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Rivoluzionario Mensile di politica e pensieri filosofici LA DELINQUENZA E’ RIVOLUZIONARIA, GLI INTELLETTUALI NO!

Molti gli onesti cittadini che si sono scandalizzati nel leggere lo speciale del Corriere della Sera sulla violenza negli stadi. Si parlava in particolare di Milano, di 300 facinorosi, per lo più giovanissimi, che deliberatamente andavano in curva con il solo intento di aggredire la polizia. Per frenare questi cani sciolti il questore ha disposto, oltre alle telecamere a circuito chiuso, la sorveglianza di poliziotti in borghese. Sono molti coloro che restano impietriti di fronte alla violenza della camorra nelle strade di Napoli. E si alzano i cori <<vogliamo che lo stato sia più presente, vogliamo più stato!>>. Come se la camorra non fosse un forma di stato. Come se lo stato non fosse una organizzazione finalizzata alla difesa degli interessi dei più forti, al controllo del territorio, all’esaltazione di un capo, all’estorsione delle tasse, alla formazione di un esercito. Sono ancora di più quelli che si indignano di fronte agli episodi della microcriminalità e della così detta delinquenza comune. Il piccolo spacciatore di stupefacenti, il fattone che vive nel parco, il borsaiolo e il ladruncolo. Questi tra tutti sono i più odiati e temuti, poiché a differenza delle organizzazioni mafiose, non hanno l’intento di sostituirsi allo stato, ma la loro causa è in loro stessi, nel riuscire a trovare i soldi per mangiare, per bere o come dicono i bravi cittadini, per “drogarsi”. Inconsciamente la delinquenza è anarchica e individualista: il borsaiolo non ruba per il boss, ma per se stesso, stirnericamente “allunga le mani” e si prende ciò di cui ha bisogno. Sono tempi duri per il nobile Robin Hood, colui che ruba ai ricchi per donare ai poveri, non va più di moda la figura del delinquente, ma si invoca più repressione, più sbirri, più telecamere, più carceri. Si avverte da parte dei cittadini l’esigenza di più sicurezza e meno delinquenza: ma di quale sicurezza si parla? Si ha paura in primo luogo di perdere i privilegi di cui si possiede: i delinquenti solitamente sono quelli che non hanno che tolgono denaro a quelli che hanno. Cosa altro è l’incubo del terrorismo se non la paura di qualche ricco occidentale che si avveri quanto cantato nella Locomotiva di Guccini e cioè che un aereo impazzito si lanci contro un grattacielo pieno di signori? La libertà dura fino a che non riescono a prenderti e portarti via; allora finisci in stanze buie, incatenato e sorvegliato da quella razza infame quale i secondini, se ancora ti ribelli vieni picchiato, trasferito in isolamento e infine ammazzato come accade ogni anno a centinaia di persone.

Il carcere che è nella società, il carcere scuola, il carcere famiglia, il carcere officina realizza se stesso soltanto nelle prigioni dello stato. Senza le prigioni il carcere società non vivrebbe, per una nazione le galere sono importanti tanto quanto gli eserciti! Ma ci sono personaggi che nelle galere vivono meglio che negli alberghi. Il signor Sofri è uno di questi. Egli è l’esempio vivente di come il carcere propriamente detto serve a salvare e non a punire. Di questo ne sono convintissimo anch’io: è molto più dispendioso per lo stato imprigionare una persona che non salvarlo. Una volta “salvato” lo stato può andare a servire fuori dal carcere, mentre se questo non avviene è molto più costoso e pericoloso per la società. Sofri è l’esperimento riuscito, un assassino accusato nonostante numerosi appelli in tribunale e sempre condannato di essere il mandante dell’omicidio di Calabresi; eppure malgrado per la giustizia italiana sia un assassino si è riuscito a riciclarlo e ora scrive articoli sui giornali, rilascia intervista alla tv e per lui persino Ferrara fa lo sciopero della fame (pensate voi che sforzo); malgrado per la giustizia sia un assassino può permettersi di infamare pubblicamente un detenuto quale Wiliam Frediani ancora in attesa di processo; proprio perché per la giustizia italiana è un assassino la sua conversione alla causa del servilismo intellettuale vale ancora di più. Se voglio offendere Sofri lo definirò un intellettuale: un personaggio che non si occupa di politica esclusivamente, un personaggio che non si occupa di filosofia, un personaggio che parla di tutto e di niente, uno che scrive chiacchiere di attualità sulle pagine di cultura di giornali non culturali; l’esempio della mediocrità letteraria, un multiscente come direbbe Eraclito, uno che parla di tutto, ma che non conosce niente. L’esordio della lettera a Il Tirreno: “quanto ai fatti sono pochissimo informato”, il tipico discorso da intellettuale, da commentatore calcistico applicato alla politica, malgrado la mia infinita ignoranza dirò ugualmente la mia! Tanto in carcere tutto il giorno che fa poverino? La delinquenza è rivoluzionaria, gli intellettuali no! E allora allunghiamo le mani e facciamo festa con le ricchezze dei padroni! Attacchiamo deliberatamente i servi del potere in ogni occasione! Bruciamo le fabbriche, occupiamo le scuole, invadiamo gli stadi! La delinquenza è rivoluzionaria! Michele Fabiani


ARCHIVIATO IL CASO LONZI: SI E’ TRATTATO DI MORTE NATURALE!!!

<<Io sono un difensore e un difensore non può essere un vile, altrimenti meglio che se ne stia a casa>> è la prima reazione di Vittorio Trupiano avvocato della madre del giovane livornese morto un anno fa in carcere. Continua Trupiano: <<Non posso accettare che si dica che tutte quelle ecchimosi, quei lividi, e quant’altro sono le conseguenze di un tentativo di rianimazione>>. La stessa madre del defunto è stata avvertita solo 12 ore dopo la morte del figlio. Perché tanto tempo? Cosa aveva da nascondere la direzione del carcere? <<La verità è che non si è disposta una nuova autopsia solo per evitare che risultassero evidenti lesioni ossee. Questa storia non può e non deve finire qui –conclude Trupiano- farò tutto il possibile acchè il caso venga riaperto, anche se per ora ha prevalso la ragion di Stato>>. Sconsolata la madre di Marcello <<speravo nella giustizia ma mi sono sbagliata. La giustizia funziona solo contro i poveri perché sono loro che finiscono in carcere, loro che muoiono e i poveri detenuti non parlano perché sanno che potrebbero fare la stessa fine di Marcello>>. Era il suo unico figlio e adesso vuole che la verità venga fuori: <<come mamma ho il diritto di sapere come è morto mio figlio>>. Intanto il Partito Nanarchico, formazione internet di spammer nata sul forum del sito www.anarchaos.tk, invita a scrivere ai seguenti indirizzi per rendere evidente lo sdegno per questa decisione: uffsorv.livorno@giustizia.it civile.tribunale.livorno@giustizia.it


SOFRI INFAMA FREDIANI CON UNA LETTERA A IL TIRRENO! LA MADRE DI LONZI: <<PUR DI FAR PARLARE DI TE PARLI MALE SENZA CURARTI DEL DOLORE ALTRUI>> Pubblichiamo volentieri la lettera di Adriano Sofri su Il Tirreno del 28 dicembre, contro Freudiani e contro le Cor. Pubblichiamo per correttezza anche la lettera della madre di Marcello Lonzi in difesa di Willy. Entrambi i testi hanno girato in internet in questi ultimi giorni.

Caro direttore, vorrei svolgere alcuni pensieri che riguardano il giovane pisano William Frediani, accusato di associazione a scopo di terrorismo. Pensieri, non notizie: quanto ai fatti sono pochissimo informato, e ho provato a recuperare per l’interesse che ha suscitato in me il protagonista della storia. L’ho visto infatti, in questa malaugurata casa comune, per alcuni mesi, e all’improvviso, da sabato scorso, non lo vedo più. Speravo di non vederlo più, perché era alla vigilia di una scadenza dei termini per la custodia in carcere: speravo che fosse messo fuori di qui e rimandato a casa. Invece, con la gravissima nuova imputazione, è stato trasferito - “sballato”, si dice in galera: rende meglio l’idea - al carcere di Spoleto, definito «di massima sicurezza». Benché abbia avuto a che fare con Frediani, nelle occasioni brutalmente intime che sono proprie della prigione - i colloqui con i famigliari svolti fianco a fianco, ascoltando senza volere commosse parole altrui, vedendo senza volere sorrisi e lacrime altrui; e poi le partite a biliardino, e le quattro chiacchiere a un tavolino della stanza comune - non ho alcuna sua autorizzazione a parlarne. Immagino che me ne diffiderebbe. E’ di quei giovani militanti che devono mandare a quel paese i vecchi e disillusi ex combattenti. L’impressione simpatica che ne ho - un ragazzo carino, orgoglioso, gentile, intelligente, scemo, premuroso verso i più disgraziati di qua dentro - vale poco. Non è affatto detto che simili doti umane contraddicano le peggiori fesserie politiche. Tanto meno valgono le mie opinioni sulla sua responsabilità o no riguardo alle accuse che gli sono mosse, e dunque non le nominerò nemmeno. Siccome mi piacerebbe che leggessero i miei pensieri anche i magistrati e gli inquirenti che si occupano dell’indagine, dirò invece del tutto francamente che cosa penso dei fatti sui quali si indaga. Ne penso malissimo. Ne penso come ogni persona perbene, e come il sindaco di Pisa, per esempio, e chiunque sia affezionato a questa città. Io le sono affezionato, perfino da qua dentro. Comincerò dalla lettera di minacce e di insulti spedita alla signora Paola Coen, vedova del maresciallo Fregosi. E’ una lettera infame. Che i suoi autori siano stati spinti dalla solidarietà con la cosiddetta resistenza

irachena, comprese le sue imprese terroristiche, mostra che un triste strafalcione politico può tradursi nell’infamia umana. La morte del maresciallo Fregosi e dei suoi commilitoni (e di bravi civili) a Nassirya merita solo d’essere onorata, così come il dolore dei suoi cari. La signora Coen è ebrea, e questo aggrava l’infamia: e non la attenuano in alcun modo le predilezioni della signora per uno schieramento politico o l’altro. Gli attentati addebitati ai “Cor” (”Cellule di offensiva rivoluzionaria”: non è solo il centrosinistra legale a escogitare titoli insulsi) sono evidentemente, nelle intenzioni dei loro sconosciuti autori, e per fortuna anche nel loro esito, atti dimostrativi. Dico per fortuna, perché quando si maneggiano congegni incendiari, sia pure i più rudimentali, è la sorte a decidere della differenza fra un atto senza conseguenze sull’incolumità delle persone, e la tragedia. Il fuoco appiccato alle porte di abitazioni, come quella della signora Fusco, o della famiglia Petrucci, esponenti pisani di Alleanza Nazionale, può ridursi a una bruciacchiatura molesta. Ma non si deve mai credersi abbastanza giovani per non ricordarsi dell’orrore del rogo di Primavalle, anche se non si era nemmeno nati: e nessuno degli imputati dei “Cor” era nato. Gli autori di quel rogo non immaginavano certo di compiere una orribile strage di bambini e del loro padre. La mala sorte calcò la mano: ma le cose che sfuggono di mano non riducono l’orrore. Forse la fede (e la superstizione) antifascista militante, che era la loro e la nostra, li illuse poi di essere meno irreparabilmente colpevoli. Bisogna di nuovo persuadere, provarci almeno, chi compila elogi antimperialisti delle taniche di benzina e chi dà fuoco a porte di casa - chiunque ci abiti - a misurarsi con quella storia. Questo penso delle azioni imputate ai giovani pisani. Quanto alle parole loro addebitate, grondano di una retorica imbecille e di un gusto della minaccia megalomane. Parole simili erano frequenti anche al mio tempo: suonavano forse meno imbecilli, perché sembravano meno anacronistiche. L’imbecillità, quando è così retorica e così compiaciuta di sé, è imperdonabile. Ma le parole restano parole, almeno per la valutazione giudiziaria. La nozione di “propaganda armata” mi sembra piuttosto equivoca. Che una cosa sia armata, basta e avanza a condannarla, senza bisogno di chiamare in causa la propaganda. Ma,


fuori dalle competenze giudiziarie, le parole prendono in ostaggio chi le pronuncia, e prima o poi gli presentano il conto. Specialmente esose sono le parole pronunciate in pubblico, o davanti alla ragazza - o al ragazzo - che si vuole conquistare. E’ come rovinarsi al gioco in una notte: viene la mattina dopo. Bisogna tener dietro alle proprie parole, quando si è giovani e si deridono gli adulti che non si sono dimessi dalle parole troppo forti, benché non si sognino di tradurle in fatti. Questa è la mia opinione sulla congerie di reati di cui si occupa l’inchiesta. Fatti - benché fortunosamente - che non hanno superato la soglia dell’irreparabilità, segnata dalla violenza inferta alle persone. Di qua da questa soglia, chi ne abbia partecipato ha il tempo per tirarsene indietro illeso, ammesso che non sia stupido, e che sia coraggioso. Coraggioso sul serio: perché riconoscere, prima di tutto con se stessi, un simile errore, vuole più coraggio che restarsene in una piccola banda, reciprocamente fomentati e spalleggiati, a bruciare automobili e spedire clandestinamente bossoli di proiettili. Questa occasione gli “anarcoinsurrezionalisti” - nome davvero fesso - ce l’hanno, chiunque siano. Ma anche i loro avversari, l’opinione pubblica, le istituzioni civili, i giornali, e più peculiarmente gli inquirenti, hanno a che fare con questa occasione. Ecco un caso in cui repressione e prevenzione possono, e dovrebbero, andare insieme. Ammettiamo infatti che gli inquirenti mettano le mani sugli effettivi autori di attentati e rivendicazioni. E’ un loro interesse, e di tutti, che quelle persone non rendano cronica e indurita la loro scelta. Niente è più efficace del carcere nell’inchiodare i combattenti amatoriali, e i loro sostenitori, alla professione. Il carcere conferisce loro un’aura magnanima di persecuzione, induce i loro sodali a esigere sui muri la loro libertà - per esempio, “Willy libero”: ho fatto qualche escursione nelle strade di Pisa, e l’ho letto - e, siccome non si è anarcoinsurrezionalisti per niente, a riscattare la richiesta singola con l’altra plenaria: “Liberi tutti”. Chi sta in carcere, anche nelle notti lunghe e sole trascorse in una cella di Pisa o di Spoleto, farà fatica a deludere le scritte sui muri: sono la sua nuova carta d’identità. Il carcere, brutto e triste com’è, riesce ancora a nobilitare un imbecille qualunque: figuriamoci un ragazzo simpatico, premuroso con i disgraziati, bravo studente, pronto al dialogo e alla conversazione. Così devo pensare, a giudicare dalla serietà con cui,

come me e tanti, frequentava la chiesa e il prete del carcere. Da questo punto di vista, che Frediani sia o no responsabile dei reati che gli vengono imputati non cambia: anzi, il meccanismo può travolgerlo ancora di più se è loro estraneo, non userò la parola innocente. Il passaggio alla Procura antiterrorismo fiorentina, la traduzione a un carcere di massima sicurezza come Spoleto, sono misure dolorose per Frediani (e molto di più per i suoi cari) ma possono anche diventare medaglie al valore combattente sul suo maglione, invidiate dal suo piccolo pubblico. C’è una deformazione ottica crescente. Anche nella fisionomia. Che Willy sia carino non è un argomento a suo favore. Però se uno guarda la sua fotografia sui giornali, sempre la stessa, un ceffo allarmante, là c’è un argomento a suo sfavore. O i titoli: «Aveva in carcere il Corano». Io ho in carcere il Corano, e mi adopero per procurarne altri ai ragazzi musulmani che non riescono a procurarselo. Scorro le fotocopie degli articoli dedicati al caso dal suo esordio, e Willy passa nel giro di pochi mesi da aderente di un’associazione a delinquere a capo di un’associazione a scopo di eversione - art. 270 bis - il più grave. Trovo che anche dalla parte di chi aborre taniche di benzina e lettere minatorie bisognerebbe tenere una proporzione fra le parole e i fatti. Sugli stessi giornali locali, mi aspetterei che non ci si limitasse alla cronaca nera e giudiziaria, ma che si discutessero le opinioni dei giovani accusati, senza nessuno sconto, e senza rimozioni perbeniste. E’ un peccato che argomenti e sentimenti esistenziali, che hanno tanta parte in queste vicende, siano ignorati, o relegati alla rubrica delle lettere - la lettera di una professoressa di Frediani, delle sue antiche compagne di scuola... Ci sono persone che scelgono la clandestinità: invitateli a fare due chiacchiere, e ne avranno meno voglia. E in ogni caso, ci avrete provato. Ho letto in un’ordinanza dei magistrati, a proposito di Willy e coimputati: «Immersi in ideologie e considerazioni farneticanti e via via sempre più sganciati dalla realtà...». Agganciarlo a lungo alla realtà del carcere di Pisa, e a peggior ragione di Spoleto, non è una idea così conseguente. La legge è come il sabato, o dovrebbe essere. E’ fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge. Non solo per il futuro di Willy Frediani, che non è da buttar via, ma anche per la pubblica sicurezza, è più sensato il prolungamento della sua detenzione a Spoleto, o il suo ritorno a casa? Per me la risposta è chiara: e non solo per l’aria di Natale. Adriano Sofri


LA RISPOSTA DI MARIA CIUFFI: Mi è stato vicina dopo la morte di mio figlio, non come te che da un anno ancora non rispondi alle mie lettere. Sei un vigliacco! Vorrei capire come ti sei permesso di offendere una persona che tu non conosci, dandogli attributi che mi meravigliano. Definisci William “scemo”; “premuroso verso i più disgraziati di qua dentro” (parole tue), vale poco! Quando mio figlio morì, la persona che tu definisci scemo mi fu vicino, anche se per poco tempo perché poi alla tv appresi del suo arresto. Ma non dimentico le parole di conforto, la sua sensibilità nello stimolarmi ad andare avanti. Nella mia vita non ho mai giudicato gli altri, ne chiesto se erano di sinistra, destra, centro o isole (come dice il meteo in tv), ma chi vuole aiutare i più deboli, chi soffre, ben venga in questo mondo dove tutti corrono. Dare una parola di conforto ad una madre che ha perso il suo unico figlio, non lo definirei scemo. Adriano, te credi di essere un “santo”, ma sei in carcere per omicidio e non perché hai fatto beneficenza; però dentro hai tutto, ti manca solo la chiave del cancello per uscire, se non ce l'hai già! Sei un detenuto e dovresti stare come gli altri e non avere tanti privilegi. Pur di far parlare di te, scrivi male anche senza preoccuparti del dolore che puoi causare ai suoi familiari. Perché!? Potevi rispondere alla mia lettera, se volevi apparire sulla stampa, ma non hai avuto il fegato per farlo, tanto è vero che è quasi trascorso un anno; oppure l'argomento sulla morte del Lonzi era troppo pesante! Ora hai capito, sono Maria. A te non importa aiutare gli altri, pensi solo a te stesso, perché se arrivi a definire scemo ecc. una persona che aiuta i suoi simili dentro il carcere, per me è un niente. William ti ha dato una lezione, cioè che non occorre essere famosi per aiutare i deboli, impara. E perché hai aspettato che andasse a Spoleto per parlare male alle sue spalle? Solo i vigliacchi lo fanno!


Riceviamo e pubblichiamo: Questa mattina abbiamo trovato nella nostra casella postale la seguente lettera proveniente da Roma. Riteniamo opportuno divulgarne il contenuto. Fonte: Croce Nera Anarchica "Non ci sono mezzi pacifici, legali per uscire da questa situazione. Contro la forza fisica che ci sbarra il cammino c'è solo l'appello alla forza fisica, solo la rivoluzione violenta". Errico Malatesta Abbiamo attaccato alcuni tra i diretti responsabili della violenza e del terrore di Stato, gli esecutori materiali delle torture e dei soprusi che quotidianamente si consumano nelle carceri e nelle caserme nei confronti di chi si ribella e non subisce passivamente il dominio dello Stato e la repressione dei suoi servi in divisa. Ci auguriamo che questa azione sia incisiva tanto quanto comunicativa, in grado di vendicare ogni violenza subita e di terrorizzare coloro che con la violenza legittimano il loro potere. In questo modo vogliamo proseguire la campagna rivoluzionaria contro il carcere iniziata con l'attacco al DAP nell'aprile scorso ed arricchitasi del contributo dei compagni di Solidarietà Internazionale. Solidarietà ai prigionieri in lotta contro le torture, i moduli di isolamento e le brutalità del sistema carcerario. Solidarietà agli anarchici colpiti dalla repressione in Italia, Spagna, Germania e in ogni parte del mondo. Ai protagonisti delle varie operazioni repressive, magistrati, sbirraglia varia, ed altri loro collaboratori, diciamo: il vostro colpire nel mucchio non farà che accrescere la nostra rabbia, sempre pronta a esplodervi tra le mani in qualunque posto vi troviate. Non ci fermerete. Viva la FAI Viva l'Anarchia Federazione Anarchica Informale/ Cellule armate per la solidarietà internazionale

________________________________________________________________________________ da Stefano scecchi@inwind.it Siamo un gruppo di delegati RSU degli Enti Locali di Firenze e dintorni eletti o rieletti nelle ultime elezioni per le RSU del Pubblico Impiego nelle liste del sindacalismo di base per dovere di informazione e correttezza nella RdB -CUB, ma questo ci interessa relativamente, quello che vorremmo è riuscire a mettere in piedi una riunione nazionale degli RSU degli Enti Locali del sindacalismo di base, autorganizzato o come piace più chiamarlo. Naturalmente non vogliamo fare un altro sindacatino, ce ne sono fin troppi! ma vorremmo vista la frammentarietà dei nostri enti nonchè la frammentarietà della rappresentanza sindacale extraconfederale riuscire a creare se ce ne saranno i presupposti un momento di coordinamento nazionale, su poche cose ma chiare: Privatizzazioni e esternalizzazione dei servizi ( problema estremamente sentito e vissuto sulla pelle dei lavoratori degli EE.LL.), problema del precariato (assai diffuso nelle varie speci nei nostri enti), problema del salario e della contrattazione decentrata, legata anche al problema del federalismo. Come potete vedere non è un manifesto politico, non ci interessa, quello che vorremmo riuscire a fare, è mettere insieme un pò di lavoratori che sono frammentati e stanchi delle diatribe di "bottega" per riuscire a costruire insieme o almeno a provarci un percorso che sia anche un momento di sintesi e di conoscenza delle esperienze che viviamo nei nostri enti. Se c'è qualcuno interessato risponda sul gruppo oppure contatti Stefano Comune di Firenze 3292298331 Silvia Comune di Firenze 3282960517 Luciano Provincia Firenze 3288083204

____________________________________________________________ Fonte: Croce Nera Anarchica Il 24 Dicembre circa 100 anarchici hanno attaccato una stazione di polizia nel quartiere centrale di Patissia, ad Atene. Pietre e molotov sono state lanciate all'interno dell'edificio, alcune auto parcheggiate all'esterno sono state incendiate. E' stata la risposta diretta alle torture sistematiche, da poco rivelate pubblicamente, che quella stazione riserva ai rifugiati afgani. Sfortunatamente un compagno è stato arrestato, la sua condizione è preoccupante in quanto è stato pesantemente pestato dagli sbirri e le accuse contro di lui sono molto pesanti. Le accuse precise dovrebbero essere formulate entro pochi giorni.


Abbiamo ricevuto da alcuni compagni la seguente lettera di Titto insieme ad un loro contributo che diffondiamo di seguito alla lettera. Fonte: Croce Nera Anarchica "Il 21 Gennaio si terrà un’udienza presso il Tribunale di Viterbo riguardo ad un’accusa di occupazione avvenuta nel 2001 e che vede imputati il sottoscritto più altri 24 compagni/e. Ero indeciso se partecipare o meno a tale udienza vista l’evidente distanza che mi separa, in quanto mi trovo confinato presso il carcere Le vallette di Torino. Distanza che comporta ovviamente problemi di spostamento non indifferenti. Ho comunque optato per la scelta di presenziare esclusivamente per avere l’opportunità di rivedere dopo mesi facce amiche di compagni/e e amici cari. Volevo con questo mio scritto fare alcune considerazioni sull’udienza che dovremo affrontare. Innanzitutto, come al solito, anche una semplice e secondo me più che legittima occupazione di case sta per essere strumentalizzata da inquirenti e giornalisti asserviti, come ulteriore falsa prova del fantomatico disegno criminoso portato avanti dai compagni/e di Viterbo. A queste farneticazioni rispondo che disegni criminosi sono stati quelli messi in atto dalla Digos di Viterbo che, seguendo la propria logica repressiva, ha nuovamente sprofondato nell’abbandono più completo delle case che dignitosamente erano state sottratte all’oblio e alla distruzione. Delle case che dopo anni tornavano ad essere abitate da chi riteneva e ritiene che la casa sia un diritto e che, se tale diritto viene negato, è un dovere prenderselo. Disegni criminosi sono nelle menti di chi, pur sapendo che decine di famiglie a Viterbo non hanno la possibilità di pagarsi l’affitto di un tetto, continua a cacciare chiunque provi a pretendere qualcosa in più della vita, oltre la possibilità di ubbidire e sopravvivere. Nessuno ha speso mezza parola sul continuo aumento degli affitti nella città e su come riuscire a entrare in possesso di un’abitazione diventi sempre più difficile. In una città come Viterbo, nonostante il tentativo di omologare ad una realtà confezionata, c’è fortunatamente ancora chi ritiene che quello che ci circonda non sia rose e fiori, come ci vorrebbero far credere. C’è ancora chi pensa che tutto ciò che ci viene negato sia giusto riprenderselo. In quella palazzina, a Bagnaia, si è fatto semplicemente questo: si è entrati nuovamente in possesso di ciò che ci avevano rubato. Signori giudici, voi analizzerete, cercherete di dimostrare la colpevolezza o l’innocenza, vi porrete domande. A me della vostra sentenza poco importa. Ciò che più mi ha interessato è stato il realizzare la solidarietà che si è manifestata attraverso rapporti col vicinato (esclusi i soliti benpensanti amici di altrettanto soliti questurini). Solidarietà che mi ha permesso di capire a distanza di tempo l’avversione che anche costoro provano nei confronti di chi si riempie la bocca di promesse, esclusivamente per salvaguardare la propria posizione di sfruttatore privilegiato. Discutendo con uno degli abitanti della zona, mi aveva messo in guardia sulla repentina risposta repressiva che ci sarebbe stata. Risposta che in effetti non ha tardato nel verificarsi. La sua convinzione era purtroppo dovuta ad una sua simile esperienza, cioè l’occupazione che aveva effettuato con la sua famiglia, di un’altra casa sempre a Viterbo e che si era risolta con uno sgombero violento da parte della polizia. Visto il frequente uso del termine “terrorista”, impropriamente usato nei nostri confronti, mi domando come chiamare chi manganella, picchia, minaccia, insulta e caccia dalla propria casa uomini,donne e bambini che hanno l’unica colpa di ritrovarsi senza la possibilità economica di permettersi il pagamento di un affitto? Sinceramente non trovo altro termine se non terrorista nel classificare questi “funzionari”. E’ terrore quello che trasmettono, è terrore ciò che viene comandato loro di attuare. Come sempre la storia si ripete.Gli organi repressivi sono al servizio del potere e con il terrore lo realizzano. Gli sfruttati sostengono e praticano la volontà di riprendere possesso delle proprie esistenze. Quindi, solidarietà verso chi ha creduto in quell’esperienza di lotta, solidarietà a chi ritiene che nella vita non ci si debba accontentare degli scarti che i padroni “gentilmente” ci elargiscono, complicità con chi ritiene che l’occupazione sia una pratica lecita, attraverso cui provare a ragionare su un modello di vita svincolato da partiti e istituzioni. Pensare all’occupazione come ad un luogo sottratto alle logiche del dominio e dal quale partire per estendere i propri desideri di libertà". UNO DEGLI IMPUTATI David Santini, detenuto dal 27 luglio nel carcere delle Vallette di Torino (adesso Lo Russo- Cutugno), dopo quasi cinque mesi di isolamento, lunedì 20 dicembre è stato trasferito in una sezione ad alta sorveglianza. I detenuti presenti sono appartenenti alla criminalità organizzata o arrestati per grossi quantitativi di droga. Come spesso accade tra autorità penitenziarie e reclusi di un certo calibro, c’è stata una sorta di presentazione prima dell’arrivo di David ed ora si può dire che goda di una certa non voluta fama. Cambiando di sezione sono anche cambiate le modalità della censura per cui potranno esserci ulteriori ritardi nella corrispondenza ed inoltre, essendo David l’unico sottoposto a questo tipo di regime, ciò comporterà che anche a tutti gli altri detenuti sarà aperta la posta nel timore di invii non controllati. Certo tutto ciò non snellisce i rapporti, ma si spera che gli altri reclusi comprendano qual è la vera ragione di questo ulteriore restringimento della propria libertà. A David, ad Alessio e a tutti gli altri compagni detenuti o colpiti dalla repressione la nostra inarrestabile solidarietà.

Anarchici nelle Alpi


Dirottate dal carcere al Tribunale due lettere indirizzate a Mantelli e Fabiani perché la direzione carceraria sospettò che Francesco facesse da prestanome a Dorigo per aggirare la censura.

Nuova incriminazione per Catgiu Ha offeso il decoro del dirigente sanitario del carcere di Maiano di Spoleto. Definitivo con fine pena fissato al 9.1.2015, da poco parcheggiato a Secondigliano con provenienza da Spoleto, dovrà rispondere del reato di cui all'art. 594 c.p. "per aver offeso l'onore ed il decoro del dott. Silvio Fiorani, dirigente il Servizio Sanitario della locale Casa di Reclusione, gridandogli alla presenza di più persone, le seguenti parole mentre lo stesso transitava per il corridoio sella Sezione quarta Infermeria: <perchè non vieni qui pezzo di merda, tutti sanno che sei stato tu ad ammazzare Altomonte come tante altre persone!>" reato accertato in Spoleto il 5 aprile 2004. Catgiu è su una sedia a rotelle da diversi anni, ha gravissime patologie, è detenuto ininterrottamente da oltre 20 anni. In data 24 settembre 2004, quando era ancora a Spoleto, la stessa Direzione del Carcere inviò una informativa al locale Magistrato di Sorveglianza in cui è dato leggere "si trasmettono le accluse missive aventi quali destinatari il Sig. Mantelli Guido (Cuneo) e Fabiani Michele (Spoleto) poiché si ha ragione di ritenere che il detenuto in esame (Catgiu) costituisca prestanome a favore del detenuto Paolo Dorigo sottoposto al visto di censura." Catgiu, quindi, sarà processato su richiesta della Procura della Repubblica di Spoleto. Prendo atto, comunque, la Procura di Spoleto lo ha incriminato per il reato di ingiuria, e non anche per quello di calunnia. Catgiu, in ogni caso, riferirà tutto quanto in sua conoscenza riguardo al decesso del detenuto Altomonte, non avvalendosi della facoltà di non rispondere, esattamente come ha fatto Dorigo a Livorno il 29 ottobre scorso. Il difensore Avv. Vittorio Trupiano


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