Il
Rivoluzionario Mensile di politica e pensieri filosofici LA DELINQUENZA E’ RIVOLUZIONARIA, GLI INTELLETTUALI NO!
Molti gli onesti cittadini che si sono scandalizzati nel leggere lo speciale del Corriere della Sera sulla violenza negli stadi. Si parlava in particolare di Milano, di 300 facinorosi, per lo più giovanissimi, che deliberatamente andavano in curva con il solo intento di aggredire la polizia. Per frenare questi cani sciolti il questore ha disposto, oltre alle telecamere a circuito chiuso, la sorveglianza di poliziotti in borghese. Sono molti coloro che restano impietriti di fronte alla violenza della camorra nelle strade di Napoli. E si alzano i cori <<vogliamo che lo stato sia più presente, vogliamo più stato!>>. Come se la camorra non fosse un forma di stato. Come se lo stato non fosse una organizzazione finalizzata alla difesa degli interessi dei più forti, al controllo del territorio, all’esaltazione di un capo, all’estorsione delle tasse, alla formazione di un esercito. Sono ancora di più quelli che si indignano di fronte agli episodi della microcriminalità e della così detta delinquenza comune. Il piccolo spacciatore di stupefacenti, il fattone che vive nel parco, il borsaiolo e il ladruncolo. Questi tra tutti sono i più odiati e temuti, poiché a differenza delle organizzazioni mafiose, non hanno l’intento di sostituirsi allo stato, ma la loro causa è in loro stessi, nel riuscire a trovare i soldi per mangiare, per bere o come dicono i bravi cittadini, per “drogarsi”. Inconsciamente la delinquenza è anarchica e individualista: il borsaiolo non ruba per il boss, ma per se stesso, stirnericamente “allunga le mani” e si prende ciò di cui ha bisogno. Sono tempi duri per il nobile Robin Hood, colui che ruba ai ricchi per donare ai poveri, non va più di moda la figura del delinquente, ma si invoca più repressione, più sbirri, più telecamere, più carceri. Si avverte da parte dei cittadini l’esigenza di più sicurezza e meno delinquenza: ma di quale sicurezza si parla? Si ha paura in primo luogo di perdere i privilegi di cui si possiede: i delinquenti solitamente sono quelli che non hanno che tolgono denaro a quelli che hanno. Cosa altro è l’incubo del terrorismo se non la paura di qualche ricco occidentale che si avveri quanto cantato nella Locomotiva di Guccini e cioè che un aereo impazzito si lanci contro un grattacielo pieno di signori? La libertà dura fino a che non riescono a prenderti e portarti via; allora finisci in stanze buie, incatenato e sorvegliato da quella razza infame quale i secondini, se ancora ti ribelli vieni picchiato, trasferito in isolamento e infine ammazzato come accade ogni anno a centinaia di persone.
Il carcere che è nella società, il carcere scuola, il carcere famiglia, il carcere officina realizza se stesso soltanto nelle prigioni dello stato. Senza le prigioni il carcere società non vivrebbe, per una nazione le galere sono importanti tanto quanto gli eserciti! Ma ci sono personaggi che nelle galere vivono meglio che negli alberghi. Il signor Sofri è uno di questi. Egli è l’esempio vivente di come il carcere propriamente detto serve a salvare e non a punire. Di questo ne sono convintissimo anch’io: è molto più dispendioso per lo stato imprigionare una persona che non salvarlo. Una volta “salvato” lo stato può andare a servire fuori dal carcere, mentre se questo non avviene è molto più costoso e pericoloso per la società. Sofri è l’esperimento riuscito, un assassino accusato nonostante numerosi appelli in tribunale e sempre condannato di essere il mandante dell’omicidio di Calabresi; eppure malgrado per la giustizia italiana sia un assassino si è riuscito a riciclarlo e ora scrive articoli sui giornali, rilascia intervista alla tv e per lui persino Ferrara fa lo sciopero della fame (pensate voi che sforzo); malgrado per la giustizia sia un assassino può permettersi di infamare pubblicamente un detenuto quale Wiliam Frediani ancora in attesa di processo; proprio perché per la giustizia italiana è un assassino la sua conversione alla causa del servilismo intellettuale vale ancora di più. Se voglio offendere Sofri lo definirò un intellettuale: un personaggio che non si occupa di politica esclusivamente, un personaggio che non si occupa di filosofia, un personaggio che parla di tutto e di niente, uno che scrive chiacchiere di attualità sulle pagine di cultura di giornali non culturali; l’esempio della mediocrità letteraria, un multiscente come direbbe Eraclito, uno che parla di tutto, ma che non conosce niente. L’esordio della lettera a Il Tirreno: “quanto ai fatti sono pochissimo informato”, il tipico discorso da intellettuale, da commentatore calcistico applicato alla politica, malgrado la mia infinita ignoranza dirò ugualmente la mia! Tanto in carcere tutto il giorno che fa poverino? La delinquenza è rivoluzionaria, gli intellettuali no! E allora allunghiamo le mani e facciamo festa con le ricchezze dei padroni! Attacchiamo deliberatamente i servi del potere in ogni occasione! Bruciamo le fabbriche, occupiamo le scuole, invadiamo gli stadi! La delinquenza è rivoluzionaria! Michele Fabiani