"I sogni degli altri" di Selim Özdogan - Anteprima PDF del libro

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I SOGNI DEGLI ALTRI


Questo romanzo è un’opera di fantasia. I nomi, i personaggi e gli eventi descritti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono stati usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone esistenti o esistite è puramente casuale.


S E L I M ÖZD O G A N

I SOGNI DEGLI ALTRI Un’indagine a passo di rap sulla darknet Traduzione di Monica Pesetti

emons:


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Titolo originale: Der die Träume hört © Edition Nautilus, Hamburg 2019 Tutti i diritti riservati © 2021 Emons Verlag GmbH Prima edizione italiana: ottobre 2021 Impaginazione: Rossella Di Palma Stampato presso: Elcograf SpA – Stabilimento di Cles (Tn) Printed in Italy 2021 ISBN 978-3-7408-1180-8 Distribuito da Emons Italia S.r.l. Viale della Piramide Cestia 1c 00153 Roma www.emonsedizioni.it


They are creatures of mist and rain and aloneness They play water and sadness into our world They are people of cunning and malice, and sunshine and music and stillness Keri Hulme a prisoner to these words, every sentence is life Belly



PRIMA PARTE



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Stare alla larga dagli altri. Pensavo che sarebbe servito. Ed è servito, per anni è servito. Ma ora… Pensavo mentisse. Che razza di storia era quella? Non le avresti creduto neppure tu. Me la ricordo, quella sera. Me ne ero già andato da Westmarkt, e non c’era sangue sulle mie mani, ma nessuno ne usciva pulito. Ero seduto in tram, ed è salito Kamber. Ero così felice quando l’ho riconosciuto. Non ci vedevamo da un sacco di tempo. Sembrava incredibile incontrarlo proprio lì, non era un tipo da tram. Ci siamo abbracciati a lungo, e quando ci siamo staccati probabilmente avevo gli occhi lucidi, e anche lui. Stava andando da Kerim, poi siamo passati a prendere Paster e siamo finiti tutti e quattro al Chronic, dove mettevano Dre, Gang Starr, Snoop, Geto Boys, R. Kelly e Wu-Tang. Ne ero fuori, non stavo più con Rahel, ma ne ero fuori. Ed era bellissimo esserci di nuovo, farne parte. Lì non ero quello che aveva sempre l’erba migliore, quello che non studiava all’università, quello che ascoltava solo hip hop e non sapeva niente di tutto il resto. Lì ero soltanto Nizar, insieme a dei ragazzi che mi guardavano le spalle quando c’erano delle noie. E prima o poi delle noie c’erano sempre, quando eri insieme a quei ragazzi. Un paio di bicchieri, un paio di canne, un paio di strisce e quella musica, mi sentivo bene. A un certo punto, dopo mezzanotte, io e Kamber eravamo davanti ai bagni, e il suo Motorola ha iniziato a suonare, lui ha risposto, ha detto due o tre volte sì e poi: “Arrivo subito.” “Affari,” mi ha detto. “Devo andare. Ci vediamo.” 9


Ci siamo abbracciati, e solo dopo che se n’era andato ho rimorchiato Ayleen, Ayleen con la sua vocetta stridula e il grosso fondoschiena che agitava al ritmo della musica. A fine serata ci siamo spogliati sul mio letto. Non ricordo nessun addio né di esserci scambiati il numero di telefono. Non le ho parlato per diciassette anni, ho solamente avuto qualche sua notizia ogni tanto. Ero lontano. Molto, molto lontano nella stessa città. E a un tratto mi chiama e mi dice che abbiamo un figlio. Che fino a poco tempo prima lui credeva che il marito di Ayleen fosse suo padre. Che marinava la scuola, che non le diceva più niente, che lei non sapeva chi frequentava, che lui cercava di continuo la lite, soprattutto con il patrigno, che lei aveva paura che una volta o l’altra uno dei due diventasse violento, che non sapeva più dove sbattere la testa e perciò gli aveva raccontato la verità. Il ragazzo non sapeva chi era. Qualcuno doveva aiutarlo. Naturalmente non ci ho creduto. Non ci avresti creduto nemmeno tu. Ho pensato fosse convinta che avevo fatto i soldi. Ho immaginato che sperasse di ricavarne qualcosa. So da dove viene, è ovvio che non le abbia creduto. Ho pensato che se avessi avuto un figlio in un modo o nell’altro lo avrei sentito. Ero sicuro che non fosse mio. Solo il risultato del test è riuscito a convincermi. Stare alla larga dagli altri. Ma non puoi essere più vicino di così a qualcuno, se ci hai fatto insieme un figlio. Un figlio. Era lì, ce l’avevo davanti. Jeans neri stretti sui polpacci, maglietta Nike, Jordan 33 ai piedi, berretto Iriedaily. Mascherava l’insicurezza meglio di me. “Parla con lui,” mi aveva chiesto Ayleen. “Non importa cosa gli dici, che consigli gli dai. Voglio solo che non si azzuffi con Sami, che non si facciano male.” Continuavo a pensare che non mi somigliasse. Neanche un po’. Ma i risultati del test non erano stati falsificati, Ayleen non ne sarebbe stata capace. Sembrava che non avesse preso molto nemmeno da lei, non aveva lo stesso viso rotondo, il suo era sottile e con il mento appuntito. Era bello, di sicuro il suo aspetto non lasciava indifferenti le ragazze, comprese quelle più grandi. 10


Quando mi ha dato la mano, ha allungato il braccio con un ampio movimento della spalla, come fossimo amici che si conoscevano da una vita. “Lesane,” disse. “Nizar,” dissi. “Perché ci siamo incontrati qui?” “Volevo bere qualcosa.” Feci un cenno con la testa. “Lì? Perché?” “Non lo so. Campo neutro, forse.” “Un bar per tardone bionde? Sono tutte mezze morte.” “Esatto. Noi due però no. Entriamo.” Non è mai puntuale, aveva detto Ayleen, ma avevo aspettato solo dieci minuti. E non avevo fumato, anche se per la prima volta da anni mi era tornato in mente. Mi sedetti e appoggiai le mani sul tavolo. Maledizione, da quanto non ero così nervoso? Come avevo fatto spesso negli ultimi giorni, riflettei su come ero io alla sua età. Chi ero quando uscì Regulate… G Funk Era? Illmatic, Tical, Direkt aus Rödelheim, Murder Was the Case, Southernplayalisticadillacmuzik. Ricordavo gli album, ricordavo la gioia, le ore al parco giochi, le possibilità che mi si aprivano davanti. Ricordavo quanto era grande il mondo e quanto grandi i miei sogni. Ma ricordavo anche quanto mi ero ritrovato in versi tristi, You don’t see what I see, every day as Warren G, You don’t hear what I hear, but it’s so hard to live through these years. Quanto dolore c’era stato nella gioia e nelle possibilità. Ricordavo come avevo rimediato insieme a Kamber i soldi per comprarmi le ultime Jordan, lo Spalding, la PlayStation e le altre cose importanti allora. “Bella mossa da parte di tua madre, tenercelo nascosto così a lungo,” commentai. “E pretende anche di insegnarmi a non mentire,” disse lui. Arrivò il cameriere, io ordinai un caffè e Lesane una Coca, dopo aver chiesto in un primo momento un energy drink. A quel punto non sapevo già più cosa dire. Forse nessuno lo sa. Per tutto quel tempo ero riuscito a non farmi coinvolgere e adesso c’ero dentro con tutte le scarpe. 11


“Esattamente che lavoro fai? Ayleen mi ha detto che dovevo domandarlo a te.” “Sono un detective.” “Un detective?” Mi accorsi di aver perso punti ai suoi occhi. “Sì.” “Visto che non sei uno sbirro, sei tipo una guardia giurata?” Scossi la testa. In effetti, le sue mani somigliavano alle mie. E niente segni di risse sulle nocche. Postura e gestualità indicavano che si muoveva molto. “Un investigatore privato.” Mi guardò incredulo. “Parecchio hollywoodiano, no?” “La gente viene da me quando gli sbirri non possono più aiutarla.” “Quindi sei un…” Si rimangiò la parola che stava per dire, qualunque fosse. Lo osservai. Diciassette anni. Inspirai. Espirai. Doveva pur esserci un modo per arrivare a lui. Un modo diretto, rapido, schietto. Vidi il suo rifiuto. “Senti, Lesane, sono un po’ nervoso. Non capita tutti i giorni di conoscere il proprio figlio già quasi adulto. E al posto tuo mi incazzerei anch’io se mio padre fosse una specie di sbirro a nolo. Ma tant’è.” Nessuna reazione. “Sono ancora nuovo del mestiere. Ho fatto varie cose. Per un periodo ho lavorato come personal trainer per gente ricca che non riesce a motivarsi. Che da sola non riesce a prendere neanche un libro in mano, che vuole essere lodata e coccolata e che ti paga per romperti le palle. Guadagnavo bene. Ottanta euro l’ora.” Riconobbi l’accenno di un sorrisetto sprezzante. “Un bel giorno non li ho sopportati più,” proseguii. “Per un certo periodo ho gestito un alimentari. Pensavo che con un bancone a separarmi dagli altri sarebbe stato più semplice essere gentile con loro. Purtroppo mi sbagliavo. Dopo cinque anni in quattordici metri quadrati ho iniziato come investigatore. Non 12


occorre essere iscritti a un albo, lo può fare chiunque, sei semplicemente un lavoratore autonomo. E io sono un investigatore informatico, quindi non ho bisogno di avere contatti diretti con la gente.” “Informatico?” domandò. “Le persone vogliono sapere se la loro nuova amicizia su Facebook è uno scammer.” Mi guardò con aria interrogativa. “Per esempio un romance scammer. Ti scrive. Si spaccia per una giovane donna. Invia foto. Ti fa innamorare, propone un incontro e poi ti chiede i soldi per il biglietto aereo. Oppure ti racconta di avere un’emergenza, che è morto qualcuno di famiglia o roba simile.” “Però così non si fanno soldi a palate, giusto?” “Parli di me o degli scammer?” “Degli scammer.” “Minimo sforzo, massima resa. Basta chattare un po’, flirtare, fingersi comprensivi e vedere se uno dei pesci che abboccano è una vacca grassa da mungere.” “E il tuo lavoro è tutto qui?” “Cyberbullismo, genitori che vogliono proteggere i figli, phishing, verifica di siti web, persone che comprano online e non ricevono la merce, annunci fake, offerte fake, truffe vere e proprie, certe volte anche violazioni del copyright o estorsioni, se il computer è stato infettato da un virus. Ci sono molte persone che si sentono raggirate e hanno bisogno di qualcuno di cui potersi fidare quando si tratta di internet.” “Lavori per degli sfigati.” “Sì,” dissi. “Ma lavori sempre per degli sfigati, comunque tu la giri.” Era evidente che lui la pensava in maniera diversa, però non aprì bocca. Savaş è morto quando è uscito Phantom of the Rapra, avevo un anno più di Lesane adesso. Tumore al cervello. Mi voleva bene, mi voleva molto bene, anche se non avevamo mai parlato granché. All’inizio della malattia era più loquace, ma anche volubile, solo nelle ultime settimane è diventato parecchio ag13


gressivo. Una volta eravamo seduti in soggiorno. Kamber non c’era. “Figlio mio,” aveva detto. “I tedeschi sono orgogliosi del loro lavoro. Lavorano sottoterra e ne sono orgogliosi. Spalano carbone e ne sono orgogliosi. Io non sono mai stato orgoglioso del mio lavoro. Ero orgoglioso di poter mandare soldi ai miei genitori perché erano troppo vecchi per lavorare, ero orgoglioso di poter aiutare mio fratello dopo che ha perso il braccio, ma non sono mai stato orgoglioso del mio lavoro qui. Non ho fatto che sudare e sgobbare, a qualunque ora mi volessero all’altoforno, io andavo. Ho passato tutta la mia vita a sudare lì dentro. Un padre vorrebbe insegnare qualcosa ai propri figli. A volte mi immagino di essere diventato un medico, un avvocato o anche soltanto un traduttore. A volte mi immagino di essere diventato qualcosa di cui poter dire ai miei figli: è una bella cosa, potete diventare come me. Invece ho solo cercato di insegnarvi a non diventare come me. E come si fa a insegnare una cosa del genere ai propri figli? Però siamo sempre andati avanti. A testa alta. Non ci siamo mai nascosti e abbiamo sempre cercato di proteggervi. Ma non so se conta qualcosa. Dove sono gli eroi, gli uomini forti che si credevano grandi? Sono morti, come tutti gli altri. È un mondo che fugge in fretta, e alla fine del cammino smetti di respirare. Quando morirò io, sarà il tuo turno.” Non capivo cosa volesse dire. “Il mio turno?” “Dopo di me, il prossimo a morire sarai tu. Tocca a te andare avanti a testa alta.” Ero commosso, ma avevo cercato di non darlo a vedere. “E Kamber?” “Quello ormai non combina più niente di buono.” “Ma…” Lui aveva posato una mano sulla mia spalla e scosso la testa. Dovevo stare zitto. “Kamber…” avevo riprovato lo stesso. “Non voglio più sentire quel nome.” Alla commozione si era mescolato il dolore, mi erano venute le lacrime agli occhi e avevo distolto lo sguardo. 14


Non sapevo se potevo alzarmi oppure no, così siamo rimasti seduti in silenzio. “Tocca a te,” aveva detto dopo un po’. “Presto sarai in prima linea. E ti fotteranno, in una maniera o nell’altra ti fotteranno. Non si scappa.” Mi aveva guardato, non sapevo esattamente cosa volesse dirmi, ma avevo capito che in qualche modo credeva in me. “Ogni essere umano piange,” aveva mormorato. “E ogni essere umano muore.” Tre mesi dopo era morto. È stato sepolto in Turchia, io non sono andato al suo funerale. Non ci è andato nemmeno Kamber. Ripensai a quella conversazione e a quanto fossimo stati vicini. Doveva esserci una possibilità di creare un legame tra me e Lesane. “Cos’è questa storia con Sami?” gli domandai. “Quale storia?” “Ayleen dice che rischiate di venire alle mani.” “Sì.” “Perché?” “Perché non si rende conto che se continua così si becca un pugno in faccia. Non può comandarmi a bacchetta. Non sono più un bambino.” “Ayleen deve essere davvero disperata se crede che serva a qualcosa farci incontrare. Noi non ci conosciamo. Lei vorrebbe aiutarti. E si fida di te. Conta sul fatto che non andrai a raccontare la verità a Sami. Qualsiasi cosa succeda. È convinta che tu sia un uomo d’onore, uno che non tradirebbe mai sua madre. Forse vorrebbe che tu facessi un passo indietro.” Mantenere le distanze. Per quanto tempo ci avevo provato? “A che serve, se non lo fa anche lui?” Lo guardai e non risposi. Cercavo la frase giusta, la frase nella quale potesse rivedersi. “Sei arrabbiato con Ayleen?” “Perché dovrei?” “Perché ti ha detto la verità solo ora.” “Sono tutte balle, tutti ti rifilano balle,” disse. 15


Non aveva rappato, ma riconobbi le parole. “Azad,” dissi io. Se non altro nei suoi occhi ci fu un guizzo di sorpresa. Hip hop. Doveva avere otto anni quando è uscito quell’album. È iniziato tutto con l’hip hop, la notte in cui abbiamo messo al mondo quel ragazzo. Quella notte. Ayleen mi ha raccontato che i suoi genitori si erano separati quando aveva sei anni. Che le mancava suo padre. Che la madre aveva trovato un altro uomo, che era andato a vivere da loro, e che lei le ripeteva sempre che se non funzionava nemmeno con Thorsten era colpa sua. Che odiava Thorsten e che si sentiva cattiva perché lo odiava. La notte in cui è stato concepito Lesane, hip hop, erba, pasticche, vodka, rimorso, nostalgia, confessione, finta malinconia, eccitazione. “Cosa ascolti di solito?” domandai. “Haftbefehl, Xatar, SSIO, PA Sports, KMG, le prime cose di Sido, Nazar, Nimo, Vega.” Annuii. “Rappi?” Scosse la testa. “Spacci,” dissi. Non batté ciglio. Non avrei saputo dire se c’era qualcosa che lo tormentava. Sapevo solo che avevo visto giusto. Ma non sapevo se era quello il motivo dei suoi problemi con Sami. Se solo avessi avuto la minima idea di come era fatto mio figlio. Quali lati aveva in comune con me e quali no. Se era perduto, e se sì in che modo. E cosa significava quello per me.

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Sui quarantacinque, jeans Carhartt, camicia costosa, scarpe da ginnastica Veja, capelli brizzolati che iniziavano a diradarsi, barba curata di due settimane. Le occhiaie e le spalle cadenti non nascondevano che era abituato a misurarsi con ogni uomo con cui aveva a che fare e a considerarsi il vincitore. Quando ero un personal trainer, i tipi come lui non dovevo motivarli, mi volevano solo per avere qualcuno a cui sentirsi superiori. A cui non lasciare dubbi su chi comandava e sul fatto che loro si occupavano di cose di gran lunga più importanti che sollevare dieci chili in più o non abbassare la guardia durante lo sparring. Come investigatore di solito avevo clienti più vecchi, impacciati in un mondo chiamato internet, mentre Armbruster aveva l’aria di uno che la mattina scorreva le notifiche e investiva in start up prima ancora di bere il caffè. “Mi ha parlato di lei il signor Balcı,” esordì. Lo pronunciò alla tedesca, e io mi chiesi se quel nome avesse suscitato la sua diffidenza e se la divisa aveva aiutato a superarla. Annuii. L’appuntamento lo aveva fissato la sua segretaria, non sapevo di cosa si trattasse. “Mio figlio…” Guardò fuori dalla finestra. “Mio figlio è morto dieci giorni fa. Per una droga che ha comprato in una darknet. Mefedrone. La polizia sostiene che sarà difficile catturare chi gliel’ha venduta. Stanno facendo tutto ciò che è in loro potere, ma non vogliono darmi false speranze. Secondo il mio avvocato è praticamente una causa persa, servirebbero delle squadre specializzate. Aveva diciotto anni,” concluse con voce strozzata. 17


Fu come se qualcosa dalle parti del mio stomaco si spostasse. Cercai di provare il suo dolore. Non ci riuscii. Ma le sue parole toccarono lo stesso qualcosa dentro di me. “Condoglianze,” dissi. Quando la gente parla delle darknet, in genere non sa di cosa parla. Se le immagina come un’area separata dal resto di internet. Una specie di bifamiliare con ingresso indipendente. Invece sono più un soppalco aggiunto in un secondo momento. Nel bel mezzo della casa. Per arrivarci basta solo una scala. “Troverà lo spacciatore?” domandò. “Dipende. È sicuro che la droga sia stata acquistata su internet?” “Sì. Il suo amico è sopravvissuto. L’ha raccontato lui. Fynn… è stato mio figlio a procurare la droga.” “Sa dove, esattamente?” “Su una piattaforma che si chiama Dream Market.” “Quindi raggiungibile solamente attraverso Tor,” commentai. Fece cenno di sì, incerto. Avevo bisogno della sua fiducia. “Tor è una tecnologia sviluppata dall’esercito americano per permettere una conversazione tra utenti non rintracciabili. Oggi il circuito crittografato viene usato non solo per aggirare la censura nei regimi dittatoriali e occultare la navigazione, ma anche per ospitare forum e mercati criminali.” “Voglio che l’assassino paghi per quello che ha fatto,” disse. “Intende chi gestisce Dream Market o chi ha venduto la droga a suo figlio?” Notai la sua esitazione e aggiunsi: “C’è il gestore della piattaforma e ci sono le persone che se ne servono per vendere droga.” Sembrò aver capito, ma non rispose, perciò provai a spiegarmi meglio: “Silk Road è stato il primo mercato nero della droga online. In quel momento storico, i bitcoin, Tor e la droga sono entrati in contatto per la prima volta. Ora Silk Road è conosciuto come l’Amazon dello spaccio, ma un tempo era più simile a eBay, che riunisce venditori e compratori. Come per eBay, qualcuno metteva a disposizione la piattaforma, ma i venditori erano altri. Il gestore è stato arrestato nel 2013, però 18


molti venditori hanno ripiegato su piattaforme nate successivamente. Dream Market è una di queste. Possono esistere uno o più gestori, ma non sono loro che hanno venduto la droga a suo figlio, è qualcun altro. Vuole il venditore o vuole la persona che gestisce la piattaforma?” “Entrambi.” “Posso tentare di individuare il venditore. Per il gestore, le mie risorse non sono sufficienti. Non basterebbe nemmeno una squadra specializzata, ci vuole una collaborazione internazionale.” “Allora solo il venditore.” “Ci proverò. Le riassumo la procedura. Primo passo: dovrei vedere il computer di Fynn, il suo cellulare, il tablet, ogni dispositivo con cui si connetteva a internet. Vorrei anche parlare con l’amico di suo figlio per raccogliere informazioni. Secondo passo: cercherò di risalire all’identità del venditore. Probabilmente non vive in Germania, ma in Olanda o in Gran Bretagna, il che potrebbe far aumentare le spese. Terzo passo: consegniamo le prove che abbiamo alle autorità, e loro arrestano il venditore.” Annuì. “Hansa Market e AlphaBay sono stati chiusi di recente, forse l’ha sentito dire. Ma tra Valhalla, Dream Market, Majestic Garden e Zion Market, non mancano i bazar della droga. Su ognuno sono attivi circa due o tremila venditori. Solo la minima parte viene scoperta, anche se la piattaforma viene sequestrata e il gestore arrestato. Come la polizia, nemmeno io voglio darle false speranze: il terzo passo, risalire al venditore, è altamente improbabile, ma posso tentare.” Annuì di nuovo. “Intanto diamo un’occhiata a chi vende mefedrone su Dream Market. Un attimo solo.” Aprii il browser Tor, effettuai l’accesso a Dream Market e digitai mefedrone nella casella di ricerca. Poi orientai il monitor in modo che potesse vedere anche lui. “In totale quindici venditori,” dissi. “Uno dal Sudafrica, quattro dall’Olanda, nove dalla Gran Bretagna e uno dalla Germania. Indubbiamente il campo si restringe, ma resta improbabile riuscire a scoprire chi è stato tra questi.” 19


Lui fissò lo schermo, e io mi preparai la risposta alla domanda sul perché avevo un account su quella piattaforma. Per motivi di lavoro. La domanda non arrivò. “Veniamo alla paga,” dissi. “Per il primo passo, analisi degli hard disk: mille euro. Per il secondo passo, ricerca dello spacciatore: seimila euro. Spese extra per aerei e alberghi, nel caso si arrivi al terzo passo: diecimila euro.” “Diciassettemila,” disse in un tono che mi fece capire che di solito era lui a dettare le condizioni. Confermai. Lui guardò ancora fuori dalla finestra, esitante. Forse rifletteva se tirare sul prezzo. È tuo figlio. Per te non vale questi soldi? Devi toglierti il pane di bocca? Quanto costa la giustizia a questo mondo? Tu quanto chiedi per il tuo lavoro? Credi che non sappia che hai un’agenzia di comunicazione e credi che non abbia visto i nomi dei tuoi clienti? Vuoi uno sconto per il lutto? Quanto ti è costata solo la bara che hai scelto per quel viziato di tuo figlio? Non appena il cordoglio sparirà dalla tua faccia, resterà solo l’autocompiacimento. Naturalmente non lo dissi. “Vede, signor Armbruster, io fornisco un servizio e sono uno dei migliori nel mio campo, di certo il signor Balcı glielo avrà detto. Non vendo macchine usate o cellulari, vendo una competenza specifica. Conosce la storia del contadino a cui si ferma il trattore? Arriva il meccanico, dà un leggero colpo di martello al motore, e il trattore riparte. Cento euro di conto. Cento euro solo per dare un colpo di martello al motore? chiede il contadino. No, risponde il meccanico, un euro per il colpo di martello e novantanove perché sapevo dove darlo.” Nessuna reazione. Non sono un venditore di tappeti, ma se hai la pelle scura è più saggio comportarti come se lo fossi, rafforzare una fetta dei loro pregiudizi in modo che si sentano più sicuri. È arabo, gli piace raccontare storie, però sembra uno competente, magari è anche sveglio. Forse è la persona giusta per questo lavoro. Con la maggior parte dei clienti, invece, recitavo la scena dello straniero simpatico: affascinante, che non lesina i complimenti, li 20


lisciavo, mostravo comprensione per il fatto che non erano pratici di quel mondo. Dicevo che sicuramente anche a me sarebbe capitato lo stesso in un altro settore. A loro però non sparavo cifre simili. Lo guardai. Mi chiesi se non avessi esagerato. “Naturalmente è libero di valutare altre offerte,” dissi. “Diciassettemila,” ripeté, e si alzò. Ci stringemmo la mano. Quando me ne andai, non mi sentivo soddisfatto. Punto primo, non era detto che sarei riuscito a trovare lo spacciatore. Punto secondo, il figlio di quell’uomo era appena morto. Aveva un anno più di Lesane. Punto terzo, Armbruster non mi piaceva, e in realtà non volevo lavorare per lui. Il terzo punto non faceva testo. Non mi piaceva la maggior parte della gente. Era tutto come sempre, con la differenza che adesso avevo l’opportunità di guadagnare un mucchio di soldi. Ero ancora collegato a Dream Market e cliccai sulle offerte di Tr4der Joe, aggiunsi cinque grammi di Critical Mass e pagai con il mio deposito in bitcoin. Quelle piattaforme avevano un deposito di garanzia chiamato escrow. I bitcoin utilizzati per il pagamento rimanevano sulla piattaforma finché non veniva confermato che la merce era stata ricevuta oppure non era trascorso un certo lasso di tempo, e solo allora venivano accreditati al venditore. Così facendo, si cercava di salvaguardare i compratori da eventuali truffe. Le fluttuazioni del bitcoin, il pericolo che da un giorno all’altro le autorità chiudessero la piattaforma e la possibilità che a essere disonesto fosse il compratore, che riceveva la merce ma sosteneva il contrario, tutti questi rischi avevano fatto sì che alcuni venditori spedissero i prodotti solo dopo aver ottenuto in anticipo la conferma. Tr4der Joe era uno di questi. Confermai di aver ricevuto l’erba e diedi una valutazione di cinque stelle. Poi scrissi: FE, finalized early, will update. Non era il mio primo ordine da Tr4der Joe, sapevo che l’erba sarebbe arrivata.

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3

La domenica dormivo sempre fino a tardi. O comunque ci provavo. Tenevo gli occhi chiusi e mi rigiravo di continuo. Immaginavo di salire una lunga scala che conduceva dritta nel sonno. A volte funzionava. Cercavo di dormire molto, come se il sonno mi proteggesse o mi fortificasse. Non provavo più a meditare la domenica mattina, tanto era inutile, era il momento in cui avevo ancora meno controllo della mia mente. Sembrava che me ne stessi seduto tranquillo, ma più apparivo tranquillo e più mi riempivo di preoccupazioni, come se fossi un vaso in cui qualcuno versava pensieri neri. La domenica, più me ne stavo seduto e più mi convincevo di non avere abbastanza amore dentro di me. Saltavo la colazione perché lei era contenta quando a pranzo mangiavo di gusto, almeno quello. Per mesi, la domenica ho mangiato carne perché non avevo il coraggio di ribadirle che avevo smesso. Dopotutto glielo avevo già detto, e lei si era messa a brontolare e mi aveva chiesto cosa speravo di ottenere in quel modo. Ma non per questo aveva cucinato meno o era rimasta a corto di idee. Starò attento, mi riproposi quando imboccai le scale poco prima dell’una. La ascolterò. Non mi stancherò. Non mi perderò nei miei pensieri. Non ribatterò e non sarò insofferente. Ogni volta, mentre salivo fino al suo appartamento, rappavo: There’s no way I can pay you back, but the plan is to show you that I understand: you are appreciated. “Nizar, figlio mio,” disse abbracciandomi, poi mi diede un bacio a destra e uno a sinistra. “Entra. Tu non sei come gli altri. Grazie a Dio.” 22


Durante il pranzo, la ascoltai raccontare che la sorella di Gül adesso viveva nella casa in campagna, che i due avevano rotto definitivamente. Raccontò che Hakan era uscito di prigione dopo aver scontato i due terzi della pena, che Amira e Latif si erano sposati, ma lo sapevano tutti che lui la tradiva. Raccontò di Brana, che aveva cambiato casa per poter battere indisturbata; di Samiha, che alla sua età andava ancora a fare le pulizie; di Giwar, che mandava il figlio a lezioni di piano e si credeva chissà chi. Di Alp, che aveva spedito la figlia in Turchia perché qualcuno l’aveva vista sbaciucchiare un ragazzo; di Hazal, che aveva spinto uno studente sui binari della metropolitana; di Timur, che aveva firmato un contratto e voleva fare soldi con il rap; di Mikolaj, che il mese prima aveva guadagnato quattordicimila euro con le scommesse sportive e non la smetteva di vantarsene. Raccontò che Snežana aveva parlato di Hakeem con Zoran, perché Gülşah Vince aveva sbandierato che Canan aveva rubato il cellulare a sua madre. O qualcosa del genere. Non ce la facevo più a starla a sentire. Molti nomi li associavo a un viso, di molti invece ormai avevo solo un vago ricordo. I nomi dei più giovani non mi dicevano nulla, e andava bene così. Semplicemente non mi interessava cosa succedeva a Westmarkt. Nemmeno per far piacere a lei. Non mi interessava, però sapevo lo stesso quasi tutto. O avrei potuto, se fossi riuscito ad ascoltarla. Erano passati nove anni da quando l’avevo convinta ad andarsene da Westmarkt. Era appena uscito Tha Carter iii: I got her out the hood and put her in the hills. Le avevo rifilato tutto un discorso sui ricordi dolorosi che là non l’avrebbero mai abbandonata, che alla lunga nessuno era migliore del proprio ambiente, che le avrebbe fatto bene, che c’erano turchi anche negli altri quartieri, che si sarebbe sentita a suo agio, che qui era più pulito, più ordinato, che avremmo abitato più vicino, che saremmo potuti andare a piedi l’uno a casa dell’altra. Forse avrei dovuto aspettarmelo. Ma all’epoca era meno amareggiata. All’epoca non immaginavo che i suoi monologhi sarebbero diventati così lunghi, all’epoca certi giorni era di buon 23


umore e certi altri di cattivo umore. Adesso sembrava avere un unico stato d’animo. Mi chiedevo se ingannavo me stesso sulle mie reali motivazioni. L’avevo convinta solo perché non volevo più andare tutte le settimane a Westmarkt e incontrare per strada vecchie conoscenze? Avevo pensato che per me le domeniche sarebbero state più semplici se lei abitava altrove? Erano state più semplici, all’inizio, ma poi qualcosa era cambiato. Non sapevo cosa di preciso. Forse non ero stato abbastanza attento. Ogni giorno, ogni santo giorno tranne la domenica, Sevgi tornava ancora a Westmarkt, ogni giorno camminava per il quartiere, ogni giorno sedeva nel panificio di Nilgün, ogni giorno chiacchierava nel negozio di fiori di Defne, ogni giorno ascoltava pettegolezzi e storie d’amore, di tradimenti, di galera, di droga e di violenza. “Vuoi un altro po’ di sıkma?” domandò. “Volentieri,” risposi. “Sono sempre più buoni, merito delle tue mani.” “Sei un bravo ragazzo,” disse. “Cosa ha fatto tua madre per meritarsi un figlio come te?” I preamboli variavano, ma naturalmente intuivo dove sarebbe andato a parare il discorso. Cercai di sintonizzarmi sulla sua sofferenza, sulla sua pena. Non che per questo sarebbero scomparse. Volevo solo starle accanto, sentirmi unito a lei. Non volevo innervosirmi per la sua tirata. Volevo restituirle qualcosa. In casa sua non ho mai patito la fame, non mi sono mai mancati vestiti, carezze, parole d’affetto. Sevgi mi ha insegnato a essere sincero, mi ha difeso anche quando avevo torto, mi ha dimostrato che si possono tranquillamente fare degli sbagli. Ha perdonato perfino i grossi sbagli, le cazzate, lo spaccio, l’arresto quando ero ancora minorenne. Ha creduto in me, ha creduto che avrei preso la strada giusta. Ha cercato di insegnarmi a vivere senza rancore, senza rabbia, senza desiderio di vendetta. Ha creduto che non si dovessero usare le parole per ferire gli altri, che non si dovesse rubare e imbrogliare, che bisognasse guadagnarsi da vivere in maniera onesta, rispettare se stessi e gli altri. 24


Ha creduto in me. Senza di lei… chissà dove sarei oggi. Di sicuro non in questo quartiere, in questo appartamento, con questo lavoro. Di sicuro la mia vita sarebbe andata diversamente. Ero in debito con lei, non solo fino al collo, ma fin sopra i capelli. Forse non avevo imparato abbastanza. Non sapevo quando era iniziata la sua amarezza. Forse ero stato lontano troppo a lungo, forse almeno queste domeniche avrebbero dovuto esserci sempre. “Ingratitudine,” ripeteva. “Ovunque guardi, vedi solo ingratitudine.” Al più tardi dopo aver sparecchiato la tavola, quando si rimetteva seduta con la sua sigaretta, le rughe tra le sopracciglia diventavano più profonde e iniziava a inveire che andava tutto in malora, che non ci si poteva più fidare di nessuno, che la famiglia, l’amicizia e l’onore non avevano più alcun valore, che ruotava tutto intorno ai soldi, ognuno cercava il proprio profitto personale, i figli si ribellavano ai genitori, i fratelli ai fratelli, le sorelle alle sorelle, l’uomo a Dio. La follia e la menzogna governavano il mondo, tutti indossavano una maschera, nessuno mostrava il suo vero volto, a ogni abbraccio era attaccato il cartellino del prezzo. Non sapevo cosa fosse peggio: che ogni volta facesse la solita sfuriata o che nella maggior parte dei casi fossi d’accordo con lei. E al tempo stesso quelle lamentele mi irritavano. “Sono una vecchia,” diceva. “Ho un piede nella fossa. Chi viene a trovarmi, chi mi chiama per chiedermi come sto, chi approfitta del tempo che mi rimane? Tutti corrono dietro al conto in banca, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Chi dice, dobbiamo ringraziare questa donna? Chi dice, non ha mangiato per dar da mangiare agli altri; chi dice, non ha dormito per cantare ninnenanne e vegliare il sonno degli altri; chi dice, non è mai uscita, ma ci ha aperto tutte le porte che è riuscita a spingere? Chi pensa al valore di una vecchia a cui non resta molto da vivere? Cosa ho fatto perché tutti mi voltino le spalle? Cosa ho fatto perché questi occhi vedano solo gente che se ne va?” 25


A volte la coglieva la tristezza, a volte la coglieva la rabbia. Io restavo seduto, impotente. Che fossi lì ad ascoltarla non faceva differenza. E potevo perfino capirlo. Mi ricordai di una storia che prima raccontava spesso. Da ragazza in Turchia, mentre raccoglieva le nocciole sulla costa del Mar Nero, aveva visto che le cinghie della gerla che la sorella portava sulla schiena le segavano le spalle. La sera aveva visto le escoriazioni sulla pelle. Era il primo anno che la sorella minore doveva dare una mano. Ogni giorno Sevgi cercava un pretesto per portare anche la sua gerla. Mi aveva raccontato così spesso di quelle spalle escoriate, che quando qualcuno portava un peso mi tornavano sempre in mente. Le avevo chiesto come fossero le sue, di spalle, ma lei aveva risposto che ci era abituata. Non sapevo in quale momento il suo desiderio di accollarsi il peso degli altri si fosse trasformato in amarezza. O forse lo sapevo. Ma non aiutava. Niente aiutava mai. A volte rabbia, a volte tristezza, a volte lacrime agli occhi, a volte gocce di saliva dalla bocca. Io invece a volte mi spazientivo, a volte mi scocciavo, a volte mi arrabbiavo senza sapere perché. A volte diventavo triste anch’io. In ogni modo, per molto tempo ho cercato di starle comunque vicino. A un certo punto ho smesso. Non ho più cercato di abbracciarla, non ho più aperto bocca per dirle che aveva me, che io non le avrei mai voltato le spalle, che le sarei sempre stato riconoscente finché fossi vissuto. Tutte cose che avevo già fatto, ma sembravano peggiorare ulteriormente la situazione. I difetti degli altri apparivano più grandi perché io non li avevo, lei era ancora più convinta di avere ragione perché aveva me come contraltare. Ero seduto lì e me ne volevo andare. Come me ne ero voluto andare dal negozio, perché non sopportavo più i discorsi inutili dei clienti. E stavo male, perché non facevo differenza tra lei e quei clienti. Ripensai alle domeniche con i postumi della sbornia, quando credevo di non riuscire ad arrivare a fine giornata, quando mi ripromettevo di non bere più, perlomeno non il sabato. A 26


come mi sembrava che mi scoppiasse la testa mentre mi chinavo per allacciarmi le scarpe, e a come il dolore non passasse nemmeno quando mi rialzavo. I postumi erano la punizione per la nottata di baldoria. Non sapevo se anche quelle visite fossero una punizione. Cosa avevo fatto, a parte prendere l’amore che lei mi aveva dato spontanea‑ mente? 1987, Rhyme Pays, Ice-T Sono entrambi seduti in fondo al parco, su una panchina del parco giochi, mezzo nascosti da una siepe. Un gruppo di otto tedeschi fumano nel recinto della sabbia, avranno quattordici, quindici anni. “Stanno arrivando i turchi, andiamo via.” Il più alto e chiaramente il più forte tra loro, quello che chiamano Piede, dice: “Ci sarà qualcuno che conosco. Restiamo qui.” “Smammiamo. Quelli cercano solo rogne.” “Restiamo qui,” decide Piede. I bambini sulla panchina dietro la siepe vedono che gli altri hanno paura, ma è Piede che comanda. Murat, Berkay e Abbas sono in testa al gruppo dei turchi. Si piazzano uno di fianco all’altro davanti ai tedeschi, senza dire una parola. I due sulla panchina vedono che adesso alcuni dei tedeschi sono ancora più spaventati, nonostante i tre che hanno di fronte abbiano appena dodici anni. Due più di loro. Cos’hai da guardare? potrebbe dire uno dei tre, e sarebbero guai. Ma anche: perché non mi guardi quando sono davanti a te? Erol, Kazim e Fatih li raggiungono, hanno già tredici, quattordici anni, e insieme formano un semicerchio davanti ai tedeschi. Ora i due sulla panchina riescono quasi a sentire l’odore della paura. Si chiedono se ci sarà una rissa o se i tedeschi scapperanno. Sanno che Berkay e Abbas smaniano per mettersi alla prova. Tarkan, Erci e Kerim arrivano per ultimi. Prima che gli altri tedeschi se ne accorgano, il più piccolo dei due bambini vede il sorriso sul volto di Piede. 27


“Tarzan,” dice Piede, alza la mano e va verso di lui. “Piede,” dice Tarkan. “Che ci fai con questi sfigati?” Le due mani battono all’altezza delle spalle. “Se ne volevano andare,” risponde Piede. “Ma io gli ho detto, restiamo, di sicuro c’è uno che conosco. Ed eccoti qui.” “Già, eccomi qui. Avete avuto una bella fortuna, sennò le avreste prese. Conoscermi è un’assicurazione sulla vita. Se qualcuno ti dà fastidio, basta che tu gli dica che sei amico di Tarzan. Il mio nome è un’assicurazione sulla vita. Tarzan, il re di Westmarkt.” I bambini sono delusi. Più tardi, quando i tedeschi se ne sono andati, Tarkan vede i due sulla panchina. “Sparite,” dice. Loro si alzano. Quando non li possono più sentire, il più grande dice al più piccolo: “Se fossi stato in Tarkan, Piede l’avrei picchiato lo stesso.”

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