Monografia Egitto

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Editoriale L’incanto dell’Egitto

Questa terra di scenari spettacolari e di imponenti siti archeologici, a buon diritto giudicati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, è la culla di una civiltà antichissima e mastodontica che porta con sé un’eredità gloriosa e inossidabile. Egitto. Un Paese che evoca miti favolistici e realtà di potere, arte colossale e fascino della Natura. Il tutto, intriso di misticismo e di storia. Epoche faraoniche fatte di ricchezze e costruzioni monumentali che allo sguardo del moderno viaggiatore aprono interrogativi sul mistero della perfezione dell’arte e della forza umana capace di erigere colonne, obelischi e le mitiche gigantesche piramidi senza l’ausilio della tecnologia. Che dire delle navigazioni lungo l’emblematico Nilo o intorno al Lago Nasser, scrigni di gioielli della più raffinata archeologia, o delle città, cariche di segni della storia e della spiritualità? Poi, i deserti. Distese sconfinate di dune modellate dal vento in forme bizzarre e mutevoli, dai colori ammalianti e cangianti ad ogni ora del giorno, coprono gran parte del territorio egiziano caratterizzandone il fascino e la malìa. E, spunto intrigante per i geologi, il Deserto Bianco, un paesaggio che sembra uscito da una favola per via delle incredibili formazioni calcaree che spuntano dalla sabbia con fogge stupefacenti ed uniche. Il fascino delle oasi, che nel deserto sono disseminate come perle preziose della storia, delineano interessanti percorsi per viaggi avventura che si imprimono nella memoria. Non servono grandi discorsi per il Mar Rosso, ormai visitatissima meta balneare soprattutto per le immersioni subacquee, se non per sottolineare l’ inconfondibile bellezza dei fondali marini e della barriera corallina, ritenuti tra i più ricchi e interessanti al mondo.•

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Sommario 5 NAVIGAZIONI pag. 6

LA MALÌA DEL NILO

viaggio nel cuore della cultura testo di Mirella Sborgia

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pag. 16 pag. 17

pag. 28

pag. 33

NAVIGAZIONI Lago NASSER i siti archeologici salvati dall’UNESCO testo di Romeo Bolognesi CULTURA ...E nacque la passione per l’antico Egitto testo di Roberto Lippi

pag. 20

Una passeggiata al Cairo in tempi moderni ma con lo sguardo al passato

testo di Luisa Chiumenti

Italiani d’Egitto testo di Roberto Lippi CITTA’ ALESSANDRIA L’archeologia, la storia e le Corcniche testo di Anna Maria Arnesano DESERTI E OASI Il Deserto Bianco le bizzarrie della natura testo di Giulio Badini

pag. 42

Deserto sconosciuto tra Nilo e oasi testo di Giulio Badini

pag. 46

Un viaggio nella NEW VALLEY alla scoperta dell’altro Egitto testo di Teresa Carrubba

pag. 51

Oasi del FAYUM testo di Anna Maria Arnesano

pag. 52

L’oasi di Siwa il tempo si è fermato testo di Teresa Carrubba

pag. 70

CITTA’

DESERTI E OASI pag. 37

Il grande mare di SABBIA testo foto di Romeo Bolognesi

MAR ROSSO pag. 58

Il Mar Rosso

testo foto di Raffaella Ansuini

CUCINA A tavola testo di Raffaella Ansuini

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N AV IG

La malìa

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del Nilo viaggio nel cuore della cultura Testo di

Mirella Sborgia Il nostro viaggio nell’Egitto culturale corre sul Nilo. Il lungo fiume sacro sulle cui sponde è sorta una delle civiltà più importanti della storia e le cui inondazioni periodiche garantiscono ancora oggi la vita di milioni di esseri viventi, a dispetto delle aride regioni circostanti, e molto di quel cotone che finisce nei nostri capi di vestiario

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niziamo il nostro tour nella misteriosa Assuan, la città più meridionale dell’Egitto e luogo di frontiera tra due mondi: civilizzato e conosciuto l’uno, lontano e impenetrabile l’altro. L’Egitto è paese arabo

e mediterraneo, ma conserva altresì la cultura e le tradizioni della Nubia, la regione i cui fieri abitanti dalla pelle nera e dal fisico atletico, resistettero per secoli ad ogni forma di dominazione. Rischiando negli anni Sessanta di

scomparire per sempre, assieme alla loro terra, sotto le acque del lago Nasser, il gigantesco lago artificiale creato dalla diga di Assuan. Per non essere sommerse dai 6.000 kmq di area allagata, più di 90.000 persone dovettero la-

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La malìa del Nilo - viaggio nel cuore della cultura

Il magnifico colonnato del tempio di Philae ad Aswan

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sciare le loro abitazioni ancestrali, finendo per essere rialloggiate nella città ed i suoi dintorni. I siti archeologici e molti templi della Nubia che rischiavano l’allagamento furono letteralmente trasportati in posti più sicuri attraverso una imponente operazione culturale promossa dall’UNESCO. Nell’antichità, l’area dove sorge Assuan era chiamata Yeb, terra degli elefanti e fu proprio la sua posizione strategica per il controllo del traffico fluviale da e per la Nubia, punto d’arrivo della via carovaniera che giungeva da Nord diretta verso l’attuale Sudan, a favorire lo sviluppo ed il successo della città. Oggi Assuan vive prevalentemente dell’indotto turistico generato dalle numerose navi da crociera che ogni giorno

salpano dal suo porto fluviale per ridiscendere il Nilo alla volta di Luxor. La prima visita è al Tempio di Philae che, situato su una piccola isola a circa 6 km a Sud di Assuan, tra le due dighe. Per raggiungerlo ci imbarchiamo su una delle lance a motore che fanno regolarmente la spola con la località di Shellal trasportando i visitatori. Il Tempio è dedicato ad Iside, dea della maternità e della fertilità, associata alla regalità nella mitologia egizia. Originariamente era edificato sull’isola di Philae, ma per evitare che venisse sommerso dal lago Nasser, venne smontato e ricostruito sulla vicina isola di Agilkia, di una ventina di metri più alta. Il complesso templare fu nell’antichità un celebre luogo di pellegrinaggio e rag-

giunse il massimo dello sviluppo in epoca greco-romana. Fu l’ultimo baluardo dell’antica religione egiziana ad essere abbandonato di fronte all’avanzare del Cristianesimo: venne chiuso per ordine dell’imperatore Giustiniano nel 535 d.C. Il luogo colpisce subito il visitatore per la sua imponenza. Attraverso due splendidi portici colonnati, si accede al primo pilone del tempio, alto 18 metri e largo 45, le cui facciate raffigurano le immagini del re Tolomeo XII che trionfa sui nemici e la trilogia delle divinità egizie rappresentata da Iside, Hathor e Huros. Superato un secondo pilone, si entra nella parte principale del tempio. Attraverso un cortile e vari vestiboli, si accede al santuario che presenta ancora il basamento che sor-


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reggeva la barca sacra con l’immagine della dea, mentre i rilievi e le iscrizioni delle pareti interne ed esterne ci parlano delle gesta della dinastia dei Tolomei e degli imperatori romani. Vi sono anche presenti iscrizioni in caratteri geroglifici, scolpite nel 394 d.C., che rappresentano l’epilogo di quel sistema di scrittura inventato 3.500 anni prima ed il primo usato dall’umanità insieme a quello Sumero. Aldilà del tempio, sulla riva orientale, si trova l’edificio più bello e rappresentativo del complesso archeologico: il Chiostro di Traiano. Si tratta di un edificio porticato con quattordici colonne dai preziosi capitelli campaniformi, costruito nell’era imperiale romana ma rimasto incompiuto. Avrebbe dovuto servire, probabilmente, per l’approdo delle barche sacre durante le processioni fluviali alla dea della maternità e della fertilità. Proseguiamo la nostra navigazione sul fiume e nella storia. Il sole al mattino illumina d’oro le acque del Nilo su cui stiamo navigando e le sponde rigogliose che da millenni i contadini egiziani coltivano con pazienza e dedizione. Lasciata Assuan, la nave ha iniziato lentamente la salita del Grande Fiu-

me, in questa autostrada fluida in cui navigano da millenni imbarcazioni cariche di genti e di merci. La direzione è verso Luxor, situata a duecento chilometri più a nord, verso la costa. La nostra seconda tappa è Kom Ombo, in posizione strategica su una piccola collina da cui si domina il corso del Nilo e da cui nell’antichità si poteva controllare il commercio dalla Nubia, per via fluviale e terrestre. Qui sorge un piccolo tempio, la cui peculiarità è quella di essere il solo in Egitto dedicato contemporaneamente a due divinità: il dio Sobek, dalla testa di coccodrillo, e il dio Haroeri, dalla testa di falco. Per questo, nonostante la pianta unitaria, il luogo di culto era formato in realtà da due templi appaiati. Gli splendidi rilievi sulle pareti e sulle colonne erano in origine dipinti con vividi colori naturali. Ma tranne in alcune aree non esposte alla luce diretta del sole, e non sempre visitabili, attualmente la pigmentazione è quasi completamente scomparsa. Tra gli affreschi meglio conservati e più interessanti, ve n’è tuttavia uno molto singolare, che mostra il calendario degli antichi egizi. Si comprende che essi dividevano l’anno in 3

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La malìa del Nilo - viaggio nel cuore della cultura

stagioni, tutte legate ai cicli del grande fiume sacro: alla stagione dell’inondazione seguiva quella della semina e poi quella del raccolto. Una riprova del ruolo che il Nilo ha recitato e recita nella vita dei

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suoi abitanti, anche se oggi, con la diga di Assuan, le inondazioni che dettavano il ritmo delle stagioni sono ormai venute meno. E’ proprio il paesaggio che in gran parte sembra immutato nei secoli, a dare un valore speciale a questo viaggio. La flora rigogliosa lungo le sponde, i contadini, gli allevatori, i pescatori: c’è tutto un mondo che vive lungo il fiume e grazie alle sue acque e che ci scorre davanti come in un film d’altri tempi. Dopo altri 55 Km giungiamo alla nostra prossima meta: la città di Edfu, detta anche Idfu. Si tratta di una cittadina localizzata sulla riva occidentale del Nilo, lungo un’ampia ansa di notevole bellezza. Qui, ad attendere i turisti che sbarcano dalle navi, ci sono decine di piccole carrozze a cavallo. Ne approfittiamo anche noi per attraversare velocemente la città che, oltre ad attirare un gran numero di visitatori

Il viale delle sfingi a testa di ariete nel Tempio di Karnak a Luxor


per il suo tempio, è altresì un importante centro commerciale per la produzione di zucchero e per le sue note ed antiche fabbriche di ceramica. Ma, oggi come ieri, Edfu è famosa soprattutto per lo splendido Tempio dedicato al Dio falco Horus. Quello giunto fino ai giorni nostri venne ricostruito in epoca tolemaica, tra il 237 ed il 57 a.C. sul luogo già precedentemente consacrato a questa divinità. A sorprendere è il perfetto stato di conservazione di questo grandioso edificio che rappresenta il prototipo ideale dell’architettura sacra dell’epoca. Probabilmente il suo ottimo stato di conservazione è stato aiutato dal fatto che solo nel 1860 venne liberato dalla sabbia che lo ricopriva fino all’altezza dei capitelli. I bassorilievi del pilone raffigurano il sovrano Neo Dionisio che prende per i capelli i nemici davanti al dio Horus e a sua moglie Hathor. Davanti al portale di ingresso, due grandi falchi di granito nero, ricordano al visitatore il potere del dio Horus. All’interno del cortile, nei rilievi dietro le colonne, è rappresentata la complessa cerimonia che si svolgeva ogni anno

durante la quale la statua di Horus custodita nel santuario veniva posta sulla barca sacra, che una volta caricata su una vera imbarcazione era trasportata sul Nilo verso la città di Dentera, dove il dio si ricongiungeva finalmente con la propria consorte Hathor, la cui statua era analogamente trasportata da un’altra città più a Nord, affinché la coppia divina potesse incontrarsi a metà del percorso. Tutte le pareti del tempio sono coperte di immagini religiose che sottolineano l’intimità del re con gli dei, con le tradizionali scene di offerte e di incontri raccontati da lunghi testi geroglifici. Guerre e amori, dei e dei faraoni, a loro volta considerati divinità. Templi imponenti e città nascoste per millenni lungo il Nilo, in cui le città dei vivi si trovano sempre sulla sponda orientale mentre la terra dei morti occupa normalmente quella occidentale. La navigazione ci conduce fino ad Esna, nell’antichità una delle località più importanti dell’alto Egitto (Tasenet) e successivamente uno dei maggiori centri di fede copta. La città è collegata alla sponda del Nilo da un’importante diga che sbarra il corso del fiume costringendo tutte le imbarcazioni a lunghe soste per accedere alla chiusa e superare il dislivello. Qui lo spettacolo, oltre che dal paesaggio, è arricchito dalle tante barchette degli abitanti locali che, approfittando della sosta forzata, tentano qualche guadagno gettando letteralmente sui turisti una pioggia

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La malìa del Nilo - viaggio nel cuore della cultura

Singolare statua all’interno del Tempio di Karnak a Luxor

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di vestiti, tappeti e tovaglie multicolori. In serata, si raggiunge finalmente la splendida Luxor, l’antica Tebe. L’alba del giorno successivo ci apprestiamo a visitare le meraviglie dell’antica capitale dell’ Egitto al tempo del Medio Regno, quasi quattromila anni fa. Veniamo a sapere che per motivi di sicurezza, purtroppo nella valle dei Re non è permesso di effettuare foto o riprese. Qui si trovano le splendide tombe dei faraoni, della XVII e XIX dinastia (dal 1570 al 1200 a.C.). Ci sono circa 60 tombe reali, tra le quali le più importanti sono quelle dei grandi Faraoni Ramsete IV, Seti I e Tutankhamon. In quest’ultima sepoltura da poco tempo è tornato il sarcofago reale e la mummia del giovane sovrano, la cui morte è stata nei secoli avvolta dal mistero. La scoperta della tomba di Tutankhamon, forse la più famosa della storia dell’egittologia, si deve certamente al fatto che si tratta di una delle poche sepolture dell’antico Egitto pervenuta a noi quasi intatta, l’unica di un Sovrano e, conseguentemente, la più ricca. Ma certamente ha contribuito al fascino del luogo anche la leggenda nera della cosiddetta “maledizione di Tutankhamon”, la cui mummia profanata avrebbe secondo la diceria colpito con morti premature tutti coloro che avevano preso parte alla spedizione che scopri la tomba. Nella stessa area sacra, un’altra stupefacente sosta meritano senz’altro i Colossi di Memnone, due gi-

gantesche statue che raffigurano il Re Amenofi III e che all’epoca fiancheggiavano l’ingresso del tempio funerario a lui dedicato. Sulla sponda orientale dell’antica Tebe, ovvero nella “città dei vivi”, a colpire invece sono i due monumentali templi della città dei vivi dedicati al Dio Amon: primo fra tutti quello di Karnak. Vi si accede attraverso un suggestivo viale fiancheggiato da una doppia file di sfingi con testa di ariete, che un tempo portava al porto. A impressionare è anche la monumentalità delle colonne, degli spazi, degli architravi e delle statue. Tutto doveva contribuire ad esaltare la grandiosità della figura del Faraone e a porlo sullo stesso piano delle divinità cui il tempio era dedicato. I geroglifici incisi sulle pareti e sugli obelischi narrano le gesta e le imprese del Re e descrivono i suoi incontri alla pari con gli dei: una ricchezza di simbolismi raffinati, il cui significato dopo un po’ ci sfugge e si confonde, lasciando però immutata l’emozione e la sensazione di trovarsi di fronte ad un’opera grandiosa degli esseri umani di tutti i tempi. E fa immaginare le lunghe processioni rituali che si snodavano lungo i circa tre chilometri e mezzo del Viale delle Sfingi fino al tempio di Luxor per la festa annuale delle inondazioni. Ad attendere il popolo egizio allora ed i visitatori di oggi, le statue colossali che caratterizzano l’imponente complesso templare, forse l’immagine più emblematica e sug-


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Il raffinato tempio di Philae ad Aswan

gestiva dell’Egitto dei Faraoni. Sulla sinistra dell’ingresso, svetta con i suoi 25 metri il bellissimo obelisco in granito rosa di Assuan, orfano del gemello che fu donato alla Francia nel 1831. Ma è dopo il tramonto che il Tempio di Luxor, sapientemente illuminato da un raffinato gioco di luci, si trasforma magicamente nello scenario fantastico e un po’ onirico di un film sull’antico Egitto, regalando ai suoi visitatori una serie di immagini uniche e rendendoli protagonisti di una sorta di sogno collettivo, cui non possono sottrarsi neppure coloro che hanno avuto la ventura di visitare più volte questo luogo magico. Di tutt’altro stile il Tempio funerario della regina egizia Hatshepsut, scavato nella roccia su vari livelli. La sovrana Hatshepsut, al contrario di quanto comunemente si crede, non fu l’unica donna che riuscì a governare l’Egitto. Ma fu la sola a sfidare la tradizione e a installarsi saldamente per più di vent’anni sul trono divino dei faraoni, che era stato fino ad allora riservato solo agli uomini. Forse per questo, nonostante il suo prospero regno, dopo la sua morte si cercò con ogni mezzo di cancellare il suo nome e la sua immagine: i monumenti di Hatshepsut furono abbattuti o usurpati da altri, i ritratti distrutti e il nome cancellato dalla storia e dall’elenco ufficiale dei re egizi.•

L’emblematica statua del dio Horus nel Tempio di Edfu

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LAGO NASSER - I siti archeologici salvati dall’Unesco

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File di imbarcazioni lungo il Lago Nasser

LAGO NASSER

I siti archeologici salvati dall’Unesco Testo di

Romeo Bolognesi

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l più grande lago del mondo non si trova in una regione settentrionale, temperata e verdeggiante, come sarebbe logico aspettarsi, ma in un’arida zona dell’Africa settentrionale, nell’estremo sud dell’Egitto al confine con il Sudan, in pieno deserto del Sahara. Si tratta del lago Nasser,

un bacino artificiale creato nel 1971 sul Nilo con l’erezione della Grande Diga di Assuan, che ha allagato una superficie di 5.250 chilometri quadrati, capace di contenere in media 135 miliardi di metri cubi d’acqua, occupando in pratica tutta la valle del grande fiume tra la prima e la seconda cateratta. In realtà un’altra

diga a monte della prima cateratta era già stata edificata nel 1902, ma di dimensioni nettamente inferiori. Quella attuale, vero capolavoro di ingegneria, è larga 3.600 metri e alta 111, ha richiesto il lavoro di 35.000 operai per 11 anni e una quantità di materiale 18 volte superiore a quello impiegato per erigere la piramide di

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LAGO NASSER - I siti archeologici salvati dall’Unesco

la guardia della chiave del Tempio di Abu Simbel

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Cheope. Il lago Nasser divenne famoso ben prima di nascere: si sapeva infatti che le sue acque avrebbero sommerso un gran numero di siti archeologici e di monumenti antichi molto importanti, ubicati sulle sponde del Nilo. Sotto la spinta dell’Unesco si scatenò allora una campagna internazionale per salvare almeno i 14 monumenti più significativi: quelli piccoli vennero spostati in blocco, i più grandi – come lo stupendo tempio di Ramses II ad Abu Simbel

– furono tagliati in decine di migliaia di pezzi numerati e ricostruiti in posizione più elevata. Un’operazione unica nella storia dell’umanità. Oggi il lago Nasser, creato tra mille polemiche e perplessità ecologiche, si presenta come un luogo di austera bellezza, autore di scorci panoramici decisamente suggestivi, con straordinari monumenti che vi si specchiano e le dune del Sahara a lambirne le rive. Nelle sue acque, divenute luogo di sosta per un gran nume-

ro di uccelli migratori, vivono pesci di eccezionali dimensioni, mentre sulle sponde si possono incontrare gazzelle, volpi e coccodrilli. E con la possibilità di incontrare una nuova etnia sahariana, quella dei beduini pescatori del Nasser, ex contadini e pastori che hanno dovuto abbandonare le loro ataviche professioni per inventarsi una nuova attività. L’operatore milanese -I Viaggi di Maurizio Levi- propone un’inedita spedizione di 9 giorni interamente dedicata all’esplorazione delle coste del lago Nasser. Di recente infatti un intraprendente svizzero è riuscito ad ottenere il permesso per navigare con un piccolo ma elegante battello, capace per il suo ridotto pescaggio di arrivare anche negli angoli più remoti e incontaminati, visitando le località archeologiche meno battute dal turismo di massa. Come il grande tempio di Amon a Wadi el Sebua, con la sua antistante sfilata di sfingi, costruito da Ramses II, il tempio di Thot, dio della saggezza, il tempio di Serapis, dove si trova l’unica scala a spirale esistente in un edificio dell’antico Egitto, oppure il tempio di Amon-Ra ad Amada, il più antico della zona, ornato dei più bei rilievi di tutti i templi nubiani, eretto da Tutmosis III, e Kasr Ibrim, localizzato su un’isola, inizialmente un tempio faraonico, poi trasformato in chiesa copta e quindi in moschea. E naturalmente anche Abu Simbel, la località più famosa di tutte per il celebre tempio ipogeo fatto costruire tra il 1290 e il 1224 a.C. da Ramses II scavando un’intera montagna, fronteggiato da quattro statue del faraone alte 20 metri. Il tutto in un contesto ambientale assai suggestivo, con grandi dune di sabbia rosa che si smorzano nelle acque, promontori di roccia color ocra, spiagge e baie selvagge dove la natura si presenta incontaminata. Un viaggio singolare e coinvolgente per la bellezza e l’unicità del paesaggio, dato da un enorme lago in mezzo al deserto.•


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Il Tempio del Re Ramses II ad Abu Simbel, capolavoro dell’arte faraonica

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RA LT U CU

...E NACQUE LA PASSIONE PER L’ANTICO EGITTO Testo di

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Roberto Lippi

er quasi duemila anni la sabbia del deserto e le acque limacciose del Nilo avvolsero nell’oblio le vestigia dell’antica civiltà egizia. Fu la campagna di Napoleone in Egitto, del 1798, al cui seguito si trovava un folto gruppo di studiosi e scienziati, a dare il via a un’epoca di entusiasmanti scoperte del patrimonio archeologico egizio. Una vera e propria “febbre egizia”, che ebbe uno dei momenti più suggestivi nel ritrovamento della Stele di Rosetta, che permise di decifrare la criptica scrittura geroglifica. Da allora, si vide una vera e propria sfida tra le grandi potenze dell’epoca per scoprire - e portare in Europa – i reperti dell’antico Egitto. I consoli di Francia e Inghilterra arrivarono alle revolverate, pur di assicurare alle collezioni del Louvre e del British Museum i preziosi sarcofagi, gli obelischi e i bassorilievi dell’antico Egitto, complice la mancanza di interesse delle corrotte autorità locali dell’epoca verso questa gigantesca spoliazione dell’ingente patrimonio culturale. A questa corsa alla ricerca delle vestigia dell’antico Egitto partecipò anche l’Italia, ancora non riunificata, con le prime spedizioni dell’autodidatta Giovanni Battista Balzoni cui si devono le grandi scoperte in Egitto dell’era pionieristica del primo ‘800. Ma il fondatore dell’egittologia moderna in Italia fu il pisano Ippolito Rossellini, che organizzò

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tra il 1828 e il 1829 la famosa spedizione franco-toscana nell’Alto Egitto e Nubia, insieme al padre dell’egittologia moderna (e decifratore della Stele di Rosetta), il francese Jean Francois Champollion. I numerosi reperti provenienti da quella spedizione costituirono il nucleo del museo egizio di Firenze, primo in Italia. In questa competizione anche culturale anche tra i diversi regni d‘Italia, quello Sabaudo non poteva di certo rimanere indietro. Dopo Firenze, quindi, anche Torino si appresterà ad allestire il proprio Museo Egizio e a fomentare una valida scuola di studiosi e esploratori dell’antico Egitto, ove è nel frattempo cessato il periodo della grande razzia di reperti e tombe, con l’istituzione del Servizio delle Antichità Egizie voluto dall’archeologo francese Auguste Mariette. Tra le grandi figure sabaude, spicca quella di Ernesto Schiapparelli, che nel 1904 scoprì quella che è considerata la tomba più bella mai riportata alla luce in Egitto, ultima dimora della regina Nefertari, sposa del grande faraone Ramses II, nella cosiddetta Valle delle Regine. Schiapparelli diresse a lungo il museo egizio di Firenze e poi quello di Torino, dove ancora oggi si possono ammirare alcuni dei corredi funerari e degli oggetti di gran pregio rinvenuti durante le campagne di scavo che resero memorabile l’era della febbre egizia in Europa.•


Italiani d’Egitto Testo di

Roberto Lippi

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a presenza italiana in Egitto viene da lontano ed è stata particolarmente significativa nei momenti più importanti dello sviluppo storico del paese, contribuendo alla formazione e alla conservazione dell’identità culturale. Nel corso dell’800 si stabilirono ad Alessandria e al Cairo cospicue comunità italiane, ben inserite nella vita economica e sociale del Paese. In un primo tempo, il maggior contributo all’emigrazione italiana in Egitto venne dato dagli israeliti di Toscana e dello Stato Pontificio, in cerca di maggior tolleranza e migliori condizioni di vita. Poi, dal 1821, arrivarono gli esuli politici, che trovarono in Egitto un tranquillo asilo e costituirono un’élite di professionisti, tecnici, militari e artisti, che ebbe una notevole importanza nel processo di modernizzazione voluta dal viceré Mohammed Ali. Alla morte di Mohammed Ali, nel 1849, la comunità italiana contava non meno di 10.000 persone. La lingua italiana era usata dal governo, dal mondo degli affari, e nelle relazioni fra i Consoli stranieri. Attorno al 1860 si aggiunse una seconda ondata di emigranti con altre caratteristiche: ingegneri, tecnici ed operai attirati dai lavori in corso per la realizzazione del Canale di Suez, che in gran parte si stabilirono definitivamente nel Paese. Nel 1882, con il bombardamento di Alessandria, iniziò l’occupazione inglese dell’Egitto, che durò per quasi settant’anni. La comunità italiana contava allora 18.000 persone, il 70% delle quali ad Alessandria. Con il protettorato inglese iniziò l’arretramento delle posizioni italiane, sia nella lingua che negli impieghi nella pubblica ammini-

strazione. Ma i grandi lavori pubblici (la prima diga di Assuan, la diga del Delta, i grandi ponti in ferro sul Nilo) attirarono ancora numerosi italiani. Negli anni Trenta, gli italiani in Egitto erano saliti a 52.000, ma in gran parte la comunità era ormai costituita da operai, che in molti casi seppero trasformarsi in imprenditori e capi d’azienda. Il declino della presenza italiana coincide con lo scoppio della seconda Guerra Mondiale, quando gli italiani residenti in Egitto vennero internati nei campi di concentramento inglesi. Poi, nel 1952 il colpo di stato dei “liberi ufficiali” guidati da Nasser fece voltare pagina definitivamente all’Egitto, con il rovesciamento della monarchia, il processo di nazionalizzazione dell’economia e il divieto alle società pubbliche e private di dar lavoro agli europei. Iniziò così il rimpatrio definitivo della comunità italiana d’Egitto, considerato come seconda patria. Nei 150 anni che vanno dal 1802 al 1952 molti italiani si sono resi celebri per la loro attività svolta in Egitto. E molti sono gli italiani celebri che lì sono nati, tra tutti il padre del futurismo, Tommaso Marinetti, il poeta Giuseppe Ungaretti, il regista Goffredo Alessandrini o la cantante Yolanda Gigliotti (Dalida). L’Italia, inoltre, fu la destinazione scelta per l’esilio dell’ultimo re d’Egitto, Faruk. La testimonianza della lunga permanenza e dell’integrazione di comunità italiane in Egitto resta a tutt’oggi nelle centinaia di termini italiani presenti nella parlata colloquiale egiziana (specialmente nelle grandi città costiere).•

La famosa Torre de Il Cairo

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CI TT A’

UNA PASSEGGIATA A IL CAIRO in tempi moderni, ma con lo sguardo al passato

Testo di

Luisa Chiumenti

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una conoscenza approfondita, la città de Il Cairo, specie al suo centro moderno, svela un particolare fermento, che fa intuire che si tratta di una città viva dove ognuno, a suo modo, sa di dare un contributo al dipanarsi del tempo. E le sue vie hanno comunque un loro fascino antico. Affollata sia di giorno che di notte e

sempre congestionata dal traffico, il fulcro dell’attività quotidiana dei cairoti è la grande piazza centrale, Midan el-Tahrir, cui fanno capo, con autobus gremiti, metropolitana sovraccarica e molti taxi -non sempre modernissimi-, che portano al lavoro i circa venti mila funzionari del il Mogamma, il monolitico edificio dell’amministrazione statale, progettato dall’architetto egiziano,

Kamal Ismail. La struttura colossale dell’edificio, di ascendenza stilistica apparentemente sovietica, ha tuttavia un suo aspetto più leggero, dovuto alla concavità del lungo prospetto aperto sulla piazza. La piazza in effetti accoglie tutti i più importanti riferimenti per un viaggiatore attento che voglia entrare nello spirito della città poiché vi sono concentrati, oltre al Museo Egizio, alla


sinistra di questo, il lussuoso albergo Nile Hilton, che sull’altro fronte guarda appunto il Nilo e, nella parte opposta della piazza, l’Ali Baba Cafeteria, per una sosta piacevole. Dalla piazza poi, proseguendo in direzione sud, nell’area in cui un tempo c’era una fabbrica di sigarette, fa bella mostra di sé l’edificio dell’Università Americana del Cairo, scuola superiore frequentata dai personaggi più influenti che vi iscrivono i figli per dare loro un’educa-

zione di prestigio alla maniera occidentale. Stupisce l’ampiezza del panorama, disteso sotto un cielo sempre azzurro, che si apre all’ultimo piano della Cairo Tower (burj al-qāhira), che gira lentamente con il suo ristorante (una rotazione di circa settanta minuti). Alta ben 187 m., é stata la più alta struttura in Egitto e nel nord Africa per 50 anni ed é rimasta la più alta in Africa fino a quando, nel 1971, non fu sorpassata dalla Hillbrow Tower in South Africa.

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UNA PASSEGGIATA A IL CAIRO in tempi moderni, ma con lo sguardo al passato

Una suggestiva immagine delle piramidi al tramonto

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Costruita fra il 1956 e il 1961, fu progettata dall’architetto egiziano Naoum Chebib e con la sua particolare struttura esterna continua ad evocare, sotto la luce intensa del sole che sembra mutarne il colore a seconda delle fasi del giorno, le foglie di quella splendida pianta di loto che fu così cara ai Faraoni dive-

nendo poi vera e propria icona dell’ antico Egitto. E questo é il fascino della terra del Cairo: una continua memoria del passato, che si legge nelle strade, nelle piazze, nei monumenti, nello sguardo stesso, a volte dei passanti, che sembrano accomunare orgoglio e nostalgia assieme, accettando il futuro, ma con la

mente ad un passato grandioso che nulla può cancellare. E dalla Cairo moderna e contemporanea si penserebbe di penetrare attraverso i secoli con la “macchina del tempo”, se, giunti a Giza si vedessero solo circolare i cammelli di qua e di là delle piramidi e dell’enigmatico profilo del-


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la Sfinge, se non si fosse circondati da una vera e propria fiumana di visitatori e di pullman turistici ben poco lontani! Ma se per un attimo si riesce a dare le spalle a tutto ciò, si é come sollecitati a rimanere immobili e a lasciare che una diversa moltitudine di uomini appaia all’orizzonte: sono gli infa-

ticabili costruttori di quelle opere monumentali. Ecco la Piramide di Cheope la cosiddetta ”Grande piramide”, unica delle sette meraviglie del mondo antico giunta sino a noi e la più grande piramide egizia, nonché la più famosa del mondo. È anche la più grande delle tre piramidi della necropoli di

Giza, costruita, si presume, intorno al 2570 a.C., e rimasta l’edificio più alto del mondo per circa 3800 anni. Eretta da Cheope, nome Horo Medjedu ossia “Colui che colpisce”, della IV dinastia dell’Egitto antico come monumento funebre, è stata realizzata dall’architetto reale Hemiunu. All’interno,

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UNA PASSEGGIATA A IL CAIRO in tempi moderni, ma con lo sguardo al passato

come per molte altre sepolture reali dell’antico Egitto, saccheggiate dai violatori di tombe già nell’antichità, non è stata trovata alcuna sepoltura e ciò ha fatto nascere un buon numero di teorie, fino ad oggi prive di reale fondamento, sul fatto

che le piramidi in realtà non siano monumenti funebri. L’attribuzione della grande piramide a Cheope è deducibile dalla concordanza dei rilievi archeologici con i dati storici disponibili, costituiti dai libri dello storico greco Erodoto.•

La famosissima Moschea di Muhammad Ali Pasha nella Cittadella de Il Cairo

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I caldi colori delle spezie del souq a Il Cairo


La statua di Akhenaten nel Museo Egizio de Il Cairo

Il Museo Egizio e la Cittadella Testo di

Raffaella Ansuini

Fondato nel 1858 dall’archeologo francese Auguste Mariette, successivamente ampliato da Gaston Maspéro e trasferito nel1902 nella nuova sede, midan el Tahrir, nel centro del Cairo, il Museo raccoglie circa 140.000 reperti della cultura faraonica, dal periodo dell’Antico Regno, a quello del Medio e Nuovo Regno ed infine all’età Greco-Romana. Le sale espositive al pianterreno consentono di avere un’idea più che completa dell’arte egizia, dal pre-dinastico sino ai primi secoli della nostra era. Il piano superiore invece raccoglie manufatti, oggetti, gioielli, mummie e corredi funerari tra i quali troneggia par-

te del tesoro di Tutankhamon, il faraone della XVIII Dinastia, nella cui tomba rinvenuta intatta nella necropoli della Valle dei Re dall’archeologo inglese Howard Carter nel 1922, furono portati alla luce 3500 reperti di cui un buon numero è esposto oggi nel Museo. La Cittadella fu costruita dal Saladino su di una terrazza di roccia, in un’area fitta di costruzioni intersecate da stradine strette e tortuose, dominata dalla Moschea di Muhammad Ali, costruita nel 1828 in alabastro bianco.Il panorama chw si gode da qui è unico, ad occidente il Nilo e la verdissima isola di Roda, ancor più là le estremità delle piramidi e a sud

il vecchio Cairo, racchiuso entro le mura della fortezza romana di Babilonia. Alle spalle si estende la Città dei Morti, la necropoli musulmana caratterizzata da cupole e minareti, che fu nel XIV secolo il luogo prediletto per la meditazione dai mistici musulmani “sufi” che qui fecero deporre le tombe dei loro sceicchi. In seguito la città ospitò quelle dei reali mamelucchi, fino a divenire un vero cimitero.. Nel tempo, a causa dell’aumento demografico, le tombe, costruite secondo la concezione faraonica, quindi come delle case, diventarono abitazioni alle quali vennero affiancate costruzioni in fango e mattoni.•

EGITTO

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UNA PASSEGGIATA A IL CAIRO in tempi moderni, ma con lo sguardo al passato

il Museo di Arte Islamica Testo di

Virginia Tedesco Il divieto coranico di raffigurare persone umane fa dell’arte islamica un unicum rispetto alle espressioni artistiche di altri popoli, penalizzando ad esempio pittura e scultura a favore di altri generi di manifestazioni quali l’architettura e le arti decorative in genere, arrivando a creare espressioni del tutto peculiari, estranee alle altre culture finitime, come la calligrafia e l’arabesco, e finendo per elevare al rango artistico anche normali produzioni artigianali in legno, pietra, metallo, tessuto, ceramica, vetro e quant’altro. Nonostante l’ampio spazio geografico e temporale in cui si estrinseca, che si estende dalla Spagna moresca all’India moghul e oltre e poi dal VII sec. fino ai giorni nostri, e le infinite influenze e contaminazioni da parte di innumerevoli culture coeve e confinanti, l’arte islamica presenta un’incredibile unitarietà e non nasconde la sua missione religiosa nell’esaltazione estetica della bellezza riflessa da Dio. Uno dei luoghi migliori ove cogliere l’evoluzione dell’arte musulmana nel tempo è costituito dal Cairo, da sempre una delle maggiori e più importanti capitali del mondo arabo, in posizione centrale e sede di una delle più antiche e qualificate università coraniche. Proprio a Il Cairo ha appena riaperto i battenti, dopo

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Lampada esemplificativa dell’Arte Islamica

sette anni di restauri, il Museo di Arte Islamica, una delle tre maggiori istituzioni museali della città (assieme al Museo Egizio e a quello Copto, ma assai meno famoso e frequentato di questi due) e tra i più importanti in assoluto nel suo genere. Creato nel 1902 e ospitato in un edificio ottocentesco in stile neoislamico residenza del kedivè, le sue 23 stanze espongono 2.500 oggetti selezionati su un fondo di 100 mila, tra cui porte intarsiate, pulpiti, fontane, lampadari, e poi raccolte di vetri, ceramiche, arazzi e tappeti, libri miniati, armi, costumi, argenterie, specchi, mosaici, ecc. I pezzi forti: una chiave dorata della Kaaba della Mecca, un dinaro islamico del 697, manoscritti coranici e alcune mashrabiyya, decorazioni di finestre e balconi per filtrare la luce e consentire alle donne di vedere in strada senza essere viste. Il museo riflette solo in minima parte la celebre ricchezza storica e monumentale di questa capitale islamica, dalla Cittadella fortificata alle innumerevoli moschee di ogni epoca e dimensione, dai palazzi ottomani ai bazar e ai caffè storici, dalle madrase ai mausolei di califfi e sultani, fino all’incredibile Città dei Morti, tuttora abitata a dispetto del nome anche dai vivi.•



ALESSANDRIA l’archeologia, la storia e la Corniche

ALESSANDRIA L’archeologia, la storia e la Corniche

La possente Fortezza di Alessandria

Testo di

Anna Maria Arnesano

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S

ulle carte geografiche egiziane Alessandria non la si trova più, perché adesso si chiama Iskandariya, nome arabo di Alessandro Magno, che la fondò. Un tempo era la seconda

metropoli egiziana e il maggior porto del Mediterraneo, ma ha visto scomparire nei secoli le sue più belle ed importanti opere architettoniche come il gigantesco e mitico faro all’ingresso del porto, ritenuto una delle sette mera-

viglie del mondo antico, purtroppo distrutto dai terremoti, e la leggendaria biblioteca, scrigno della cultura classica bruciata prima dai Romani e poi da estremisti cristiani. Inoltre vide scomparire anche la reggia –crollò in mare


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L’anfiteatro romano nel centro di Alessandria

EGITTO


ALESSANDRIA l’archeologia, la storia e la Corniche

La cupola che caratterizza la Biblioteca di Alessandria

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circa 1.200 anni fa - dove visse Cleopatra, considerata all’epoca la donna più bella e più famosa addirittura rispetto a Berenice, ex regina di Alessandria e moglie di Tolomeo per il quale aveva sacrificato la sua bionda chioma. Da allora sono passati moltissimi secoli e la città ha fatto di tutto per ritornare alla luce. E’ ritornata, infatti, ad essere la seconda metropoli egiziana e il maggior porto del Mediterraneo, benché la stampa internazionale citi quasi sempre e solo Il Cairo e mai Alessandria. Eppure, in questa raffinata città che ha dato i natali a Giuseppe Ungaretti, si incrociano storie d’altri tempi tangibili ancora oggi attraverso i monumenti antichi, molti dei quali nascosti sottoterra o in fondo al mare, ma pure significative modernità. Sulla Corniche -il lungomare- si affacciano palazzi neoclassici, neomoreschi, neorinascimentali assieme a caffetterie storiche che continuano ad ostentare le vecchie e

leggendarie insegne. Negli ultimi decenni questa città cosmopolita, forte di tre milioni e mezzo di abitanti, che diventano sei calcolando i sobborghi, stretta fra il mare e un lago interno, e dunque costretta ad estendersi solo in lunghezza, è tornata ad essere elegante e vivace, moderna e colta.

QUATTRO ITINERARI ALLA SCOPERTA DI ALESSANDRIA Il giro più classico della città ha come filo conduttore l’archeologia. Si parte dal Museo GrecoRomano; si raggiunge poi il vicino Teatro Romano, passando dalla cosiddetta Colonna di Pompeo, che in realtà venne edificata per l’imperatore Diocleziano, alle Catacombe di Kom El – Shukafa. Quindi, tornando verso il mare, si punta sul forte di Qait Bey che ha recuperato parte delle pietre dell’antico faro. Poco lontana si trova la Necropoli di Anfushi. Il secondo percorso porta alla mitica

Corniche, sulla quale si affaccia la Moschea Abu El-Abbas. Più avanti si notano il Monumento al milite ignoto e la piazza Saad Zaghlul. Corrispondente alla Corniche corre un’altra strada importante, l’Horreya, nei cui pressi è situata la chiesa di Santa Caterina, con la tomba di Vittorio Emanuele III, il quale morì ad Alessandria quando era in esilio. Fuori dal centro il Museo del Tesoro Reale. L’altra tappa è alla periferia est della città dove si trovano: il parco di ElMontazah e il sobborgo di Abukir. Nei dintorni ci sono fortini e rovine di epoca ellenistica. Il quarto percorso, dulcis in fundo, è la visita alla Biblioteca, ricostruita grazie all’UNESCO e ricollegata idealmente a quella distrutta sedici secoli fa, deposito di ogni sapere. Grazie alla Biblioteca, Alessandria divenne residenza prediletta di molte personalità della cultura: da Eratostene a Euclide e Callimaco, da Marco Antonio all’imperatore Teodosio.•


Biblioteca di Alessandria

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Il genio costruttivo di tutto il mondo,
nell’impegno, stimolato dall’UNESCO, per la
realizzazione della nuova “BIBLIOTECA ALEXANDRINA” Testo di

Luisa Chiumenti L’Egitto, uno dei Paesi più avanzati del mondo arabo, mantiene pur sempre intatte, nelle sue grandi città come Il Cairo ed Alessandria, le sue millenarie radici storiche. Così Alessandria, che ha oggi una popolazione ben cinque volte superiore a quella che aveva nell’antichità, si offre con la sua nuova Biblioteca, come depositaria e al tempo stesso promotrice di cultura internazionale. E’ così che il sogno di una nuova biblioteca che ripristinasse il mito di quel grande crogiuolo di sapienza, che era stata la biblioteca fondata da Alessandro Magno ben 2500 anni fa e rovinata in un incendio nel 48 a.C., si è avverato nella realizzazione della nuova “Biblioteca Alexandrina” che rappresenta molto bene questa prodigiosa sintesi di Storia e di realtà moderna. Ma dove situare il nuovo edificio? In effetti, a cominciare dagli anni ’50 del ‘900, un archeologo subacqueo inglese, Ho-

nor Frost, con un team di archeologi qualificati in “archeologia psichica”, in grado di coinvolgere anche un’utile percezione extrasensoriale, e sotto la guida del prof. Schartz, riuscì ad evidenziare alcune vestigia della Alessandria tolemaica, nelle acque del Porto orientale. Quei resti fecero allora pensare particolarmente alla vera situazione del Faro di Alessandria, ma dettero anche utili indicazioni sul sito dell’antica Biblioteca ( cfr. Derek Adie Flower, I lidi della conoscenza. La storia della Biblioteca di Alessandria – Bardi ed.). Fu sul finire degli anni ’80 del secolo scorso che la società norvegese di Architetti Snohetta, vinse il primo premio in un concorso internazionale al quale avevano partecipato ben 524 gruppi di progettazione in tutto il mondo e che, sullo stimolo dell’UNESCO, aveva proposto di sottoporre all’attenzione mondiale un progetto di ricostruzione

La modernissima sala di lettura della Biblioteca di Alessandria

EGITTO


ALESSANDRIA l’archeologia, la storia e la Corniche La sfinge che domina dalla collina di Alessandria

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dell’antica Biblioteca. Quando il concorso fu bandito nel 1989, la società di architetti Snøhetta, che comprendeva cinque giovanissimi professionisti ( di cui uno americano, uno austriaco e uno norvegese ), il progetto venne preparato in 11 mesi a Los Angeles; ma dato poi l’impegno internazionale imposto dall’UNESCO, nel 1991 nacque la “ Snøhetta Hamza Associates”, con la partecipazione al progetto di 13 società con sede in Egitto, Inghilterra, Italia, Austria, Francia e Norvegia. Ed è interessante sottolineare come sia stato il Presidente stesso Hosni Mubarak, ma soprattutto la moglie, a coordinare il Comitato internazionale eletto nel 1989 a questo scopo e come sia stata anche emanata una legge che ha posto la nuova Biblioteca Alexandrina sotto la diretta responsabilità del Presidente e dell’Amministrazione Statale. E’ così che, lungo la “Corniche”, la strada che contorna il Porto Orientale, affascina la vista del grande “disco solare”, proiettato verso il mare, costituente la singolare copertura ideata dal gruppo Snøhetta ( Consulenti e Partners: Hamza Associates, Cairo, Dr. Mamdouh Hamza, Principal ) che, per la committenza dell’UNESCO e della Repubblica Araba d’Egitto, vinse il primo premio nella competizione per la realizzazione della Biblioteca ( su terreno donato dall’Egitto, e con finanziamenti erogati da tutti i paesi del mondo). Evidente si manifesta una grande simbologia legata alla stessa storia della grande civiltà egizia: così ad esempio, oltre al “disco solare”, che si protende verso il Mediterraneo con quella particolare inclinazione così decisiva per la luminosità degli spazi interni ( così come è grande il valore della luce del Sole ), anche il Planetario, in forma di globo,

vuole ricordare come i primi scienziati di Alessandria fossero stati sia astronomi che astrologi. E dal grande ponte, così come dalla spianata antistante la Biblioteca, è come se “la prospettiva delle conoscenze” si aprisse davvero a comprendere tutto l’Universo attraverso quel globo che può appunto “librarsi” verso il cielo! Si tratta comunque di una “geometria” abbastanza complessa, anche se molto semplice e fruibile visivamente nel suo aspetto esteriore, poiché non è in effetti di un vero cilindro, ma una sezione di toro, non direttamente appoggiata al suolo, ma per metà interrata, ad una profondità di 12 metri ( si pensi alle modalità di interramento della Torre di Pisa ). Ed è così che l’inclinazione pari a 16,08 gradi permette alla luce naturale di entrare liberamente nella immensa sala di lettura, mentre le finestre dal taglio così particolare, si aprono su diverse prospettive di cielo e di mare. Si pensi alla eccellenza funzionale di una biblioteca la cui sala di lettura, con i suoi circa 20.000 metri quadrati di estensione ( è la più grande del mondo ! ), possa accogliere 2000 persone, che lavorano contemporaneamente. Essa consta infatti di sette terrazze con tavoli di lettura verso i bordi e scaffali, celle, magazzino e sale riunioni verso l’interno. Ed è sempre assicurato ai lettori il massimo effetto della luce indiretta che viene dai 56 moduli del “tetto a prova di sole”. L’alto livello di prestazioni degli architetti, degli ingegneri e degli artigiani del nostro tempo, si ricollega così, in modo eccellente, a quella prodigiosa arte del costruire che aveva portato l’Egitto all’ altissimo livello di costruzioni come le Piramidi o il grande Faro di Alessandria.•


D ES E TI ER I AS O Le incredibili formazioni calcaree del Deserto Bianco

Testo di

Giulio Badini

I

l Deserto Occidentale egiziano, anche chiamato Deserto Libico, la grande distesa di dune, depressioni e rocce che si estende dalle rive ovest del Nilo fino ai confini con la Libia e oltre, nonché dal Mediterraneo fino al Sudan, occupando ben i due terzi del Paese, cela al suo

interno uno dei maggiori gioielli paesaggistici e geologici non solo dell’Egitto, ma di tutto il Sahara, anche se non adeguatamente conosciuto e valorizzato come meriterebbe. Si tratta del Deserto Bianco,

Sahra al Beida in arabo e Uadi Gazar o Valle delle Carote per i beduini locali. Un’area di 600 kmq che occupa la grande depressione attorno all’oasi di Farafra fino a lambire quelle di Baharya e Siwa,

EGITTO


IL DESERTO BIANCO le bizzarrie della natura

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caratterizzata da una selva incredibile di pinnacoli, torrioni e funghi di candido calcare microfossilifero incredibilmente erosi nel tempo dal vento in mille incredibili forme bizzarre. Sono rocce sedimentarie formate dai gusci calcarei di organismi marini depositati sul fondo di antichi mari che occupavano le attuali depressioni presenti nel tratto centrale del Deserto Occidentale, dove sorgono le oasi egiziane per la presenza di acque profonde affioranti. Una volta emerse dal mare queste rocce sono state abrase in maniera selettiva in base alla loro consisten-

za dai forti venti carichi di sabbia che spazzano da sempre il deserto e formano le dune. Il risultato è l’attuale Deserto Bianco, un luogo dove la geologia dà spettacolo, con monoliti tanto candidi come nessuno immagina di trovare nel Sahara ad emergere dalla sabbia rossa a formare uno scenario unico e surreale. E poi, nella luce flebile dell’alba e del tramonto gli speroni di roccia che si tingono di rosa e di arancio, oppure sotto la luna e le stelle a trasformarsi in un paesaggio artico di ghiaccio. E questo luogo magico, che già di per sé giustificherebbe un


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viaggio, risulta anche connesso a mitici personaggi del passato: dall’esercito dei 50 mila soldati persiani di Cambise scomparsi nel nulla 2.500 anni fa, travolti da una implacabile tempesta di sabbia mentre si avviavano alla conquista dell’oasi di Siwa, ad Alessandro Magno che dopo la conquista dell’Egitto nel 331 a.C. andò a Siwa per farsi incoronare faraone dal più famoso oracolo dell’epoca, alla regina Cleopatra che attendeva nella verde oasi il suo bell’Antonio per un rendez-vous d’amore, fino agli esploratori Rohlf e Almàsy -quello de Il paziente inglese- alla perenne

ricerca della leggendaria oasi di Zerzura. CAMEL SAFARI Se l’esplorazione del Deserto Bianco risulta un’esperienza indimenticabile compiuta in fuoristrada, a maggior ragione diventa straordinaria se effettuata a piedi, al seguito di una piccola carovana di dromedari in un camel safari, potendo scoprire in silenzio, al passo lento ma costante dei quadrupedi, i mille aspetti misconosciuti del deserto e gli angoli più suggestivi e nascosti di questo universo da favola,

EGITTO


IL DESERTO BIANCO le bizzarrie della natura immergendosi completamente in un ambiente magico. Un itinerario di 8 giorni nel Deserto Occidentale, di cui la metà dedicati ad una meharèè a cammello nel Sahra al Baida. Si cammina tranquillamente in piano tra i pinnacoli per 5-6 ore al giorno, potendo scegliere se andare in groppa al dromedario (dimenticate le suggestive immagini di Lawrence d’Arabia a cammello o le polverose cariche dei beduini perché le selle di questi quadrupedi sono piuttosto scomode se non si è del mestiere e ogni volta che si sale o si scende si rischia di cadere) oppure guidarlo a piedi facendosi trasportare il bagaglio. E ogni sera si monta il campo sotto la magnifica volta stellata in un posto diverso, sempre fantastico alla fiamma dei falò. Visite -e bagno- alle sorgenti termali e al museo etnografico dell’oasi di Farafra, la più anomala delle oasi egiziane per l’origine senusso-libica dei suoi abitanti le cui donne escono a volto scoperto, nonché al museo delle mummie d’oro e ad alcune tombe dipinte nella necropoli di Baharya, la maggiore d’epoca tolemaico-romana d’Egitto.•

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Il grande mare di

SABBIA Testo di

Romeo Bolognesi

L

a stragrande maggioranza di quanti visitano l’Egitto limitano il proprio itinerario alla capitale e alla valle del Nilo, dove per altro si concentrano i maggiori tesori della civiltà egizia. Ma in Egitto, grande tre volte l’Italia, il 90 per cento del territorio inizia invece proprio oltre le sponde coltivate del grande fiume. Peccato si tratti di un terreno arido e inospitale, estremo lembo orientale del Sahara, ripartito nel montuoso deserto

orientale ad est, fino alle sponde del Mar Rosso, e in un’enorme distesa di dune ad occidente fino oltre confini con la Libia, punteggiata da qualche isolata oasi, non a caso chiamata il Grande Mare di Sabbia. Quest’ultimo costituisce uno dei deserti più estesi e meno frequentato di tutto il Sahara. Battuto dal violento vento khamasin e dalle sue micidiali tempeste di sabbia, evitato anche dalle carovane per la cronica penuria d’acqua. Fino al 1920-30, all’avvento dei

EGITTO


IL GRANDE MARE DI SABBIA

mezzi meccanici, diversi tratti risultavano inesplorati e ancora oggi sono ben pochi ad avventurarsi in questo mondo minerale. Solo durante l’ultima guerra mondiale italiani e tedeschi da una parte, inglesi ed egiziani dall’altra, lo attraversarono più volte per infiltrarsi dietro le linee nemiche. Soltanto di recente il turismo ha scoperto il fascino e le attrattive di questa regione, lunga 600 chilometri e larga poco meno, enormi distese di dune policrome alte fino a 150 metri, non solcata da alcuna strada o pista, una fitta rete di corridoi interdunali, vaste depressioni che scendono sotto il livello del mare, strumenti litici, incisioni e pitture preistoriche risalenti all’epoca in cui il Sahara era verde e popolato da uomini ed animali, templi, fortezze e tombe dipinte di epoca egizia, tolemaica, romana e copta, resti fossili, enormi laghi salati, le incredibili formazioni calcaree di un bianco accecante curiosamente erose nel Deserto Bianco, il Sahra alBeida, e poi l’inimmaginabile prosperi-

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tà di una serie di oasi con esuberanti palmeti, case di fango, innumerevoli sorgenti minerali calde e fredde e consistenti laghi. Il Deserto Occidentale, o Gran Mare di Sabbia, che da solo occupa i due terzi del territorio egiziano, si estende dall’oasi di Siwa a nord fino ai massicci del Jebel el Uweinat (alto quasi 2.000 metri e formato da scisti cristallini e graniti) e del Gilf el Kebir (composto da arenarie e alto mille metri) a sud, quasi ai confini con Sudan e Libia, mentre ad ovest prosegue con continuità nel deserto libico con uguali caratteristiche ambientali e morfologiche, fino all’oasi libica di Cufra. Si tratta di una delle aree più aride del pianeta. Infatti se il Sahara in generale riceve in media 100 millimetri di pioggia all’anno, assai scarsa ma sufficiente da parecchie parti a garantire una vita vegetale, animale e umana, qui la media rag-


giunge appena i 5 millimetri, giustificando pienamente l’assenza di insediamenti umani anche nomadi e temporanei, nonché di piste di attraversamento per l’assenza di punti di rifornimento idrico durante il percorso. Unici punti di vita sono le grandi oasi, situate sui margini orientali, di Baharia, Siwa, Farafra, Dakhla e Kharga, già abitate fin dagli albori della storia dell’uomo a partire dal Paleolitico superiore, come ci attesta il rinvenimento di numerosi strumenti litici risalenti a 10 mila anni fa. Oasi fondamentali per consentire ancora oggi la presenza umana in questo tratto marginale di deserto. Già lo storico e geografo greco Erodoto le definì “isole benedette” per la loro importante funzione di punti nevralgici lungo le rotte commerciali tra l’Africa interna e il Mediterraneo. Per il resto la totale aridità non consente la vita

nemmeno ai nomadi con la loro misera economia di sussistenza, non ci sono più piste né wadi anche temporanei e anche l’antica rete idrografica – ben presente e marcata in tutto il Sahara – qui risulta ormai cancellata dall’erosione. Un mondo quindi solo minerale, dove si può camminare per settimane e mesi non soltanto senza incontrare anima viva, ma neppure le tracce di pneumatici di visite precedenti, eppure ricco di spettacolari formazioni geologiche come i pinnacoli e i monoliti di roccia del Gilf el Kebir, curiosamente erosi in mille forme bizzarre a stuzzicare la fantasia, il Deserto Bianco, l’unico al mondo dove la sabbia sembra una coltre di neve e surreali sculture di candido calcare emergono dal suolo, depressioni che scendono fin sotto il livello del mare, come el Qattara situata a – 133 metri e, all’esterno, laghi salati e sorgenti di acque termali e minerali. Ma il quadro ecologico, climatico e ambientale non

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IL GRANDE MARE DI SABBIA

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è sempre stato come lo vediamo noi oggi. I reperti preistorici e le pitture rupestri nelle grotte e nei ripari sottoroccia dei massicci montuosi ci narrano di un Sahara verde, così come altrove, disseminato di savane alberate, di fiumi e di laghi popolati da una fauna selvatica che ora vive in Africa a latitudini assai più meridionali, con figure umane ritratte in scene di battaglia, di caccia, di danza e di vita sociale, nonché di donne addobbate con strani ornamenti. Dodici mila anni fa infatti la falda freatica locale, alimentata da frequenti e regolari piogge, scorreva in parecchi punti quasi a lambire la superficie, come ci attesta la presenza di antichi pozzi poco profondi, ora totalmente inattivi e ricoperti da una crosta di sale. Per le sue attuali condizioni di aridità l’esplorazione del Gran Mare di Sabbia è iniziata, e con non poche difficoltà, soltanto alla fine del 1800, quando quasi tutto il resto del Sahara era ben noto; alla fine della prima guerra mondiale, quando l’investigazione ri-

prese più attivamente anche grazie all’introduzione dei veicoli meccanici, sulle carte geografiche rimanevano ancora enorme chiazze bianche di territori inesplorati, mentre tra i sahariani aleggiava la leggenda della mitica e irraggiungibile oasi di Zerzura, ultima Thule nascosta chissà dove. Un deserto duro, assoluto, totale, per grandi viaggiatori, ma anche un luogo capace di regalare indicibili emozioni, dove è ancora possibile effettuare scoperte anche rilevanti. Come è accaduto nel 2002 ai turisti-esploratori torinesi Massimo e Jacopo Foggini, i quali hanno scoperto nel Gilf Kebir una nuova grotta straordinariamente ricca di incisioni e di pitture rupestri preistoriche decisamente originali, definita dagli studiosi una vera Cappella Sistina nel deserto, che ritraggono mani e piedi umani, animali selvatici, figure umane in vari atteggiamenti, compreso un gruppo di nuotatori sulle rive di un paleolago che esisteva in passato davanti alla cavità.•

EGITTO

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Deserto sconosciuto tra NILO e OASI La soffusa atmosfera della Djara Cave con le sue scenografiche stalattiti

Deserto sconosciuto

tra NILO e OASI Testo di

Giulio Badini

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I

l turismo sahariano in Egitto si concentra essenzialmente sulle oasi, ricche di fascino per il loro isolamento, per la presenza di monumenti storici e per gli spettacolari ambienti naturali e ben collegate tra di loro, oppure parte dalle oasi per spingersi ancora più ad occidente per esplorare il deserto più assoluto del Gran Mare di Sabbia o dei rilievi montuosi del

Gilf Kebir e del Jebel Awainat. Ma esiste anche un’altra regione di vaste dimensioni, di aspetto spettacolare e diinteresse straordinario, non ancora scoperta dal turismo, che si sviluppa invece tra le sponde occidentali del Nilo e le oasi centrali di Farafra e Bahariya. L’itinerario parte dalla piramidi del Cairo e segue la strada delle oasi verso ovest; dopo 60 km la si abbandona per scen-


dere nella grande depressione del Fayoum, la più vicina alla capitale, dove un braccio del Nilo alimenta il grande lago Birket Qarun, che visto da lontano sembra un mare in mezzo al deserto. Gli strati di roccia dai colori psichedelici e dalle forme curiose hanno restituito importanti fossili marini e terresti risalenti a 30-40 milioni di anni fa e montagne di conchiglie si trovano un po’ ovunque, mentre un’apposita riserva protegge una foresta pietrificata con alberi alti fino a 20 m e si incontra una strada romana lastricata con frammenti di tronchi fossili. Il Jebel Qatrani viene considerato il maggior giacimento di fossili al mondo. Per il suo clima mite l’oasi del Fayoum fu utilizzata come territorio di caccia reale già nell’Antico Regno, poi i faraoni della XII dinastia vi trasferirono la loro capitale, Krokodilopolis. Innumerevoli i resti di epoca egizia: da non perdere il tempio-fortezza di Qasr es-Sagha, dell’Antico Regno, dedicato al dio coccodrillo Sobek,

EGITTO

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Deserto sconosciuto tra NILO e OASI

El Kharga

e la città fortificata tolemaica di Dimeh, racchiusa entro mura di mattoni alte 9 m. Due piccoli laghi offrono alcune cascate, ben rare in Egitto, e rifugio per un gran numero di uccelli acquatici, mentre poco oltre Wadi Heitan, protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, presenta in pieno deserto il più ricco e importante giacimento al mondo di balene e cetacei fossili, vecchio di 40 milioni di anni, epoca in cui le balene passarono da mammiferi terrestri a marini. Si prosegue quindi verso

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sud in un deserto assolutamente intonso costeggiando per due giorni Ghurd Abu Muharrik, una catena di dune longitudinale lunga oltre 500 km -forse la più lunga della terra-, fino ad attraversarla per raggiungere la Djara Cave, una delle rarissime grotte carsiche del Sahara adorna di enormi concrezioni alabastrine e di incisioni preistoriche. L’oasi di Farafra regala un bagno ristoratore in una delle sue innumerevoli sorgenti termali, una galleria d’arte di un curioso artista locale e, soprattutto,

I magnifici affreschi della Tomba di Bahariya

l’inattesa spettacolarità del vasto Deserto Bianco, una selva infinita di pinnacoli di candido calcare erosi dal vento in mille forme bizzarre. Attraverso il Deserto Nero, serie di coni scuri di forma vulcanica, si raggiunge infine l’oasi di Bahariya, dove nel 1996 è stata scoperta la maggior necropoli di età tolemaico-romana, accreditata di circa diecimila mummie: da non perdere la visita al museo delle mummie d’oro e di due tombe affrescate con un pregevole ciclo di pitture funerarie.•



Un viaggio nella NEW VALLEY alla scoperta dell’altro Egitto

Un viaggio nella NEW VALLEY

Testo di

Teresa Carrubba

L

’“Altro Egitto”. Un invito a visitare un Egitto insolito, poco conosciuto dal grande turismo. Un Egitto per viaggiatori. L’“Altro Egitto” è anche la New Valley, che risale a 5000 anni a.C., una vasta area del sud-ovest del Paese, all’estremità del deserto Libico, la cui capitale Kharga è situata nell’omonima Oasi. E proprio il percorso che collega Il Cairo

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con l’Oasi di Kharga, nel 2009 è stata fregiata del 2° posto tra le 10 strade più spettacolari al mondo, in una classifica effettuata dal sito web del prestigioso network americano Abc. Questo percorso, infatti, costeggia il singolare “Deserto Bianco” costituito da pittoresche formazioni calcaree modellate dal vento. Una ragione in più per esplorare questa zona dell’Egitto.

Del Governatorato della New Valley, fanno parte anche le Oasi di Dakhla e Farafra, piuttosto distanti l’una dall’altra. Tra deserti, palmeti e sorgenti termali, la New Valley rappresenta un interessante amalgama di grande fascino fatto di natura e paesaggio, ma anche di storia e folklore. C’è un progetto di sviluppo di quest’area, iniziato nel lontano 1959, data del primo investimento per l’a-


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gricoltura e lo sfruttamento delle potenzialità industriali e minerarie, come le miniere di fosfati di Abu Tartur, che danno lavoro a molti abitanti di Kharga. Le promesse di sviluppo della zona sono tuttora in via di attuazione grazie anche alla ricerca di investitori stranieri che portino i capitali necessari alla costruzione di nuove strutture produttive e turistiche. Probabilmente lo sviluppo è in parte subordinato alla possibilità di acquisire una mentalità turistica europea che sappia elevare gli standard qualitativi delle strutture ricettive della zona e di collegare via aereo la New Valley alle principali città del Paese con voli più

frequenti. L’Oasi di Kharga, citata dallo storico greco Erodoto, in passato godeva di una posizione strategica tra importanti rotte commerciali e l’antica pista carovaniera che la collegava all’Oasi di Daklha. La città di Kharga, appena sfiorata dalla modernità, è praticamente un suq alimentare all’aperto con chioschi che offrono datteri e caschi di banane nane, spiedini o polpettine piccanti; gente socievole anche se ancora relativamente poco avvezza al turismo. Kharga ha accolto migliaia di persone accorse nella zona per trovare lavoro e conserva poche testimonian-

EGITTO


ze del passato che sono da ricercare nel nuovo museo archeologico e nei dintorni. Quella di Kharga, infatti, la più grande Oasi della New Valley, è anche la più ricca di siti archeologici come il Tempio di Hibis, l’unico grande tempio di epoca persiana in Egitto, quello meglio conservato del Deserto Occidentale. Fu ampliato e arricchito da Nectanebo II, dai Tolomei e dai Romani. Costruito da Dario I, della XXVII dinastia, era dedicato al dio di Tebe, Amon. Ma il gioiello di Kharga è sicuramente la spettacolare El-

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Bagawat, la necropoli cristiana copta più antica dell’Egitto composta da 263 tombe di mattoni crudi, dell’epoca di Nestorio (V secolo). Le tombe sono costituite da una camera a cupola e si allineano ordinate seguendo un assetto urbano vero e proprio. I due mausolei principali, presentano interessanti affreschi raffiguranti l’Esodo e altre scene di argomento biblico, ma molte delle pitture parietali delle tombe sono state danneggiate dagli islamici iconoclasti insediatisi nella zona in epoche successive. Da Kharga ci dirigiamo verso nord-ovest, alla volta di


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Dakhla. Il percorso ci appare come un paesaggio lunare: un deserto che alterna tratti sassosi a morbide dune di sabbia ocra e ancora a colline che il vento si è divertito a disegnare nelle fogge più curiose. In questa zona, che sembra ferma nel tempo, il paesaggio è mutevole se è vero che ogni anno la sabbia si sposta di 12 metri,

sommergendo tronchi di strada o stravolgendo il profilo delle dune. Tutto diverso nell’Oasi di Dakhla, a 190 km a ovest di Kharga. Più di 600 sorgenti e laghetti naturali, vasti palmeti in cui sorgono villaggi pittoreschi costruiti con mattoni di fango. L’oasi è abitata da circa 70.000 persone e

L’antico minareto di El-Qasr, la città ottomana nell’Oasi di Dakhla

EGITTO


Un viaggio nella NEW VALLEY alla scoperta dell’altro Egitto

produce riso, manghi, arance, olive, datteri e albicocche. La città vecchia, abitata sin dalla preistoria, è un labirinto di stradine dalle pareti ricoperte da argilla e i portoni delle case hanno architravi di legno dal disegno elaborato. Vicino, la suggestiva El Qasr, con la sua cittadella fortificata risalente al Medioevo, ormai una vera città fantasma. Il suo fascino trasuda dai vicoli stretti, dagli alti edifici in rovina, dalle porte massicce e dai suoi minareti diroccati, ma ancora in piedi. Grazie all’interessamento di una Università olandese, presto alcuni di questi edifici saranno restaurati. Per visitare con comodità le tre Oasi della New Valley : Kharga, Dakhla e Farafra (quest’ultima, in pieno Deserto Bianco), l’ideale sarebbe cambiare alloggio ad ogni spostamento perché le distanze tra l’una e l’altra

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sono impegnative. I campi tendati di Desert in Style, come il Shamsiya costruito sulle dune di sabbia di Dakhla e il campo El Beyda, al confine del Deserto Bianco. Poi c’è il Tabuna Camp a Dush, dove noi abbiamo fatto base per il nostro viaggio in New Valley. “ Con i campi tendati ho voluto avvicinare il deserto ad un pubblico più vasto” ha dichiarato Giuseppe Boscoscuro, presidente di Desert in Style “offrendo un comfort ed un servizio di qualità, prima non disponibile nel Western Desert”. Tutto vero. Il campo tendato Tabuna di Dush è uno dei primi Camp di lusso nel deserto egiziano. Venti tende di 35 mq. confortevoli ed eleganti, arredate come una camera d’albergo, con mobili costruiti a mano nel tipico stile delle oasi egiziane e una veranda dalla quale si può godere del

silenzio del deserto e ammirare tramonti spettacolari. Piatti curatissimi e deliziosi, non solo dal punto di vista gastronomico (cucina tradizionale egiziana elegantemente rivisitata), ma anche riguardo alle bellissime stoviglie in terracotta commissionate ad abili artigiani locali. Anche i prodotti alimentari utilizzati provengono tutti dai vicini allevamenti e coltivazioni. Impeccabile il servizio del personale, disponibile e ospitale. Il campo è circondato dal deserto ed è sovrastato dalle alte dune di sabbia su cui si ergono le rovine del sito archeologico di Kysis ,un tempo crocevia delle piste per il Sudan e per la Valle del Nilo, che conserva il rudere del Tempio di Dush dedicato a Osiride-Serapide e ad Iside, ricordati da iscrizioni delle epoche di Traiano, Domiziano ed Adriano.•


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I reperti del Wadi Heitan

OASI DEL FAYUM Testo di

Anna Maria Arnesano

U

n notevole contrappasso al caos della più popolosa città del mondo, il Cairo, è sicuramente costituito dalla visita imprescindibile della Sfinge e delle tre grandi piramidi di Giza, delle ancora più antiche piramidi a gradoni di Saqqara, all’inizio dell’enorme deserto occidentale, nonché dell’oasi del Fayum, la più vasta e vicina alla capitale, nella più assoluta tranquillità del deserto totale. In questa verdeggiante depressione a 45 m sotto il livello del mare, ricca di alberi da frutta e di campi coltivati, un braccio del Nilo alimenta il grande lago Birket Qarun, salmastro e ricco di pesce, che visto da lontano sembra un mare in mezzo al deserto. Gli strati di roccia dal colori psichedelici e dalle forme curiose hanno restituito

importanti fossili marini e terresti risalenti a 30-40 milioni di anni fa e montagne di conchiglie si trovano sparse un po’ ovunque. Per il suo clima mite l’oasi del Fayoum fu utilizzata come territorio di caccia reale e di villeggiatura già nell’Antico Regno, poi i faraoni della XII dinastia vi trasferirono la loro capitale, Krokodilopolis, come attestano innumerevoli resti di epoca egizia. Due piccoli laghi offrono alcune cascate, ben rare in Egitto, e rifugio per un gran numero di uccelli acquatici, mentre poco oltre Wadi Heitan, protetto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, presenta in pieno deserto il più ricco e importante giacimento al mondo di balene e cetacei fossili, vecchio di 40 milioni di anni, epoca in cui le balene passarono da mammiferi terrestri a marini.•


L’OASI DI SIWA il tempo si è fermato

L’OASI di SIWA il tempo si e’ fermato

Testo di

Teresa Carrubba

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I

l lungo viaggio in macchina non ci aveva fatto presagire nulla di quell’incredibile realtà che avremmo trovato a Siwa, se non negli ultimi

chilometri quando l’esile lingua d’asfalto all’improvviso s’insinua come una lama d’acciaio a spaccare in due il deserto. Andatura lenta, lentissima, anche se non c’è

ombra di veicoli di nessun genere. Per non disturbare il silenzio, forse, per non interrompere la linea piattissima di quella sabbia indurita dal sole fino a formare


L’antica medina di Siwa

una sottile crosta lucente, infuocata da un tramonto senza pari. E lo sguardo si abitua a quelle forme senza sbalzi, fino a quando in lontananza si scorge un rilievo frastagliato, quasi un gioco della sabbia, stesso tono di ocra chiuso. Da più vicino si fanno chiare del-

le silhouette inconfondibili, musi di cammelli contro il sole che si arrossa, ombre cinesi, graffiti ancestrali. Poi, tutto ritorna piatto, familiare, rassicurante. E l’emozione serpeggia sottopelle, tenuta a bada da quella tranquillità. Tutto esplode alla fine di quel paesag-

gio, quando il deserto si apre all’annunciata oasi: Siwa. Il crepuscolo ha già ammorbidito tutti i profili delle casette di fango e anche i toni della vita quotidiana, quando arriviamo a Siwa, oasi ai margini del deserto del Sahara, nata sulla via del commercio dei

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L’OASI DI SIWA il tempo si è fermato

La pittoresca Medina di Siwa Foto di Pamela McCourt Francescone

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datteri che porta a Menfi. Un villaggio che sembra non avere dimensioni reali. Il primo impatto è con un incredibile viavai di carretti malfermi trainati da muli che a fine giornata riportano a casa uomini barbuti vestiti di una lunga tunica bianca. E il cigolìo di quei carretti è l’unico suono in un silenzio davvero irreale. Sembra la scenografia di un film d’altri tempi. Perché sì, a Siwa il tempo si è fermato. E forse era il posto giusto per fermarsi visto che qui la storia è immanente, incastonata in uno scrigno immobile. I templi, la fortezza e la necropoli dividono lo spazio con le modeste casette di mattoni crudi di fango, non è insolito scorgere bambini che giocano tra i ruderi del Tempio di Amon quasi fossero una pertinenza della loro casa. E, paradossalmente, tutto rientra in un’armonia naturalissima per Siwa, rimasta isolata dal resto del mondo fino a 17 anni fa quando fu costruita la strada asfaltata che la unisce alla costa settentrionale dell’Egitto. Prima di allora nessun contatto, nessuna influenza dall’esterno, salvo per qualcuno dall’intelligenza caparbia che pur di frequentare l’università di Alessandria si avventurava in un tragitto

di 17 ore, e altrettante per tornare. Con carretti o altri mezzi di fortuna. Oggi sono molti i giovani siwani ad ottenere la laurea trasferendosi ad Alessandria o a Il Cairo, poi tornano in paese e si impiegano nel turismo o in lavori statali. Anche le donne, naturalmente. Per pura soddisfazione personale, perché poi sposandosi lasciano il lavoro o la minima speranza di esso. Le ragazze, infatti, le quali si sposano giovanissime dato che a 25 anni vengono considerate zitelle e quindi non più desiderate dai locali, dopo il matrimonio entrano in clausura. Nessuno le vede più in giro, se non per motivi importanti; accompagnare i bambini a scuola o fare la spesa non sono tra questi. E nei casi “importanti” devono coprirsi completamente il viso con un fitto velo nero e indossare un telo avvolgente, uguale per tutte: una trama azzurra con un ricamo lineare, sul dietro, che sembra raffiguri le ultime lettere dell’antico alfabeto siwi, la lingua berbera che parlano solo qui. Ma quando le donne sposate escono non possono in nessun caso farlo da sole, devono essere accompagnate da un uomo della famiglia, marito, padre, fratello, persino da


un bambino, purché sia maschio naturalmente. Ancor più difficile l’esistenza di quelle che restano nubili, devono servire i loro familiari senza grandi speranze per il futuro. In questo, l’integralismo islamico centra fino a un certo punto. Qui c’è una cultura che è al di fuori della religione e che si evince da tante cose. Semmai è la religione che viene adattata alla cultura. Ci sono islamici molto più islamici che vanno in giro a faccia scoperta. Questa è una società molto speciale, è stata isolata per secoli, il loro sistema era basato sulla città-stato, la vecchia Shali tutta chiusa da un muro. Appena arrivavano i beduini, se si fermavano fuori erano amici e volevano solo fare commercio, se non si fermavano intendevano attaccare. Allora tutti si chiudevano dentro le mura, lasciando alle milizie giovani il compito di difendere Shali. Esattamente come nel nostro Medioevo, fino a quando Mohamed Ali nella prima metà dell’Ottocento fece sparare il can-

none intimando alla popolazione di uscire dalle mura e trasferirsi all’esterno. Da quel momento la città si estende, ma a quanto si vede oggi, un muro c’è ancora, invisibile ma così resistente da proteggere tutti i retaggi di una popolazione fiera della propria storia e delle proprie tradizioni. Siwa in realtà nasce intorno al Mille. Ci sono diatribe tra gli archeologi e gli storici per stabilire quando esattamente sia finito il periodo in cui i faraoni sono andati via da Siwa cioè quando sia finito il periodo egiziano-grecoromano e quando sono arrivati i siwani. Come se i siwani fossero venuti da fuori. Recentemente un archeologo italiano ha scoperto in questa zona un tempio di periodo tolemaico quindi della fine del periodo greco-romano che è diviso in due parti, una egizia e una siwana. Ciò sembrerebbe dimostrare che i siwani sono gli abitanti originari di Siwa, di razza berbera, prima degli egizi e prima dei romani. Anche la lingua è di

origine berbera, il siwi, che nessun altro capisce. Tra i segni del passato, proprio sopra la piazza principale di Siwa c’è il Tempio di Amon dal cui oracolo Alessandro Magno apprese tutti i dettagli del suo incredibile destino. Forme naif, molto vicine a quelle create facendo colare sabbia bagnata sotto il solleone, apparentemente effimere come la favola e il mito, ma resistenti da allora ai nostri giorni. Lo stesso giallo sabbia che si illanguidisce al sole calante per poi impreziosirsi la notte, grazie ad una sapiente illuminazione che rende quelle forme paradossalmente avveniristiche, simili a dischi volanti. Sempre a sovrastare il paese, Il Gebel Al-Mawta, il Monte dei Morti, scrigno mistico di tombe risalenti al periodo compreso tra l’era tolemaica e quella romana per gli ultimi regnanti che fecero di Siwa un appoggio strategico. Fuori, piccole aperture simili alle colombaie delle necropoli etrusche, all’interno alcune tombe si

Il Tempio dell’Oracolo vicino Aghurmi nell’Oasi di Siwa

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L’OASI DI SIWA il tempo si è fermato

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aprono con la dignità dell’arte con affreschi raffiguranti divinità egizie. Dalla sommità di questo monte, che nel grigio della roccia racchiude l’immobilità dell’eterno, si apre agli occhi una dinamica fertilità fatta di immensi palmeti e olivi e corsi d’acqua i cui colori intensi, dal verde al blu, virano nel morbido ocra delle dune del Sahara. Laggiù, all’orizzonte. Ma se Gebel Al-Mawta è il simbolo della Morte, la Fortezza di Shali è la fonte della vita, quella di Siwa, almeno, visto che, come abbiamo detto, si tratta del primo nucleo di abitazioni attorno a cui poi si è sviluppato tutto il resto. Un po’ fuori Siwa, l’oasi si fa rigogliosa, fitti palmeti si aprono alla frescura di vasche e sorgenti, tra cui la fonte in cui si bagnava Cleopatra e che ancora oggi è frequentata, forse più per devozione nei confronti della mitica regina che per pura voglia di fare un bagno. Sembra proprio che i siwani vogliano rimanere in un mondo a parte, nonostante l’inizio di un’a-

pertura al turismo. Anche se è vero che si tratta più che altro di un turismo di passaggio, per chi dalla costa mediterranea dell’Egitto, in visita alla storica El Alamein e alle spiagge di Marsa Matrouh, voglia inoltrarsi nel deserto o fare il giro delle oasi. Dunque un turismo che potrebbe anche non lasciare traccia, non inquinare la loro integrità con la storia. Il fatto è che questa chiusura impedisce ai siwani di crescere e rende difficile la realizzazione di alcune attività tese al miglioramento della loro economia e della qualità della loro vita. E dire che uno degli otto progetti di Ricerca e Cooperazione realizzati in seno al Cospe attualmente in corso in Egitto, finanziati dal Ministero degli Esteri italiano, anni fa ha scelto proprio Siwa. Un Progetto ambientale rivolto al miglioramento e alla diversificazione dell’agricoltura, anche se le due grandi risorse, qui, sono le palme da dattero e gli olivi. La difficoltà maggiore del Progetto, pare sia stata convincere i siwani

della bontà di certe tecniche, visto che loro sono da sempre ancorati ai retaggi del passato, che qui incombe su tutto. Anche l’apertura al turismo è molto lenta. Qui a Siwa i turisti hanno cominciato a venire da pochissimi anni, 17 anni fa non c’era niente. Solo allora l’isolamento assoluto di Siwa è stato bruscamente interrotto dalla costruzione di quell’unica strada asfaltata che oggi la collega alla costa mediterranea dell’Egitto. Oggi ci sono vari alberghi, alcuni decisamente sorprendenti come l’Adrere Amellal che ha già avuto ospiti eccellenti come il Principe Carlo e Camilla, Paola di Liegi e Madonna. Un po’ fuori mano, in un posto quantomai suggestivo sulla riva di un lago, protetto da concrezioni sabbiose disegnate dal vento, l’Adrere Amellal è un albergo inusitato, tutto costruito osservando criteri ecologici, con argilla e polveri saline. Un tempio della natura nella natura, eccentrico nella sua estrema semplicità. Da vedere.•

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M AR E


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Testo di Raffaella Ansuini e

Viviana Tessa

Sharm El Sheikh

Si trova all’estremità meridionale della penisola del Sinai, fra le montagne desertiche e le incredibili acque del Mar Rosso. Inizialmente si trattava di un villaggio di pescatori che oggi è praticamente sparito e il suo porticciolo nel 1998 è stato spostato nella baia a Nord per poter ospitare il sempre crescente numero di barche che vengono utilizzate per i sub. Con il merito però di aver bonificato il vecchio porticciolo rendendo la baia pulitissima, ricca di pesce e dotata di spiagge molto attrezzate. Circondata da un vasto e arido deserto, Sharm El Sheikh si affaccia su uno dei mari tropicali più ricchi del mondo per varietà e concentrazione di vita marina, al punto di istituire nel 1998 il Parco Nazionale di Ras Mohammed, visitabile sia dal mare che da terra, parco che ha reso possibile mantenere inalterati gli straordinari

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Il Mar Rosso

Suggestiva panoramica dall’alto di Sharm El Sheikh

reef corallini e la quantità di pesce. Una molteplicità coloratissima di specie di animali e di forme vegetali infatti abitano il reef, ricoperto di alcionari e gorgonie, spugne e anemoni tra i quali spicca il simbolo del Mar Rosso, il Napoleone, ed abitato da grossi pesci pelagici, dallo squalo balena e da branchi di delfini.

Naama Bay

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Famosa è la spiaggia di Naama Bay, dove basterà immergersi in pochi metri d’acqua per imbattersi in quello che da molti viene definito come uno tra i più ricchi ambienti subacquei del nostro pianeta: giardini di corallo, gorgonie, oltre 100 specie di pesci tropicali, tartarughe, mante fino a 300 metri di profondità. La sera, lungo tutta la passeggiata della piccola Naama Bay che collega gli alberghi più importanti che si affacciano sul mare, vi è una grande animazione sia nei bar che nei piccoli ristoranti caratteristici e davanti ai negozi del grande e mo-

derno souk, nel quale si trovano oggetti di tutti i generi.

Ras Mohamed

Si tratta di un vero e proprio gioiello incastonato nella punta meridionale del Sinai, spartiacque naturale fra il Golfo di Aqaba ed il Golfo di Suez. Dal 1989 è diventato parco nazionale e come tale gode di una speciale protezione e di regole, quali non raccogliere o danneggiare nulla, seguire i percorsi guidati per accedere al mare, naturalmente non pescare né cacciare, non ancorare e non camminare sulla barriera corallina poiché va ricordato che quest’ultima cresce al ritmo lentissimo di un centimetro l’anno. Celebre oltre che per la barriera, per l’acqua trasparente e per una fitta foresta di mangrovie, è il fiore all’occhiello di questo mare. La quantità di pesce che vi abita è pressoché impressionante; sono frequenti anche possibili incontri con mante, tonni e squali.

Isola di Tiran

Tiran è un’isola di origine vulcanica collocata nel golfo di Aqaba che a sud si restringe nello stretto di Tiran. Quest’ultimo, considerato area protetta, è a sole 12 miglia a nord di Sharm El Sheickh. E’ delimitato ad ovest dalla costa del Sinai e ad est, per l’appunto, dalla suddetta isola. Lo stretto ha la peculiarità di essere costituito da una catena montuosa sommersa le cui cime formano i 4 reef. Jackson, sulla punta settentrionale, ove si trova una parte dello scafo della nave cipriota Lara. Il versante meridionale è il più adatto alle immersioni. Infatti non è difficile incontrare razze, squali, sia leopardo che martello, cernie e, perché no, tartarughe. Woodhouse, non sempre adatta alle immersioni poiché non ha punti di ormeggio, potrebbe riservare la sorpresa di vedere tonni, barracuda, gruppi di carangidi e anche qui tartarughe. Thomas, la più piccola delle quattro, la si può scoprire in un’unica immersione. La


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parete di cui è formata, scende fino a raggiungere i -35 metri. Anche questa immersione può offrire piacevoli incontri con carangidi, tonni, pesci Napoleone e tartarughe. Gordon, che scende fino a 45 metri, sorprende con lo spettacolo dei rami di corallo nero che si trovano attorno ai 30 metri di profondità. Sul lato settentrionale è posizionato il relitto della “Loullia” che giace lì dal 1981, a causa di un urto con la barriera corallina. E’ tipica di questa parte di reef, un’enorme murena che si nasconde nelle piccole grotte che vi si trovano.

La Penisola del Sinai

Il Sinai viene considerato il cuore del mondo di tre grandi religioni monoteistiche: il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam, poiché secondo la tradizione i monti del Sinai divennero lo scenario in cui si rivelò il Dio di Abramo, il sito in cui Mosé ricevette i 10 comandamenti, la strada sofferta verso la Terra Promessa.

La Penisola del Sinai il cui nome deriverebbe la quello di un’antica divinità lunare chiamata “Sin”, ha una forma triangolare e si allunga nello splendido Mar Rosso tra il Golfo di Suez e il Golfo di Aqaba. Sin dall’antichità questa zona venne sfruttata per le proprie risorse minerarie; vi si trovavano infatti oro, rame e turchese, quest’ultimo le valse l’appellativo di “terra del Turchese”. Il Sinai è considerato il terzo deserto d’Egitto dopo quello libico ad ovest del Nilo e quello arabico ad est. Vi abitano i beduini, le popolazioni nomadi del deserto, il cui nome proviene dalla parola araba “bedn” cioè “abitante del deserto”: le immense e desolate distese di sabbia e le montagne del deserto sono il loro habitat preferito.

Il Monastero di Santa Caterina

Nella parte centromeridionale della penisola, si trovano il Monte Santa Caterina (Gebel Caterina) ed il Mon-

te Horeb, chiamato successivamente di Mosè (Gebel Musa) a ridosso del quale, come un miraggio, si erge a 1570 metri il Monastero di Santa Caterina. Fondato dall’imperatore Giustiniano nel 527-547 d.C. si dice si trovi nel punto esatto da cui discese Mosè con le tavole dei Dieci Comandamenti. Nel 330 d.C. Elena, la madre dell’imperatore Costantino, che con il suo celebre editto del 313 d.C. aveva posto fine alle persecuzioni garantendo la libertà di culto, fece costruire una piccola chiesa nel luogo dove si trovava il Roveto ardente. Nel 527 d.C. Giustiniano ordinò la costruzione di un vero e proprio monastero con una grande basilica, chiamata la “Basilica della Trasfigurazione”, protetta da un’imponente cinta muraria contro le incursioni dei beduini, che includeva anche la chiesa primitiva di Santa Elena. Tra l’VIII e il IX secolo d.C. i monaci ritrovarono il corpo di Santa Caterina che, secondo la tradizione, era stato trasportato sulla cima del

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Il Mar Rosso

Monte Caterina. Il corpo della Santa venne collocato in un sarcofago all’interno della basilica dove si trova ad oggi e così venne chiamato il “Monastero di Santa Caterina”.

Il Canyon Colorato

A nord-est del Monte di Mosé si trova una stretta gola formata da strati di arenaria e di calcare che si mischiano come fossero dei pastelli, formando sfumature rosa, marroni, gialle e verdi.

Il canale di Suez

Un’opera di ingegneria imponente, tra le più importanti mai realizzate dall’ingegno umano. Stiamo parlando del Canale di Suez che dal lontano 1869 ha favorito lo sviluppo del commercio tra l’Europa e l’Oriente, evitando così alle navi di circumnavigare l’Africa. Non esisteva infatti un passaggio fra il Mar Mediterraneo e il Mar Rosso, poiché i due mari erano separati dall’istmo di Suez la cui ampiezza era di 161 chilometri. Oggi il canale rappresenta una via di comunicazione fondamentale con un transito annuo pari ad oltre 250 milioni di tonnellate di merci. La sua lunghezza è di 195 chilometri con una profondità media di 19 metri.

Hurghada Magnifico ritratto di donna araba in Hurghada zeber/Shutterstock.com Un bell’esemplare di Pink Anemonefish

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Hurghada, già nota nel tempo dei Tolomei con il nome di Myos Hormos, si affaccia sulla costa a seicento chilometri a sud de Il Cairo. La cittadina moderna che nasce dall’antica Gardana, inizia il proprio successo turistico attorno agli anni ’70-’80 per volontà del presidente Sadat che dette il via a moderni complessi turistici. Oltre al Palazzo del Governatore, ospita il Museo Marino ove è possibile ammirare varie specie di pesci multicolore e squali. La città si divide fondamentalmente in tre zone: quella costiera, dove vi è la grande concentrazione di strutture ricettive, Dakar, il quartiere di negozi e locali e Sekalla, la città vecchia.


Assieme a Sharm El Sheikh, Hurgada può considerarsi uno dei punti nevralgici da cui partire alla scoperta delle meraviglie dei fondali del Mar Rosso la cui storia geologica ci riporta indietro nel tempo, ad oltre 40 milioni di anni fa e il cui nome sembra derivi dalla colorazione rossastra che acquista in alcuni periodi dell’anno e in particolari condizioni climatiche, quando produce un’alga dal nome Trichodesmium Erythraeum. Le spiagge di Hurgada hanno la caratteristica di essere lunghe, ampie e sabbiose e di estendersi per chilometri lungo la costa. Qui il mare è l’ideale per gli amanti dello snorkeling poiché le formazioni coralline si sviluppano in fantastici pianori situati a pochi metri di profondità, il che permette di osservare con estrema facilità sia la flora che la fauna ittica. La barriera corallina

è un habitat ideale per coralli, gorgonie, conchiglie e pesci di ogni specie. In questo tratto di costa vi è quasi sempre una brezza marina, il clima è caldo tutto l’anno con temperature medie che variano dai 22°C di gennaio ai 34°C nei mesi d’agosto.

El Gouna

E’ un piccolo ma sofisticato villaggio, meta del turismo più elitario. Una località moderna dotata di attrezzature e servizi di altissimo livello per le escursioni, il divertimento e lo sport: kitesurf, vela, windsurf, golf, tennis, equitazione. Le insenature del mare creano in questa zona un caratteristico paesaggio, una sorta di laguna, e le sue spiagge sono punto di partenza per esplorare il meraviglioso mare. Immersa in acque limpide, El Gouna è circondata

da miriadi di isolotti, uniti a forma di stella, e ciò le è valso l’appellativo di “Stella del Mar Rosso”. El Gouna fonde in modo armonioso il caratteristico stile nubiano con un insieme architettonico moderno di grande fascino. Sulle strade in stile arabo con pavimenti in pietra, si affacciano eleganti negozi, piccoli appartamenti, bar e ristoranti. L’atmosfera rilassata di El Gouna rende la vita molto piacevole sia ai turisti sia ai residenti, ma offre anche spunti per una vacanza attiva e stimolante. El Gouna si affaccia su uno dei mari più ricchi del mondo con una tra più belle barrire coralline del Mar Rosso, un vero paradiso per i subacquei ma anche per chi pratica lo snorkeling perché le calme acque delle baie circostanti sono l’ideale per i principianti.
Grazie alla sua posizione all’interno di una zona marina pro-

Le pittoresche casette bianche di Sharm El Sheikh

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Il Mar Rosso

tetta, El Gouna offre eccezionali siti sub poco frequentati dove imbattersi in rare creature marine, come i delfini tursiopi. Nei dintorni di El Gouna, ci sono siti per immersione famosi in tutto il mondo come i relitti navali sommersi di Abu Nuhas, quelli del Thistlegorm e del Rosalie Muller, che offrono un’incredibile esperienza di immersione tecnica, e molti altri siti ricchissimi di coralli e di vita sottomarina.

di rimanere incontaminato. Tanto da offrire l’esperienza incredibile di incontri con una fauna marina rara, come ad esempio il dugongo. I magnifici fondali di Makadi Bay possono essere esplorati anche da chi non sia un esperto nuotatore, grazie a barche speciali con la base in vetro. Non lontano da Makadi Bay, Sharm el Naga è un paradiso naturale, con una baia sabbiosa e una colorata barriera corallina.

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Makadi Bay Nuova anche un’altra località turistica nei pressi di Hurghada che prende il nome dalla baia dove sorge, Makadi Bay. Una baia dalla bellezza naturale incredibile con spiagge di sabbia e l’accesso facilitato al mare, adatto anche per famiglie con bambini, dove negli ultimi anni sono sorti i migliori alberghi di questo tratto di costa. Ma Makadi Bay è meta ricercata anche dagli esperti in immersioni, per fortuna ancora pochi il che ha permesso al reef, che qui è molto vicino al litorale,

Le isole di Giftun Una delle escursioni più interessanti da Hurghada è quella al Parco Marino delle isole di Giftun, ambiente naturale protetto con un fondale spettacolare. Si tratta di due piccole isole, Giftun El Saghier e Giftun El khebier, dichiarate parco marino nel 1955, circondate da numerosi banchi di corallo abitati da pesci di ogni genere. Ma le vaste spiagge sabbiose consentono anche una tranquilla vacanza balneare. La spiaggia di Mahmya, per esempio, sulla costa meridionale di Giftun.
M 
 ahmya è

una delle uniche due spiagge gestite sull’isola e come tutti gli altri parchi marini del Mar Rosso egiziano, è deserta e disabitata e gli insediamenti umani sono strettamente proibiti. A rispetto della natura, anche le poche strutture ricettive sono costruite con tronchi d’albero, paglia e sassi. In più,
l
 e grosse imbarcazioni sono costrette a ormeggiare al largo della baia, e i turisti raggiungono la spiaggia con un servizio di piccole barche. Safaga Safaga, una barriera corallina intatta e incantevoli insenature. Per molti anni porto mercantile, oggi è una località del Mar Rosso ancora poco frequentata dal turismo ma è molto ricercata dagli appassionati di kitesurf e windsurf e, naturalmente, di immersioni. La maggior parte dei siti di immersione è ancora incontaminata e può essere raggiunta in barca in pochissimo tempo. Ad esempio, Makadi Bay, Soma Bay e Sahl Hasheesh, le leggendarie bar-


riere coralline a catena di Tobia Arbaa, le imponenti scogliere a picco del Panorama reef, le formazioni coralline a torre di Abu Qifan, gli splendidi siti di Sha’ab Saiman, Gamul Kebir, Abu Kafan. Senza contare l’immersione notturna a Sha’ab Sheer o la discesa per esplorare il relitto del Salem Express affondato nel 1991. Al centro della baia di Safaga, facilmente raggiungibile in barca, si trova anche l’Isola Tobia, nei pressi di Soma Bay,: offre incredibili panorami e spiagge di sabbia fine. La vita a Safaga è improntata soprattutto nel contatto con la natura; la vita mondana non è prevista, salvo feste sulla spiaggia organizzate dai surfisti del posto. Gli unici locali di ritrovo sono un paio di bar o i tipici ahwa dove si chiacchiera e si fuma la shisha. Gli alberghi della zona offrono spettacoli e danze tradizionali. Safaga è stata molto agevolata dall’apertura di un’importante via di comunicazione stradale che la collega a Qena e alle zone archeologiche della valle del Nilo attraversando il Deserto orientale. Escursioni Sempre da Hurghada, si possono effettuare brevi escursioni alle barriere di Abu Hashish o al Gota Abu Ramada, o scendere qualche chilometro più a sud, lungo la costa, fino al pontile del Ras Abu Soma, adatto sia a chi fa snorkeling che ai divers che qui possono spingersi in profondità lungo la parete verticale del reef. Di genere più culturale che sportivo la visita alle cave di porfido di epoca romana Mons Porphyrites, nel cuore del Deserto Orientale, oppure alle rocce grantiche delle cave di Mons Claudianus, sito archeologico che risale al periodo in cui l’Egitto era una provincia dell’Impero Romano (dal 30 a.C. al 641 d.c.) dove è possibile visitare le miniere di granito più grandi e meglio conservate del Deserto Orientale. Inoltre, ci si può dirigere a nord verso

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i monasteri storici di San Paolo e Sant’Antonio, forse i più antichi di tutta la cristianità. Imperdibile, poi, la visita a Luxor e ai mitici siti archeologici della Valle dei Re e la Valle delle Regine.

Marsa Alam

A sud di Hurgada, si scopre un mondo formato da coste di un mare cristallino ricco di pesci colorati e coralli. Stiamo parlando di Marsa Alam, un centro formato da gruppi di case e da qualche bar lungo la strada, frequentato da gente locale, di El Quseir, una cittadina poco più grande, abitata da pescatori e minatori. Proseguendo ancora verso sud, a circa 350 km da Hurgada, troviamo la Riserva Naturale di Wadi Gimal, anch’essa ancora paradiso naturale incontaminato con spiagge bianche ricoperte da conchiglie, adatto soprattutto a chi svolga attività subacquee o a coloro che cerchino assoluta pace e tranquillità. Ogni giorno si possono effettuare itinerari diversi che permettono di visitare punti di immersione quali Elphinstone reef, uno dei siti più famosi nel sud del Paese, dove con ogni probabilità si possono incontrare branchi di pelagici come carangidi, barracuda, squali grigi e gli affascinanti squali martello che con le loro movenze sinuose, concretizzeranno il sogno di ogni sub. Ed ancora luoghi quali Ras Samadai, denominato anche “la baia dei delfini”: immergendosi si può avere la possibilità di trascorrere un’indimenticabile esperienza nuotando in compagnia di questi fantastici mammiferi, ormai abituati alla presenza dell’uomo. El Quseir Vicino a Marsa Alam, con i suoi litorali incontaminati, El Quseir, crocevia di scambi commerciali tra oriente e occidente fin dal periodo tolemaico e romano e fino all’apertura del Canale di Suez nel 1869, è da considerarsi tra le poche locali-

EGITTO


tà lungo le coste del Mar Rosso ad avere forti radici storiche. In città, tra i moderni bazaar, rimangono i tracciati delle antiche carovane verso il Nilo dove si trovano numerosi siti d’interesse storico dell’epoca faraonica e romana. 
Gli edifici in tutto il centro storico della città ricorda-

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no l’importanza strategica navale di Quseir, in particolare la fortezza del sultano Selim, che risale al XVI secolo. Fuori città, il wadi che collega El Quseir con Qift sul Nilo contiene altri reperti storici. Intersecato da una serie di altri wadi, tra i quali il più famoso è Wadi Hammamat,

dove circa 200 tavole di geroglifici caratterizzano la collina e dove si trova una serie di iscrizioni risalenti a 4.000 anni fa.

Negli ultimi anni il turismo sta scoprendo El Quseir, grazie anche all’aeroporto internazionale di Marsa Alam e di questo passo potrebbe presto raggiun-


Diving nel Mar Rosso L’esperienza del diving nel Mar Rosso è unica e ineguagliabile. Fino a pochi anni fa quest’area dell’Egitto era praticata solo dai subacquei esperti, oggi invece grazie anche ai numerosi centri-scuola che offrono la possibilità di imparare a immergersi o di perfezionarsi, il Mar Rosso rappresenta meta di una vacanza accessibile a tutti. Qui si trova uno dei fondali più interessanti e straordinari del mondo, con barriere coralline popolate da fauna sottomarina incredibilmente affascinante, con specie rare o uniche. Tutto questo è ancora possibile grazie anche al profondo rispetto che il turismo sportivo, i diving centre nel Mar Rosso e tutte le strutture attive nel territorio, hanno dimostrato per la natura di questa regione dell’Egitto che mantiene ancora intatto l’appeal che ha sempre esercitato sui turisti e soprattutto sugli appassionati di sport subacquei che si recano nelle località del Mar Rosso, più di 2 milioni ogni anno. Sparsi in tutta la regione, affidabili diving centre garantiscono la possibilità di

essere seguiti da istruttori esperti e di effettuare immersioni in tutta sicurezza. Presso i diving center infatti si può conseguire ogni tipo di brevetto subacqueo internazionale PADI, dal livello base, Open Water Diver a quello di Assistant Instructor, il discorver scuba per i neofiti e per i più esperti un’ampia scelta di brevetti di specialità. Il Dive Club italiano a Sharm è situato all’estremità sud orientale della Penisola del Sinai, nel punto in cui il Golfo di Suez s’incontra con il Golfo di Aqaba. Sharm El Sheikh è una delle località preferite dai subacquei che si recano nel Mar Rosso perché offre alcune delle più straordinarie immersioni al mondo come quella alla barriera di Shark e Yolanda Reef nel Parco Nazionale di Ras Mohamed, il Parco Marino di Ras Mohammed, la costa di Ras Umm Sid, il misterioso relitto del Thistlegom e lo stretto di Tiran con i suoi squali. Il Mar Rosso in Egitto è stato dichiarato una delle sette meraviglie naturali del mondo. Camel Dive Club è presente a Sharm El Sheikh con numerosi centri sub. In qualsiasi albergo si soggiorni a Sharm, c’è sempre un Camel Dive Club. Questo offre la più vasta gamma di scelta per immersioni e tappe di snorkeling. Tutti i centri sub si contraddistinguono per la stessa qualitá di servizi e professionalitá all’interno di un’atmosfera estremamente piacevole. I sei centri sub di El Gouna, molto accreditati, offrono tutte le possibili varietà di corsi messi a

punto dalle federazioni subacquee internazionali più acclamate, come PADI e TDI, adatti sia ai subacquei turistici sia agli appassionati di subacquea tecnica. Tutti i centri sub di El Gouna sono collegati tra loro in modo tale da garantire i migliori standard di sicurezza, qualità e impegno verso l’ambiente. La rinnovata struttura del diving TGI di El Quseir è bene integrata con il villaggio Helioland che la ospita pur essendo indipendente ed offre a tutti gli ospiti un servizio di elevato livello e grande professionalità. Direttamente sulla spiaggia bianca del villaggio, il centro diving El Quseir si avvale dell’esperienza di esperti istruttori multilingue e di attrezzature nuovissime e all’avanguardia. Il TGI Diving Marsa Alam come tutti i diving TGI è un diving center PADI Gold Palm e si trova all’interno del Sea Club Gorgonia Beach Resort, una struttura alberghiera nuovissima di alto livello ricettivo, in una baia privata con accesso alla barriera corallina. Dal TGI Marsa Alam si possono raggiungere comodamente le più belle immersioni della zona come la famosa Elphistone reef.

EGITTO

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gere la notorietà delle altre mete oggi più frequentate di quest’area dell’Egitto. Per il momento El Quseir è ancora una delle località più tranquille e spartane della costa, ma anche base per l’accesso ad alcuni dei siti sub più belli del Mar Rosso meridionale e famoso porto di partenza per le crociere sub che si recano alle barriere coralline al largo. I migliori siti sub di El Quseir includono la spettacolare Marsa Abu Dabab detta Baia dei Dugongo, il muro di coralli di Beit Goha e il complesso di pareti, caverne, canyon e tunnel di El Kaf. Dal 1995, le autorità locali e organismi internazionali come USAID si sono adoperati per preservare i fondali di questa zona e le spiagge che sono ancora un luogo sicuro per i nidi delle tartarughe. Moli appositamente costruiti creano un facile accesso alla barriera per i subacquei. Le zone più isolate possono essere raggiunte tramite escursioni in jeep organizzate dai centri sub.

EGITTO

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Hamata-Berenice E’ l’ultima località turistica del sud del Mar Rosso egiziano, ponte di passaggio dall’Egitto all’Africa. I frequentatori assidui delle immersioni in Mar Rosso prediligono Hamata-Berenice. Lontana e isolata rispetto alle altre destinazioni turistiche di quest’area, situata all’interno del Parco Nazionale di Wadi el Gemal, Hamata-Berenice è l’ideale per coloro che intendono la vacanza a stretto contatto con la natura e che non cerchino grandi

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alberghi perché qui è permesso costruire solo eco-lodges. Le famosissime immersioni del South Marine Park, un tempo raggiungibili solo in crociera sub, sono adesso a portata di mano.
L’area marina di Hamata-Berenice è protetta, come molte altre zone in Egitto, fin dal 1995 dalle autorità locali NGO’s ed enti internazionali come USAID, e i suoi centri sub hanno adottato delle procedure di basso impatto ambientale.
Hamata è ormai considerata il più importante porto di

Affioramento della barriera corallina nel Mar Rosso

partenza per crociere subacquee verso reef lontani ed il sud del Mar Rosso in Egitto. Mete famose di escursioni sub da qui sono Daedalus, Rocky Island, Zabargad Qulan, Sha’ab Makhsour, una barriera dalle pareti a strapiombo, frequentata da grossi pelagici e il maggior numero di specie di squali presenti in Mar Rosso, Sha’ab Ossama, Sattayache, un reef a forma di spicchio di luna che ospita un branco di delfini, e due lontani reef, il Fury Shoal e St John Reef.•


GOLF

L’Egitto ospita ben 20 green di standard internazionale costruiti in località eccellenti e significative per il turismo come Cairo, Alessandria, Luxor e Sharm El Sheikh. Tra i campi da golf che contano, ce ne sono 3 considerati storici, realizzati più di cento anni fa fa dagli inglesi in location strategiche come quello alla base della Piramide di Cheope. In previsione di uno sviluppo del settore, anche come nuovo segmento del turismo in Egitto, altri campi sono in fase di costruzione e progettazione su tutto il territorio. Il Mar Rosso, oltre che per i sub, è un’ottima destinazione anche per i golfisti esperti e per chi desidera imparare a giocare a golf. Tutte le Golf school sono infatti perfettamente attrezzate sia per tutte le categoriei e organizzano golf clinics con lezioni sia individuali che di gruppo. L’accademia di golf di El Gouna e i suoi istruttori con qualificazione internazionale PGA, offre addestramento di tutti i livelli. U 
 n campo spettacolare situato tra la laguna, le montagne e il deserto. Golf & Fitness Club
ha un campo da golf USPGA di 18 buche, Par 72, 6.269 m, progettato dalla famosa compagnia Americana di Fred Couples e Bene Gates, offre attrezzature e addestramento adatti sia ai principianti sia agli esperti. Il campo, riconosciuto dalla federazione golfistica tedesca, offre diversi tees, con tre differenti tee per ogni buca. Il golf club offre inoltre un aqua driving range con 30 tee, putting & chipping green, macchinine elettriche, caddies, carrelli e affitto attrezzatura. E’ richiesto un minimo di handicap 45. Sempre a El Gouna, lo Steigenberger Golf resort è un 5 stelle disegnato dal famoso architetto Michael Graves ed è un amalgama tra l’architettura moderna e la tradizione locale. L’hotel è circondato dal blu della laguna e dal campo 18 buche da campionato. A Soma Bay, famoso il Cascades Golf & Country Club, un campo disegnato da Gary Player.

Il campo di Taba Heights

Taba regina del golf nel Mar Rosso Il campo da golf del Taba Heights è una struttura a 18 buche Par 72 immersa in uno dei luoghi più particolari dell’Egitto, che gode di un clima caldo temperato tutto l’anno, del fascino delle barriere coralline del Mar Rosso e delle montagne del Sinai. Il Taba Heights, progettato da John Sanford, membro dell’American Society of Golf Course, misura 7100 yards ed è adatto sia per golfisti esperti sia per chi vuole diventarlo. Una sede davvero di alto

livello sportivo e paesaggistico se l’Ente del Turismo Egiziano in Italia nel novembre del 2010 ha scelto proprio Taba per la finale della Golfitaliano Cup. E ciò a dimostrare che il livello dei campi da golf in Egitto, specie quelli inseriti in location suggestive ed uniche quale quella di Taba, ha raggiunto standard qualitativi eccellenti di livello internazionale. Questo evento ha valorizzato il segmento del turismo del golf in Egitto, che negli ultimi anni assiste ad un trend sempre più positivo.

EGITTO

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A CI N CU

A Tavola Manamana/Shutterstock.com

Testo di

Raffaella Ansuini

L 72

a cucina egiziana fa molto uso sia di verdure sia di legumi che crescono lungo le fertili valli del Nilo. Pur avendo comunanze con la cucina mediterranea, utilizza ingredienti e spezie che la rendono assai particolare, come il cumino, il coriandolo e il sesamo, che costituisce la base di un condimento tipico salato, “la tahina”, e di vari dolci. Con i legumi in Egitto si preparano le famose polpette fritte di fave, “falafel”, con fave secche ammorbidite, aglio, coriandolo, aneto, cumino e sesamo. Fra le carni più utilizzate, al primo posto troviamo l’agnello, usato sia per l’appetitoso spezzatino con lenticchie o con fave, il “kebab halla dami”, che per le famose “khofta”, agnello macinato e servito infilato in spiedini cucinati alla brace. Sempre di agnello, stavolta tagliato a pezzi e speziato, viene preparato il “kebab”, cotto ad uno spiedo ruotante verticale. Ogni pranzo egiziano inizia normalmente con alcuni antipasti, “mezze”, costituiti da una sorta di piadina detta “shami” arrotolata su un ripieno speziato di vario tipo, anche insalata, e salse, come ad esempio la dakka, a base di aglio. Altri stuzzichini sono i ravioli fritti ripieni di carne o formaggio, i “sambousek” e gli involtini

di pasta fillo, sempre con carne o formaggio, i “fila”. Gli antipasti in genere si gustano sorseggiando l’”arak” un forte liquore d’anice. Le verdure più utilizzate nella cucina egiziana sono le melanzane preparate in vari modi. “Baba ghanouj”, purè di melanzane con la salsa “tapina”, “wal tom,” melanzane fritte marinate in aceto e aglio. Quanto ai dolci, il “baklava”, una sorta di millefoglie di finissima pasta fillo, con ripieno a base di pistacchi e sciroppo di zucchero e, sempre con pasta fillo, anche l’altro dolce tipico “om Ali” farcito con crema di latte e panna. Durante i pasti gli egiziani bevono karkadè, caldo o freddo. Il caffè “ahwua, alla turca, è diverso a seconda della quantità di zucchero che vi si aggiunge. Molto diffuso il tè, scuro e amaro, da sorbire in ogni ora del giorno.•


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Un piatto di antipasti con l’hummus

La preparazione dei falafel

EGITTO


Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com www.emotionsmagazine.com Progetto Grafico, impaginazione e creazione logo Emotions Ilenia Cairo icairo@emotionsmagazine.com Collaboratori Raffaella Ansuini, Anna Maria Arnesano, Giulio Badini, Romeo Bolognesi, Luisa Chiumenti, Roberto Lippi, Mirella Sborgia, Virginia Tedesco, Viviana Tessa Foto Archivio, Giulio Badini, Manamana, Zeber Responsabile Marketing e Comunicazione Mirella Sborgia msborgia@emotionsmagazine.com Tipografia Sograf Srl - Litorama Group Via Alvari 36 - 00155 Roma - tel. +39 062282333 www.litorama.it Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00198 Roma Tel. E fax 06 8417855 Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 - N° 310/2011 Copyright © - Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.

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e-mail: info@columbiaturismo.it

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Sommario

pag. 6

GROENLANDIA la terra degli Inuit testo e foto di Giulio Badini

pag. 14

pag. 28

I mercati surreali della THAILANDIA testo e foto di Marco De Rossi

pag. 32

Un Italiano a HONG KONG testo di Pamela McCourt Francescone foto di Pamela McCourt Francescone e Mandarin Oriental

pag. 36

La Barcellona di Gaudì testo e foto di Luisa Chiumenti

pag. 58

SPELLO la città del Pinturicchio e dei Fiori testo di Mariella Morosi foto di Pierpaolo Metelli

pag. 62

pag. 68

paesaggi delle Ande

testo di Anna Maria Arnesano foto di Giulio Badini pag. 20

Che sorpresa il

PANAMA

SANTO STEFANO DI SESSANIO un esempio di albergo diffuso testo di Romeo Bolognesi foto dell’Archivio Sextantio A MODICA il cioccolato si fa come gli Aztechi testo di Mariella Morosi foto di Giovanni Antoci

pag. 72

Pré Saint Didier le terme immerse nel ghiaccio testo di Giuseppe Garbarino foto Archivio Terme

pag. 77

I fidanzatini di Peynet testo di Teresa Carrubba

pag. 80

Argentina del Nord

Lorenzo Villoresi l’alchimia di un profumo ad hoc testo di Teresa Carrubba

pag. 86

Intervista al Ministro del Turismo Egiziano S.E. Mounir Fakry Abdel Nour testo di Teresa Carrubba

pag. 88

Kaleidoscope

pag. 92

Musica per viaggiare testi di Marco De Rossi

pag. 94

Libri

testo e foto di Pamela McCourt Francescone pag. 32

VENEZIA il ballo del Doge un sogno sul Canal Grande

testo di Mirella Sborgia foto di Marcello Peci e Teresa Carrubba pag. 50

ROMA

tra antichità e contemporaneo

testo di Luisa Chiumenti

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Editoriale Carnem levare, cioè “salutare la carne” e i suoi piaceri prima della penitenziale quaresima. Così i saggi latini designavano quel periodo di baldoria e stravaganze che oggi chiamiamo Carnevale. Una festa che somiglia da vicino a quelle antiche occasioni pagane come i Saturnali e i Fescennini, durante le quali i plebei potevano impunemente beffeggiare i nobili e sovvertire la morale corrente. Ma Carnevale oggi è pura tradizione e può diventare arte, come nel caso dell’elegantissimo Ballo del Doge di Venezia, un ulteriore spunto per visitare la magnifica città. Parlando di arte, che dire della fantasiosa creatività di Gaudì che ha impreziosito dei suoi caratterizzanti elementi architettonici la catalana Barcellona, creandone un percorso suggestivo? E della città eterna, Roma, che non avrebbe bisogno di commenti se non fosse per le curiose notazioni di contrasti tra i segni di un’imponente civiltà del passato e la svettante modernità metropolitana? E ancora, per valorizzare le eccellenze italiane, l’albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio, che preserva con raffinatezza uno dei nostri più bei borghi medievali e la storica ricetta del cioccolato di Modica, in provincia di Ragusa.•

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GROENLANDIA, la Terra degli Inuit

GROENLANDIA La Terra degli Inuit Testo di - Words by Giulio

Badini Foto di - Photos by Giulio Badini / Archivio

U

bicata assai più vicino all’America settentrionale che non all’Europa, a cui appartiene politicamente, la Groenlandia è la maggior isola del pianeta, grande sette volte l’Italia, e anche il paese abitato stabilmente più freddo, in quanto l’ 85 % del territorio – quasi tutto compreso oltre il Circolo Polare Artico – risulta coperto da una coltre perenne di ghiaccio spessa anche alcuni chilometri, iniziata a formarsi ben 3 milioni di anni or sono, dove si arrivano a registrare temperature di – 60°C. Solo il settore meridionale, grande poco più dell’Italia, offre una tundra ricoperta da una vegetazione rachitica formata da rododendri, ginepri e betulle nane, oltre che da muschi e licheni, capace però durante la breve estate artica – tra maggio e luglio, quando la temperatura può salire fino a 20° C - di riempirsi di fiori selvatici e di bacche e di alimentare un po’ di pecore, giustificando così il suo nome di terra verde impostole, invero piuttosto impropriamente, dai suoi scopritori. Ad onor del vero occorre però precisare che a quell’epoca, in concomitanza con un periodo climatico più caldo dell’attuale, l’isola offriva una temperatura meno polare, tanto da consentire un minimo di agricoltura e un po’ di allevamento. Curiosamente anche l’estremo nord

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L’impressionante fenomeno dell’aurora boreale

GREENLAND the land of the inuit

C

loser to South America than to Europe of which it is politically a part, Greenland is the world’s largest island, seven times the size of Italy and is also the world’s coldest country with a permanent population. Some 85% of its territory – most of which lies within the Arctic Circle – is covered by perennial ice which is up to a few kilometres thick and with temperatures that can reach -60° that started forming 3 million years ago. Only the southern part, which is about the size of Italy, is tundra with stunted rhododendrons, juniper bushes and dwarf silver birches and is covered with moss and lichen. During the brief Arctic summer – when temperatures can rise to 20° - the wild flowers and berries that cover the tundra are welcome fodder for the sheep, and more or less justify the name which was given to it by the men who discovered it. To be fair we should point out that in those days, when the planet’s climate was a lot warmer than it is today, the island’s temperatures were less polar, and there was


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GROENLANDIA, la Terra degli Inuit risulta sgombero da ghiacci, in quanto l’aria troppo secca non ne consente la formazione. Le coste si presentano assai frastagliate, con un fitto intrico di fiordi e di isolotti creati nel tempo dall’erosione glaciale, affacciati su uno dei mari più pescosi del mondo. Tutti i pochi centri abitati, compreso il capoluogo Godthab o Nuuk, un paesotto di 14 mila abitanti (su un totale di 56 mila e una densità dello 0,03 %, la più bassa della terra, vale a dire che ciascun abitante ha a disposizione una superficie di 40 kmq), si trovano sulla costa occidentale riscaldata da correnti marine atlantiche, mentre quella orientale risulta inaccessibile per gran parte dell’anno a causa del ghiaccio prodotto da una corrente fredda che scende dal Mar Glaciale Artico. L’imponente e pesantissima massa glaciale che ricopre quest’isola rocciosa e montuosa, lunga 2.650 km e larga fino a 1.200, ha prodotto uno schiacciamento al centro che scende a – 360 m. sotto il livello del mare e un innalzamento nel settore orientale fino a 3.700 m di altezza, con canaloni e profondi fiordi che portano al mare lingue di ghiaccio, presto trasformate in enormi iceberg galleggianti sulle acque. E’ stato calcolato che se

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a certain amount of farming and livestock farming on the island. Funnily enough the extreme north is also without ice as the air is too dry to allow it to form. The seaboard is rugged with many fjords and small islands which formed thanks to glacial evolution and overlook one of the seas with the greatest abundance of fish in the world. All the inhabited areas, of which there are very few, including the main city Godthabor Nuuk a sprawling town with 14,000 inhabitants (on a total of 56 thousand and a density of 0,03 %, the lowest in the world, meaning that each inhabitant has an area of 40 square kilometres), are on the western coast which is warmed by Atlantic currents while the eastern coast is inaccessible for most of the year because of the ice which is formed by the cold current which descends from the Arctic Sea. The massive and icy mass that covers this rocky, mountainous island, which is 2,650 kilometres long and 1,200 wide, has been squashed in the centre to some 360 meters below sea level while the eastern part has risen to 3,700 metres and has canals and deep fjords which carry ice floes to the sea which are quickly changed into huge floa-

Il pittoresco e coloratissimo villaggio Llilissat


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GROENLANDIA, la Terra degli Inuit tutti i ghiacci della Groenlandia si sciogliessero, gli oceani di tutto il mondo si innalzerebbero di ben 7 m., con conseguenze davvero catastrofiche in quanto sparirebbero dalla terra tutte le isole piatte, le pianure e le città costiere. L’isola venne scoperta nel 982 dal norvegese Erik il Rosso partito dall’Islanda, e poi colonizzata da vichinghi norvegesi, i quali vi trovarono gli autoctoni thule, una scarsa popolazione di cui si sa molto poco ma che avevano effettuato due scoperte fondamentali per sopravvivere in un ambiente tanto povero di risorse: il kayak, per pescare in mare, e la slitta trainata da cani per spostarsi nell’interno. I suoi due figli all’inizio del 1000 si spinsero ancora più ad ovest, arrivando a scoprire Terranova e la baia del fiume San Lorenzo in Canada, cioè a scoprire l’America cinque secoli prima di Colombo. Attorno al 1400 la temperatura registrò un sensibile abbassamento, rendendo impossibile la permanenza agli europei, tanto che l’isola tornò in possesso degli autoctoni. La Groenlandia non è uno stato sovrano, ma una contea autonoma della Danimarca, nazione con la quale ha sempre avuto un rapporto di sussidiarietà; modernità e tecnologia sono arrivate soltanto negli ultimi decenni. Oltre alla pesca e alla caccia, le sue risorse sono

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ting icebergs. It has been calculated that if all the ice in Greenland were to melt oceans around the world would rise by seven metres. With catastrophic consequences as all the world’s flat islands, plains and coastal cities would disappear. The island was discovered in 982 by Erik the Red, a Norwegian who sailed from Iceland; it was later colonized by Norwegian Vikings who found the Thule people who had made two fundamental discoveries in order to survive with such scanty resources: the kayak for fishing in the sea and the sled pulled by dogs with which to move around. At the start of the year 1000 Erik’s two children moved further west and discovered Terranova and the Bay of the St. Lawrence river in Canada, which effectively means that they discovered America five hundred years before Christopher Columbus. Around 1400 the temperature dropped significantly, making it impossible for Europeans to remain on the island which returned to its original peoples. Greenland has never been a sovereign state but an autonomous region of Denmark, a country with which it has always enjoyed a secondary role as only in recent decades have modern usages and technology arrived there. Apart

Una mastodontica e spettacolare formazione di iceberg


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rappresentate da ingenti giacimenti minerari, soprattutto zinco, piombo e uranio, ma anche oro, diamanti, gas e petrolio. Nel nord-ovest si estende per una superficie pari ad un terzo dell’isola il maggior parco nazionale del mondo, protetto dall’Unesco come -riserva della biosfera-, ma anche il meno accessibile in quanto raggiungibile solo con un lungo volo in aereo privato; ospita a terra orsi bianchi, bue muschiato, renne, caribù, lupi, volpi, lepri artiche e uccelli, in mare merluzzi, salmoni, foche, trichechi, narvali e balene, dalle orche al beluga bianco.

from fishing and hunting its resources include extensive mineral deposits, chiefly of zinc, lead and uranium, but also of gold, diamonds, gas and oil. To the north-west the world’s largest national park stretches over one third of the island. It is a UNESCO biosphere reserve and the world’s least accessible park as the only way to get to it is on a long flight in a private plane. Polar bears, musk oxen, reindeer, caribou, wolves, foxes, Arctic hares and birds populate the land and cod, salmon, seals, walruses, narwahls and whales - killer whales and white beluga – the seas.

Gli Inuit

The Inuit

La Groenlandia è la terra degli Inuit, discendenti dei thule, uno dei due ceppi del popolo artico degli Eschimesi, 100 mila persone suddivise oggi tra Alaska, Nord Canada e Siberia russa, di origini mongoliche emigrate a queste latitudini dall’Asia centrale ancora in epoca preistorica, di bassa statura, tozzi, con arti corti, faccia appiattita ed occhi a mandorla. Per millenni, e fino a pochi decenni fa, erano cacciatori e pescatori nomadi vestiti di pellicce di animali che vivevano d’estate sotto tende di pelli e d’inverno negli igloo, costruzioni sferiche a base circolare erette con blocchi di ghiaccio a cui si accede da un basso cunicolo, dove dormivano su pellicce cucinando carne e pesce e illuminandosi con grasso di foca. Cacciano renne, caribù e grandi mammiferi marini (foche, trichechi e balene), spostandosi a terra su slitte trainate da mute di cani e in mare su kayak di pelli. Taciturni e solitari, più propensi a pensare che non a parlare, vivono in piccole famiglie assai solidali le une con le altre, sanno sfruttare con perizia ogni risorsa offerta da un ambiente povero e ostile, rispettano con rigore la natura, sono animisti con ottime conoscenze astronomiche e si orientano con le stelle. Le donne indossano corpose collane fatte con miriadi di perline di vetro, mentre gli uomini manifestano una notevole abilità manuale nella costruzione di idoli, statuette e oggetti ricavati da denti di narvalo, corna di renne

Greenland is the land of the Inuit, descendants of the Thule, one of the two types of Arctic Eskimos, 100,000 people who live between Alaska, the north of Canada and Russian Siberia and are of Mongolian origin, having emigrated to these latitudes from Central Asia in prehistoric days. They are short and squat with short arms and legs, flat faces and almond-shaped eyes. For thousands of years, and up to not so long ago, they were nomadic hunters and fishermen who wore animal skins and lived in skin tents in summer and in igloos – low circular constructions made from blocks of ice with low tunnel entrances - where they slept on furs and cooked meat and fish using seal fat for lighting. They hunt reindeer, caribou and large mammals (seals, walruses and whales) and use sleds pulled by packs of dogs on land, and kayaks made from skins on the water. Taciturn and solitary, more given to thinking than to talking, they live in small, closely knit family groups. They exploit all the resources offered by this barren and hostile land and they have a great respect for nature. They are animists and skilled astrologers k and use the stars to orient themselves. The women wear heavy necklaces made from myriads of glass beads, while the men are skilled at making idols, statuettes and other objects from narwahl teeth, reindeer horn and a soft local

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GROENLANDIA, la Terra degli Inuit o in steatite, tenera roccia locale. Oggi vivono in gran parte in piccoli villaggi sulla costa, continuando però a praticare le attività tradizionali. Ma è anche la terra del sole di mezzanotte in estate, quando una luce perenne rischiara giorno e notte, delle lunghe notti polari invernali, prive di luce per settimane, del suggestivo spettacolo delle aurore boreali, con veli di luci incredibilmente colorate, e della sorprendente esperienza data dalle cosiddette Fate Morgane, dove i riflessi di acqua, ghiaccio e neve provocano nel nulla visioni irreali come città

rock called steatite. Today they mostly live in small villages along the coast and still practice their traditional activities. But this is also the land of the summer midnight sun when night never falls, and of the long polar winter nights without any light for weeks. Then there is the spectacular aurora borealis when strips of coloured light illuminate the sky and amazing mirages when reflections of water, ice and snow create unreal visions like non-existent cities, green forests and sailing

Gli infaticabili cani da slitta in uno dei percorsi giornalieri inesistenti, verdi foreste e velieri naviganti sui ghiacci, come i miraggi nei deserti. E per finire la terra dei maggiori ghiacciai dell’emisfero settentrionale, molti dei quali scendono in mare con una velocità giornaliera di 20-30 m. e fronti di chilometri dai quali si staccano con sinistri frastuoni mastodontici iceberg galleggianti alti fino a 100 metri, quindi profondi quasi un chilometro, come nella suggestiva baia di Disko, chiamata la “città degli iceberg” e protetta dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.•

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“I Viaggi di Maurizio Levi” - tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it

boats on the ice floes, much the way mirages form in the desert. It is also the land with the most majestic glaciers of the northern hemisphere, many of which descend to the sea by some 20-30 metres a day and have kilometre-long faces from which huge floating icebergs break off with sinister roars and rumbles. They are anything up to a hundred meters tall ,which means a kilometre deep, like those in Disko Bay, known as the “city of icebergs” which is a UNESCO World Heritage Site.•



ARGENTINA DEL NORD paesaggi delle Ande

Testo di Anna

Maria Arnesano Foto di Giulio Badini

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0 Le prime immagini che vengono in mente pensando all’Argentina sono quelle di un gaucho solitario a cavallo nella pampa sconfinata, oppure di due ballerini avvinghiati in un tango sensuale. Troppo riduttivo per un paese all’ottavo posto per estensione al mondo e grande oltre nove volte l’Italia, dove trovano posto le più alte vette del continente americano con enormi ghiacciai perenni (a cominciare dai 6.962 m del Cerro Aconcagua) e, al tempo stesso, le coste meridionali bagnate

da ben tre diversi oceani (Atlantico, Antartico e Pacifico), popolate da pinguini, leoni marini e balene, fino ad Ushuaia, nella Terra del Fuoco, la città più meridionale del pianeta. Non c’è l’argento, che i conquistadores spagnoli sognavano di trovare ed a cui si deve il nome, ma per quanto riguarda ambiente, clima e natura si tratta certamente della nazione sudamericana più varia, oltre a possedere la terra più fertile, quella dove pascolano i celebri manzi esportati in tutto il mondo, impedibili da


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paesaggi delle Ande gustare sotto forma di enormi e saporite bistecche, da consumare sorseggiando l’ottimo vino locale, in gran parte di provenienza da vitigni italici. Suolo e sottosuolo, assieme allo scarso popolamento, ne fanno il paese economicamente e socialmente più prospero e progredito dell’America Latina, e anche quello

maggiormente europeizzato, grazie all’imponente immigrazione ottocentesca proveniente soprattutto da Italia e Spagna: oltre il 90 % della popolazione è infatti di origini europee e quella italiana è la seconda lingua dopo lo spagnolo, mentre gli amerindi autoctoni – confinati nelle regioni più impervie – arriva-

no appena all’ 1 % e i meticci al 2. Le favorevoli condizioni ambientali hanno favorito il sorgere di civiltà locali fin dall’epoca preistorica, basate principalmente sull’allevamento ovino e sulla coltivazione di mais, yucca e patate dolci; il potente impero Inca le conglobò soltanto nel 1480, ma per brevissimo tempo,

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ARGENTINA DEL NORD paesaggi delle Ande perché già nel 1516 arrivarono gli Spagnoli e cominciò una nuova storia. La natura argentina si presenta estremamente varia e spettacolare, spesso intonsa, con peculiarità straordinarie come i ghiacciai e la fauna marina della Patagonia, le cascate dell’Iguazù in un mare verde di vegetazione subtropicale, i salar andini, gli sterminati deserti di sale tra colate di lava, imponenti dune di sabbia e vulcani spenti nella luce accecante d’alta quota, le quebrada subandine, enormi canyon dove la geologia offre meraviglie e curiosità dai colori psichedelici.

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Prendiamo solo ad esempio le estreme regioni del nord-ovest, il Norte al confine con Cile e Bolivia e vasto quanto l’Italia, dove l’altitudine spazia dai 300 metri della pianura ai 3-4 mila della Puna, il grande altopiano ai piedi della Cordigliera Saltegna, fino agli oltre 6 mila delle vette andine. Il paesaggio si presenta decisamente variegato: si va dalle oasi di lussureggiante vegetazione, con piantagioni di canna da zucchero, vigneti, uliveti e agrumeti attorno alle principali città come Salta e Jujuy, situate ai piedi del rilievo andino, ai deserti aridi spazza-

ti da venti gelidi e bruciati dal sole dell’altopiano della Puna de Atacama, solcato da profondi canyon in un paesaggio lunare punteggiato da possenti cardon, gli ieratici cactus a colonna, enormi distese di sale fossile, retaggio di antichi bacini d’alta quota, laghi e lagune smeraldini popolati da colonie di fenicotteri rosa. Dove rari abitanti mestizos, che vivono in bianchi pueblos fuori dal tempo e dal mondo, sopravvivono allevando capre, pecore, guanachi, vigogne e lama, quest’ultimo definito il cammello delle Ande per le sue capacità di

Una bizzarria della natura queste cime dai colori incredibilmente accesi tipici delle Ande argentine


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Lama al pascolo selvaggio

trasporto in un contesto montuoso privo di strade. Eppure questa terra all’apparenza inospitale è la patria, a partire fin dalla lontana preistoria, dell’antica civiltà precolombiana dei Calchaquies, sottomessa prima dagli Incas e poi dagli Spagnoli, come attestano ancora i resti di numerosi pucaràs, città fortificate, pitture rupestri e mehnir. Perché nelle profonde vallate che scendono, incidendoli, da montagne e altopiani andini, i corsi d’acqua consentono da sempre un pur modesto sviluppo di agricoltura e di allevamento del bestiame. L’allevamento di lama e alpaca, animali d’alta quota per eccellenza, dove l’ossigeno si fa raro, costituisce proprio un retaggio dell’antica civiltà. Il tutto sempre sotto un cielo terso blu cobalto, raramente macchiato da qualche nuvola. Un terra dura e difficile, ma anche intrigante e dispensatrice di profonde emozioni, a torto trascurata dal turismo.

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ARGENTINA DEL NORD paesaggi delle Ande

Puna in alta quota,luogo desolato della Cordigliera delle Ande

Il viaggio

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Un itinerario inedito e originale di 15 giorni tocca alcuni dei paesaggi più spettacolari e sconosciuti delle regioni andine dell’Argentina del Nord. Da Salta, la più bella città di stile coloniale del paese, con pregevoli palazzi settecenteschi e chiese barocche, si lascia alle spalle la foresta subtropicale e i campi coltivati, cominciando ad arrancare lungo ripide strade a tornanti verso le massime altezze, capaci però di offrire spettacoli inimmaginabili. In questa regione si trovano infatti alcuni degli ambienti naturali più belli delle Ande: la Quebrada de Humahuaca, canyon sul Rio Grande dai mille colori protetto dall’Unesco, lungo 170 km e facente parte del Camino Real degli Inca, i grandi salares, deserti salini a perdita d’occhio resti di antichi laghi, le inaspettate

formazioni glaciali nel deserto d’alta quota, lagune con fenicotteri rosa, miniere di zolfo dai colori psichedelici, le scenografiche formazioni del deserto rosso, sconosciuti siti archeologici Incas e preincaici, graziosi pueblos con le case di fango dove la vita sembra essersi fermata, città fantasma attorno alle vecchie miniere, in una natura grandiosa, selvaggia e incontaminata, come nel parco nazionale de los Cardones, dove si concentrano i maggior cactus delle Ande. E poi due giorni per scoprire la cosmopolitica Buenos Aires, la bella e vivace capitale sul Rio della Plata dove si concentra quasi la metà degli argentini.• “I Viaggi di Maurizio Levi” -tel.02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it-



Che sorpresa il Panama/Panama let it surprice you!

Che sorpresa il

Panama Pamela McCourt Francescone Foto di - Photos by Pamela McCourt Francescone / Archivio Testo di - Words by

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l Panama è molte cose che non ti aspetti. E’ un Paese bellissimo, conosciuto come il Crocevia del Mondo, ma quello che sorprende sono i suoi infiniti e intriganti contrasti - isole tropicali e montagne vulcaniche, foreste pluviali lussureggianti e spiagge dorate, deliziose cittadine caraibiche e pacifiche, e Panama City, l’unica metropoli futuristica del Centro America. Con una popolazione di 3.5 milioni di abitanti, il Panama, il più meridionale dei sette paesi centro-americani, è un crogiuolo di razze, mestizos, neri, bianchi, cinesi, medio-orientali ed etnie indigene come i Kuna, gli Embera e i Guaymi, testimoni della

Panama Let it surprise you!

P

anama is many things you do not expect it to be. Of course it is a very beautiful country, known as the Crossroads of the World, but what really surprises visitors are its endless and intriguing contrasts: tropical islands and volcanic mountains, lush rains forests and golden beaches, cheerful Caribbean and Pacific townships and Panama City which is a Central America’s only futuristic metro-


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storia di questo Paese che subì una svolta drammatica nel 1500 con l’inizio della dominazione spagnola. Fu l’esploratore spagnolo Vasco Nuñez de Balboa il primo europeo a vedere l’oceano Pacifico. Avendo attraversato il Panama nel 1513, rivendicò per la corona spagnola il Pacifico e tutti i territori ad esso attigui. Poco dopo i Conquistadores arrivarono gli inglesi, i francesi e gli olandesi, avanzando pretese sul territorio e sul tesoro accumulato dall’Invincibile Armada. Nel 1821 il Panama ruppe con la Spagna per allearsi con l’emergente Repubblica della Colombia e fu solo nel 1903 che divenne uno stato indipendente. L’idea di passare una giornata intera a tu per tu con un canale potrebbe non piacere a tutti. Invece navigare sul Lago Gatun, lo specchio d’acqua artificiale che forma

polis. With a population of 3.5 million Panama, which is the most southerly of the seven Central American countries, is a melting pot of mestizos, blacks, whites, Chinese, Middle Eastern and indigenous groups, like the Kuna, the Embera and the Guaymi, all of whom bear witness to the country’s history which took a new direction in the 1500s with the arrival of the Spanish. Vasco Nuñez de Balboa, the Spanish explorer, who was the first European to see the Pacific Ocean, crossed Panama to reach it in 1513, claiming the Pacific and all the lands adjoining it for the Spanish Crown. The Conquistadores were quickly followed by the English, the French and the Dutch, eager both to expand, and to get their hands on the treasure accumulated by the Spanish Armada. Panama broke away from Spain in 1821 when it joined the Republic of Colombia under Bolivar, and it finally declared its independence in

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xxx sorpresa il Panama/Panama let it surprice you! Che

La suggestiva navigazione lungo il celebre Canale

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la parte centrale del canale - ben 33 degli 82 kilometri totali da oceano a oceano – per godere la sua natura splendida, e poi recarsi al Miraflores Lock per scoprire il funzionamento delle chiuse, si rivela un’esperienza affascinante e memorabile. I lavori sul canale iniziarono nel 1880 ma Ferdinand de Lesseps, l’ingegnere francese che aveva già costruito il Canale di Suez, si trovò presto in difficoltà finanziarie e tecniche e fu costretto a gettare la spugna, e fu solo nel 1914 che gli Americani completarono la grande opera. Per capire l’importanza di questa via d’acqua, che collega l’Atlantico con il Pacifico, basti pensare che ancora oggi è il Canale di Panama a dettare le dimensioni delle grandi navi. Le navi fuori misura, cioè troppo grandi per passare le chiuse sul canale, sono obbligate a doppiare il Capo Horn, il punto più settentrionale del continente sud-americano, con un notevole dispendio di soldi e tempo. E le chiuse servono perché il Lago Gatun si trova 26 metri al di sopra del livello degli oceani e quindi le navi sono obbligate ad alzarsi e abbassarsi più volte per passare da un oceano all’altro. Insolitamente i comandanti cedono il comando delle

1903.To spend a day coming to terms with a canal may not sound like everybody’s cup of tea. But to cruise Lake Gatun, the large artificial lake which makes up an important part of the canal - some 33 kilometres of the total 82 kilometres from ocean to ocean - and delight in its beautiful nature, and then spend time watching the activity at the Miraflores Lock, turns out to be a fascinating and memorable experience. Work started on the canal in 1880 but the French engineer, Ferdinand de Lesseps who had just built the Suez Canal, soon ran into technical and financial difficulties and had to bow out, and it was only in 1914 that the Americans completed the task. The importance of this waterway, linking the Atlantic and the Pacific, can be gauged by the fact that even today it dictates the size ships are built, because being too wide to pass through the three sets of double locks on the canal means the whopping expense and the time involved in sailing around Cape Horn, the southernmost point of the South American continent. The locks are necessary because Lake Gatun is some 26 meters above sea level and so ships have to be raised and then lowered as they sail through the narrow isthmus from one ocean to the other. Unusually the captains of ships sailing through the canal relinquish command of their vessels which are taken in hand


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Donne della popolazione Kuna con il tipico piercing al naso. San Blas Islands (Christian Wilkinson/Shutterstock.com)

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Che sorpresa il Panama/Panama let it surprice you!

loro navi ai Canal Captains che con somma destrezza le guidano lungo il canale. Molte delle 14.000 navi che attraversano il Canale di Panama ogni anno – soprattutto le grandi navi da crociera e quelle container – passano attraverso le pesanti porte delle chiuse con appena un metro e mezzo di spazio per lato. Sono le porte originali e oggi, come 97 anni fa, si aprono e si chiudono con la precisione di un orologio svizzero. Affascinante osservare queste manovre al Miraflores

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I tesori sottomarini delle Pearl Islands, paradiso dei sub

by the highly skilled canal captains who ensure the craft pass unscathed from one side to the other. Many of the 14,000 ships that make the crossing each year – especially huge ocean-going vessels and soaring container ships - literally scrape through the locks, leaving as little as one and a half meters on either side of the 750-ton doors that open and close just as smoothly as they did when they were installed 97 years ago, the original hydraulics still running like clockwork. It is fascinating to watch these highly-oiled operations at the Miraflo-


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Lock dove c’è anche un piccolo museo e un ottimo ristorante con grandi finestre che permettono di seguire le intricate operazioni che si susseguono alla chiusa comodamente seduti a tavola. Un altro modo per avvicinarsi al canale è il Panama Canal Railway, il primo treno trans-continentale, costruito nel 1855. In soli 90 minuti, partendo da Panama City sulla costa Pacifica, si arriva a Colon sull’Atlantico, avendo attraversato la splendida foresta pluviale panamense e costeggiato il canale. Panama City è un microcosmo che rispecchia i contrasti del Panama. Da un lato della Puente de las Americas una foresta di grattacieli futuristici, quasi tutti costruiti negli ultimi 15 anni. E dall’altro lato, l’insediamento originale, il Casco Viejo coloniale, il vecchio quartiere che risale al XI secolo ed è un sito UNESCO attualmente in fase di rifacimento. Gallerie d’arte, bar modaioli, boutique e ristoranti stanno spuntando come funghi lungo le vecchie strade acciottolate, in concorrenza con i grandi viali del centro come Avenida Balboa, Plaza Cinco de Mayo e Avenida Central. C’è da augurarsi che man mano che il quartiere rinasce ai residenti venga data la possibilità di rimanere nelle loro case coloniali e Art Deco. Costringerli ad andare via in nome del progresso farebbe perdere allo storico quartiere, che comprende la Plaza de la Independencia con la Cattedrale Metropolitana, il suo fascino e la sua anima. Il Panama è un paradiso naturale, con spiagge mozzafiato, isole coralline, vulcani, foreste pluviali e una ricca diversità di flora e fauna. Divertente scoprire El Valle de Anton, un parco nei pressi di Panama City nel cratere di un vulcano spento, da una zipline che sfreccia attraverso la vegetazione tropicale. L’arcipelago di San Blas culla dell’affascinante cultura Kuna, vanta acque cristalline e oltre 400 isole caraibiche. Mentre sulla Costa Pacifica i fondali delle Pearl Islands sono un paradiso per gli amanti delle immersioni e per il whale watching. Ma le spiagge più gettonate sono a Bocas de Toro, la seconda attrazione del Paese dopo il Canale, una sonnolente cittadina carai-

res Lock where there is also a small museum and an excellent restaurant with picture windows overlooking the lock. Another way to experience the canal is to take the Panama Canal Railway one of the world’s great railway rides, and the first trans-continental railway line dating back to 1855. The 90-minute route in comfortable carriages runs from Panama City on the Pacific coast to Colon on the Atlantic Ocean and affords great views of the Panama rainforest and, of course, the canal Panama City is the perfect example of Panama’s many contrasts. To one side of the Puente de las Americas you see a tangle of cutting-edge skyscrapers, most of which have shot up over the last fifteen years. And on the other side the old town, the original Spanish colonial Casco Viejo, dating back to the 1500s and a UNESCO World Heritage site, which is now getting a facelift. Trendy bars, boutiques and restaurants are springing up on the old cobbled streets and competing with the main downtown shopping boulevards of Avenida Balboa, Plaza Cinco de Mayo and Avenida Central. It is to be hoped that as new facilities are added the residents of the Casco Viejo will be allowed to remain in the colonial and art deco buildings. Were they to be relocated the soul, and much of the charm of the old quarter which centers around the Plaza de la Independencia, with the 17th-century Metropolitana cathedral, would inevitably be lost forever. Panama is a natural paradise, with stunning beaches, coral islands, volcanoes, rainforests and a rich diversity of flora and fauna. El Valle de Anton, a picturesque town not far from Panama City in the crater of an extinct volcano can be viewed from a zip line that whizzes through the tropical vegetation. The San Blas archipelago offers the best of native Kuna culture and crystal clear waters, with more than 400 Caribbean tropical islands scattered along the coast. While on the Pacific Coast, the Pearl Islands are a natural choice for scuba diving and whale watching. But Panama’s hottest beaches are in Bocas de Toro, the country’s second biggest attraction after the canal, a laid-back Caribbean town on the Isla Colon, a hop-on-a-bicycle kind of place with turquoise waters, coral reefs and stunning beaches like Coral Cay, Red Frog Beach, Starfish Beach and Boca del Drago. Among Panama’s many

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Che sorpresa il Panama/Panama let it surprice you!

I mitici “panama” che hanno segnato l’eleganza d’altri tempi bica sull’Isla Colon con acque turchine, una splendida barriera corallina e spiagge bellissime come Coral Cay, Red Frog Beach, Starfish Beach and Boca del Drago. La danza nazionale è il Tamborito che viene ballato da sei o più coppie che recitano corteggiamenti romantici mentre una cantante canta brevi poemi armonici che gli uomini accompagnano con le mani e con tamburi tradizionali. L’elegante vestito indossato dalle donne si chiama la pollera. Di cotone bianco è riccamente ricamato con motivi di fiori, frutti e uccelli, pizzi e merletti. Copricapi elaborati, fiori e gioielli tradizionali completano il costume che giustamente viene considerato un tesoro nazionale, e mentre le danzatrici volteggiano e piroettano si rimane incantati dagli svolazzamenti vertiginosi della pollera. La specialità gastronomica più rinomata del Panama è il Sancocho, uno stufato di carne e verdure, mentre lungo le coste il pesce viene servito in tanti modi diversi, anche se la ricetta più gustosa è senz’altro il ceviche, un cocktail di pesce, gamberi, pomodoro e cipolla tagliati a dadini, marinati in succo di lime e serviti con croccanti chips di tortilla.•

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www.visitpanama.com www.panamaturismo.info www.atp.gob.pa www.catmcentroamerica.com

cultural attractions its colourful and elegant national dance, the Tamborito, is one of the most popular. Dancing couples in groups of six or more act out romantic courtships while a female lead singer sings coplas, short harmonic poems, and the men beat the rhythm with their hands and on traditional drums. The Tamborito is made particularly appealing by the elegant and elaborate pollera dresses worn by the ladies. These dresses are made from white cloth which is intricately embroidered with flower, fruit and bird motifs, and decorated with lace and ribbons. Elaborate headdresses and traditional jewellery complete the costume which is rightly considered one of the most beautiful, and indeed as the dancers spin and turn it is hard not to be captivated by the mesmerizing effects of the swirling pollera. Panama’s national dish is Sancocho, a flavoursome stew of meat and vegetables, while in the coastal regions the abundance of freshly -caught fish and shellfish is served in many different ways, one of the most delicious being ceviche which is chopped raw fish, prawns, conch, tomatoes and onions marinated in zingy lime juice, and often served with crispy golden corn tortilla chips.•



Mercato di Maeklong sulle rotaie subito sgombrate all’arrivo del treno

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Tradizionali cappelli di paglia tra la mercanzia artigianale


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I mercati surreali della

THAILANDIA Testo e Foto di

Marco De Rossi Basta uscire da Bangkok, la caotica ma anche ipertecnologica capitale thailandese, ed avviarsi verso ovest, per entrare pian piano in una sorta di macchina del tempo. Un’ora di auto è sufficiente per un breve ritorno al passato, in un luogo dove si è ancora fermi all’epoca postbellica, quando la tecnologia faceva i primi passi e il progresso cominciava a scavare fra le città e le campagne un

solco profondo. Che, in alcuni paesi, soprattutto quelli asiatici del cosiddetto (ex) terzo mondo, è rimasto ancora tale. Sono comunque i luoghi rimasti ancorati al passato quelli che esercitano il fascino maggiore sull’occhio occidentale, avvezzo da tempo alle esibizioni tecnologiche ed alle peripezie edilizie del cosiddetto progresso, che regala comodità e toglie spazi vitali. Il luogo di

cui sopra si chiama Maeklong, ed è un piccolo paese situato a metà strada tra Bangkok e Ayutthaya, a 60 km dalla città. La peculiarità di Maeklong è il mercato del pesce, collocato sulle rotaie della ferrovia dove, com’è giusto che sia, quattro volte al giorno passa il treno, una sorta di antica littorina che trasporta il pesce fresco proveniente da Samut Sakhon, uno dei più grandi mercati

Mercante “galleggiante” intenta a preparare spiedini di frutta

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I mercati surreali della THAILANDIA ittici del Paese. In realtà, a voler essere pignoli, bisognerebbe partire proprio da Samut Sakhon che, pur non essendo una località turistica, è molto interessante da visitare. L’odore del pesce viaggia nell’aria, è quasi nauseabondo, ti entra nella pelle, oltre che nelle narici. Ma un giro nel mercato locale è d’obbligo, come sarebbe d’obbligo stazionare sui moli la mattina presto, per osservare le barche che tornano dal mare aperto e i pescatori che scaricano le fatiche di una notte di lavoro. Dalla stazione di Samut Sakhon si prende, per pochi bath, il treno che in quasi tre ore collega la costa a Maeklong, dove si arriva a metà mattinata. A Maeklong, il piccolo convoglio attraversa una fila di edifici collocati a ridosso delle rotaie. Anzi, ad essere precisi, le costruzioni stavano lì prima che fosse costruita la ferrovia. Come il mercato. Ma nessuno ha pensato di “delocalizzarlo”, tanto che problema c’è? Si spostano i venditori al passaggio del treno, si aprono come il Mar Morto con Mosè, per richiudersi subito dopo. Nessuno si scompone, è un rituale quotidiano al quale tutti sono abituati. Al fischio del treno, che comunque percorre il tratto finale prima della stazione a passo d’uomo, i venditori fanno letteralmente un passo indietro. Si ripiegano le tende, come le capote delle spider, i banchi vengono fatti scorrere indietro su piccoli binari, giusto lo spazio per far passare il convoglio, mentre le ceste piene di pesce e di ortofrutta rimangono fra le rotaie, superate millimetricamente dal pianale dei vagoni. Poi si rioccupa lo spazio, come se nulla fosse, per ripetere l’operazione quando il convoglio torna indietro. Per otto volte al giorno i venditori fanno questo avant-arrière, una prassi normale che provoca solo la curiosità dei turisti, che ormai giungono sempre più numerosi ad osservare questo insolito fenomeno, tanto che molti tour operator hanno inserito nei propri programmi una trasferta a Maeklong. Oltre al pesce, a Maeklong si possono trovare tutti i prodotti ortofrutticoli della zona, per non parlare delle svariate varietà di insetti (cavallette, lombrichi, scarafaggi) che a

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noi fanno orrore, ma che per molti thailandesi sono cibo prelibato. In questo market trip vale la pena di allungare di un’altra ora il viaggio, per raggiungere, un po’ più a nord, Damnoensadouak, dove si tiene un altro mercato molto caratteristico. Invece che sulla terraferma, questo si tiene sull’acqua, all’interno di un groviglio di canali sui quali galleggiano un’infinità di piroghe cariche di ogni genere di mercanzia. Sono soprattutto le donne a tenere banco, accovacciate in mezzo ai prodotti esposti sul fondo piatto delle imbarcazioni. Si arriva in barca, ovviamente, sui cosiddetti “long-tail”, le lunghe piroghe dal motore potente con un lunghissimo albero motore, guidate con piglio sportivo da giovanotti tanto esperti quanto spericolati. A Damnoensadouak si scende, e si comincia a contrattare con il coltello fra i denti con i venditori, che contemporaneamente remano, prendono la merce, discutono con gli avventori, afferrano i soldi e danno anche il resto, dando prova di un equilibrio circense. Un latte di cocco per rinfrescarsi e riprendersi dall’umidità della giungla, e si torna a Bangkok, per chiudere in bellezza con il Suan Lum Night Bazaar, l’immenso mercato notturno dove si poteva trovare ogni genere di mercanzia, generalmente di bassa qualità, a cominciare dai falsi, ma dove era possibile concludere buoni affari. Parliamo al passato perché adesso il mercato è stato chiuso, al suo posto sorgeranno uffici e complessi residenziali. L’area era di proprietà della Corona, che ha pensato bene di monetizzare rendendola edificabile. Ma non si dovrà aspettare molto, per poter di nuovo tornare a bazzicare il colorato assembramento di banchi. Alla fine del 2012 il mercato, che si chiamerà Ratchada Night Bazaar riaprirà i battenti a Ratchadaphisek Road, dall’altra parte del Chao Phraya, il limaccioso fiume che attraversa la città.•

www.turismothailandese.it www.tatnews.org


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Cibi speziati preparati, cotti e venduti dalle barchette

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Un Italiano a Hong Kong

Un Italiano a

Hong Kong Testo di Pamela Foto di Pamela

McCourt Francescone McCourt Francescone e Mandarin Oriental

Giovanni Valenti, Ambassador Concierge al Mandarin Oriental Hong Kong. Una vita al servizio dell’ospitalità

Il concierge deve essere quello che ogni ospite vuole che sia” afferma sorridente Giovanni Valenti, Cavaliere della Repubblica Italiana e Stella al Merito del Lavoro, da 32 anni Head Concierge e oggi Ambassador Concierge al mitico Mandarin Oriental Kong Kong. Valenti, personificazione moderna del Comte des Cierges - il custode delle candele, colui che nel

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Medioevo si occupava della porta del castello e, candela alla mano, dava il benvenuto ai nobili visitatori– racconta che il ruolo del concierge non è cambiato molto nei secoli, perché ancora oggi è lui, il primo e l’ultimo punto di riferimento dell’ospite che arriva o lascia un albergo. “Il concierge è una colonna portante. E’ quello a cui si può chiedere consigli

e assistenza. A cui ci si può confidare. In un certo senso è come un confessore, quella persona a cui l’ospite può aprire il proprio cuore, fiducioso della sua proverbiale discrezione e comprensione”. Perché ha scelto di diventare concierge? “Veramente non è stata una scelta stu-


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diata. Sono nato a Messina ma i miei sono andati a vivere a Firenze, e poi il 4 novembre del 1966 c’è stato la terribile alluvione. Abbiamo perso la nostra casa e io ho perso il mio lavoro. Avevo fatto il servizio militare e allora ho deciso di andare in Inghilterra. Studiavo francese e inglese ed ero ambizioso, volevo una vita nuova”. Dopo tre anni e mezzo a Londra Valenti è andato a Cannes dove ha lavo-

rato come maitre in un ristorante per otto anni. Poi è arrivata la proposta di andare a lavorare al Grill del Mandarin Oriental Hong Kong. “All’inizio Hong Kong era molto diversa, molto inglese, era un altro pianeta e avevo pensato di rimanerci un paio di anni. Ma nel 1981 mi hanno proposto di fare il Front Office Manager e mi hanno mandato per tre mesi all’Oriental di Bangkok. E dopo uno stage di 3 mesi al Savoy di

Londra, sono diventato Head Concierge al Mandarin Oriental Hong Kong. Ed eccomi ancora qui”. Perché? “Perché amo il mio lavoro. Qualsiasi cosa io faccia ci metto una grande passione. E amo la gente. Sono fortunato, non perdo mai la pazienza, non mi arrabbio mai, ho un grande rispetto per tutti. Anche per i miei colleghi,

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Un Italiano a Hong Kong

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dall’amministratore delegato al ragazzo che fa le pulizie……siamo tutti qui per fornire un servizio.”

subito. Per me niente è impossibile, a volte devo usare l’arguzia, giocando con l’ospite per calmare la situazione”.

Quali sono le caratteristiche di un bravo concierge? “Deve essere attento, sapere ascoltare chi gli sta davanti e non interrompere mai il suo interlocutore. Quando un ospite è arrabbiato, bisogna sempre ascoltarlo, prendere nota di quello che dice e poi cercare in ogni modo di risolvere il suo problema. Solo ascoltando si può capire il carattere di una persona. Per fortuna ho un’ottima memoria visiva, non dimentico mai un ospite. Magari non mi ricordo il nome, ma so riconoscere un viso o una voce e la situazione nella quale ho conosciuto una persona, anche dopo 20 anni”.

E quali i momenti più appaganti? “Quando le persone sono felici, quando riesco a renderle felici. Si può dire di no ad un ospite solo se ti chiede qualcosa di illegale. Adoro le sfide, è un po’ come giocare a tennis. Più l’ospite è esigente più bella è la sfida”.

Quali sono gli stress, i conflitti più difficili nel suo lavoro? “A volte le persone sono molto esigenti e anche intolleranti. Oggigiorno si tende ad avere poca pazienza. Molte persone sono sotto forte pressione per il lavoro e allora vogliono tutto

Una cosa difficile che le hanno chiesto? “Un ospite che voleva un tavolo in un ristorante rinomatissimo sulla Costa Azzurra che era, come sempre, al completo. Ci sono riuscito grazie al networking, rivolgendomi a un col-

Il ristorante cinese Man Wah

Internet ha cambiato il ruolo del concierge? “No, Internet non ha cambiato il nostro lavoro. Sì è vero che la gente è più preparata grazie a Internet, ma cerca sempre il rapporto umano. E poi un bravo concierge è in grado di risolvere problemi molto più velocemente e meglio di qualsiasi computer”.

lega dell’Associazione internazionale dei concierge, le Clefs d’Or. Lui ha telefonato al direttore del ristorante e abbiamo avuto il tavolo. Questo è un esempio perfetto di come un concierge non sia un’ isola, ma un mondo! E’ colui che condivide le gioie e i dolori con gli ospiti, e il mio carattere allegro tipicamente italiano mi permette di soddisfare anche l’ospite meno disponibile. Quando serve so essere sfacciato e sarcastico, ma mai maleducato. C’è una linea che non bisogna mai oltrepassare”. Cos’è che rende il Mandarin Oriental unico? “L’eccellenza del nostro servizio” In 32 anni Lei ha incontrato migliaia di celebrità. Chi l’ha colpita di più? “Senza dubbio Lady Diana. Era una donna di grande classe, una persona vera”.

www.mandarinoriental.com/hongkong



La Barcellona di GaudĂŹ

La Barcellona di

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La fantasiosa facciata della Casa leggendaria Batllò


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Gaudì

Testo di Luisa

Chiumenti foto di Luisa Chiumenti e di Archivio

U

n viaggio nella capitale catalana non può non essere fondamentalmente dedicato a Gaudì, che vi ha lasciato un segno forte con la sua fantasiosa progettualità, fatta di forme fantastiche, surreali e cariche di magia, nei palazzi e nelle abitazioni più semplici, come nei parchi e nei giardini e fino alla famosissima, incompiuta Sagrada Familia. Gaudì proveniva dal mondo rurale e sentì profondamente la stimolante forza di ispirazione che il paesaggio catalano era in grado di offrirgli. A ciò si aggiunse poi il fatto di essere nato e cresciuto in un ambiente artigiano, quello del padre, che gli insegnò a porre grande attenzione alle peculiarità insite nei materiali naturali come il ferro, il rame, il legno. Fin dalle case più semplici, come la Casa Vicens nel quartiere di Gracìa, al n. 24 di Carolines, una delle prime sue opere importanti, ma forse non tanto conosciute, si nota subito la sua tendenza all’ eclettismo, con il tipico arco parabolico, accompagnato ad elementi decorativi arabi che scandiscono in modo inusuale la struttura cubica in pietra, con l’inserimento di molti pezzi in ceramica. Ma già nel Parco Guell, realizzato fra il 1900 e il 1914, esplode la fantasia di Gaudì nella progettazione di ogni elemento architettonico in assoluta armonia con la natura. E la vegetazione si pone a lato dei percorsi

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La Barcellona di Gaudì tracciati con una serie di strade e stradine in salita e in discesa e di terrazze sostenute da pilastri in forma di tronchi d’albero. E sempre, inseriti nel conglomerato dei parapetti, o nelle alzate dei gradini, ecco apparire un elemento che poi non abbandonerà più le sue architetture: le coloratissime schegge di maiolica o di vetro che rendono la pietra palpitante e viva. Su richiesta del suo committente e mecenate, l’impresario Eusebi Guell, egli realizzò così, su una collina posta a nord di Barcellona, una sorta di città giardino, che accolse, tra il verde di un rigoglioso parco, le architetture di alcuni studi d’artista, di una cappella e di numerose ville, una delle quali divenne per un certo periodo l’abitazione dello stesso Gaudì ed oggi é trasformata in museo. E ancora spiccano, al n.7 dell’ Av. di Pedralbes, il disegno originalissimo della recinzione dei padiglioni della Finca Guell (1884-1887), spazio di divertimento sempre di proprietà della famiglia Guell, il cui lavoro rappresenta una prima sintesi tra innovazione tecnologica ed artigianato decorativo, specie nella porta d’ingresso, che è una grande scultura di ferro in cui viene raffigurato un drago che richia-

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ma le gesta di Ercole nel Giardino delle Hespérides. E poi ancora, in via Casp n.48 ecco la Casa Calvet (18981899), in cui Gaudì sviluppa un nuovo concetto di uso dei materiali, di ornamentazioni e rifiniture. E in via Bellesguard, 16-20, Casa Bellesguard (1900-1909), ma le più note e visitate sono senz’altro le originalissime Casa Batllò e Casa Milà. Nel 1904 Josep Batlló, altolocato industriale del settore tessile, affidò a Gaudí l’incarico di restaurare un palazzetto acquistato l’anno precedente sul Passeig de Gràcia, l’arteria principale del quartiere modernista dell’Eixample. Gaudì modificò notevolmente l’aspetto dell’edificio, rivoluzionando la facciata principale, in modo molto innovativo per quanto riguarda la costruzione e la struttura, ampliando il cortile centrale ed elevando due piani inesistenti nella costruzione originale. La Casa Milà, detta La Pedrera (cava di pietra), fu costruita tra il 1905 e il 1912 da Antoni Gaudí a Barcellona, al numero 92 del celebre Passeig de Grácia, nella zona d’espansione dell’Eixample su incarico di Roser Segimon e Pere Milà per il loro imminente matrimonio. Attualmente è di proprietà della Caixa Catalunya, una che ne ha fatto un centro cultu-

Pinnacoli bizzarri sul tetto, alcuni simili a guerrieri in armatura


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Scorcio d’interno della straordinaria opera incompiuta della Sagrada Familia. La Basilica forse sarà ultimata nel 2026

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La Barcellona di Gaudì

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rale. Dal 1984 è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità, insieme ad altre opere di Gaudì. E’ qui che egli, adottando come elemento fondante la linea curva, chiaramente zoomorfa, richiama con evidenza l’immagine delle onde del mare, che trionfa in svariati motivi presenti nella struttura (facciata, interni, mobili). Ma il fascino degli interni, arredati da mobili d’epoca, non supera quello che viene creato dai percorsi che Gaudì ha realizzato sulla copertura, con viste diverse sulla città, tra i comignoli dalle fantasiose strutture. Ma certamente l’opera più nota, eppure ancora non ultimata (si parla del 2025!) che di recente ha visto la Consacrazione con la presenza del Santo Padre, é la Sagrada Familia. Oggi, l’equipe di progettazione, sotto la direzione dell’architetto spagnolo Jordi Bonet, come descrive l’ingegnere italiano Angelo Ziranu, che


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Casa Milà, detta la Pedrera, inserita nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità

ne é entrato a far parte alcuni anni or sono, “ha ricominciato a studiare, quasi con metodologie proprie degli archeologi, “ogni più piccola indicazione e frammento rimasto del materiale originario, ricreando le forme e la loro composizione ”per portare definitivamente alla luce l’idea progettuale di Gaudì nella sua interezza”. Era il 7 novembre 2010 e finalmente si apriva al pubblico e alla devozione lo spettacolare spazio interno delle grandi navate proiettate verso l’alto in un afflato di estrema suggestione sia mistica, che architettonica e scultorea. Siamo di fronte ad un’opera “in evoluzione” da circa 125 anni, ad un tempio che Gaudì creava a mano a mano non solo grazie ai suoi famosi “modelli”, ma anche attraverso i suoi accuratissimi disegni che tuttavia vennero rovinati e quasi totalmente distrutti durante un incendio nell’anno 1936. E’ interessante comprendere il valore della ricerca di Gaudì, incentrata sulla Natura e sulla liturgia al contempo, che lo portarono a creare i particolarissimi capitelli, le colonne, le volte, che oggi costituiscono quel complesso scultoreo e architettonico che

incredibilmente sembra nascere ed evolversi dalla terra, come se si trattasse di veri e propri alberi, rami e foglie che si avviluppano verso l’alto, nell’ansiosa ricerca della luce. Il tempio, definitivamente aperto alla devozione, appare oggi nella pienezza di uno spettacolare inno alla Luce, mentre lo spazio interno delle navate che si proiettano libere verso l’alto, in un afflato di estrema suggestione sia mistica che architettonica, dà al visitatore, nel fascino delle tre altissime navate della “passeggiata coperta”, una sensazione di vertigine spirituale e quasi fisica. Si può quindi cogliere l’espressione più autentica del suo rapporto con la Natura, in cui si serviva di un prezioso codice per dar vita al suo linguaggio compositivo, tanto innovativo per il suo tempo, quanto singolare e affascinante anche oggi. E in questo senso é davvero encomiabile lo sforzo interpretativo del gruppo di progettazione attuale, guidato dall’architetto Bonet, in un cantiere che é una vera e propria “officina tecnica di architettura e ingegneria”, in un continuo aggiornamento delle metodologie tecnicamente

più avanzate. L’utilizzo di materiali diversi continua così a creare una plasticità particolarissima, capace di dar vita a vibrazioni emotive molto vicine a quelle suscitate da una buona musica. E del resto anche oggi l’immagine del cantiere rimane quella che pensava Gaudì ossia di un certo numero di squadre di lavoratori che, impegnati nell’esecuzione meticolosa dei particolari architettonici e scultorei, nella loro “architettura gestuale”, realizzano, con il suono dei loro strumenti, una vera e propria “musica”. E salendo con gli ascensori lungo le torri e traguardando dalle feritoie é questo che si ascolta guardando gli operai che lavorano alacremente alle diverse altezze delle facciate ancora da ultimare, sullo sfondo di una città viva e brulicante.• UFFICIO SPAGNOLO DEL TURISMO Via del Mortaro 19 00187 - Roma (Rm) Tel. 066793421 Fax. 0669921367 www.turismospagnolo.it www.casamuseugaudi.org

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Venezia IL BALLO DEL DOGE, un sogno sul Canal Grande

Venezia

IL BALLO DEL Queensessence: ombre e luci di Antonia Sautter la regina dell’eterno Carnevale veneziano Testo di Giuseppe

Garbarino e foto di Mirco Toffolo - Studio Immagine

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assi di tacchi che si diffondono leggeri sul selciato di una calle; un’ombra si disegna sull’intonaco chiaro di un muro, il contorno di un tricorno e il profilo di bautta sono

come un salto nel tempo che fugge nel buio profondo di un umido sottopòrtego. Inseguire il misterioso personaggio avvolto in un lungo tabarro è una sfida che porta a viaggiare nel tempo, rapiti da suoni

e rumori lontani, parole, dialetti e linguaggi sconosciuti che si accalcano nella mente confusa che vorrebbe dare loro un significato. Anche questa è Venezia, eterno ponte tra l’occidente e quell’oriente di cui si


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DOGE un sogno sul Canal Grande è appropriata facendone proprio il mito di ricchezza e simbologia. Ormai l’intrigante figura ha superato il ponte sul Rio San Tomà e, quasi a stuzzicarci, ad ogni nostro momento di titubanza a proseguire l’inseguimento, rallenta, come per darci una possibilità di successo nella caccia, nella quale però la “maschera” non sembra per niente braccata e forse la vittima è proprio chi la segue. Pensieri, titubanze improvvise, passi forzati che la mente non vorrebbe

fare, tutto sembra avvertirci che dietro il mistero di una finzione si cela un pericolo, ma allo stesso tempo la curiosità è più forte e la razionalità prende facilmente il sopravvento sulle nubi dell’enigma e dell’ambiguità. Uomo? Donna? Chi si cela dietro questo falso travestimento? E solo un’immagine scura che scappa lungo le pareti dei palazzi veneziani? Dove ci porterà? Qual è il suo fine? Improvvisa è la luce, non quella della conoscenza di massonica memoria

o quella divina di chi comprende la strada per l’eternità, ma quella del carnevale. Il Palazzo Pisani Moretta si pone davanti a noi come un capolinea del tempo: è l’essenza stessa del carnevale veneziano. Qui tutto è luce e nel turbinio di maschere e personaggi della viziosa e decadente Venezia settecentesca, la macchia scura che abbiamo seguito con la speranza di una risposta scompare come nebbia al sole. Al nero tabarro si è sostituito probabil-

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Venezia IL BALLO DEL DOGE, un sogno sul Canal Grande

mente un suntuoso abito argentato e adesso, con civetteria, la dama del mistero mi osserva mentre arretra lentamente per essere inghiottita dagli altri ospiti della serata. Colori, acconciature uniche; i tessuti degli abiti hanno una tale corposità e una ricchezza di ricami con fili d’oro e d’argento che il semplice movimento sembra intonare musiche ovattate, mentre uno stuolo di personaggi accoglie i selezionati ospiti che arrivano da tutto il mondo conosciuto e forse anche da quello che ancora dobbiamo scoprire. E’ il 18 febbraio del XIX anno dell’era di Antonia Sautter, la grande coreografa delle feste veneziane che ritornano dal passato e guardano al futuro. Qui nulla è lasciato al caso, nemmeno gli ospiti, tantomeno quello che viene loro offerto; situazioni e spettacolarità che negli anni hanno visto un crescendo di emozioni che difficilmente si possono contenere e capire in profondità. Non solo l’occhio vuole la sua parte, ma anche il gusto, il palato, tutti i cinque sensi dell’umana essenza si contendono l’onore di percepire quello che il Ballo del Doge vorrebbe comunicare. Il sesto senso, degno di regine e dei loro cavalieri, si concretizza in questa serata chiamata appunto Queensessence, un omaggio a tutte le donne che per una sera possono e vogliono vivere come regine, ai

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piedi delle quali si inchinano ammirati adulatori. Regine per una notte, donne di alto lignaggio, così che per una volta nella vita tutte potranno sentirsi una Caterina Cornaro o una Maria Teresa d’Austria, senza dimenticare più esotici personaggi come Cleopatra o Salomè. Figure di donne che rappresentano il mondo e come potrebbe essere altrimenti quando ospiti e personaggi della storia, o della fantasia, si mescolano in modo così magico e mondano? Siamo ai limiti della leggenda, dell’immaginario e del mito, momenti che sembrano interminabili per ogni singolo particolare, studiato e dedicato in questa occasione a tutte le donne; per noi prima fra tutte è Antonia Sautter che con la forza, la passione e molta intelligenza è la vera Regina e anima del Ballo del Doge. Ecco che il 18 febbraio, per i fortunati ospiti, sarà possibile depennare dalla propria agenda una delle dieci cose da fare assolutamente nella vita, partecipare alla festa più lussuosa ed unica del mondo, o almeno così viene definita, grazie alle performance di artisti nazionali ed internazionali che con le loro esibizioni lasciano ogni anno gli ospiti con il fiato sospeso, in un crescendo di situazioni che danno alla serata quel ritmo incalzante che trasporta in lidi lontani, con la mente e con il

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Venezia IL BALLO DEL DOGE, un sogno sul Canal Grande

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47 corpo. Cortei di gondole percorrono il Canal Grande come se fossero sospese tra acqua e cielo e il tempo si fosse fermato ad un’ora imprecisata dell’eternità, quei rintocchi di orologio che scandiscono il turbinio di danze e luci all’interno del Palazzo Pisani Moretta, mentre tutto intorno, nella laguna dimenticata, il tempo sembra essere diventato davvero eterno. Antonia Sautter si propone come una magica padrona di casa, forse ha scoperto filtri e incantesimi che anno dopo anno somministra ai suoi amici e ospiti, ma se trucco esiste questo è più facilmente rintracciabile nel marketing della sua attività e nello staff che la segue interpretandone stimoli e intenzioni. Creatrice di sogni, Antonia Sautter potrebbe entrare nell’empireo della fantasia, così come lo sono stati i personaggi di Alice nel paese delle Meraviglie o i più recenti fantasy per grandi e piccini, dove l’immaginario si trasforma in una realtà tangibile e ricca di potenzialità. Atelier, boutique, una linea di moda e la Maison Sautter, un microcosmo di iniziative dove trovare solo prodotti artigianali veneziani di grande fascino, è questo il mondo della dama veneziana più famosa del carnevale. “Glamorous Queensessence” quindi; da non perdere, da non dimenticare, solo per ricordare, magari con un pizzico di nostalgia e batticuore, mentre nella grande Piazza San Marco le ombre della laguna si mescolano con le migliaia di maschere arrivate da ogni dove per festeggiare il Re Carnevale e i suoi riti eterni e come disse Shakespeare: “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.• www.enit.it www.regione.veneto.it www.turismovenezia.it www.ilballodeldoge.com www.antoniasautter.it

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I 140 anni del Royal Hotel Sanremo

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requentato fin dalla Belle Époque dall’aristocrazia, dall’intellighenzia della finanza e della cultura e da numerosi Premi Nobel, il Royal Hotel Sanremo, che quest’anno festeggia i suoi 140 anni di attività, mostra invariati il suo prestigio e la sua dignitosa eleganza. Nel 1931 venne fondato presso l’albergo il Rotary Club Sanremo, il 26° in Italia. Dopo la seconda guerra mondiale l’hotel venne ristrutturato e riportato agli antichi splendori; nel 1947 fu inaugurato il Ristorante Fiori di Murano mentre l’anno successivo fu aperta, nell’incantevole parco subtropicale, una delle prime piscine d’albergo d’acqua di mare d’Europa, progettata dall’architetto Giò Ponti. Una tradizione di stile e raffinatezza imprescindibile fin dal suo fondatore, Lorenzo Bertolini, e poi proseguita dai discendenti fino ad oggi, giustificando appieno l’appartenenza dell’esclusivo hotel come membro di The Leading Hotels of the World, di JDB Fine Hotels & Resorts e dei Locali Storici d’Italia. Nell’ottica di offrire sempre un servizio impeccabile e di eccellenza, così da poter garantire la soddisfazione della propria clientela, il Royal Hotel San-

remo ha sempre avuto un’attenzione costante al miglioramento del proprio look, gli ultimi cinque anni hanno visto la realizzazione del Royal Wellness e il continuo rinnovamento delle camere e suites, della sala congressi e degli spazi comuni. L’apertura della nuova stagione, il 10 febbraio, sarà enfatizzata dalle celebrazioni per il glorioso anniversario. Un’occasione partecipata anche ai clienti con proposte ad hoc di soggiorno in camera vista mare con possibilità di upgrade a junior suite, secondo disponibilità, e trattamenti fitness come un massaggio Nuvola e accesso alla zona umida no prescription del Royal Wellness dotata di vasca idromassaggio, docce emozionali, hammam, vitarium, area relax con angolo tisaneria e palestra. Prestigiosa anche la ristorazione, al Royal Hotel Sanremo. Raffinata e creativa cucina ligure, mediterranea ed internazionale accompagnata da un’accurata selezione di vini pregiati nei Ristoranti: Fiori di Murano con vista sul parco e sul mare e con scelta dal menu del giorno o à la carte (alla sera è richiesta la giacca), da fine maggio a fine agosto apertura solo serale; Salad Bar delle Rose per una pausa pranzo light,

da fine maggio a fine agosto; Corallina con Pool-Bar a bordo piscina per snack e pranzi informali con scelta dal menu à la carte, ricco buffet, grigliate di pesce e carne (aprile-ottobre), apertura serale da metà giugno a fine agosto con speciale menu per i più piccoli; Il Giardino per una cena gourmet al lume di candela sulla terrazza, da giugno a settembre; Gazebo dell’Amore per celebrare un’occasione speciale nell’intimità del parco, da giugno a settembre, su richiesta. Numerose sono le iniziative in serbo per il 2012, fra cui serate a tema ed eventi legati allo sport, in particolare alla vela in collaborazione con lo Yacht Club Sanremo, che, unite all’offerta gastronomica e al benessere d’eccellenza del Royal Wellness, ne fanno la meta ideale per una vacanza nella Riviera dei Fiori.• Per informazioni e prenotazioni: Royal Hotel Sanremo Corso Imperatrice, 80 I-18038 Sanremo tel. 0184 5391 - fax 0184 661445 reservations@royalhotelsanremo. com - www.royalhotelsanremo.com

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ROMA - tra antichità e contemporaneo / ROME Ancient and contemporary

Città

Roma

tra antichità e contemporaneo Testo di - Words by Luisa

Chiumenti Foto di - Photo by Archivio

“A questo luogo della terra si riannoda tutta la storia del mondo, ed io conto come una seconda nascita, una vera rinascenza, dal giorno in cui sono entrato a Roma” (Goethe “Viaggio in Italia”)

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ncora oggi molti viaggiatori contemporanei potrebbero condividere queste impressioni perché in tanti secoli di storia Roma é sempre stata un obiettivo colmo di fascino. Visitare Roma costituisce oggi come allora un sogno pieno di sorprese: luoghi che prima erano “fuori-porta”, ora fanno parte del complesso urbano cittadino. Proviamo ad entrare da uno di quegli storici ingressi che furono le Porte della cinta aureliana; forse uno dei principali pun-

ROME Ancient and contemporary “The entire story of the world is linked to this place, and I count like a second birth, a true rebirth, the day I entered Rome .” (Goethe “Italian Journey”). Many of today’s visitors could share these same impressions because, despite its centuries of history, Rome has


Un suggestivo scorcio della storia di Roma: Castel Sant’Angelo e il Ponte degli Angeli

ti d’accesso, in quanto proveniente dal nord Europa attraverso la via consolare Flaminia, fu la Porta del Popolo -la romana Porta Flaminia-. Mercanti ed artisti, ambasciatori, pellegrini e turisti del Grand Tour, sono entrati in Roma da questa Porta, che ricorda particolarmente l’ingresso ufficiale di Cristina di Svezia e di tutto il suo splendido corteo. E se la Capitale lavora in questi anni per rendere fruibile a tutti la mirabile atmosfera del centro storico rendendo pedonale questa sua parte, definita “Il Tridente” per la posizione delle tre strade che si dipartono dalla Porta del Popolo: via del Corso, via di Ripetta e via del Babuino, é anche interessante farne il percorso proprio con Goethe. Dalla sua casa al n.18 di via del Corso, oggi divenuta Museo, egli infatti raggiungeva facilmente a piedi luo-

always had a special allure. Visiting Rome today, as in Goethe’s days, is a dream full of surprise as parts of the city that used to be on the outskirts are now part of the complex urban fabric. Let’s enter the city by one of those historical gates in the Aurelian Walls, perhaps one of the main entrances as was the one taken by travellers coming from the north of Europe along the via Flaminia, one of the great consular roads – the Porta del Popolo – also known in Rome as the Porta Flaminia. Merchants and artists, ambassadors, pilgrims and tourists on the Grand Tour used to enter Rome through this gate, one of the most famous occasions being the offical entrance of Queen Christina of Sweden and her glittering court. And if the capital has been trying to make the old historic centre, known as the

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ROMA - tra antichità e contemporaneo / ROME Ancient and contemporary ghi che oggi ammiriamo, immutati, nella splendida luce che Roma sa offrire spesso dall’alba al tramonto. Piazza di Spagna con quella berniniana “Barcaccia”, la fontana raffigurata sotto la monumentale scalinata, inaugurata da papa Benedetto XIII in occasione del Giubileo del 1725, che lo portava poi a raggiungere la chiesa di Trinità dei Monti, da cui ammirava il bellissimo panorama sottostante. E da Piazza di Spagna, una piacevole sosta al caffè Greco, aperto nel 1760, e che al suo interno conserva firme e ritratti, foto, scritti e dipinti dei più illustri ospiti della Città Eterna ed é tuttora meta di intellettuali, scrittori e turisti affezionati, dove Goethe amava rimanere per gustare lunghe colazioni all’italiana. E poco più avanti, al di là di Largo Chigi, é sempre bello ascoltare, se si riesce a filtrarlo dagli altri rumori cittadini, il chiacchiericcio annunciato dell’acqua nel grande invaso della Fontana di Trevi e pian piano da qui, una salita ci può portare al Palazzo del Quirinale, palazzo del potere per antonomasia, dal ‘500 ai giorni nostri. E se i palazzi del Centro storico, restaurati nell’ultimo decennio, accolgono musei e si ripropongono ai visitatori nella loro antica opulenza, dal complesso romano dei Mercati Traianei e Museo dei Fori Imperiali, al Palazzo Barberini, che di recente ha visto un’ altra grande inaugurazione del nuovo percorso espositivo della Galleria Nazionale d’Arte Antica con opere dal Barocco al Neoclassico, l’Amministrazione Capitolina ha intrapreso in

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“Il Tridente,” for the three roads that start at the Porta del Popolo - Via del Corso, Via di Ripetta and Via del Babuino, more accesssible, it is also interesting to take this route accompanied by Goethe. From his house at 18 Via del Corso, which is now a museum, he had no trouble walking to the many places we now stop to admire which have remained as they were in his days, bathed in the splendid light of a Roman dawn or sunset. From the Spanish Steps with Bernini’s “Barcaccia” fountain at the foot of the monumental Steps, which was inaugurated by Pope Benedict XIII to mark the 1725 Jubilee, Goethe would have then come to the Church of Trinità dei Monti, and stopped to admire the wonderful vista before his eyes. And, having crossed Piazza di Spagna , he would then stop again, this time at the Caffè Greco, which opened in 1760 and has many portraits, photos, documents and paintings of the celebrities who have visited to the Eternal City, which still attracts intellectuals, writers and tourists and where Goethe used to enjoy relaxed Italian-style breakfasts. Just a little further on, past Largo Chigi, it is always enjoyable, if of course you manage to cut out the city noises, to catch the murmurings of the majestic Trevi Fountain and then make your way slowly uphill to the Quirinale Palace, Rome’s great seat of power from the 16th century to our day. Many of the palaces in the historic centre have been restored in recent years and are now museums which de-

Un lato della mitica Piazza Navona, romantica meta del turismo internazionale


questi ultimi anni un ampio programma di riqualificazione urbanistica e ambientale della Città Storica. All’interno di essa è significativa ad esempio la risistemazione di Via Giulia, una delle strade più prestigiose della capitale, specificamente nell’area de “La Moretta”, laddove si intende far vivere insieme e fare incontrare di nuovo passato e presente. I possibili scenari d’intervento saranno affrontati con la collaborazione di sette architetti italiani e stranieri che, pur fornendo ognuno un diverso e originale contributo, si sono confrontati con l’equilibrio e l’armonia dei luoghi, proponendo soluzioni molto attente e di sicuro interes-

light visitors with their antique opulence, from the Roman complex of Trajan’s Markets to the Imperial Forum Museum, to Palazzo Barberini, in which they recently inaugurated the National Gallery of Antique Art with art works from Baroque to Neoclassical. In recent years the municipal authorities have also been busy giving the city an environmental facelift. One of the many interesting interventions has been on Via Giulia, one of the city’s most prestigious streets, where work is underway on the area of “La Moretta” to bring past and present together. Various projects will be assessed by seven Italian and international

L’imponente Nettuno della visitatissima Fontana di Trevi

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ROMA - tra antichità e contemporaneo / ROME Ancient and contemporary se, in quella storica via Giulia, aperta all’inizio del Cinquecento da Papa Giulio II. Ma se alla fine dell’ 800 si entrava in Roma dalle vie consolari con le carrozze, oggi, con i mezzi di locomozione più avanzati, nuove “Porte” danno l’accesso a Roma: pensiamo alla nuova Stazione di Roma Tiburtina, che usufruisce dell’ alta velocità che percorre la penisola da nord a sud. Destinata a diventare nodo di scambio intermodale di livello internazionale, nazionale, regionale e metropolitano, la Stazione (su progetto di ABDR con capogruppo Paolo Desideri- vincitore del concorso internazionale promosso da RFI), interessa una superficie di circa 50.000 mq.. Appare come una grande galleria aerea, il cui elemento centrale, su cui si basa la conformazione tipica di -stazione a ponte- é il grande “boulevard urbano”, coperto e sopraelevato, che scavalca i binari e si affaccia su due atri di accesso, uno sul lato Nomentano (ovest) e l’altro sul lato Pietralata (est), uniti appunto dalla galleria-ponte da cui si accede alla quota dei binari. Ma questo dimostra ulteriormente, a mio avviso, come non ci sia altra città che sappia affermare con forza quanto sia possibile assoggettare allo sviluppo dei tempi, la propria indomabile superiorità storica e culturale. E possiamo addirittura sostenere con il Sindaco Alemanno, in visita al cantiere di Eurosky, che “Roma è compatibile anche con i grattacieli”. Sullo sfondo della campagna romana, ancora non completamente urbanizzata, su cui si stagliano le ar-

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Immagine inconsueta del Pantheon

architects, each one with their own different and original ideas, who came together in a spirit of collaboration to study the harmony and balance of the area, coming up with interesting solutions or the historical Via Giulia which was opened at the start of the 16th century by Pope Julius II. But, if at the end of the 19th century people entered Rome in carriages coming from the consular roads, today thanks to more modern means of locomotion Rome has new gateways like the Roma Tiburtina railway station where high-speed trains pass on their way from one end of the peninsula to the other. Destined to become a new international, domestic, regional and urban intermodel junction, the station (thanks to an ABDR project, group leader Paolo Desideri winner of the international RFI competition), is on an area of some 50,000 square metres and is like a large aerial gallery in which the central element, on which the typical “bridge station” is based, is the covered overpass urban boulevard above the tracks with two entrances, one on the Nomentano side to the west, and the other on the Pietralata side to the east, linked by the gallery-bridge access to from the track level. This shows, I think, that there is no other city which is able to state so forcefully how it is possible to bend its indomitable historical and cultural superiority to growth and development. And we also agree with Mayor Alemanno who, while visiting the Eurosky construction site, said that “Rome is compatible even with skyscrapers.” With


cate imponenti degli acquedotti, la città ha infatti accolto di recente il progetto dello Studio Purini Thermes, che, in viale Oceano Pacifico, dopo il pur modernissimo complesso dell’Eur, ha inserito il primo grattacielo di Roma, di 120 metri. (non supererà, s’intende, il cupolone alto 136 m.), situato all’interno del Business Park Europarco all’Eur, e basato su stretti criteri di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico. E se l’Auditorium di Renzo Piano si staglia nel cielo con le sue particolari coperture, il complesso rimane quale suggestivo equilibrio spaziale con la villa romana scoperta nello stesso spazio, e valorizzata in tutta la sua estensione. E che dire del MAXXI, Museo nazionale delle arti contemporanee del XXI secolo di Roma, con cui l’architetto anglo-irachena Zaha Hadid ha realizzato un edificio “su misura”, per la città, caratterizzato da forme sinuose e geometriche, volumi che si staccano

the Roman countryside as a backdrop, and while not yet completely urbanized, the striking silhouettes of the recent project by the Studio Purini Thermes draws the eye to Viale Oceano Pacifico, in the ultra-modern EUR district, where Rome’s first skyscraper, soars to 130 metres (of course no higher than the 136 metres of St.Peter’s Basilica) in EUR’s Business Park Europarco, built according to strict criteria of environmental sustainability and energy saving. And if Renzo Piano’s Auditorium stands out against the skyline with its original roofing, the complex strikes an evocative balance with the ancient Roman villa which was found on the same area, enhancing its extension. Then there is the MAXXI, the National Museum of Contemporary 21st Century Art with which the Anglo-Iranian Zaha Hadid created for the city a “custom-made” building with sinuous and geometric forms separated from the main building and

Un arco del Colonnato del Bernini a S. Pietro, la sua opera d’architettura più celebre

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dall’edificio principale per affacciarsi sulla città nella modulazione della luce naturale, vera protagonista delle sale espositive: un luogo senza un vero centro, ma “in fuga continua” verso misteriose direzioni, mentre avvolge il visitatore con forme mutanti e fluide.•

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www.enit.it www.aptprovroma.it www.regione.lazio.it www.provincia.roma.it

overlooking the city in a modulation of natural light, which is the true protagonist of the exhibition halls: a place without a true centre but which “escapes” in mysterious directions as it envelopes the visitor with mutant and fluid forms.•


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sopra e sotto foto di Matteo Littardi mlittardi@gmail.com

a Sanremo dal 20 al 25 marzo INTERNATIONAL DRAGON CUP Eleganza, emozione, competizione: è tutto questo l’“International Italian Dragon Cup”, in programma allo Yacht Club Sanremo dal 20 al 25 marzo, manifestazione ormai giunta alla sua sesta edizione, tutta dedicata alla classe Dragoni, la “classe dei Re”, perché tra i suoi rappresentanti vi sono molte teste coronate, tra cui Costantino di Grecia – attuale presidente internazionale della classe – e il principe Henrik di Danimarca, – che ne è vicepresidente. I concorrenti, che provengono da tutt’Europa,

saranno impegnati in quattro giorni di regata, preceduti dagli allenamenti e dalle giornate che abitualmente dedicano all’ottimizzazione delle imbarcazioni, mentre la premiazione, con materiale sportivo firmato Paul & Shark, creazioni delle Officine Panerai e i preziosi oggetti della collezione CieloGioielli Milano 1914 si svolgerà il 25 marzo. Tanti gli eventi glamour previsti nel corso dell’evento, come la serata al Casinò di Sanremo e al Royal Hotel Sanremo.•

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SPELLO la Città del Pinturicchio e dei Fiori

SPELLO

La Città del Pinturicchio e dei Fiori Testo di Mariella

Morosi Foto di Pierpaolo Metelli

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na macchia di pietra rosa tra il verde dei lecci e delle querce del Monte Subasio: così appare Spello a chi viaggia lungo la superstrada Spoleto-Foligno. Tutta la città, con le case, le torri e le mura che la racchiudono, è stata edificata nei secoli con la roccia calcarea dalle tonalità calde estratta dalla montagna di Assisi. Al tramonto s’incendia catturando l’ultimo sole e allora

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questo borgo-gioiello permeato di spiritualità francescana può regalare delle autentiche emozioni. Come altri borghi umbri, con la sua vaga armonia di prospettive e colori, trasmette serenità e pace. L’impianto urbano di Spello è una sintesi armonica delle sue fondamentali fasi storiche: la romana, la medievale e la rinascimentale, ma soprattutto a raccontare i quattro secoli più grandi della sua storia, dal Duecento al

Suggestiva panoramica del borgo medievale di Spello

Cinquecento, sono i vicoli medievali, le chiese, le facciate dei palazzi e le arcate a picco sulla Valle Umbra. Le necropoli indicano la presenza ancor prima di popoli arcaici -gli umbriper i quali la città fu polo religoso. Con la sottomissione all’esercito di Roma e la nascita della colonia di Spoletium cominciò la romanizzazione del territorio e Spello, anche con l’apertura della via Flaminia, si affermò come la “Splendidissima


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L’intensità della Madonna del Pinturicchio colonia Julia” di Augusto e la “Flavia Constans” di Costantino. Ne conservano memoria grandi opere romane: un teatro, archi monumentali, acquedotti e mosaici. La città è stata anche un battagliero libero comune medievale fino al suo inserimento nello Stato Pontificio. Fu una fase turbolenta, la cui storia si confonde con la leggenda, tra incendi e assedi, distruzioni ed eventi miracolosi

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SPELLO la Città del Pinturicchio e dei Fiori che qualche volta posero fine alle discordie. Ancora oggi i visitatori, tra discese e salite nei vicoli, possono ripercorrere gli antichi terzieri in cui era stata divisa la città: Porta Chiusa, Pusterula e Mezota, ognuno amministrato dal Consiglio, dal Podestà e dai Priori. Ma è il genio degli artisti rinascimentali della grande scuola umbra a fare un autentico gioiello di questo borgo, inserito tra i più belli d’Italia, con opere come Villa Fidelia, Santa Maria della Rotonda, S.Andrea e il Palazzo dei Canonici. Spello è chiamata la città del Pinturicchio per gli splendidi affreschi della Cappella Baglioni di Santa Maria Maggiore -l’Annunciazione, la Natività e la Disputa al Tempio- in cui la ricercatezza ornamentale non si dissocia dall’intimità dei soggetti. L’opera di Bernardino di Betto -questo il vero

che si svolge ogni anno nel giorno del Corpus Domini, quest’anno il 9-10 giugno. E’ tra le più belle d’Italia, seconda solo a quella di Genzano. Già entrando dalla Porta Consolare il visitatore nota che anche d’inverno non manca mai un fiore o una pianta davanti ad ogni soglia o ad ogni finestra. Vasi eleganti, colorati, ma anche una vecchia latta di conserva può contenere un’esplosione di fiori e di profumi quando arriva la primavera. E’ una passione collettiva quella del pollice verde che a giugno raggiunge il suo culmine nell’organizzazione della festa. Tutti collaborano, tra solidarietà e competizione per la composizione più bella. Determinante il contributo dei bambini, sguinzagliati con maestre e volontari in giro nei campi e nei fossi a cogliere fiori di campo: roselline, calendule, ginestre, fior-

per il soggetto vincitore non trascura di ornare finestre e balconi. I fiori si gustano anche a tavola, abbinate alla specialità tipiche, ed ecco che le trattorie dei terzieri propongono pappardelle del norcino al fiore di lavanda, strangozzi ai profumi campestri, risotto al fiore di camomilla e zafferano, guanciale ai fiori di mughetto, straccetti alle aromatiche del Monte Subasio, tiramisù fiorito. E per concludere gelati, amari e i distillati a base di fiori. Ma con o senza fiori nessun pranzo o cena qui comincia senza una croccante e calda bruschetta all’olio di frantoio: un modo di dire “benvenuto” all’ospite. E’ l’oro di Spello, di olivi della qualità moraiolo, quella più ricca di benefici antiossidanti. La coltivazione di questo albero sacro, simbolo religioso e di pace, è motivo di orgoglio per gli spellesi, nonostante le

Le torri di Properzio assurte ad emblema della città

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nome dell’artista- è stata valorizzata dai critici solo nel secolo scorso e proprio Spello insieme a Perugia nel 2008 ha ospitato la prima grande mostra a lui dedicata. Un’altra opera del Pinturicchio, La Madonna con i santi, è custodita nella Chiesa di S.Andrea. A Santa Maria Maggiore lavorò anche l’altro grande della pittura umbra, il Perugino, con due affreschi ai lati dell’altare maggiore: la Pietà e la Madonna col bambino. Spello è conosciuta anche come la città dei fiori, o meglio, dell’Infiorata,

dalisi, margherite vanno a comporre con stupefacenti sfumature cromatiche i quadri, per una lunghezza di 1.500 metri. Top secret fino all’ultimo sui bozzetti, in genere soggetti sacri ma anche legati all’attualità. C’è tanto lavoro, passione e orgoglio di appartenenza praticamente di tutta la popolazione che sotto la guida dei Maestri Infioratori si impegna già mesi prima del grande evento e non lo fa certo per i premi, di valore irrisorio. Nessuno si sottrae all’appuntamento: chi non gareggia

attuali difficoltà del comparto agricolo. Per Laura Bosi Celletti di Spineto, creatrice di ricette innovative con extravergine e prodotti del territorio, guardare alla terra pensando al futuro è difficile. “Fare olio - dice - è una grande passione che abbiamo trasmesso anche ai nostri figli, e non certo pensando al guadagno. Ma questo già ci basta”. Ma anche al di là dei riti gastronomici dell’Infiorata, le specialità umbre conquistano i visitatori. La cucina è semplice, con alla base prodotti della terra, ortag-


Vicolo pittoresco con i fiori che caratterizzano Spello

gi e legumi amalgamati con erbe aromatiche come maggiorana, rosmarino, salvia e finocchio selvatico. Sui salumi fa testo la grande tradizione di Norcia e la porchetta umbra, pur imitatissima, resta senza rivali. Nessun ristoratore si azzarda a servire pasta che non sia fatta in casa, soprattutto strangozzi, strascinati e umbricelli. Il tocco di classe è dato dal tartufo nero, relativamente abbondante nei boschi e non carissimo. Ottimi i vini -e non solo il blasonato Sagrantino- perché gli umbri godettero del frutto della vite già molto prima che arrivassero le legioni romane. Ci sono molti motivi per conoscere Spello che nonostante la sua offerta artistica non vuole essere una città museo, ma è viva e vitalissima. Il cartellone delle stagioni del settecentesco Teatro Subasio è di alto profilo, i concerti sono sempre al tutto esaurito e le istituzioni dimostrano grande sensibilità per le

iniziative culturali e per le proposte delle associazioni giovanili. Grande attenzione anche alle arti moderna e contemporanea. Nella cinquecentesca Villa Fidelia è stata collocata la ricca collezione Straka-Coppa con opere di Manzu, Guttuso e Ligabue. Spello, inoltre, adersice al Circuito “Terre & Musei dell’Umbria.• www.enit.it www.regioneumbria.eu Comune di Spello - www.comune.spello. pg.it, Sportello del Cittadino: 0742 30001, Ufficio Turismo: 0742 300064, Ufficio Cultura: 0742 300042 Pro Spello: www.prospello.it 0742 301009 Associazione Le Infiorate di Spello www.infioratespello.it - 0742-301146 info@infioratespello.it

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SANTO STEFANO DI SESSANIO - un esempio di albergo diffuso

SANTO STEFANO DI SESSANIO Testo di Romeo

Bolognesi Foto dell’Archivio Sextantio

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n po’ casa e un po’ albergo, ma in realtà né l’uno né l’altro: assai di più. L’”albergo diffuso” costituisce una nuova forma di ospitalità che utilizza immobili diversi ma all’interno di uno stesso nucleo urbano. L’aggettivo “diffuso” denota dunque una struttura orizzontale e non verticale, come quella degli alberghi tradizionali, che a volte hanno il difetto di ricordare anonimi condomini. L’albergo diffuso, anello di congiunzione tra le peculiarità del territorio, il locale patrimonio storico e architetto-

nico e il turismo culturale, consente di soggiornare sempre in un contesto urbano di pregio, di vivere a contatto con i residenti, ma al contempo di usufruire dei normali servizi alberghieri. Rimane anche una delle rare possibilità per valorizzare borghi e villaggi di interesse storico, artistico o architettonico e di recuperare un prezioso patrimonio abitativo antico, destinato in caso contrario al degrado e al dissolvimento, prospettandogli un nuovo impiego e una vita futura nell’accoglimento turistico di qualità.Un buon esempio di albergo diffuso, divenuto in un decennio

un modello di riferimento per l’accurata ricettività turistica e per aver ridato prospettive ad uno dei tanti borghi storici di pregio abbandonati, spopolati e sottoutilzzati, lo si può incontrare a Santo Stefano di Sessanio, un paesino fortificato a 1.250 m di quota all’interno del Parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a 30 km da L’Aquila e a meno di 150 da Roma, al quale è stato affidato un compito ambizioso e di responsabilità: rivitalizzare un centro in abbandono e conservare e ristrutturare un patrimonio architettonico di gran pregio.


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Non stiamo parlando di un posto qualsiasi: Santo Stefano è uno dei borghi medievali di maggior interesse e suggestione dell’Appennino abruzzese, annoverato di nome e di fatto nel Club dei borghi più belli d’Italia. La sua storia parte da lontano, da un insediamento romano del IV sec. a.C. che gli dà il nome, il pagus di Sextantio, situato lungo antiche direttrici commerciali da Roma al Tirreno e importante per la transumanza tra i pascoli abruzzesi e quelli del Tavoliere pugliese. Nell’Alto Medioevo beneficiò delle bonifiche delle terre operate dai frati benedettini del vicino Campo Imperatore, fondamentali per l’agricoltura e la pastorizia.

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SANTO STEFANO DI SESSANIO un esempio di albergo diffuso In seguito questo nido d’aquila del Gran Sasso divenne feudo delle famiglie fiorentine dei Piccolomini prima e dei Medici poi, che lo fortificarono. Fu il suo periodo d’oro, durato quasi tre secoli: il paese, ricco di enormi armenti, produceva un’ottima lana nera carfagna, che i Fiorentini acquistavano, lavoravano e poi rivendevano come stoffe in tutta Europa. Poi entrò a far parte del patrimonio privato del re di Napoli e quindi del regno d’Italia; ma la fine della transumanza dalla Puglia, la crisi economica e l’emigrazione massiccia lo svuotarono, minacciandone la stessa sopravvivenza, affidata ad un centinaio di abitanti in età avanzata. La configurazione urbana di questo borgo dal fascino fiorentino, ma dal ruvido cuore abruzzese, di questa sorta di Tibet aquilano in quell’Abruzzo interno e montano da sempre marginalizzato come terra di eremiti e di briganti, di orsi e di lupi, figlio di econo-

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mie curtensi e culture autoctone poco inclini alle influenze esterne, risale al periodo centrale del Medioevo, quando si sviluppa il fenomeno dell’incastellamento: borghi d’altura circondati da un perimetro murario fortificato, tipici del paesaggio montano dell’Italia centrale. Ma se l’impianto urbanistico è medievale, numerose sono le stratificazioni di elementi architettonici proto-rinascimentali, dovuti in particolare alla presenza toscana: strade porticate per proteggere dai rigori invernali, scalinate e tortuosi selciati, pozzi e fontane, corti e patii, loggiati, portali ad arco, graziose finestrelle a bifore, balconi a mensola e camini, il tutto nella grigia pietra calcarea locale. Autentici monumenti sono il

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SANTO STEFANO DI SESSANIO - un esempio di albergo diffuso

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quartiere ebraico, la quattrocentesca Casa del Capitano, la torre trecentesca purtroppo in parte abbattuta dal terremoto del 2009, la duecentesca chiesa di Santa Maria e la Chiesa Matrice del XIV-XV sec. Quando tutto sembrava avviato verso un ineluttabile processo di decadimento, nel 2004 capitò in paese un giovane imprenditore italo-svedese con tanto di laurea in filosofia, Daniele Kihlgen, che se ne innamorò. Acquistò diversi edifici, quasi un terzo del borgo, li ristrutturò con l’intervento di esperti professionisti usando rigorosamente materiali antichi e originali per trasmettere l’estetico rigore dell’arte povera della montagna abruzzese e diede il via ad un primo nucleo di albergo diffuso con alcune camere ospitate in un palazzo rinascimentale e in una casa-torre medievale, con internet ma anche con camino a legna in ogni stanza, ad un ristorante alloggiato sotto gli archi dell’antica cantina e ad una sala per manifestazioni culturali. Oggi le camere sono 27,

spaziose e confortevoli, quasi l’intero paese trasformato in albergo, impregnate di un forte potere evocativo del passato, dove i camini a legna, i soffitti a travi e i pavimenti in cotto, legna e pietra con i segni dell’usura del tempo si mischiano a moderni accorgimenti come il teleriscaldamento radiante, l’illuminazione a controllo telecomandato e i collegamenti multimediali non visibili, ma anche con materassi in lana, asciugamani, lenzuola e tovaglie ricamati degli antichi corredi familiari, le coperte dai colori naturali realizzate con i tradizionali telai domestici. Come ben si sa, da cosa nasce cosa e ogni iniziativa ne trascina inevitabilmente altre. Pian piano hanno cominciato ad aprire botteghe di artigianato artistico tradizionale (oreficeria, tessitura, tombolo, ceramica), negozi di prodotti enogastronomici tipici, ristoranti per la valorizzazione della cucina locale, basata sulla miglior qualità di lenticchie, ma anche su ceci, farro, zafferano, aneto e pastinache, su salumi e formaggi,

pane e paste fatte a mano, su mandorle e tartufo nero. Qualcuno sta ritornando, altri edifici vengono recuperati e il turismo, con a disposizione le piste sciistiche di Campo Imperatore o i sentieri del Gran Sasso, sembra poter regalare nuove, inimmaginabili, prospettive. E con la rinascita urbana anche la cultura sembra trovare nuovi spazi. Solo per citare gli eventi più recenti, nell’estate del 2010 ha ospitato il Festival internazionale di musica medievale e rinascimentale e nel 2011 la trasferta di 23 opere d’arte della fiorentina Galleria degli Uffizi, da Tiziano a Balla: un successo di pubblico che ha costretto il prolungamento dell’esposizione per ulteriori due settimane. A riprova del fatto che le migliori risorse rimangono sempre le buone idee.• www.enit.it info: www.sextantio.it, tel. 0862.899112, reservation@sextantio.it



A MODICA - Il cioccolato si fa come gli Atzechi

A MODICA Il cioccolato si fa come gli Atzechi

Testo di Mariella

Morosi Foto di Giovanni Antoci e Archivio

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i dice Modica e si pensa subito al cioccolato, nonostante questa sia un’antichissima città della Val di Noto, nella Sicilia orientale, con molte carte da giocare dal punto di vista storico, artistico e culturale. Patrimonio dell’Unesco, fu la città di Ercole, ricca contea feudale e grande protagonista del Regno di Sicilia. A guidare il visitatore tra i vicoli stretti, che improvvisamente spalancano alla vista grandiose fac-

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ciate barocche, è il profumo del cacao, della vaniglia e della cannella che si sprigiona dalle tante dolcerie artigianali. Per una bizzarrìa della storia qui il cioccolato si fa ancora come lo facevano gli atzechi che frantumavano i semi del frutto del cacao su una pietra ricurva, il metade. La scura pasta che ne ricavavano, il “xocoàtl” veniva poi miscelata con acqua e addolcita col miele. Cristoforo Colombo, appena arrivato nell’isola di Guanaja alla ricerca del


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Nuovo Mondo, ne rimase stregato e ne portò un assaggio alla regina Isabella di Spagna. La storia non lo dice, ma siamo certi che la sovrana, gustandolo, non si pentì di aver finanziato la costosa missione delle tre caravelle. Il resto è noto: la passione per il cioccolato, specialmente sorbito in tazza, dilagò nei salotti reali in tutt’Europa ed in Sicilia arrivò con la dominazione spagnola. In una nota spese datata 22 febbraio 1753, quando l’isola dipendeva dal Regno di Spagna, un tal nobiluomo Grimal-

di di Modica, chiede un consistente acquisto di “bellissimo cacaos e buono zuccaro, vaniglia e cannella” perchè -scrive di suo pugno- “Avendo così assaggiato la cioccolata mi piacque al sommo”. Ancora oggi sono la lavorazione manuale e tre semplicissimi ingredienti, cacao, zucchero e spezie, a caratterizzare il prodotto modicano: dal sapore intenso, è croccante e granuloso in bocca, perché con la lavorazione a freddo, senza la fase del concaggio, lo zucchero semolato o di canna non

si fondono. Leonardo Sciascia lo descriveva così: “Da mangiare a tocchi o da sciogliere in tazza è di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra essere arrivato all’archetipo, all’assoluto, come se il cioccolato altrove prodotto -sia pure il più celebrato- ne sia l’adulterazione e la corruzione”. Anche se l’opinione del grande scrittore siciliano può essere venata di campanilismo, il cioccolato di Modica non contiene né lecitina né grassi vegetali aggiunti e non è neppure sfiorato dalle moderne tec-

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A MODICA - Il cioccolato si fa come gli Atzechi

La facciata barocca del Duomo di S. Giorgio che è inserito nella lista dell’Unesco dei Beni dell’Umanità

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niche industrali che pur producono altrove ottimo cioccolato. Sì, perché quello di Modica non pretende di essere il migliore, ma è più che orgoglioso della sua diversità. Lo è anche nella forma e nella confezione, inalterate negli anni: tavolette da 100 grammi divise in tre quadrotti, da sgranocchiare o sciogliere in acqua o latte caldo, avvolte a mano una per una con una speciale carta opaca d’altri tempi. C’è da notare che mentre la cioccolata che in passato prese la via dell’Europa subì infinite lavorazioni, in Sicilia il processo originale non fu abbandonato anche per la mancanza dei capitali necessari per passare dalla fase artigianale a quella industriale. Come dire: un handicap che si è rivelato un valore aggiunto. Unica concessione alla modernità è che non si parte più dai semi di cacao ma dai blocchi di pasta base, ma la lavorazione è quella di sempre, ritmata dalla battitura delle formine di metallo sul marmo dei laboratori artigiani e sui tavoli delle cucine. A Modica infatti il cioccolato non è mai stato un pro-

Edizione limitata dedicata a Corto Maltese

dotto d’élite. Ancora oggi ogni famiglia si fa il suo, specialmente in occasione delle feste comandate, comprando la pasta base al negozio e arricchendolo con limone o arancia, pistacchio di Bronte o carrube. Niente merendine per i bambini, ma pane e cioccolato. Per andare incontro ai cambiamenti del gusto, da qualche anno pur mantenendo inalterata la lavorazione i cioccolatieri vi hanno aggiunto nocciole, mandorle, limone e arancio candito, o indiavolato peperoncino. La new entry è una pralina croccante con all’interno il dolcissimo mini-pomodorino di Scicli. Attento a tutelare l’identità del prodotto e a promuoverlo con mille iniziative è un Consorzio di Tutela, presieduto da Tonino Spinello, cioccolatiere di lungo corso che ha riprodotto l’antico orologio della città in un blocco di vari quintali di cioccolato. E’ il pezzo forte della visitatissima Galleria delle Sculture che comprende anche un’Italia, realizzata sempre con la nobile materia prima, lunga 10 metri e larga 5 presentata all’ultima edizione di

Chocobarocco. Ma l’anima di questo festival annuale e di altre iniziative in giro per l’Italia è l’attivissimo direttore Nino Scivoletto, autore di dotte pubblicazioni in collaborazione con la storica Grazia Dormiente. Viene stampato persino un mensile, “Cioccolacity”. Richiestissime le barrette di cioccolato prodotte a tiratura limitata su temi ed eventi di attualità che hanno inaugurato un nuovo filone di collezionismo. Alcune sono state dedicate a Corto Maltese, il marinaio avventuriere disegnato da Hugo Pratt, altre al pittore Pietro Guccione, altre ancora al matrimonio di Alberto II di Monaco con la bella Charlene e a quello del futuro re d’Inghilterra William con Kate. Spazio anche alla solidarietà, con la barretta dedicata agli sbarchi di Lampedusa. A Modica il cioccolato entra anche nei dolcetti tipici, le impanatigghie, impastato con carne e spezie. Fu questo nei secoli passati un furbo espediente per dar da mangiare carne ai bambini e ai malati nei giorni di magro, come il venerdì e la Quaresima. Un altro abbi-


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namento dolce-salato ha spopolato alla Reggia di Venaria di Torino quando, per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, lo chef Beppe Barone ha servito la Caponata imperiale con uovo nero, gambero di Mazara e cioccolato a scaglie di Modica. Tutti -e a tutte le età- vanno pazzi per il cioccolato, inutile farne il panegirico. Ma per eliminare eventuali sensi di colpa in caso di occasionali eccessi, è bene consolarsi con la nutraceutica, neologismo che indica l’unione di effetti nutritivi con quelli farmaceutici. Ebbene, il cioccolato fa bene, e soprattutto quello modicano, perché la lavorazione a freddo non disperde molti di quei preziosi flavonoidi che ci garantiscono salute e bellezza. Ma se proprio non si può fare a meno di contare le calorie ecco il “Modica Light” inventato da Beppe Rizza, un giovane geniale pasticciere-gelatiere d’avanguardia, che con una particolare lavorazione, sempre a freddo, potenziando aromi e componenti benefici ne riduce l’apporto energetico. Oltre alle visite ai laboratori artigianali, soprattutto

a U Dammusu Ciucculattarru di Palazzo Grimaldi, grande interesse offre la visita della città barocca “bagnata da una luce di qualità rara- per usare le parole di Gesualdo Bufalino- dai balconi in ferro battuto gonfi come gli ampi vestiti delle nobildonne d’altri tempi, le mensole figurate che paiono burlarsi dei passanti con ghigni beffardi e chiese cariche di gioielli di calcare”. Bellissimi il Duomo di S.Giorgio, la Chiesa del Carmine e San Pietro. A dominare la città sono il Castello dei conti di Modica, su una roccia a becco d’aquila, e la torre con un settecentesco orologio meccanico a contrappesi ancora perfettamente funzionante i cui complessi meccanismi vengono controllati e riavviati ogni 24 ore. E ancora tante chiese e conventi sono da vedere, come pure nella città alta la casa natale del poeta e premio Nobel Salvatore Quasimodo. Molti i siti archeologici con testimonianze di epoche diverse, tra cui Cava Ispica e il Castello Sicano, a cinque piani, vera e propria fortezza scavata nella roccia. Se poi, dopo aver goduto

delle bellezze della città, il cioccolato vi lasciasse un po’ di appetito la scelta è inevitabile: l’Osteria dei Sapori Perduti. Carmelo e Stefania Muriana vi accoglieranno da amici proponendovi piatti del territorio e della tradizione ormai quasi introvabili: ‘I lolli cchè fave (pasta acqua e farina con le fave), i Cavatieddi cco sucu (pasta fresca con carne e salsiccia di maiale), Bruoru e paddunedda (brodo con palline di carne), I milinciani cunzati (melanzane con caciocavallo, uova e pomodo), Arrustuta misticata (arrosto misto). E per finire cannoli, anche al cioccolato e gelo di limone e cannella.• www.enit.it Riferimenti: Consorzio del Cioccolato di Modica www.cioccolato modica.it www.regione.sicilia.it www.regione.sicilia.it/turismo/ web_turismo www.osteriadeisaporiperduti.it

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Pré Saint Didier le terme immerse nel ghiaccio

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go

Préle terme Saint Didier immerse nel ghiaccio Testo di Giuseppe Foto Archivio

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Garbarino Terme

’ il luogo ideale per ambientare antiche leggende; qui i draghi potrebbero aver avuto la 72loro dimora nei tempi lontani in cui i cavalieri erranti erano salvatori di giovani donzelle rapite da quei fieri mostri che in qualche modo ancora oggi affollano le menti e gli incubi dell’umana comprensione. Ad una manciata di chilometri da Courmayeur, all’imbocco della Valdigne, si trovano le cascate di quell’orri-

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do stretto tra le rocce è chiamato Gouffre de Verney, un luogo dove negli inverni della Valle d’Aosta trasformano le fredde acque che arrivano da La Thuile in un’unica e superba scultura di ghiaccio dove la natura si diverte ad inventare strane forme di demoni arcaici e colonne senza fine che attirano decine di temerari amanti di una scalata sulla lunga candela di ghiaccio. E’ proprio sotto questa spettacolarità della natura che si trova il centro


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Pré Saint Didier le terme immerse nel ghiaccio

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termale di Pré Sain Didier, un angolo di ovattato relax, soprattutto quando la neve avvolge tutto e i rumori vengono attutiti dal suo candido manto. Terme, relax, le vicine piste da sci del comprensorio del Monte Bianco, tutto a portata di mano per una vacanza di intenso sapore tonificante, basterebbero quelle tre vasche con idromassaggio immerse nella neve a realizzare il sogno di chi vuole passare una serata diversa e allietare il palato con il light buffet a base di prodotti tipici della regione Valle d’Aosta. L’accesso alle antiche terme di origine romana è possibile fino alle 23, un orario adeguato per chi vuole utilizzare il resto della giornata in escursioni e discese sulle piste da sci. Un corridoio sotterraneo è tra gli aspetti più intriganti, il passaggio permette di accedere all’aera dei fanghi termali, mentre nella torre ottocentesca si trova la richiestissima zona massaggi, ma il momento più bello per chi frequenta Pré Saint Didier è quello in cui si passa dal corpo centrale delle terme ai giardini esterni, in un percorso di

acqua calda che ci immerge letteralmente in un’esperienza unica e indimenticabile, soprattutto quando la fortuna di una nevicata ci coglie di sorpresa ma nel caso di bel tempo il panorama verso il Monte Bianco è unico, soprattutto verso il tramonto quando le nevi e i ghiacciai vengono colpite dagli ultimi raggi di sole. Riaperte nel 2005 dopo lunghi anni di oblio, Pré Saint Didier è stato nel passato uno dei centri termali della Val d’Aosta più amati dall’aristocrazia piemontese che passava le vacanza in questa zona. La stessa famiglia reale ha per molto tempo frequentato la località che nel 1838 vide la realizzazione del primo edificio ad uso termale per permettere l’utilizzo delle famose acque calde che uscivano da una grotta. Nel 1888, grazie alla raggiunta popolarità del luogo, venne anche costruito un casinò che contribuì alla diffusione del turismo termale nella valle. Oggi l’edificio del “gioco e del vizio” è diventato parte integrante del centro termale e ospita una serie di particolari aree relax oltre alla “cascata di ghiaccio”,

le docce di Vichy e l’immancabile percorso Kneipp Ma torniamo ad oggi; il benessere del corpo è al primo posto nella tradizione e nella filosofia di questa località. Tra le molte possibilità del percorso termale dobbiamo sicuramente segnalare le molteplici forme di idromassaggi e cascate alle quali alternare saune e bagni di fieno. Eventi esclusivi potranno trasformare il soggiorno nella località in un vero e proprio tuffo in una atmosfera di fiaba ed esclusività, mentre l’illuminazione notturna delle tre vasche esterne ci permette di contemplare il contrasto tra una notte stellata con temperature sotto zero e il vapore che misterioso sale dalla superficie dell’acqua. Per gli amanti della scoperta segnaliamo lo shopping nella vicina Courmayeur e le piste di La Thuile, mentre la natura offre grandi orizzonti e passeggiate in tutte le stagioni. Pré Saint Didier non è solo calore invernale, è anche profumi estivi grazie a quel giardino di essenze nostrane che si propone come un


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Pré Saint Didier le terme immerse nel ghiaccio

ingrediente essenziale della natura circostante e del percorso termale dove è possibile ritrovare gli stessi profumi che ci ha sussurrato la vegetazione durante la passeggiata nei prati intorno all’edificio. Sono la lavanda, la menta, la calendula, tutte piante povere, poco più di erbe che hanno però tantissimo da donare con il loro piccoli fiori che circondano quel cuore di stelle alpine al centro del giardino, un luogo che sembra fatto apposta per riempire il nostro animo di “colori e calore”.•

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www.termedipre.it www.comune.pre-saint-didier.ao.it www.regione.vda.it www.montagneinvalledaosta.com


i fidanzatini di Peynet

Testo di

Teresa Carrubba

La festa di San Valentino ha una storia tenera. Intervista a Raymond Peynet, scomparso novantenne 13 anni fa.

A

nche la casa di Peynet, una deliziosa villetta a Juan-les-Pains, Antibes, sulla costa Azzurra, sembra uscita da una delle

sue romantiche vignette. Una bomboniera piena di cose zuccherose. Vetrine da cui ammiccano vasi, tazze, cuori e scatole di porcellana dipinte con i suoi disegni di Valentino

e Valentina; dappertutto tendaggi, cuscini, trine, table abillĂŠ, paralumi. Su una parete, un enorme quadro portafoto, con vecchi ritratti di famiglia, tra cui quelli della figlia An-

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I fidanzatini di PEYNET

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nie e della moglie, Denise Damour. Me le illustra una per una, quasi con commozione. Mi accolgono in casa, Raymond Peynet e sua moglie, con un sincero piacere dell’ospitalità e mi mostrano tutto, ogni particolare. La loro storia racchiusa in quelle pareti. Poi mi accompagnano nel giardino, piccolo, anch’esso senza spazi liberi, solo fiori, tutti diversi, colorati, profumati. Hanno apparecchiato lì la tavola per il pranzo, un posto anche per me, una bottiglia di champagne già aperta e iniziata. Non la giudico mancanza di bon ton, ma un invito a sentirmi in famiglia. E la tenerezza di quella Coppia mi ci fa sentire davvero. L’uno segue l’altra, con i passi, i gesti, gli sguardi. –Valentino e Valentina-, penso, ecco chi sono! E ne ho la conferma quando, gustando i cibi che mi offrono, chiedo a Peynet : Come nacquero i suoi –fidanzatini-? “ Per caso.” mi risponde con grande naturalezza, quasi aspettasse quella domanda“ Nel 1942, a Valence, schizzai sul mio taccuino la sagoma di un kiosque à musique, un gazebo per concerti che stavo ammirando. Disegnai anche i musicisti e gli unici spettatori: una coppia di innamorati. Lui con capelli a zazzera e bombetta,


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lei con una bionda e femminile coda di cavallo. Naturalmente, abbracciati. In realtà l’ispiratrice del volto di Valentina fu Denise, mia moglie, un omaggio all’amore che provavo per lei. Inviai il disegno all’amico Max Favalelli, allora redattore della rivista -Ric e Rac-. Il disegno fu pubblicato e i due personaggi divennero subito famosi come -Les amoureux-, i fidanzatini di Peynet. Eravamo ancora in guerra e in un periodo storico come quello, non certo idilliaco e felice, Valentino e Valentina rappresentavano la forza dell’amore capace di isolare chi lo vive in un mondo a parte, fatto solo di sogni e di poesia. Ricordo che un giorno, sotto i bombardamenti, vidi una coppia di giovani entrare in un portone e baciarsi appassionatamente, incuranti di quello che succedeva fuori. La vita reale spesso è piena di difficoltà, per questo abbiamo sempre bisogno di sognare. La poesia non è tristezza e solitudine, essa vive tra i fiori e la natura. Io ho scelto di disegnare l’amore e la tenerezza. E Amore, per me, è prendersi per mano e andare a spasso insieme”. Le parole di Peynet, dette, anzi raccontate, come una favola, non mi stupirono neanche un po’, in quel

piccolo giardino, in mezzo ai fiori, nel cuore della Costa Azzurra dalla cui mondanità non era mai stato lambito. Neppure il viso di Denise Damour, ormai mortificato dagli anni, aveva perso l’espressione ingenua e sognante di Valentina, il mitico personaggio da lei ispirato quarant’anni prima. Dalla pubblicazione di quella vignetta del ‘42 la produzione grafica di -Les amoureux- di Peynet fu continua, stampata sui giornali e dipinta su ogni genere di oggetto. Apprezzata e ricercata dagli innamorati che oggi possono ritrovarne la poesia nei due musei dedicati all’umorista: ad Antibes, dove era la sua casa, e a Karuizawa, in Giappone. L’amore dei “fidanzatini” per antonomasia, vive imperturbato da quasi settant’anni e continua ad esercitare su molti di noi, giovani e meno giovani, quel benefico influsso dei sentimenti che ogni anno, il 14 di febbraio, si rinnova con fresca ricorrenza. C’è qualcosa nell’aria, in quel giorno che ingentilisce gli animi e trasforma due persone che si amano nella tenerissima coppia, Valentino e Valentina, creati dalla romantica mente dell’umorista Raymond Peynet, dai quali appunto deriva la tradizione della festa. Pe-

rennemente incollati l’uno all’altra, i fidanzatini di Peynet vivono in un mondo bucolico disegnato da cuoricini alati, margherite da sfogliare, cupidi con freccia galeotta, casette costruite sull’albero, cieli stellati e spicchio di luna. I due, che ammiccano mielosi dalle infinite vignette, da statuine, porcellane, scatole di cioccolatini e gadget di ogni tipo, sono rimasti l’emblema dell’amore pulito e duraturo. E -Le Kiosque des Amoureux de Peynet- è diventato monumento storico. Peynet nasce a Parigi, nel 1908, da una famiglia di commercianti. Viene ammesso al Germain Pilon, poi diventato Istituto di Arte Applicata all’Industria, ed è uno dei fratelli Lumière a consegnargli il diploma. La sua prima occupazione è in uno studio di pubblicità e, in seguito, frequenta un decoratore. Infine trova lavoro presso la tipografia grafica Tolmer dove realizza manifesti, illustra scatole per prodotti, disegna l’espositore e il cofanetto del profumo Succès fou di Elsa Schiapparelli. Contemporaneamente, Peynet è impiegato come disegnatore satirico, realizza scene e costumi teatrali, illustra libri. Muore a 91 anni, il 14 gennaio 1999.•

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LORENZO VILLORESI l’alchimia di un profumo ad hoc

Lorenzo Villoresi

l’alchimia di un profumo ad hoc

Testo di

Teresa Carrubba

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L

a malìa esoterica del profumo rapisce l’uomo fin dagli albori delle prime civiltà. Ne inebria i sensi e ne accende la fantasia. Il profumo compie il miracolo del ricordo, dei tempi e dei luoghi che ritornano dal passato in un istante. Il profumo lancia messaggi te-

neri o maliziosi, lievi o aggressivi. Il profumo è un’”arma” che va scelta con cura, calibrata con la nostra personalità. Deve starci addosso perfetto come un guanto. E’ per questo che una cerchia crescente di amatori non si rivolge al profumo commerciale, ma esige una fragranza ad hoc, in esclusiva.


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quello occidentale. Esiste un rapporto con il corpo più morbido, aperto e disinvolto verso le essenze odorose”. E a Lorenzo Villoresi chiediamo qualcosa in più a proposito del profumo su misura: Qual è il senso di un profumo personalizzato? E’ la possibilità per una persona di creare una fragranza che rifletta i propri desideri e personalità. C’è chi desidera un profumo che corrisponda ai propri gusti senza interessarsi minimamente dell’effetto che avrà sugli altri e chi invece è molto preoccupato del messaggio che può inviare all’esterno. Il profumo su misura può esprimere la personalità, ma può esserne anche l’esatto contrario, come un abito psicologico che si vuole indossare - perché no? - anche per divertirsi una sera. Dove, se non a Firenze, la cui profumeria rinascimentale promossa dalla raffinata Corte de’ Medici divenne la più prestigiosa d’Europa, poteva operare il più geniale creatore di profumi personalizzati, conosciuto in tutto il mondo? In un suggestivo studio in via de’ Bardi 14, le cui finestre si aprono sul Ponte Vecchio e sulla cupola-gioiello del Bru-

nelleschi, Lorenzo Villoresi crea profumi in esclusiva, in base ai desideri degli appassionati. Studioso di filosofia antica e filologia biblica, fortemente attratto dal mondo orientale, Villoresi sente nascere in sé la passione per i profumi proprio in Oriente dove, come lui stesso dice: “C’è un gusto e un godimento sensuale per le fragranze diverso da

Che tipo è chi chiede una fragranza in esclusiva? Le persone interessate a una fragranza su misura danno molta importanza al profumo in generale e in particolare a quello personale. A volte alla ricerca di un profumo perduto che si vuole ritrovare, altre volte alla ricerca di un profumo

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LORENZO VILLORESI l’alchimia di un profumo ad hoc re la fragranza personalizzata. Si beve qualcosa nello studio in assoluta tranquillità, parlando: nessun disturbo, né campanello, né telefono, in compagnia di centinaia di flaconcini di essenze. Solo in un’atmosfera di pace e senza fretta, con la dovuta concentrazione, si può entrare in una dimensione dove gli odori dei ricordi o i profumi sognati sono il filo conduttore della conversazione. Ogni tanto si può ricorrere all’aiuto di uno dei flaconi di essenze, per verificare la corrispondenza tra un’idea (una parola) e un odore. Spesso si va indietro nel tempo, perché l’olfatto, tra i sensi, è quello più legato alla memoria. Lo stimolo di un odore della natura, ad esempio, può aprire le porte della libertà e della fantasia. La persona comincia ad evocare le note odorose che le sono familiari o che le piacciono, spesso con l’idea di comporle, mettendole insieme nelle dovute proporzioni, secondo un mosaico ideale. A volte si inizia parlando degli odori che piacciono in sé, nell’ambiente, per poi passare a quelli che si vorrebbero su di sé. Il profumo, dunque, nasce con un progetto... Certamente. Partendo da un tema, si sviluppa l’idea odorosa, quindi si cercano le sostanze aromatiche per ricostruirla. Si cerca di riprodurre le sfaccettature di un’atmosfera immaginata. La parte più interessante è proprio il percorso fatto con la persona, dai ricordi ai desideri, per giungere alla creazione del profumo personale, quasi un processo alchemico dalla materia indefinita alla preziosa realizzazione di un’idea-sogno..

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immaginato che rifletta la propria idea di sé: “questo profumo sono proprio io”. C’è poi chi cerca nel profumo un filtro magico per risvegliare l’attenzione del partner.

Come procede per la creazione di un profumo? Si prende un appuntamento sapendo di avere un certo tempo a disposizione, circa 2-3 ore, per definire e poi crea-

Il creatore di profumi deve avere determinate qualità? La memoria per gli odori si può educare. L’olfatto può essere esercitato memorizzando e associando determinati odori a una serie di semplici concetti “familiari”, espressi con terminologia personale. Ad esempio l’odore del galbano associato ai profumi dei papaveri di campo, quello del cumino legato al curry e così via. Ugualmente importante è la memoria matematica, per creare e ricordare pesi, formule e proporzioni. Il profumiere in senso stretto, è in genere una persona isolata che insegue


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un’idea e cerca di realizzarla provando e riprovando. Possono volerci anche degli anni. Quanto costa un profumo su misura? Il costo parte da 3600 Euro, che comprendono la preparazione della fragranza personale e di un corredo di prodotti scelti dalla persona in base ai propri desideri e preferenze: di solito si tratta di alcuni flaconi di profumo – anche in concentrazioni diverse, ad esempio da giorno e da sera – e prodotti da bagno e per il corpo. Abbiamo un vero e proprio “menu” dal quale scegliere, senza contare la possibilità di aggiungere, una volta in atelier, flaconi da collezione in cristallo e argento o astucci da viaggio in cuoio. Altro dettaglio importante, alla fine della sessione la persona porta già con sé il proprio profumo. La formula inoltre, rimane nei nostri archivi a esclusiva disposizione della persone per la quale è stata preparata, l’unica che in qualsiasi momento, anche da lontano o a distanza di tempo, può chiederci di prepararla nuovamente.•

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Iperborea Il sogno dell’età dell’oro quando non c’erano le ombre. Un luogo incantato e luminoso dove non scende mai la notte. La memoria ancestrale dell’era solare. La visione dell’età della luce e della giovinezza del mondo. Là, al di là del vento di Borea, oltre l’isola del Sole e le montagne misteriose dei Rifei, dove le brezze oceanine portano l’aroma fresco della schiuma del mare, volano schiere di candidi cigni cantanti e vivono in armonia e salute uomini e donne famosi per i leggendari prod igi, di tutti gli esseri viventi i più fieri: hanno

gli occhi nelle stelle e l’anima nel mare, hanno per casa boschi e foreste sull’acqua, lontano dalla terra, tra i flutti marini. Là, nella perenne primavera, il fresco vento di settentrione porta il profumo radiante di calici sboccianti, di fiori mai visti, che nascono tra la neve lungo le pareti scoscese dei monti e sotto la rugiada del mattino, alla ricerca del primo raggio di sole. E sopra lo specchio bianco del cielo e della terra, si riflettono i colori infiniti e cangianti dell’aurora boreale, i riverberi dorati, smeraldo e cremisi e i riflessi argentati dei ghiacci di Thule. Lorenzo Villoresi

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LORENZO VILLORESI l’alchimia di un profumo ad hoc

S

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Profumi e Musica

e debbo accostare l’attività di ricerca e di creazione dei profumi ad un preciso ambito artistico, non posso che riferirmi alla musica. La prima affinità consiste nella identità terminologica che esiste tra le singole componenti di un profumo e quelle di un accordo o di un’armonia: entrambe sono dette “note”. Infatti, così come con un gruppo di essenze o di sostanze aromatiche si può creare una parte e poi l’insieme di un profumo, allo stesso modo con una gamma di note si forma un accordo e con più accordi e note un’ “armonia”. Il tradizionale scaffale sul quale il profumiere allinea i flaconi con le essenze è detto “organo”. Le parti di un profumo e quelle di un pezzo musicale devono essere armoniche e i componenti devono essere “accordati”, ciascuno nella sua misura, e in sintonia, in modo che nessun singolo elemento, in qualsiasi “momento” della partitura, o in qualsiasi fase della evaporazione della fragranza, diventi preponderante in modo indesiderato e quindi spiacevole. In entrambi i casi si tratta di una composizione dove le caratteristiche individuali delle note aromatiche (o degli accordi musicali) lasciano il posto all’importanza del quadro d’insieme, senza venir meno alle loro specificità. Se penso a uno strumento con cui”suonare” sia le note musicali che quelle aromatiche, mi viene alla mente, più che un pianoforte, un violino, ove sono in pratica possibili infiniti semitoni. Se immagino l’armonia di un profumo, la concepisco come un accordo composto da mille note oppure come un’orchestra. Per quanto riguarda i singoli odori, il paragone migliore è forse

quello con i colori: di un aroma, così come di un colore, si possono creare infinite gradazioni. Gli “accordi”, in musica e in un profumo, sono composizioni di vari singoli odori, che si mescolano per produrre nuovi effetti musicali o aromatici. Gli accordi, nei profumi, possono essere composti sia da un numero limitato di note, come in musica, sia da un ampio arco di centinaia di note differenti. In una composizione musicale o aromatica sono importanti le sfumature, che non svolgono un ruolo centrale all’interno dell’insieme, ma servono come supporto per arrotondare e ar-

monizzare gli elementi portanti, per tradurre effetti musicali o aromatici che contribuiscano all’equilibrio, alla completezza e all’originalità del quadro complessivo. Nulla è più impalpabile, per la nostra percezione, del

suono e del profumo. La luce, pur incessantemente mutevole, vive di tempi lunghi, permettendo all’occhio un accomodamento sufficiente a rendere sensibile ogni pur indefinibile effetto visivo. Non così per l’udito e per l’odorato, affidati alla memoria, al decifrare — come una rivelazione — il risveglio di assonanze, concordanze, contrasti sottili, refrattari ad essere fissati, sfuggenti alla definizione. Estrema ambizione decadente, il desiderio di evocare l’uno con l’altro: l’avvolgente melodia di un aroma e la fragranza effusa dalle armonie. Sensualità che sa essere — per chi la possiede e la conosce — arte di comunicazione. Anche la parola, quando è suono, la comprende. Alla parola, dunque, si affida più spesso il compositore per mediare quella sensazione. Come Baudelaire per Debussy, Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir dai Préludes per pianoforte; così D’Annunzio per Pizzetti con La danse de l’amour et de la mort parfumée nella Pisanella del 1913. Presto il suono si stacca dalla poesia per farsi pura sensazione, allusione, evocazione. Debussy percorre questa strada nei Parfumes de la nuit, nella suite orchestrale Iberia. Finché il musicista, non contento dell’evocazione, decide di comporre insieme suoni, profumi e luci. E’ così che, dopo il Prometeo — dove a ogni suono corrispondeva una diversa gradazione di colore — Scriabjn sognò un Mysterium, mai realizzato. Una sinfonia liturgica d’amore sensuale, forma perfetta e riproduzione della natura, fusione di musica e di profumi, di luci e di ciò che di più tangibile eppure misterioso compone la natura.• Tratto da L. Villoresi, “Il Profumo”, Ponte alle Grazie, Firenze 1995


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INTERVISTA AL MINISTRO DEL TURISMO EGIZIANO S.E. MOUNIR FAKRY ABDEL NOUR di/by

Teresa Carrubba Qual è attualmente la situazione in Egitto per quanto riguarda la sicurezza dei turisti? La storia c’insegna che dopo ogni rivoluzione ci vuole del tempo perché un paese ritrovi la sua stabilità. I primi passi verso la democrazia si stanno già muovendo attraverso l’insediamento di un nuovo parlamento ed a giugno prossimo con l’elezione del nuovo Presidente. Siamo certi che a seguito di ciò il paese raggiungerà la completa stabilità. A quali risultati ha portato il progetto di utilizzare i social network come strategia per promuovere il turismo in Egitto? L’utilizzo dei social network come strumento di promozione ha permesso di ottenere risultati positivi in quanto di supporto al contatto del Ministero col mondo virtuale di Internet. Abbiamo dedicato pagine su Facebook, Twitter, etc oltre all’ottimo sito istituzionale www.egypt.travel Si è registrata una ripresa dell’incoming dei turisti, sia europei che arabi? Vedremo la vera e propria ripresa non appena la situazione si sarà stabilizzata e dopo le elezioni del presidente. Al momento naturalmente è in corso una diminuzione nel numero degli arrivi ma dal mio punto di vista e considerando gli eventi accaduti tale decremento è del tutto normale e giustificato.

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Quale influenza potrebbe avere sul turismo internazionale in Egitto la presenza dei Fratelli Musulmani? Per quanto concerne gli effetti che la presenza dei Fratelli Musulmani potrebbe avere sul turismo posso assicurare che il turismo internazionale per l’Egitto continuerà ad esserci. L’industria turistica egiziana è considerata pilastro dell’economia in quanto rappresenta l’11,3% del PIL egiziano. E’ altresì la seconda risorsa procapite nazionale e rappresenta il settore che offre maggiori opportunità di lavoro. Oltre a tutte queste ragioni non potrà esserci

INTERVIEW WITH EGYPTIAN MINISTER OF TOURISM S.E. MOUNIR FAKRY ABDEL NOUR Concerning tourist safety what is the current situation in Egypt? As history teaches us after a revolution time is necessary to find stability. We are moving now first steps towards democracy through the institution of a new parliament and on next June with the election of the new President. We are sure after this the country will reach its whole stability.


alcun potere politico che ignori l’importanza del settore né che ostacoli il flusso turistico per l’Egitto. Anche le dichiarazioni da parte di alcune personalità di spicco dei Fratelli Musulmani hanno garantito che il turismo in Egitto è “intoccabile” e che tutti i turisti sono i benvenuti nel pieno rispetto della loro libertà personale Ci sono delle zone dell’Egitto, come quella che interessa il Mar Rosso, che non hanno subito un calo del flusso turistico a causa degli eventi che hanno coinvolto il Paese? Le aree che hanno maggiormente risentito del calo sono state Il Cairo, Luxor ed Assuan. Nel resto del Paese la situazione è rimasta per lo più regolare. Il piano di incentivi per gli investimenti nel turismo che, tra l’altro, prevede la possibilità di acquistare terreni sulla costa Nord del Paese per la costruzione di resort, sta avendo riscontri positivi? Certo. La costa nord del Paese è una delle aree sulle quali maggiormente ci stiamo concentrando per il suo sviluppo e per posizionarla nelle mappe turistiche internazionali come destinazione turistica di prima classe. Il Mar Rosso ed il Sinai sono già da lungo tempo ben posizionati nell’ambito della mappa turistica mondiale •

What have been the results by using social networks as strategy to promote tourism in Egypt? Using the social networks as a strategy to promote tourism in Egypt has been of a positive effect since it supports linking the ministry with the virtual world of the Internet. We have dedicated pages on Facebook, Twitter,..etc, in addition to a very good website “www.egypt.travel. What could be the effects on international tourism in Egypt with a presence of Muslim Brothers? Concerning the effect on international tourism to Egypt with the presence of Muslim Brothers, I can assure that the international tourism will continue its flow to Egypt . The Egyptian Tourism industry is considered a corner stone of the Egyptian economy since it represents 11.3% of the Egyptian GDP. In addition to this, it is the second resource of hard currency to Egypt and it represents the biggest industry that can afford job opportunities. Upon theses facts, there will be no political power that disregards the importance of this industry or hinder the flow of tourists to Egypt. Moreover, the declarations of some prominent figures of Muslim Brothers have assured that the Egyptian tourism is “untouchable” and all tourists are welcomed in Egypt with full respect to their personal freedom. Has there been a recovery in incoming of both European and Arabic tourists? We will see real recovery as soon as the dust settles down and as soon as we have presidential elections. As for the time being, there is of course a decrease but in my view of all the events taking place, I see the decrease as very normal and justifiable. Are there areas in Egypt, as the Red Sea, that did not record a decrease of tourist flow after the events that occurred in the country? The most affected areas were Cairo, Luxor and Aswan. The rest functioned close to normal. The incentive program for tourism investment giving the possibility to buy land on North Coast of Egypt and Sinai to build resorts, has positive responses? Yes, of course. The White Med or the Northern Coast is one area that we are focusing on to develop and place on the international map of world-class tourist destination. The Red Sea area and Sinai have been well positioned on the world tourism map since a long time.•

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Kaleidoscope

l’Anantara Mui Ne Resort & Spa

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nantara Hotels & Resorts debutta in Vietnam con l’Anantara Mui Ne Resort & Spa. Il gruppo alberghiero thailandese, che conta 17 alberghi in Thailandia, alle Maldive, a Bali e negli Emirati Arabi, ha scelto Mui Ne, una nota località balneare e villaggio di pescatori che dista 200 kilometri da Ho Chi Minh City. Dotato di 89 camere, suite e ville, che riflettono lo stile tradizionale vietnamita, con vista del mare, dei giardini, della piscina o del lago, il nuovo resort si trova su una delle spiagge più belle del Vietnam, poco lontano dalla Baia

di Ke Ga, dallo storico faro, costruito nel 1899, e dal Monte Ta Cu dove è possibile salire in cima sia a piedi che con una funivia. Tutte le camere, suite e ville del resort sono dotate di bagni con vasche in pietra e docce, mentre la villa più grande, la Anantara Two Bedroom Beach Front Pool Villa, sta su due livelli e ha due camere da letto e una piscina privata. Cinque i ristoranti e bar dove si può gustare il meglio della cucina locale ed internazionale mentre un sofisticato menu degustazione viene servito nella cantina Wine Cellar. Per gli ospiti anche il Dining by Design che prevede cene romantiche a lume di

candela in varie località del resort e in molti luoghi incantevoli nei dintorni. Per matrimoni, celebrazioni ed eventi speciali, le quattro sale conference possono ospitare fino a 250 persone. Il Gruppo Anantara fa parte della Global Hotel Alliance, la più grande alleanza di alberghi indipendenti, che comprende anche i gruppi Park Royal, First, Tivoli e Kempinski, tra i 300 alberghi partecipanti che vantano oltre 65.000 camere e si trovano in 51 paesi. Pmf www.anantara.com www.facebook.com/anantara www.gha.com


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nel Network di “Virtuoso”

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Testo di Josée Gontier

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l Pangkor Laut Resort, rinomato a livello mondiale, è stato prescelto dal network “Virtuoso”, leader nel settore dei viaggi di lusso, per essere ammesso tra i partners d’élite. Le destinazioni sono selezionate solo su invito e YTL Hotels è onorato di avere Pangkor Laut Resort tra i pochi resort eletti. I viaggiatori che si avvalgono della consulenza turistica di “Virtuoso” sono considerati tra i più esigenti e raffinati, che prendono in considerazione solo le mete di vacanza più esclusive. Gli esperti creano su misura esperienze di vacanza uniche e indimenticabili, fornendo tutti i vantaggi ed un accesso privilegiato alle località più rinomate. Il lussuoso Pangkor Laut Resort è situato su un’isola privata, a tre miglia dalla costa occidentale della Malesia peninsulare. Una foresta pluviale, che risale a due milioni di anni e si estende su di un’area di 300 acri, funge da sfondo per gli ospiti che arrivano su questa isola tropicale in motoscafo, yacht o elicottero. Gli ospiti potranno entrare in contatto con la natura con l’aiuto del naturalista residente che li guiderà attraverso la flora verdeggiante per osservare la fauna che popola l’isola. Con il dolce sciabordio delle onde sotto la Sea Villa e la Spa ed il paesaggio lussureggiante naturale che circonda le Hill, Garden e Beach Villas, gli ospiti sono attratti dalla bellezza naturale dell’isola con le sue 140 lussuose vil-

le e suite. Si può scegliere tra una miriade di piatti deliziosi da gustare in uno dei sette ristoranti sull’isola e, per un’ indimenticabile esperienza di relax e coccole, si può visitare la pluripremiata oasi vasta quattro acri dello Spa Village, di Pangkor Laut, che offre una variegata gamma di trattamenti rilassanti e rigeneranti in un ambiente tranquillo e sereno. Per chi desidera privacy, lusso ed esclusività, Le “Estate” di Pangkor Laut sono il rifugio perfetto. Esse consistono in otto lussuose proprietà individuali di architettura ispirata al sudest asiatico. Ogni struttura dispone di una esclusiva piscina “Infinity”, una jacuzzi all’aperto ed un padiglione in mezzo a giardini mozzafiato. Alcuni appartamenti offrono anche l’accesso alla spiaggia privata, di Marina Bay. Con un maggiordomo e un cuoco dedicati in esclusiva, a disposizione per soddisfare ogni capriccio, agli ospiti viene offerta un’esperienza unica ed esclusiva.•

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MUSICA per viaggiare

Testi di

Marco De Rossi

Amy Winehouse

Lioness: hidden treasures (Island)

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a storia del rock è un campionario esemplare di morti precoci ed album postumi. L’onda emotiva è un moltiplicatore monetario. Era lecito, quindi, aspettarsi che alla prematura dipartita di Amy Winehouse, che ha fatto le valigie per altri mondi il 23 luglio dell’anno scorso, peraltro uno dei pochi talenti puri emersi in questi anni di magra, seguisse l’album che (forse) avrebbe fatto, se fosse rimasta in vita. Difficile affermarlo, ma difficile anche affermare il contrario. In ogni caso, il papà della ragazza e i suoi due produttori, Mark Ronson e Salaam Remi, sono andati a scandagliare il fondo dell’armadio, diciamo pure a pescare negli “scarti”, hanno recuperato un bel po’ di materiale accantonato o gettato nel cestino, tra cui molte “oldies”, tipo “Our day will come” (Ruby & the Romantics, 1963), il classico “Body and soul” (roba degli anni 30), eseguito in duetto con il vecchio crooner Tony Bennet, “A song fot you” (di quel vecchio capellone di Leon Russel, anni ’60) , omaggio al suo (di Amy) idolo Donnie Heatway, suicidatosi a 33 anni, “Will you still love me tomorrow” (Carole King), “The girl from Ipanema”(Jobim e De Moraes, 1962). Insomma, a conti fatti, di originale, dentro questo cd postumo, c’è ben poco, nulla che faccia capire la direzione che avrebbe preso la Winehouse nel suo (mancato) futuro. Tutto questo, però, nulla toglie alla soffusa bellezza dell’album, all’atmosfera vintage in bilico tra il soul alla Motown e il jazz postbellico, tra gli accattivanti vocalizzi simil-Shirley Bassey, in puro stile “Goldfinger”, e il pop levigato alla Lisa Stanfield. Per essere un testamento, peraltro involontario, “Lioness: hidden treasures” non è niente male. Peccato che rimarrà solo un epitaffio.•

Adele

Live at the Royal Albert Hall (XL recordings)

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er un talento che se ne va, un’altro ne arriva, neanche si fossero messe d’accordo sul cambio. Certo, siamo su livelli diversi, anche sul piano del puro aspetto estetico, ma non si può negare che Adele sia il nome nuovo della musica inglese al femminile (chissà perché, il 90 % dei nuovi talenti sono donne). Trasgressiva, esagerata e maledetta la Winehous, faccino da Esercito della salvezza Adele, londinese, appena ventitreenne. Di fatto, la Winehoude in versione “brava ragazza”. Solo due album all’attivo, contrassegnati dalla sua età (“19” e “21”), con il secondo che l’ha consacrata star di livello mondiale, anche in virtù del tormentone “Rolling the deep”, che ha impazzato nell’etere per mesi, oltre che fungere da colonna sonora allo spot di una nota casa automobilistica. La serata registrata in questo cd (più Dvd, che comprende anche i monologhi fra un pezzo e l’altro, stralciati nel cd) è quella del 22 settembre 2011, in uno dei templi londinesi della musica, la Royal Albert Hall, il palco delle star. Gran bel concerto, da gradimento trasversale. Pop per i timpani fragili, soul e jazz per quelli più raffinati, ma con il plusvalore della orecchiabilità assoluta. Cioè, nessuno usi l’alibi della difficoltà armonica. Strofe semplici per note semplici. A smentire il vecchio adagio che “le brave ragazze vanno in Paradiso e quelle cattive dappertutto”, sta il fatto che, per ora, in Paradiso (speriamo) c’è andata solo la cattiva Winehouse.•


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AA.VV.

The Bridge School concerts 25th anniversary edition (Reprise)

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l vecchio lupo solitario canadese, alias Neil Young, organizza da 25 anni un festival rock benefico, che si tiene in California, a Mountain View, per raccogliere fondi destinati alla scuola per bambini portatori di handicap da lui fondata (Young ha due figli autistici). Su quel palco sono transitati più o meno tutti i grandi del rock, da Springsteen a Paul McCartney, dal Paul Simon ai Pearl Jam, tanto per fare qualche nome. Questo doppio cd (ma c’è anche il dvd) contiene 25 brani estratti dalle scalette delle migliori esibizioni di mezzo secolo di vita del benefit. Un intero campionario della musica di questi ultimi 50 anni, recitata dai protagonisti, spesso in duetti tanto inediti quanto irripetibili. E così possiamo trovare uno Springsteen acustico molto orgoglioso di essere americano (Born in the Usa”, una strepitosa “Country Feedback” dei R.E.M. con Young, Elton John e Leon Russel in “A dream come true”, Tom Yorke (Radiohead) che rilegge la younghiana “After the gold rush”, il beatle McCartney nel classico “Get Back”, e via per chicche da brividi. Tipo: Norah Jones, Crosby Stills Nash & Young, The Who, Brian Wilson, Metallica. La Treccani della musica.•

Sting

Live in Berlin (Deutsche Grammophon)

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he Sting da tempo flirtasse con la musica colta era cosa nota. Prima il jazz (dai tempi di Gil Evans), poi la classica-sinfonica, con la quale si è confrontato di recente. Non è dato sapere perché ogni tanto artisti d’estrazione rock la buttino sul sinfonico (Deep Purple e Procol Harum sono i primi che mi vengono in mente), ma dev’essere un’esigenza mentale irrinunciabile. Non sempre le ciambelle sono riuscite col buco. D’altronde, coniugare linguaggi così diversi non è esattamente come bere un caffè. Sting, che suda classe da tutti i pori, gioca con l’orchestra come se non avesse fatto altro nella vita, anche se le versioni sinfoniche di brani come “Roxanne”, “Every little thing she does is magic”, “Field of gold” e similia (sono 14 nel cd e 22 nel dvd accluso) faranno storcere più di un muso. Ma, quando si parla di livelli d’elezione, basta resettare la mente e predisporsi all’ascolto con il cervello sgombro dai ricordi. Allora questo album, che altro non è che la versione live (Berlino, 21 settembre 2010) dell’album “Simphonicities”, pubblicato la scorsa estate. Che, forse, convinceva meno di questa versione dal vivo. In definitiva, musica “ambient”, per serate intime, possibilmente in buona compagnia.•

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da leggere

Antonio Mazzocchi “A TAVOLA CON LA STORIA”

Avvenimenti,personaggi e ricette che hanno fatto l’Italia

235 pagine 19 euro Minerva Edizioni

Testo di

Mariella Morosi

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uanto la buona tavola ha accompagnato -e forse condizionato fortemente - lo svolgersi di avvenimenti storici? E quanto la storia stessa ha contribuito a modificare gastronomie consolidate o addirittura a dare senso a forme a nuovi piatti? Nel libro “A tavola con la storia” un’accurata ricerca e una puntuale ricostruzione di Antonio Mazzocchi riesce a dare inedite risposte. Scritto in punta di penna, con ironia quanto basta e con sincera partecipazione, è un riuscito tentativo di mettere a tavola anche il lettore. Le ricette originali di piatti antichi sono lo spunto per parlare dei loro importanti consumatori, dal pasticcio di maccheroni di Ferdinando II di Borbone al pollo alla Marengo di Napoleone, dalla zuppa di rane di Leonardo alle raffinate prelibatezze di Salvator Dalì. Sapete che Caravaggio anche a tavola era attento al sapiente gioco dei contrasti e che il suo spirto litigioso si placava davanti ad un piatto di carciofi romaneschi? Rossini è passato alla storia della mu-

sica per il Barbiere di Siviglia ma anche a quella della gastronomia per i suoi Tornedos al foie gras, così come Bellini con la famosissima Pasta alla Norma. Cavour, poi, attribuiva agli agnolotti e al Barolo intriganti potenzialità diplomatiche e Garibaldi sbarcato a Marsala restò stregato dai famosi scampi di Sicilia. Si scoprono in questo bel libro illustratissimo, con immagini d’epoca e foto di piatti, gusti privati e pubbliche virtù, grandezze e debolezze di personaggi su cui la grande storia tace: dal delicato approccio alla tavola delle fascinose Cleopatra e Marlene Dietrich al piacere carnale di D’Annunzio all’assalto di una succulenta bistecca di Chianina. L’autore li inquadra in sette ipotetici tipi di menu: quello regale, l’artistico, il letterario, l’erotico, il musicale e infine nel menu del giorno dedicato ad un’ incursione nella cronaca italiana che si è fatta e si va facendo storia. Sono vicende in cui la narrazione ironica non intacca la realtà storica e il drammatico impatto. Protagonisti sono il Gobbo del Quarticciolo (sembra che un piatto di penne al pepe-

roncino nel 1943 salvò molte vite), un bandito che rapì la figlia del ristoratore Corsetti, re del pesce, scoperto per la sua passione per le ostriche, e infine don Luigi di Liegro e le sue cene solidali. In quest’ultima storia Mazzocchi si fa personaggio -nella vita è un parlamentare impegnato nel sociale, Questore della Camera dei Deputati- e davanti ad un piatto di involtini apprende il progetto del religioso per una casa famiglia destinata ai malati di Aids sostenendolo fino in fondo. Anche questa è una storia che chiama al sorriso. “Sono in tutto venticinque vicende, raccontate -come dice l’autore nell’introduzione- con uno stile ironico, a tratti serio, arricchite con dettagli immaginari, stando ben attenti però a non stravolgerne il senso storico. Re, regine, musicisti, artisti e uomini di azione che ci hanno fatto l’onore di prestarsi a questo gustoso gioco ci perdoneranno sicuramente”. Concordiamo: sono storie da divorare, da assaporare, da bere, da godere metaforicamente con grande divertimento.•


95 Luisa Cardilli, a cura di Marcello Fagiolo La Fontana dell’Acqua Acetosa a Roma La storia, il restauro e il nuovo parco

Silvana Editoriale 2010

Testo di

Luisa Chiumenti

I

l volume narra puntualmente le varie fasi dell’attento restauro che ha portato recentemente la storica Fontana dell’Acqua Acetosa in Roma a quell’aspetto affascinante che tanto ha colpito “artisti e personaggi famosi come Poussin, Goethe e Ludovico di Baviera”. Il rapporto fra architettura e natura, caratteristico già della sua originaria realizzazione avvenuta nel 1661 per volontà del papa Alessandro VII, é stato oltremodo esaltato, inglobando tutta l’area circostante e trasformando il sito in un vero e proprio parco pubblico. Come ricorda Luisa Cardilli nel suo saggio, a differenza di molte altre “acque” già note e frequentate in epoca romana, “ l’Acqua Acetosa dei Parioli” venne nominata per la prima volta solo nel sec.XVI, in un testo di

Andrea Bacci del 1564. E Marcello Fagiolo, sottolineando come ”la fontana dell’Acqua Acetosa” si offra “nella sua veste secentesca come luogo sacrale”, spiega l’importanza del “Genius loci” e la sacralità appunto della fonte e degli alberi”. Se molti sono stati nel tempo gli interventi di manutenzione e tutela della fontana e ancora nel 1900, come riporta una bella foto nel testo (pag.146), si assiste ad una grande affluenza di cittadini alla sua fonte, verso la metà del sec. XX e sempre di più, in tempi recenti, il sito venne dimenticato. Sul finire del secolo però, i numerosi appelli emanati da Associazioni e privati cittadini, hanno portato a fare elaborare e poi realizzare un progetto di restauro. Ed é così che la Fontana dell’Acqua Acetosa si é offerta come uno dei più

importanti interventi di sinergia tra pubblico e privato e in particolare tra Roma Capitale e il Circolo Canottieri Aniene, nel campo dei monumenti cittadini, “per garantire”, come ha sottolineato nell’introduzione al volume, anche il Sindaco di Roma Alemanno, “la gestione, manutenzione e valorizzazione delle aree monumentali dei proprietà dell’Amministrazione Capitolina”. Lungo é stato il percorso in tal senso e non si può non ricordare, con il progettista del restauro, architetto Fracesco Fiorentini, come tutto abbia avuto inizio nel 2003 “quando un sondaggio del FAI ha decretato la fontana come “luogo del cuore”, per essere stato il più votato, a livello nazionale, con l’auspicio di restauro”.•

anno2 n°2 - febbraio 2012




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Noi siamo il relax

Noi siamo l’allegria

Noi siamo l’Egitto

Sentite tutti, Sharm El-Sheikh è tutta sole e luci stroboscopiche. E’ vero, noi abbiamo spiagge fantastiche, lussuosi hotel e una barriera corallina magica, ma quando il sole tramonta, le cose cambiano completamente da queste parti. Qui, qualsiasi gusto abbiate, trascorrerete delle serate davvero uniche in alcune tra le discoteche più famose al mondo. Come deejay egiziano sono davvero fortunato perché posso vedere dal vivo i miei miti, i migliori deejay del momento, dato che insistono ad aggiungere “rocking Sharm” alle loro tappe fisse. Devo andare adesso. Il sole sta tramontando e devo prepararmi per la serata. Ci vediamo presto. Ali

Ci vediamo a

SHARM EL SHEIKH

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