pubblico e sociale; questa doppia anima del mercato risulta evidente analizzando alcuni episodi significativi delle epoche passate. Il primo episodio riguarda l’antica Grecia, dove l’Agorà si specializza come luogo urbano deputato agli scambi; non esistevano degli edifici specifici destinati alla vendita, che avveniva nella piazza, e le attività mercantili coesistevano nello spazio dell’Agorà con attività politiche e religiose. Solo con l’introduzione della stoà, caratterizzata dalla presenza di locali simili a botteghe, si suppone un tipo di vendita in uno spazio coperto, ma in realtà questi locali erano dei magazzini, e il mercante vendeva dal portico della stoà, che diventa prolungamento dello spazio esterno, effettivo luogo della contrattazione. In epoca romana assume invece importanza la singola unità di vendita; la bottega svolge all’interno dei mercati il ruolo di elemento generatore. Nel macellum11 le botteghe si dispongono attorno a una corte interna determinando lo spazio di vendita. Durante l’impero, l’intenzione di riservare al commercio spazi propri è evidente anche per la presenza di alcuni complessi commerciali grandiosi, come i mercati traianei e il mercato a laptis magna: i primi formati da 150 botteghe che generano un’aula (strada) coperta a 2 piani e alcune strade commerciali disposte attorno ad esse; il secondo, costruito sul tipo del macellum, al centro della corte definita da negozi presenta 2 edifici coperti in forma di ottagono dotati di grandi banchi marmorei. Con la crisi dell’impero romano, cui fa seguito il lento decadimento delle strutture urbane, si assiste a un progressivo impoverimento degli spazi deputati agli scambi mercantili12. Nel Medioevo il mercato non ha una collocazione precisa, anche se alcuni spazi interni alla città, denominati broli, vengono riservati al commercio. I broli sono aree recintate, a cui accedono i mercanti e i rivenditori di ogni genere, ma questi luoghi continuano a non possedere nessun carattere

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IL PROGETTO

FIG. 62_Immagine storica della Piazza Duomo con gli edefici delle Cancelle.

FIG. 61_Le cancelle dell’Aquila

architettonico rilevante. Poco alla volta, su queste aree vengono costruiti edifici che accolgono le attività politiche del comune, i broletti, e che spesso offrono riparo ai banchi del mercato, tuttavia le piazze cittadine continuano ad essere luogo privilegiato di scambi e contrattazioni. La piazza principale della città è anche la piazza del mercato, in cui le attività commerciali si affiancano a quelle politiche e sociali; si verifica spesso che edifici come il municipio e la cattedrale diventino per i mercati dei luoghi privilegiati dove esporre la merce, e il piano terreno di molti edifici pubblici, specialmente se porticato, diventi prezioso spazio vendita cui appoggiarsi con i banchi che spesso rimangono fissi nella piazza. Nel Rinascimento il mercato continua a svolgersi nelle piazze, anche se compare in questo periodo un tipo di edificio destinato alla vendita delle merci: la loggia. Sono numerosi gli esempi di logge presenti nelle principali piazze italiane: loggia dei Mercanti del Vasari a Firenze, la loggia cinquecentesca in piazza Banchi a Genova, la loggia dei Mercanti del Vasari ad Arezzo. Pur essendo fabbricati coperti in cui avvenivano gran parte delle contrattazioni, le logge erano ancora edifici del tutto dipendenti dall’intorno, delle sorte di appendici della piazza, dove si svolgevano gran parte delle attività commerciali. Proprio le caratteristiche del tipo edilizio, formato da uno o più portici accostati, permettono una grande permeabilità con l’esterno e sono indice del continuo legame tra piazza e mercato. Tra il XV e il XVII secolo, compaiono le drapperie: questi edifici sono diffusi particolarmente nel nord Europa, e rappresentano il tipico mercato coperto dell’architettura fiamminga. In questi edifici di dimensioni monumentali, talvolta ospitano un tribunale, una prigione o una cappella. Dalla seconda metà del XVII secolo ai primi anni del XIX secolo il mercato diventa un edificio chiuso e indipendente da un intorno quale la piazza. Gli architetti illuministi francesi vedono il mercato come un edificio da progettare e a cui pensare in termini architettonici, esattamente come succedeva per edifici più nobili, a cui era riservata un’attenzione compositiva. Si può notare quindi che attività corporativa e attività commerciale coincidono qui come in moltissime situazioni precedenti: dall’agorà dell’antica Grecia alle piazze medioevali, a testimonianza del fatto che il mercato non ha ancora una sua identità definita all’interno della città, così come l’edificio che lo ospita. Nonostante in Europa ci sia la comparsa di specifici episodi architettonici (limitati a precisa situazioni geografiche ed economiche), il mercato si svolge ancora nelle piazze cittadine sotto portici e logge, ma anche sotto fabbricati mobili come tettoie in legno, che mantengono con la piazza un legame diretto.

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Il ruolo del mercato ambulante Il fenomeno del commercio su aree pubbliche, e in particolare dell’ambulantato, ha registrato negli ultimi 20 anni importanti rinnovamenti normativi ed interpretativi, orientati alla razionalizzazione e alla valorizzazione del mercato inteso come preciso momento economico e come risorsa in grado di conferire vitalità alla scena urbana in virtù del suo potere attrattivo. Oltre a costituire una sorta di eredità culturale della città del passato, esso si confronta infatti, come ogni altra forma di commercio, con problemi di natura economica legati all’accessibilità, all’area d’influenza, alle interazioni con gli altri servizi offerti dalla città. In questo senso la trama urbana di strade e piazze si rivela determinante nel favorirne l’importanza e lo sviluppo. Alcune amministrazioni comunali, infatti, hanno manifestato il loro interesse per il mercato stimolando progetti di riqualificazione delle aree destinate allo svolgimento settimanale del mercato. Va osservato che l’attenzione progettuale si concentra su elementi quali la pedonalizzazione degli spazi proposti ad accogliere i banchi di vendita e la conseguente risoluzione della viabilità automobilistica, nonché delle strutture di parcheggio necessario allo svolgimento e alla fruizione dell’attività commerciale. La scelta, quindi, di inserire il mercato ambulante in aree pedonali risponde alla volontà di rinnovare l’immagine urbana restituendo valore ambientale ai luoghi più degradati e favorendo una maggiore attrattività sociale dello spazio aperto. Più che un intervento fine a sé stesso, il progetto di un’area mercatoria va letto come uno degli strumenti attraverso cui ripensare la città in termini di sicurezza, riconoscibilità e flessibilità. Non solo, l’indispensabile funzione calmieratrice e la capacità si assommare ai vantaggi della piccola distribuzione quelli della grande catena distributiva, fanno del mercato una realtà commerciale del tutto unica. In tale contesto è possibile guardare e toccare la merce, effettuare confronti prima dell’acquisto senza limitazioni, e al tempo stesso accedere alle informazioni sui prodotti grazie al contatto diretto con il venditore. A differenza dei consueti luoghi di vendita, il mercato ha per sede la città, un bene collettivo e

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IL PROGETTO

per questo si presta ad una pratica dello spazio non necessariamente condizionata dall’acquisto o dalla fretta, bensì dalla possibilità dell’incontro e dell’appuntamento non programmato. Questo insieme di elementi può contribuire a spiegare i motivi alla base di un successo consolidato anche in termini di fatturato complessivo. Secondo le stime della FIVA (Federazione Italiana Venditori Ambulanti) il volume di affari del settore ambulante equivale circa al 22% dei consumi commercializzati al dettaglio13. Da sempre il luoghi del commercio hanno garantito quel presidio sociale e quella vitalità connesse allo scambio e alla circolazione di merci e di persone. Anche l’immagine urbana è tradizionalmente connessa ai luoghi dello scambio, siano esse strade o centri commerciali, gallerie o, come in questo caso, mercati. Relativamente alla flessibilità, il tema del mercato offre spunti interessanti: la possibilità di inserire nel tessuto urbano oggetti reversibili, come per esempio le bancarelle mobili degli ambulanti, permette di assecondare le mutevoli esigenze della società e degli eventi. Sembra, in sostanza, che una nuova consapevolezza accompagni le decisioni inerenti al futuro assetto del mercato su aree pubbliche, una realtà purtroppo caratterizzata da fenomeni di congestionamento viabilistico e di degrado.

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Il mercato aquilano Per poter comprendere le caratteristiche connesse a al mercato ambulante può essere utile partire da alcune considerazioni sulla specificità del termine e poi sulla sua generalità. L’espressione mercato, derivante dai termini latini mercatus e mercari (far commercio, trafficare) entrambi accomunati dalla radice merx (merce), indicava il luogo di vendita di uno o più prodotti. In relazione al tipo di merce, si distinsero in seguito mercati speciali (pesce, formaggi, carne e fiori). Secondo questa accezione il termine indica un luogo fisico; esiste tuttavia una interpretazione astratta, svincolata dall’elemento spaziale. Oggi il concetto di mercato prescinde da quello topografico: non si tratta più di un luogo dove si scambiano merci, ma delle persone che sono in rapporto di affari e compiono atti di scambio relativamente a una o più merci. In un solo luogo vi possono essere più mercati e quello stesso luogo può costituire, con altri luoghi lontani, mercato, sempre in relazione alle persone che operano e agli affari che vi si trattano. Questo è molto importante perché ci porta a pensare che alcuni mercati (come quello finanziario) non abbiano più necessità di uno spazio costruito: l’edificio della borsa ha ceduto il passo alla borsa telematica. Ciò che varia a seconda delle interpretazioni è la modalità attraverso cui ogni scambio avviene; a questo proposito si ritorna ad analizzare il caso del mercato ambulante. Sappiamo che questa espressione indica i mercati settimanalmente presenti nelle strade e nelle piazze della città, e più in particolare la modalità di occupare questi spazi secondo l’uso di strutture non fissate permanentemente al suolo e per un periodo di tempo limitato nei giorni stabiliti. Entrando nel merito, il mercato ambulante de L’aquila presenta proprio le caratteristiche sviluppate sopra: è il centro sociale e culturale della città, punto d’incontro degli Aquilani. Prima del terremoto del 2009 era situato in piazza Duomo, chiamata anche piazza del Mercato, la maggiore e la più importante delle piazze dell’Aquila; essa ospita dal 1303 il mercato cittadino. Le sue dimensioni, 140 m sul lato lungo e 70 m su quello corto, per un totale di circa un ettaro d’ampiezza, la rendono una delle piazze più grandi d’Italia. Dopo il sisma, la piazza venne inclusa nella zona rossa per essere riaperta al pubblico (con limitazioni) solo il 21 giugno; è tuttora una delle poche piazze accessibili nel centro storico del capoluogo abruzzese.

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IL PROGETTO

FIG. 64_Mercato in Piazza Duomo.

FIG. 63_Mercato in Piazza Duomo.

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FIG. 65_Mercato in Piazza D’Armi.

FIG. 68_Veduta d’uccello del mercato in Piazza D’Armi. FIG. 67_Mercato in Piazza D’Armi. FIG. 66_Mercato in Piazza D’Armi.

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IL PROGETTO

Guardando alla storia aquilana (ma anche generale), la parola e il concetto di mercato rimanda all’economia curtense medioevale in cui l’unico momento di scambio era segnato dal mercato settimanale tenuto in prossimità del castello. Il mercato de L’Aquila è un tipo di mercato fortemente caratterizzato dalla mobilità: la parola ambulante richiama tanto lo spostarsi degli operatori quanto la conseguente temporaneità delle strutture utilizzate. La necessità di progettare ed edificare un luogo per questo tipo di commercio era stata presa in considerazione nel 1870, con l’Amministrazione Chiarizia, che aveva proposto la costruzione di un mercato coperto nella parte bassa della piazza Duomo, proposta inserita in una “serie di iniziative tendenti a rivitalizzare l’economia territoriale e cittadina, che si concretano nella previsione di uffici pubblici e attrezzature per la collettività da costruire nella piazza”. Dopo aver analizzato l’area, selezionato il fabbricato detto “delle Cancelle” e proclamato il vincitore del concorso indetto dall’Amministrazione comunale, il progetto non venne realizzato, ipoteticamente perchè la Chiesa non approvava l’ubicazione del mercato nella piazza Duomo e più precisamente “all’angolo con la via dell’Arcivescovado, proprio di fronte alla sede arcivescovile”; al suo posto verrà costruito il Palazzo delle Poste. Successivamente, nel 1951, il mercato coperto, viene riproposto dall’ing. Valentini nel “progetto di sistemazione della via Giacomo Matteotti e proposte di piano regolatore delle zone adiacenti”. Dopo l’esproprio e la demolizione di unità immobiliari, quasi tutte le aree furono indicate come sistemabili ad aiuole verdi: ne conseguì un richiamo alla memoria dei vecchi tracciati stradali, ma anche un divieto di costruzione dell’edilizia ad alta densità. Nel 1955, il Genio Civile dell’Aquila redasse “un piano parcellare di retrocessione delle aree di risulta degli espropri sancendo definitivamente l’utilizzazione di quelle superfici a fini edificabili”. Il risultato fu una continua e spropositata costruzione edilizia strutturale alla logica della classe politica proponendo un effettivo processo di rinnovamento che ebbe però come conseguenza, più che un miglioramento della qualità dell’ambiente, una “devastazione urbana”, sintomo dell’incultura dei personaggi che hanno gestito il potere14. In seguito non vi furono proposte in merito all’ubicazione del mercato che rimase quindi in piazza Duomo, dove, prima del sisma, ospitava 89 posti sistemati secondo la planimetria approvata con Del. C.C. n. 119 del 19/07/1999: gli ambulanti erano distribuiti lungo il perimetro, creando una corte, e nello spazio centrale i posti seguivano una griglia rigida. Successivamente venne approvata un’altra planimetria con Del. C.C. n. 62 del 03/07/2008, la quale presentava una disposizione simile a quella precedente ma con meno posti, 73, e quindi più spazio e ordine all’interno della piazza. Il mercato aquilano non era solo in piazza Duomo, ma era posizionato anche in via Beato Cesidio, dove si svolgeva con una frequenza quotidiana. Inoltre vi erano altri 3 mercati più piccoli disposti nelle frazioni di Paganica, Arischia e Bagno, funzionanti rispettivamente il venerdì (Paganica) ed il sabato (Arischia e Bagno). Dopo il sisma del 6 aprile, come anticipato, la piazza viene inclusa nella zona rossa e quindi resa inagibile, togliendo così agli ambulanti la possibilità di lavorare ed ai cittadini un punto di riferimento. Molti ambulanti sono spariti, altri hanno continuato a svolgere il loro lavoro fermandosi abusivamente su strade della città o di frazioni; nonostante non si abbia un numero preciso, il 6 gennaio 2012 viene fatta la fiera dell’Epifania: quella autorizzata, intorno all’anello del Castello, su via Zara, piazza Duomo e piazza San Bernardino, era solo un aspetto della fiera. L’altra, quella abusiva, era sul corso stretto, sotto i portici, sull’altro ciglio delle strade autorizzate. E’ così che tra regolari e non, la fiera dell’Epifania, che doveva contare 294 bancarelle, ne avrà ospitate almeno il doppio. Questo porta a pensare che molte persone titolari di un’attività commerciale all’interno del centro storico sono diventate a tutti gli effetti ambulanti andando a colmare con banchi improvvisati e merce di ogni tipo il vuoto di un centro che le autorità non avevano ritenuto abbastanza sicuro per poter ospitare la manifestazione. Nonostante l’enorme sviluppo raggiunto da questa forma di commercio, rimane evidente l’aggancio alla tradizione e al passato che il concetto di ambulante porta con sé indicando un modo precario di abitare lo spazio in cui l’atto dello spostamento è inscindibilmente legato ad una flessibilità localizzativa che è ancora oggi l’esistenza dei mercati ambulanti.

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Leggi, normative e altre prescrizioni a L’Aquila Il commercio ambulante, definito come commercio al dettaglio su aree pubbliche, è disciplinato dal D.Lgs. 31.3.1998 n. 114, titolo X, artt. 27-30, meglio noto come Decreto Bersani, che riguarda tutti gli aspetti del commercio al dettaglio. Ciascuna Regione o Provincia autonoma si è dotata poi di una legge regionale o provinciale di attuazione. Il Decreto riguarda in particolar modo le definizioni dell’attività, i modi di accesso e alcune questioni generali. L’art. 27 del D.Lgs. definisce i concetti-base del commercio al dettaglio su area pubblica. L’art.28 invece specifica e disciplina tutte le modalità dell’ attività commerciale in particolare le autorizzazioni, ed i requisiti necessari per l’accesso all’attività. Per ottenere l’autorizzazione amministrativa bisogna essere in possesso dei requisiti morali previsti dall’art. 5 del Decreto e, per il solo settore alimentare, anche dei requisiti professionali (la cosiddetta iscrizione al REC). Ciascuna Regione provvede, nel rispetto della norma nazionale, alla regolamentazione dell’esercizio dell’attività e alla definizione delle procedure e dei criteri di programmazione sulla base delle caratteristiche del territorio. A tal fine le Regioni concertano con gli enti locali, le organizzazioni di consumatori e le associazioni di categoria, le politiche generali di sviluppo del settore. Ai Comuni spetta invece, oltre che il rilascio delle autorizzazioni, l’organizzazione dell’attività ed il suo controllo attraverso un regolamento che determina i posteggi, le metrature, gli orari, i divieti di esercizio ed ogni altro aspetto pratico. Per quanto riguarda la città de L’Aquila vige il Regolamento Comunale per l’esercizio del Commercio su Aree Pubbliche approvato con Del. n. 62 del 03/07/2008. Questo regolamento è diviso in otto parti atte a disciplinare “le condizioni e le modalità di esercizio del commercio su aree pubbliche nel territorio comunale, le norme di svolgimento dei mercati e fiere ed eventi su aree pubbliche nonché le procedure e i criteri relativi all’assegnazione dei posteggi e al rilascio

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IL PROGETTO

delle autorizzazioni amministrative”15. Le prima parte (capo I) pone la definizione di mercato, fiera, mercatino specializzato, settore merceologico e tipologia merceologica, fino all’ “individuazione, delimitazione e qualifica delle aree” collocandole secondo le norme urbanistiche del Comune. Il capo II prevede disposizioni sulle autorizzazioni amministrative e concessioni di posteggio, per la quale “si intende il documento strettamente connesso con l’autorizzazione, rilasciato dal Comune, che consente l’utilizzo di un posteggio dei mercati e nel territorio comunale, mediante l’individuazione esatta della sua localizzazione, della superficie concessa e dei giorni autorizzati”. Vige inoltre un sistema di punteggio utilizzabile per le graduatorie delle concessioni di posteggio e viene dato 1 punto per ogni giornata-presenza di mercato o fiera nella quale l’operatore ha effettivamente svolto l’attività di vendita. I capi successivi regolano le modalità di svolgimento dei mercati definendo gli orari e i giorni di vendita, individuando le aree per i mercati stagionali e specializzati, le norme generali del commercio in forma itinerante inserendo le aree interdette “per motivi di traffico, viabilità, ordine igienico sanitario e di tutela del pregio ambientale e architettonico”, le disposizioni concernenti le fiere, indicando norme per la domanda di partecipazione e rilascio dell’autorizzazione, e disposizioni legate alle normative igieniche, la vendita dei prodotti usati, la vendita a domicilio e norme per i mercati di piazza Duomo, Paganica e Arischia. Gli ultimi due capi riguardano i divieti che i venditori ambulanti devono rispettare, le sanzioni previste, e i documenti allegati riguardanti le planimetrie delle aree mercato.

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Il nuovo mercato a L’Aquila

TAV. 14_Inquadramento del mercato e del parco giochi progettati all’interno dell’area.

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Molto si è dibattuto sulla posizione e sullo spazio che avrebbe dovuto occupare il mercato, e l’approvazione del masterplan dell’architetto Mario Cucinella, presentato il 10 settembre 2010 sull’area di piazza d’Armi, ha portato una possibilità di ridare vita al mercato, di rivedere un nuovo centro economico ma soprattutto sociale, un luogo dove gli Aquilani potranno tornare ed incontrarsi in attesa di riconquistare il loro centro storico. Il 13 giugno 2012 viene inaugurata l’area, definita dal Presidente della FIVA Confcommercio Alberto Capretti “non un traguardo ma un punto di partenza; quello di oggi è il primo tassello, i lavori dei nuovi parcheggi, la viabilità che presto sarà adeguata”. Il progetto di questa tesi propone l’inserimento del mercato nell’area di piazza d’Armi: l’intento è di ripartire da ciò che già c’è nell’area e da ciò che questa, la partecipazione degli aquilani e il territorio propongono; è facile comprendere che ci sono abitudini e tradizioni consolidate da secoli e quindi indelebili nella storia della memoria collettiva. Basandosi sullo stato di fatto dell’area, si va a riprendere l’andamento del terreno su cui è posto; seguendo così le curve di livello, l’area si sviluppa a ridosso di via Ugo Piccinini, dove vi è l’accesso, per un totale di circa 12250 m2. Per poter rendere l’area utilizzabile sono stati creati 2 gradoni alti 2 m, sopperendo al leggero dislivello della zona interessata. Si creano quindi 2 livelli, aventi ognuno un accesso carraio per gli ambulanti e pedonale per i visitatori, e collegati da 2 rampe con pendenza non superiore al 5 %, secondo la normativa vigente per i disabili, e da gradoni di legno posti al centro come luogo per la sosta e il riposo. Gli stalli degli ambulanti seguono il perimetro dell’area andando a distribuirsi in modo apparentemente casuale: in realtà si vuole riprendere il concetto di corte, senza però dare una distinzione e divisione netta delle varie tipologie di merci che vi sono in genere nel mercato. Nel regolamento comunale della città l’assegnazione del posteggio avviene successivamente alla presentazione da parte dell’ambulante della domanda di autorizzazione contenente una serie



GRAFICO 28_Distinzione tra il mercato e il parco ludico.

parco ludico mercato

piazza d’armi

via beato cesidio (aq)

piazza Duomo prima del sisma

oggi

progetto

GRAFICO 29_Disposizione del mercato.

di dati tra cui “l’indicazione del settore o dei settori merceologici richiesti” e “gli estremi di identificazione del posteggio richiesto qualora il richiedente intenda svolgere l’attività su mercati o fiere”; l’assegnazione avviene per anzianità, ossia chi ha maturato più anni di esperienza nel settore ambulante, ottiene un posto migliore rispetto a chi è da poco tempo nel mondo del commercio su aree pubbliche. Il progetto prevede l’inserimento di 130 stalli, come richiesti dal Comune e dal FIVA, di cui 100 per gli ambulanti e 30 per coltivatori diretti. La grandezza degli stalli è diversa e si basa sulle richieste fatte dai singoli ambulanti : 80 stalli da 5 m x 8 m, 16 stalli da 4 m x 5 m, 4 stalli da 5 m x 10 m e 30 stalli da 1 m x 2 m (3780 m2); ogni stallo è progettato per l’affaccio sulla parte più lunga e in modo da poter garantire il facile ingresso e parcheggio su di esso. In un mercato sono poi necessari alcuni impianti fondamentali per il suo funzionamento e per la sua crescita commerciale ed igienica. Tra i primi impianti che verranno installati vi è quello elettrico, per l’illuminazione del mercato e l’alimentazione dei furgoni e di qualsiasi altro gruppo elettrogeno necessario agli ambulanti. In genere la necessità di energia elettrica viene soddisfatta da gruppi elettrogeni, che però risultano insopportabilmente numerosi. Fornendo agli ambulanti l’energia elettrica si diminuirebbero il rumore e i costi, si è pensato quindi alla installazione di pozzetti sul pavimento dell’area, uno per piazzola, a cui ogni ambulante si può attaccare. Siccome i consumi sono notevoli, l’ente erogatore chiede di costruire due locali tecnici con apposite apparecchiature: la cabina di trasformazione dell’energia elettrica e il locale contatori. Un altro impianto importante è quello idraulico, che deve rispondere a due esigenze differenti: la distribuzione dell’acqua potabile, con appositi beverini, e la protezione antincendio, con colonnine visibili per la sicurezza e i mezzi di soccorso. Questo tipo di impianto è collegato alla fognatura per evitare ristagni di acqua inquinata nell’area e nei pozzetti di ispezione che contengono apparecchiature elettriche e idrauliche. Sono stati inseriti in aggiunta dei servizi igienici, differenziati per i fruitori del mercato e del parco e per i venditori ambulanti.

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IL PROGETTO

mercato libertà

dialogo socialità

relazione

integrazione

tradizione

curiosità

rapporto diretto con i prodotti

avventura sperimentazione

colore

educazione al rischio

rivitalizzare l’economia

creatività

rapporto inormale

sicurezza

incontro rinascita

rapporto con la natura

riferimento

abilità vitalità

parco ludico GRAFICO 31_Parole chiave.

3,5m

altezza massima della tenda

2,2m altezza minima della tenda

8m

80 stalli 4m x 5m 4 stalli 5m x10m 4m

16 stalli 4m x 5m

30 stalli 1m x2m

5m

5m

GRAFICO 30_Dimensioni e numeri degli stalli del mercato.

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10 5

20

TAV. 15_Pianta del mercato e del parco giochi.

5

2

1


4

3


+0,0 -

TAV. 17_Sezione trasversale per il progetto del mercato.

TAV. 16_Sezionelongitudinale per il progetto del mercato.

Questi impianti garantiscono quindi ordine al mercato ma anche pulizia e sicurezza per i fruitori e i venditori; si è cercato inoltre di assicurare il passaggio, di 4 m, per gli automezzi in tutta l’area, gestendo e studiando scrupolosamente il percorso che ogni singolo automezzo deve percorrere per raggiungere lo stallo assegnato e, viceversa, per raggiungere l’uscita. Essendo l’area molto ampia, il rischio è quello di trovarsi di fronte ad un enorme macchia grigia di asfalto in mezzo al verde del parco, ciò appare evidente in particolare nei giorni di non mercato (pomeriggi e week – end). Il problema viene aggirato prendendo in considerazione i campi coltivati: essi caratterizzano l’intorno della città e della regione abruzzese. Alludendo quindi alla trama di questi, l’area asfaltata viene divisa in piccole parti e colorata con 3 tonalità: azzurro, viola e arancio (ognuna di queste 3 aree identifica un tipo di parco ludico – vedi capitolo successivo) ciascuna con diverse saturazioni. Questo effetto evita il colpo d’occhio forte provocato dalla monocromaticità dell’asfalto, dà una giusta armonia con l’ambiente naturale, allude al campo coltivato e dà ulteriore vivacità ad un ambiente già carico di energia. Gli stalli sono tutti numerati e visibili mediante segnaletica orizzontale bianca. Sono state inserite delle strutture in legno di abete che riprendono il disegno dei puntellamenti utilizzati per il sostegno delle case, ormai caratteristica del centro storico; inoltre alludono al portico, tipico elemento architettonico del mercato ambulante ed elemento caratteristico di Corso Vittorio Emanuele, via importante del centro storico aquilano definita appunto da portici. Queste strutture svolgono, oltre a funzioni estetiche, funzione di sostegno per l’attrezzatura del parco ludico e funzione di copertura per ripararsi da agenti atmosferici. Quando il mercato è assente, lo spazio che si configura è uno

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IL PROGETTO

+4m +2m

spazio colorato e movimentato che ospita un parco giochi con un’area per bambini, un’area per ragazzi, un percorso vita e un’area sportiva. Vivacità, colore, allegria fatta dalla gente e dai rumori spontanei, voci, trattative, richiami di alcuni venditori, varietà dei prodotti, simpatia di un luogo, meno formale e tradizionale rispetto ad una strada o ad un centro commerciale, maggiore libertà di vedere e toccare la merce, un rapporto più diretto ed immediato con i prodotti, una relazione più cordiale e autentica nella trattativa di vendita. Questi sono tra gli elementi fondamentali del mercato ambulante. È un dato che fa riflettere in un contesto come quello attuale, caratterizzato dal polarizzarsi degli interessi economici attorno alle possibilità di espansione della rete commerciale della grande distribuzione. In effetti strutture di questo genere offrono indiscutibili vantaggi e sono altamente concorrenziali rispetto ai negozi tradizionali. Ciò nonostante sembra che anche il commercio su aree pubbliche sia orientato verso la creazione di spazi e servizi maggiormente attrezzati per rispondere ad una utenza più esigente. La decisione di non progettare un mercato coperto a sede fissa sta, innanzitutto, nel voler continuare e accentuare sempre di più questa tradizione, (tenendo conto inoltre che all’Aquila dopo il sisma i commercianti che avevano prima un negozio nel centro storico sono diventati, anche se in maniera abusiva, degli ambulanti a tutti gli effetti), in questo modo si dà la possibilità a tutti di essere parte della rinascita di questa città; inoltre, nell’ottica anche di un possibile ripristino del centro storico, la costruzione di una struttura permanente di grandi dimensioni avrebbe sicuramente portato a un dispendio economico ed energetico non indifferente.

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Il gioco e la necessità degli spazi attrezzati Il gioco è come un dialogo con l’ambiente che trae origine dalle necessità di adattamento dell’individuo; il corpo attraverso il gioco genera integrazione tra individuo e ambiente. Il valore del gioco sta nella ricchezza di relazioni che determina: esplorazione delle cose e degli altri, relazioni, scelte, strategie. La sperimentazione stimola la creatività; la curiosità è la matrice del sapere. Il gioco con gli oggetti produce la conoscenza dell’ambiente; la conoscenza porta alla comprensione. Le azioni con le mani e il corpo portano ad operazioni ripetibili: la manipolazione apre la strada all’impiego ripetuto e quest’ultimo genera abilità. In questa progressiva conquista l’individuo evolve e si forma. Il gioco è un preallenamento delle abilità e delle capacità indispensabili per le situazioni concrete della vita futura. Da qui nasce anche il piacere di superarsi e di possedere la novità. Poter giocare dove si vive è utile alla convivenza. È necessario anche per avere domani adulti responsabili, capaci e autonomi: giocare significa dunque per l’individuo giovane “scuola di vita”16. Oggi i bambini ed i ragazzi hanno bisogno di imparare e sperimentare maggiore autonomia, considerata la presenza, molto spesso ansiosa ed eccessiva, dei genitori e degli insegnanti; essi debbono scoprire la propria abilità manuale e corporea e metterla in relazione con una realtà sempre più automatizzata; debbono saper riconoscere la propria dipendenza dai ritmi naturali, visto il distacco crescente da animali e vegetali per un vivere sempre più urbanizzato; necessitano di campi di gioco, dello scambio e dell’incontro libero, considerato che i tempi scolastici e di apprendimento si sono allungati e che i tempi quotidiani sono frenetici e spesso carichi di solitudine. Se l’attenzione verso l’individuo ed il suo tempo per giocare è sufficientemente corretta, si produrrà una multiforme offerta culturale dove autonomia, creatività, socialità, sensibilità ambientale ed etnica siano obiettivi educativi, culturali, sociali da perseguire. Durante la sua storia l’uomo ha costantemente cercato di creare i migliori strumenti possibili per i sui bisogni ed il suo benessere. Il bambino, a sua volta, cercava in ogni oggetto il giocattolo, cui

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IL PROGETTO

con la fantasia attribuiva molteplici funzioni. Diventando più adulto e abile seguiva i genitori e imitandoli svolgeva i suoi nuovi giochi principalmente in ambiente di lavoro. I giocattoli e luoghi del gioco erano la natura, l’albero, le pietre, il fiume, gli animali. Il bambino esercitava le sue abilità sensoriali e ogni rilievo, impianto e macchinario diventava attrezzo da gioco e da palestra. La ricerca del bambino nel corso della storia è continua e le sue curiosità, le sue imitazioni, le sue sperimentazioni si svolgono e sviluppano negli ambienti dove gli adulti gli consentono di andare e stare. Nei tempi attuali, per i bambini gli spazi di lavoro esplorabili e quelli all’aperto si contraggono sempre più; aumentano invece, nei luoghi chiusi, le seducenti finestre su mondi virtuali, tridimensionali e immateriali proponendo azioni e situazioni attraverso programmi informatici17. Nelle città lo spazio di “tutti” è sempre meno; difficile usare un qualsiasi spazio in gruppo ed in una qualsivoglia forma organizzata senza averne ottenuto preventivamente una autorizzazione: questioni di sicurezza e di organizzazione. In queste città così piene, il più delle volte gli spazi pubblici accessibili non tengono conto della presenza del bambino e della sua propensione all’esplorazione; gli ambienti costruiti e dedicati a bambini e ragazzi hanno unicamente la funzione di istruzione. I centri abitati possono diventare città educative, per la serenità e la richiesta degli stessi genitori, per l’esigenza dei bambini, ragazzi e adolescenti. Gli ambienti destinati ai cittadini più giovani, nella scarsezza di aree fruibili liberamente, assumono valenza educativa.

Progettare un parco giochi La funzione fondamentale di un parco giochi è quella di fornire a bambini e ragazzi spazi verdi e possibilità di esperienze che oggi, in città, sono difficili da svolgere. L’area gioco deve offrire occasioni di socializzazione, responsabilizzazione individuale e di gruppo, invenzione e scoperta, acquisizione di nuove competenze, verifica delle capacità soggettive, stimolo alla creatività. Deve favorire inoltre il giocare insieme, educare gradualmente al rischio ed essere arredata con elementi che stimolino gusto e creatività. Nel progettare un parco giochi bisogna prendere in considerazione due tipologie di progettazione: la progettazione pedagogica e la progettazione del verde. Per quanto riguarda la prima è necessario tenere presente 5 obiettivi educativi che gli spazi all’aperto possono contribuire a raggiungere: L’educazione all’autonomia. Il bambino deve mettersi alla prova, imparare a usare le proprie forze, coordinare i movimenti, ciò favorisce lo sviluppo fisico, stimola la destrezza e il coraggio. Una palestra all’aperto per imparare a muoversi ed a sopravvivere nelle dinamicità dei centri abitati. L’educazione alla socializzazione. Giochi, attrezzature, risorse permettono di instaurare rapporti con altri compagni, con animali e piante; consentono di imparare a vivere in gruppo e imitare, giocando, i ruoli sociali degli adulti; si possono esercitare le prime esperienze di cooperazione, acquisire comportamenti base di prudenza, rispetto, attenzione verso l’ambiente naturale e sociale. L’educazione alla creatività. I bisogni di agire e di imitare gli adulti stimolano a scoprire nuove forme di attività e nuove possibilità d’uso di materiali ed attrezzi, costringono a pensare in sequenze e a progettare soluzioni differenti. Il parco giochi può accogliere un vero e proprio atelier, uno spazio per la comunicazione, sculture d’artista con cui giocare, attrezzerie da utilizzare come grandi scatole di montaggio. L’educazione all’avventura. Realizza il bisogno di sperimentare, di misurarsi con se stesso, di rischiare, fisicamente e psicologicamente. Costituisce l’educazione al rischio che l’adulto deve programmare e guidare per insegnare a ciascuno l’individuazione del limite personale, il riconoscimento del pericolo. Rappresenta l’esercizio alla difficoltà, alla soluzione dei problemi, all’immaginazione, al futuro. L’educazione all’ambiente naturale. Un aspetto considerato sempre più obiettivo primario. Spontanea per ciascun individuo è la spinta verso la natura, indotta dalla nostra società attuale. Si tratta di consentire la scoperta e la conoscenza dell’interazione uomo/ambiente, inserendo

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elementi di flora e fauna in modo adeguato e dialettico. Per quanto riguarda invece la progettazione del verde il concetto più importante è la percezione della natura da parte del fruitore: chiunque entri nel parco giochi deve sentirsi dentro il giardino, immerso in un ambiente protetto dagli elementi di disturbo urbano. La composizione vegetazionale può favorire l’esperienza del vivere giorno per giorno l’evoluzione della natura durante l’arco delle quattro stagioni, ma può anche rispondere a logiche naturalistiche, forestali, estetiche ed educative. Si può procedere scegliendo linee diverse. Quella più adatta al progetto è quella del giardino strutturato, in cui la scelta delle essenze è determinata dal rapporto con le altre strutture che si vanno a scegliere. Gli elementi architettonici, i materiali costruttivi, le forme, i colori sono da cercarsi in funzione delle attività strutturate ipotizzate. Il percorso in entrata rappresenta il primo contatto del bambino e dell’adulto con lo spazio (si pensi dunque a creare un messaggio di accoglienza), nei casi dove la sosta e la frequentazione degli adulti è quotidiana, sono molto utili gruppi di alberi con panchine e attrezzature. Per proteggere i bambini che utilizzano attrezzi gioco di tipo diverso possono inserirsi divisori o elementi d’intervallo vegetali e alberi a chioma alta e ampia per creare ombra e definendo così le zone dei giochi. Importante sarà realizzare movimenti di terra per la composizione di montagnole sagomate con avvallamento, salita dolce di accesso, rampa ripida di accesso e di discesa con eventuale scivolo, arricchite con uno o due alberi a chioma non troppo alta, che ombreggino, arbusti o siepi che creino nascondigli. Un pendio ad arco, concavo, può essere sagomato a gradoni di erba come ulteriore esercizio di risalita.

Requisiti prestazionali Durante la progettazione del parco ludico è necessario tenere presente 2 requisiti fondamentali per soddisfare le esigenze della collettività, questi sono l’accessibilità e la sicurezza. L’accessibilità di un’area verde pubblica è l’insieme delle caratteristiche, organizzative e dimensionali, che consentono una fruizione agevole e sicura avendo diminuito ostacoli, fonti di pericolo e situazioni di disagio. L’accessibilità del verde da parte di tutti è un aspetto generale della qualità della vita e dell’offerta dei servizi al cittadino. Progettare e realizzare un’area anche per i disabili è un’operazione semplice, che non prevede tecnologie particolarmente complicate, ed è realizzabile con costi limitati. L’accessibilità è fatta di piccoli accorgimenti: Accessi ai percorsi interni (parcheggio vicino agli accessi, aperture sufficienti per il passaggio di una carrozzina, pavimentazioni con fondo compatto, liscio, con fughe contenute e pendenza non superiore al 5%) Segnaletica (simboli comprensibili da tutti, corrimano collocati almeno a 90cm da terra, rumori e profumi possono costituire segnali rilevabili e memorizzabili) Aree e punti di sosta (panchine posizionate in parte all’ombra, prevedere panche e tavoli, fonti di acqua potabile posizionate in modo da non costituire ostacolo e facilmente accessibili, pavimentazione antisdrucciolo, portarifiuti, riparo per la pioggia). La progettazione della sicurezza si basa su alcuni aspetti che abbiamo elencato sopra (curiosità e desiderio di esplorazione da parte del bambino e del ragazzo, autonomia, rischio) e può essere l’elemento che più di ogni altra cosa blocca lo sviluppo dei campi da gioco18. Una buona progettazione deve prevedere: Sicurezza degli accessi (zone di entrata e di uscita dagli spazi di gioco vanno studiati in modo da evitare sovrapposizioni con zone ad intenso traffico veicolare) Sicurezza intorno agli attrezzi (intorno ai quali va lasciato libero uno spazio la cui ampiezza è ricavabile dalle schede del produttore) Dislocazione degli attrezzi (posizione degli attrezzi in modo da non dover attraversare aree di sicurezza di altri attrezzi) Barriere di protezione per attrezzi a rischio (ad esempio altalene o scivoli) Pavimentazioni specifiche (pavimentazioni per attutire le cadute) Posizionamento di elementi di arredo urbano (pali dell’illuminazione, cestini, cordoli, panchine, vanno localizzati tenendo conto delle zone di sicurezza, dei percorsi principali ipotizzabili e degli abbagliamenti dovuti al sole)

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IL PROGETTO

Spazi di parcheggio per biciclette e motorini (vicini allo spazio giochi, per scoraggiare l’introduzione di veicoli nelle zone gioco) Accesso ai mezzi di soccorso (possibilità di un rapido e agevole accesso all’interno dell’area per i mezzi di soccorso).

Responsabilità e sistema Nella progettazione di un parco giochi è chiaro che le prime responsabilità sono da attribuirsi al fabbricante degli attrezzi e a chi progetta lo spazio; ma bisogna ricordare che anche chi andrà a usufruire del parco giochi ha una grossa responsabilità: quella di mantenere lo spazio in uno stato ottimale, non arrecare disagi alle altre persone, non provocare rotture selle strutture e rispettare così uno spazio che è di tutti. Tutto questo è necessario per evitare un decadimento dell’area affinchè i fruitori siano tutelati contro i rischi per la loro salute e incolumità fisica. L’imprevedibilità del bambino è nota, tanto che sono frequenti tagli, ferite, fratture causate da cadute, utilizzo dell’attrezzo in età diversa da quella prevista. Vi sono quindi misure di prevenzione per questo; certo l’impedire ai ragazzi di giocare e di sperimentare non è un buon sistema di prevenzione: correre, saltare, lanciare, nascondersi (ecc.) sono tutte aspirazioni naturali spontanee che fanno parte della natura umana. Per garantire un adeguato livello di prevenzione bisogna: scegliere con attenzione le attrezzature di gioco, verificarle nelle loro parti e uso, analizzare la casistica degli incidenti, monitorare periodicamente le strutture, segnalare o rimuovere ciò che si dimostra eccessivamente pericoloso. Considerata la difficoltà che ogni comunità ha di offrire aree e spazi sufficienti al gioco, e di rispondere alle molteplici esigenze educative e alle aspettative sociali, si ritiene opportuno affrontare la questione della costruzione di nuovi parchi gioco o la riorganizzazione delle aree esistenti ragionando per “sistema”. Con questa parola si intende l’insieme delle opportunità ricreative e ludiche di cui un centro abitato è dotato, comprendendo spazi all’aperto e spazi al chiuso; tutte le aree e gli ambienti devono essere valutati e analizzati insieme. Se l’approccio sistemico è condiviso, può essere utile individuare alcuni standard urbani, che consentano di effettuare rilevazioni e conseguentemente pianificazioni degli interventi. - La normativa europea in materia di attrezzature da gioco La pubblicazione in Europa e in Italia delle norme tecniche UNI EN 1176 e UNI EN 1177 rappresenta una vera e propria novità per il settore. In Italia le norme sulle attrezzature per aree da gioco coprono un vuoto normativo che era stato parzialmente colmato con l’utilizzo di una norma tedesca, la DIN 7929, da parte di alcuni fabbricanti. Le normative tecniche relative alla sicurezza dei giochi sono le seguenti: NORMA ITALIANA UNI En 1176: ATTREZZATURE PER AREE GIOCO (Requisiti generali di sicurezza e metodi di prova) NORMA ITALIANA UNI En 1177: RIVESTIMENTI DI SUPERFICI DI AREE DA GIOCO AD ASSORBIMENTO DI IMPATTO (Requisiti di sicurezza e metodi di prova) Le norme sono il recepimento, in lingua italiana, della norma europea En 1176 e En 1177 che assumono lo status di norme nazionali italiane. Le norme sono pubblicate dall’UNI nel Quaderno M17 “Attrezzature per aree da gioco - Requisiti e metodi prova -”, edizione del 1999.

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oscillare salire appoggiarsi centrare dondolare saltare

sedersi scendere arrampicarsi

GRAFICO 32_Azioni principali all’interno del parco giochi.

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appendersi sollevarsi


IL PROGETTO

Da parcheggio a risorsa ludica ed educativa Il progetto del parco giochi parte, oltre che dalle considerazioni precedentemente sviluppate, dal fatto di trovare un modo ulteriore di vivere lo spazio dell’area mercato quando le attività commerciali non ci sono. Il parco giochi quindi entra nel mercato, e viceversa, generando uno spazio ibrido da utilizzare in qualsiasi momento. La zona è suddivisa in diverse aree gioco progettate e accessibili a persone di ogni età e con qualsiasi livello di abilità fisica: le persone con disabilità fisiche o mentali hanno il diritto di partecipare attivamente alla vita della comunità. Si vogliono creare opportunità di gioco e di svolgimento di attività fisica indipendentemente dal livello di abilità del bambino. Si vengono a creare quindi 4 aree distinte: area per bambini, area per ragazzi, area sportiva e percorso vita. Quando si chiede ad un bambino cosa significa per lui il gioco, di solito la risposta è “correre, inseguire, andare in bici e giocare con la palla”. Il concetto di gioco è associato a quelli di attività, amicizia e sfide. Tutti i bambini di solito danno risposte simili, indipendentemente dal loro livello di abilità fisica. Nell’area sono state inserite delle strutture in legno di farnia (selezionato per la maggior durata nel tempo e resistenza agli agenti atmosferici) che hanno lo scopo di identificare le diverse zone e di sostenere i giochi. Le diverse attrezzature utilizzate sono progettate e costruite dalla società HAGS, leader mondiale nelle attrezzature ludiche da esterno per parchi gioco, sport e altri spazi ricreativi. L’utilizzo di simili attrezzature consentono la costruzione di vari componenti stimolanti e divertenti permettendo ai bambini di saltare, arrampicarsi, cadere, scivolare, ruotare e correre al meglio delle loro capacità. Una struttura della HAGS, standard o personalizzata, può essere ampliata in qualsiasi momento, costruita ovunque, adattandola all’ambiente circostante, anziché modificare l’ambiente per accogliere la struttura. La società HAGS garantisce: il montaggio: gli installatori HAGS hanno sviluppato e creato strumenti speciali che

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TAV. 18_Particolaredella pavimentazione del parcogiochi e dell’aggancio a terra dei pali di legno.

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IL PROGETTO

0,05m 0,15m

TAV. 19_Particolare del fissaggio delle travi al palo di legno.

0,05m

palo in legno di farnia (sezione 15x15cm)

bulloni ad espansione in conformitĂ alle istruzioni di montaggio

Pitturazione a base epossidica Massetto armato ( Spess. 10 cm) Strato di livellamento in Cls (spess. medio 5 cm) massicciata (spess. 30 cm)

fondazione in cls

gabbione di macerie

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palo in legno di farnia (sezione 15x15cm)

Pitturazione a base epossidica Massetto armato (Spess. 10 cm) Strato di livellamento in Cls (spess. medio 5 cm) massicciata (spess. 30 cm)

fondazione in cEMENTO GETTATO IN OPER

TAV. 20_Particolare della pavimentazione del parcogiochi e dell’aggancio a terra dei pali di legno.

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IL PROGETTO

RA

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TAV. 21_Vista prospettica dell’area per ragazzi.

TAV. 22_Vista prospettica dell’area per i bambini.

TAV. 23_Vista prospettica dello skatepark.

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IL PROGETTO

semplificano le procedure di montaggio. Questo agevola la messa in opera dei parchi giochi e riduce il tempo impiegato per le attività di montaggio, il che, a sua volta, si traduce in un risparmio economico. Inoltre conoscono bene l’importanza del corretto montaggio in conformità alle istruzioni di assemblaggio. Si attengono alle disposizioni dello standard europeo SS-EN 1176 su cui è basata la certificazione; la manutenzione: è essenziale che le attrezzature da gioco siano state installate conformemente alle istruzioni HAGS e che vengano sottoposte a regolari interventi di assistenza, manutenzione, ispezione per garantirne la sicurezza e il funzionamento corretto; il funzionamento e la responsabilità della proprietà: i proprietari o le persone responsabili del funzionamento delle attrezzature da gioco sono tenuti a garantire il rispetto della programmazione degli interventi di assistenza, manutenzione e ispezione e delle relative procedure. Qualora un’attrezzatura presenti difetti che potrebbero provocare lesioni personali agli utenti, l’attrezzatura deve essere resa inaccessibile al pubblico finché il problema non è stato risolto. Un parco giochi per tutti diventa il punto d’incontro naturale per i bambini e i loro genitori. Durante la progettazione sono stati considerati diversi punti: L’area si trova a ridosso del parcheggio e della strada: questo comporta rumore e poca sicurezza per i fruitori della zona. Proprio per questo le 2 aree per ragazzi e bambini sono state posizionate quasi al centro di tutta l’area di progetto di piazza d’Armi, tra l’area mercato e il borgo. I bambini su sedia a rotelle possono accedere alle strutture chiuse e alle costruzioni presenti nel parco giochi. Sono presenti superfici compatte per offrire ai bambini e agli adulti a mobilità ridotta un accesso completo o parziale al parco giochi. L’impiego di pavimentazione antitrauma in gomma riciclata gettata in opera nelle aree occupate dalle attrezzature ludiche permette di creare una superficie stabile e consente ai bambini di camminare, correre, cadere e rotolarsi a terra tutti insieme nel parco giochi. Contrasti di colori della pavimentazione agevolano l’orientamento dei bambini all’interno dell’ambiente di gioco e per l’identificazione delle diverse aree progettate. Gli scivoli sono installati su collinette e pendii naturali già presenti nel parco allo stato di fatto in quanto il terreno presenta un leggero dislivello. I 2 gradoni creati per garantire il piano per il mercato consentono la creazione di queste collinette verdi (con una base in gabbioni metallici di macerie e ricoperti da terra e prato). È prevista la presenza di 3 tettoie e di alberi per ripararsi dal sole e dalla pioggia. All’interno dell’intera area vi sono dei servizi igienici per i fruitori dello spazio mercato/ parco giochi e del parco. Oltre alle attrezzature ludiche, nel parco giochi sono presenti aree accoglienti con panchine e tavoli in cui gli adulti e i bambini, con o senza disabilità, possono sedersi e rilassarsi. I cestini per i rifiuti sono un altro elemento importantissimo.

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IL PROGETTO

il laboratorio

a cura di emilio lonardo

L’uomo dell’antichità, fino all’inizio dell’era industriale, ha sempre costruito i propri edifici con materiali presenti sul territorio. Si è sviluppato così un “savoir-faire” che è stato trasmesso di generazione in generazione. L’avvento del mattone e dei materiali fabbricati in serie come il cemento, hanno però man mano sostituito gli elementi da costruzione tradizionali promettendo maggiore solidità, durevolezza e igiene; lo sviluppo dei trasporti ha contribuito a questo distacco tra la costruzione e il territorio sul quale essa agisce. Con il passare dei secoli e lo sviluppo dell’architettura, il bisogno costruttivo dell’uomo è stato accecato sempre più spesso da due fattori diventati veri e propri pilastri della nostra società: l’avidità speculativa e l’egoistica ricerca della perennità; pensare ad un’ architettura che resista allo svolgersi del tempo in epoca contemporanea nasconde molto spesso il desiderio e la pretesa di sapere conservato il proprio nome e la propria opera per l’eternità, senza curarsi di come e quanto essa possa incidere nella società attuale e in quelle future. Inoltre, la complessità della messa in opera dei materiali moderni, ha fatto nascere una specializzazione nell’arte costruttiva sostituendo di fatto la solidarietà dei villaggi, legati all’utilizzo di materiali locali. Recuperando la cultura dell’utilizzo di materiali locali significa recuperare contemporaneamente il patrimonio territoriale, nonché le tradizioni culturali e sociali, regionali e popolari, dunque quelle consuetudini connesse alla costruzione di nuovi edifici, considerata, un tempo, come attività sociale, e a cui contribuiva l’intera comunità celebrando poi la fine dei lavori con feste che aiutavano a rafforzarne la coesione sociale. Pensando ad un progetto che si muove nell’ottica di ristabilire le dinamiche sociali ed economiche, lavorare con il territorio e creare luoghi identitari, come già espresso in precedenza, ci sembrava giusto che a far partire la costruzione fosse la comunità aquilana. Il progetto per il laboratorio artigianale, quindi, vuole rispondere proprio a questa esigenza. La sua realizzazione inizierà contemporaneamente a quella del mercato e vedrà da subito la partecipazione da parte dei cittadini. L’edificio verrà inizialmente utilizzato anche come luogo di incontro e dibattito in merito al processo decisionale e organizzativo per quanto riguarda la conformazione morfologica del tessuto antropico del parco. Secondo lo schema previsto, esisteranno tre ambienti distinti: uno servirà come laboratorio del

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TAV. 24_Inquadramento del laboratorio progettato allìinterno dell’area.

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legno e del ferro, uno come laboratorio della pietra, mentre il terzo ambiente verrà designato ad ospitare riunioni e lezioni teoriche per chi vorrà iniziare il percorso di apprendimento necessario a potervi lavorare. Oltre alla gestione e alla manutenzione degli elementi del parco, nella nostra idea il laboratorio potrà accettare anche commesse esterne, conseguendo così una autosufficienza dal punto di vista economico. La sua disposizione geografica all’interno dell’area è stata decisa tenendo presenti le normali caratteristiche ed esigenze di un luogo produttivo. Ragionando sull’accessibilità da parte di mezzi pesanti e tenendo conto dell’intensità dei rumori prodotti dai macchinari era necessario che l’edificio fosse isolato dal complesso costituito dalle altre attività del parco. Per queste ragioni si è scelto di posizionare l’edificio sul versante est, dove è presente una zona già livellata e collegata con l’esterno attraverso una via di transito con carreggiata larga 8 metri. Il proseguimento di questa strada, dai noi progettato, consentirà l’accesso a mezzi per il trasporto di materiali che serviranno al laboratorio e alle altre attività. Le implicazioni sociali di un’attività di questo tipo sono molteplici; la partecipazione attiva da parte dei cittadini nella costruzione fisica di ciò che servirà nella nostra idea come punto di partenza per la rinascita della città, consente di ritrovare quella coesione sociale che si è palesata nei primi momenti successivi alla tragedia, quando, uomini, donne, bambini e anziani erano presenti attivamente, anche solo per passare di mano un secchio contenete macerie; questo sentimento, sopito in questi tre anni, emarginato dalle dinamiche di una ricostruzione incosciente di cui si è parlato nei capitoli precedenti, è rimasto vivo nei cuori e nelle parole di tutti i cittadini a cui televisioni e giornali hanno chiesto un parere (loro sì, l’hanno fatto) in merito a quelle che loro reputavano fossero le priorità e le necessità per una rapida ripresa della città. Altro obiettivo della costituzione del laboratorio è quella di offrire un’alternativa formativa ai giovani e a tutte quelle persone rimaste senza lavoro; riappropriarsi della cultura tradizionale del fare, partendo da una solida base come quella presente a L’Aquila e riportarla a livelli di eccellenza, può costituire un ottimo spunto di rilancio economico.



TAV. 25_Pianta laboratorio.

37,19

202

m


25,11 m


TAV. 26_Prospetto per il progetto del laboratorio.

204


IL PROGETTO

prospetto 1

prospetto 2

TAV. 27_Prospetto per il progetto del laboratorio.

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FIG. 69_Spiegazione del sistema costruttivo e dei vari livelli che formano il laboratorio.

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IL PROGETTO

2

laboratorio del legno e del ferro

1

1 22,51m

laboratorio della pietra aula atrio

pianta

37,19m

2

3,95m

5,40m

sezione 1

sezione 2

TAV. 28_Pianta e sezioni del laboratorio.

Sistema costruttivo Legno, terra e paglia, alcuni dei principali materiali appartenenti alla tradizione serviranno per la realizzazione dell’architettura del laboratorio. L’unità è costituita da una struttura in mattoni di terra cruda (adobe) prelevata dal terreno dell’area in seguito ad interventi di sistemazione. Questo sistema costruttivo consente anche a maestranze non specializzate, quindi ai cittadini, di partecipare alla costruzione, accelerandone i tempi di realizzazione. Questo significa lavorare con il territorio e per esso. Al di sopra del basamento in adobe, alto 40 centimetri verranno posizionati dei pannelli di paglia intelaiati in tavole di legno di spessore pari a 49 cm e collegati tra loro grazie a montanti realizzati sempre con la tecnica degli adobe e che arrivano fino a terra; l’intera struttura verrà poi rivestita con un intonaco sempre in terra cruda e paglia per migliorarne le prestazioni. Il manto di copertura sarà costituito da un tetto ventilato realizzato in legno di abete con una conformazione che intende ricordare le falde delle architetture industriali, vista la funzione che l’edificio sarà chiamato ad esercitare. Dal punto di vista tecnico è stato considerato come una trave reticolare semplice, e presenta il corrente superiore risolto attraverso l’utilizzo dei cavi di acciaio. La copertura è provvista di lucernari con esposizione a nord per consentire la corretta illuminazione ed aereazione dei locali; per il suo rivestimento si è pensato di utilizzare, al posto delle classiche tegole, delle scandole in legno di Robinia, essenza molto durevole e resistente alle intemperie. Per quanto riguarda l’inclinazione delle falde abbiamo calcolato una pendenza del 40%, seguendo le attuali disposizioni del comune de L’Aquila.

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FIG. 70_Tecnica per la formazione di mattoni in terra cruda.

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1

riempimento dello stampo in legno con l’impasto

2

essiccamento della terra

3

posizionamento


IL PROGETTO

Tecniche e materiali _Terra cruda in mattoni (Adobe) Decidere di costruire seguendo la tecnica della terra cruda, come già espresso in precedenza, comporta diversi vantaggi, primo dei quali la reperibilità del materiale, presente già sul luogo di costruzione. Ovviamente questa caratteristica influenza anche i costi di approvvigionamento del materiale, che sono quasi nulli. I mattoni in terra cruda sono molto semplici da preparare e non richiedono mano d’opera qualificata: il processo produttivo consiste nel mescolare la terra bagnata con la paglia (che utilizziamo nel nostro caso perché abbondantemente presente sul territorio, ma può essere mescolata anche con sabbia); l’impasto viene successivamente disposto in stampi di legno, livellato e lasciato essiccare al sole. In Europa, l’utilizzo della terra cruda segue due diverse, e a volte parallele, tendenze: una è volta all’autocostruzione e alle sue implicazioni sociali, sottrarsi al mercato, alla prefabbricazione e all’impoverimento degli oggetti che ci circondano, riappropriarsi di una cultura materiale, ed infine recuperare un rapporto diretto e partecipativo con gli spazi in cui viviamo; l’altra tendenza si interessa per lo più di aspetti legati alla caratterizzazione della terra come materiale ecologico. Nel nostro progetto, la scelta della terra cruda segue certamente il primo filone, non tralasciando però il secondo. Per questo motivo ci sembra corretto fare un quadro dell’ecosostenibilità del materiale; la fase di estrazione può essere eseguita a mano, il suo impatto è dunque basso, anche se può essere pericoloso se eseguito su larga scala senza precauzioni; non richiedendo l’utilizzo di macchine e trattamenti complessi durante le fasi di lavorazione e messa in opera non produce scorie e non emana sostanza pericolose, inoltre riesce a regolare il microclima interno e assorbe l’umidità favorendo l’alta qualità degli ambienti e la salute dei fruitori, nonché della struttura, facendone traspirare le pareti. Queste caratteristiche, unite ad una progettazione attenta e consapevole permettono di ridurre notevolmente il consumo energetico per il riscaldamento dell’edificio. Infine la terra, ovviamente, è totalmente riciclabile; inoltre è possibile recuperare gli intonaci, i mattoni e i muri in cattivo stato o demoliti per ricostruirli altrove senza particolari trattamenti inquinanti o passaggi intermedi che comportino un consumo energetico elevato.

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sezione del pannello

pannello semplice

FIG. 71_Pannelli in struttura di legno e interno in paglia.

pannello con vetrina

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IL PROGETTO

_Pannelli in paglia La paglia, utilizzata come materiale da costruzione, garantisce un elevato confort abitativo grazie alle sue proprietà traspiranti e all’efficace potere di isolamento sia termico che acustico. Inoltre è un materiale che, una volta dismesso, può essere reimmesso nell’ambiente. La rilevazione diretta delle risorse locali nel territorio ha evidenziato come il sistema agricolo, prevalentemente cerealicolo, possa risultare una risorsa anche per l’edilizia: la paglia, il cui smaltimento rappresenta un problema, può trasformarsi in materiale prezioso per costruzioni sostenibili, riducendo l’utilizzo di materiali edili tradizionali in favore di quello di risorse locali. I pannelli da noi utilizzati si basano sul sistema di produzione adottato dall’impresa Bristol per il loro prodotto ModCell™. Il sistema ModCell utilizza l’eccellente isolamento termico delle balle di paglia per la costituzione di pannelli di tamponatura prodotti in “Flying Factory” locali. Questo sistema permette di costruire edifici passivi sfruttando materiali rinnovabili prodotti con le risorse locali. Il pannello viene intelaiato in una struttura di legno e alla fine del suo ciclo di vita può essere facilmente riusato o disassemblato. Il ciclo produttivo del cuore del pannello, la paglia, parte dalla fine di vita del ciclo della lavorazione dei cereali, quando i fusti vengono compattati in balle rettangolari. Questo prodotto viene stoccato al coperto e rifinito tagliandone le parti laterali in eccedenza. In questo modo la parte più resistente è pronta per essere montata nel telaio di legno semplicemente appoggiando le balle l’una sull’altra, tenute assieme da fermi in ferro. A questo punto sul pannello verrà steso uno strato di intonaco in terra cruda per mantenerne la traspirabilità. L’impatto ambientale della paglia è nullo e il fine vita di questo materiale può considerare sia il riciclo che la combustione o la gassificazione come biomassa per produrre calore ed energia elettrica. Il telaio dei pannelli sarà costituito in legno di pino silvestre, essenza di facile lavorazione anche in assenza di strumentazioni avanzate. Una volta ultimato il laboratorio, per avviare il ciclo di produzione del legno, si utilizzeranno le risorse boschive di cui si è parlato in precedenza.

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scandole

scandole

perlinato

FIG. 72_Esploso della copertura del laboratorio.

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IL PROGETTO

travatura reticolare

scandole

213


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IL PROGETTO

il borgo

a cura di emilio lonardo

«La società burocratica tende, ormai da tempo, a prendere possesso dello spazio in modo esclusivo: l’urbanistica sembra porsi spesso come mezzo per questa appropriazione. Lo scopo fondamentale di questa disciplina appare così sempre più quello di isolare gli individui nella cellula abitativa familiare, di ridurre le loro possibilità di scelta all’interno di un ridotto numero di comportamenti preordinati, di integrarli in pseudo collettività che, come la fabbrica o la megacasa o il villaggio turistico di vacanza, consentono il loro controllo e la loro manipolazione. Ogni pianificazione urbana si comprende soltanto come campo della pubblicità-propaganda di una società, vale a dire organizzazione della partecipazione a qualcosa a cui è impossibile partecipare». Questa citazione, tratta dalle teorie dell’Internazionale Situazionista, ci sembrano particolarmente adatte a rappresentare ciò che accade nelle nostre città, ed è decisamente conforme a quanto accaduto a L’Aquila in questi primi anni di ricostruzione. Oggigiorno viviamo in luoghi che ci vengono continuamente imposti, senza che sia mai offerta all’individuo la possibilità di sentirsi attore, protagonista di un processo che sembra ormai non riguardarlo più. L’Aquila, nella figura del suo centro storico, era una città perfettamente integrata in questo senso, presentando una struttura, un equilibrio aureo nel quale gli individui si riconoscevano e si identificavano. A tre anni dal sisma quella città non esiste più, se non come fantasma culturale per turisti, se non come ricordo disgregato, un cumulo di macerie per quei cittadini che si sono visti privati del loro contesto non solo fisico-architettonico, ma anche sociale, relazionale, partecipativo. Allora appare legittimo domandarsi quali siano le possibilità per riappropriarsi della città, del suo spazio e di un suo potenziale uso creativo. Per fare questo siamo andati ad approfondire la morfologia delle città storiche, per cercare di intuire quei processi che le hanno portate alla conformazione odierna. Storicamente un aggregato urbano presenta quasi sempre le medesime caratteristiche: un anello esterno che cinge la parte più vecchia e nelle sue immediate vicinanze un’area produttivo agricola poi scomparsa con l’ampliarsi dell’urbanizzazione e spostatasi sempre più esternamente; le piazze, che costituivano il luogo di incontro e socialità ospitando anche i mercati cittadini; i giardini pubblici, di norma posti ad un polo del tessuto cittadino; una strada principale che divide la

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TAV. 29_Inquadramento del borgo progettato all’interno dell’area.

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città, come un fiume ed una torre che ne costituiva l’elemento rappresentativo, quello che oggi chiamiamo Landmark. Inoltre, è possibile suddividere gli elementi che compongono una città in due distinte categorie di emergenze: la prima è quella delle emergenze verticali, a cui appartengono le torri, ma anche le cupole, le facciate degli edifici e i materiali di cui sono costituite; la seconda riguarda le emergenze orizzontali, quindi le piazze, lo svolgimento del tessuto urbano, i materiali del suolo, l’insieme dell’arredo urbano. La qualità di una città non dipende da questi elementi presi singolarmente, ma dall’equilibrio che essi riescono a creare nei loro rapporti reciproci; in questo senso un elemento che contribuisce ampiamente alla generazione e al mantenimento di questi equilibri è proprio il materiale, considerato nel senso più esteso del termine: quello da costruzione e quello impiegato nello sviluppo del particolare; i materiali di una città ci parlano della sua storia, tracciano le direttrici dei trasporti e dei commerci, ci raccontano della geografia del luogo. Lo studio dei materiali di un tessuto urbano può mettere in luce anche un altro elemento, spesso poco considerato: ciò che viene percepito di una città, anche nella parte indicata come storica, è il risultato di una serie di stratificazioni occorse con il passare dei secoli e delle diverse o dominazioni. Così, l’immagine dei centri storici delle città andrebbe riletta definendo le differenti epoche, parlando più propriamente di nucleo medievale, nucleo rinascimentale, barocco, ecc. L’Aquila, ad esempio, presenta all’interno del centro storico chiari elementi di epoca tardo rinascimentale e porta testimonianze della dominazione spagnola, di cui il castello cittadino costituisce l’esempio più lampante, pur essendo di fondazione medievale; in quanto tale anche tutta la sua provincia presenta una struttura urbana tipica di questa epoca, così come, in realtà, tutto l’Abruzzo. Per questo motivo l’impianto insediativo caratteristico della regione è costituito dal borgo, con le case in pietra le une addossate alle altre, i vicoli a saliscendi, le porte in solido legno, le arcate e i passaggi a volta; i borghi erano in origine piccoli aggregati di case caratterizzati da un’economia prevalentemente commerciale e con una periferia a carattere agricolo. Ed è proprio nel lungo arco di secoli dell’“età di mezzo” che la regione ha assunto un aspetto così unico e particolare, che ha saputo conservare, sostanzialmente inalterato, sino ai nostri giorni. Costruiti interamente in pietra viva e malta, gli antichi borghi della montagna e delle aree interne dell’Abruzzo esprimono in maniera così coerente il concetto del costruire, rispettando il territorio ed utilizzando i materiale che esso stesso offre; il risultato ottenuto è incredibile, un perfetto mimetismo fra la pietra nuda delle montagne ed i paesi che sono cresciuti abbarbicati ad esse, che dimostra quanto sia efficace la comunione fra natura e comunità umane dal punto di vista fisico. La struttura urbanistica dei borghi abruzzesi è simile per tutti; nel punto più alto si trova il castello con la sua o le sue torri, poi, scendendo, si trova la piazza, ed intorno ad essa lo sviluppo delle case, raccolte a creare protezione; un mondo a misura d’uomo.



Il progetto del borgo Ispirarci al modello urbanistico del borgo per il progetto insediativo all’interno della nostra area è sembrato quasi un passaggio obbligato. La struttura morfologica che si sviluppa tenendo presente l’orografia del terreno, l’utilizzo di materiali locali, la riconoscibilità formale tipica della tradizione aquilana sono sicuramente caratteristiche che seguono alla perfezione i concetti che volevamo fossero presenti nel nostro progetto e che abbiamo presentato nei capitoli precedenti. La dimensione contenuta degli aggregati, inoltre, ci sembrava ideale da riproporre per la costituzione di una comunità che servisse da volano per il rilancio della città. I borghi, infatti, riuscivano molto spesso ad essere autosufficienti proprio grazie alla loro dimensione ridotta, che consentiva una scarsa circolazione di moneta ed un commercio basato sullo scambio di prodotti e di lavori. L’intento del nostro progetto, però, non è una copia pedissequa della struttura fisica e sociale del borgo, bensì una sua rilettura adattata al contesto situazionale di riferimento; si tratta, in pratica, di fornire soluzioni che si basino sulle esigenze della comunità e delle valenze urbane e territoriali, contribuendo parallelamente al naturale sviluppo del territorio sul quale si va ad intervenire, incentivare l’economia locale, garantire la sostenibilità sociale ed ambientale dell’intervento, proporre soluzioni progettuali reversibili o adattabili al variare delle esigenze nel corso del tempo. E’ importante sottolineare, sulla base di tali premesse, che non è stato possibile prevedere una soluzione spaziale rigida, che avrebbe snaturato l’intero senso dell’intervento. L’idea alla base del progetto, che ricordiamo riguarda la partecipazione attiva da parte della cittadinanza, ci ha portati ad elaborare una proposta che per forza di cose doveva avere una conformazione, ma non comunque definitiva, bensì ipotizzata. In pratica abbiamo immaginato che la proposta presentata potesse essere il frutto di una decisione collettiva, oppure una prima proposta progettuale da sottoporre ad un’assemblea cittadina. Il materiale predominante utilizzato sarà il legno, scelta che può sembrare in contrasto con il concetto di rifarsi all’immagine originale dei borghi costituiti in pietra. A questo proposito ricordiamo quanto detto in precedenza, e cioè che l’utilizzo della

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IL PROGETTO

formazione

espansione

assorbimento|riconversione

GRAFICO 33_Sviluppo del borgo .

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FIG. 73_Scorcio da una via della cittadina di Bugnara.

FIG. 74_Esempio degli elementi del borgo ripresi nel progetto: giardini spontanei.

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IL PROGETTO

spazio privato

spazio pubblico spazio privato

GRAFICO 34_Elementi del borgo ripresi nel progetto: giardini spontanei.

GRAFICO 35_Elementi del borgo ripresi nel progetto: profferli.

pietra nella costruzione dei borghi medievali abruzzesi non era dovuto solamente al bisogno di protezione verso l’esterno, ma derivava anche dal bisogno di mimesi con il territorio circostante. Sorgendo questo “borgo” all’interno di un bosco, quindi, per lo stesso principio, la scelta di utilizzare il legno come materiale principale sembra decisamente coerente. Inoltre, in questa scelta rientrano altri due fattori non trascurabili: l’ovvia necessità di realizzare strutture transitorie, facili da costruire in tempi brevi, e quella, meno ovvia, di ricreare un ambiente permeabile e accessibile, non chiuso e fortificato, decisione criticabile ma giustificata dalla qualità civile della popolazione. Questo concetto, forse utopico, rispecchia, però, ancora una volta la filosofia di progettare per il territorio in cui si va ad agire; in altri luoghi una proposta del genere potrebbe non avere alcun senso. In precedenza abbiamo parlato di rilettura; durante la nostra ricerca ci siamo soffermati in particolar modo sull’analisi di quelli che ci sembravano essere gli elementi ricorrenti nella maggior parte dei borghi presi come esempio (i più caratteristici della regione: Anversa degli Abruzzi, Bugnara, Castel del Monte, Castelli, Città Sant’Angelo, Civitella del Tronto, Guardiagrele, Introdacqua, Navelli, Pacentro, Pescocostanzo, Pettorano sul Gizio, Pietracamela, Rocca San Giovanni, S. Stefano di Sessanio, Scanno, Tagliacozzo, Villalago), unitamente alle caratteristiche peculiari della città de L’Aquila; ne è scaturito un abaco figurativo che ha costituito la base per la progettazione di alcune delle componenti del nostro lavoro: _Giardini spontanei: costituiscono una sorta di diaframma tra lo spazio privato e quello pubblico, essendo un’estensione del primo nel secondo, diventando luogo di sosta e di relazioni pubbliche. Nel nostro progetto sono state previste delle aiuole che costeggino le diverse unità commerciali. _Profferli: ovvero le gradinate in pietra necessari ad arrivare agli ingressi delle abitazioni laddove la pendenza non ne consentiva un posizionamento al livello del terreno. Questi elementi, nel nostro progetto vengono richiamati dai gabbioni di macerie appoggiate ai moduli. Gli stessi gabbioni, anche se di una tipologia a maglia rigida, ne costituiranno anche il basamento, che

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FIG. 75_Scorcio di Castal del monte.

FIG. 76_Esempio degli elementi del borgo ripresi nel progetto: cornici

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IL PROGETTO

FIG. 77_Scorcio da una via della cittadina di Santo Stefano di Sessanio.

FIG. 78_Esempio degli Elementi del borgo ripresi nel progetto: edifici a ponte, cornici e profferli.

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FIG. 79_Scorcio di Pacentro-Foto di Riccardo Condò

FIG. 80_Esempio degli elementi del borgo ripresi nel progetto: edifici a ponte e cornici.

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IL PROGETTO

GRAFICO 36_Elementi del borgo ripresi nel progetto: edifici ponte.

GRAFICO 37_Elementi del borgo ripresi nel progetto: cornici.

avrà la funzione evocativa del passato, che costituisce ideologicamente e materialmente la base su cui costruire il presente ed ovviamente il futuro: infatti, ipotizzando un completo recupero del centro storico, ed una conseguente dismissione dei moduli presenti nell’area, la struttura di base in legno che servirà per poggiarvi il pavimento (e di cui parleremo in maniera più approfondita nel capitolo successivo), potrà essere “attaccata” dalla natura (come gli stessi gabbioni) per formare quella stratificazione di cui si accennava ad inizio del capitolo. _Cornici: moltissime delle porte e delle finestre che si incontrano passeggiando per le vie dei borghi abruzzesi presentano una caratteristica cornice di pietra bianca che dovrebbe essere la locale pietra della Majella. Per essere coerenti con il resto delle costruzioni, per non appesantire troppo la struttura e per facilitare le fasi di assemblaggio delle unità si è deciso, per richiamare questo elemento, di ricorrere ad assi di pioppo di 15 centimetri verniciate di bianco; il legno di pioppo, non avendo una venatura troppo evidente risulta avere un aspetto più uniforme. _Pavimentazione in pavè: I borghi presi in considerazione, così come la città de L’Aquila, presentano strade pavimentate in pavè. Originariamente erano soprattutto le direttrici principali ad esserlo, poi con l’intensificazione del traffico veicolare all’interno dei centri storici, si è passati ad una pavimentazione asfaltata perdendo il fascino delle pavimentazioni tradizionali. _Edifici a ponte: è molto frequente imbattersi in questa tipologia di abitazione che unisce due fabbricati, separati dalla strada, all’altezza del primo o del secondo piano, creando suggestivi passaggi coperti. Nel nostro progetto siamo ricorsi ad una tipologia strutturale non propriamente tipica del territorio me che comunque si inserisse in maniera equilibrata con il contesto. Per questo motivo abbiamo progettato delle strutture in legno che richiamano le strutture nord europee come nel caso delle altane, ovvero le strutture che ospitano i cacciatori durante le battute; in realtà il riferimento più diretto è all’opera dell’artista e architetto italo-svedese Duilio Forte, che costruisce strutture in legno di questo tipo adibendole poi a saune o piccole stanze.

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Per quanto il progetto dello sviluppo dell’edificato debba essere flessibile e deciso in loco, abbiamo comunque deciso di darci dei punti fermi a cui attenerci per la necessità di rappresentare uno sviluppo plausibile ed efficace. In primo luogo abbiamo deciso che le prime unità sorgessero attorno alla piazza creatasi dall’incontro dei percorsi principali. Da qui i moduli verranno disposti seguendo l’andamento di quest’ultimi secondo l’orografia del terreno. Lo sviluppo principale sarà catalizzato dal teatro, che fungerà da antipolo, come accadeva nei borghi a sviluppo lineare, tipologia più elementare e caratteristica delle fasi di espansione delle città antiche, in cui la generatrice (asse centrale), generalmente via di comunicazione di grande importanza, congiungeva un polo (che poteva essere la chiesa o il castello, e nel nostro caso è rappresentato dalla piazza con la torre), e un antipolo, determinando un tessuto gerarchizzato nel quale l’edificato diminuisce allontanandosi dal polo. Lungo quest’asse centrale si svilupperanno le attività commerciali e le strutture a ponte che ospiteranno delle stanze messe a sistema per formare un albergo diffuso. Nella parte destra e più precisamente nel settore delimitato a sud dalla pista di atletica, a nord dal percorso carraio e ad ovest dalla direttrice principale, troverà posto una sorta di piccolo distretto formato da botteghe artigiane. La scelta di posizionare le botteghe tutte insieme deriva dalla maggiore necessità di rifornimento di materiale pesante da parte di queste ultime e dal conseguente bisogno di limitare l’accesso dei mezzi più pesanti in una zona circoscritta dell’area. In aggiunta a questi fattori risulta comunque vantaggioso tenere le attività artigiane vicine tra loro e al laboratorio, in modo da creare una sorta di distretto produttivo. Sul versante opposto, in adiacenza con gli orti ed il forest garden, trovano posto le attività relative alla produzione e alla vendita di prodotti ortofrutticoli; di dimensione ridotta, avranno diretto accesso agli orti e godranno della vicinanza del mercato per creare una continuità con esso. Ne risulta così un masterplan variegato e flessibile, in cui, oltre alle strutture per le attività commerciali e produttive, si vanno a formare anche degli spazi ad uso collettivo necessari a ricreare quelle relazioni in cui spazi commerciali, lavorativi, didattici e ricettivi si integrino ad uno spazio pubblico dotato di un’importante funzione sociale, seguendo l’esempio, appunto, del tipico borgo abruzzese. La configurazione elaborata, propone quindi una serie di luoghi differenziati (percorrenze, aree verdi, luoghi di incontro, luoghi di relax, ecc.) integrati con quelle aree che rimarranno ad uso delle attività commerciali e che in seguito all’eventuale dismissione delle stesse, verranno rifunzionalizzate diventando aiuole o piattaforme polivalenti. Tale versatilità permette una forte adattabilità dell’area nonché una sua facile riprogrammazione in base alle previsioni di durata di esercizio e alle esigenze funzionali del territorio e della comunità. Le tipologie delle strutture che comporranno il “borgo” del nostro progetto saranno quattro, e varieranno in base alla loro funzione. Approfondiremo questo aspetto più nel dettaglio all’interno del capitolo seguente; lo studio dell’apparato aggregativo delle singole unità, e dei relativi accessi, è avvenuto in base a considerazioni di tipo socio-antropologico, ovvero riferimenti storico-culturali rappresentati dai modelli delle “città di fondazione” determinati da una disposizione degli edifici, organizzati secondo tre tipologie di base: “schiera”, “corte-schiera” e “corte”. Gli edifici a “schiera” rappresentano la tipologia più antica dell’impianto urbano delle città storiche, presentano il fronte su strada mostrando il lato corto e sono affiancate in corrispondenza del lato lungo dove accolgono le aree funzionali come elemento distanziatore rispetto alle unità adiacenti. La tipologia “corte-schiera” segue la stessa regola aggregativa della “schiera” tradizionale, ma con la differente disposizione del modulo, che rivolge, in questo caso, la dimensione maggiore sul fronte pubblico. La “corte” presenta, infine, uno spazio scoperto entro il perimetro dell’aggregato, che consente il passaggio di luce ed aria alle unità che vi si affacciano; nella forma più classica si presenta come una serie di edifici racchiusi all’interno di un cortile, luogo di ritrovo, di giochi, o, nel caso delle botteghe, di lavoro.

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IL PROGETTO

schiera

CORTE-SCHIERA

corte

GRAFICO 38_Disposizione dei moduli all’interno dell’area progettata.

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coltivazione e rivendita alimentari

moduli commerciali

botteghe

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IL PROGETTO

coltivazione e rivendita alimentari albergo diffuso

moduli commerciali

botteghe

GRAFICO 39_Tipologie di aggregazione dei moduli.

TAV. 30_Sezione lungo il percorso principale.

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il MODULO

a cura di emilio lonardo

TAV. 31_Inquadramento dei moduli progettati all’interno dell’area.

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Approcciandoci alla progettazione delle unità che verranno utilizzate per ospitare le attività commerciali e produttive, ci siamo basati su alcuni dei criteri presentati precedentemente in questa relazione. Quando ci siamo interrogati sulle caratteristiche che secondo noi avrebbero dovuto avere queste strutture, abbiamo tirato fuori una serie di considerazioni che hanno logicamente influenzato le nostre scelte progettuali. In prima istanza ci siamo preoccupati dell’aspetto storico-formale: volendo, nelle nostre intenzioni, ricreare un tessuto che ricordasse quello dei borghi presenti su tutto il territorio abruzzese, la nostra prima preoccupazione è stata quella di cercare di ricreare delle strutture che, messe a sistema tra loro, richiamassero visivamente gli aggregati di edifici tipici della città e della regione. La superficie che, per quanto estesa rispetto alla scala di progetto su cui solitamente siamo abituati a lavorare, risulta comunque limitata rispetto a quella di un paese, per quanto piccolo esso sia; in più la pendenza limitata dell’area (4%) si discosta molto da quelle dei borghi tipicamente arroccati sulle pendici dei monti. Nonostante questo, però, siamo rimasti fedeli e convinti dell’idea di basarci su un impianto aggregativo di questo tipo, adattandolo all’area di intervento. Agli elementi che ci hanno maggiormente colpiti (presentati nel paragrafo precedente) e che quindi abbiamo deciso di richiamare nel nostro progetto, vanno aggiunte delle considerazioni di carattere funzionale, senza dimenticare le strategie che abbiamo deciso di utilizzare come linee guida per la progettazione. Da questa analisi è scaturita una commistione di caratteristiche tipiche dei borghi abruzzesi con altre di altri luoghi, unitamente ad altre “nuove”, scaturite, cioè, proprio da una rilettura unitaria di una serie di tasselli eterogenei. In pratica le nostre scelte progettuali sono state dettate in primo luogo, appunto, da un’analisi storico-formale dei borghi abruzzesi, tenendo presente che le unità da noi progettate avrebbero dovuto essere costituite da elementi facilmente producibili ed assemblabili, facilmente mantenibili ed eventualmente disassemblabili; in aggiunta, altro requisito fondamentale che ci siamo prefissati, le parti che avrebbero composto le nostre strutture, sarebbero dovute essere ricavate da materiali locali. Ciò che ne risulta è una serie di strutture in legno di altezze diverse e tetto inclinato del 40%, aggregate tra di loro a formare delle configurazioni eterogenee. Certamente una prima


IL PROGETTO

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critica potrebbe derivare dal fatto che i paesi tipici abruzzesi sono costruiti interamente in pietra e non in legno, ma la nostra scelta è motivata da due fattori: il primo, di natura concettuale, si rifà alla tensione mimetica nei confronti della natura da parte delle popolazioni antiche. Sono costruiti in pietra tutti quei borghi che si trovano alle pendici delle montagne; per questo motivo ci sembrava coerente, situando il nostro progetto all’interno di un bosco, costruirlo interamente in legno. Il secondo è giustificato dalla necessita di costruire gli elementi necessari alla realizzazione delle strutture in tempi brevi e con lavorazioni semplici senza tralasciarne, però, la qualità. Il concetto di qualità è imprescindibilmente legato a quello di verità: un progetto è di qualità se resta esattamente ciò che è, se etica ed estetica mantengono un rapporto. Ed è proprio questo il motivo per cui abbiamo deciso di utilizzare il legno lasciato grezzo, nudo ed esposto agli agenti atmosferici; il legno è un materiale vivo, ecologico e rinnovabile, progettato per tornare alla terra per combustione o proprio grazie all’azione degli agenti atmosferici. Purtroppo oggi manca una cultura approfondita sul legno: si sente dire che il legno è sostenibile, bello, caldo, che è un materiale antisismico, senza considerare che le specie legnose sono assai più varie del classico abete ed ognuna ha delle caratteristiche proprie. Alcune scelte effettuate dal punto di vista prestazionale in merito al legno utilizzato non sono le migliori in senso assoluto, ma per noi è risultato più importante utilizzare essenze di legno presenti sul territorio; questo ci è servito per far capire che, ragionando in questo modo, le scelte progettuali possono essere completamente diverse da un luogo ad un altro. Per fare un esempio, nella scelta dei materiali per i pannelli abbiamo utilizzato legno di pioppo per le assi interne e legno di abete per i rivestimenti esterni; lo strato isolante è composto da lana di pecora che ha la caratteristica di trattenere l’umidità regolando il microclima degli ambienti. Il cedro del libano è un’essenza capace di fare il lavoro svolto dalla lana, e quindi in altre regioni del mondo la progettazione di un’eventuale componente di questo tipo può prevedere soluzioni diverse. Parlare di legno in generale è quindi quantomeno semplicistico; se pensiamo di paragonare l’utilizzo della parola a quella di uno dei materiali più usati al mondo, il metallo; conosciamo benissimo la grandissima varietà di metalli esistente, come sappiamo benissimo che il rame ha caratteristiche completamente diverse dall’acciaio. Questo esempio è un aiuto a renderci conto dell’enorme sproporzione tra il peso che oggi diamo a due materiali fondamentali per l’uomo, e ci offre la possibilità di intuire la grande possibilità di evoluzione nell’utilizzo del legno. Ovviamente il nostro progetto non si limita all’utilizzo del legno e di alcune delle sue essenze, ma prevede l’utilizzo anche di altri materiali locali, che costituiscono una grande

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IL PROGETTO

opportunità di sviluppo nell’ambito delle costruzioni sostenibili. Oggi un approccio di questo tipo può sembrare paradossale in quanto la gravità dell’universo del design ha attirato a sé realizzazioni apatiche e spazi virtuali frutto dell’assuefazione dell’uomo nei confronti della tecnologia. E’ obbligatorio precisare che questo non vuole essere un progetto di rifiuto o critica verso l’innovazione tecnologica, che è una risorsa di straordinario valore, bensì un sogno, forse un’utopia, sicuramente una sfida, un tentativo di “contrabbandare” spunti di riflessione che si insinuino nelle crepe dei condizionamenti ideologici e normativi. La maggiore difficoltà di successo risiede nell’accettazione di un tipo di intervento del genere da parte del lettore e di chi dovrebbe partecipare attivamente a questo tipo di lavoro; è molto difficile pensare che in una società in cui regna un sentimento di egoismo e di continua rincorsa all’ultima tendenza non si paventi l’umiliazione del giudizio altrui sull’ apparente povertà del risultato; ma ritengo che una situazione di emergenza, in un territorio particolare come quello aquilano, sia il terreno idoneo per seminare questo tipo di concetto. Questa ricerca pone le basi nel riconoscermi in modelli di riferimento come artigiani, carpentieri, ma anche artisti e progettisti che hanno battuto questa strada prima di me, credendo nel recupero dell’essenzialità del lavoro, del valore dell’esperienza diretta, nel “golpe” alla supremazia del senso della vista. Questo progetto non è un elogio al faida-te, al passatempo considerato come pedissequa imitazione del fare le cose, mero appagamento dell’ego; non vuole nemmeno essere un’affannosa quanto infruttuosa e nostalgica pretesa di risvegliare sentimenti arcadici seguendo i quali ciascuno riesca ad emanciparsi dalla società contemporanea producendo il necessario per il proprio sostentamento; è altro rispetto ad una guerra spartana all’industria, i cui validi strumenti vanno utilizzati ed innovati. E’ piuttosto una semina, una coltivazione dell’attitudine alla ricerca. Per questo motivo credo che questo progetto si trovi a proprio agio se inserito nella categoria dell’autoprogettazione, secondo cui l’operatore, nel ripetere l’atto (di taglio, fissaggio, ecc.) non dovrà essere mentalmente passivo ma, attraverso la possibilità di operare cambiamenti e variazioni, avrà la possibilità di capire le ragioni strutturali del progetto, migliorando la propria capacità di valutazione, attraverso un approccio critico e attento, personale e personalizzato, fattore e fautore di qualcosa che accompagni la sua essenza ed in cui anche l’errore è ammesso, in un processo di esaltazione della bellezza, della varietà e della verità di un risultato finale che non è ottenibile attraverso una produzione di tipo industriale e meccanizzata.

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TAV. 32_Planimetria della dispisizione dei moduli divisi in tipologie.

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Progetto del modulo Considerando il processo di progettazione delle singole unità come un processo partecipativo, in fase metaprogettuale ci è sembrato necessario pensare, dandoci delle regole, ad un sistema facilmente adattabile alle diverse esigenze, che però costituiscono una variabile troppo ampia, e quindi difficile da approfondire. Proprio per questo motivo il sistema dei moduli necessitava di un’estrema flessibilità, oltre a tutte quelle caratteristiche di cui abbiamo discusso in precedenza. Darsi delle regole, dei criteri di base necessari a fare ordine, ci è sembrato un modo valido di procedere, consapevoli del fatto che in un secondo momento, nella fase partecipativa, questi potranno essere cambiati, se non stravolti. La prima cosa che abbiamo voluto fissare è stata la base dimensionale da cui partire. A tal proposito abbiamo preso come dimensione base un quadrato di 99 cm di lato che andasse a richiamare concettualmente il numero così ricorrente nella città; contemporaneamente siamo partiti con la progettazione dei pannelli e, di conseguenza, del loro dimensionamento, raggiungendo uno spessore di 24 cm. A questo punto abbiamo iniziato ad assemblare i quadrati della griglia. Come dimensione minima del modulo abbiamo pensato all’aggregazione di quattro quadrati, a richiamare i quattro quarti della città. Nelle nostre intenzioni concettuali, quindi, ogni unità minima o più unità minime aggregate rappresentano le unità base, che richiamano la città vecchia e che vanno a ricostruirla. Dal punto di vista tecnico abbiamo poi posizionato i pilastri in legno di farnia di sezione 15x15 cm negli angoli del perimetro formato da tanti quadrati della griglia a seconda della grandezza del modulo; i pilastri sono accentrati di 9 cm rispetto al bordo per consentire l’inserimento dei pannelli (che saranno agganciati alla struttura per mezzo di viti strutturali) e posti ad una distanza di 165 cm all’interasse. La copertura sarà costituita da una capriata asimmetrica semplice, quindi mono-falda, inclinata del 40%. La struttura portante sarà costituita da puntoni in legno di abete 5x15 cm fissati alla struttura dei pilastri mediante barre passanti e dadi. Sopra di essi sarà steso uno strato di perline, ovvero delle assi piallate, in questo caso sempre di abete rosso 4x25 cm, con aggancio maschiato; al di sopra di esse verrà posizionato uno

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IL PROGETTO

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GRAFICO 40_Sviluppo della matrice del modulo.

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3,23m

3,91m

1

2

2

1

3,91m pianta

sezione 1

prospetto 1

prospetto 2

TAV. 33_Disegni tecnici del modulo base.


0,5m

4,81m

sezione 2

prospetto 3 scala 1:50


FIG. 81_Vista prospettica del modulo.

strato di isolante in lana di pecora dello spessore di 5 cm intelaiato con morali di legno di sezione 5x5 cm e ricoperto da un’ulteriore strato perlinato, sempre in legno di abete ma questa volta con formato 2,5x25 cm; la stratificazione prosegue appoggiando dei mezzi morali 5x3 sull’assito per consentire la ventilazione del tetto; ancora ad un livello superiore troviamo un ulteriore strato perlinato in legno di abete rosso composto da assi di formato 2,5x4 cm su cui sono apoggiati dei listelli 4x4 cm in abete rosso che serviranno da supporto per lo strato di scandole in Robinia di formato 2,5x36 cm e lunghe 70 cm. I manti di copertura in scandole lignee sono oggi piuttosto rari da trovare in territorio italiano, rappresentando però una tecnica costruttiva antica e un tempo molto diffusa anche nel nostro Paese. Il termine “scandola”, proviene dal latino e significa letteralmente assicelle. Nell’epoca dell’antica Roma già si utilizzavano e ne abbiamo testimonianza grazie ad alcuni scritti di autori quali Vitruvio Pollione e Plinio; le scandole venivano utilizzate anche in Gallia, Portogallo, Spagna e Germania. Ancora oggi in alcune di queste aree europee troviamo tracce diffuse di questa tecnica costruttiva mentre la sua presenza è ancora più cospicua nelle regioni dell’Europa centro settentrionale quali Svezia e Norvegia, ma anche sulla riva del Bosforo, in Turchia e in alcune regioni dell’ex unione sovietica. Anche nell’America del nord, in Canada e negli Stati Uniti, sono presenti numerose coperture in scandole dette “shingles” o “shakes”, a seconda della tecnica di taglio utilizzata per ricavarle dal tronco d’albero originario. In Italia, i tetti coperti da scandole lignee sono ormai piuttosto rari, se non del tutto assenti, e sono stati spesso sostituiti da manti realizzati con elementi in cotto o in lamiera. E’ ancora possibile trovare alcuni esemplari di simili coperture nelle montagne piemontesi, nell’alta Val di Susa, nell’alta Valle Anzasca, nella Val Formazza, in alcune valli lombarde e nella conca di Livigno. Nel resto della nostra penisola le scandole sono oggi molto rare e risultano segnalate in singole e specifiche località: in Toscana, nel Grossetano, in Sardegna, nella Barbagia, in Campania, nella penisola Sorrentina e, infine, in Liguria. Le tecniche costruttive, come i materiali e gli accorgimenti adottati nella realizzazione delle coperture in scandole, variano sensibilmente non solo da regione a regione ma anche da una valle all’altra, all’interno dello stesso territorio provinciale. Per quanto

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IL PROGETTO

riguarda la scelta dell’essenza del legno da utilizzare, tra le fonti di informazione esistono notevoli discordanze: nelle regioni alpine, l’essenza di legno maggiormente utilizzata è il larice o altre essenze resinose, quali il pino o l’abete; in liguria e in Campania troviamo ancora oggi, in quei rari esempi rimasti, scandole in legno di castagno. Negli antichi trattati e nei manuali ottocenteschi, i tipi di legno comunemente indicati come adatti a ricavare scandole erano il rovere, la quercia o il faggio. Noi utilizziamo il legno di Robinia in quanto negli ultimi anni si è evidenziato come questa sia tra le più resistenti essenze europee, essendo paragonabile a molte specie esotiche. La posa delle scandole avviene su strati sovrapposti in maniera sfalsata garantendo così la tenuta all’acqua del manto che, inoltre, ha la caratteristica di gonfiarsi con l’umidità facendo si che le singole scandole si comprimano tra di loro non permettendo all’acqua di filtrare. Secondo alcune testimonianze, le coperture in scandole potevano durare anche più di un secolo nel caso in cui veniva assicurata una manutenzione continua: i singoli elementi, dopo circa 30 anni venivano, infatti, girati, così che la parte esposta agli agenti atmosferici veniva bucata, fornita di cavicchiolo e montata al riparo, sottoposta ad altri due strati di scandole; le scandole eccessivamente deteriorate, inoltre, venivano sostituite con nuovi elementi senza troppe difficoltà. La durata di una copertura in scandole, però, è ovviamente legata al tipo di essenza utilizzata: alcuni studi individuano, ad esempio, un limite pari a 50 anni per scandole in rovere ed uno pari a 10-20 anni per quelle in abete. In passato, nell’ambito di un’economia silvo-pastorale, una tipologia di copertura come quella eseguita in scandole, rispondeva alla perfezione ai requisiti tecnici ed economici richiesti: la materia era facilmente reperibile in loco; la lavorazione, il montaggio e la manutenzione erano agevolmente eseguite dagli abitanti stessi degli edifici, la tenuta all’acqua era garantita in modo apprezzabile. Il legno, inoltre, garantiva una buona resistenza agli effetti del gelo e degli shock termici, consentendo alla copertura di durare più a lungo. Vi sono delle innegabili ragioni di carattere ambientale e tecnologico che ci hanno spinti a progettare il manto di copertura utilizzando il sistema delle scandole: in primo luogo perché dal punto di vista formale si inseriscono naturalmente all’interno di un paesaggio dai contorni boschivi; inoltre, il legno, come accennato, resiste al gelo e agli shock termici meglio di altri materiali.

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FIG. 82_Fachwerk, termine che si usa per definire una geniale e plurisecolare metodologia costruttiva in cui l’edificio è sorretto da una struttura lignea portante, fatta di montanti, travi e puntelli, sapientemente assemblati tra loro.

FIG. 83_Uomini alle prese con la costruzione di una casa con il metodo ballonn frame - Omaha Reservation, Nebraska, 1877 - Photo by William Henry Jackson.

FIG. 84_Blockbau.

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IL PROGETTO

Perché il legno Nonostante non sia un materiale associabile alla tradizione abruzzese ed in generale del nostro Paese (eccezion fatta per le regioni alpine) il legno è un materiale dalle infinite applicazioni, ed è radicato nella cultura del nostro tempo per le sue doti di familiarità, flessibilità di lavorazione e d’uso, compatibilità con altri materiali. In Italia, purtroppo, la formazione di operatori del processo esperti della fase di progettazione è decisamente insufficiente. Nel corso degli studi universitari, pochissime sono le occasioni per misurarsi con le problematiche progettuali relative all’impiego di sistemi costruttivi in legno. E’ pur vero che sistemi come il “fachwerk” o il “baloon frame” e il “platform frame”, come il “block bau” rappresentano modi di costruire a noi culturalmente lontani; non per questo, però, sono modi completamente estranei, non importabili, recuperabili o adattabili. La mancanza di manualistica e di informazione tecnica adeguata hanno spesso scoraggiato generazioni di progettisti all’approccio con questo materiale, preferendo tecnologie più diffuse e documentate. Da un po’ di tempo a questa parte, però, le applicazioni del legno in edilizia sono tornate decisamente in auge. I rischio più grande è che questo interesse sia dovuto ad un filone di tendenza, il che significherebbe un tipo di approccio poco genuino e scarsamente colto. Lo scopo di questa parte di lavoro è quella di fare un quadro sommario sulle possibilità che offre il materiale legno, ponendo l’accento sul fatto che in realtà reputo ancora ampio il bagaglio di conoscenze da acquisire in merito alla progettazione di sistemi costruttivi in legno, materiale che spesso si considera, banalizzando, unico, senza interrogarsi sulle differenze (che sono spesso enormi) tra le diverse essenze o le diverse tecniche costruttive. Ecco quindi che sembrava necessario cercare di insinuare degli spunti di riflessione lasciando poi, a chi vorrà, la possibilità di approfondire partendo dai testi presenti in bibliografia. -Cenni sull’evoluzione storica dell’utilizzo del legno nelle costruzioni Il legno, insieme al fango, alla pietra e ai mattoni crudi, è stato fra i primi materiali utilizzati dall’uomo per la costruzione di architetture stabili, ad incominciare dai sistemi a palafitta. Nondimeno per il suo favorevole rapporto peso/resistenza ha rappresentato la risorsa più indicata per la realizzazione di ambienti di vita confinati in grado di essere facilmente trasportati dalle popolazioni non stanziali: si veda, per esempio, la struttura di elevazione verticale della tenda nera

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freno al vapore perlinato in abete 2,5x25cm isolante in lana di pecora scandole in robinia

barriera al vapore ventilazione tetto

TAV. 34_Particolare del tetto del modulo.

perlinato in abete4x25cm

TAV. 35_Particolare dell’aggancio dei gabbioni alla struttura del modulo di legno.

tassello ad espansione uno ogni metro

barra in acciaio passante su tutta la lunghezza del gabbione

struttura lignea

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IL PROGETTO

dei beduini. Ha costituito per molti secoli l’unico materiale adatto a realizzare strutture portanti orizzontali per la sua leggerezza, resistenza a trazione e disponibilità dimensionale. Fin dall’antichità è stato usato con continuità per tutti i componenti costruttivi, sia portanti sia complementari. Soprattutto per l’edificazione di uno scheletro ligneo autoportante che permetteva di velocizzare sensibilmente le operazioni costruttive, da completare poi con tamponamenti leggeri o pesanti che collaborano all’irrigidimento di tutto il complesso strutturale. Una variante significativa è quella delle piccole costruzioni che utilizzavano uno scheletro portante diffuso. A favore del legno hanno giocato sicuramente: per molte regioni, una diffusa possibilità di approvvigionamento in natura; un’agevole lavorabilità; una spiccata duttilità applicativa; una leggerezza che consente un facile trasporto e un’altrettanto agevole messa in opera, senza risultare limitante per l’ottima resistenza meccanica. Una costruzione in legno, inoltre, a seconda delle condizioni di utilizzo e delle essenze adoperate, può resistere per un tempo decisamente lungo. Il caso delle fondazioni a pali in legno su cui poggia Venezia (fig. 1.13) è emblematico: il fango in cui sono infissi i pali li ha mantenuti integri per millenni. L’ uso dei legno come materiale strutturale ha da sempre dovuto fare però i conti con la sua elevata elasticità. Se per certi versi, come la risposta alle azioni dinamiche, tale caratteristica può rappresentare un punto a favore, per altri versi essa rende problematica la realizzazione di scheletri sufficientemente rigidi; in grado cioè di non pregiudicare la stabilità degli altri componenti edilizi, primi fra tutti quelli delle chiusure verticali e delle partizioni interne. Per ovviarvi si è fatto ricorso, come si vedrà, all’uso di controventi diagonali secondo modalità che differiscono nel tempo e nello spazio. Piuttosto significative sono le soluzioni sviluppate da alcune popolazioni asiatiche, cinesi e giapponesi in particolare. Per evitare che i nodi dei telai lavorassero come una cerniera (in seguito alle rotazioni consentite dall’elasticità del materiale) compromettendo così la rigidità dell’organismo edilizio non controventato da diagonali, esse hanno sviluppato tecniche di potenziamento del nodo in modo da renderlo assimilabile a un incastro rigido. Rispetto agli altri materiali tradizionali impiegati nelle costruzioni, il legno possiede una peculiarità unica: reagisce bene sia a compressione sia a trazione e proprio per questo è stato possibile il suo impiego per gli elementi inflessi. Inizialmente il legno veniva spesso impiegato per la realizzazione di molteplici parti. Oltre che per le strutture di elevazione orizzontale e inclinata (solai e coperture a falde), anche per le chiusure verticali e le partizioni interne. Esempi noti sono certamente le infinite tipologie dei primi ripari a capanna. Nelle zone caratterizzate da una pressoché illimitata disponibilità di materia prima, il tronco e gli apparati ad esso connessi (cascame, corteccia) servivano per realizzare praticamente la quasi totalità del sistema edilizio. Dove, invece, gli alberi non erano così abbondanti, i sistemi di tamponamento e di chiusura superiore vedevano sovente l’introduzione di prodotti complementari quali il fango, paglia o altri elementi vegetali. Un passo importante è rappresentato dalla nascita dei sistemi costruttivi a intelaiatura lignea più o meno diffusa, che trovano l’espressione forse per lungo tempo più matura nell’opus craticium romano. Tecnica questa (con molti archetipi e successive evoluzioni) per la realizzazione delle strutture portanti e al contempo del tamponamento, capace di unire alla rapidità costruttiva del traliccio portante in legno le prestazioni di controllo ambientale e di sicurezza offerte dalle chiusure in terra cruda, in mattoni o in pietra. Suggestive analoghe soluzioni hanno caratterizzato per secoli il centro e nord Europa e continuano a offrire sistemi costruttivi ancor oggi adottati specialmente in ambiente rurale o storicizzato. Il procedimento costruttivo “fachwerk” è stato in grado di segnare l’evoluzione edificatoria di intere regioni con diverse espressioni tecnico-stilistiche. In queste costruzioni con strutture intelaiate a vista, gli elementi diagonali sono inseriti all’interno della maglia ortogonale deformabile per garantire un insieme di elementi triangolari e quindi indeformabili. All’effetto irrigidente definito dalle aste diagonali concorre altresì il successivo tamponamento. Salvo questa eccezione, l’elemento costruttivo in legno lasciato a vista è stato tuttavia quasi sempre sinonimo di costruzione povera o comunque provvisoria. L’architettura di pregio e quella monumentale volute e progettate per durare nei secoli tendevano a limitare l’uso di questo materiale o a proteggerlo, nascondendolo sotto rivestimenti in pietra o a intonaco. Nell’ edilizia storica e nei diversi contesti geografici e socioculturali il processo di lenta, ma progressiva sostituzione di elementi lignei con componenti realizzati da materiali più duraturi è sempre stato evidente. Questi mutamenti, oltre che dettati da ragioni

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0,25m

0,14m

0,14m

TAV. 36_Particolare dell’angolo del modulo.

ventilazione facciata telaio pannello perlinato in farnia

isolante in lana di pecora alloggiamento impianti

perlinato esterno in pioppo

assito esterno in abete rosso TAV. 37_Stratificazione del pannello progettato.

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IL PROGETTO

estetico/morfologiche, tendevano a soddisfare requisiti molto più improcrastinabili come per esempio la resistenza dell’edificato agli incendi che si sviluppavano all’interno di perimetri urbani altamente popolati e quindi compressi (gli incendi di Roma nel 27, 36, 54, 64, 80 e 192 d.C, di Londra nel 798 e 992, di Venezia nel 1106, di Oslo nel 1694, solo per citarne alcuni). Le colonne in legno, che in origine erano presenti nei templi greci, col tempo vengono sostituite con elementi lapidei che però in tutto e per tutto continuano a rappresentare una citazione della struttura originaria e del materiale primigenio: colonne come reinterpretazione del tronco, metope e triglifi a mascherare, ma al tempo stesso a ricordare, la struttura in legno della copertura ecc. Un altro frammento significativo di modificazione è rappresentato dai portici cittadini. In molte città che scoppiavano entro i perimetri delle mura, l’aumento della densità abitativa innescò la consuetudine di aumentare la superficie degli alloggi tramite sporti che iniziavano dal solaio del primo piano, o comunque ad altezza tale da non compromettere la corretta fruizione della sezione stradale a terra. Quando si verificò che gli sporti, sempre più pronunciati, non furono più in grado di essere retti dalle travi aggettanti di solaio e, in una successiva evoluzione, dai puntoni diagonali che fuoriuscivano dalla facciata, si ricorse ai piedritti in legno. Questi poggiavano su basamenti di pietra o mattone che li allontanavano dal pericolo dell’umidità ascendente e dagli urti. Andavano infatti inizialmente a invadere la pubblica via. Il caso di Bologna attorno al ‘200 è emblematico: assieme alla trasformazione da spazio privato su suolo pubblico a spazio pubblico su suolo privato, il portico passò, anche in questo caso sotto la spinta di editti emanati dalle locali autorità, da struttura completamente in legno a struttura con diversi gradi di transizione dovuti a motivi di sicurezza pubblica e di decoro. Dapprima vennero sostituiti i piedritti in legno con colonne in muratura o comunque si rivestirono gli stessi con muratura e intonaci per difenderli dalle intemperie e dal fuoco; nelle nuove costruzioni, invece, il portico, imposto per legge, non poteva più essere sostenuto da telai lignei. Si passò poi a rivestire anche le travi portanti e a controsoffittare l’impalcato di solaio nel sottoportico. Dove la tipologia del palazzo lo consentiva, si impiegarono direttamente archi e volte in muratura al posto dei solai piani. Tornando ai procedimenti costruttivi, una menzione a parte meritano altri edifici che nel passato venivano realizzati nelle regioni del centro e nord Europa e che impiegavano scheletri portanti in legno, connotati da una morfologia di insieme piuttosto complessa. Forme che arricchivano alquanto la percezione dello spazio interno. Tratto distintivo del sistema era da una parte la concezione intrecciata della struttura per un’ottimizzazione delle linee di forza, dall’altra un’estrema perizia nella realizzazione delle connessioni. Non meno interessante risulta l’articolazione in telai dalla morfologia complessa, ma dotati di un elevato grado di serialità: un importante tentativo di “industrializzazione” in nuce del sistema costruttivo. Nelle zone montane o nelle grandi pianure caratterizzate da ampie foreste, soprattutto di conifere per la morfologia adeguata del tronco, si svilupparono da sempre organismi edilizi fondati sulla costituzione di pareti portanti continue preferibilmente sul perimetro esterno, le già citate costruzioni a “blockbau”. Esse venivano realizzate in tronchi sovrapposti a castello e incastrati fra loro con intagli a “mezzo legno” agli angoli dell’edificio, procedendo contemporaneamente sui quattro lati. Presentavano inoltre la particolarità di vedere risolti tutti i sottosistemi della costruzione con l’uso del legno: porte, battenti, finestre, arredo e rivestimenti interni, sia verticali che orizzontali, struttura e sovente manto di copertura, gronde e sistemi di allontanamento delle acque. Le uniche eccezioni erano l’attacco a terra, realizzato con un basamento in pietra ed eventualmente il camino in muratura. Uno dei dettagli esecutivi di maggior interesse è rappresentato dagli irrigidimenti in mezzeria detti “lucchetti”: evitano che i tronchi , per loro naturale irregolarità o per deformazioni occorse nel tempo in seguito a variazioni igrometriche, possano muoversi ed uscire sensibilmente dal piano della parete; sono realizzati con doppio montante e sistema di connessione trasversale a pressione graduale con cunei, oppure con elementi passanti che vengono infilati da un montante continuo. Pur non discostandosi troppo dalla tecnologia originaria che ha continuato e continua tutt’ora in alcune regioni a produrre interessanti risultati, si sono registrate nel tempo numerose varianti tecniche del “block bau”, fino ad alcuni sistemi odierni di prefabbricazione leggera per case in legno a parete portante continua. Fra gli archetipi e questi ultime tipologie costruttive che hanno consentito l’introduzione di un elevato livello di industrializzazione fuori opera con assemblaggio veloce degli elementi

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prefabbricati in opera, si collocano evoluzioni intermedie del sistema, tese a garantire migliori connessioni, a eliminare soluzioni di continuità nella parete, a fornire una superficie interna il più possibile piana e senza asperità. Soprattutto nell’Ottocento, durante la nascita dei nuovi centri urbani nelle grandi colonizzazioni delle zone boschive occidentali del Nord America, alle costruzioni in tronchi, che mostravano un aspetto ed un carattere piuttosto duraturo, ma al tempo stesso grezzo, e che richiedevano un pesante lavoro unitamente ad ingenti quantitativi di materiale, si sostituirono in parte dei veri e propri nuovi brevetti costruttivi. Essi erano caratterizzati da una struttura controventata, cioè da telai in legno chiusi da assiti o, più tardi, da pannelli sempre in legno. Rispondevano alle mutate esigenze del mercato: passare ad un certo livello di industrializzazione per velocizzare le operazioni di posa in opera ed ottimizzare l’uso della materia prima; impiegare unioni facili e veloci (con chiodi), diminuire il numero di operai durante la fase di costruzione, numero che era invece elevato nel caso di movimentazione di grandi e pesanti tronchi. L’introduzione del chiodo industrializzato, e quindi prodotto a bassi costi, contribuì alla fortuna di questi brevetti. I sistemi costruttivi che vennero ideati, i più noti dei quali prendono il nome di sistema “balloon” e sistema a “platform”, si basavano sull’uso di chiodi e di tavole o piccole travi standardizzate. Le sezioni dei profili in legno sono variabili nei diversi periodi e nei diversi contesti. Con l’utilizzo di sole tavole, solitamente in formato 5x10 cm, era possibile realizzare una costruzione a ossatura lignea di tipo diffuso, cioè formata da elementi ravvicinati e di sezione contenuta, unitamente a tutti i diversi elementi costruttivi, sia portanti (pareti, solai, coperture), sia di chiusura e partizione. Laddove una sola tavola si dimostri insufficiente per garantire prestazioni di resistenza o connessioni adeguate, gli elementi vengono accoppiati o triplicati. Tutto il sistema costruttivo è ampiamente codificato e si propone, quindi come un possibile esempio per l’autocostruzione; in effetti il nostro progetto affonda le proprie radici proprio in sistemi costruttivi del genere. Mentre il “baloon frame” adotta montanti continui dal basamento alla copertura e consente, di conseguenza, in virtù della limitata disponibilità dimensionale media delle tavole, la costruzione di edifici al massimo di due piani, nel sistema a “platform” le travi di solaio tendono a realizzare appunto una piattaforma, che interrompe i montanti delle pareti e costituisce ogni volta il piano di appoggio dei montanti del piano successivo. Tale caratteristica permette la realizzazione di edifici multipiano. Circa l’etimologia del termine “baloon frame”, si può dire che essa, in origine, venne affibbiata, con accezione negativa, ad un sistema costruttivo ideato presumibilmente da G.W. Snow a Chicago nel XIX secolo. Questo per sottolineare come, rispetto alle allora correnti metodologie di costruzione, decisamente più massicce, il nuovo brevetto dava vita a organismi edilizi talmente leggeri, che sarebbero volati via come un pallone al primo soffio di vento; ma la storia e la fortuna applicativa del brevetto hanno presto smentito tali affermazioni. Infine, nel corso dei secoli successivi sono state sviluppate una serie di varianti tecnologiche e morfologiche di questi procedimenti originari, varianti che continuano ancora oggi a produrre interessanti risultati. -Scenario sintetico dell’evoluzione del ruolo del legno come materiale da costruzione _Anni ’50: In questo periodo è predominante l’esigenza della ricostruzione postbellica; il legno viene utilizzato ampiamente nella fabbricazione di serramenti come unica alternativa tecnologica, mentre per quanto riguarda solai e coperture cede sempre di più il posto al laterocemento. _Anni ’60: Si registra un’elevata domanda di alloggi, dovuta alla crescente migrazione verso il nord che porta alla realizzazione di interi quartieri attraverso la tecnica della prefabbricazione pesante (pannelli di calcestruzzo); il legno viene escluso definitivamente dal campo strutturale, ma mantiene importanti spazi di azione per quel che riguarda i serramenti. Anche in questo settore però si avvicina una crisi, dovuta alla riluttanza da parte degli artigiani di adeguarsi ai criteri introdotti dalla prefabbricazione. _Anni ’70: I produttori comprendono che, per seguire le innovazioni di progetto e di processo introdotte dai livelli di industrializzazione è necessario confrontarsi con il mercato e con le richieste di prestazioni e di qualità; l’attenzione si sposta sulla riscoperta dei saperi nascosti nelle strutture del passato e riportati alla luce attraverso un processo di analisi e recupero delle stesse. Il legno massiccio, non riuscendo a competere con la forza innovativa di materiali come l’alluminio, l’acciaio e la plastica, inizia ad essere utilizzato in maniere non convenzionali, nascono le fibre, i

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IL PROGETTO

listelli e le prime industrie produttrici di legno lamellare ed MDF. _Anni ’80: Si affaccia la tendenza di sviluppare il settore dell’artigianato e al tempo stesso quello dell’innovazione tecnologica, avvalendosi del supporto di altri materiali laddove il legno risulti carente. _Anni ’90: La casa tende ad impiegare materiali della tradizione, ma dal punto di vista strutturale sistemi portanti come il cemento armato hanno il sopravvento su tutti gli altri. -Aspetti ecologici, economici ed energetici dei manufatti in legno Nella scelta dei materiali da costruzione, la tendenza maggiormente diffusa è quella di convogliare l’attenzione verso il consumo di energia dei componenti edilizi durante la fase di esercizio; questo fattore viene consolidato dalla mancanza di sensibilità condivisa verso quelle logiche di sostenibilità in grado di valutare l’impatto che un materiale è in grado di apportare all’interno del suo stesso ciclo di vita. Il bilancio totale di risorse energetiche a carico di un materiale annovera infatti la fase di estrazione della materia prima, la lavorazione per la trasformazione in prodotto finito o semilavorato, il trasporto, l’utilizzo e la manutenzione e, infine, lo smaltimento o il riciclo. In quest’ottica i prodotti derivati dal legno presentano sicuramente molteplici vantaggi: -I materiali lignei sono prodotti dagli alberi, risorsa rinnovabile naturalmente e, attraverso opportune politiche di gestione forestale, controllabili dall’uomo in maniera sostenibile; -Il legno è un materiale reperibile in natura già allo stato di semilavorato, caratteristica che riduce in modo sostanziale la quantità di energia impiegata per la trasformazione in prodotto finito. Inoltre, gli scarti delle lavorazioni (cortecce, trucioli, cippati) sono facilmente riutilizzabili come risorsa energetica ; -gli alberi sono in grado di assorbire ed immagazzinare l’anidride carbonica presente nell’atmosfera e prodotta dalle attività umane, rilasciando ossigeno; se il materiale è successivamente utilizzato quale combustibile e viene quindi nuovamente introdotto nel ciclo naturale, questo si chiude a bilancio neutro per quanto riguarda la CO2. E’ tuttavia necessario evidenziare che il ciclo di vita del legno presenta alcune voci non trascurabili, valutate attraverso l’analisi del “Life-Cycle of wood framing”, metodo utilizzato per la stima del consumo energetico dall’”estrazione” della materia prima, fino alla dismissione dei manufatti per le costruzioni in carpenteria lignea. Nel bilancio finale sono da considerare, infatti, anche: - gli impatti dovuti al trasporto della materia nelle differenti fasi del ciclo produttivo, di lavorazione e distribuzione, voce particolarmente onerosa dal punto di vista energetico; -i successivi trattamenti preservanti effettuati sia attraverso processi a vapore, sia chimici; -la stagionatura e l’imballaggio; -i processi di lavorazione della materia prima in semilavorati o prodotti finiti, procedure che si avvalgono di macchinari particolarmente energivori; -la fase di costruzione del manufatto in cantiere, per la quale sono impiegati elementi metallici; -la fase di dismissione che comprende la demolizione o lo smontaggio selettivo; in questi casi è possibile riutilizzare gli scarti per la produzione di materie prime secondarie, ma non senza l’utilizzo di materiali chimici e collanti. Diversamente è possibile riciclare il materiale primario, prolungando ulteriormente il ciclo di vita del legno, oppure utilizzarlo quale materiale da combustione per la produzione di energia pulita (attraverso termovalorizzatori). Malgrado le suddette voci possano far tendere il bilancio energetico verso il segno negativo, la filiera del legno è comunque la sola risorsa rinnovabile sia per processo naturale che per volontà urbana. Circa il livello di compatibilità con la tutela dell’ambiente, c’è da aggiungere e sottolineare che l’impiego massivo di questo materiale non impoverisce necessariamente il patrimonio boschivo, ma al contrario, se condotto correttamente, lo rinforza. In primo luogo perché, ponendo attenzione al bosco, potando gli alberi giovani ed eliminando quelli ormai morti o malati si contribuisce a rafforzare la qualità del terreno, ed in secondo luogo perchè si innestano delle politiche di riforestazione programmata più attente, con un conseguente accrescimento del patrimonio forestale.

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Legno e materiali a base di legno Come accennato in precedenza, parlando di legno ci riferiamo ad un ambito troppo generico e non è sufficiente per definire l’esatto materiale di cui è composto un oggetto, grande o piccolo che sia. Sarebbe più giusto, quindi, ed è una tendenza che si sta affermando, definire di volta in volta l’essenza o la tipologia di legno utilizzato. Infatti il legno, grazie agli avanzamenti tecnologici, può essere distinto non solo in base alla specie di albero da cui è ricavato il materiale, ma anche da una serie di elementi strutturali sempre più diffusi: _Il legno massiccio è quello che presenta maggiore tradizione in edilizia ed è attualmente utilizzato soprattutto per interventi di recupero e/o sostituzione di strutture esistenti. I prodotti in legno massiccio vengono ricavati dai tronchi migliori per forma, dimensioni, caratteristiche di accrescimento. Da ogni tipologia di tronco, poi, è comunque possibile ricavare vari elementi, di dimensione e qualità diverse a seconda dell’albero e del tipo di taglio che verrà effettuato. Il vantaggio di un elemento in legno massiccio è che la sua struttura, rispetto alla materia prima, ha subito poche modifiche, trovandosi in natura già allo stato di semilavorato; in particolare viene interessato da diverse fasi successive: segagione, stagionatura ed essiccazione. Il legno massiccio per uso strutturale deve essere classificato secondo la resistenza con una regola conforme alla norma armonizzata UNI EN 14081. Per il legname di provenienza italiana può essere applicata la norma UNI 11035. Più in generale, per la classificazione del legname massiccio di conifere dell’Europa Centro-Sud può essere applicata la norma DIN 4074; in ogni caso molti paesi, Europei e non, hanno pubblicato norme nazionali per la classificazione del legname cresciuto all’interno del proprio territorio. A sua volta il legno massiccio può essere diviso in due categorie: il legno massiccio a spigoli vivi (spigoli che in realtà possono essere poi leggermente smussati anche per questioni di sicurezza nella fase di movimentazione, di messa in opera e di esercizio) deriva dal semplice taglio del tronco in elementi generalmente a sezione quadrata o rettangolare, e gli elementi di questo tipo vengono generalmente definiti segati in quattro fili; il legno massiccio

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IL PROGETTO

con spigoli fortemente smussati o in alcuni casi con sezione tondeggiante, i cosiddetti tondami. L’esempio più interessante di questa tipologia è costituita da i segati ad Uso Trieste”, che presentano ancora brani di corteccia, e i segati Uso Savigliano”, un semilavorato maggiormente rifinito e geometricamente più regolare. Derivano anch’essi dal semplice taglio del tronco in elementi che altro non sono se non una sua più o meno sommaria regolarizzazione, tesa a limitare gli sfridi tipici dei segati a quattro fili. La sezione longitudinale del segato Uso Trieste, ha forma troncoconica, quella trasversale è ad 8 lati. _Il legno lamellare proviene dalla scomposizione in tavole, lamelle o “matite” del tronco e dal loro riassemblaggio con diverse tecniche a formare sezioni piene e regolari. Questo semilavorato può uscire dallo stabilimento di produzione già come elemento a misura, perfettamente finito, caratterizzandosi, quindi, maggiormente come prodotto; può assumere, nelle sue diverse connotazioni tecnico-formali diversi nomi, che possono cambiare, a volta, anche in base alla ditta produttrice. _Il legno ricostruito in pannelli deriva dalla riduzione del tronco in fogli, listelli, trucioli, polvere di segatura, e dalla loro ricomposizione in elementi piani. I pannelli possono assumere diverse denominazioni a seconda della tecnologia con cui sono stati formati. I più utilizzati sono i compensati, i multistrato, i truciolati, i panforti e gli MDF. _Il legno ricostruito in blocchi e “tavelloni”, anziché a forme piane come nel precedente caso, dà vita a piccoli elementi tridimensionali e modulari. Nel progettare l’involucro delle attività commerciali da inserire all’interno dell’area di progetto ci siamo avvalsi esclusivamente di legno massiccio in segati a quattro fili poiché esso risponde alle caratteristiche di verità del materiale a cui facevamo riferimento in precedenza, rimanendo comunque conforme alla necessità di avere un materiale di semplice lavorazione. Non sembrandoci questa la sede più adatta, invitiamo chi volesse approfondire le caratteristiche delle tipologie di legno presentate a leggere i testi presenti in bibliografia.

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I pannelli Il sistema costruttivo delle diverse unità, nonostante il variare delle dimensioni, resterà lo stesso: allo scheletro composto da moraloni in legno di farnia di sezione 15x15 cm verranno fissati dei pannelli in legno e lana di pecora. I pannelli sono formati da tre strati di assito di cui due perlinati, uno esterno ed uno interno. Partendo dallo strato più interno, il perlinato sarà composto da tavole in legno di farnia di formato 2,5x25 cm e lunghezza 150 cm. Il legno di farnia, oltre ad essere duro e durevole, quindi adatto per la struttura, possiede anche un colore ed un disegno caratteristici, è molto semplice da usare e, tagliato, assume un bordo preciso, il che lo rende adatto per una resistente e piacevole finitura interna. Questo primo strato perlinato sarà avvitato ad un telaio in legno di pioppo, essenza economica, leggera e che non si spezza quando vi si piantano chiodi o viti; gli elementi del telaio in pioppo saranno costituiti da smezzole di 5x12,5 cm. All’interno del telaio sarà posto uno strato isolante in lana di pecora per uno spessore totale di 12,5 cm con dei vuoti che serviranno all’alloggiamento degli impianti. Esternamente abbiamo poi pensato ad un ulteriore strato perlinato composto da tavole in pioppo 4x25 cm e lunghezza 165 cm. La differenza di lunghezza consente di agganciare il pannello alla struttura del pilastro mantenendo all’interno una continuità visuale tra le assi dei pannelli e la struttura, entrambe in farnia. Infine lo strato più esterno sarà formato da un strato di assito in legno di abete rosso 4x25 cm e lunghezza 2,75 cm (l’altezza del pannello) disposto perpendicolarmente al precedente e montato su due livelli sfalsati per consentire la ventilazione della facciata. La scelta di utilizzare l’abete rosso può essere criticabile per via del suo utilizzo massivo nelle costruzioni (scontrandosi apparentemente con la volontà di far conoscere l’estrema varietà di essenze di legno e le relative caratteristiche), ma è motivata dal fatto che tale essenza di legno è molto sensibile agli agenti atmosferici, fattore che la portano a cambiare la propria colorazione da giallo pallido fino al grigio. La durata del legno di abete in ambiente esterno è stimata in circa 15-20 anni se interessato da una buona manutenzione. Non potendo prevedere i tempi per una riabilitazione completa del centro storico ci è sembrato

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IL PROGETTO

TAV. 38_Tipologie di pannelli del modulo.

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TAV. 39_Tipologie di pannelli del modulo.

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TAV. 40_Tipologie di pannelli del modulo.

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un periodo di tempo accettabile se si considera il fatto che, da un punto di vista concettuale ed emozionale, questo progressivo cambiamento cromatico consentirà di caratterizzare ogni singola unità: inizialmente i moduli potranno sembrare tutti simili e differenziati solamente dalle venature delle singole assi che quindi in effetti le rendono già uniche, e si presenteranno con la classica colorazione dell’abete rosso; in seguito, a seconda dell’esposizione ai raggi solari e agli agenti atmosferici, ogni struttura varierà il proprio aspetto cromatico caratterizzandolo ulteriormente. Abbiamo previsto sei tipologie di pannelli differenti: uno semplice; un secondo provvisto di una superficie vetrata stretta e lunga, come se fosse una feritoia fuori scala; un terzo pannello presenterà una superficie vetrata quadrata e apribile che intende richiamare le classiche finestre quadrate presenti in moltissimi edifici de L’Aquila e dei borghi della sua provincia; ancora un pannello vetrato quasi per l’intera superficie a costituire le vetrine per determinate tipologie di attività commerciali; un quinto prevederà l’alloggiamento per le porte; ed infine l’ultimo, di dimensioni ridotte, servirà a collegare le strutture delle singole unità composte da quattro quadrati 99x99cm della griglia generativa. Per quanto riguarda i serramenti e le porte si potrebbe prevedere il riutilizzo, successivamente ad un lavoro di adattamento, di quelli meglio conservati in seguito al terremoto, fattore che potrebbe contribuire ad innalzare il livello di riconoscimento ed identità sociale. _Isolanti in lana di pecora dell’Abruzzo: la lana si ottiene dalla tosatura annuale delle pecore, ed ha un ciclo di vita a basso impatto. Ogni anno viene prodotto un grande quantitativo di lana di pecora che viene interrata perché inutilizzata. Sfruttando le eccellenti proprietà della lana come isolante termoacustico, la sua traspirabilità e la sua capacità igroscopica, che gli consente di assorbire grossi quantitativi di acqua senza perdere il proprio parere isolante, è possibile ipotizzare un suo utilizzo nella formazione di pannelli isolanti termici ed acustici. Dopo il taglio, la lana verrà lavata con soda per rimuovere il grasso ed eventuali impurità; per proteggerla da tarme e parassiti saranno utilizzati gli stessi trattamenti utilizzati nel settore tessile per l’abbigliamento; successivamente si passerà alla fase di cardatura (che consiste nella pettinatura e riduzione in veli sottili) e di agugliatura (processo meccanico tramite macchine ed aghi) necessarie per la creazione di feltri, rotoli e pannelli della densità desiderata.

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IL PROGETTO

Tipologie di modulo La superficie dei moduli varierà in base alle singole destinazioni d’uso. Per la progettazione delle diverse misure ci siamo basati su un processo di accrescimento che abbia come unità base quella di quattro quadrati della griglia accostati. In questo modo abbiamo creato cinque tipologie di modulo, raggruppate in quattro famiglie, in base alla loro funzione. Siamo partiti dall’unità base e dal suo doppio per la definizione delle strutture adibite alla gestione del “forest garden” e alla rivendita dei prodotti alimentari; andando a raddoppiare di volta in volta il numero dei quadrati abbiamo ricavato il dimensionamento per tutti i moduli suddividendoli in categorie funzionali: _Gestione del “forest garden” e rivendita prodotti alimentari: questa famiglia di moduli sarà costituita dall’unità base e dal suo doppio; si otterranno così due strutture di piccole dimensioni, una di 198x198 cm e l’altra di 198x396 cm. Entrambi avranno un altezza esterna che varia dai 320 cm della parte più bassa ai 400 della parte più alta. _Verande panoramiche ed albergo diffuso: Questi servizi saranno ospitati in due tipologie di moduli di cui la prima è costituita dalla stessa unità di 198x396 cm presentata in precedenza e servirà ad ospitare delle verande panoramiche. La seconda tipologia, invece, sarà a pianta quadrata con lati 396x396 cm; l’altezza, in questo secondo caso, varierà dai 320 cm minimi comuni a tutte le strutture fino ai 480 cm di altezza massima. Mettendo a sistema i moduli di questo tipo verrà realizzata una rete atta ad ospitare una struttura ricettiva di tipo diffuso secondo il modello sviluppato a partire dagli anni ’80 dal prof. Giancarlo Dall’Ara. In particolar modo i moduli dell’albergo diffuso saranno aggregati per formare stanze singole o doppie, con o senza veranda. I moduli di questa famiglia saranno alloggiati su strutture composte da pali di legno di abete rosso di sezione 15x15 montate seguendo uno schema costruttivo tipico di strutture nordeuropee o comunque montane, come le altane, figurazione ripresa anche da alcuni progettisti e artisti, come nel caso dell’italo-svedese Duilio Forte presso il cui Atelier ho svolto il mio tirocinio curriculare.

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TAV. 41_Disegni tecnici della tipologia del modulo per produttori diretti.

TAV. 42_Disegni tecnici della tipologia del modulo per produttori diretti.

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pianta

sezione 1

sezione 2

prospetto 1

prospetto 2

prospetto 3

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pianta

sezione 1

sezione 2

prospetto 1

prospetto 2

prospetto 3


IL PROGETTO

pianta

prospetto 1

prospetto 2

TAV. 43_Disegni tecnici della tipologia del modulo per l’albergo diffuso.

_Esercizi commerciali: Seguendo lo schema precedente, anche le strutture che ospiteranno gli esercizi commerciali saranno di due grandezze differenti: una a pianta quadrata di 396x396 cm ed altezza massima di 480 cm, e l’altra a pianta rettangolare con i lati di 396x792 cm ed altezza massima sempre di 480 cm. Dall’aggregazione di queste strutture, giocando sulla diversa esposizione dell’inclinazione della falda, si otterrà un risultato visivo che intende richiamare l’aspetto figurativo tipico dei borghi abruzzesi. Le tipologie di esercizi presenti all’interno del parco saranno le stesse di quelle presenti nel centro storico, quindi agenzie, negozi di abbigliamento, parrucchieri, bar, locali serali, ecc.; l’altezza elevata consente di soppalcare parte del modulo per ottenere spazio adibito a magazzino. _Botteghe: Saranno ospitate nelle strutture di dimensioni maggiori. La prima sarà a pianta rettangolare di 396x792 cm ed altezza di 480 cm, mentre la seconda sarà a pianta quadrata con misure di 792x792 cm per i lati e 640 cm per quanto riguarda l’altezza. Il sistema delle botteghe sarà localizzato in un’area adiacente a quella del laboratorio e consentirà di riavvicinarsi ai lavori della tradizione aquilana e abruzzese di cui si è parlato nei capitoli precedenti. Tutti i moduli per essere messi in piano saranno posizionati su file di gabbioni interrati ed agganciati ad essi tramite un sistema di ganci e barre passanti. Esternamente saranno composti da assi di abete rosso lasciate grezze, tranne per quanto riguarda le cornici di porte, finestre e vetrine, degli elementi angolari e dello zoccolo di copertura del pavimento. In questi casi, infatti le assi di legno saranno verniciate di bianco, proprio per richiamare il colore delle cornici presenti sui palazzi del capoluogo abruzzese e nei paesi della sua provincia.

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pianta

prospetto 1

TAV. 44_Disegni tecnici della tipologia del modulo per il commercio.

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prospetto 2

sezione 1s

prospetto 3

ezione 2


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pianta

prospetto 1

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prospetto 2

sezione 1

prospetto 3

sezione 2

TAV. 45_Disegni tecnici della tipologia del modulo per le botteghe.


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IL PROGETTO

IL TEATRO

a cura di alessandro frigerio

Prima di entrare nel merito della descrizione del progetto del teatro, è opportuno fare una introduzione storica sull’evoluzione del luogo scenico, approfondendo i punti che caratterizzano la tesi: sfruttamento del declivio naturale, utilizzo di strutture lignee, flessibilità, temporaneità. Questi punti fanno parte di alcune epoche storiche (Grecia antica, Impero romano, Medioevo, primi del ‘900 fino ai giorni nostri) che hanno segnato l’esperienza teatrale e hanno portato il teatro nella logica della precarietà e della sperimentazione; questi due concetti diventano parte integrante del progetto di tesi svolto. Il salto temporale tra Medioevo e ‘900 è dovuto perché dal Rinascimento fino a tutto l’800 il teatro diviene sempre di più stabile nella città con l’individuazione di spazi ad esso dedicati; inoltre non è più l’aggregante della collettività cittadina, ma assume la funzione di un progetto autoritario interamente gestito dalla corte. Un pubblico così elitario e selezionato capace di esercitare una forte influenza sulla realizzazione dei prodotti teatrali. Ricordiamo la straordinaria stagione barocca con l’avvento della sala all’italiana, esportata in tutta Europa e divenuta esempio emblematico di teatro, con la quale la manifestazione teatrale acquisisce un decisivo carattere di autonomia. L’evoluzione teatrale nel corso del XVIII secolo portata dalle mutate esigenze di fruibilità dello spettacolo, e soprattutto dal clamoroso successo dell’opera in musica, aiuta lo sviluppo di teatri pubblici a gestione impresariale, caratterizzati da sale più capienti, in grado di ospitare un pubblico pagante più numeroso; la massima espressione del rito teatrale la si trova nella suddivisione del pubblico in palchetti per le classi più elevate, che consente di affermare pubblicamente il loro privilegio sociale. Infine il Romanticismo aspira a una cultura capace di integrarsi con il progresso civile e sociale, individuando nel teatro un eccellente strumento educativo in grado di influenzare dal punto di vista morale, politico e civile un pubblico molto più vasto. Il teatro diventa un luogo di ritrovo per uomini che condividono ideali di libertà, indipendentemente dalla classe sociale.

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Il luogo scenico della Grecia antica La nascita del teatro affonda le sue radici nell’epoca greca intorno al V secolo a. C.; non vi è testimonianza che documenti le tappe evolutive del percorso che i Greci fecero per elaborare il modello architettonico di edificio teatrale. Nonostante le fonti a disposizione non consentano risposte definitive, gli studiosi collegano l’origine del teatri in Grecia ai riti e al folclore che accompagnavano le cerimonie religiose, costituendo le danze e gli inni l’essenza delle feste agricole legate alle stagioni. Le ipotesi di questo legame vengono rafforzate da alcuni elementi tipici del luogo scenico come l’orchestra, un’area di forma circolare in terra battuta ricavata spesso in forma di terrazza sui fianchi delle colline per essere utilizzata come spazio per la trebbiatura del grano ed impiegata per le danze rituali (dal greco orchéomai, che significa “mi muovo danzando”). Le origini religiose del teatro greco determinarono fin dalle origini l’esigenza di ampi spazi all’aperto per gli edifici teatrali, concepiti come luoghi di riunione per il pubblico. I teatri antichi erano semplicemente formati da uno spazio livellato in terra battuta collocato ai piedi di un declivio naturale, dove prendevano posto gli spettatori. La posizione sopraelevata consentiva a questi ultimi il dominio visivo di quanto avveniva nella parte inferiore. Il luogo scenico si sviluppa nelle epoche successive con la realizzazione di gradinate in legno sul pendio della collina, dapprima destinate alle personalità eminenti e poi a tutto il pubblico. Sulla base di tracce archeologiche labili, a causa della deperibilità dei materiali impiegati nella costruzione, si è giunti a supporre con una certa attendibilità un modello di teatro ligneo precedente al V secolo a. C., con cavea a pianta trapezoidale e gradinate costruite lungo il perimetro dell’orchestra. Con il V secolo, Atene diviene il centro dell’attività spettacolare in Grecia. Il teatro ateniese, collocato sul fianco sud-orientale dell’Acropoli, viene considerato il prototipo dell’edificio teatrale greco. Questo teatro, dedicato a Dioniso Eleutereo, era caratterizzato da uno spazio costruito interamente in legno, del quale non sono pervenuti resti archeologici; l’orchestra, di forma

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IL PROGETTO

FIG. 85_Teatro di Dioniso di Atene.

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trapezoidale, fu realizzata riportando terra sul pendio e di conseguenza alle sue spalle esisteva un dislivello di circa 2 m oltre il quale era visibile la campagna. Con l’evoluzione del modello tragico primitivo e la presenza di più attori vi fu la necessità di creare una tenda o baracca per depositare le maschere, i costumi, le attrezzature sceniche e per favorire l’entrata i scena dei personaggi. La costruzione della cosiddetta skené (tenda), realizzata in legno, porta allo spostamento dell’orchestra verso il declivio per creare uno spazio più adeguato per ospitarla; inoltre essa ha anche la funzione di elemento scenografico, divenendo più elaborata per consentire un’ambientazione urbana. La skené si presenta al pubblico come una parete frontale a raffigurare comunemente un palazzo o un tempio, anche se può divenire con semplicità lo sfondo di una spiaggia marina o una falda montuosa. Nella facciata della skené si aprono alcune porte per l’ingresso degli attori in scena. La parte riservata al pubblico, detta in greco théatron (luogo in cui si vede) e successivamente dai Romani cavea, era di forma trapezoidale per poi assumere una struttura emiciclica, favorendo la visibilità e l’acustica da tutti i punti. Originariamente le gradinate del théatron erano in legno, poi, in seguito a un crollo, vennero provvisoriamente sostituite con dei terrapieni, per essere definitivamente costruite in gradoni di calcare. Con il IV secolo si assiste alla decadenza di Atene, a una diffusione dell’attività teatrale in tutto il mondo greco e all’elaborazione di un modello architettonico destinato a essere tramandato come il teatro greco per antonomasia. Si passa da una rappresentazione civico-religiosa a manifestazioni della cultura popolare più interessata ai colpi di scena e alle forti emozioni. Il punto focale si sposta dall’orchestra alla skené, che diventa più alta e monumentale, interamente costruita in pietra, trasformandosi in un concreto elemento scenografico ed efficace schermo acustico per la riflessione della voce degli attori. Oltre alla skenè, l’intera costruzione viene realizzata in pietra per una minore deperibilità e per una migliore acustica all’interno dello spazio19.

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IL PROGETTO

Gli edifici teatrali greco-romani Malgrado l’interesse per le rappresentazioni teatrali sin dalle fasi iniziali della civiltà di Roma, la società romana mostrò per lungo tempo una forte diffidenza nei confronti delle costruzioni di teatri stabili in pietra, che avrebbero potuto offrire al popolo occasioni di ozio. Pertanto, gli spettacoli ebbero luogo in strutture primitive lignee, erette provvisoriamente e destinate a essere distrutte quando il periodo di festa fosse terminato. Queste strutture erano costituite da un palco rettilineo e sopraelevato, disposto longitudinalmente lungo la parete, nella quale si aprivano una o più porte per consentire agli attori di entrare e di uscire dalla scena. La parete era generalmente provvista di una tettoia sostenuta da colonne, mentre il palcoscenico poteva essere racchiuso lateralmente da altre costruzioni lignee fornite di un ingresso. Gli spettatori prendevano posto su panche disposte davanti al palco, collegato a terra da una breve scala di cinque o sette gradini. Si può supporre, sulla scorta di testimonianze fornite dalla pittura vascolare, che i prototipi di questo spazio scenico risalissero ai palcoscenici improvvisati su cui erano solito esibirsi i fliaci. Strutture idonee alla rappresentazione di commedie e tragedie venivano erette anche all’interno dei circhi e presso i templi. Teatri in pietra incominciarono ad apparire nella prima metà del I secolo a. C. ma solo nel 55 a. C. Roma ebbe un teatro in pietra, la cui particolarità era il tempio dedicato a Venere sulla sommità delle gradinate; la connessione del teatro con il luogo di culto permise la sua sopravvivenza. Nell’età imperiale numerosi furono gli edifici teatrali costruiti in tutta la provincia e adornati sempre più sontuosamente. La preferenza del pubblico per gli spettacoli coreografici e circensi e la conseguente decadenza del teatro drammatico favorirono lo sviluppo di un nuovo tipo di edificio pubblico per spettacoli, l’anfiteatro (doppio teatra), costituito da una vasta arena ellissoidale circondata da gradinate.

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I luoghi dello spettacolo medievale Con il crollo dell’impero romano e la fine del mondo antico vi fu la decadenza e la scomparsa della ricca tradizione spettacolistica del mondo romano. Processo di estinzione accelerato dalle invasioni barbariche, dall’instabilità politica dei nuovi regni e dall’avversione della chiesa cristiana, che considerava il teatro occasione di perdizione e lo criticava per l’oscenità di alcuni generi di intrattenimento e per la crudeltà delle manifestazioni circensi. Questa crociata condusse nel VII secolo all’abbandono e alla rovina di tutti gli edifici teatrali antichi e ben presto alla rimozione dell’idea stessa di teatro. Le varie forme teatrali saranno costrette a esprimersi nel contesto di altri luoghi, provvisoriamente adattati per l’occasione. Da ciò deriva una concezione scenica che interferisce con i principali luoghi di aggregazione, occupando la chiesa e gli spazi adiacenti e, successivamente, le vie della città. Proprio la basilica cristiana ospita le prime forme di spettacolo originali, nate all’interno della liturgia: lo spazio è utilizzato sfruttando la valenza simbolica delle varie parti, come l’altare (liturgia della resurrezione) o ciborio (effetti teatrali di svelamento). Ogni parte della chiesa viene coinvolta nella rappresentazione, poichè anche la navata era attraversata dai gruppi processionali dei chiericiattori, che si spostavano nei diversi luoghi deputati allo svolgimento dell’azione. In seguito, fin dall’XI secolo, i luoghi scenici distribuiti nel tempio furono individuati mediante basse piattaforme o palchetti, presso cui i diversi personaggi stazionavano durante lo svolgimento della scena per poi spostarsi verso altri luoghi. L’evoluzione delle strutture sceniche, che divengono elaborate costruzioni anche grandiose, rende lo spazio della chiesa limitato, spostando la rappresentazione all’aperto, occupando lo spazio del sagrato e della piazza principale. Disponendo di ampi spazi e con la necessità di un sempre più determinante aspetto scenico, la piazza dà la possibilità agli allestitori di disciplinare l’ingresso del pubblico, che viene messo su uno o sui due lati lunghi. Questo spazio però, era minimo in rapporto a quello occupato dai palchi della scena multipla. Talvolta l’intera città si trasformava in luogo teatrale e lo spettacolo si sviluppava lungo le strade,

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IL PROGETTO

FIG. 86_Modello del teatro totale di Walter Gropius.

con tappe nei luoghi più significativi del contesto urbano per consentirvi lo svolgimento di scene importanti. Carattere principale dello spazio teatrale medievale è la presenza di una scena multipla frazionata in diversi luoghi. Tutti i luoghi dell’azione sono presenti contemporaneamente per essere utilizzati uno dopo l’altro o, talvolta, anche simultaneamente. L’allargamento del repertorio dei drammi liturgici impose l’introduzione di piccoli palchi o piattaforme sopraelevate destinati a designare, con semplici elementi, luoghi precisi della rappresentazione. Durante le azioni, gli attori agivano sul piccolo palco o, se era troppo piccolo, nell’area della platea. Con l’aumento della durata e complessità delle rappresentazioni si afferma una nuova messinscena (la precedente era la riproduzione nella piazza della disposizione longitudinale della chiesa): i vari apparati scenici l’uno accanto all’altro su un unico palcoscenico.

Il teatro dei nostri giorni Tracciare un profilo della storia teatrale del ‘900 è un problema arduo. La nozione di edificio teatrale è ancora oggetto di riflessione progettuale e di realizzazioni innovative. L’esigenza unificante è stata ripresa in nuovi termini da gruppi e uomini di teatro che hanno scelto di agire al di fuori dei luoghi adibiti al teatro, reinventando lo spazio adeguato alle necessità dello spettacolo: piazze, strade, fabbriche dismesse, gasometri, stazioni ferroviarie, magazzini, granai, chiese sconsacrate. Per quanto concerne lo spettacolo teatrale, è possibile distinguere tra teatro di regia, esperienze sceniche al cui centro sta il testo drammaturgico, e teatro di sperimentazione, costruito in assenza di un testo, per così dire, d’autore. Nascono inoltre e si sviluppano i teatri adattabili, come il Teatro Studio di Giorgio Strehler o il Teatro di Piscator a Berlino, che aspirano a recepire in un solo luogo, o meglio nella medesima sala, tutte le opzioni possibili di messinscena e di accoglienza degli spettatori. In realtà solo un certo settore di tali teatri, quelli legati all’attività didattica e sperimentale delle scuole teatrali, sembra funzionare in questa direzione20.

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Un teatro per ripartire

TAV. 46_Inquadramento del teatro all’interno dell’area progettata.

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Il progetto del teatro in piazza d’Armi è inserito in un più ampio progetto di riqualificazione urbana destinato alla rinascita della città. Abbiamo voluto creare un luogo legato alla cultura che faccia un ponte per il TSA (Teatro Stabile d’Abruzzo), l’ente teatrale che ha avuto origine dal Teatro Stabile dell’Aquila, fondato il 28 ottobre 1963, poi trasformato nel 1991 in Teatro Stabile Abruzzese e quindi in Teatro Stabile d’Abruzzo. Il nome Teatro Stabile dell’Aquila ha garantito per anni una reale connotazione di teatro del territorio. La posizione scelta è all’interno di una leggera depressione presente nello stato di fatto; sfruttando così il declivio naturale del terreno, si crea un piccolo teatro che allude agli antichi teatri di epoca greca. Sia il palcoscenico che le gradinate seguono le curve di livello, accentuando sempre di più l’orografia del terreno e il concetto di ripartire da ciò che offrono l’area e il luogo. Lo spazio si crea con l’intersezione tra il percorso principale in pavè e la barriera boscata, parallela al Viale Corrado IV, ed è delimitato dalla passerella in legno, che costituisce l’ultimo gradone, e dalla barriera boscata, posizionata a ridosso del fronte stradale di Viale Corrado IV, avente la funzione frangivento, oltre che di barriera visiva e sonora. La passerella di legno dà l’andamento a 4 gradini verdi che formano la cosiddetta cavea del teatro dove andranno a posizionarsi gli spettatori, confinati da una striscia di legno di assi di robinia per potersi sedere. Il palcoscenico, sempre in assi di legno di robinia, è sopraelevato per una migliore visibilità da parte dello spettatore. Alle sue spalle si alza una quinta unica in legno di abete, costruita con pilastri, a sezione quadrata di 15 cm, e travi avvitate ai pilastri, che raggiunge un’altezza di 8 m. Questo tipo di quinta “strutturale” permette una flessibilità e una libertà nel poter scegliere la scenografia, dettata dal tipo di spettacolo. Tra il palcoscenico e la barriera boscata, oltre all’enorme quinta, abbiamo deciso di costruire uno spazio dedicato a camerini e magazzino. Sempre costruito in legno di abete, tale spazio si sviluppa su due piani collegati tra loro da una scala interna: al piano terra trovano posto un ingresso e il magazzino, mentre al primo piano i camerini per gli attori. L’edificio è rettangolare, con una



GRAFICO 41_Individuazione dell’area, posizione delle quinte e creazione gradoni.

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IL PROGETTO

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TAV. 47_Planimetra generale e sezione del teatro.

+1m

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+0,67m

+0,33m

+0,0 -

-0,33m

-0,67m


IL PROGETTO

-1m

-2m

+0,0 275


pluralità teatrale teatro totale

doppio livello

teatro di sperimentazione teatro adattabile

sosta società aperta

concerti eventi

flessibilità

spettacoli

riferimento temporaneità sfruttamento del declivio natirale

GRAFICO 42_Parole chiave.

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IL PROGETTO

copertura inclinata secondo la normativa vigente in città, riprende il disegno del modulo di legno inserito all’interno dell’area per i servizi ed è collegato alla quinta lignea sia al piano terra che al primo piano, dando così la possibilità di utilizzare lo spazio anche in verticale, se lo spettacolo lo prevede. Tutto questo edificio, compreso di terrazza, è ribassato rispetto al piano del palcoscenico di 1,60 m a causa della depressione: questa infatti sprofonda di 2 m rispetto all’asse stradale (tenuto come riferimento della quota zero) e l’edificio si appoggia proprio nell’ultima curva di livello. L’accesso al teatro avviene mediante la passerella in legno o percorsi spontanei, creati per il continuo passare delle persone nel prato. L’intera struttura così come il resto del progetto si prefigge come obiettivo anche l’abbattimento delle barriere architettoniche per una comunità non discriminante, la grandezza dei percorsi in legno dei gradini è di 1,80 m, il che permette il passaggio e il movimento di una persona in carrozzina, e l’abbattimento del dislivello dei gradini mediante rampa inclinata permette al disabile di raggiungere tutti i gradini fino al palcoscenico. L’organizzazione dello spettacolo o dell’evento necessita di attrezzature e apparecchi scenici che devono essere portati al teatro e montati, quindi il problema è sempre quello di riuscire a raggiungere il teatro e poter lavorare in tranquillità. Si è pensato quindi all’apertura di un accesso carrabile che dal Viale Corrado IV porta direttamente al retro del teatro mediante una rampa in calcestre, nascosta alla vista dello spettatore mediante la quinta in legno. Come anticipato, l’aspetto fondamentale del lavoro del TSA è la costruzione, quale essenziale investimento culturale, di un organico sistema teatrale che serva a vitalizzare l’intero territorio regionale. Attraverso il lavoro condotto direttamente, oppure favorendo interventi, o anche soltanto stimolando il sorgere di altre iniziative, lo Stabile ha dato in oltre quarant’anni un contributo decisivo alla trasformazione della vita culturale abruzzese, facendo sì che il Teatro divenisse un’importante e non episodica componente della vita sociale. Tanti sono ora i Centri che hanno riattivato un’antica tradizione o inaugurato un loro ruolo nella rete delle piazze teatrali abruzzesi. Numerose sale teatrali sono state riattivate e per molte di esse sono stati sollecitati interventi di restauro; cattedre universitarie, scuole pubbliche e corsi privati sono venuti a supportare il tessuto connettivo della formazione teatrale che è andata ricostituendosi. Gruppi di base, compagnie di ricerca e sperimentazione, formazioni cooperativistiche e universitarie, complessi scolastici e amatoriali hanno visto avvicinarsi un po’ dovunque un’importante fascia di cittadini, specialmente i più giovani, alla creatività. Abbiamo voluto creare un luogo flessibile dal punto di vista della fruibilità, non solo quindi un luogo culturale ma anche uno spazio legato alla sosta e al riposo, uno spazio di ritrovo per tutte le generazioni, un altro spazio per far fronte alle future esigenze della città.

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TAV. 48_Pianta della struttura del palco e delle quinte.

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IL PROGETTO

TAV. 49_Pianta della struttura del palco e delle quinte.

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prospetto del retro

prospetto laterale 1

prospetto frontale

TAV. 50_Prospetti e sezioni della struttura del palco e delle quinte.

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prospetto laterale 2


IL PROGETTO

prospetto frontale 1

sezione 1

sezione frontale 1

TAV. 51_Prospetti e sezioni della struttura del palco e delle quinte.

sezione 2

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struttura ligneA delle quinte

TAV. 52_Vista prospettica degli elementi del teatro.

PAVIMENTO DEL PRIMO E DEL SECONDO LIVELLO

PALCOSCENICO 282


IL PROGETTO

STRUTTURA IN LEGNO PER I LOCALI DEL TEATRO

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TAV. 53_Struttura in legno del locale magazzino.

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IL PROGETTO

TAV. 54_Struttura in legno della quinta.

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IL PROGETTO

TORRE

a cura di emilio lonardo

Rientra nel discorso legato alla rilettura degli elementi tipici del borgo anche la progettazione della torre. Nella storia dell’architettura la figura della torre ha avuto un peso rilevante sia come elemento funzionale (utilizzato come punto di avvistamento, come campanile, senza dimenticare le torri dell’orologio e le torri del vento) che come elemento di prestigio (Casatorre, torre gentilizia, ecc.). Le prime testimonianze della costruzione di torri risalgono già all’epoca romana, ma il periodo di maggior diffusione è stato certamente il Medioevo, durante il quale venivano sfruttate, grazie alle loro caratteristiche difensive, anche per esigenze abitative. Sempre per ragioni difensive erano munite di mura massicce e di finestre dalle dimensioni molto ridotte, specialmente ai piani inferiori, dove spesso erano costituite nient’altro che da piccole feritoie. La tipologia più antica di torre medievale è quella a base circolare, ispirata probabilmente alle torri inglobate nelle mura delle città romane. Durante il periodo romanico si diffuse la tipologia a base quadrata o rettangolare, più semplici da costruire ma meno stabili dal punto di vista statico, e non mancano esempi di torri a base poligonale, come le otto torri a base ottagonale nei vertici di Castel del Monte, in Puglia. Molto spesso le torri medievali presentavano, per rendere più confortevole la permanenza delle persone costrette all’interno per lunghi periodi, dei ballatoi esterni in legno posizionati al piano più alto; tali strutture, inizialmente alquanto precarie, furono presto meglio studiate e trasformate in elementi architettonici strutturali aggettanti “a mensola”. Nel corso della sua evoluzione architettonica, la torre è diventata ben presto metro di potenza e ricchezza della famiglia che vi abitava, innescando così una corsa all’altezza che metteva molto spesso a rischio la tenuta della struttura; fu questo uno dei motivi che portarono in tutta Italia alla graduale “scapitozzatura”, cioè alla demolizione dei piani più alti, alla fine del XII secolo. Nei secoli successivi le torri vennero abbandonate in favore di tipologie abitative più confortevoli; calamità di vario genere decimarono ulteriormente il numero delle torri superstiti e anche durante l’Ottocento, nonostante l’affermazione del periodo neoclassico, si continuò ad abbattere le torri per favorire l’allargamento delle strade e la creazione di nuove piazze. Questa è, in breve, l’evoluzione storica degli edifici a torre. Nel processo di rilettura di tali architetture

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FIG. 87_Codice Atlantico foglio 310 (ora 899).

FIG. 88_Tenda indiana.

FIG. 89_Schemi di griglia ripresi dai disegni di leonardo da vinci.

FIG. 90_Struttura reciproca umana. FIG. 91_Schema di griglia ripreso dai disegni di leonardo da vinci. FIG. 92_Ponte reciproco studiato da leonardo da vinci.

FIG. 93_Cupola Oaxaca - Biagio Di Carlo - SBAM 2011.

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IL PROGETTO

FIG. 94_Costruzione di un tetto reciproco.

FIG. 95_Olivier Baverel - Poligono Reciproco.

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FIG. 96_Dettaglio del giunto.

ciò che ci premeva far emergere era l’importanza che assumevano le torri nella società medievale, non dal punto di vista funzionale, ma da quello iconico: la torre era l’elemento di maggiore riconoscibilità ed identità di un aggregato, il luogo in cui rifugiarsi in caso di pericolo innescando obbligate relazioni sociali. Per questo motivo abbiamo deciso di posizionare la torre all’interno della piazza centrale, di eleggerla simbolo del nostro progetto, dandogli incarico di polo da cui far partire la costruzione del borgo. Nel clima sociale che si intende ricreare e restituire alla comunità, la torre non deve servire per difesa, ma solo come punto aggregativo; per questo motivo può essere spogliata delle sue mura pesanti lasciando in mostra solo la sua struttura, un esile scheletro, fragile all’apparenza ma estremamente resistente grazie al suo sistema costruttivo basato sul concetto di struttura reciproca. Prima di approfondire la progettazione della torre è necessario fare un’introduzione su questa tecnologia il cui nome ai più, anche operatori del settore, dirà ben poco. Le strutture reciproche appartengono alla famiglia delle strutture sinergetiche; esse sono composte da travi portanti collegate tra di loro, in un numero minimo di tre, per formare dei circuiti chiusi. Le strutture reciproche sono utilizzate da secoli, soprattutto dalle popolazioni più povere, per la creazione di coperture, ma anche per la formazione di solai e pavimenti in legno laddove i pali utilizzati non fossero sufficientemente lunghi. Sono numerosi gli esempi di utilizzo delle strutture reciproche nel corso della storia in diverse parti del mondo. Secondo alcune fonti storiche uno dei primi personaggi a capirne l’importanza fu Leonardo da Vinci che le presenta nel suo Codice Atlantico per la costruzione di ponti e coperture con diversi sviluppi geometrici piani; anche in oriente esistono diversi esempi di ponti e coperture che utilizzano questo sistema costruttivo. La definizione di struttura reciproca si deve però a Graham Brown che per la prima volta lo utilizzò per esprimere il modo in cui gli elementi della struttura si sostengono vicendevolmente. Nonostante le notevoli potenzialità di queste strutture, la loro conoscenza è ancora molto limitata nel mondo dell’architettura e questo fa sì che esistano notevoli potenzialità di sviluppo per questa materia. Lo stesso progetto della torre risulta innovativo in questo senso: gli esempi conosciuti di strutture reciproche, come accennato in precedenza, riguardano soprattutto

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IL PROGETTO

coperture e ponti, quindi strutture a sviluppo tendenzialmente piano. Grazie alla consulenza di uno studioso della materia, l’architetto pescarese Biagio Di Carlo, abbiamo cercato di mettere a punto una configurazione di tipo verticale che però non è stata ancora verificata alla scala del reale. I motivi che ci hanno spinto ad una realizzazione di questo tipo sono per lo più ideologici: volevamo che la torre fosse un monumento ai cittadini, volevamo progettare qualcosa in cui potessero riconoscersi, per questo abbiamo pensato alle strutture reciproche in cui ogni elemento singolo risulta necessario per sorreggere quello vicino creando un sistema strutturale solido. La torre vuole quindi simboleggiare la coesione sociale dei cittadini de L’Aquila che, unendo le proprie forze e sostenendosi reciprocamente, hanno saputo, nel corso della storia, far fronte alle enormi difficoltà dovute alle continue ricostruzioni della loro città. A chi volesse approfondire la conoscenza di questa particolare tipologia di strutture consigliamo la lettura dei libri presenti in bibliografia. Sistema costruttivo La torre, alta 21 metri, sarà formata da moduli ottaedrici composti da travi a sezione circolare di 15 centimetri e lunghe 4 metri. L’utilizzo di travi a sezione circolare si discosta dalla tipologia utilizzata per il resto delle costruzioni, che è a sezione quadrata. Questa scelta è giustificata dal fatto che la torre, oltre a rappresentare l’unione dei cittadini, intende testimoniare anche l’integrazione tra uomo e natura. Nella progettazione, infatti, ci siamo dati come assunto che le costruzioni antropiche fossero squadrate, geometriche, mentre la natura, per forza di cose fosse organica (questo si riflette anche nella tipologia di rappresentazione, per cui utilizziamo, ad esempio, il quadrato o il rettangolo per definire il costruito e il cerchio e la linea curva per tutte le parti naturali). Per questo motivo la torre è formata da strutture geometriche (gli ottaedri) montati in maniera organica, ed è per questo che le travi hanno sezione circolare. I diversi elementi della struttura saranno fissati tra di loro per mezzo di dadi e barre metalliche passanti in fori eseguiti in precedenza dopo le necessarie misurazioni.

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3,46m 4,15m

3,46m

18,8m

TAV. 55_Modulo di costruzione della torre

TAV. 56_Pianta e prospetti della torre.

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15,2m


IL PROGETTO

GRAFICO 43_Sviluppo della costruzione della torre della torre.

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IL PROGETTO

NOTE Tagliare e potare gli alberi è importante per consentire il rafforzamento del loro apparato radicale, consentendone la sostituzione in caso di esemplari vecchi, malati o morti. 9 S. Giorda - Il pianeta che verrà, Loescher Editore, 2010 10 La memoria della città, Reggio Emilia, 1981 11 Tipo di mercato largamente diffuso nelle città romane 12 Architettura dei mercati: tecniche di edilizia annonaria, S. di Macco, Roma, 1993 13 www.fiva.it 14 La citta dell’Aquila : il centro storico tra il 1860 e il 1960, G. Stockel, L’Aquila, Edizioni del Gallo Cedrone, stampa 1981 15 Articolo 1 del regolamento generale per l’esercIzio del commercio al dettaglio su aree pubbliche nel territorio del comune dell’Aquila – DISPOSIZIONI GENERALI 16 Spazi ludici: 30 progetti per aree gioco in interni, a. Acerbi, M. Giuliani, D. Martein, Rimini, Maggioli, 1997 17 www.hags.it 18 Attrezzature per aree gioco: requisiti di sicurezza e metodi di prova, Milano, UNI, 1999 19 Teatro dell’occidente: vol. 1, P. Bosisio, LED edizioni strardinarie, 2006 20 Teatro dell’occidente: vol. 2, P. Bosisio, LED edizioni strardinarie, 2006 8

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IL PROGETTO

Conclusioni Nell’universo della progettazione in cui ci troviamo a vagare, composto da una moltitudine sempre crescente di progetti e progettisti spinti spesso dalla voglia di imitare più che di innovare, è difficile riuscire ad emergere. Con questo lavoro abbiamo scelto di metterci umilmente in disparte, per costruirci la possibilità di elaborare un idea svincolata dai canoni, cercando di ragionare non su come si fanno le cose, ma piuttosto su cosa si dovrebbe fare. Questo ci ha portati a capire che un progettista dovrebbe essere quella figura capace di analizzare i problemi, proponendo soluzioni creative. Per sua natura la creatività si dovrebbe dissociare da tutto ciò che è solito e convenzionale per cercare di proporre cose altre, nuove, e sempre diverse a seconda dei contesti in cui ci si trova ad operare. In quanto essere creativo riteniamo giusto affermare che ogni persona può progettare e, in particolare ha il diritto e il dovere di progettare la propria realtà senza che gli venga imposta. La chiave di lettura principale del progetto è racchiusa certamente in questo progetto, probabilmente utopico alla base. Siamo altresì convinti della necessità di proporre qualcosa che evada gli schemi convenzionali per poter insinuare il tarlo delle possibilità, solo così è possibile cambiare, in meglio o in peggio potrà essere solo il tempo a dirlo. Il progetto elaborato si svincola così dagli schemi progettuali soliti, proponendo non qualcosa di pronto, ma qualcosa da prendere come punto di partenza, un meta progetto. La maggiore difficoltà nell’approccio a questo lavoro, ovvero la scala urbanistica in cui ci siamo ritrovati ad operare si è rivelata alla fine il maggior punto di forza: non avendo conoscenze approfondite per affrontare un progetto di tale portata, ci siamo sentiti liberi di sognare e di inventare. In realtà, approfondendo le nostre

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ricerche abbiamo capito man mano che non stavamo inventando proprio nulla; tutto ciò che ci veniva in mente in realtà è già stato pensato, proposto, e a volte attuato. Il limite, però, di lavori che prevedevano una partecipazione collettiva, un’autoprogettazione, è costituito dall’estrema apertura alla moltitudine, con conseguente dispersione di idee, di forze e perdita di tempo. Riteniamo invece che, una volta asserito che nella situazione aquilana attuale fosse necessario un intervento che prevedesse il coinvolgimento della popolazione, per tutte le ragioni espresse all’interno della relazione, un buon modus operandi dovrebbe comprendere (ed anteporre alla fase partecipativa) un’attenta analisi del contesto da parte del progettista, il cui compito è quello di elaborare una proposta plausibile compatibilmente con quanto appreso, da sottoporre poi al vaglio di un’assemblea di cittadini che potrà decidere quindi cosa tenere, cosa modificare e cosa stravolgere. Il risparmio di tempo e di energie è notevole come ci insegna il recente caso della comunità di Calama, una città di centocinquantamila abitanti, situata in un’antica oasi precoloniale in Cile nella quale era scoppiata una rivolta atta a protestare contro l’ineguaglianza generata dall’attività estrattiva di rame (la principale risorsa nazionale) e le misere condizioni di vita in cui versano gli abitanti. Le manifestazioni dell’anno passato (2011) rischiavano di mettere in ginocchio il Paese, così il Codelco (Chilean Copper Corporation) ha chiesto di sviluppare in soli 100 giorni un piano strategico di riqualificazione urbana allo scopo di alleviare le tensioni sociali. Lo studio Elemental e Tironi (specializzato in comunicazione strategica) ha messo così a punto una metodologia di design partecipativo in grado di offrire piani urbanistici efficaci e realizzabili in tempi ristretti, proponendo da subito ipotesi di progetto plausibili. Le ipotesi di lavoro, filtrate, rifinite e rafforzate tramite un percorso di dialogo hanno consentito un rapporto diretto di ascolto con i cittadini , portando quindi ad una riformulazione delle proposte in base alla reazione degli stessi. La fase di dibattito si svolgeva in una casa aperta alla comunità e posta al centro della città. Nel nostro lavoro di tesi sono molte le cose che sono state tralasciate volontariamente, dallo studio degli interni dei negozi a quello dell’illuminazione e dell’arredo urbano; aspetto criticabile: essendo una tesi in progettazione di interni potrebbero sembrare questi gli aspetti prioritari da considerare. Nella nostra idea, però, nel percorso temporale di sviluppo che vorremmo che il “nuovo centro” assumesse, gli aspetti sopra citati costituiscono elementi facenti parte di una sfera decisionale dove risulti presente un dibattito partecipativo che prenda in esame le esperienze singole degli utenti (per quanto riguarda le diverse attività commerciali) e la conoscenza delle caratteristiche dell’area che come espresso in precedenza necessiterebbe di un periodo di osservazione diretta. Per quanto riguarda l’illuminazione e l’arredo urbano, abbiamo considerato questi come elementi di dettaglio, progettando i quali saremmo stati costretti ad un salto di scala forse troppo eccessivo e disorientante. Per questo motivo abbiamo immaginato che la loro definizione potrebbe avvenire in un secondo momento attraverso un processo progettuale partecipato.

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IL PROGETTO

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casi studio


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casi studio

Aldo Cibic | CittĂ degli orti

Aldo Cibic | Futurealities

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Aldo Cibic | More with less

Andrea Branzi | Per una nuova carta di Atene

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casi studio

Battle y Roig | El Garraf Natural Park (Barcelona, Spain)

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Park am Nordbahnhof (berlino)

Fantastic Norway | House of Families

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casi studio

renzo piano | laboratorio di quartiere

Villaggio Autocostruito (Pescomaggiore, l’Aquila)

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Martì Guixè | HOCHsitzen (Glashagen, germania)

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casi studio

Atelier Forte

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Tree Hotel (lule river, svezia)

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casi studio

ModCell | York Eco Depot (bristol, regno unito)

OBRA Architects | Red + Housing (namoc, cina)

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Passante verde (mestre, italia)

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casi studio

PMA Landscape Architects | June Callwood Park (toronto,canada)

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ERECT ARCHITECTURE | Evelyn Court Playground (londra)

ERECT ARCHITECTURE | Norwood Park Water Playground (londra)

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casi studio

TOPOTEK 1 | Urban Revitalization Superkilen (copenaghen, danimarca)

Tyin Tegnestue | Klong Toey Community Lantern (bangkok, thailandia)

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Adept Architects | Måløv Axis (Ballerup, Danimarca)

Anfiteatro al parco Miralfiore (Pesaro)

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casi studio

Tyin Tegnestue | safe Haven Bathhouse (Ban Tha Song Yang, Thailandia)

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA


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SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI


abete rosso

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

coniferales

pinacae

sempreverdi

ALTEZZA

altitudine

0-2200m

fioritura

apr

max 50m

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Picea Abies (L.) Karsten (Picea excelsa L.) Nome comune: Abete rosso, Peccio ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa centro-settentrionale (regioni montuose scandinave e russe) e dell’Europa Orientale. È oggi diffuso in tutta Europa ed America a scopo ornamentale. per il legno e la forestazione. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento conico-piramidale, regolare. Raggiunge altezze di 40-50 metri. TRONCO E CORTECCIA Fusto diritto e colonnare, ramificato fin dalla base con palchi secondari quasi orizzontali nei giovani esemplari, mentre con l’avanzare dell’età tendono a piegarsi verso il basso. La scorza è ocra-rossiccia negli piante giovani, bruno-grigiastra in quelle adulte; la parte esterna della scorza stessa si spacca in placche più o meno grandi e spesse a seconda dell’età. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono persistenti, aghiformi, con aghi a sezione quadrangolare, rigidi, di color vedre scuro, lunghi 1530 millimetri, appuntiti e pungenti. Si inseriscono sui rametti in modo radiale rivestendoli completamente. L’inserimento degli aghi avviene su un punto di rilievo, una specie di sella, che rimane anche dopo la caduta delle foglie, determinando una superficie rugosa dei rametti stessi. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Albero monoico con strutture riproduttive maschili formate da coni ovoidali (di 8-10 millimetri) che si formano a gruppi in posizione terminale sui rami di un anno. Il colore inizialmente è rossastro, poi giallo-ocra a maturità (fine primavera). Le strutture riproduttive femminili sono formate da coni ovoidali-allungati dapprima eretti di colore verde con sfumature rossastre, poi a maturità evolvono in pigne pendule di 10-15 centimetri, di color bruno-rossastro. Le squame delle pigne sono strettamente embricate e non si disarticolano dall’asse (la pigna cade intera). NOTE CARATTERISTICHE Si tratta di una pianta molto diffusa in Europa, oltre che per la forestazione, anche a scopo ornamentale (usato anche come tipico “albero di Natale”) come essenza da legno (il legno trova numerose applicazioni in diversi settori produttivi) o da resina utilizzata nelle industrie di

vernici. Predilige ambienti collinari-montuosi con terreno tendenzialmente acido, profondo e umido. È molto resistente al freddo, ma non tollera substrati troppo calcarei e climi troppo caldi e poveri di acqua.


acero campestre

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Terebinthales

aceraceae

caduche

ALTEZZA

altitudine

8001000m

fioritura

apr

max 12m

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Acer campestre L. (Acer campestris) Nome comune: Acero campestre, Oppio ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa; spontaneo in Italia nei boschi mesofili e igrofili, in pianura, specie nelle campagne dove veniva utilizzato come tutore vivo per i vigneti e nelle siepi miste (o pure) dove è un tipico rappresentante autoctono. DIMENSIONE E PORTAMENTO È una pianta a portamento arboreo o arbustivo-cespuglioso con chioma espansa, regolare ovoidale o tondeggiante. Raggiunge altezze di pochi metri se allevato a cespuglio, fino a10-15 metri (o oltre) per gli esemplari arborei. TRONCO E CORTECCIA È un albero con il fusto non sempre eretto spesso diviso e ramificato nella parte medio-bassa, formando chiome cespugliose e basse. La scorza è color ocra-brunastro e liscia, con sfumature grigio-chiare nei giovani esemplari, mentre è bruno-grigiastra con profonde fessurazioni longitudinali e costolature in rilievo negli esemplari adulti (sotto le placche è bruno-rossastra). FOGLIE, GEMME E RAMETTI L’acero campestre ha la foglia caduca, di tipo semplice, con lamina palmato-lobata a 5 lobi (più raramente 3) ed apice leggermente arrotondato. Alcune volte i lobi basali sono appena accennati; i lobi sono generalmente a margine intero. Le foglie sono dotate di un lungo picciolo (2-7 centimetri), sono verdi scure nella pagina superiore, mentre sono verde più chiaro e leggermente tomentose, vicino alle nervature, nella quella inferiore (vellutata). In autunno diventano gialle o rossastre. Le foglie sono lunghe 6-10 centimetri e larghe 5-10 centimetri; si inseriscono sui rami in modo opposto. I giovani rami sono bruno-verdastri con lenticelle chiare ed evidenti. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Albero con fiori ermafroditi e unisessuali maschili, riuniti in inflorescenze erette a corimbo, leggermente pubescenti, lunghe 6-8 centimetri. I singoli fiori sono color giallo-verdastro; la fioritura avviene fra aprile e maggio quasi contemporaneamente all’apertura delle foglie. I frutti sono rappresentati da tipiche samare doppie con ala allungata, lunghe 3-4 centimetri (ognuna) opposte, formanti un tipico angolo di circa 180°. NOTE CARATTERISTICHE L’acero campestre è autoctono in tutta Italia dove è diffuso nei boschi mesofili, nelle macchie spontanee o nelle cam-

pagne sia di pianura che negli areali collinari e montani fino a 800-1000 metri. È una pianta a lento sviluppo utilizzata come essenza da siepe (mista o pura) o come essenza da forestazione in suoli spogli, umidi e declivi o per creare zone di rifugio nelle campagne (alberi singoli o a filari, cespugli, siepi), coadiuvante i moderni indirizzi fitoiatrici di lotta biologica e integrata (le zone rifugio ospitano insetti utili e uccelli insettivori e sono quindi un’ottima fonte di ripopolamento in loco degli entomofagi: metodo protettivo di lotta biologica). Ultimamente si sta rivalutando anche l’aspetto paesaggistico-ornamentale di questi Aceri, alcuni dei quali, specie i vecchi e maestosi esemplari, vengono, in alcune zone, censiti e protetti come specie monumentali. L’Acero campestre è una specie abbastanza rustica, vegeta bene sia in suoli sciolti che compatti, purché profondi e freschi e non asfittici. Tollera abbastanza bene il freddo e predilige esposizioni soleggiate o a mezz’ombra.


acero negundo

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Terebinthales

aceraceae

caduche

pianta ornamentale

max 15m

altitudine

8001000m

fioritura

mar apr

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Acer negundo L. Nome comune: Acero negundo, Acero americano ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta originaria del nord America, introdotta in Europa agli inizi del ‘700, oggi molto diffusa come essenza ornamentale. DIMENSIONE E PORTAMENTO L’Acero negundo può avere portamento arboreo o arbustivo-cespuglioso. Nel primo caso la chioma è medio-alta, blobosa ed espansa, nel secondo caso la chioma è bassa con più fusti basali, conica con apice allargato. Arriva a 10-15 metri di altezza (alberi). TRONCO E CORTECCIA Albero a fusto eretto o sinuoso, ramificato nella parte medio-alta (o fin dalla base per gli esemplari cespugliosi) con chioma a cappello irregolare. La scorza dei rami più giovani, già lignificati, è bruno-ocracea (i rami prima di lignificare rimangono a lungo verdi), quella degli organi legnosi più vecchi è grigiastra, con sfumature brunastre, irregolare ed incisa con strisce in rilievo. FOGLIE, GEMME E RAMETTI L’Acero negundo ha la foglia caduca, composta, di tipo imparipennato con 3-5-7 foglioline inserite in modo sessile o sub-sessile sul picciolo comune. Le foglioline sono di forma ovoidale-ellittica o lanceolata con apice acuto e margine dentato irregolare (in alcuni casi sembra lievemente lobato), sono lunghe 4-7 centimetri, di colore verde chiaro. L’inserzione sui giovani rametti, verdastri, lucidi e abbastanza fragili, è opposta. Esistono delle varietà con foglie variegate e maculate di bianco o giallastro (vedi Note caratteristiche). STRUTTURE RIPRODUTTIVE Èun albero dioico con fiori unisessuali riuniti in inflorescenze. Le inflorescenze maschili sono formate da corimbi eretti, giallo-verdastri8 con sfumature rosate; quelle femminili da armenti più lunghi e penduli di color gialloverdastro. In ogni caso le strutture maschili e femminili si trovano su piante separate (dioiche); la fioritura inizia ad aprile. I frutti sono rappresentati da samare doppie ad ali allungate (3-4 centimetri), incurvate e disposte ad U rovesciata in modo quasi parallelo fra loro a formare un angolo stretto, quasi acuto. NOTE CARATTERISTICHE L’Acero negundo è una pianta a crescita molto veloce a anche per questo utilizzata nei parchi e/o giardini come

esemplare ornamentale. Trova spesso impiego anche nel verde pubblico e lungo le strade, o sui viali, in “alberature”. Esistono delle varietà ornamentali con effetti cromatici particolari, allevate sia ad alberello che a cespuglio, fra queste si ricordano: A. negundo var. variegatum con foglie variegate al margine e/o maculate all’interno della lamina di bianco; A. negungo var. aureis-marginatis (o aureo-marginatum) con foglie variegate al margine di giallastro; A. negundo var. aureum con foglie di color giallo vivo; A. negundo var. flamingo con foglie (sopratutto quelle dei germogli) variegate di bianco, rosa e verde. Nei paesi di origine da questo Acero si estrae una sostenza dolciastra utilizzata per produrro il tipico sciroppo d’Acero (estratto anche da A. saccharum). L’Acero negundo si adatta a molti tipi di substrato essendo rustico e frugale, tollera sia i terreni a reazione acida che quelli sub-alcalini, resiste bene al calcare, al freddo e ai temporanei eccessi di unidità. Nei confronti degli agenti inquinanti manifesta moderata resistenza. Esige esposizioni a pieno sole o parzialmente ombreggiate.


agrifoglio

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

celastrales

aquifoliaceae

sempreverdi

pianta ornamentale

0-1400m

fioritura

apr

max 10m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Ilex aquifolium L. Nome comune: Agrifoglio ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa meridionale e delle regioni atlantiche; in Italia è diffuso in tutte le regioni dal piano fino a 1400 metri di quota. DIMENSIONE E PORTAMENTO Le sue dimensioni generalmente rimangono contenute entro i 10 metri, con un portamento che può risultare arboreo od arbustivo; sono stati in ogni caso osservati anche esemplari di oltre 20 metri di altezza. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è diritto ed affusolato da cui dipartono dei rami patenti che originano una chioma conica che in alcune varietà è densamente fogliosa. La corteccia è omogenea e verde-grigiastra nelle piante giovani, mentre tende a solcarsi ed imbrunirsi con l’età. FOGLIE, GEMME E RAMETTI L’Agrifoglio presenta le foglie sempreverdi, semplici e bifacciali; l’inserzione è alterna e avviene mediante un picciolo corto e tozzo su rametti sottili e glabri di colore verdastro. La lamina fogliare è coriacea e lucida, di colore verde scuro e forma ellittica, con 12-16 pronunciamenti spinosi, nelle piante giovani, che tendono ad arrotonadrsi nelle foglie all’apice della chioma e nelle piante adulte. Il margine è intero, ma ondulato, più chiaro della lamina. Nervatura penninervia con l’asse centrale ben visibile. La pagina inferiore è chiara, quasi glauca. Esistono delle varietà ornamentali di Agrifoglio con foglie verdi maculate e marginate di giallo, altre con foglie completamente gialle o sfumate di rosso (quelle dei germogli). STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori sono unisessuali, di piccole dimensioni (massimo 1 centimetro) e poco visibili. I fiori maschili e quelli femminili si trovano su piante separate (piante dioiche), sono brevemente peduncolati e si possono trovare singolarmente o, più frequentemente, riuniti in fascetti all’ascella delle foglie, verso la parte terminale del rametto. I fiori maschili hanno 4 stami ed i petali bianchi contornati di rosso, quelli femminili hanno l’ovario supero e la corolla completamente bianca. La fioritura avviene tra i mesi di aprile e maggio. Il frutto è rappresentato da una piccola drupa (diametro 1 centimetro) rosso-scarlatta che matura in inverno e persiste sulla pianta conferendo un notevole effetto decorativo (in alcune varietà le drupe possono essere gialle).

NOTE CARATTERISTICHE L’Agrifoglio è una pianta diffusa a scopo ornamentale ed allo stato naturale entrando a far parte dei boschi di latifoglie, consociandosi molto bene con il Faggio, in quanto predilige fasce climatiche umide. Come ornamentale è sempre più apprezzata per la bellezza del fogliame e l’aspetto decorativo dei frutti durante l’inverno. Sono state così create numerosissime varietà con diverso portamento e peculiari caratteristiche fogliari (alcune varietà hanno infatti fogliame variegato di giallo con effetto molto decorativo, var. “golden king”). Innestando inoltre su un soggetto maschile una marza di pianta femminile si possono ottenere i frutti con la coltivazione di un’unica essenza. L’Agrifoglio predilige luoghi ombreggiati ma luminosi e teme le variazioni climatiche con repentini sbalzi termici. In ogni caso può essere posizionato anche in ambienti soleggiati purché il suolo sia mantenuto umido. Vegeta ottimamente in terreni sabbiosi a reazione acida, ricchi di sostanza organica ed elementi minerali, non tollera substrati molto calcarei. Per la buona resistenza all’inquinamento può essere impiegato nella formazione di siepi in città. Pianta longeva e di lento accrescimento, possiede un legno robusto ed omogeneo, chiaro appena tagliato, ma che con il tempo tende ad imbrunire. Da annoverare inoltre la specie congenere Ilex crenata, si tratta di un arbusto di minori dimensioni, con foglie più piccole e lamina ovoidale-allungata con margine e apice spinosi. È sempre una pianta dioica i cui esemplari femminili portano dei frutti tondeggianti nerastri; è una pianta adatta a formare piccole barriere o siepi sempreverdi. Di questa specie esiste una varietà a fogliame giallo molto decorativo (“golden gem”).


alloro

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

polycarpiace

lauraceae

sempreverdi

pianta ornamentale

pianta officinale

pianta aromatica

lavorazione del legno

gen

fe

b

max 10m

altitudine

0-800m

fioritura

mar

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Laurus nobilis L. Nome comune: Alloro, Lauro ORIGINE E DIFFUSIONE Originario del bacino del Mediterraneo (dalle regioni costiere del sud Europa a quelle nordafricane e asiatiche). In Italia è oggi diffuso praticamente in tutte le regioni, anche se cresce spontaneamente solo in quelle centro-meridionali, dal piano fino a 800 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Piccolo cespuglio o alberetto, supera molto raramente i 10 metri di altezza. La ramificazione allo stato naturale tende ad essere monopodiale e presente fin dalla parte basale, creando così una fitta chioma conica. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è diritto, ma non regolare, notevolmente ramificato fin dalla base facendo assumere alla chioma un aspetto cespuglioso; la corteccia è molto liscia, anche nelle piante adulte, bruna o grigiastra, a volte con riflessi verdognoli. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono sempreverdi, molto aromatiche, semplici e bifacciali; l’inserzione è alterna, mediante un breve picciolo, su rametti verdi lenticellati. Le foglie inoltre sono molto coriacee, lunghe 6-10 centimetri e larghe 2-3 centimetri; queste misure esprimono la sua forma ovalizzata che viene esasperata nell’apice molto acuminato. Il margine è intero con bordi ondulati e la nervatura penninervia con l’asse centrale notevolmente marcato. La pagina superiore è liscia e di color verde scuro, quella inferiore risulta più chiara; se stropicciate emanano un caratteristico e intenso profumo. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta dioica con fiori unisessuali, peduncolati, di piccole dimensioni, riuniti in caratteristiche ombrelle; hanno il perianzio costituito da 4 petali. I fiori maschili possiedono 8-12 stami e sono di colore giallo chiaro; quelli femminili, di colore identico, hanno l’ovario supero, un solo pistillo e degli stami sterili (generalmente 4). La fioritura avviene a fine inverno o inizio primavera. Il frutto che si origina è una bacca monosperma del diametro di 1-2 centimetri che, con la maturazione nel mese di settembre, assume un bel colore nerastro-lucido. NOTE CARATTERISTICHE Il Lauro è una pianta rustica tipica della macchia mediterranea. Si adatta molto bene al freddo e i rami molto elastici possono resistere al peso della neve, ma non sopporta gelate

prolungate per cui, nelle regioni settentrionali, è bene posizionarla in luoghi riparati dalle correnti d’aria fredda ed esposti al sole. È quindi una pianta apprezzata sia dal punto di vista paesaggistico che ornamentale; sotto quest’ultima veste viene utilizzata soprattutto per la formazione di folte siepi sempreverdi o di cespugli isolati di notevole aspetto estetico; occorre però ricordare che in seguito ad interventi di potatura e contenimento la pianta non fiorirà, in quanto la fioritura avviene sui rami dell’anno. Predilige terreni profondi ricchi di elementi nutritivi; su terreni poveri il suo sviluppo è limitato e vengono facilitati gli attacchi da parte di crittogame ed insetti. Il Lauro si adatta, inoltre, a esposizioni parzialmente ombreggiate e tollera bene gli ambienti costieri e marini. La crescita è lenta e per questo il legno giallo-brunastro è di buona qualità. Viene utilizzato per lavori di artigianato e piccole barriere o sostegni. Tutte le sue parti sono ricche di oli essenziali, le foglie possiedono proprietà digestive ed aromatiche; le bacche vengono invece utilizzate in profumeria e per la preparazione di unguenti e balsami.


betulla bianca

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

fagales

betulaceae

caduche

ALTEZZA

altitudine

4002000m

fioritura

apr

max 30m

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Betula pendula Roth (= Betula alba L. p.max.p.; Betula verrucosa Ehrh) Nome comune: Betulla bianca, Betulla verrucosa, Betulla d’argento ORIGINE E DIFFUSIONE Originaria dell’Europa e dell’Asia, in Italia è diffusa nelle regioni settentrionali e lungo la dorsale appenninica dell’Italia Centrale tra i 400 ed i 2000 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO Raggiunge altezze di 25-30 metri, ha portamento arboreo con chioma leggera, slanciata e stretta lungo il tronco. TRONCO E CORTECCIA Tronco diritto e sottile, molto ramificato e con corteccia bianca e liscia che si sfalda longitudinalmente in lamine sottilissime, scoprendo la scorza più giovane che è molto chiara. Invecchiando si hanno delle fessurazioni scure che partono dalla base del tronco che diventa più scuro e rugoso. FOGLIE, GEMME E RAMETTI È una pianta a foglia caduca, di tipo semplice e bifacciale, con inserzione alterna, mediante un picciolo lungo pochi centimetri su rametti sottili, glabri, scabri e tipicamente penduli. Le foglie hanno forma rombo-triangolare, con nervature penninervie, margine dentato e sottilmente seghettato; infine la base è stretta e cuneata. La pagina superiore è liscia e verde, quella inferiore è glabra, presenta delle formazioni ghiandolari, ed è leggermente più chiara. Sono foglie di piccole dimensioni, non superano i 3-5 x 5-7 centimetri. I giovani rami ed i ramuli sono penduli e glabri. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica, con inflorescenze unisessuali rappresentate da amenti. Gli amenti maschili sono lunghi 4-5 centimetri, sessili e giallo-brunastri; quelli femminili sono penducolati, più corti e tozzi, di colore verdastro. La fioritura avviene nei mesi di marzo ed aprile, prima della fogliazione. I frutti (acheni) sono contenuti in infruttescenze a cono, giungono a maturazione a fine primavera- inizio dell’estate e sono costituiti da espansioni laminari maggiori di tre volte il frutto centrale contenente il seme. NOTE CARATTERISTICHE La betulla bianca è una pianta “frugale” in quanto non ha particolari esigenze nutritive, per questo motivo si insinua sui terreni nudi, privi di vegatazione. Il suo areale di distribuzione è estremamente vasto, andando dalla Sicilia

fino alle regioni europee settentrionali, formando boschetti puri, chiamati “betuleti”, o misti entrando in consociazione con Latifoglie e Conifere. Di particolare effetto paesaggistico risultano i boschetti costituiti dalla Betulla bianca e dalla Rovere. In Italia centro-settentrionale è tipica dell’ambiente collinare e montano; la Betulla bianca ama la luce ed i terreni sciolti dove non ristagna l’acqua, di cui però necessita abbondantemente. Il terreno deve essere inoltre aerato e tendenzialmente acido. L’apparato radicale si sviluppa molto, per cui viene anche impiegata nel consolidamento di terreni instabili. È una specie pioniera non molto longeva, il cui legno, longevo ed elastico, viene impiegato ed apprezzato per molteplici scopi: nella costruzione di doghe per le botti, mobili, piallicciati e compensati, giocattoli ed articoli dell’artigianato. Il legno viene inoltre apprezzato per la produzione di carbone, principi medicamentosi ad azione adsorbente intestinale ed inchiostro. Dalla corteccia vengono estratte sostanze oleose disinfettanti ad impiego dermatologico, sostanze balsamiche e polioli impiegati nell’alimentazione zootecnica come fonte energetica. Per le sue caratteristiche ed il suo portamento elegante è impiegata in parchi e giardini come pianta ornamentale. La fioritura, la corteccia caratteristica, il portamento e la colorazione giallo-dorata che assume il fogliame in autunno ne fanno una pianta gradevole in tutte le stagioni.


bosso

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

tricoccae

buxaceae

sempreverde

lavorazione del legno

max 5m

altitudine

0-800m

fioritura

mar apr

ALTEZZA

pianta ornamentale


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Buxus sempervirens L. Nome comune: Bosso ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa di alcune regioni nordafricane e dell’Asia occidentale. Diffuso in Italia a scopo ornamentale. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arbustivo con chioma generalmente conica o globosa, molto densa e compatta. Raggiunge altezze di 2-6 metri. TRONCO E CORTECCIA Pianta a fusto basso, sinuoso, solitamente diviso e ramificato fin dalla base; forma una chioma larga ed espansa, piuttosto bassa e regolare. La scorza è ocracea e ruvida già nei giovani organi legnosi, diventa nocciola-brunastra e presenta dei rilievi e delle costolature in quelli più vecchi. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Arbusto a foglia persistente, semplice, con lamina tondeggiante, obovata-ellittica o lanceolata (a seconda delle diverse forme varietali) con apice arrotondato (retuso) o smarginato. Il margine è intero e leggermente ripiegato verso la pagina inferiore (revoluto). Le foglie hanno consistenza fortemente coriacea, sono color verde scuro e lucide nella pagina superiore e verde chiaro in quella inferiore; le foglie sono inoltre brevemente picciolate e lunghe 1-3 centimetri. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con fiori unisessuali riuniti in infiorescenze miste formate da un fiore femminile centrale circondato a corolla da fiori maschili. Queste infiorescenze sono molto piccole e poste lungo i rametti all’ascella delle foglie; sono di colore giallastro. La fioritura si ha fra aprile e maggio. I frutti sono rappresentati da piccole capsule ovoidali o cilindriche che presentano nella parte superiore tre prolungamenti esterni a cornetto: viste dall’alto, le 3 protuberanze sono poste ai vertici di un triangolo. NOTE CARATTERISTICHE Il Bosso è una pianta spontanea in molti boschi termofili dell’Italia centro-settentrionale, specie su substrati calcarei o poveri e sassosi. Si adatta sia ad areali pianeggianti che collinari e submontani fino a 600-800 metri di altitudine. Viene anche coltivato e utilizzato come pianta ornamentale e di interesse paesaggistico di sicuro effetto decorativo. Sono state selezionate anche molte varietà: alcune nane per piccole siepi o bordure, come la varietà sufruticosa,

altre con particolari caratteristiche del fogliame o del portamento per altre soluzioni. A questo scopo il Bosso può essere impiegato per formare siepi di piccole o medie dimensioni oppure cespugli isolati o a gruppi con indubbi effetti estetici e decorativi, dovuti al portamento ed al fogliame persistente. il Bosso inoltre si adatta, unitamente al Ligustro, a interessanti soluzioni paesaggistiche, come quelle dell’arte topiaria dei classici giardini all’italiana rinascimentali, dove si cercava di dare a queste piante una forma obbligata che richiama figure di animali o altro. Con il Bosso questo possibile per la duttilità e la resistenza della pianta agli interventi cesori continui ripetuti e alle potature ricorrenti. Lo sviluppo del Bosso è lento ed è indifferente al tipo di substrato, vegetando sia in quelli argillosi compatti che in quelli poveri e sassosi ( è molto indicato per terreni calcarei). È una pianta da esposizione sia soleggiata che a mezz’ombra (sottobosco). Resiste bene agli agenti inquinanti atmosferici. Non ha inoltre problemi di sopravvivenza in ambienti siccitosi o in climi rigidi (tollera bene le gelate). È da ricordare infine l’uso artigianale che può essere fatto del legno del Bosso, spesso ricercato da piccoli artigiani e scultori.


carpino bianco, carpino comune

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

fagales

corylaceae

caduche

pianta ornamentale

max 20m

altitudine

0-1200m

fioritura ma g giu

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Carpinus betulus L. Nome comune: Carpino bianco, Carpino comune ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa centrale e delle regioni Caucasiche, il Carpino bianco in Italia è diffuso in tutte le regioni, ad esclusione delle isole, coprendo una zona altimetrica che si estende dal piano fino a 1200 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il Carpino bianco può raggiungere i 20 metri di altezza; ha per lo più portamento arboreo, ma lo si può osservare anche con portamento arbustivo, specialmente se coltivato a scopo ornamentale o come essenza da siepe. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è diritto con corteccia grigiastra, liscia, leggermente solcata. La chioma è fitta con andamento tendenzialmente verticale che fornisce alla pianta un aspetto slanciato. FOGLIE, GEMME E RAMETTI È una piccola pianta a foglia caduca, di tipo semplice, bifacciale, con inserzione alterna, mediante un picciolo lungo 1-2 centimetri. I rametti sono brunastri, forniti di poche lenticelle di piccole dimensioni. La lamina fogliare ha forma ovalizzata (3-4 x 7-8 centimetri), con apice appuntito e base arrotondata fino ad introflettersi. Il margine ha doppia dentatura; la nervatura è penninervia, ben marcata. La pagina superiore ha colore verde scuro ed è liscia, quella inferiore, più chiara, presenta una fine peluria soprattutto in corrispondenza delle nervature. Le gemme sono appuntite, rosso-brunastre, pubescenti. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con infiorescenze unisessuali. Le infiorescenze maschili sono rappresentate da amenti lunghi da 1 a 4 centimetri, di colore giallastro; quelle femminili, più piccole, si trovano all’apice dei rametti ed hanno colore più verdastro; sono entrambe brevemente peduncolate. La fioritura, poco vistosa, avviene a fine inverso o all’inizio della primavera, contemporaneamente alla comparsa delle foglie. Il frutto è rappresentato da achenio con pareti ispessite (nucula) di 5 millimetri, dotato di una espansione laminare trilobata di 2-3 centimetri. I frutti sono riuniti in infruttescenze peduncolate e pendule lunghe fino a 10-15 centimetri. NOTE CARATTERISTICHE Il Carpino bianco in Italia è diffuso ovunque; in passato, insieme alla Farnia, costituiva le vaste foreste che coprivano

la pianura padana e proprio dalla lingua delle popolazioni celtiche che la popolavano pare che derivi il suo nome. Vegeta bene in terreni argillosi e calcarei ricchi di humus e profondi, ma si adatta anche su substrati più poveri. Specie eliofila, in montagna entra nella costituzione di boschi decidui sui versanti esposti al sole, si adatta comunque ad esposizioni a mezz’ombra. Ha elevata attitudine pollonifera ed è impiegata come specie di interesse forestale; oggi è comunque molto apprezzata e rivalutata anche come specie ornamentale e di interesse paesaggistico per la sua rusticità e adattabilità. Per quest’ultimo scopo viene particolarmente apprezzata, per la resistenza agli interventi cesori e per la chioma fitta che la rende particolarmente adatta alla costituzione di siepi. Tra le varietà impiegate a scopo ornamentale, citiamo: il Carpinus betulus var. pyramidalis, dotato di una regolare forma conica con chioma ramificata fin dalla base di notevole effetto estetico, indicato anche per piccoli spazi. Si citano inoltre la var. purpurea, nella quale il fogliame inizialmente ha colore rosso scuro; la var. incisa, nella quale le foglie sono più piccole rispetto alle altre varietà e con i margini che presentano una dentatura più marcata. Da ricordare inoltre la Carpinella (Carpinus orientalis Mill.), pianta generalmente a portamento arbustivo e più contenuto rispetto al Carpino bianco, molto pesante e compatto, era apprezzato in passato per la costruzione di utensili ed attrezzature, soprattutto agricole, che richiedessero particolari doti di robustezza e resistenza all’usura. Oggigiorno per questi scopi vengono impiegati altri materiali, per cui, anche a causa della difficoltà nella lavorazione, il suo utilizzo è diminuito. Dal Carpino bianco si ottengono combustibili molto apprezzati.


carpino nero

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

fagales

corylaceae

caduche

pianta ornamentale

max 20m

altitudine

0-1000m

fioritura ma g giu

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Ostrya carpinifolia Scop. Nome comune: Carpino nero ORIGINE E DIFFUSIONE Originario del bacino del Mediterraneo orientale e delle regioni caucasiche. In Italia è diffuso in tutte le regioni, in particolare negli areali collinari e montani dove si estende fino a circa 1000 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il Carpino nero può raggiungere i 20 metri di altezza. Ha portamento arboreo o arbustivo a macchia; la chioma inizialmente ovale o conica diventa sempre più globosa e irregolare, fino a raggiungere il diametro di 8 metri. TRONCO E CORTECCIA Il tronco si presenta eretto e regolare, con corteccia bruna tendente al grigiastro, liscia con tendenza a solcarsi e a fessurarsi negli esemplari più adulti. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglia caduca, di tipo semplice e bifacciale, con inserzione alterna ed opposta, mediante un corto picciolo. I rametti sono bruni con molte lenticelle, dapprima di piccole dimensioni, ma che in seguito si allungano rendendosi più evidenti. La lamina fogliare è ovata, con apice appuntito e base arrotondata o cordata (2x5 centimetri). La nervatura è di tipo penninervio, con minimo 12 nervature secondarie per lato da cui si dipartono delle nervature terziarie. Il margine presenta una doppia dentatura. La pagina superiore, liscia e lucida, è di colore verde intenso, quella inferiore, più chiara, inizialmente è pubescente, poi diventa glabra. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con infiorescenze unisessuali. Le infiorescenze maschili sono rappresentate da amenti lunghi da 5 a 12 centimetri, posti in gruppi di 2-3; gli stami, di colore bruno, sono molto corti ed in numero che varia da 4 a 10. Gli amenti femminili sono più tozzi, non più lunghi di 5 centimetri e si trovano all’apice dei rametti; essi diventano penduli con l’approssimarsi della fioritura che avviene contemporaneamente alla comparsa delle foglie nei mesi di aprile-maggio. Il frutto è un achenio con pareti molto ispessite (nucula) delle dimensioni di 1-2 centimetri, avvolto da brattee chiare. I frutti sono riuniti in tipiche infruttescenze pendule di 6-7 centimetri di lunghezza, molto dense e compatte, somiglianti a quelle del luppolo. NOTE CARATTERISTICHE Il Carpino nero in Italia è particolarmente diffuso nelle

regioni nord-orientali e adriatiche. Si trova associato in particolar modo con la Rovella nel formare boschi xerofili e termofili. Predilige infatti terreni drenanti, ricchi di calcare, adattandosi anche a quelli poco profondi in quanto ha un apparato radicale piuttosto superficiale. In montagna si sviluppa sui versanti più esposti al sole poiché si tratta di una specie eliofila e termofila, che teme le gelate. Il Carpino nero è stato, negli ultimi anni, rivalutato anche come essenza di interesse paesaggistico, date anche le sue scarse esigenze di substrato; infatti può entrate anche nella formazione di alberature stradali o di barriere arbustive (sfruttando la sua capacità pollonifera). Il legno, più rossastro di quello del Carpino bianco, trova la sua stessa applicazione.


castagno

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

fagales

fagaceae

caduche

pianta ornamentale

ALTEZZA

max 30m

altitudine

8001400m

fioritura ma g


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Castanea sativa Mill. Nome comune: Castagno ORIGINE E DIFFUSIONE Albero originario delle regioni sud-europee, dell’Asia Minore e di alcune zone dell’Africa settentrionale. Oggi è abbastanza diffuso in italia negli areali collinari e montani fino a 900-1000 metri. Nelle regioni meridionali si estende a maggiori altitudini. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arboreo, con chioma conico-piramidale nei giovani esemplari, con tendenza a diventare espansa, globosa, irregolare negli esemplari adulti. Raggiunge i 20-30 metri di altezza. TRONCO E CORTECCIA Fusto diritto, ramificato nella parte medio-alta, dove forma una chioma larga ed irregolare specie nei boschi dove è maggiore la competizione spazio-luce. La scorza è brunastra con sfumature grigiastre, intensamente solcata e fessurata longitudinalmente negli esemplari adulti, mentre è liscia e di colore grigio-nocciola in quelli giovani. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglie caduche, semplici, olunghe-lanceolate lunghe 10-20 centimetri, con margine seghettato e apice appuntito. Le foglie inoltre sono di colore verde intenso e lucide, più chiare nella pagina inferiore, picciolate e ad inserimento alterno sui rametti. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con fiori unisessuali riuniti in infiorescenze. Le infiorescenze maschili sono rappresentate da spighe lunghe 10-20 centimetri, di colore giallo-verdastro, poste all’ascella delle foglie; quelle femminili sono costituite da fiori singoli o riuniti a gruppi di 2-3 (più raramente 4-5) posti alla base delle infiorescenze maschili, raccolti da un unico involucro. La fioritura si ha in piena estate (giugnoluglio). Il frutto è rappresentato da una noce detta castagna, con base allargata di diametro 4-6 centimetri, interamente rivestita da una capsula spinosa detta riccio, che a maturità si apre per liberare la o le castagne contenute. NOTE CARATTERISTICHE In Italia il Castagno è diffuso negli ambienti collinari e montani fino a 800-1000 metri nelle regioni centrosettentrionali, fino a 1200-1300 metri nell’Italia meridionale. Si tratta di una pianta non molto rustica che richiede ambienti a clima umido e temperato, senza notevoli escursioni termiche. Predilige substrati tendenzialmente

acidi, freschi, profondi e umidi senza però ristagni idrici, non tollera i suoli calcarei e le gelate prolungate ed intense; preferisce esposizioni a mezz’ombra. Il Castagno è utilizzato nei rimboscamenti di aree marginali ed è coltivato inoltre sia per il frutto edule e ricercato, sia per il legno abbastanza robusto. In certe zone viene utilizzato anche come pianta ornamentale e di interesse paesaggistico.


ciavardello

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

rosales

rosaceae

caduche

ALTEZZA

max 20m

pianta ornamentale

pianta officinale

altitudine

8001000m

fioritura ma g giu

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Sorbus torminalis (L.) Crantz. Nome comune: Ciavardello o Sorbo selvatico ORIGINE E DIFFUSIONE È un altro Sorbo europeo, diffuso in Europa settentrionale e centro-meridionale fino al Caucaso (escluse le regioni scandinave). Si trova inoltre in alcuni areali nord-africani. La sua diffusione in Italia va dalle pianure fino a 700-800 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il portamento è arboreo o arbustivo con chioma fitta, ampia, appiattita negli esemplari isolati. Le piante a portamento arboreo raggiungono i 10-20 metri di altezza, quelle arbustive (degli areali meridionale) sono alte pochi metri. TRONCO E CORTECCIA Il Ciavardello è caratterizzato da un fusto diritto e sinuoso (negli esemplari a gruppi), ramificato e diviso o nelle parti medio-alte (alberello) o fin dalla base (cespugli). La scorza è di colore grigiastro e liscia nei giovani eseplari, brunoocracea e rugosa in quelli più vecchi, dove si sfalda anche a placche. FOGLIE, GEMME E RAMETTI La foglia è caduca, semplice, con lamina ovoidale o ovata, con base arrotondata o cordata, lobata con 7 (o 9) lobi acuti, profondamente incisi, a margine dentato. Le foglie hanno un lungo picciolo (2-3 centimetri), sono di colore verde chiaro (lucido nella pagina superiore) e glabre. Assumono sfumature color porpora in autunno, sono lunghe 5-10 centimetri, inserite in modo alterno. I giovani rametti sono leggermente tomentosi e verdastri, quelli più vecchi sono grigiastri e lucidi. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta con fiori ermafroditi biancastri di circa 1 centimetro di larghezza, dotati di 5 petali e 2 stli. I fiori sono riuniti in infiorescenze a corimbo, erette e leggermente tomentose, larghe circa 10 centimetri. Il Ciavardello fiorisce a maggiogiugno. I frutti sono rappresentati da pomi ovoidali-ellittici di circa 1,5 centimetri di diametro, di colore ocraceorossastro, poi brunastro rugginoso a maturità (fine estate); contengono circa 4 semi. NOTE CARATTERISTICHE Il Ciavardello è un Sorbo con presenza sporadica un po’ in tutte le regioni italiane, in boschi di latifoglie o ai loro margini, nelle macchie o radure, soprattutto degli areali montani o collinari fino a 800-1000 metri di altitudine.

Predilige suoli acidi o sub-acidi, argillosi, profondi, ma si adatta bene anche a substarti calcarei e sassosi. È una pianta eliofila a lenta crescita ma molto longeva, utilizzata per colonizzare alcune aree marginali o per il legno di buona qualità. Negli ultimi anni è stato rivalutato anche il suo aspetto decorativo, per cui viene utilizzata anche a scopo ornamentale.


ciliegio

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

rosales

rosaceae

caduche

ALTEZZA

altitudine

0-500m

fioritura

apr

max 20m

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Prunus avium L. Nome comune: Ciliegio ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta originaria dell’Asia occidentale, si è successivamente diffusa in tutta Europa, dove è coltivata per il frutto ed il legno. In Italia è presente in pianura e collina fino a 500 metri di quota (in alcuni areali montani fino a 1500 metri). DIMENSIONE E PORTAMENTO Il portamento è arboreo, con cima conica o globosa ed espansa, piuttosto regolare. Raggiunge altezze variabili secondo le varietà, comprese fra 3-8 fino a 15-20 metri. TRONCO E CORTECCIA Possiede un fusto eretto, ramificato nella parte medio-alta, formando esemplari arborei con chioma molto espansa. Rare sono le forme arbustive o cespugliose. La scorza è brunastra-rossiccia e liscia nei giovani esemplari, brunogrigiastra e rugosa in quelli più vecchi. Stesse caratteristiche manifesta la specie P. cerasus (amarena); essa però ha un portamento più ridotto (a volte arbistivo) e una chioma con le ramificazioni che pendono verso il basso accentuando l’aspetto cespuglioso e globoso della chioma. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglia caduca, di tipo semplice, con lamina obovata o oblunga, leggermente lanceolata, con apice pronunciato, appiattito e margine seghettato. La base della lamina ha 2 formazioni ghiandolari a livello dell’inserimento sul picciolo (rossastro). Il picciolo è lungo 3-5 centimetri; le foglie misurano da 6-7 a 13-15 centimetri, sono color verde scuro in superficie, più chiare e leggermente pubescenti inferiormente, a livello delle nervature e alla loro ascella.le foglie sono inserite in modo alterno. Il P. cerasus ha le foglie più piccole (6-10 centimetri), senza ghiandole e interamente glabre. I giovani rami sono grigiastri sfumati di rosso, lisci e lucidi con lenticelle chiare. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta con fiori ermafroditi riuniti in piccoli grappoli o corimbi di 2-8 elementi. I fiori sono posti su un lungo peduncolo (4-5 centimetri), sono larghi circa 2,5 centimetri, color bianco. La fioritura si ha tra aprile e maggio, praticamente in contemporanea all’apertura delle foglie. Il frutto è costituito da una drupa con diametro di 1-3 centimetri, rossastra o violacea, con polpa succosa, dolce o acidula, croccante o morbida secondo le specie e le varietà. NOTE CARATTERISTICHE

Il Ciliegio è una pianta molto rustica e diffusa in Italia dove viene coltivata (nelle sue numerose specie) sia per il frutto che per il legno, ricercato e pregiato. Si trova spontanea, come Ciliegio selvatico, ai margini dei boschi (specie eliofila) o lungo i corsi d’acqua, consociata ad altra vegetazione. Lo si può trovare anche negli areali montani o submontani fino a 1200-1500 metri di altitudine, in boschi di latifoglie. È una pianta abbastanza resistente al freddo e al gelo; si adatta a molti tipi di substrato anche quelli calcarei e argillosi (così come il P. cerasus). Esistono molte varietà di ciliegi ornamentali derivati da incroci o da selezioni come le specie P. serrulata, P. sargentii, P. “Kanzan”, P. “hokusai”, P. “taoyoma-zakura”, ecc. sono piante con fiore semplice o doppio, utilizzate a scopo paesaggistico e decorativo (per il fiore). La specie Prunus cerasus (amarena), pur con caratteristiche generali simili, ha portamento più ridotto (5-8 metri) e una chioma più globosa e “bassa” con rami un po’ pendenti. Le foglie sono ovoidali con apice appuntito, i fiori sono simili a quelli del Ciliegio anche se a volte si aprono più tardi. I frutti hanno un peduncolo più corto, sono di color arancio-rossastro e sono più aciduli e acqosi rispetto a quelli del Prunus avium. Da annoverare infine altre due specie: il Prunus mahaleb ed il Prunus subhirtella. Il Prunus mahaleb o ciliegio di Santa Lucia è originario del centro Europa; le foglie sono ovali, leggermente coriacee e di color verde chiaro. I fiori, abbondanti, sono riuniti in grappoli terminali e sono di colore bianco; il frutto è rappresentato da una piccola drupa nerastra a maturità. Predilige gli ambienti non troppo freddi ed i suoli calcarei ed argillosi; trova utilizzo come porta-innesto di alcuni Ciliegi. Il Prunus subhirtella è un piccolo albero di origine giapponese utilizzato, nelle sue molteplici varietà, a scopo ornamentale per le fioriture abbondanti e decorative che sbocciano a partire dalla fine dell’inverno (la varietà autumnalis fiorisce da novembre). I fiori sono semplici o doppi, di colre bianco, rosato o crema secondo le varietà considerate.


crespino

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

polycarpicae

berberidaceae

caduche

pianta ornamentale

max 2m

altitudine

0-2000m

fioritura ma g giu

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: berberis vulgaris L. Nome comune: crespino ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta originaria e diffusa in europa, in africa settentrionale e nel continente asiatico. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arbustivo e cespuglioso, ramificata fin dalla base. La chioma è larga e a volte irregolare; raggiunge altezze di 1-2 metri. TRONCO E CORTECCIA Cespuglio con rami basali eretti o sinuosi molto ramificati e costoluti. La scorza è color grigio-ocraceo o brunastro, i fusti e le ramificazioni sono dotati di spine lunghe 1-2 centimetri, derivanti dalla trasformazione di foglie e stipole. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglie caduche, semplici, con lamina oblungaellittico-lanceolata di colore verde intenso e lucida, con margine dentato e apice ottuso. Sui nodi, alla base delle foglie, partono tre spine lunghe 1-2 centimetri. Le foglie sono lunghe 3-4 centimetri. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Arbusto con fiori ermafroditi giallastri e riuniti in un’infiorescenza a grappolo pendulo di 3-6 centimetri con 20-30 fiori. La fioritura si ha durante il mese di maggio. I frutti sono rappresentati da grappoli di bacche ovoidali allungate, lunghe 8-10 millimetri e rosse a maturità. NOTE CARATTERISTICHE Il crespino è una pianta spontanea in molti paesi dell’Europa meridionale ed in Italia dove, peraltro, è diventato piuttosto raro. Colonizza boschetti o macchie di latifoglie o conifere dove può essere trovato anche ai margini degli stessi. Predilige zone esposte, con suoli argillosi e calcarei. Come noto, il crespino è l’ospite intermedio della ruggine nera del grano, per cui è stato estirpato ed eliminato dagli egroecosistemi, soprattutto negli areali a coltivazione di cerali (anche per questo è diventato meno frequente).


farnia

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

fagales

fagaceae

caduche

ALTEZZA

max 40m

pianta ornamentale

altitudine

0-900m

fioritura ma g giu

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Quercus robur L. Nome comune: Farnia ORIGINE E DIFFUSIONE È una tipica pianta europea, originaria dei paesi dell’Europa centro-settentrionale (dall’Italia alla fascia settentrionale della penisola iberica, fino alle regioni meridionali della Scandinavia). DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arboreo, con chioma ampia, espansa, più o meno globosa con apice arrotondato in una formazione cupoliforme di aspetto maestoso. Raggiunge altezze di 30-40 metri. TRONCO E CORTECCIA Il fusto è dritto, ramificato interamente nella parte medio-alta, con rami disposti in modo tale da formare un cappello ampio, globoso o affusolato a seconda dell’età e dell’ambiente. La scorza è grigiastra, intensamente solcata e incisa longitudinalmente a formare costolature o strisce in rilievo. La chioma è irregolare se la pianta è associata ad altre, o posta a dimora con sesti molto ravvicinati. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglie Caduche, semplici, di tipo obovato con apice più espanso e lamina più stretta presso l’inserzione sul ramo che avviene tipicamente innmodo quasi sessile, con un breve picciolo appena percettibile. I margini folgiari sono lobati con lobi arrotondati e non molto profondi; alla base della foglia, sul punto di attacco al rametto, il margine forma due caratteristici lobi “a orecchiette” asimmetrici. Le foglie sono di colore verde più o meno intenso con la pagina inferiore glabra e chiara. Sono lunghe circda 8-12cm e solno inserite sui rami in modo alterno. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Albero monoico con fiori unisessuali riuniti in infiorescenze. Le infiorescenze maschile sono rappresentate da amenti penduli con gruppi di fiori radi lunghi 2-3cm e di color verde-giallastro; i fiori femminili sono terminali, inseriti singolarmente o a gruppi, fra loro distanziati, su un lungo peduncolo. La fioritura si ha a fine aprile-maggio.. Il frutto, detto ghianda, è una noce ovoidale o cilindrica lunga 2-4 cm, avvolta da una cupula con squame rilevate ed arrotondate. Le ghiande sono inserite o singolarmente o a gruppi di 2-4 su un tipico peduncolo lungo fino a 3-6 centimetri (paramentro per distinguerla dal Rovere che ha ghiande sessili).

NOTE CARATTERISTICHE La farnia è una quercia abbastanza rustica, lenta di crescita ma longeva (anche oltre 600 anni), è una tipica quercia da pianura anche se il suo areale si può spingere fino a 800900 metri di altezza. Si tratta di una pianta che può essere utilizzata come esmplare singolo, anche nelle campagne dove costituisce un’importante zona rifugio per gli organismi utili. In natura forma dei boschi puri o associazioni miste, da qui l’utilizzo anche per la forestazione. Essendo una specie autoctona nei nostri ambienti e date le sue caratteristiche di longevità, di rusticità e di notevole effetto estetico (esemplari maestosi e monumentali), importante è anche il suo utilizzo nel settore paesaggistico - ornamentale. La farnia si adatta abbastanza bene ai climi dell’europa centro-settentrionale con inverni anche assai rigidi e freddi ed estati calde e spesso asciutte; oltre all’ Europa il suo areale si allarga alla Russia e all’asia occidentale. Predilige terreni profondi, non importa se molto o poco argillosi; per l’attecchimento, dopo la messa a dimora e nei primi anni successivi, necessita di irrigazioni o comunque di un substrato abbastanza umido. Si tratta di una pianta eliofile che preferisce posizioni “aperte” e ampi spazi, anche se, come detto, può trovarsi singolarmente o in associazione. Nei casi descritti la chioma può essere rispettivamente globosa oppure irregolare più o meno conica se si trova in spazi ristretti. In molti paesi è utilizzata anche come essenza da legno, anche se è un po’ meno pregiato della congenere Rovere. Infine il frutto, soprattutto in passato, veniva utilizzato per l’alimentazione di alcuni animali (suini). In alcune zone la Farnia, insieme ad altre querce, può formare micorrize con funghi eduli, soprattutto i tartufi, per i quali si sta sperimentando una micorrizzazione artificiale per una “coltivazione” intensiva del suddetto fungo ipogeo. Esiste una varietà di farnia con portamento fastigiato e contenuto la cui chioma, che si ramifica fin dalla base, è stretta e piramidale: si tratta di quercus robur var.fastigiata, impiegata come pianta ornamentale in particolare nel verde urbano.


frassino

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

ligustrales

oleaceae

caduche

lavorazione del legno

max 20m

altitudine

0-1500m

fioritura

mar apr

ALTEZZA

pianta ornamentale


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Fraxinus excelsior L. Nome comune: Frassino maggiore, frassino comune ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa e del Caucaso; in Italia è diffuso nelle zone centro – settentrionali, con un fronte altimetrico che va dal piano fino a 1500 metri di quota. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il frassino normalmente non supera l’altezza di 20 metri, ma sono stati osservati esemplari che raggiungono i 40 metri. Il portamento è esclusivamente arboreo. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è lineare e maestoso, la ramificazione si indirizza verticalmente, per cui la chioma assume un aspetto espanso, ma slanciato. La corteccia, liscia e grigiastra, sporadicamente presenta delle incisioni e delle solcature i cui margini si possono estroflettere per oltre 1 centimetro. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono caduche, composte di tipo imparipennato, sono formate da 9 a 13 foglioline sessili (esclusa quella impari terminale che è picciolata) il cui apice è acuto. La loro lamina fogliare è lanceolata (lunga fino a 10 centimetri), ma quella della fogliolina apicale può essere più ovalizzata. I margini fogliari sono lievemente dentati e la nervatura è penninervia. La foglia è lunga 20 – 35 cm ed ha inserzione opposta, mediante un picciolo lungo qualche centrimetro, su rametti verde – grigiastri, irregolari, portanti gemme bruno – scure o nerastre. Le foglie sono di colore verdastro e sono glabre (la pagina inferiore presenta una lieve tomentosità rossastra lungo le nervature); in autunno assumono delle sfumature giallo - brunastre. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Sulla pianta possono essere presenti sia fiori ermafroditi che unisessuali. In quest’ultimo caso possono essere presenti fiori maschili e femminili (riuniti in infiorescenze) sulla stessa pianta o in piante diverse. I fiori sono privi sia di calice che di corolla e sono riuniti in piccole infiorescenze a pannocchia o a spiga. Le infiorescenze maschili sono ben identificabili per il color rosso – porpora delle antere, mentre quelle femminili sono verdastre. Le infiorescenze si trovano all’apice dei rametti e fioriscono durante il mese di aprile prima dell’emissione delle foglie. Il frutto è rappresentato da una samara lanceolata lunga 3 – 4 centimetri; il seme, collocato alla base, raggiunge la lunghezza di 1 - 2 centimetri.

NOTE CARATTERISTICHE Il Frassino riveste una certa importanza da un punto di vista ecologico e paesaggistico, in quanto il suo areale è molto ampio ed entra in associazione con molte essenze vegetali per formare boschi misti igrofili sia di pianura, sia di collina o montagna, insieme ad Acero, Olmo, Querce, ecc… Il suo adattamento ambientale è notevole, arrivando a costruire dei boschi insieme al faggio o all’Abete rosso, in alcuni areali montani. Predilige luoghi luminosi ed umidi, non adattandosi nelle zone con clima caldo e siccitoso. Necessita di un substrato ricco di sostanza organica ed elementi minerali con struttura limoso argillosa, profondo e in grado di rimanere fresco per lungo tempo. Preferisce inoltre suoli a reazione neutra e subacida; tollera in ogni caso abbastanza bene il calcare. Per questo motivo è frequente incontrarlo in boschetti in prossimità di corsi d’acqua (boschi ripariali). Il portamento, elegante e maestoso, giustifica anche l’utilizza ornamentale che il Frassino trova nei parchi, giardini di grosse dimensioni o lungo le strade. In autunno il colore verde – scuro del fogliame assume tonalità giallo – brunastre, che rendono estremamente piacevole l’aspetto della pianta. Il legno, chiaro e leggero, è molto apprezzato e ricercato in falegnameria per la costruzione di mobili. Da annoverare infine il congenere Fraxinus angustifolia; si tratta di un frassino tipico degli areali mediterranei a portamento arboreo. Le foglie sono composte, di tipo imparipennato, costituite da 5 – 7 lamine fogliari (fino a 13) strettamente lanceolate e con margini dentati. I fiori ed i frutti (samare) sono analoghi a quelli di F. excelsior.


gelsomino

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

ligustrales

oleaceae

caduche

ALTEZZA

max 5m

pianta officinale

altitudine

0-800m

fioritura ma g giu

pianta ornamentale


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Jasminum Officinale L. Nome comune: Gelsomino bianco ORIGINE E DIFFUSIONE Di origine asiatica (Cina e Himalaya) e di alcune regioni caucasiche, in Italia è diffuso in quasi tutte le regioni dove è impiegato soprattutto a scopo ornamentale. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il gelsomino bianco raggiunge i 5 mt di altezza, necessità comunque di un tutore o di sostegni in quanto è un arbusto rampicante. TRONCO E CORTECCIA I rami sono legnosi e semi legnosi, nelle piante più adulte sono molto sviluppati e fitti creando una vegetazione impenetrabile. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono caduche, imparipennate e composte da 5 a 9 foglioline, lanceolate ed acuminate all’apice. Le singole lamine fogliari laterali sono lunghe fino a 5 o 6 cm, mentre quella terminale può essere di dimensioni maggiori ed avere una caratteristica curvatura. L’inserzione sui rametti è opposta e avviene mediante un corto picciolo. Il margine si presenta intero. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori hanno un perianzio formato da un calice con 5 dentelli e una corolla tubuliforme o imbutiforme la cui parte terminale si allarga evidenziando i 5 petali. I fiori sono fortemente profumati, di colore bianco e si riuniscono in infiorescenze ascellari all’apice dei rametti. La fioritura avviene terminata l’emissione fogliare, durante tutti i mesi estivi (da maggio – giugno). NOTE CARATTERISTICHE Il gelsomino bianco è un arbusto notevolmente ramificato e rustico, viene apprezzato a scopo ornamentale per la fioritura, ma soprattutto per il gradevole profumo che diffondono i suoi fiori. Gradisce luoghi esposti al sole od al massimo in mezz’ombra, riparati dai venti invernali. Il gelsomino bianco è abbastanza resistente al freddo, anche se tollera male le gelate intense e prolungate, sopporta inoltre la siccità anche prolungata. Non esigendo terreni e cure particolari, si rivela un rampicante di facile coltura, utilizzato anche per coltivazioni in vaso o in altri contenitori per impieghi su terrazzi o giardini pensili (anche come essenza ricadente e decombente). Si ricordano inoltre altre specie di gelsomino:

- Jasminum Polyanthum: specie rampicante di origine cinese, più sensibile al freddo del Gelsomino bianco, si tratta di una pianta decidua con foglie composte di tipo imparipennato (con 5 – 7 foglioline) e fiori bianchi con sfumature rossastre nella parte esterna, profumati e riuniti in fiorescenze a pannocchia. Fiorisce da aprile agli inizi dell’estate. - Jasminum grandiflorum: specie di origine asiatica, sempre verde e rampicante, ha foglie composte e imparipennate (7 – 9 foglioline) di colore verde e fiori bianchi o rosati, riuniti in vistose fiorescenze a grappolo. Si tratta di una specie un po’ più sensibile al freddo e adatta per coltivazioni in vaso. Si ricorda inoltre la specie Trachelospermum (=Rhyncospermum) Jasminoides che spesso viene erroneamente considerata un Gelsomino. Si tratta di un rampicante sempreverde appartenente alla famiglia delle Apocynaceae (quindi non è un’oleacea), con foglie semplici di forma ovale e di colore verde scuro. La lamina è coriacea, lunga fino a 8 – 10 cm. I fiori sono bianchi e a forma di stella molto simili a quelli del Gelsomino. I fiori sono intensamente profumati e compaiono a maggio – giugno. Si tratta di una specie abbastanza sensibile al freddo, eliofila, adatta ad essere coltivata in vaso o in piena terra collocata però in posizioni riparate.


ginepro

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Coniferales

Cupressaceae

sempreverdi

pianta ornamentale

fe

b

max 7m

altitudine

0-1500m

fioritura

mar apr

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Juniperus communis L. Nome comune: Ginepro comune ORIGINE E DIFFUSIONE Originario di molti continenti dell’emisfero settentrionale (Europa, America, Asia, ecc.) ed estremamente diffuso per la notevole adattabilità alle diverse condizioni pedoclimatiche ed ambientali. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arboreo o arbusivo a seconda degli ambienti e delle varietà. La chioma è generalmente conica, anche se tende ad espandersi e a diventare irregolare. Normalmente raggiunge altezze di 4-7 metri, anche se esistono varietà nane utilizzate in contenitore (vasi o cassette) o in giardini rocciosi. TRONCO E CORTECCIA Fusto diritto o sdoppiato, asimmetrico a seconda delle varietà e dell’ambiente, con chioma irregolare più o meno espansa specie negli esemplari femminili. Scorza rugosa di colore grigiastro con sfumature brunastre. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Piante a foglie persistenti, aghiformi, appiattite e lunghe 10-15 millimetri, molto appuntite e pungenti, inserite in modo sessile sui rametti in caratteristici verticilli a tre. Gli aghi di colore verde-glauco nella pagine inferiore, presentano una striscia biancastra che interessa gran parte della pagina superiore, che è verde solo ai bordi. Nel complesso la vegetazione assume una inconfondibile colorazione verde-grigiastre con sfumature glauche. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Si tratta di un albero diodico con separazione delle strutture riproduttive in esemplari diversi. Le piante maschili presentano, come strutture riproduttive, dei microsporofillo riuniti in una struttura a cono ovoidale di 4-5 millimetri, i coni maschi sono posti alla base delle foglie, lungo i germogli; essi liberano il polline diventando dorati, a fine inverno. Le piante femminile (più massicce) hanno le strutture riproduttive costituite da macrosporofilli riuniti a formare piccoli coni tondeggianti posti all’ascella delle foglie, di colore verdastro, che maturano dopo 2-3 anni dalla fecondazione, diventando degli pseudofrutti (specie di bacche) sferici (galbuli), di 4-6 millimetri di diametro, color brunastro e infine nerastro ricoperti di pruina. Essi sono carnosi per una trasformazione delle squame dei galbuli.

NOTE CARATTERISTICHE Il Ginepro è una pianta spontanea nei nostri ambienti, adattabile alle condizioni più diverse di ltitudine e latitudine. È estremamente rustica, vegetando in tutti i tipi di terreni. È possibile inserirla fra le specie pioniere. Tollera molto bene i climi rigidi e la siccità. Sono note inoltre varietà di J. communis utilizzate anche a scopo ornamentale e per creare barriere in situazioni ambientali particolari e marginali (montagna). Si ricordano infine Juniperus oxycedrus e J. phoenicea, specie spontanee in Itli, specie nelle zone litorali, caratterizzati da coccole di colore rossastro.


lentaggine

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rubiales

Caprifoliaceae

sempreverdi

pianta ornamentale

gen

fe

b

max 3m

altitudine

0-700m

fioritura

mar apr

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Viburnum tinus L. Nome comune: Lentaggine, Viburno – tino, Lauro – tino, Alloro – tino. ORIGINE E DIFFUSIONE Originario delle regioni mediterranee; in Italia è diffuso nelle regioni centro-meridionali fino alla quota di 700 metri. Nelle regioni settentrionali viene coltivato ed impiegato a scopo ornamentale. DIMENSIONE E PORTAMENTO La lentaggine non supera generalmente i 3 metri di altezza ed ha portamento arbusivo-cespuglioso. TRONCO E CORTECCIA I rami sono eretti ed opposti, numerosi, originano una chioma densa e compatta, generalmente abbastanza regolare. La corteccia si presenta di colore verde-brunastro. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sempreverdi sono semplici, con inserzioni opposta, mediante un brevissimo picciolo, su rametti isci, verdi con riflessi rossastri. La lamina ha forma ovato-ellittica e lunghezza di 6-8 centimetr; l’apice si presenta acuminato, mentre la base è arrotondata. Le foglie sono di colore verde scuro e lucide nella pagina superiore, mentre sono più chiare e tomentose in quella inferiore; il margine è intero. STRUTTURE RIPRODUTTIVE La lentaggine ha le strutture riproduttive caratterizzate da fiori ermafroditi di piccole dimensioni, attinomorfi, formati da un calice con 5 sepali triangolari e rossastri ed una corolla con 5 petali bianchi. Al centro del fiore emergono 5 stami con le antere bianche. I fiori sono riuniti a formare delle infiorescenze dense a appiattite (cime ad ombrella) terminali del diametro di 7-12 centimentri. La fioritura avviene durante i mesi invernali e primaverili. Il frutto è rappresentato da una drupa di 0,5 centimetri di diametro che acquista un colore bluastro alla maturità persistendo a lungo sulle piante. NOTE CARATTERISTICHE Il Virbunum tinus in alcuni areali meridionali si è naturalizzato ed entra nella costituzione di boschi formati da essenze sempreverdi, nei boschi di Leccio, nella macchia mediterranea e nella formazione di siepi spontanee. La sua rusticità lo rende facile coltura e adatto per l’impiego ornamentale anche negli areali centro-settentrionali; pur adattandosi predilige esposizioni soleggiate (tollera comunque bene anche posizioni ombreggiate), terreni ben drenati e ricchi di sostanza organica. È in grado di resistere

alle basse temperature ed a lunghi periodi siccitosi. Come pianta ornamentale il Virbunum tinus viene impiegato per la formazione di siepi o barriere sempreverdi o come singolo cespuglio ad effetto. Risulta inoltre adatto ad essere coltivato in vaso per impieghi in terrazzi o giardini pensili. Occorre infini annoverare un’altra specie di Viburno frequentemente impiegata a scopo ornamentale, si tratta del congenere Viburnum rhytidophyllum Heml., conosciuto con il nome volgare di Viburno. Originario della Cina, è un arbusto alto alto fino a 5 metri con chioma molto espansa. Le foglie sempreverdi sono lanceolate e molto lunghe, di colore verde scuro e lucide nella pagina superiore, mentre sono grigio ocra e pelose in quella inferiore. Su tutta la lamina spicca una nervatura molto marcata che increspa e solca la foglia in modo caratteristico. Le infiorescenze bianche a corimbo sono terminali e appiattite; la fioritura avviene durante i mesi di maggio e giugno. Il frutto è rappresentato da una drupa rossastra a maturità. Questo Viburno è diffuso in Italia solo a scopo ornamentale, può essere posizionato anche in luoghi ombreggiati, ma che devono essere riprati in quanto teme il gelo. Il terreno deve essere ricco di sostanza organica e drenante. Resiste bene all’inquinamento, ma soffre in seguito ad interventi cesori troppo energici.


ligustro

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Ligustrales

Oleceae

caduche

pianta ornamentale

0-1200m

fioritura

apr

max 2m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Ligustrum vulgare L. Nome comune: Ligustro, Olivella ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dellì Europa e delle regioni asiatiche occidentali, in Italia è diffuso in tutte le regioni, spingendosi fino a 1.200 metri di quota. DIMENSIONE E PORTAMENTO È un arbusto le cui dimensioni rimangono contenute entro pochi metri di altezza, tende ad avere una chioma abbastanza espansa e cespugliosa. TRONCO E CORTECCIA Il Ligustro possiede fusti eretti con rami ad andamento eretto, orizzontale o prostrato secondo le varietà e corteccia grigiastra FOGLIE, GEMME E RAMETTI Questa essenza è caratterizzata da foglie caduche nelle zone più fredde, mentre in quelle temperate calde persistono sui rami (sono persistenti e semipersistenti). Le foglie sono semplici ed hanno inserzione opposta, mediante un brevissimo picciolo, su rametti bruno-verdastri tipicamente lenticellati. Occorre evidenziare l’eterofillia fogliare, in quanto la lamina fogliare è ovale e lunga 2-3 centimetri nelle foglie alla base dei rami, mentre è lanceolata e lunga fino a 4-7 centrimetri in quelle apicali. Le foglie sono leggermente cuoiose e dotate di una evidente nervatura centrale; il marige è interno. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Il Ligustro presenta dei fiori bianchi e profumati con corolla imbutiforme a 4 petali, di piccole dimensioni. I fiori sono riuniti in infiorescenze a pannocchia all’apice dei rametti. La fioritura avviene in primavera-estate (maggioluglio) ed è intensamente profumata. I frutti sono costituiti da delle bacche, nere a maturità, persistenti sulla pianta con diametro inferiore ad 1 centimetro. NOTE CARATTERISTICHE Il Ligustro è un arbusto diffuso spontaneamente soprattutto nelle fasce esterne boschive, in quanto ama posizioni soleggiate. È facile trovarlo in boschi termofili associato a Roverella, Carpino nero e Orniello o ai margini di radi boschi di conifere. Ha notevole attività rizomatosa che gli conferisce una elevata capacità di diffondersi rapidamente. Per questo e per la sua rusticità il Ligustro è considerato una essenza colonizzatrice di terreni aridi e ricchi di calcare. L’apparato raadicle molto espanso viene invece sfruttato per rinsaldare terreni instabili e marginali. Il Ligustro è

anche una arbusto molto utilizzato come pianta ornamentale sia per l’effetto decorativo ed elegante della chioma e della sua fioritura, sia per l sua rusticità e l’adattabilità ambientale. Nei giardini viene generalmente impiegato nella costituzione di siepi (tollera molto bene le potature); si adatta anche per soluzioni “in contenitore” (capienti) per verande o terrazzi aperti. Alcune varietà di ligustro a portamento contenuto e compatto vengono utilizzati nell’arte topiaria caratteristica dei tipici giardini all’italiana.


melo domestico

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rosales

Rosaceae

caduche

pianta ornamentale

0-1500m

fioritura

apr

max 10m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Malus domestica Borkh Nome comune: Melo domestico o coltivato ORIGINE E DIFFUSIONE Risulta difficile individuare con esattezza l’origine del melo comune, presente nell’Europa centro-meridionale già in epoche preistoriche. Oggi è largamente diffuso in Europa dove si coltiva per il frutto. In Italia è coltivato in tutte le regioni.la sua presenza è stata registrata fino a 1.500 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il melo ha portamento arboreo, con chioma globosa più o meno espansa seconda del tipo di allevamento. Raggiunge altezze di 3-4 fino 8-10 metri. TRONCO E CORTECCIA Il fusto è eretto, ramificato nella parte medio-alta (più raramente cespuglioso) a formare una chioma “a vaso”globosa, comunque densa e compatta. La scorza è grigio-brunastra, liscia e chiara (più grigia) nei giovani esemplari, scura e rugosa con tendenza a sfaldarsi e ad assumere tonalità brunastre in quelli adulti. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Il melo ha la foglia caduca, sempplice, con lamina ovoidale a margine seghettato, lunga da 4 a 10 centimetri secondo le varietà. Le foglie sono picciolate (picciolo lungo 1-3 centimetri), di colore verde scuro nella pagina superiore, mentre cono verde grigiastro e tomentose in quelle inferiore. I giovani rametti sono rossastri o brunastri e tomentosi nella parte più apicale. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta con fiori ermafodriti riuniti a piccoli gruppi di 3-8 in corimbi portanti alla base un ciuffo di foglie. I fiori, larghi 4-5 centimetri, sono di colore bianco-rosato (la base è più colorata) con 5 petli e molti stami (fino a 50). La fioritura si ha dopo l’apertura delle foglie (aprile-maggio). Il frutto è rappresentato da un pomo (falso frutto) con dimensioni, forme e colori deiversi secondo le varietà. NOTE CARATTERISTICHE Il Melo è una pianta di grande interesse agrario, molto coltivata e diffusa in tutta Italia per il frutto. Esistono però molte specie e varietà di “Meli ornamentali”, utilizzati nel settore paesaggistico per l’effetto decorativo delle loro fioriture e dei piccoli frutti colorati e persistenti fino all’autunno inoltrato. Si ricordano alcune specie da fiore principale: Malus floribunda, M. yellow siberian; M. sargentii; M. hupehensis; M. purpurea, ecc. Il Meloè una

pianta rustica che si adatta situazioni climatico-ambientali e pedologiche molto diverse. Cresce bene in quasi tutti i substrati, non tollera troppo bene i ristagni idrici e l’eccesso di calcare; è inoltre una specie tollerante il freddo. Da ricordare, infine, è la specie Malus sylvestris (L.) Mill., spontanea in tutte le regioni europee dalle zone di pianura agli areali montani, fino a 1.300-1.400 metri di altitudine; è un Melo selvatico più rustico del congenere coltivato, da cui differisce per i rami spinosi, per le dimensioni più contenute, per le foglie glabre o quasi e per i frutti piccoli e verdastri.


melograno

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Myrtales

Punicaceae

caduche

pianta ornamentale

fioritura giu

0-800m

apr

max 4m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Punica granatum L. Nome comune: Melograno ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta originaria delle regioni asiatiche sud-occidentali (Iran); si è diffusa in tutto l’areale mediterraneo dove si è praticamente naturalizzata. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il portamento a volte è arboreo, ma più spesso è arbusivo e cespuglioso, con chioma molto irregolare ed espansa. Raggiunge altezze di 3-4 metri. TRONCO E CORTECCIA Il melograno è caratterizzato da un fusto sinuoso e contorto, spesso diviso e ramificato fin dalla base con rami assurgenti contorti e spinosi. La scorza è grigio-ocraceo o brunastra. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Albero a foglia caduca, semplice, con lamina obovata o ovoidale-lanceolata con apice generalmente arrotondato e margine intero a volte leggermente sinuoso. Le foglie hanno consistenza coriacea e un corto picciolo, sono linghe 6-8 centimetri e sono di colore verde chiaro lucide. L’inserzione è varia, generalmente di tipo opposto. I giovani rametti hanno sezione quadrangolare e sono verdastri. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta con fiori ermafroditi, quasi sessili, con calice coriaceo, rossstro, allungato a tubo e portante dei petali rossastri o aranciati. Il diametro dei fiori è di 2-4 centimetri. Esistono alcune varietà ornamentalia fiore doppio (generalmente sterile) con numerosi petali posti nelle parti interne del fiore che diventa “pieno”ed esteticamente più decorativo. Il frutto, come detto a riguardo della famiglia, è costituito da una balaustio (falsa bacca) globoso, di 6-14 centimetri di diametro nelle varietà coltivate (per il frutto), mentre è più piccolo e ovoidale in alcune varietà ornamentali da fiore. NOTE CARATTERISTICHE Il Melograno è un’altra pianta arbustiva tipica degli areali temperati mediterranei, dove fa parte della macchia. Predilige quindi ambienti caldo-temperati anche se manifesta una discreta resistenza al freddo. È una pianta eliofila da esposizione a pieno sole. Si adatta a molti tipi di substrato tollerando bene anche quelli calcarei, evidenzia inoltre una buona resistenza alla siccità. A parte il Melograno coltivato per il frutto, ne esistono molte altre varietà ornamentali con fiore semplice o doppio, alcune anche nane per la col-

tivazione in vaso per verande e balconi.


mirtillo

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Ericales

Ericaceae

caduche

pianta ornamentale

10002000m

fioritura lug

max 0,4m

altitudine

giu

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Vaccinium myrtillus L. Nome comune: Mirtillo nero ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta di origine europea, spontanea in italia nelle regioni settentrionali negli areali montani a 1000-2000 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il Mirtillo ha portamento arbustivo e cespuglioso, con chioma larga e molto irregolare. Raggiunge altezze di 20/40 cm. TRONCO E CORTECCIA Pianta a fusto eretto e sinuoso con molte ramificazioni basali che aloro volta si ramificano verso l’esterno, rendendo espansa la chioma. I rami sono verdastri, angolosi, mentre la scorza degli organi legnosi vecchi è rosso-brunastra. FOGLIE, GEMME E RAMETTI La foglia è caduca, semplice, con lamina ovoidale, ellittica lunga 2-3 cm con apice acuto e margine seghettato. Le foglie sono brevemente picciolate e di colore verde chiaro (giallo arancio in autunno). STRUTTURE RIPRODUTTIVE Il mirtillo nero è un arbusto con fiori ermafroditi biancastri o giallo-verdastri a volte sfumati di rosa o rossastro. I fiori sono tipicamente urceolati e solitari, posti all’ascella delle foglie, lungo i rametti; fiorisce a fine maggio. Il frutto è costituito da una bacca più o meno sferica, bluastra o nerastra di 5-8 mm con rivestimento pruinoso; i frutti sono comunque più piccoli del mirtillo coltivato. NOTE CARATTERISTICHE Il mirtillo nero o selvatico è una specie spontanea nei boschi e nelle macchie cespugliose delle regioni italiane centro settentrionali e negli areali montani, da 1000 a 2000 metri con suoli acidi e freschi. Tutti i Vaccinium necessitano infatti di substrati acidi o subacidi, tendenzialmente torbosi e freschi, ricchi di sostanza organica. Prediligono esposizioni ombreggiate o a mezz’ombra e climi freschi. Non tollerano substrati calcarei e argillosi, troppo compatti e asfittici; infine non sopportano molto bene la siccità. Oltre a V. myrtillus o Mirtillo nero selvatico, sono da ricordare il V. corymbosum (mirtillo nero gigante coltivato) e V. vitis.idaea (mirtillo rosso). Da citare infine la specie Arctostaphylos uva-ursi o uva irsina, un arbusto sempre verde diffuso in Europa fino a 2800m di altitudine) e soggetto a tutela. I fiori sono urceolati, biancorosati mentre i frutti sono bacche farinose, rossastre, non

molto appetite.


nespolo comune

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rosales

Rosaceae

caduche

pianta ornamentale

max 8m

altitudine

0-1000m

fioritura ma g giu

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Mespilus germanica L. Nome comune: Nespolo comune ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta originaria dell’Asia Minore e probabilmente di alcuni areali in Europa meridionale e orientale da dove si è poi naturalizzata in tutta Europa. In Italia è diffusa in tutte le regioni a 1000m di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arboreo o arbustivo, con chioma compatta ma irregolare. Più frequentemente però la si trova come piccolo alberello o arbusto di pochi metri; raggiunge comunque altezze massime di 6-8m TRONCO E CORTECCIA Presenta un fusto eretto ma sinuoso e tortuoso, ramificato, a volte fin dalla base (cespuglio) oppure nella parte medioalta (alberello). I rami sono provvisti di spine acute. La scorza è brunastra con sfumature grigiastre e si sfalda a placche negli esemplari adulti. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglie caduche, semplici, inserite in modo alterno, con lamina ellittico-lanceolata o obovata-affusolata. L’apice è acuto e il margine intero o finemente dentato. Le foglie sono brevemente picciolate (picciolo di pochi millimetri), lunghe 6-14 cm, di colore verde in primaveraestate, giallo-ocraceo in autunno. La pagina inferiore è più chiara e tomentosa, così come sono pelosi i giovani rametti (una lieve pubescenza può essere notata anche nella pagina superiore). I rami più vecchi sono spinosi. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Il nespolo è una pianta con fiori ermafroditi, solitari o a coppie; la corolla è formata da 5 petali bianchi o appena rosati, mentre le parti riproduttive sono formate da 5 stili e circa 30-35 stami. I fiori sono generalmente terminali e hanno un diametro di circa 2-4 cm; la fioritura si ha a maggio-giugno. Il frutto è rappresentato da un pomo tondeggiante o piriforme di color brunastro-rugginoso, con una tipica cavità apicale circondata a corona dai sepali residuali. Sono frutti eduli dopo un periodo di conservazione e surmaturazione (sovramaturazione) in post raccolta oppure vanno lasciati sulla pianta finchè rammolliscono. NOTE CARATTERISTICHE Il nespolo comune è una pianta che ama posizioni soleggiate, è molto rustica e poco esigente come tipo di substrato; predilige in ogni caso terreni più o meno argillosi e profondi, non troppo calcarei o siccitosi; è molto resist-

ente al freddo e tollera i ristagni idrici ed i substrati umidi. Si utilizza parzialmente a scopo decorativo o nei frutteti familiari per il frutto edule, utilizzato peraltro anche per confetture o conserve.


nocciolo

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Fagales

Corylaceae

caduche

lavorazione del legno

max 6m

altitudine

0-1300m

fioritura

mar apr

ALTEZZA

pianta ornamentale


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Corylus avellana L. Nome comune: Nocciolo, Avellana ORIGINE E DIFFUSIONE Originario delle regioni asiatiche e dell’Europa, dal bacino del Mediterraneo fino alle regioni montane dell’Europa centro-settentrionale. In Italia è diffuso in tutte le regioni, dalla pianura fino a 1300m di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Generalmente non supera i 5-6m; ha portamento arbustivo, con chioma fitta, ampia e irregolare con diametro massimo di 4m. si tratta di una pianta con elevata attitudine ad emettere polloni. TRONCO E CORTECCIA La ramificazione avviene fin dalla base, i rami hanno andamento eretto, la corteccia è lucida e di colore brunastro che tende al grigio. Presenta numerose lenticelle, dapprima di piccole dimensioni, ma che successivamente tendono ad espandersi diametralmente; solo alla base e nei rami più vecchi la scorza mostra delle fenditure, altrimenti è liscia e omogenea. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglia caduca, con foglie semplici, bifacciali brevemente picciolate e con inserzione alterna. I rametti sono di colore verde-grigiastro, si presentano regolari e pubescenti. La lamina fogliare è espansa i 2/3 della lunghezza che è di 8-12 cm; l’apice è acuminato, mentre la base può essere tronca o cordata. La nervatura è penninervia, molto marcata e ramificata. Il margine presenta una doppia seghettatura. La pagina inferiore più chiara di quella superiore, è coperta da una fine peluria. Le gemme hanno forma ovoidale con l’apice schiacciato, sono a disposizione alterna e protette da spesse perule. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monica con infiorescenza unisessuali. Gli amenti maschili, visibili sin dal periodo invernale, pendenti e raggruppati in numero variabile da 2 a 4, sono inizialmente verde-rossastri e lunghi 4-6cm. Con la fioritura, che avviene a fine inverno, prima della fogliazione, assumono un colore giallo dorato allungandosi oltre i 10 cm. L’infiorescenza femminile, somigliante ad una gemma, è di piccole dimensioni con un ciuffetto rossastro all’apice. Il polline si diffonde con il vento a fine inverno-primavera, ma la fecondazione avverrà solo successivamente con la formazione completa dell’ovario. Il frutto è una nucula o noce, del diametro di 2-3cm, avvolta da 2 brattee tomentose con i margini frastagliati. La maturazione avviene a

fine estate in relazione all’altitudine. NOTE CARATTERISTICHE Il nocciolo non è una pianta molto longeva, ma è molto diffuso per le sue caratteristiche. Si adatta infatti a terreni più diversi, avendo come unica esigenza la disponibilità di Sali minerali. Il substrato sul quale cresce meglio e fornisce le migliori produzioni, deve essere calcareo a reazione neutra o alcalina, profondo e con discreta fertilità. Entra nella formazione del sottobosco e di boschi misti di latifoglie (si associa molto bene con il frassino), compresi quelli governati a ceduo. Considerata una specie pioniere, viene utilizzato per la creazione di macchie su terre vergini, o nel consolidamento di scarpate e luoghi soggetti a dissesto idro-geologico. Il Nocciolo viene inoltre coltivato per la produzione del frutto (nocchieti) del quale si utilizza il seme per il consumo alimentare, per l’industria dolciaria e oleifera. Il legno, chiaro e non di buona qualità, viene sfruttato per la produzione di paleria e costruzione di recinti. A scopo paesaggistico-ambientale ed ornamentale viene impiegato per la costituzione di siepi e macchie. Per quest’ultima funzione vi sono varietà particolari quali la varietà contorta caratterizzata da rami contorti e sinuosi di effetto anche durante i mesi invernali e alta non più di 3 m. La varietà fusco-rubra, con foglie rossastre durante i mesi primaverili; la varietà aurea, con foglie tendento al giallo; infine la varietà pendula, con i rametti che ricadono verso terra.


olmo campestre

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Urticales

Ulmaceae

caduche

lavorazione del legno

pianta ornamentale

fe

b

max 20m

altitudine

0-1000m

fioritura

mar

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Ulmus minor Miller Nome comune: Olmo Campestre, olmo comune, olmo carpinifolia ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa, delle regioni caucasiche e del bacino Mediterraneo. In Italia è diffuso in tutte le regioni fin oltre i 1000m di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO L’Olmo campestre può raggiungere nei nostri ambienti l’altezza di 20m; può avere portamento arboreo (solo in tal caso arriva alle dimensioni prima citate) o arbustivo, con una chioma fitta che si espande nelle parti terminali. TRONCO E CORTECCIA Il tronco eretto e molto ramificato presenta una corteccia piuttosto lucida, di colore verde-brunastro, inizialmente liscia, ma che tende a screpolarsi con l’età e a diventare rugosa e solcata. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Pianta a foglia caduca, di tipo semplice, bifacciale; l’inserzione è alterna, avviene mediante un corto picciolo su rametti inizialmente pelosi, ma che diventano velocemente glabri con piccoli rilievi suberosi. La lamina fogliare è ovale con apice appuntito e base con una caratteristica asimmetria, nervatura penninervia con 8-12 ramificazioni secondarie e margine con doppia seghettature. La pagina superiore si presenta lucida e di colore verde intenso, quella inferiore, più chiara, è ricoperta da minuscoli ciuffi di peli alla ramificazione delle nervature. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori sono ermafroditi, sessili, riuniti in gruppo sui rametti. Il loro colore rosso è dovuto alle antere; la fioritura avviene a fine inverno, prima della comparsa delle foglie. Il frutto è rappresentato da una samara formata da un pericarpo centrale inizialmente rossastro, avvolto da una espansione laminare, di colore verde-giallastro appena formata e ocra-brunastro a maturità, che conferisce al frutto una forma obovata e una dimensione di 1,5-2,5 cm. La samare si riuniscono tipicamente a gruppi nella parte mediana e terminale dei rametti e maturano durante i mesi estivi di luglio e agosto. NOTE CARATTERISTICHE L’olmo campestre è longevo, possiede una notevole attività pollonifera ed il fogliame, fornito di picciolo con stipole caduche, nei mesi autunnali assume una tonalità giallo bruna nolto decorativa. La sua elevata resistenza ai fattori

climatici ne ha permesso una elevata diffusione, infatti la tarda ripresa vegetativa delle gemme a legno gli conferisce una notevole tolleranza alle gelate; gli eventuali unici organi che ne possono essere danneggiati sono i fiori. Specie di interesse paesaggistico (boschi e siepi), l’Olmo campestre è pure apprezzato come pianta ornamentale e nella costituzione di alberature stradali in quanto sopporta bene sia la potatura che l’inquinamento. In passato, grazie alle dimensioni abbastanza contenute della chioma, era usato come tutore delle vite soprattutto nella pianura padana, ma la diffusione della grafiosi, una malattia fungina, ne ha ridotto notevolmente la presenza e fatto cessare completamente questo utilizzo (anche per la successiva specializzazione dei vigneti con la conseguente sostituzione dei tutori vivi con tutori morti come i pali di legno o cemento). L’olmo campestre ama particolarmente i terreni freschi, profondi, con buona disponibilità di acqua, me che soprattutto devono avere abbondante disponibilità di sali minerali; tollera molto bene i substrati calcarei ed argillosi. Il legno esternamente si presenta chiaro, ma tende ad inscurirsi procedendo verso l’interno fino ad assumere colore brunastro nel durame. Il legno è pesante, di buona consistenza e, superando la difficoltà della stagionatura, acquisisce ottime caratteristiche di durata, di durezza e di resistenza. Per le sopra citate caratteristiche, la resistenza all’acqua e la facilità nella lavorazione, viene impiegato nella costruzione di mobili, porte, pavimenti, organi sottoposti ad attrito e nella produzione di compensato. Non è un buon combustibile. In alcuni ambienti, come la pianura padana, è stato riscoperto l’utilizzo dell’Olmo campestre come essenza ornamentale o di interesse paesaggistico, date le sue rusticità e la resistenza alle condizioni pedo-climatiche difficili di quegli areali: l’Olmo viene peraltro impiegato anche negli agroecosistemi, sia come esemplare da utilizzare nella costituzione di siepi miste, sia come singoli alberi atti a ripristinare alcune “zone rifugio” per organismi utili, smantellate negli anni passati.


ontano

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Fagales

Betulaceae

caduche

lavorazione del legno

max 25m

altitudine

0-1000m

fioritura

mar apr

ALTEZZA

pianta ornamentale


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Alnus Glutinosa Gaertner Nome comune: Ontano, Ontano nero, Ontano comune ORIGINE E DIFFUSIONE Piante di origine euroasiatica e dei climi temperati in genere. In Italia è diffusa in tutte le regioni dalla pianura padana fino a 1000m. DIMENSIONE E PORTAMENTO Raggiunge l’altezza di 20-25m; generalmente presenta un portamento arboreo, raramente si incontrano esemplari con portamento arbustivo. La chioma non è fitta, ma leggera pur essendo costituita da foglie abbastanza grandi. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è diritto e tende a ramificarsi già verso la base con direzione laterale e assurgente. La corteccia è brunastra e lucida, invecchiando si inscurisce maggiormente solcandosi irregolarmente. Il tronco è, su tuta la superficie, ricco di lenticelle disposte longitudinalmente e lunghe 2-3 mm, che favoriscono gli scambi gassosi. FOGLIE, GEMME E RAMETTI è una pianta a foglia caduca, di tipo semplice e bifacciale, con inserzione alterna mediante un picciolo, fornito di stipole alla base, lungo 2-3 cm. I giovani rametti sono di colore bruno chiaro, glabri e attaccaticci, come le giovani foglioline. La lamina fogliare è espansa, obovata, lunga al massimo 7-9 cm; la base è tronca o leggermente appuntita, mentre l’apice è tronco o introflesso (apice retuso). La nervatura è penninervia ed il margine è dentato. La pagina superiore è liscia o leggermente ruvida e verde-intenso, mentre quella inferiore è più chiara, con una fine peluria giallastra, concentrata nel punto in cui si origina la nervatura secondaria. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con infiorescenze unisessuali. Le infiorescenza maschili sono rappresentate da amenti sottili e lunghi fino a 10 cm, raggruppati all’apice dei rami in numero variabile da 3 a 5; i suddetti amenti maschili sono inizialmente di colore verde-giallastro, poi diventano più scuri alla fioritura, che avviene nel mese di marzo prima dell’emissione delle foglie. Le infiorescenze femminili hanno invece forma ovoidale e sono lunghe fino a 2,53 cm; queste, con la fecondazione, lignificano formando una tipica infruttescenza ovoidale contenente i frutti secchi (acheni). Il frutto è costituito da una achenio dotato di due brevi ali che ne favoriscono al disseminazione anemofila.

NOTE CARATTERISTICHE L’Ontano nero possiede una diffusione estremamente vasta e, della famiglia, è il genere che vegeta nelle zone più temperate non essendo microterma come il genere Betula. È una specie pioniere colonizzante sia terreni argillosi che sciolti, poveri e soggetti ad inondazioni o addirittura paludosi. Le sue radici evidenziano la presenza di tubercoli in cui si trovano batteri che fissano l’azoto atmosferico. Per queste sue caratteristiche si possono incontrare lungo i corsi d’acqua boschetti di Ontano puro o associato ad altre essenze ripariali quali Salici, Pioppo, ecc. Grazie allo sviluppo dell’apparato radicale viene impiegato anche per il consolidamento di rive e scarpate. Essendo una pianta ad accrescimento rapido il legno è tenero, di colore chiaro che vira a bruno-rossastro dopo il taglio. Il colore tende inoltre maggiormente verso il giallastro negli esemplari che hanno vissuto nei terreni molto umidi. Viene impiegato nei lavori di falegnameria e di tornitura, ma soprattutto in opere idrauliche e infissione di pali in terreni acquitrinosi, in quanto a contatto con l’acqua acquista una notevolissima durezza e durata. Al contrario, a contatto con l’aria si degrada velocemente. Il legno ha la caratteristica di bruciare senza produrre fumo, ma il carbone che si ricava è di mediocre qualità. Come pianta ornamentale è scarsamente impiegata, anche se può risultare interessante il suo impiego in terreni molto argillosi e umidi con elevato tenore di calcare attivo data la sua buona adattabilità a queste condizioni oltre che la sua tolleranza agli agenti inquinanti. Risulta interessante rilevare al forma “a clava” delle gemme alla base delle foglie e la caduta anticipata delle stipole prima della completa formazione della lamina fogliare. Il nome della specie, glutinosa, vuole evidenziare la tipica vischiosità dei rametti e delle giovani foglioline.


palla di neve

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rubiales

Caprifoliaceae

caduche

pianta ornamentale

0-1000m

fioritura

apr

max 3m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Viburnum opulus L. Nome comune: Palla di neve, Oppio, Pallon di Maggio ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa; in Italia è diffuso soprattutto nelle regioni settentrionali ed in quelle centrali lungo la fascia tirrenica dal piano fino oltre i 1000 m di quota. DIMENSIONE E PORTAMENTO Generalmente l’altezza rimane contenuta entro i 3 m; inoltre ha portamento esclusivamente arbustivo e cespuglioso. TRONCO E CORTECCIA Il viburnum opulus presenta rami lineari e tendenzialmente verticali, ma che, a causa della lunghezza, si incurvano. Le ramificazioni terminali originano una chioma epsansa nella sua parte distale e generalmente regolare. La corteccia bruno-chiara presenta delle costolature. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono caduche, semplici, con inserzione opposta, mediante un breve picciolo, su rametti angolosi e chiari. La lamina fogliare è tribolata o palmato-lobata e lunga oltre 12 cm; gli apici sono acuti, mentre la base si presenta piuttosto arrotondata. La nervatura è ben marcata ed il margine si evidenzia dentato. Le foglie, di colore verde scuro, diventano rossastre nel periodo autunnale. Il picciolo è solcato ed alla base presenta due stipole lunghe pochi millimetri. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori ermafroditi sono attinomorfi di piccole dimensioni e colore bianco. Sono riuniti inn infiorescenze globose del diametro di oltre 10 cm; i fiori interni hanno diametro inferiore ad un cm e sono fertili, mentre quelli esterni o periferici, di diametro superiore, sono sterili. La fioritura avviene solitamente durante il mese di maggio, successivamente alla fogliazione. Il frutto è rappresentato da una drupa sferica, del diametro di circa 1 cm, rossa a maturità. NOTE CARATTERISTICHE Il Viburnum opulus è diffuso spontaneamente nelle zone umide nei boschi igrofili sia di pianura sia di montagna, nelle macchie marginali ai boschi; entra inoltre nella costituzione di siepi naturali. La diffusione a scopo ornamentale vede l’utilizzo di varietà con i fiori completamente sterili che formano cime ombrelliformi molto più globose e compatte delle essenze spontanee e quindi di maggiore effetto decorativo e d ornamentale. Il viburnum opulus è una pianta di facile coltura per la rusticità, ama le esposizioni parzialmente soleggiate o a mezz’ombra e terreni

freschi a reazione neutra o sub acida. Possiede una elevata attività polliìonifera. Si ricorda infine la specie di origine orticola Viburnum x burkwodii; si tratta di un ibrido sempreverde a portamento cespuglioso, con foglie a lamina lunga 4-7 cm, ovata, leggermente denticolata nel margine superiore, di colore verde intenso. I fiori (larghi 4-5 mm) sono riunito in infiorescenze tondeggianti larghe 5-10 cm. I fiori hanno una forma allungata e aperta vero l’alto, sono di colore bianco-rosato e sono intensamente profumati, sbocciano tra aprile e maggio.


palla di neve

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Coniferales

Pinaceae

sempreverdi

pianta ornamentale

fioritura lug

4001800m

giu

max 40m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Pinus sylvestris L. Nome comune: Pino silvestre o di Scozia ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa centro-settentrionale, in particolare della Scozia, delle regioni Scandinave, della Russia e delle regioni balcaniche, di auna parte della Spagna e della Francia, delle Alpi e del nostro Appennino settentrionale. DIMENSIONE E PORTAMENTO Gli esemplari giovani hanno un portamento conicopiramidale assai regolare, che tende a scomporsi, con la chioma che diventa espansa ed irregolare con l’età. Spesso il portamento dipende dal tipo di ambiente. Raggiunge altezze di 30-40 m. TRONCO E CORTECCIA Pianta con fusto inizialmente diritto, tendente a diventare incurvato ed irregolare in funzione dell’età e delle condizioni ambientali; con l’aumentare della competizione spazio-luce, da parte di altre essenze, tende a spogliarsi nei palchi più bassi. La scorza è tipicamente di colore aranciorossastro e si sfalda in placche non molto spesse nella parte alta della pianta. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Albero a foglie persistenti, aghiformi. Si tratta di un pino “bino”, cioè con gli aghi inseriti in gruppi di 2 rametti. Gli aghi sono lunghi 4-5 cm (più raramente in particolari condizioni e in piante giovani e vigorose possono arrivare ai 7-8 cm), di colore verde con tipiche sfumature glauche azzurrate e con andamento contorto e attorcigliato, a volte curvo. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con strutture riproduttive maschili e femminili separate (come tutte le Pinacee) ma entrambe presenti sulla stessa pianta. Le strutture riproduttive maschili sono formate da microsporofilli riuniti in coni globosi, a loro volta raggruppati numerosi in una specie di spiga o amento, generalmente sui giovani rametti; sono giallastri e liberano il polline a fine primavera (maggio-giugno). Le strutture riproduttive femminili sono costituite da macrosporofilli riuniti a formare il tipico cono delle pinacee (pigna); inizialmente i piccoli coni femminili sono color rossiccio e lunghi circa 1 cm, poi evolvono i coni ovoidali verdastri lunghi 3-6 cm. A maturità le squame liberano i semi e la pigna assume una forma globosa per le squame che diventano molto divaricate e aperte, la consistenza è legnosa ed il colore brunastro. Le pigne maturano dopo 2-3 anni dall’impollinazione.

NOTE CARATTERISTICHE Il Pino silvestre è una pianta autoctona nel nostro Appennino settentrionale dove si può trovare spontanea o coltivata, sia nelle zone pianeggianti che in montagna tra i 400-500 m e fino ai 1600-1800 m; è utilizzata a scopo ornamentale-paesaggistico e come essenza da legno, peraltro molto ricercato e pregiato. Può essere usato anche nei rimboschimenti, come essenza pura o consociata a latifoglie (Faggio) o altre conifere (Abete bianco, ecc.). è una pianta che non supporta troppo l’ombreggiamento da parte di altre specie, resiste molto bene al freddo, non ha troppe esigenze di substrato essendo anche abbastanza rustica; predilige in ogni caso terreni profondi senza ristagni idrici e clima non troppo caldo. Dalla specie sylvestris sono state ottenute alcune varietà (orticole) con particolari utilizzi ornamentali, come la var. P. sylvestris aurea, con foglie giallo-dorate e le forme nane, utilizzate per giardini rocciosi, o per soluzioni di giardini pensili o in contenitori, come la varietà Pinus sylvestris beuvronensis.


pioppo bianco

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Salicales

Salicaceae

caduche

lavorazione del legno

pianta ornamentale

fe

b

max 30m

altitudine

1000m

fioritura

mar

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Populus alba L. Nome comune: Pioppo bianco ORIGINE E DIFFUSIONE È una pianta originaria dell’Europa centrale e meridionale, delle limitrofe regioni asiatiche e delle regioni africane del bacino mediterraneo. In Italia è diffusa in tutte le regioni fino a 1000 m di quota. DIMENSIONE E PORTAMENTO È un albero che si può sviluppare sino a 30 m di altezza e presentarsi sotto forma arbustiva ma soprattutto arborea con una chioma piuttosto globosa costituita da rami con andamento verticale od orizzontale. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è diritto e regolare, la corteccia è molto chiara, di colore biancastro non omogeneo. Nelle piante giovani è sottile e presenta una leggera peluria, nelle piante adulte inscurisce leggermente e viene solcata trasversalmente da striature bruno-nerastre, diventando scura e rugosa nella zona basale. FOGLIE, GEMME E RAMETTI È una pianta a foglia caduca, di tipo semplice, con inserzione alterna e dotata di una marcata eterofillia. Infatti vi sono foglie brevemente picciolate con lamina fogliare di forma tondeggiante ovalizzata o di ellisse allungata con margine sinuoso e piccoli lobi appena accennati, non più lunghe di 5 cm. Le foglie situate all’apice della pianta e dei rami più vigorosi e quelle dei polloni sono invece lobate, i lobi che si formano sono 3 o 5 ed hanno il margine dentato; queste ultime foglie sono lungamente picciolate e la lamina può essere lunga dai 5 ai 10 cm. In entrambe le tipologie fogliari la pagina superiore è verde intenso, quella inferiore è biancastra e tomentosa soprattutto in quelle più giovani e quelle dei polloni; la tomentosità con il tempo si attenua e diminuisce nelle foglie più vecchie. I giovani rametti sono molto chiari, di colore quasi biancastro. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta dioica, gli amenti maschili sono lunghi 6-7 cm e sessili, inizialmente sono di colore rossastro ma in fioritura diventano gialli. Gli amenti femminili sono anch’essi sessili, ma più corti (3-6 cm) e di colore verde grigiastro. La fioritura avviene da marzo ad aprile, in relazione alla latitudine e all’altitudine, comunque prima dell’emissione delle foglie. Il frutto che si origina è una capsula peduncolata, con la superficie liscia, che nei mesi primaverili libera dei semi “piumosi”; frutti sono raccolti in infruttescenze a spiga pendenti dai rami.

NOTE CARATTERISTICHE Il Pioppo bianco è una pianta diffusa in un areale estremamente ampio, si può facilmente reperire lungo corsi d’acqua come esemplare isolato o formante boschetti misti unitamente ad Ontani, Frassini, Salici e Ornielli. Predilige luoghi esposti al sole e caldi, terreno freschi, profondi e ben areati e drenati anche se tollera bene i suoli argillosi e quelli calcarei. Ama l’acqua, ma teme il ristagno idrico prolungato e le situazioni di asfissia in generale. Ha una notevole capacità pollonifera e le foglie che si originano sui polloni hanno dimensioni maggiori delle altre. Il Pioppo bianco è impiegato nelle alberature stradali ed a scopo ornamentale nei parchi e giardini per la particolarità del fogliame, della corteccia e dei giovani rametti, molto chiari e tomentosi, che sono di notevole effetto estetico e decorativo. Come molti pioppi, ha un accrescimento molto rapido; il legno non è molto apprezzato, viene impiegato soprattutto nell’industria cartaria e per la fabbricazione di imballaggi.


pioppo nero o cipressino

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Salicales

Salicaceae

caduche

lavorazione del legno

max 30m

altitudine

0-1200m

fioritura

mar apr

ALTEZZA

pianta ornamentale


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Populus nigra L. Nome comune: Pioppo nero o cipressino ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa centro-meridionale e delle regioni asiatiche occidentali. Il Pioppo nero o cipressino in Italia è diffuso ovunque, dalle zone pianeggianti fino a 1.200 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Può raggiungere e a talvolta superare l’altezza di 25-30 metri. Si presenta quasi sempre sotto forma arborea con una chioma non molto fitta che si sviluppa notevolmente. La chioma assume un portamento a cappello molto espanso o conico fastigato, ramificato fin dalla base , secondo la varietà. TRONCO E CORTECCIA Il tronco si presenta diritto e spesso nodoso, con protuberanze e ipertrofie evidenti, la corteccia è molto scura e tende e fendersi e a fessurarsi profondamente nella pianta adulta. FOGLIE, GEMME E RAMETTI È una pianta a foglia caduca, di tipo semplice, bifacciale, con inserzione alterna. Le foglie si inseriscono mediante un picciolo lungo 3-7 centimetri, sui rametti lisci di colore inizialmente verde-giallastro, poi brunastro a maturità, portanti delle gemme brune ed affusolate che secernono una una sostanza viscosa. La lamina fogliare è ovato-triangolare con nervatura di tipo penninervio. L’apice fogliare è molto appuntito, mentre il margine presenta una piccola ma regolare seghettatura. La pagina superiore si presenta liscia di un bel colore verde brillante, quella inferiore è opacizzata, con nervature evidenti. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Il pioppo nero è una pianta dioica. Le infiorescenze maschili sono costituite d menti sessili lunghi fino ad 8 centimetri, con i singoli fiori caratterizzati dall’avere 1530 stami di colore rosso. Le infiorescenze femminili, più lunghe e sottili, sono giallo-verdastre. La fioritura avviene generalmente tr marzo e aprile. L’infruttescenza che si origina è costituita da un insieme di capsule formanti un grappolo che, raggiunta la maturità (in maggio), schiudono, lsciando disperdere piccoli semi piumosi. NOTE CARATTERISTICHE Il Pioppo nero o cipressino è un pianta longeva che ama ambienti luminosi e temperati. Naturalmente si sviluppa lungo i corsi d’acqua, potendo formare boschetti misti con Ontani, Frassini e Salici. Dal punto di vista paesaggistico è

di notevole effetto la consociazione Pioppo nero con il Salice bianco. Predilige terreni profondi, freschi, ben drenati e con un buon contenuto di Sali minerali. Non teme situazioni di temporanee inondazioni e substrati umidi; non ama molto però i substrati calcarei. Il legno, chiaro e leggero viene utilizzato nell’industria cartaria, per la costruzione d’imballaggi, mobili e pi allicciati; viene altresì impiegato per la fabbricazione di mammiferi. Il legno del Pioppo nero viene sfruttato per la produzione di carbone. Dalla corteccia e dalle gemme vengono infine estratte sostanze medicamentose. Del Populus nigra è molto diffusa la varietà italica, conosciuta anche con il nome di Pioppo cipressino: si tratta di un albero in grado di raggiungere e l’altezza di 40 metri che, a differenza del Pioppo nero classico, ha un portamento colonnare e fastigiato, con rami eretti, molto addossati al tronco e molto ravvicinati, che si dipartono fin dalla base. A livello paesaggistico-ornamentale vengono generalmente impiegati gli esemplari maschili, in quanto non producono i fastidiosi “piumini” derivanti dall’infruttescenza femminile, ed hanno un portamento più regolare ed omogeneo rispetto alle piante femminili (peraltro molto rare). Il Pioppo cipressino è impiegato quindi a scopo ornamentale, in parchi e grandi spazi, nelle alberature stradali o di viali e come frangivento. Le foglie e le infiorescenze sono più piccole di quelle del Pioppo nero e la corteccia, per essendo profondamente solcata, presenta una minore nodosità e la formazione dei rami fin dalla base del tronco. H una notevole attività pollonifera.


pioppo tremolo

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Salicales

Salicaceae

caduche

max 25m

altitudine

18002000m

fioritura

mar apr

ALTEZZA

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Populus tremula L. Nome comune: Pioppo tremolo, Tremolo o Tremulo ORIGINE E DIFFUSIONE Albero originario dell’Europa e dell’Asia centrale; in Italia il Pioppo tremolo è diffuso in tutte le regioni, soprattutto nelle zone umide montane sino a 1800-2000 m di altitudine; in quelle di pianura è meno frequente. DIMENSIONE E PORTAMENTO Raggiunge l’altezza di 20-25 m ed ha portamento arboreo; la chioma si forma ad una certa altezza mantenendosi raccolta e rada al fusto per lo scarso sviluppo dei rami. TRONCO E CORTECCIA Il tronco, alla cui base è frequente lo sviluppo dei polloni, è abbastanza regolare con una corteccia liscia grigio chiaro, caratterizzata da solchi trasversali. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono caduche, semplici, bifacciali e con inserzione alterna. La lamina fogliare è di forma rotonda o ovalizzata (2-6 x 2-7 cm), con l’apice appuntito od arrotondato; il margine è dentato con angoli ottusi e la nervature è di tipo penninervio. La pagina superiore liscia e di colore verde, si differenzia decisamente da quella inferiore che appare pubescente e verde-grigiastra. Le foglie all’apice della chioma e dei polloni hanno dimensioni maggiori. Dalla base allargata della foglia parte il picciolo, lungo sino a 6-7 cm, sottile e tipicamente appiattito, che si inserisce su rametti bruni e viscosi. STRUTTURE RIPRODUTTIVE È una pianta dioica. Le infiorescenze maschili sono rappresentate da amenti lunghi fino a 10 cm di colore grigio-rossastro; quelle femminili, lunghe 10-13 cm, sono verdi rossastre. La fioritura avviene a fine inverno, inizio primavera. Dalla fecondazione di ogni singolo fiore dell’infiorescenza, si origina l’infruttescenza costituita da capsule che maturano nel mese di maggio, liberando piccoli semi piumosi. NOTE CARATTERISTICHE Il nome di questo pioppo trae origine dalla facilità con cui le foglie si muovono alle brezze più lievi, facilità dovuta alle caratteristiche prima descritte del picciolo che è molto lungo, sottile e elastico. L’areale in cui è diffuso il Pioppo tremolo è molto vasto, è però più facile reperirlo in pianura nelle zone settentrionali che in quelle meridionali, dove si spinge anche oltre i 1550 m. non ha esigenze pedologiche particolari, ma il suo sviluppo favorito dai terreni ricchi di sostanza organica, Sali minerali e freschi. Tollera

comunque molto bene i suoli argillosi e quelli umidi. Ama la luce ma sopporta anche esposizioni parzialmente ombreggiate; allo stato naturale forma anche dei boschetti puri o misti, partecipando alla colonizzazione di terreni nudi. Il legno, chiaro e poco consistente, trova utilizzo nell’industria cartaria e nelle strutture da imballaggio.


piracanta

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rosales

Rosaceae

sempreverdi

pianta ornamentale

0-900m

fioritura

apr

max 4m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Pyracantha coccinea Roem. Nome comune: Piracanta, Agazzino ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa sud-orientale e dell’Asia mminore; diffuso in molti paesi europei, Italia compresa, dove è utilizzato a scopo decorativo ed ornamentale. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il Piracanta ha generalmente portamento arbustivocespuglioso, con chioma densa, tendente ad espandersi in modo piuttosto irregolare. Raggiunge altezze di 2-4 m. TRONCO E CORTECCIA Essenza arbustivo con fusto breve e diviso, ramificato fin dalla base con rami color bruno-rossastri e lucidi, che presentano molti processi spinosi. La scorza degli organi legnosi più vecchi tende a diventare rugosa e ad assumere una colorazione bruno-grigiastra. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie del Piracanta sono persistenti, di tipo semplice, con lamina coriacea di forma ovale o oblunga, leggermente lanceolata, con margine intero o debolmente dentato e apice arrotondato. Le foglie sono color verde intenso (più scuro nella pagina superiore), lunghe 2-5 cm brevemente picciolate e ad inserzione alterna. I giovani rami sono rigidi, bruno-rossastri e dotati di acute spine. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Il Piracanta possiede fiori ermafroditi biancastri, larghi 0.51 cm, generalmente riuniti in larghi corimbi peduncolati (5-6 cm) che rivestono tutta la parte mediana e terminale dei rametti. La fioritura, che avviene fra maggio e giugno, è abbondante e decorativa. Il frutto è rappresentato da un piccolo pomo sferico-ellissoidale con diametro di circa 0.5 cm chiamato comunemente “bacca”. Le suddette “bacche” sono generalmente di colore rosso, molto decorative e persistenti sui rami, sono inoltre appetite da molti uccelli a regime dietetico vario. Esistono delle varietà e delle specie di Pyracantha con bacche giallastre o arancioni fra cui: P. coccinea, P. crenulata, P. atalantioides. NOTE CARATTERISTICHE I Piracanta sono piante utilizzate a scopo ornamentale per formare siepi (tollerano abbastanza bene le potature e le forme obbligate), o impiegate come soggetti singoli per soluzioni cespugliose e isolate o a gruppi di sicuro effetto estetico, per l’aspetto decorativo del fogliame, della fioritura e delle numerose bacche colorate e persistenti in autunno-inverno. È una pianta abbastanza rustica, adattabile

a molti tipi di substrato, compresi quelli argillosi e calcarei; predilige però suoli umidi e ricchi di sostanza organica ed esposizioni soleggiate o leggermente ombreggiate (fiorisce molto bene). Tollera abbastanza bene il freddo (meno le gelate intense e prolungate) e resiste agli agenti inquinanti dell’atmosfera. Anche nei confronti dlle avversità evidenzia una discreta resistenza.


platano comune

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Hamamelidales

Platanaceae

caduche

0-700m

fioritura

apr

max 30m

altitudine

giu

ALTEZZA

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Platanus acerifolia Nome comune: Platano ORIGINE E DIFFUSIONE Il platano comune è un ibrido ottenuto mediante incroci fra P. orientalis e P. occidentalis, è coltivato e diffuso in Europa a scopo paesaggistico e ornamentale; in Italia è diffuso in tutte le regioni dalla pianura fino ai 700 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Raggiunge i 30 metri di altezza e possiede portamento esclusivamente arboreo. La ramificazione avviene ad una certa altezza dal suolo e crea una chioma globosa che può raggiungere il diametro di 10 metri. TRONCO E CORTECCIA Tronco eretto e regolare da cui dipartono grossi rami ad andamento irregolare. La loro corteccia è chiara, di colore grigio con riflessi verde-giallastri, e liscia; durante il periodo di riposo vegetativo, nei soggetti adulti si desquama, esponendo la nuova corteccia sottostante verdastra. Il tronco presenta così desquamazioni a placche sottili e si presenta chiazzato di chiaro, diventando un parametro distintivo della specie. Spesso alla base si formano numerosi polloni. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Il fogliame è deciduo, le foglie sono di tipo semplice, bifacciali, con inserzione alterna, mediante un lungo picciolo, su rametti pubescenti chiari. Il picciolo presenta delle stipole che avvolgono completamente le gemme laterali. Le foglie inoltre sono palmate e si dimensioni molto variabili (da 10 a 20 centimetri di lunghezza e larghezza), generalmente hanno 5 lobi, che però possono variare da 3 a 7. Il margine è intero, ma sul lobo apicale presenta qualche dentatura. La nervatura è palmineva. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con fiori unisessuali sessili che sono riuniti in capolini separati, peduncolati e tondeggianti. I capolini (infiorescenze) maschili sono distribuiti su rami di un anno ed hanno colore giallastro; quelli femminili, più rossastri, sono presenti sull’apice dei nuovi rametti. La fioritura avviene quando le foglie sono già comparse, nel mese di maggio. Le infruttescenze sono costituite da strutture sferoidali del diametro di 3-4 centimetri, lungamente peduncolate. Maturando, da verdi diventano brunastre e liberano dei frutti-seme /acheni) piumosi a fine inverno dell’anno successivo.

NOTE CARATTERISTICHE Il platano comune è una pianta maestosa ottenuta incrociando il Platanus occidentalis (introdotta alcuni secoli fa dal nord America) con il Platanus orientalis. Viene utilizzata unicamenta a scopo ornamentale in parchi e viali presentando una notevole resistenza all’inquinamento, a potature energiche e reagendo spesso positivamente ad interventi di dendrochirurgia. Il substrato più favorevole è costituito da terreni argillosi, teme la siccità e periodo prolungati di temperature molto basse. Non tollera terreni eccessivamente calcarei. Il legno è di ottima qualità e durata, viene apprezzato in falegnameria e come legna da ardere.


robinia

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rosales

Leguminosae

caduche

max 25m

altitudine

10001200m

fioritura giu

ALTEZZA

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Robinia Pseudoacacia L. Nome comune: Robinia, Acacia, Gaggia, Falsa acacia ORIGINE E DIFFUSIONE Originaria dell’America nord-orientale; in Italia si è naturalizzata (così come in Europa) ed è diffusa in tutte le regioni dal piano fino all’altitudine di 1.000-1.200 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO Raggiunge i 20-25 metri di altezza, può avere portamento sia arboreo che arbustivo, i rami si dipartono dal tronco con angoli molto aperti originando una chioma folta ed irregolarmente allargata. TRONCO E CORTECCIA Il tronco eretto è notevolmente ramificato; la corteccia brunastra possiede delle fessurazioni e dei rilievi longitudinali che si possono intersecare. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono caduche, composte, di tipo imparipennato; l’inserzione è alterna, e avviene mediante un picciolo lungo qualche centimetro le cui stipole si sono metamorfosate in spine, su rametti grigio-rossastri, lisci e lenticellati. Le foglie, lunghe fino a 30 centimetri, sono costituite da 13 o 15 foglioline picciolate, con lamina fogliare ellittica ed apice arrotondato. Le foglie sono di colore grigio-verdastro (più chiare sotto) e sono glabre, il margine è intero e la nervatura penninervia. Le gemme sono nascoste dalla base del picciolo e si rendono visibili, alla sua caduta, tra due grosse spine. I rami sono fortemente spinosi. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori sono ermafroditi e dotati di una tipica corolla papilionacea bianca che forma un vessillo bianco con sfumature gialle alla base. I fiori sono riuniti in infiorescenze a grappolo, pendule e lunghe tino a 20 centimetri, inoltre emanano un piacevole ed intenso profumo attirando gli insetti pronubi. Il frutto è rappresentato da un legume verde-brunastro piatto e assottigliato, lungo al massimo 8-10 centimetri, senza o con corto picciolo, contenente 5-8 semi. NOTE CARATTERISTICHE La Robinia è un’essenza ormai naturalizzata e di alta competitività, formando dense boscaglie a rapido accrescimento e veloce disseminazione spontanea. Inoltre sono state selezionate alcune varietà che si sono notevolmente diffuse a scopo ornamentale per la fioritura e l’eleganza del fogliame. Di facile coltivazione per la sua rusticità, la Robinia viene impiegata per la costituzione di siepi e frangivento

densi o di macchie su terreni poveri. Predilige posizioni esposte al sole e terreni tendenzialmente acidi, profondi e freschi; soffre la carenza idrica, mentre resiste bene ai rigori invernali. Tollera egregiamente interventi di potatura e capitozzatura ricacciando abbondantemente, Dal punto di vista paesaggistico viene utilizzata, grazie al fitto apparato radicale, per rinsaldare rive e scarpate. Si è rapidamente diffusa nel nostro ambiente formando dei boschetti puri o misti, consociandosi con altre essenze arboree, soprattutto lungo i corsi d’acqua; non è molto longeva, ma possiede un accrescimento rapidissimo. Il legno, con alburno chiaro e durame scuro, è grossolano, ma resiste a lungo alle intemperie. La Robinia è anche apprezzata come pianta ornamentale e per la costituzione di siepi in città in quanto è resistente all’inquinamento. Per quanto riguarda l’utilizzo ornamentale sono state selezionate alcune varietà caratterizzate da peculiari aspetti; si ricordano: - Robinia pseudoacacia var. umbraculifera: albero a chioma ombrelli forme arrotondata e molto fitta adatta per i viali e per il verde urbano in quanto è a portamento regolare ed i suoi rami sono senza spine; fiorisce raramente - Robinia pseudoacacia var. bessoniana: alberi a chioma fitta e arrotondata con rami quasi privi di spine, adatta per aberature. - Robinia pseudoacacia var. frisia: fogliame color giallastro, giallo-verdastro, in primavera-estate, mentre dicevta giallo-arancio in autunno -Robinia pseudoacacia var. semperflorens: rifiorente in primavera-estate. I fiori di robinia sono apprezzati dagli insetti melliferi e sono importanti per la produzione di miele (il tipico miele di Acacia).


rosa canina

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rosales

Rosaceae

caduche

pianta ornamentale

fioritura lug

0-1500m

giu

max 2m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Rosa canina L. Nome comune: Rosa selvatica ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta spontanea diffusa in tutta Europa, Italia compresa, fra le boscaglie, nelle siepi miste e in diverse macchie di vegetazione fino a 1.500 metri di quota. DIMENSIONE E PORTAMENTO Essenza a portamento arbustivo, strisciante e sarmentosa; generalmente si appoggia ad altre piante o a supporti inerti. Raggiunge altezze di circa 2 metri. TRONCO E CORTECCIA Arbusto con fusti ramificati e lignificati nella parte basale, rivestiti, come i rami di ordine inferiore, di spine rigide e arcuate. I rami e i fusti sono glabri. FOGLIE, GEMME E RAMETTI La Rosa canina ha una foglia caduca o semipersistente, di tipo composto imparipennato con 5-7 foglioline a lamina ovata- ellittica, lunga 2-4 centimetri con margine denticolato. I giovani rametti sono verdastri, glabri e spinosi. STRUTTURE RIPRODUTTIVE È un cespuglio le cui strutture riproduttive ermafrodite sono costituite da fiori di media grandezza (diametro di 4-6 centimetri) con petali semplici colore biancastro o rosato, solitari o riuniti in piccoli gruppi. La fioritura avviene generalmente nel mese di giugno. Il frutto è costituito da un cinorrodio (vedi Rosa) piriforme e rossastro con diametro di 1-2 centimetri. NOTE CARATTERISTICHE La Rosa canina è usata o come portainnesto o per ottenere ibridi con caratteristiche particolari. Come tale, questa specie è spontanea nei nostri boschi di latifoglie, ma soprattutto nelle siepi miste autoctone che utilizza anche come appoggio, apportandovi un indubbio effetto decorativo (se la Rosa è troppo vigorosa e sarmentosa, può “soffocare” alcune essenze arbustive della siepe.


rosa rampicante

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rosales

Rosaceae

caduche

pianta ornamentale

fioritura lug

0-1500m

giu

max 2m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Rosa spp. Nome comune: Rosa comune e Rosa botanica ORIGINE E DIFFUSIONE Le Rose sono piante tipiche dell’emisfero nord, presenti fin dall’antichità in Europa e oggi diffuse in tutti i continenti a scopo decorativo ed ornamentale. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il portamento è arbustivo e cespuglioso (alcune per innesto sono allevate ad alberello) con chioma a forma e altezza diverse a seconda delle specie e delle varietà. Alcune Rose presentano un portamento sarmentoso, altre sono nane. TRONCO E CORTECCIA La Rosa è un suffrutice, cioè un cespuglio ramificato fin dalla base dove presenta rami lignificati, mentre rimangono erbacei i rami posti nella porzione medio-alta. I rami sono dotati di spine e sono grigio-brunastri, con aspetto rugoso quelli più vecchi, verdastri e lisci quelli più giovani. FOGLIE, GEMME E RAMETTI La Rosa è caratterizzata da foglie semipersistenti di tipo composto, imparipennato, formato da 3-11 foglioline subsessili (più frequentemente 5-7) con lamina di forma ovoidale o lanceolata a margine seghettato e apice più o meno acuminato; le foglie sono glabre o tomentose secondo la specie. Anche i giovani rametti sono spinosi, glabri o pubescenti in relazione alla specie. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Si tratta di un arbusto con grandi e vistosi fiori ermafroditi, semplici, o con più petali (doppi o semidoppi) rifiorenti o no secondo le specie e le varietà, così come da queste dipendono la dimensione, il colore, la forma ed il profumo dei fiori stessi. Il frutto è rap presentato da un cinorrodio, falso frutto derivato dalla trasformazione del ricettacolo, portante gli acheni (veri frutti) all’interno. NOTE CARATTERISTICHE Il genere Rosa comprende molte specie (oltre 200) che a loro volta presentano numerose varietà, quasi tutte coltivate a scopo ornamentale. Oggi si classificano le rose in “gruppi” senza valore tassonomico, di cui le principali sono: -Rose antiche: questo gruppo comprende gli ibridi più antichi per cui le rose che vi appartengono sono inserite nel gruppo delle rose botaniche; fra esse vengono annoverate: la rosa gallica, la tea, la centifolia, la bourbon, l’alba, la muscosa, la damascena, la moschata.

- Rose ibride di tea: sono le rose più conosciute e coltivate insieme agli ibridi di R .floribunda; sono costituite da specie rifiorenti a cespuglio, molto adatte per ottenere fiori “da taglio”. Se ne conoscono numerose varietà selezionate per la diversa tipologia del fiore. Rose ibride di floribunda: derivano da incroci fra le rose “polyantha nane” e gli ibridi di tea; sono piante a cespuglio molto rustiche con fiori semplici o doppi, piccoli o grandi secondo la varietà ed il tipo di selezione; molte loro varietà non sono profumate, sono in ogni caso rifiorenti. Rose moderne a portamento cespuglioso: sono ibridi derivali dall’incrocio fra spontanee e rose antiche, i fiori sono semplici o semidoppi, generalmente non profumati ma rifiorenti. I cespugli sono irregolari e adatti a formare bordure. - Rose miniatura: sono rose “nane” derivate da incroci fra una varietà nana, la Roso. chinensis “minima” e alcuni ibridi della tea o della floribunda. I cespugli originati da questo gruppo di rose hanno un portamento ridotto e contenuto ed hanno fiori doppi o semidoppi spesso rifiorenti. - Rose rampicanti “sarmentose”: sono rose originate da selezioni di rose botaniche sarmentose o permutazioni spontanee di antiche rose arbustive. I loro fiori possono essere di tipo semplice, doppio o semidoppio, possono essere rifiorenti oppure no, secondo le specie, ed in ogni caso necessitano di tutori o sostegni per aggrapparsi a supporti verticali. - Rose sarmentose ricadenti e prostrate: sono rose utilizzate per ricoprire muri o piccole scarpate, data la loro capacità di allargare la chioma e di estenderla a livello del suolo (sarmentose) o farla ricadere verso il basso. Per quest’ultimo aspetto alcune varietà sono impiegate e coltivate in contenitori per particolari soluzioni anche in giardini pensili. Le Rose sono piante di facile coltivazione, vegetano bene adattandosi a molti tipi di substrato purché siano ricchi di sostanza organica, profondi, freschi e drenanti (non troppo silicei o troppo compatti e asfittici). Prediligono substrati sub-acidi, ma tollerano bene anche quelli tendenzialmente alcalini e mediamente calcarei. Tutte le Rose sono piante eliofile, da impiegare in posizioni soleggiate. Tranne rare eccezioni, sono abbastanza resistenti al freddo e tolleranti le gelate.


rovere

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Fagales

Fagaceae

caduche

ALTEZZA

altitudine

0-1000m

fioritura

apr

max 40m

pianta ornamentale

g ma

lavorazione del legno


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Quercia petraea (Mattuschka) Nome comune: Rovere ORIGINE E DIFFUSIONE Originaria delle zone dell’Europa centrale (Inghilterra compresa) e meridionale e di alcune regioni occidentali dell’Asia. Il suo areale è collinare e montuoso. Spesso forma ibridi con altre querce. DIMENSIONE E PORTAMENTO Pianta a portamento arboreo con chioma ampia e globosa piuttosto regolare. Raggiunge altezze di 30-40 metri ed oltre. TRONCO E CORTECCIA Albero con fusto diritto, molto ramificato nelle porzioni medio-alte; le ramificazioni, piuttosto regolari, fanno assumere al cappello una forma globosa abbastanza regolare negli esemplari singoli e distanziati. La scorza è di colore grigiastro più o meno intenso con costolature e incisioni longitudinali più o meno profonde negli esemplari adulti. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Albero a foglia caduca di tipo semplice, con lamina di forma obovata-allungata, le foglie sono lobate con lobi non molto incisi e con il margine arrotondato. A differenza della Farnia, le foglie del Rovere hanno un picciolo lungo 1-2 centimetri ed il margine basale della lamina, in corrispondenza di esso, si restringe “a V” cadendo a spiovente (e non più lobato “a orecchietta” come nella Farnia). Il colore delle foglie è verde più o meno intenso, le lamine hanno consistenza papiracea, inoltre sono glabre (così pure i ram etti) in entrambe le facce. La lunghezza varia dai 7 ai 12 centimetri; l’inserzione sui rametti è alterna. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta monoica con fiori di tipo unisessuale spesso riuniti in infiorescenze. Le infiorescenze maschili sono costituite da radi amenti penduli giallo-verdastri lunghi 6-7 centimetri, con fiori raggruppati in determinati punti sull’asse dell’amento. I fiori femminili sono sessili, solitari o riuniti in piccoli gruppi (da 2 a 6) in posizione terminale o lungo i rami all’ascella delle foglie. La fioritura si ha generalmente a maggio. Il frutto è una noce detta ghianda; essa è tipicamente sessile solitaria o posta a piccoli gruppi (2-6) di forma ovoidale-cilindrica, lunga 2-3 centimetri e avvolta parzialmente da una cupola, con scaglie più in rilievo rispetto alla Farnia. NOTE CARATTERISTICHE La quercia Rovere è un’altra pianta autoctona per molti

ambienti italiani, a differenza della Farnia si spinge ad altezze maggiori (è tipica della collina e di alcune zone montane) fino a 1.200-1.300 metri. Come la Farnia, è ben adattata ai climi continentali sopportando la siccità estiva e gli inverni rigidi. Predilige terreni profondi e drenanti tendenzialmente acidi e umidi nei primi anni dopo la messa a dimora. In alcune zone dell’Europa centrale forma boschi in consociazione con altre latifoglie (alcune Fagacee e Carpino) e Pini. È una pianta utilizzata, oltre che per rimboschimenti (è molto longeva e di crescita non molto veloce), soprattutto per il suo legno molto pregiato e ricercato. Interessante anche il suo utilizzo come pianta ornamentale o di interesse paesaggistico per il suo effetto estetico e la maestosità dei suoi esemplari che col tempo diventano vere e proprie piante monumentali.


salice bianco

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Salicales

Salicaceae

caduche

pianta ornamentale

fe

b

max 18m

altitudine

0-1600m

fioritura

mar apr

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Salix alba L. Nome comune: Salice bianco ORIGINE E DIFFUSIONE L’areale di origine è estremamente vasto, si estende infat. ti dall’Europa all’Africa meridionale, spingendosi fino alle regioni settentrionali dell’Asia. In Italia è diffuso ovunque fin oltre i 1.000 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Raggiunge l’altezza di 13-18 metri, i rami hanno andamento verticale ed aprendosi formano una chioma espansa che può avere un diametro superiore ai l0 metri. TRONCO E CORTECCIA Il tronco è eretto e, nella pianta adulta, la corteccia tende a fessurarsi e ad assumere un colore grigiastro sempre più scuro. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie, decidue, sono semplici e si inseriscono sui rametti con un picciolo molto corto; hanno forma lanceolata molto appuntita, sono bifacciali con nervature penninervie. I margini presentano una seghettatura molto fine. La loro lunghezza è di circa 6-8 centimetri e la larghezza massima di circa 1,5 centimetri. La pagina inferiore è molto chiara di color bianco-argenteo, anche per la fine tormentosità che la riveste, mentre quella superiore è grigio-verdastra. I rametti sono esili e passano da una colorazione giallo scura ad una brunastra man mano che invecchiano. STRUTTURE RIPRODUTTIVE È una pianta con fiori unisessuali e dioica per cui gli organi riproduttivi maschili e femminili sono separati; sono inoltre presenti su esemplari diversi (pianta dioica). Le infiorescenze sono rappresentate da amenti: quelli maschili hanno colore giallastro e lunghezza di 4-5 centimetri, quelli femminili sono più verdastri e corti. La fioritura avviene nei mesi primaverili ed il frutto, riunito in infruttescenze, è costituito da una capsula che racchiude dei semi coperti da una peluria la quale conferisce loro un aspetto “lanuginoso”. NOTE CARATTERISTICHE Il Salice bianco è una specie igrofila ed allo stato naturale si trova frequentemente lungo i corsi d’acqua formando dei boschetti puri o misti con il Pioppo nero. Cresce bene nei terreni freschi e profondi, ma anche in quelli umidi ed argillosi, sopportando bene la sommersione. La pianta è anche coltivata per la produzione di vimini, imballaggi e cellulosa per l’industria cartaria; viene inoltre impiegata

per rinsaldare scarpate e rive di corsi d’acqua. A scopo ornamentale è impiegata la varietà tristis per l’aspetto piangente e la note vale rusticità. Il Salix alba forma tristis è anche conosciuto con il nome Salix x chrysocoma; si tratta di una specie ibrida coltivata per il suo utilizzo ornamentale nei parchi e nei giardini per l’effetto decorativo della sua chioma “piangente” e ricadente. Le foglie sono strette e lanceolate e di colore giallo-verdastro più chiaro rispetto al Salice piangente vero e proprio (S. babylonica). Come carattere distintivo può essere considerato il tipico portamento ad arco, verso l’alto, degli amenti maschili.


salicone

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Salicales

Salicaceae

caduche

pianta ornamentale

0-1800m

fioritura g ma

max 12m

altitudine

mar apr

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Salix caprea L. Nome comune: Salicone, salice delle capre ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Asia e dell’Europa, è diffuso ovunque in questi due continenti ad eccezione delle propaggini più settentrionali e meridionali. In Italia è presente dalle zone pianeggianti fin oltre i 1.500 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Generalmente non supera i 10-12 metri di altezza e può presentarsi sia sotto forma arborea che arbustiva. Quest’ultima è la più diffusa: la sua chioma presenta i rami che si aprono alla base per poi assumere un andamento decisamente verticale. TRONCO E CORTECCIA Nella forma arborea il tronco è ad andamento sinuoso ed irregolare ed origina una chioma frondosa, molto compatta e abbastanza regolare. La corteccia, nella pianta adulta, è grigiastra e solcata. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie, caduche, sono semplici, bifacciali, di forma ellittica o più frequentemente ovalizzata con la parte apicale che diventa marcatamente appuntita e leggermente ripiegata verso destra. La pagina superiore è di colore verde intenso, mentre quella inferiore è più chiara, con delle marcate nervature ed una peluria molto fitta che la ricopre. Il margine fogliare è leggermente seghettato. L’inserzione delle foglie sui rametti è alterna e avviene mediante un corto picciolo rossastro alla cui base non sempre sono visibili le stipole. I germogli sono pubescenti, mentre i rametti sono glabri, lisci e di colore rosso scuro. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Come tutti i Salici, è una pianta dioica con infiorescenze maschili e femminili separate su piante diverse. La fioritura avviene prima dell’emissione delle foglie nei mesi di marzo ed aprile. Le infiorescenze maschili sono rappresentate da amenti tozzi ed evidenti per il loro colore giallo. Gli amenti femminili sono più lunghi (5-8 centimetri) e sottili; si trovano all’apice dei rametti ed hanno colore biancastro. I frutti sono secchi e deiscenti, costituiti da capsule ricoperte da peli che a maturità liberano dei semi rivestiti da “piumini”. NOTE CARATTERISTICHE Il Salicone si adatta a tutti i tipi di terreno, anche quelli più poveri e franosi , e per questo motivo, unitamente alle caratteristiche del suo apparato radicale, viene impiegato

per il consolidamento di scarpate; tollera inoltre i substrati molto argillosi con ristagno di acqua. Entra nella formazione dei boschi misti nella fascia collinare e montana e, per la facilità di insediamento, è da considerarsi una specie pioniera. Grazie alla notevole elasticità il suo legno, di colore giallo-biancastro, viene impiegato per costruire manici, recinzioni, truciolati ed imballaggi. Dalla combustione del legno si ottiene carbone di buona qualità. Esiste una varietà di Salix caprea molto utilizzata a scopo ornamentale. Si tratta della var. pendula che origina un piccolo e grazioso albero con rami penduli e rigidi il cui migliore effetto decorativo è manifestato a fine inverno, quando i rami si riempiono di amenti tondeggianti e dorati; le foglie sono ovali, con la pagina superiore color verdescuro e quella inferiore grigia.


sambuco

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rubiales

Caprifoliaceae

caduche

pianta ornamentale

fioritura giu

0-1000m

apr

max 7m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Sambucus nigra L. Nome comune: Sambuco ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa e delle regioni asiatiche del Caucaso; in Italia è diffuso in tutte le regioni, dal piano fino alla quota di 1.000 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO Il Sambuco generalmente non supera i 6-7 metri ed ha portamento arbustivo, è raro osservarlo sotto forma arborea; i suoi rami determinano la formazione di una chioma “aperta” ed irregolare spesso molto espansa. TRONCO E CORTECCIA Il Sambuco ha il tronco sinuoso, con numerose ramificazioni che formano una chioma ampia e tondeggiante. La corteccia è grigio-brunastra e presenta evidenti fessurazioni verticali e solcature. I rami presentano un midollo spugnoso e molto sviluppato e sono abbastanza fragili. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie del Sambuco sono caduche, composte da 5-7 foglioline ellittiche (5 x 12 centimetri) con l’apice acuminato, nervatura centrale marcata e margine dentato. Le intere foglie composte sono lunghe da 15 a 30 centimetri ed hanno inserzione opposta, mediante un picciolo senza stipole alla base, su rametti grigiastri intensamente lenticellati. Le foglie sono di color verde scuro e glabre nella pagina superiore, mentre sono più chiare ed inizialmente leggermente tomentose in quella inferiore. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori ermafroditi sono molto piccoli ed hanno il calice ridottissimo. Al centro della carole la, gamopetala e di colore bianco, vi sono 5 stami con le antere giallastre ben evidenti. I singoli fiori sono riuniti in infiorescenze ombrelliformi che possono raggiungere il diametro di 20 centimetri. La fioritura avviene tra i mesi di aprile e giugno, successivamente all’emissione delle foglie. Il frutto è costituito da una drupa nera e lucida a maturità. NOTE CARATTERISTICHE Il Sambucus nigra è diffuso spontaneamente in diversi areali, lo si incontra ai margini dei boschi, lungo i corsi d’acqua, o nella parte interna in zone umide, nelle radure e nella formazione di siepi. È una pianta dotata di notevole rusticità, vegeta facilmente sia sui terreni sciolti che tendenzialmente argillosi, ricchi d’acqua e di sali minerali. Possiede una elevata attività pollonifera che gli consente una rapida espansione per contiguità. Occorre infine an-

noverare il Sambuco rosso o Sambucus racemosa; si tratta di una specie congenere di tipo arbustivo con foglie composte a lamina lanceolata molto acuminata all’apice e con margine intensamente seghettato. Produce infiorescenze a pannocchia ovali o coniche ed i frutti sono costituiti da drupe rosse a maturità con diametro di 5 millimetri. Il Sambuco rosso è diffuso nei boschi collinari e montani consociato a Frassino, a Olmi e Aceri e ad arbusti come i Sorbi, il Nocciolo ecc. Per quanto riguarda le altre caratteristiche e le esigenze pedoclimatiche sono analoghe a quelle del Sambuco nero. Da ricordare inoltre il Sambucus ebulus con foglie imparipennate (a 5-9 segmenti) con lamine affusolate ed appuntite e pubescenti nella pagina inferiore. I fiori sono riuniti in ampi corimbi, la corolla è biancorosata e le antere violette. I frutti sono nerastri e lucidi a maturità (4-6 millimetri).


sorbo degli uccellatori

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Sorbus aucuparia L.

Sorbo degli uccellatori

caduche

pianta ornamentale

5002000m

fioritura giu

max 15m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Sorbus aucuparia L. Nome comune: Sorbo degli uccellatori ORIGINE E DIFFUSIONE Pianta originaria dell’Europa (dove è diffusa fino ai paesi scandinavi), dell’Asia occidentale e dell’Africa settentrionale. In Italia è diffusa praticamente in tutte le regioni, preferibilmente tra i 500 e 2.000 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO II portamento è arboreo o arbustivo con chioma irregolare, rada, poco espansa, di forma sub-g1obosa, ovoidale. Raggiunge altezze che variano da pochi metri (cespugli) fino a 10-15 metri quando assume un portamento ad alberello. TRONCO E CORTECCIA Pianta a fusto cretto, a volte diviso e ramificato fin dalla base (cespugli); la scorza, grigiastra e liscia nei giovani esemplari, diventa grigio-brunastra e ruvida in quelli più vecchi. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Il Sorbo degli uccellatori ha le foglie caduche di tipo composto, imparipennate, formate da 5-9 fino a 15-19 foglioline la cui lamina fogliare è oblunga-lanceolata, con margine fogliare intero nella parte basale, finemente dentato in quella mediana e apicale. Le foglioline sono sessili, di colore verde chiaro nella pagina superiore, verde-grigiastro in quella inferiore che è tomentosa (nelle giovani foglioline). In autunno le foglie diventano giallo-arancio e assumono sfumature rossastre; l’intera foglia composta è lunga 20-25 centimetri. I giovani rami sono grigiastri, lisci e pubescenti. Le gemme sono leggermente pelose e non vischiose. STRUTTURE RIPRODUTTIVE Pianta con fiori ermafroditi, biancastri, a 5 petali con 3 stili e circa 20-25 stami. I fiori sono riuniti in infiorescenze a corimbo lunghe 10-15 centimetri, dapprima erette poi pendule. La fioritura avviene in maggio-giugno. Il frutto è rappresentato da un piccolo pomo globoso o ovoidale, con diametro di circa 0,5-1 centimetro, di colore arancio-rossastro. I frutti sono riuniti in una infruttescenza a grappolo pendulo e sono molto appetiti da diverse specie di uccelli. NOTE CARATTERISTICHE Il Sorbo degli uccellatori deve il suo nome al fatto che era una pianta molto usata in passato dai cacciatori come “richiamo” per alcuni uccelli (tordi, merli, ecc.). È una pianta diffusa in tutta Europa ai margini dei boschi e di foreste pianeggianti, nelle macchie spontanee, ma anche nei parchi

e nei giardini, dalle zone pianeggianti fino a 1.500-2.000 metri di altitudine. Predilige terreni acidi, umidi, freschi e profondi purché non troppo calcarei (possiede una scarsa tolleranza al calcare). Si adatta sia a esposizioni soleggiate, che a zone parzialmente ombreggiate. Il Sorbo degli uccellatori trova impiego anche come pianta ornamentale o di interesse paesaggistico per l’effetto decorativo della sua vegetazione e dei suoi frutti che giungono a maturazione verso la fine dell’estate. Per quanto riguarda l’impiego di questo Sorbo come essenza ornamentale, vanno ricordate due varietà dotate di caratteristiche peculiari: - Sorbus aucuparia edulis: che presenta foglie e frutti di maggiori dimensioni. - Sorbus aucuparia fastigata: albero a portamento colonnare e vegetazione molto compatta ed elegante, di sicuro effetto decorativo.


tiglio nostrano

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Columniferae

Tiliaceae

caduche

pianta ornamentale

0-1200m

fioritura giu

max 20m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Tilia platyphyllos Scop. (Tilia europea L.) Nome comune: Tiglio nostrano ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa; in Italia è diffuso in tutte le regioni dal piano fin oltre 1.000 metri di altitudine. DIMENSIONE E PORTAMENTO Normalmente questo Tiglio non supera i 20 metri di altezza, ma sono stati osservati esemplari che raggiungono i 40 metri. Il Tiglio nostrano ha per lo più un portamento arboreo, raramente è arbustivo . TRONCO E CORTECCIA Il Tiglio possiede il tronco diritto e regolare, da cui dipartono delle branche primarie corte e con sviluppo tendenzialmente orizzontale, mentre i rami secondari si sviluppano verticalmente; questo fa sì che la chioma mantenga un diametro contenuto e si sviluppi verticalmente. La corteccia tende a fessurarsi longitudinalmente ed il suo colore varia dal grigio al bruno scuro. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono caduche, semplici e bifacciali; l’inserzione è alterna e avviene mediante un picciolo lungo 4-6 centimetri e pubescente su rametti coperti anch’essi da una fine peluria. La lamina fogliare è cuoriforme, più grande di quella del Tiglio selvatico (8-12 x 12-16 centimetri), con l’apice mucronato e la base cordata. Il margine fogliare si presenta fine mente seghettato, mentre la nervatura appare fortemente rilevata da quella principale fino alle nervature terziarie. La pagina superiore è di colore verde intenso, mentre quella inferiore appare chiara (verde-grigiastro) e leggermente pubescente (con peli biancastri all’ascella delle nervature). STRUTTURE RIPRODUTTIVE Le infiorescenze del Tiglio sono pendenti e ramificate, costituite da 2 a 5 fiori ermafroditi di colore giallo chiaro le cui caratteristiche sono ascrivibili a quelle generali della famiglia. Come gli altri Tigli l’infiorescenza è provvista di una brattea membranosa (ala) lunga 8 centimetri estesa fino quasi all’attaccatura del peduncolo. La fioritura avviene successivamente alla comparsa delle foglie nei mesi di maggio e giugno diffondendo una inconfondibile e piacevole fragranza. Il frutto è rappresentato da una noce (o capsula) coperta da una fine peluria e recante 5 marcate costolature. NOTE CARATTERISTICHE E’ poco frequente incontrare il Tiglio nostrano allo stato

spontaneo; comunque può trovarsi naturalmente consociato al Rovere ed al Faggio nelle fasce altimetriche più elevate, mentre in quelle più basse può formare boschi misti con Ontano, Aceri e Frassino. L’utilizzo maggiore e più frequente di questo Tiglio è sicuramente come pianta ornamentale, soprattutto in parchi, giardini di grosse dimensioni e lungo le strade, grazie alla bellezza del fogliame, all’eleganza della chioma e alla persistente, intensa e profumatissima fioritura. Con i primi caldi estivi però le foglie si rivestono di un essudato appiccicoso (melata) prodotto da cocciniglie e afidi infestanti la vegetazione, che rendono i viali di Tigli poco consigliabili al parcheggio delle autovetture. Sempre a scopo ornamentale sono commerciate diverse varietà, alcune a portamento fastigiato ed eretto, altre con portamento piramidale e ramuli rossastri decorativi in inverno. Il legno presenta caratteristiche analoghe a quelle degli altri Tigli. Da annoverare inoltre altre specie o ibridi di Tiglio utilizzate e diffuse in Italia quali Tilia tomentosa con foglie verdi scure nella pagina superiore, grigiastre e tomentose in quella inferiore, fiorisce a luglio inoltrato; Tilia petiolaris con foglie a pagina inferiore biancastra e lanuginosa e dotate di un lungo picciolo, i suoi ramuli sono penduti. Infine si ricorda Tilia x europea L., il cui nome volgare è Tiglio ibrido, è per l’appunto un ibrido creatosi naturalmente tra Tilia cordata e Tilia platyphyllos; è presente nell’areale in cui si trovano le due specie da cui ha avuto origine, presentando caratteri intermedi.


viburno lantana

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Rubiales

Caprifoliceae

caduche

pianta ornamentale

0-1000m

fioritura

apr

max 4m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Viburnum lantana L. Nome comune: Viburno lantana ORIGINE E DIFFUSIONE Originario dell’Europa Meridionale; in Italia è diffuso nelle regioni centro-settentrionali fino alla quota di 1000 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO Si tratta di un arbusto che può raggiungere l’altezza di 4 metri, ha un portamento arbustivo-cespuglioso eretto e riccamente ramificato che fa assumere alla chioma un aspetto denso ed irregolare. TRONCO E CORTECCIA I rami sono lineari, a sezione circolare, tomentosi e ben lignificati; essi formano una chioma ampia e fitta. La corteccia si presenta bruno-chiara e rugosa negli organi legnosi più vecchi. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Il Viburno lantana è un arbusto deciduo con foglie semplici, a inserzione opposta mediante un piccolo curvo di circa 1 cm, su rametti chiari, pubescenti ed elastici, portanti gemme prive di squame protettive, ma tomentose e di colore giallastro. La lamina è ovato-lanceolata o ovata con l’apice acuminato e la basa arrontondata, di lunghezza variabile tra i 5 e i 10 cm. La nervatura principale e quelle secondarie sono ben evidenti ed il margine è finemente dentato. La lamina fogliare si presenta di colore verde scuro e rugosa nella pagina superiore, più chiara e tomentosa risulta quella inferiore. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori ermafroditi sono attinomorfi, con il calice molto ridotto e la corolla con 5 petali bianchi. I singoli fiori si riuniscono in corimbi appiattati, terminali del diametro di 8-12 cm. La fioritura avviene in primavera, successivamente all’emissione delle foglie. Il frutto è rappresentato da una drupa ovale, dapprima rossa poi nera alla maturità. NOTE CARATTERISTICHE Il Viburno lantana è diffuso spontaneamente al limitare dei boschi o in rade macchie; è una specie eliofila e termofila che si consocia soprattutto con la Roverella, il Carpino, il Nocciolo, i Sorbi, il Corniolo, l’Orniello ecc. Coltivato come essenza ornamentale predilige luoghi in pieno sole o mezz’ombra, terreni ricchi di calcio e sostanza organica, freschi e profondi. In alcune zone di pianura si consocia ad altre essenze autoctone per formare le siepi miste.


olivo, ulivo

areale italia presenza ordine

famiglia

foglie

Ligustrales

Oleaceae

sempreverdi

pianta ornamentale

fioritura giu

0-800m

apr

max 10m

altitudine

g ma

ALTEZZA


SCHEDE TECHICHE DEGLI ALBERI

Nome scientifico: Olea europaea L. Nome comune: Olivo, Ulivo ORIGINE E DIFFUSIONE Originario del bacino del Mediterraneo, in Italia è presente in quasi tutte le regioni nelle loro fasce climatiche più miti. Con clima favorevole dal piano può spingersi fino alla quota di 800 metri. DIMENSIONE E PORTAMENTO L’olivo raggiunge l’altezza di 10 metri, ha un portamento generalmente arboreo; il portamento arbustivo è maggiormente diffuso nella varietà selvatica. TRONCO E CORTECCIA Il tronco dell’olivo è molto contorto ed irregolare, nelle piante adulte tende a fessurarsi sino a formare delle cavità. La ramificazione si origina in vicinanza al suolo e forma una chioma generalmente espansa. La corteccia è chiara, grigiastra, piuttosto spessa e, fessurandosi, si divide in piccole placche. FOGLIE, GEMME E RAMETTI Le foglie sono sempreverdi, semplici, bifacciali con inserzione opposta, mediante un corto picciolo, su rametti grigiastri venati verticalmente. La lamina fogliare è coriacea, ovale o lanceolata, lunga fino a 7 cm ed è attraversata da una sottile nervatura pennirnervia; il margine è intero. La pagina fogliare superiore si presenta nel caratteristico colore verde oliva, mentre quella inferiore, per la presenza di minuscole squame, è ruvida e di colore grigio-argentato. STRUTTURE RIPRODUTTIVE I fiori sono ermafroditi e sono riuniti in piccole infiorescenze a pannocchia poste all’ascella delle foglie. I fiori dell’olivo sono di colore biancastro e fioriscono, in relazione alla zona, tra aprile e giugno. I frutti sono rappresentati da drupe ovaliformi, di lunghezza compresa tra 1 e 4 cm. NOTE CARATTERISTICHE Dell’olea europaea occorre innanzitutto distinguere due sottospecie: Olea europaea oleaster: conosciuto con il nome volgare di Oleastro e rappresenta la pianta selvatica. Olea europaea sativa: conosciuto con il nome volgare di Olivo e rappresenta la pianta coltivata. L’oleastro è caratterizzato da un portamento per lo più arbustivo, da rametti a volta quadrangolari forniti di spine e robusti. Le foglie sono di dimensioni ridotte; nei giovani arbusti le lamine fogliari sono ovali, mentre nelle piante adulte sono lanceolate; la base è piatta. La drupa è di pic-

cole dimensioni (1-2 cm). L’Oleastro è diffuso lungo i litorali, si consocia soprattutto con il Carrubo, creando delle macchie che sostituiscono il leccio nelle fasce climatiche più calde. Riveste quindi un grosso interesse dal punto di vista paesaggistico e non si deve confondere con l’Olivastro al quale assomiglia. L’Oleastro è inoltre molto longevo ed a lenta crescita, entra nella fascia più termofila della macchia mediterranea, prediligendo terreni argillosi a reazione neutra od alcalina. Non teme la siccità, ma non sopporta il gelo. L’Olivo invece è caratterizzato da un portamento arboreo, con rametti cilindrici e senza spine. Le foglie sono lanceolate e la drupa ha il mesocarpo molto polposo e ricco d’olio. Viene coltivato intensamente e si può spingere a latitudini leggermente più elevate dell’Oleastro, ma caratterizzate comunque da un clima mite. Nelle zone interne con clima continentale abbastanza rigido, può essere coltivato ad esclusivo scopo ornamentale in vaso o interrato in luoghi estremamente riparati e con particolari microclimi miti. In questo caso manterrà portamento arbustivo e dimensioni contenute. L’Olivo viene coltivato per la produzione della drupa (oliva), che può essere spremuta in frantoio per ottenere l’olio, oppure per le cultivar di grossa pezzatura, può essere destinata al consumo diretto. I residui della spremitura (buccette e sanse d’oliva) sono destinati all’alimentazione zootecnica o come combustibile. Il legno, molto apprezzato, robusto e di colore brunorossastro, si presta all’impiego in falegnameria ed alla produzione di piccoli oggetti di artigianato. Si ricorda inoltre la specie Olea fragrans, piccolo albero o cespuglio con foglie persistenti, grandi, ovali, lucide e consistenti. I fiori, biancastri ed intensamente profumati, compaiono in due momenti dell’anno: primavera ed autunno. Questa pianta viene utilizzata soprattutto a scopo ornamentale come in congenere Osmanthus heterophyllus le cui foglie sono simili a quelle dell’agrifoglio con cui viene spesso confuso. Sono piante che amano esposizioni soleggiate e posizioni riparate, soprattutto nei climi più freddi.



SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

porta di calcio

informazioni area: sportiva lunghezza: 5,15m altezza: 2,65m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

scala 1:50

TUTTI

porta di calcETTO Informazioni area: sportiva lunghezza: 2,15m altezza: 1,20m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

scala 1:50

TUTTI


STRUTTURA CANESTRO DA BASKET Informazioni area: sportiva lunghezza: 3,15m altezza: 3,95m larghezza: 3,95m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, tabellone in legno, canestro in ferro.

TUTTI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

AG Cirrus Informazioni area: ragazzi lunghezza: 3,14m altezza: 2,60m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, anelli in metallo

scala 1:50

5-12 ANNI

AG tournament Informazioni area: ragazzi lunghezza: 1,98m altezza: 1m larghezza: 0,70m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in metallo

scala 1:50

5-12 ANNI


AG rungs Informazioni area: ragazzi lunghezza: 3,15m altezza: 2,48m larghezza: 0,75m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, rete in corda, scala orizzontale in metallo

5-12 ANNI

scala 1:50

AG glider Informazioni area: ragazzi lunghezza: 2,62m altezza: 1,53m larghezza: 1,44m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in metallo

5-12 ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

AG wing Informazioni area: ragazzi lunghezza: 3,14m altezza: 2,46m larghezza: 0,75m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, scala orizzontale in metallo

scala 1:50

5-12 ANNI

AG rungs Informazioni area: ragazzi lunghezza: 0,55m altezza: 1,98m larghezza: 0,65m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, scala in metallo

scala 1:50

5-12 ANNI


AG SAIL Informazioni area: ragazzi lunghezza: 1,28m altezza: 2,51m larghezza: 0,05m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in metallo

5-12 ANNI

scala 1:50

AG BRANCH Informazioni area: ragazzi lunghezza: 0,99m altezza: 2,47m larghezza: 0,83m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in metallo

5-12 ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

AG ORIGO Informazioni area: ragazzi lunghezza: 4,05m altezza: 2,50m larghezza: 3,70m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in metallo

scala 1:50

5-12 ANNI


ALTALENA Informazioni area: ragazzi lunghezza: 2,47m altezza: 2,95m larghezza: 2,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, altalena in materiale plastico, corda

scala 1:50

5-12 ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

ALTALENA Informazioni area: ragazzi lunghezza: 2,15m altezza: 2,95m larghezza: 2,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, altalena in materiale plastico, corda

scala 1:50

5-12 ANNI


NRG AMAZON Informazioni area: ragazzi lunghezza: 5,05m altezza: 2,88m larghezza: 0,62m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento curvo in metallo, cilindri in legno, corda

5-12 ANNI

scala 1:50

NRG MATTERHORN Informazioni area: ragazzi lunghezza: 5,05m altezza: 2,88m larghezza: 0,62m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento curvo in metallo, cerchi in metallo, corda

5-12 ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

NRG NIAGARA FALLS Informazioni area: ragazzi lunghezza: 5,05m altezza: 2,88m larghezza: 0,30m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento curvo in metallo, corda

scala 1:50

5-12 ANNI

nrg Pillars Of Hercules Informazioni area: ragazzi lunghezza: 4,10m altezza: 2,88m larghezza: 2.80m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento curvo in metallo, corda

scala 1:50

5-12 ANNI


ZAPP Informazioni area: ragazzi lunghezza: 1,30m altezza: 1,20m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in materiale plastico

2-5 ANNI

scala 1:50

RETE Informazioni area: ragazzi lunghezza: 2,15m altezza: 1,20m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, rete in corda

2-5 ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

STRUTTURA CON SCIVOLO Informazioni nome: scivolo area: bambini lunghezza: 4,07m altezza: 2,10m larghezza: 2,54m utilizzatori: 2-5 materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, scivolo in metallo

scala 1:50

2-5 ANNI


Informazioni

ZINGO du

area: bambini lunghezza: 1,28m altezza: 2,68m larghezza: 0,40m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in materiale plastico

ZINGO SMALL BUBBLE SPINNER

Informazioni area: bambini lunghezza: 0,45m altezza: 0,70m larghezza: 0,45m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elemento in materiale plastico 2-5 ANNI

scala 1:50

PORTALE Informazioni area: ragazzi e bambini lunghezza: 2,15m altezza: 4,02m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

TUTTI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

attrezzo flessione del dorso Informazioni area: percorso vita lunghezza: 1,15m altezza: 0,80m larghezza: 1,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

2-5 ANNI

scala 1:50

scala a pioli orizzontali Informazioni area: percorso vita lunghezza: 1,65m altezza: 2,95m larghezza: 1,92m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

scala 1:50

18+ ANNI


panca inclinata Informazioni area: percorso vita lunghezza: 2m altezza: 0,80m larghezza: 1,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

18+ ANNI

scala 1:50

pertiche ed anelli Informazioni area: percorso vita lunghezza: 3,50m altezza: 2,52m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

18+ ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

spalliera con sbarre Informazioni area: percorso vita lunghezza: 6,15m altezza: 2,95m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

scala 1:50

18+ ANNI

slalom Informazioni area: percorso vita lunghezza: 8,40m altezza: 0,25m larghezza: 0,65m materiali: legno di farnia

scala 1:50

18+ ANNI


tiro a segno Informazioni area: percorso vita lunghezza: 1,03m altezza: 3,60m larghezza: 1,03m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

18+ ANNI

scala 1:50

sbarra Informazioni area: percorso vita lunghezza: 2,60m altezza: 1,21m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

18+ ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

sbarra Informazioni nome: sbarra area: percorso vita lunghezza: 2,30m altezza: 1,21m larghezza: 0,15m utilizzatori: dai 14 in su materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

scala 1:50

18+ ANNI

sbarra Informazioni nome: sbarra area: percorso vita lunghezza: 2m altezza: 1,21m larghezza: 0,15m utilizzatori: dai 14 in su materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

scala 1:50

18+ ANNI


attrezzi per la mobilitazione delle braccia Informazioni area: percorso vita anziani lunghezza: 4,15m altezza: 1,90m larghezza: 0,44m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

60+ ANNI

scala 1:50

attrezzi per la mobilitazione delle braccia Informazioni area: percorso vita anziani lunghezza: 4,15m altezza: 1,90m larghezza: 0,35m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

60+ ANNI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

attrezzi per la mobilitazione delle braccia Informazioni area: percorso vita anziani lunghezza: 4,15m altezza: 1,52m larghezza: 0,37m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

scala 1:50

60+ ANNI

attrezzi per la mobilitazione delle gambe Informazioni area: percorso vita anziani lunghezza: 4,15m altezza: 1,21m larghezza: 0,15m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio, elementi in acciaio inox

scala 1:50

60+ ANNI


portale Informazioni area: mercato lunghezza: 2,15m altezza: 2,95m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

TUTTI

scala 1:50

portale Informazioni area: mercato lunghezza: 2,60m altezza: 2,95m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

TUTTI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

portale Informazioni area: mercato lunghezza: 2,15m altezza: 2,95m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

scala 1:50

TUTTI

seduta Informazioni area: mercato lunghezza: 2,15m altezza: 1,20m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

scala 1:50

TUTTI


divisorio Informazioni area: mercato lunghezza: 4,15m altezza: 0,30m larghezza: 0,25m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

TUTTI

scala 1:50

brise soleil Informazioni area: mercato lunghezza: 1,35m altezza: 2,10m larghezza: 0,06m materiali: legno di farnia

TUTTI

scala 1:50


SCHEDE TECHICHE DELLE STRUTTURE

copertura Informazioni area: mercato lunghezza: 6,25m altezza: 1,20m larghezza: 3,08m materiali: legno di farnia, piastra in acciaio

scala 1:50

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SCHEDE TECHICHE DEL LEGNO

FARNIA La farnia è rinomata per la sua tessitura grossolana, i caratteristici raggi midollari e la fibratura ondulata. Il legno tagliato in quarti è utilizzato per il avori più pregiati, essendo stabile e robusto, mentre i tagli in verticale hanno disegni a fiamma e nella fibratura e sono usati per tutte le forme di decorazione. Popolare tra i tornitori per il suo colore, la fibratura e la tessitura grossolana, la farnia è ancora ampiamente utilizzata per la costruzione di case tradizionali. La qualità può variare molto, ma il legno pregiato può essere costoso. Varianti: La quercia con radiche è popolare per il tornio e per i piallacci destinati a mobili ed ebanisteria . la farnia tagliata in quarti viene utilizzata per i rivestimenti dei cassetti; il durame malato di alcune farnie morenti è scuro e viene chiamato quercia bruna. Disponibilità e sostenibilità: C’è una quantità sempre crescente di legno di farnia da fonti certificate sostenibili, ma l’uso è generalmente sicuro. Il legno pregiato può essere costoso, e i tassi di scarto alti per via dei difetti Punti forti: -Colore e disegno caratteristici -Robusto, ma facile da lavorare -Fibratura aperta che si può usare per effetti speciali Punti deboli: -Può essere costoso -Scarto alto per via di difetti e fessurazioni Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Quercia inglese, Rovere di Slavonia -Alternative: Quercia bianca, Quercia Rossa -Colore: Marrone chiaro con sfumatura dorata -Tessitura: Grossolana, il tessuto tenero può essere rimosso con spazzolatura o carteggio per effetti speciali -Fibratura: Può essere ondulata -Durezza: Duro -Peso: Da medio a pesante -Robustezza: Alta -Stagionatura e stabilità: Normalmente essiccato lentamente all’aria -Scarto: Alto -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Eccellente, un tempo si utilizzava per

costruire navi da guerra In laboratorio: Lavorazione: La fibratura ondulata implica il rischio che si scheggi, può rovinare il filo degli utensili Fresatura: Assume un bordo perfetto per modanature e pannelli Assemblaggio: Si incolla bene ed è abbastanza facile tagliare giunti precisi; l’acido della farnia corrode chiodi e viti di acciaio, è necessario utilizzare l’ottone o altre leghe Finitura: Bello e facile da finire con olio, cera, ceralacca, poliuretaniche o lacche Usi principali: -Interni: mobili, ebanisteria, pavimenti -Edili: costruzione di case tradizionali -Falegnameria: Serramenti per interni -Decorazioni: Lavori al tornio -Marittimi: costruzione di barche


PIOPPO BIANCO Non deve essere confuso con il tulipier (Liriodendron tulipfera) . Il pioppo è generalmente utilizzato per inteliaiature , pali, scatole, casse, compensati e fiammiferi, ma anche per alcuni lavori di finitura per interni. Il legno non è adatto alla produzione di mobili; tuttavia non si spezza quando si piantano chiodi ed è leggero e relativamente facile da lavorare, è dunque ideale per compiti pratici. Disponibilità e sostenibilità Acquistare il legno di pioppo è sicuro, anche se non è certificato. Si trova facilmente ed è sempre economico Punti forti: -Economico -Cresce rapidamente -Leggero -Non si spezza -Bassa conducibilità termica Punti deboli: -Non ha lustro -Tenero e lanuginoso -Può avere molti difetti Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Pioppo europeo -Alternative: Pioppo nero americano, pioppo balsamico, pioppo tremulo, pioppo nero, pioppo canadese -Colore: Bande irregolari crema e marrone con zone argentate che si intersecano perpendicolarmente con il disegno della fibratura -Tessitura: Grossolanaeneralmente uniforme, ma né fine né grossolana, sicuramente fibrosa -Fibratura: Generalmente dritta, ma può essere ondulata e intrecciata. -Durezza: Tenero -Peso: Leggero -Robustezza: Media -Stagionatura e stabilità: Buona, con basso ritiro e ottima stabilità dimensionale -Scarto: Basso -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Media In laboratorio: Lavorazione: Può risultare difficoltosa in fase di taglio Fresatura: Si comporta bene

Assemblaggio: Non si spezza se si piantano chiodi o se si avvita Finitura: Poco interessante Usi principali: -Esterni: Steccati -Edili: Costruzioni -Falegnameria: Finiture per interni, compensato -Utilità: Imballaggi, casse, scatole


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ROBINIA Il colore del legno di robinia è molto variabile e la vaporizzazione lo rende più omogeneo, conferendogli una tonalità bruno scura. I grossi vasi primaverili sono avvolti su due lati da tessuto parenchimatico assiale e formano un anello primaverile marcato. Anche i vasi tardivi sono circondati da parenchima e presentano brevi bande tangenziali chiare. La forte presenza di tille rende i vasi stessi più robusti. Disponibilità e sostenibilità: Non esiste una gran quantità di legno si robinia certificato Punti forti: -estremamente duro, ma flessibile -facile da lavorare -Fibratura Resiste bene agli agenti atmosferici Punti deboli: -Può essere costoso -Brucia anche da fresco -Tende a deformarsi e a fessurarsi -Difficile essiccazione Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Frisia -Alternative: Quercia bianca, Quercia Rossa -Colore: Giallo-verdognolo o bruno-olivastro -Tessitura: Abbastanza grossolana -Fibratura: Intrecciata -Durezza: Duro -Peso: Da medio a pesante -Robustezza: Alta -Stagionatura e stabilità: Difficile da essiccare -Scarto: Medio -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Eccellente, resiste molto bene agli sbalzi climatici e all’umidità In laboratorio: Lavorazione: Duro ma abbastanza semplice da lavorare se la fibratura è dritta Fresatura: Dà buoni risultati Assemblaggio: A causa della forte presenza di tile l’incollaggio risulta difficile; per l’uso di chiodi e viti si dovrebbe perforare Finitura: L’impiego di lacche, vernici, cere liquide e prodotti opacizzanti è problematico per gli interni.

Usi principali: -Esterni: pali, pali da vite, scalini -Edili: angoli per verande -Falegnameria: Serramenti per interni -Interni: Pavimenti, porte -Utilità: Botti da stagionatura -Tecnici: ruote per carri, attrezzi agricoli


TIGLIO Il tiglio è il legno più scelto dagli intagliatori europei, e non è utilizzato per molti altri scopi. La tessitura è fine ed uniforme, la fibratura è fitta e dritta, e il legno si taglia bene senza spezzarsi. In altre parole, è tutto ciò che un intagliatore può desiderare. L’unico svantaggio è che il colore e il disegno sono poco interessanti, e il legno ingiallisce con l’età. Ci sono zone di raggi midollari lucenti sulle facce o i bordi tagliati in quarti, ma il legno non è apprezzato per questo. Disponibilità e sostenibilità: Ampiamente disponibile in Europa e non troppo costoso, il tiglio cresce rapidamente e in abbondanza su tutto il suolo europeo. Punti forti: -Tessitura fine ed uniforme -Può essere tagliato in tutte le direzioni -Uniforme Punti deboli: -Tenero -Poco interessante -Ingiallisce con l’età Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: T. europaea -Alternative: Tiglio americano -Colore: Crema -Tessitura: Molto fine ed uniforme -Fibratura: Fitta e dritta -Durezza: Medio-tenero -Peso: Medio -Robustezza: Moderata, si può curvare e non si spezza -Stagionatura e stabilità: Si muove leggermente anche quando è essiccato, e si può spaccare durante la stagionatura -Scarto: Moderato; può contenere nodi e spaccature che devono essere evitati; non c’è molto alburno -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Non molto durevole In laboratorio: Lavorazione: Si leviga abbastanza bene, ma è tenero e si ammacca facilmente Fresatura: Per ottenere un buon bordo è necessario utilizzare scalpelli affilati Assemblaggio: Buono; si incolla bene e non si spacca

quando si piantano chiodi Finitura: Buona; accetta bene lucidi e mordenti. Usi principali: -Tempo libero: Giocattoli, modellismo -Utilità: Manici, taglieri -Decorazioni: Intagli


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ABETE ROSSO La farnia è rinomata per la sua tessitura grossolana, i caratteristici raggi midollari e la fibratura ondulata. Il legno tagliato in quarti è utilizzato per il avori più pregiati, essendo stabile e robusto, mentre i tagli in verticale hanno disegni a fiamma e nella fibratura e sono usati per tutte le forme di decorazione. Popolare tra i tornitori per il suo colore, la fibratura e la tessitura grossolana, la farnia è ancora ampiamente utilizzata per la costruzione di case tradizionali. La qualità può variare molto, ma il legno pregiato può essere costoso. DISPONIBILITà E SOSTENIBILITà: Esiste una grandissima quantità di legni di abete rosso certificato in quanto è l’essenza maggiormente usata nelle costruzioni in massello Punti forti: -Disegno caratteristico -Ffacile da lavorare -Cresce velocemente Punti deboli: -Grande quantità di nodi -Non molto durevole Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno tenero -Altri nomi: Peccio -Alternative: Abete di Douglas, Abete bianco -Colore: bianco-giallognolo, ingrigisce nel tempo -Tessitura: Piuttosto fitta, ma può variare a secoda dell’ampiezza del legno tardivo stagionale -Fibratura: Generalmente dritta ma può essere leggermente ondulata (abete maschio) -Durezza: Tenero -Peso: Leggero -Robustezza: Media -Stagionatura e stabilità: Veloce e non problematica, l’abere rosso è un albero che cresce molto rapidamente -Scarto: Può essere alto per via dei nodi -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Non eccellente In laboratorio: Lavorazione: Si scheggia facilmente ma è molto facile da lavorare Fresatura: a causa delle scheggie ll’abete osso non è l’essenza più adatta per la fresatura

Assemblaggio: Si incolla abbastanza bene, può spezzarsi se si utilizzano viti e chiodi Finitura: Piacevole, accetta bene vernici e oli Usi principali: -Interni: mobili, pavimenti -Edili: Costruzioni, ponteggi, capriate -Falegnameria: Serramenti per interni -Decorazioni: piallacci -Tempo libero: Strumenti musicali


PINO SILVESTRE Il legno di pino ricco di resina è unto al tatto. Anche in questa conifera il limite tra gli anelli annuali è chiaramente riconoscibile per la chiara differenza nello spessore delle pareti cellulari tra legno tardivo e primaverile. Il disegno caratteristico, non ancora evidente allo stato fresco, appare con l’intenso scurirsi dell’alburno fino al color miele e del durame fino al rossobruno. Disponibilità e sostenibilità: E’ un legno abbastanza facile da reperire in maniera certificata, in più cresce velocemente; produce assi lunghe. Punti forti: -Colore e disegno caratteristici -Facile da lavorare -Facile essicatura Punti deboli: -Molto nodoso e resinoso -Poco durevole Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno da tenero a mediamente duro -Altri nomi: Pino nero -Alternative: Larice, Pino strobo, Cembro -Colore: Da chiaro a rossastro -Tessitura: Da fine a grossolana a seconda dell’ampiezza degli anelli annuali -Fibratura: Irregolare e nodosa -Durezza: Mediamente tenero -Peso: Da medio a pesante -Robustezza: Media -Stagionatura e stabilità: Normalmente Molto semplice da essiccare -Scarto: Dipende dalla quantità dei nodi presenti -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Poco durevole In laboratorio: Lavorazione: Facilmente lavorabile, ma la forte presenza di resina può far appiccicare gli attrezzi Fresatura: Non ideale Assemblaggio: Leggermente più resistente all’impianto di chiodi e viti rispetto all’abete rosso Finitura: Dopo la sgrassatura (esportazione della resina dalla superficie) si lucida e si vernicia bene

Usi principali: -Interni: mobili, pavimenti -Edili: costruzione di pannelli -Esteni: pali e parchi giochi -Falegnameria: Serramenti, carpenteria -Decorazioni: Piallacci


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ONTANO L’ontano è un legno molto versatile, poco usato da chi lavora il legno per hobby, ma largamente impiegato nella produzione di massa e negli usi di falegnameria. Ha una buona stagionatura, è stabile da usare e non è un legno forte, ma neanche eccessivamente debole. Sebbene sia relativamente semplice da lavorare, la sua natura fibrosa richiede utensili affilati per poterne modellare bene i profili o i bordi. Riceve bene i trattamenti con mordenti ma la finitura non guadagna un alto lustro. Per questo motivo tende ad essere utilizzato in particolare per oggetti lavorati al tornio. L’ontano non cresce molto in dimensioni, perciò le tavole possono essere di larghezza limitata e c’è il rischio di rotture interne. Disponibilità e sostenibilità: L’ontano nero non è ampiamente disponibile, ma è poco costoso e non è una specie a rischio. Punti forti: -Stabile -Fibratura dritta -Economico Punti deboli: -Alcuni piccoli difetti -Fibroso -Disponibile solo in piccoli formati Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Ontano comune, Ontano giapponese -Alternative: A. Incana -Colore: Crema chiaro e rosato, a volte quasi bianco, a volte bruno-rossiccio chiaro -Tessitura: Fine ed uniforme -Fibratura: Dritta -Durezza: Media -Peso: Medio -Robustezza: Buona -Stagionatura e stabilità: Il processo di essiccazione e di stagionatura dell’ontano avviene senza alcuna difficoltà. È indubbiamente uno dei legni in cui tale processo avviene più facilmente. -Scarto: Basso -Disponibilità di larghezza delle tavole: Bassa Disponibilità di spessore delle tavole: Bassa Durevolezza: Si comporta molto bene sia in ambienti asciutti che umidi

In laboratorio: Lavorazione: La Lavorabile con facilità, soprattutto con il tornio Fresatura: Assume un bordo perfetto per modanature e pannelli Assemblaggio: Si incolla bene ed è utilizzato anche per formare legno lamellare Finitura: Anche se accetta bene mordenti, la sua finitura non è di grande interesse Usi principali: -Utilità: manici, utensili, botti, imballaggi -Tempo libero: giocattoli, strumenti musicali -Falegnameria: Interni per negozi, finiture per interni -Edilizia: paleria, gronde, zoccoli


AGRIFOGLIO Il colore del legno di agrifoglio solitamente poco omogeneo ma ci sono delle variabili bianco puro, con un disegno della fibratura quasi impercettibile; tuttavia questa tipologia è difficile da reperire: L’agrifoglio ha una tessitura fine ed uniforme, e si lavora magnificamente al tornio. Per essere un legno tanto duro e resistente, è quasi vellutato al tatto, e a volte può presentare una colorazione verdognola. L’agrifoglio non è facile da usare perchè spesso ha la fibratura intrecciata (che il tornitore non può notare) e può rovinare il filo degli utensili. Il legno non è molto stabile, la stagionatura è cattiva e le dimensioni solitamente sono ridotte in quanto l’albero è di piccole dimensioni. Sebbene non sia durevole, ciò normalmente non compromette gli usi a cui di solito è destinato. Tinto di nero, viene spesso usato come sostituto per l’ebano. Disponibilità e sostenibilità: Sono pochi gli agrifogli che vengono abbattuti , perché c’è un’alta richiesta di bacche e di foglie, per questo motivo per trovare il legno di agrifoglio è necessario rivolgersi a fornitori specializzati in tornio ed intaglio o in piallacci. Punti forti: -Colore bianco crema -Tessitura fine ed uniforme -Buono per tornio ed intaglio Punti deboli: -Fibratura intrecciata -Disponibile solo in piccoli formati -Scorte limitate Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Alternative: I. Aquifolium -Colore: Bianco crema -Tessitura: Fine ed uniforme, satinata al tatto -Fibratura: Ondulata e intrecciata -Durezza: Duro e resistente -Peso: Pesante -Robustezza: Alta -Stagionatura e stabilità: Cattiva, si ritira parecchio -Scarto: Basso -Disponibilità di larghezza delle tavole: Limitata -Disponibilità di spessore delle tavole: Limitata -Durevolezza: Poco durevole ma non tanto da comprometterne l’uso a cui è destinato

In laboratorio: Lavorazione: Si lavora bene al tornio, ma a causa della fibratura intrecciata può rovinare il filo degli attrezzi Finitura: Si presta molto alla verniciatura, soprattutto nera, per cui è utilizzato come imitazione dell’ebano Usi principali: -Tempo libero: strumenti musicali, pezzi per gli scacchi -Decorazioni: Lavori al tornio, intarsio


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betulla Usato per la produzione di massa di mobili e compensati, il legno di betulla non è una scelta comune per i lavori di alta qualità. I tronchi di betulla tendono a non crescere molto in spessore, perciò le tavoli sono relativamente strette. Il colore ed il disegno sono poco interessanti e le buone qualità del legno sono riservate a scopi di utilità. Si piega bene, e viene utilizzato solitamente per componenti nascosti in falegnameria. Inoltre si tratta bene con mordenti e spesso viene usato per mobili in kit da montare. Disponibilità e sostenibilità: La betulla è più facilmente reperibile sotto forma di compensato che di tavole in massello, ed è relativamente poco costosa; non mancandone le scorte, non esiste un reale bisogno di specificare fonti certificate. Punti forti: -Tessitura fine ed uniforme -La fibratura dritta è facile da usare -Poco costoso e di facile stagionatura Punti deboli: -Aspetto poco interessante -Limitato a piccoli formati -Poco durevole Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Betulla bianca, betulla verrucosa -Alternative: Tulipier -Colore: Dal bianco crema al terra di Siena molto chiaro -Tessitura: Da fine a media, ma comunque moto uniforme; ha un buon lustro -Fibratura: Diritta -Durezza: Media -Peso: Da medio a pesante -Robustezza: Buona, ottimo da curvare -Stagionatura e stabilità: Si essicca molto in fretta con una leggera tendenza a deformarsi -Scarto: Moderato -Disponibilità di larghezza delle tavole: Larghezze limitate a causa delle piccole dimensioni del tronco di betulla -Disponibilità di spessore delle tavole: Si usa soprattutto in compensati, ma si possono trovare alcune tavole -Durevolezza: Scarsa, vulnerabile all’attacco degli insetti e alla decomposizione. Il durame è moderatamente resistente ai trattamenti protettivi

In laboratorio: Lavorazione: La betulla è facile da piallare e tagliare a mano o a macchina Fresatura: Assume un buon bordo per la profilatura ed è spesso curvato nella produzione in massa di mobili Assemblaggio: Si può incollare, inchiodare o avvitare con facilità Finitura: Abbastanza buona, ma possono esserci dei pelucchi. Ha un buon lustro e riceve bene i mordenti. Usi principali: -Falegnameria: compensato, componenti nascosti -Interni: Produzione di massa di mobili, mobili in kit da montare, pavimenti


castagno Il castagno è spesso descritto come la quercia dei poveri, perché è robusto e durevole. Tuttavia non è altrettanto facile da usare, e non ha una figura altrettanto bella. Non ha raggi midollari visibili, e le facce tagliate in parallelo somigliano al frassino maggiore; la fibratura è diritta o elicoidale, ma non tende ad intrecciarsi. Varianti: Anche se può essere usato per piallacci decorativi, il castagno è molto utilizzato come legno secondario, in alternativa alla quercia. Disponibilità e sostenibilità: Il castagno non è altamente disponibile, ma il suo costo non è eccessivo pur trattandosi di un legno duro; il suo utilizzo è limitato anche a causa dell’elevata richiesta dei suoi frutti. Punti forti: -Più economico della farnia -Possibile fibratura diritta -Bella figura Punti deboli: -La fibratura può essere elicoidale -Corrosivo a contatto con materiali ferrosi -Non stagiona facilmente -Nessun disegno sui raggi midollari Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Castagno europeo, C. vesca -Alternative: Quercia, frassino, olmo -Colore: Il durame va dal paglia al marrone -Tessitura: Grossolana -Fibratura: Normalmente diritta, ma a volte può essere elicoidale -Durezza: Duro -Peso: Medio, ma più leggero della quercia -Robustezza: Moderata -Stagionatura e stabilità: Soggetto a spaccature e cipollature, di stagionatura generalmente lenta e difficile. Una volta stagionato, tuttavia, non si muove molto -Scarto: Potenzialmente alto se ci sono spaccature o altri difetti -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Solitamente buona, ma dipende dai rivenditori Durevolezza: Media, ma alcuni insetti lo attaccano e il durame non riceve trattamenti protettivi, sebbene sia

relativamente durevole In laboratorio: Lavorazione: Buona; non si scheggia molto e non rovina il filo delle lame Fresatura: Abbastanza duro da assumere un buon bordo o profilo Assemblaggio: Buono, si incolla bene Finitura: Può essere lucidato ottenendo un buon lustro Usi principali: -Interni: Scalinate -Falegnameria: Finiture d’interni -Utilità: Artigianato in legno, botti


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bosso Sebbene la sua tessitura liscia e fibratura dritta lo renda popolare per i piallacci decorativi, viene usato sporadicamente dai mobilieri. I tornitori ne amano la densità e i costruttori di utensili lo preferiscono per le teste dei mazzuoli e i manici degli scalpelli , poiché e duro e non si rompe. Non di rado è utilizzato per produrre pezzi per gli scacchi . Il colore può variare considerevolmente e la fibratura può essere difficile da utilizzare. Varianti: Il bosso comune è apprezzato per realizzare blocchi da stampa; altrimenti è usato ampiamente per gli inserti decorativi in ebanisteria. L’aspetto non è influenzato dal modo in cui le tavole vengono segate. Disponibilità e sostenibilità: Le scorte sono molto limitate, e per questo è molto costoso. Lo si trova presso magazzini specializzati. Il legno di bosso viene tagliato da alberi e cespugli che hanno raggiunto la maturità e devono essere rimossi, per questo è molto raro. E’ difficile trovarne scorte certificate, ma il taglio non comporta gravi rischi per il bosso. Punti forti: -Molto duro -Denso, con tessitura fine e fibratura fritta -Colore giallo chiaro Punti deboli: -Disponibilità molto limitata -Gamma limitata di formati -Fibratura ondulata con tendenza a rompersi Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Alternative: Jelutong -Colore: Da giallo a marrone chiaro -Tessitura: Fine ed uniforme -Fibratura: Da diritta ad ondulata, ma sono comuni piccoli nodi -Durezza: Duro -Peso: Pesante -Robustezza: Molto robusto -Stagionatura e stabilità: Di lenta stagionatura, tende a spaccarsi sulle estremità o in superficie se non è tagliato in tavole. Poco movimentato una volta essiccato -Scarto: Relativamente alto perché è disponibile solo in tronchi di piccolo diametro e presenta difetti e alburno consistente

-Disponibilità di larghezza delle tavole: Molto limitata Disponibilità di spessore delle tavole: Molto limitata Durevolezza: Durevole all’esterno, sebbene sia difficilmente usato sul terreno; vulnerabile all’attacco di insetti all’interno In laboratorio: Lavorazione: Grosso rischio che si spezzi; potrebbe servire usare un raschietto per la levigatura finale. Fresatura: E’ duro e denso, dunque i dettagli sono molto buoni, sebbene la fibratura ondulata e il rischio di nodi lo rendano fragile e soggetto a rotture nel senso della lunghezza Assemblaggio: Si incolla bene. E’ difficile trovare delle tavole che si combinino , se cercate di assemblare dei pannelli Finitura: Riceve bene i mordenti e la lucidatura è ottima, con un lustro superbo. Usi principali: -Tecnici: Strumenti scientifici, intaglio, blocchi da stampa -Utilità: impugnature di utensili -Decorazioni: Effetti decorativi in ebanisteria -Tempo libero: strumenti musicali, pezzi degli scacchi


frassino Pallido nel colore, il frassino è un legno importante, non tanto per il suo valore decorativo quanto per la sua natura robusta ed elastica. Il frassino ha una fibratura aperta, con caratteristiche file di piccoli pori aperti che si vedono anche se il legno è stato verniciato, sebbene siano più pronunciati nel frassino maggiore (F. excelsior). Il frassino ha una buona resistenza agli urti che lo rende popolare per i manici degli utensili e per le attrezzature sportive, ma assicuratevi di usare dei pezzi a fibratura diritta, perché il legno si può scheggiare dove la fibratura si curva vicino a un taglio. Varianti: Sebbene la colorazione oliva al centro sia più comune nel frassino maggiore, è possibile trovare del legno con figura ondulata, specialmente in forma di piallacci Disponibilità e sostenibilità: Si trova facilmente legno certificato, ma la specie non è minacciata. E’ subito reperibile e il costo è relativamente basso per un legno duro, specialmente poiché lo scarto non è molto alto. Punti forti: -Ottimo da curvare -Robusto -Disegno distintivo della fibratura -Effetti interessanti con mordenti -Pochissimo alburno -Pochi difetti Punti deboli: -Ingiallisce con l’età -Può spaccarsi o scheggiarsi -I legni primaverili ed estivi possono essere di durezza e lavorabilità contrastanti Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Frassino bianco americano -Alternative: Bosso comune -Colore: Chiaro con anelli brunastri -Tessitura: Grossolana -Fibratura: Dritta -Durezza: Duro -Peso: Da medio a pesante -Robustezza: Buona -Stagionatura e stabilità: Buone, ma fate attenzione alle spaccature

-Scarto: Medio, a seconda della direzione della fibratura -Disponibilità di larghezza delle tavole: Buona Disponibilità di spessore delle tavole: Buona Durevolezza: Ha bisogno di trattamenti protettivi per l’uso esterno; relativamente resistente all’attacco degli insetti In laboratorio: Lavorazione: Può scheggiarsi, ma la fibratura è raramente intrecciata e solitamente è dritta, quindi si riesce a segare e piallare con successo Fresatura: Può spaccarsi se si cerca di rimuovere troppo legno in una volta. Assume un buon bordo con utensili affilati Assemblaggio: Non si ammacca, ma non aderisce bene, perciò i giunti devono essere accurati. Potrebbe spezzarsi. Il caratteristico disegno della fibratura e la gamma di colori rende difficile nascondere le giunzioni Finitura: Sopporta quasi tutte le finiture trasparenti, ma le parti più dure non ricevono bene i mordenti Usi principali: -Interni: mobili, mobili per ufficio verniciati -Tempo libero: Attrezzature sportive -Utilità: Impegnature di utensili -Marittimi: costruzione di barche


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olmo europe0 La “grafiosi”, malattia dell’olmo che si diffuse in molte foreste e campi di tutta Europa negli ani Venti, ha costretto questa specie ad un continuo declino. Il legno ha una fibratura elicoidale ed una splendida gamma di colori. I molti nodi aumentano il carattere, rendendo questo legno difficile da lavorare Varianti: L’olmo con radiche è uno dei legni più apprezzati. I lati segati in quarti possono esibire delle macchioline di specchiature. Disponibilità e sostenibilità: Non ci sono molte scorte certificate, ma l’uso del legno è sicuro. Può essere disponibile presso importatori specializzati, oppure acquistato sotto forma di piallacci. Il costo è abbastanza contenuto, ma lo scarto ottenuto da questo legno è elevato. Punti forti: -Fantastiche figure e fibratura interessante -Colori attraenti -Tenero ed ideale per sedili Punti deboli: -Sempre più raro -Fibratura intrecciata -Non molto stabile Caratteristiche principali: -Tipologia: Legno duro temperato -Altri nomi: Olmo olandese -Alternative: Acacia nera, acero rosso, platano, olmo americano -Colore: Miele chiaro, con alcune bande tendenti al beige, alburno chiaro -Tessitura: Relativamente grossolana -Fibratura: Gli anelli della crescita di ampiezza variabile si combinano con la fibratura elicoidale -Durezza: Uno dei più teneri tra i legni duri -Peso: Medio -Robustezza: Robusto; può essere curvato a vapore -Stagionatura e stabilità: Si muove moderatamente una volta in uso e deve essere stagionato molto attentamente, -Scarto: Può essere alto, con difetti, corteccia e alburno invadenti -Disponibilità di larghezza delle tavole: Variabile Disponibilità di spessore delle tavole: Variabile Durevolezza: Ha bisogno di trattamenti protettivi

per l’uso esterno; in ambiente interno è relativamente resistente all’attacco degli insetti In laboratorio: Lavorazione: La fibratura può spezzarsi. Fresatura: Gli utensili devono essere affilati, ma comunque l’olmo europeo non assume un buon bordo, e altri legni duri temperati sono migliori per creare giunti o profili Assemblaggio: l’olmo deve avere l’opportunità di muoversi se usato come pannello o come piano di un tavolo o sedile. Si incolla bene e i giunti possono essere inseriti molto stretti. Chiodi e viti non causano spaccature Finitura: E’ molto indicata la finitura a cera che non inibisce la sua naturale tenerezza. Usi principali: -Interni: Sedili, piani di tavoli, ebanisteria -Decorazioni: Lavori al tornio, piallacci -Marittimi: costruzione di barche


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