Fabrizio Ardito
111 luoghi dell’Umbria che devi proprio scoprire
emons:
Premessa Tra le regioni italiane, l’Umbria è quella che – a parte il mare – conserva nel suo territorio la più grande varietà di paesaggi, ambienti e panorami. Piccola, ma mai banale, la regione scende dalla neve delle vette dell’Appennino fino alle coste del lago Trasimeno, s’inerpica su colli coperti d’ulivi argentati e foreste oscure e sembra riposare davanti allo scorrere dei suoi fiumi. Un compendio del centro della Bella Italia, dunque, e di tutte le sue qualità: il buon vivere e i capolavori del passato, i ritmi lenti e l’arte di tutelare un paesaggio segnato da millenni di presenza umana. Il passato si tocca con mano nelle sue città, Perugia e Orvieto, Terni, Todi e Foligno, ma la regione è ancora segnata dalla presenza di un gran numero di cittadine e di grandi borghi ricchi di attrattive e fascino che, come nell’antica Italia dei Comuni, conservano con orgoglio le loro tradizioni e particolarità storiche (e gastronomiche). Attorno alle mura merlate e alle basiliche del passato, la natura dell’Umbria domina ancora oggi il paesaggio, con parchi e riserve (da Monte Cucco al fiume Nera, da Colfiorito ai monti Sibillini) e un’attenzione sempre maggiore verso chi ama le attività all’aria aperta. Non a caso, strettamente legata all’Umbria è la figura di san Francesco, la cui predicazione fu segnata dal rispetto della Madre Natura che ci circonda. Viaggiare in Umbria, quindi, è spesso fonte di meraviglia e sorprese, in ogni stagione: mummie polverose e lenticchie sopraffine, costole di crudeli draghi e gelati eccezionali sono a portata di mano. Decine sono i luoghi, i musei e gli artigiani da scoprire, seguendo senza fretta le tortuose strade secondarie, i sentieri e le ferrovie minori di una regione dove cultura, fede, storia e tradizioni convivono e si mescolano da sempre. O magari sedendo nelle comode poltrone del teatro più piccolo del mondo, scendendo con cautela in cisterne dimenticate da secoli o provando a seguire le tracce dell’ultimo glorioso elefante di Annibale, sulle rive del lago Trasimeno.
ASSISI
3__ L’abbazia di S. Benedetto al Subasio I pesci di san Francesco
Assisi non sarebbe quella che è senza la mole verdeggiante del Monte Subasio, che la sovrasta da sud. Il massiccio, che al di sopra delle sue foreste culmina in un brullo altopiano di pascoli, è sempre stato un luogo di profonda spiritualità, ambiente ideale per piccole comunità di monaci in cerca di silenzio e raccoglimento. A pochi chilometri dal centro cittadino, l’abbazia di San Benedetto al Subasio fu fondata prima del fatidico anno Mille e domina dall’alto con una splendida vista la Valle Umbra. Davanti ai cancelli dell’abbazia giunse nel 1210 san Francesco accompagnato dai suoi fraticelli per chiedere all’abate (Maccabeo o Teobaldo, non lo sappiamo con certezza) la concessione della piccola cappella diroccata della Porziuncola, oggi custodita come una reliquia nella grandiosa basilica di Santa Maria degli Angeli. I primi francescani avevano infatti bisogno di una chiesetta da restaurare e da far divenire il centro della loro predicazione, e offrirono al rettore un cesto di pesce fresco delle acque gelide del Chiascio. La consegna di questo povero dono si sarebbe rinnovata per secoli, fino all’abbandono di San Benedetto, reso ancor più definitivo dagli effetti del terremoto che, nel 1997, ha di colpo seccato la sorgente dell’abbazia. Nel complesso, ben restaurato dopo il sisma, si ammirano due ambienti d’eccezione: la cripta triastila (retta da tre colonne) e la più ampia cripta cruciforme, su cui veglia la lapide di uno degli antichi abati del monastero. Di proprietà del convento di San Pietro di Assisi e data in affitto alla Fraternità di Bose che ha sede nel convento di San Masseo, San Benedetto può essere visitato in alcune occasioni speciali o su richiesta. Che ci abbia condotto fin qui un afflato mistico o uno slancio sportivo (l’abbazia si trova a mezza costa del monte, a 729 metri di altitudine), ogni scusa è buona per scoprire questo luogo perfettamente immerso nella natura selvaggia. 14
Indirizzo Via di San Benedetto, 06081 Assisi, Fraternità di Bose, Convento di San Masseo (tel. 0758155261, www.monasterodibose.it) | Come arrivare Da piazza Matteotti, seguire via di San Benedetto poi, sulla destra, via Giovanni XXIII che diviene via della Cooperazione, poi di nuovo a sinistra seguire via di San Benedetto fino a giungere davanti all’abbazia (circa 5,5 km) | Orari Su appuntamento | Un suggerimento Il Parco del Subasio merita certamente un’escursione. Per raggiungere le zone più alte della montagna si può seguire la strada che da Assisi, raggiunto l’eremo delle Carceri, sale verso la vetta per poi scendere nuovamente in direzione di Spello.
CAMPELLO SUL CLITUNNO
13__ Fonti del Clitunno La sorgente dei poeti Ai piedi delle montagne di calcare dell’Umbria, molte sono le sorgenti carsiche che portano alla luce le acque gelide che scorrono nel cuore della roccia. Il piccolo Clitunno, tra tutti i fiumi di questo genere, è quello che ha la storia più nobile e blasonata. Per i Romani, le sue acque erano sacre a un dio, e i vitelli che crescevano nei pascoli alimentati da questa sorgente erano i più belli e imponenti tanto da venir usati, come ci narrano Virgilio e Plinio, per i sacrifici più importanti o i trionfi decretati e celebrati tra i templi maestosi di Roma. Lungo le rive del fiume sorsero tempietti, mausolei, ville e addirittura una locanda albergo con annesso un bagno pubblico. Poi, probabilmente a causa di un terremoto durante il V secolo, la portata dell’acqua diminuì notevolmente e gli dei lasciarono con rimpianto le chiare acque del Clitunno. Ma i poeti, quelli non smisero mai di frequentare la fonte più cristallina dell’Umbria, affascinati dal luogo, dalla sua frescura eccezionale anche nelle stagioni più calde e dalla fama del luogo, tramandata da generazioni di scrittori. Alla fonte sono dedicati i versi di Byron che, nel suo Childe Harold’s Pilgrimage, scrisse “Ma tu, o Clitunno! dalla tua dolcissima onda del / più lucente cristallo che mai abbia offerto / rifugio a ninfa fluviale, per guardarvi dentro e / bagnare le sue membra ove nulla le nascondeva, / tu innalzi le tue rive erbose lungo le quali / pascola il giovenco bianco come il latte…” E a lui risposero i versi di Giosuè Carducci, nella sua ode scritta dopo una visita alla vicina Spoleto nel 1876: “Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte / nume Clitumno! Sento in cuor l’antica / patria e aleggiarmi su l’accesa fronte / gl’itali iddii…” Oggi, le nobili fonti sono parte integrante di un parco, e sugli stagni creati dallo scorrere dell’acqua galleggiano tranquille papere e sontuosi cigni osservando con disapprovazione i visitatori che, per il regolamento del luogo, non possono dar loro nulla da mangiare. 34
Indirizzo Via Flaminia 7, 06042 Campello sul Clitunno, tel. 0743521141, www.fontidelclitunno.it | Orari Gennaio, febbraio, novembre e dicembre 10-13 e 14-16:30, marzo-aprile e settembre-novembre, apertura 9, chiusura che si allunga con l’allungarsi delle giornate; maggio-agosto 8:30-20. Festivi e prefestivi orario continuato | Un suggerimento Il tempietto paleocristiano del Clitunno, costruito alla fine del IV o all’inizio del V secolo, è stato edificato con resti romani e domina le rive del fiume a poca distanza dalla fonte. Nella sua piccola cella si possono ammirare resti di affreschi del VII secolo. Apertura estiva 14:15-19:45, in inverno 12:15-17:45 tutti i giorni dal martedì al sabato, e domeniche alterne.
CASTELLUCCIO DI NORCIA
17__ Il lago di Pilato Sulla riva dei Sabba Un lago infernale, circondato da pietre chiare dove, nelle notti di luna, qualcuno sostiene di aver visto danzare streghe e demoni. Lo specchio d’acqua del lago di Pilato non si trova in Transilvania o sul Monte Calvo, ma nel cuore dei Monti Sibillini, che segnano il confine tra Umbria e Marche. Eppure, i testimoni del passato non avevano dubbi. “Essendo volgata la fama di detto lago” scrisse un cronista nel 1577 per spiegare l’andirivieni di stregoni, maghi e fattucchiere “che quivi soggiornavano i diavoli e danno risposta a chi li interroga, si mossero già da alquanto tempo [...] alcuni uomini di lontano paese et vennero a questi luoghi per consacrare libri scellerati e malvagi al diavolo, per poter ottenere alcuni suoi biasimevoli desideri, cioè di ricchezze, di onori, di amenosi piaceri e simili cose…” Alla base di queste credenze spaventose sta una prima tradizione che vuole che proprio qui Pilato, dopo essere stato condannato a morte, abbia finito la sua esistenza terrena. E che le acque del laghetto, inorridite dalla presenza del carnefice di Cristo, abbiano iniziato a ribollire e ondeggiare in modo pauroso. Chi raggiunge il lago dopo una lunga e splendida passeggiata sulle dorsali dei Sibillini – che da Castelluccio di Norcia sale alle case della Capanna Ghezzi, e da qui al colle della Forca Viola per poi scendere nella vallata sottostante dove si trova il lago – oggi difficilmente troverà traccia di questi misteri. Certo, alcuni tratti di muro a secco, che prosaicamente si penserebbe siano stati costruiti per tenere al loro posto le greggi, potrebbero essere resti della recinzione che la chiesa di Norcia volle per impedire l’accesso ai negromanti. Ma nel lago ai piedi della vetta del Redentore, nascosto tra le pietre del fondale, vive un altro (questa volta vero) mistero: un minuscolo crostaceo rosso corallo (Chirocephalus marchesonii) che nuota con il ventre rivolto verso l’alto e che potrebbe essere un relitto di una specie diffusa durante il Pleistocene e poi sopravvissuta solo in questo minuscolo specchio d’acqua. 42
Indirizzo 06046 Castelluccio di Norcia | Come arrivare La salita da Castelluccio alla Capanna Ghezzi può essere affrontata con cautela in auto (a piedi richiede circa 1 ora). Da qui al valico di Forca Viola il tempo di salita è circa di 1,15 ore e da qui al lago si scende per circa un’ora. Indispensabili scarpe e attrezzatura da montagna | Un suggerimento Alternativa spettacolare a questo percorso, per i più allenati, è la lunga camminata sulla cresta che, da Forca Viola, sale alla cima del Monte Redentore e poi scende alla costruzione del rifugio Zilioli (circa 2,30 ore). Da qui, scendendo lungo il ripido vallone sulla sinistra, si raggiunge dall’alto il lago di Pilato (1 ora circa).
CITTÀ DELLA PIEVE
21__ Giardino dei Lauri La fabbrica della modernità Tra le colline verdi di olivi che circondano Città della Pieve, affacciate verso lo specchio lontano del lago Trasimeno, l’arte moderna è di casa. In una regione che conserva centinaia di esempi e capolavori dell’arte del Medioevo e del Rinascimento, è raro trovare spazi e collezioni dedicate alle espressioni artistiche dell’oggi. Ma qui, nel fabbricato di una vecchia cantina, è stata raccolta una serie di opere veramente d’eccezione. La collezione Lauro, nata negli anni Novanta, è il frutto di una passione tenace e continua che ha portato i napoletani Angela e Massimo Lauro a raccogliere testimonianze d’arte concettuale e di molte tendenze contemporanee (Neo-Geo, Post human, senza dimenticare la fotografia americana e i talenti di nuova generazione) e di metterle a disposizione del pubblico. Le opere sono in totale circa trecento, mentre quelle esposte a rotazione sono una settantina, e sono il frutto del lavoro di artisti tedeschi e polacchi, italiani e statunitensi, britannici e svizzeri; alcune grandi opere sono state collocate all’esterno, sul prato che offre uno spettacolare colpo d’occhio sul panorama della zona, quasi al confine tra l’Umbria e la Toscana. L’interesse della visita è completato dalla presenza di una esperta d’arte che potrà illustrare, a coloro che lo vorranno, le opere esposte. La fondazione no profit del Giardino dei Lauri, nata con lo scopo di essere sempre di più un punto d’incontro di artisti e appassionati, organizza anche mostre temporanee, eventi culturali e performance artistiche particolari che si susseguono nell’arco dell’anno. Nella terra del Perugino, dei capolavori di Giotto e della splendida architettura civile e religiosa del Rinascimento, questo spazio tutto dedicato alla modernità è divenuto una meta molto apprezzata, soprattutto dai turisti e dagli appassionati stranieri. E contribuisce a rendere sempre più completo il patrimonio dell’arte ospitata dall’Umbria. 50
Indirizzo San Litardo, 06062 Città della Pieve, www.ilgiardinodeilauri.com, tel. 3381090572 | Come arrivare Da Città della Pieve, seguire la strada regionale 71 in direzione di Chiusi Scalo per poco più di 3 chilometri fino alla frazione e alla chiesa di San Litardo. Qui il giardino dei Lauri è indicato sulla destra, a poche decine di metri | Orari Venerdì e sabato 10-13 e 15:30-18:30 o su appuntamento | Un suggerimento A poca distanza da San Litardo, proseguendo in direzione di Chiusi e svoltando a destra in direzione Sillano per circa 200 metri, si raggiunge la Locanda Bandini (www.locandabandini.it) agriturismo molto piacevole e curato, con uno splendido panorama e piscina e un’atmosfera amichevole e tranquilla.
FOLIGNO
35__ Palazzo Trinci Affreschi ed esametri Sette pianeti – Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e Sole – sono disposti uno dopo l’altro secondo lo scorrere dei giorni della settimana. Ai loro piedi sono raffigurate le Arti liberali della Grammatica, Dialettica, Retorica, Aritmetica, Musica, Geometria e Astrologia. Che seguendo l’ordine gerarchico della conoscenza, portano tutte ai piedi della Filosofia. Tra gli affreschi di Palazzo Trinci, recentemente attribuiti a Gentile da Fabriano grazie al ritrovamento di alcuni documenti, si possono rintracciare i fili e le tradizioni della cultura dei primi del Quattrocento. Il secolo che cercò di armonizzare e sintetizzare le conoscenze umane in modo scientifico, attribuendo a ogni corpo celeste un’influenza su ciascuna fase della vita, mentre ognuna di queste è legata alla comprensione di una scienza (simile o connessa, a sua volta, con una delle sfere celesti). A spiegare i concetti espressi tramite la simbologia delle splendide immagini illustrate dall’artista, ciascun affresco è associato a una serie di esametri esplicativi. La funzione dell’Aritmetica, ad esempio, è così chiaramente descritta: “Matematica son Vera scienza / En numerare tucte addunationi / Le mie sorelle non posson far senza / Mio numerare et moltiplicationi”. Ma le meraviglie di Palazzo Trinci – voluto dalla nobile famiglia che ebbe il potere su Foligno tra il 1305 e il 1439 – non terminano certo nella Sala delle Arti liberali e dei Pianeti. Altre sale si affiancano a questa, dedicate agli imperatori di Roma e alla fondazione, mentre nella cappella si trovano le immagini delle storie della Vergine, affrescate da Ottaviano Nelli nel 1424. E i piani di questo complesso composito, nato dalla sapiente unione di palazzi e costruzioni precedenti in un’unica struttura spettacolare, sono collegati da una scala gotica altrettanto spettacolare. Degna di un quadro di Escher, è costituita da rampe diverse l’una dall’altra, intervallate da bifore e logge e centrate, nella prospettiva, sulla forma circolare di un antico pozzo. 78
Indirizzo Piazza della Repubblica, 06034 Foligno, tel. 0742330584, www.museifoligno.it/ i-musei/palazzo-trinci | Orari 10-13 e 15-19, chiuso il lunedì | Un suggerimento Nella sede di Palazzo Orfini, a piazza della Repubblica, si trova il museo della stampa, che ripercorre la storia della carta e della tipografia a Foligno (tel. 0742330584, www.museifoligno.it/i-musei/ museo-della-stampa).
MONTEGIOVE
43__ La Scarzuola La città ideale di Tomaso Buzzi Attraverso colli e boschi si raggiunge il grande cancello del convento della Scarza, fondato da san Francesco e che deve il suo nome a una pianta acquatica che qui crebbe a partire dal miracolo del santo, che fece scaturire una fonte copiosa. Più tardi, accolti all’interno del complesso dalla parlata veloce e risoluta di una guida d’eccezione, il passaggio dal Trecento all’architettura eclettica di questo luogo può però essere decisamente traumatico e difficile da seguire. Fatto sta che l’antico convento abbandonato venne acquistato negli anni Cinquanta da Tomaso Buzzi, uomo di grandissima cultura, designer e architetto, urbanista visionario e collezionista d’arte. Dopo aver attraversato la riproduzione di un giardino rinascimentale, dove le vie da percorrere sono varie e tutte simboliche, ci si affaccia di colpo su ciò che è giunto fino a noi della “città ideale” voluta da Buzzi, e metafora del teatro e della follia della vita. In realtà, i teatri costruiti con la scura pietra vulcanica sono ben sette, dominati dalle prospettive cangianti dell’Acropoli e, nei loro particolari, nella disposizione e nelle forme le citazioni e i riferimenti sono moltissimi. Alcuni facilmente intuibili ma altri, come l’ispirazione alle pagine dell’Hypnerotomachia Poliphili dell’erudito Francesco Colonna scritto nel 1499 – che descrive un complesso viaggio iniziatico ed era arricchito da quasi duecento incisioni – comprensibili solo grazie alle parole di un anfitrione attento. Il magico e il misterioso si affiancano, insieme al paradosso di una città che Buzzi volle costruita per crollare poco a poco a causa degli elementi naturali ma che, divenuta monumento tutelato, è stata fermata in una immagine fissa dai restauri e dalle cure dell’erede e dello Stato. Anche il surreale, i labirinti e l’esoterismo sembrano essere di casa alla Scarzuola, e i sette teatri differenti, con le loro scene deserte ed evocative, rappresentano i palcoscenici ideali per la rappresentazione delle vite – vere e sognate – di ognuno di noi. 94
Indirizzo Montegiove, 05010 Montegabbione, tel. 0763837463, www.lascarzuola.com | Come arrivare Lasciata l’autostrada A 1 in corrispondenza di Fabro, seguire la strada che conduce a Montegabbione e poi proseguire fino a Montegiove. Circa un chilometro più avanti, un bivio sulla destra su strada sterrata conduce, in circa due chilometri, all’ingresso | Orari Obbligatoria la prenotazione telefonica | Un suggerimento Il vicino borgo di Montegiove è dominato da un grande castello probabilmente – come fa pensare il nome della frazione – eretto su una antica struttura romana.
ORVIETO
53__ La funicolare Un tramvia ad acqua Risuona una campanella, le porte si chiudono e con uno strattone la cabina inizia a scivolare lungo i suoi binari verso la rupe di Orvieto. Dal finestrino anteriore della cabina (ovviamente il più ambito da grandi e piccoli viaggiatori) lo spettacolo è notevole, con le pareti di roccia vulcanica che si avvicinano sempre più, per poi scomparire nel buio nel momento in cui si entra in una lunga galleria scavata sotto la Rocca. Inaugurata il 7 ottobre del 1888, la funicolare di Orvieto nacque per collegare in modo comodo e razionale la cima della rupe con la stazione della linea ferroviaria che aveva iniziato a servire la città. Inizialmente l’opera prese il nome di Giuseppe Bracci – che ne era stato il finanziatore – e il suo funzionamento si basava su un progetto dovuto all’ingegnere Adolfo Cozza, che applicò alla ripida tramvia una tecnologia molto particolare. Ognuno dei vagoni era infatti costruito con un grosso serbatoio nella sua parte bassa, e il peso dell’acqua che riempiva rapidamente il cassone della cabina a monte la trascinava verso il basso, sollevando contemporaneamente il vagone che partiva dalla stazione. Una volta che il vagone aveva raggiunto la base della rupe, il serbatoio veniva svuotato mentre si riempiva quello della cabina superiore. La funicolare rimase in funzione per decenni e venne restaurata nel 1935 per poi terminare tristemente le sue corse nel 1970, negli anni, cioè, in cui sembrava che l’unico mezzo di trasporto moderno fosse quello su gomma, con sbuffanti bus e torpedoni. Ma nel 1990, al termine di uno studio sui metodi per migliorare i trasporti locali, la funicolare tornò sulla scena, anche se il vecchio meccanismo ad acqua fu sostituito con una trazione elettrica. Lungo il suo viaggio silenzioso e panoramico oggi la vecchia-nuova funicolare percorre i suoi 157 metri di dislivello decine di volte al giorno, portando centinaia di passeggeri dalla piana fino a piazza Cahen, a due passi dalla Rocca. 114
Indirizzo A valle: piazza della Stazione, a monte: piazza Cahen, 05018 Orvieto. Per informazioni 0763341921 | Orari Nei giorni feriali 7:20-20:30 ogni 10 minuti, nei festivi 8-20:30 ogni 15 minuti | Un suggerimento Su piazza Cahen si trova l’ingresso del celebre Pozzo di San Patrizio, uno dei monumenti più spettacolari di Orvieto, realizzato da Antonio da Sangallo il Giovane; in inverno 10-16:45, in primavera e autunno 9-18:45, in estate 9-19:45, tel. 0763343768.
PERUGIA
63__ Laboratorio Giuditta Brozzetti I telai delle donne
Sotto alle volte della chiesa francescana più antica di Perugia non ci sono più altari e immagini sacre. Solo una fila di severi telai di legno a jacquard che, con la loro ragnatela di fili colorati, mantengono viva una tecnica millenaria. All’inizio del Novecento, Giuditta Brozzetti fu una figura importante nell’imprenditoria femminile perugina: dopo anni di studio sulla tradizione umbra, nel 1921 fondò un laboratorio che aveva anche la funzione di scuola per tessitrici. Nonostante le alterne vicende l’impresa, una generazione dopo l’altra, approdò finalmente nel 1996 nella chiesa sconsacrata dell’ex convento di San Francesco delle Donne, che aveva ospitato una fabbrica di ceramiche e ancor prima un istituto assistenziale per ragazze povere che contemplava tra le sue attività anche quella della tessitura. Marta Cucchia, che di questo straordinario progetto è l’artefice contemporanea, mostra con entusiasmo le antiche macchine e i disegni delle famose tovaglie perugine che nel XIV secolo erano uno dei vanti della città, richieste da centinaia di chiese e cattedrali come arredo sacro. “Questo è uno dei pochi atelier di tessitura a mano su questo tipo di telai che sopravvive in Italia” spiega Marta con passione, mentre fa volare la spoletta avanti e indietro “e portare avanti questa tradizione è una fatica, ma anche un motivo di grande orgoglio.” I risultati sono sotto gli occhi di tutti: tessuti d’arredo ispirati agli affreschi delle tombe dell’antica Etruria e alle tovaglie rinascimentali che vennero riprodotte nelle opere di Simone Martini, del Lorenzetti e del Ghirlandaio, cuscini e tende che riprendono i colori e i motivi della tradizione secolare della campagna umbra. Dalle monache benedettine degli anni della fondazione alle ospiti dell’istituto, dalle tessitrici degli scorsi decenni al lavoro di oggi: il filo della storia unisce saldamente attraverso le generazioni le tenaci donne di Perugia. 134
Indirizzo Via T. Berardi 5/6, 06123 Perugia, tel. 07540236 o 3485102919, www.brozzetti.com | Orari Dal lunedì al venerdì 8:30-12:30 e 15-18, sabato e domenica su appuntamento | Un suggerimento Tra l’università e il centro, una meta amata da studenti e locali è quella del ristorante Brizi, in via Fabretti 75 (tel. 0755721386): carta non molto ampia ma ricca di buone proposte della tradizione umbra, a prezzi più che onesti.
PIEGARO
74__ Il museo del vetro L’arte dei soffiatori La lavorazione del vetro iniziò a diffondersi in Umbria nel XIII secolo, segnando insieme a tanti altri cambiamenti il passaggio sempre più deciso dall’economia medievale al nuovo mondo annunciato dal Rinascimento. Piegaro, come accadde ad altri borghi della regione in campi differenti, divenne celebre per la sua produzione che, come è testimoniato dall’esistenza di un’antica confraternita composta da lavoratori dell’industria vetraria, ebbe una storia molto lunga. La tradizione si concluse ufficialmente nel 1968 quando, con lo spegnimento dei forni e la loro dismissione, una enorme quantità di vetro fuso venne fatta colare per riempire le camere di contenimento sottostanti. Il momento più impressionante della visita al museo del vetro di Piegaro, sorto nel 2009 dov’era l’antica vetreria industriale, è proprio quello in cui, scesi al livello più basso, ci si affaccia su questa sala, occupata per mezzo metro d’altezza da un immobile, brillante e verde lago di vetro solidificato. Nel museo s’incontrano vetri antichi e moderni, raffinate produzioni di qualità e soprattutto loro, i veri protagonisti di lunghi decenni di vita e di lavoro: fiaschi, bottiglie e damigiane che la vetreria sfornava in grandissime quantità. Fino agli anni Cinquanta la tecnica usata era quella della soffiatura che venne poi affiancata dal fragore delle macchine semiautomatiche ad aria compressa. Una volta soffiati e rifiniti, i fiaschi passavano dalle mani degli uomini all’attenzione delle donne e dei bambini, che avevano il compito di impagliarli fino a farli divenire i classici simboli delle tavole italiane da cui sono spariti solo una ventina d’anni fa. Le damigiane, invece, spesso erano decorate da un anello a rilievo, aggiunto a mano, che riportava la data di produzione e la capienza. In tutta l’esposizione non mancano le curiosità – come i fiaschi a due imbocchi (per il vino e per il ghiaccio) che in estate garantivano vino fresco anche nelle giornate più calde. 156
Indirizzo Via Garibaldi 20, 06066 Piegaro, tel. 0758358525 o 3669576262, www.museodelvetropiegaro.it | Come arrivare Dal casello autostradale di Fabro, seguire la SP 106 e oltrepassare Fabro Scalo. Seguire la SP 58 fino a Montegabbione, poi la SP 59 fino a Piegaro (circa 17 km) | Orari Aprile-settembre mar-dom 10-13 e 15-18, lunedì su prenotazione; ottobre-marzo ven-dom 10-13 e 15-18, lun-gio su prenotazione. In diverse occasioni, nel corso dell’anno, presso il museo sono in programma dimostrazioni di soffiatura del vetro | Un suggerimento Appena al di fuori delle mura del paese si trova la piccola chiesa della Madonna della Crocetta, che venne fondata nel Cinquecento dalla confraternita di Signoria dei Vetrai, che all’interno conserva un gonfalone con un fiasco, un calice e un globo di fuoco, simboli dell’arte del vetro.
TODI
100__ Gole del Forello Il Gran Canyon del Tevere C’è chi pensa che i canyon – o cañon come si dice nel mondo ispanico – siano delle imponenti formazioni geologiche che si trovano solo in luoghi lontani ed esotici, come il Colorado, il Verdon (in Provenza) oppure nella Samarià cretese. Nulla di più falso, visto che l’Italia offre decine di validissime alternative sia a chi vuole osservare dall’alto queste grandi fenditure del paesaggio sia a chi ama percorrerle, seguendo la forza della corrente. Dolce e aperto oppure selvaggio e stretto tra ripide pareti di rocce chiare: anche il Tevere, a valle della rupe di Todi, mostra i suoi diversi volti, circondato da un manto quasi ininterrotto di boschi. Siamo nel territorio del Parco fluviale del Tevere, che comprende un tratto di una cinquantina di chilometri seguendo il fiume nelle sue evoluzioni, che lo porteranno a sboccare negli specchi d’acqua artificiali di Corbara prima e poi di Alviano, amate dagli uccelli migratori. Non lontano dalla città di Todi, poco prima di scorrere a Pontecuti, il fiume sembra non avere alcuna fretta tanto che, proprio per la sua andatura flemmatica, è conosciuto con il nomignolo un po’ sinistro di Teveremorto. Ma è certamente il tratto più a valle del fiume a essere il più sorprendente e spettacolare. Il suo corso qui si è scavato la via e poi incanalato tra alte pareti di roccia, e corre nelle strette gole del Forello. Sulla riva destra, una strada asfaltata e poi sterrata conduce da Pontecuti fino al borgo di Titignano da cui, con una piacevole passeggiata, si raggiungono i ruderi della Roccaccia che, dalla quota di 411 metri, dominano come un balcone i meandri del fiume. Il tortuoso Tevere, in questo tratto, segnò nell’antichità il confine tra le terre dominate dagli Etruschi (sulla sponda destra) e dagli Umbri e qui nei pressi si nascondono una serie di cavità complesse come le grotte della Piana che superano i 2 chilometri di sviluppo o la profonda voragine a cielo aperto del Vorgozzo dove le rive sono tagliate dalle profonde gole scavate dagli affluenti del Tevere. 208
Indirizzo Frazione di Titignano, 05018 Orvieto | Come arrivare Da Todi, scendere a Pontecuti e seguire la SS 79 bis in direzione di Orvieto per circa 15 km, per poi voltare a sinistra seguendo le indicazioni per Titignano. Da qui, circa 3 km di strada sterrata conducono a un bivio, dove si può lasciare l’auto in uno spiazzo e proseguire a piedi (verso destra) fino ai ruderi | Un suggerimento Il castello di Titignano è parte di un’azienda agricola (Azienda Salviano Titignano, tel. 0763308022, www.titignano.com) che offre la possibilità di acquistare prodotti del territorio (vino rosso e bianco, miele, formaggi e insaccati) e di pernottare in una serie di camere d’epoca.
TODI
102__ Ristorante Umbria Celebrità e panorama Un ventoso vicolo in discesa, che inizia dopo le scure volte che danno sulla piazza centrale, conduce alle porte del Ristorante Umbria. Sale tradizionali, con bei tavoli e pareti affrescate oltre che un caminetto di legno, imponente e decorato con un solenne blasone nobiliare, acceso e scoppiettante quando il vento del nord soffia per le vie di Todi. Insomma, un bel ristorante, ma è difficile essere preparati alla sorpresa della terrazza. Che si spalanca di colpo verso la valle, offrendo un panorama meraviglioso sulla catena dei monti Martani che sembrano correre verso Todi e su uno degli angoli dell’Umbria più amati nel mondo. Tanto che, nella bella stagione, è facile sedere a poca distanza da tavoli di personaggi celebri – in buona parte statunitensi – che per un lungo periodo hanno scelto le campagne todine, i loro casali e anche le antiche sedi monastiche come loro buen retiro in terra d’Italia. Uno degli osti d’eccezione del ristorante Umbria è stato per anni Maurizio, che di storie da raccontare ne ha molte, soprattutto sul sottosuolo della città (Maurizio è uno speleologo e subacqueo di fama anche se leggermente sovrappeso). Basta scegliere una serata tranquilla, magari non durante il fine settimana, in cui il movimento nelle sale è poco frenetico, e magari si sta avvicinando l’orario di chiusura. I racconti che si possono ascoltare nelle sale di questo ristorante vanno dalle visite della bella Julia Ormond ai ricevimenti di nozze di facoltosi rabbini americani amanti del Brunello di Montalcino fino alla ricetta medievale del celebre colombaccio di Todi. Per giungere alla storia della nascita della trattoria delle origini, aperta nel 1953 da Sabatino e Ida Todini, che agli inizi aveva la licenza di mescita di vino sfuso e offriva solo alcuni piatti del giorno. E che oggi serve, secondo le stagioni, carciofi e tartufo, cacciagione e polenta, fettuccine e ossibuchi. Particolari e tradizionali, tanto da aver fatto parlare di sé anche nelle lontane Americhe… 212
Indirizzo Via di San Bonaventura 13, 06059 Todi, tel. 0758942737, www.ristoranteumbria.it | Orari Pranzo dalle 12:30, a cena dalle 19:30, chiuso il martedì | Un suggerimento Dall’alto del campanile di San Fortunato (aperto tutti i giorni eccetto il lunedì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18) il panorama sulla città, che digrada di colpo verso le colline, è veramente unico.