23 06.2014
comitato scientifico Enrico Alleva (presidente) Giulio Ballio Roberto Cingolani Derrick De Kerckhove Niles Eldredge Paola Girdinio Patrizia Grieco Helga Nowotny Telmo Pievani Francesco Profumo Carlo Rizzuto Francesco Starace Robert Stavins Umberto Veronesi
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direttore responsabile Gianluca Comin direttore editoriale Vittorio Bo
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coordinamento editoriale Pino Buongiorno Luca Di Nardo Paolo Iammatteo Stefano Milano Anastasia Milazzo Dina Zanieri managing editor Cecilia Toso redazione Cristina Gallotti collaboratori Simone Arcagni Elisa Barberis Silvia Ceriani Davide Coero Borga Andrea De Benedetti Luis De Carvalho Emanuela Donetti Paolo Ferrari Michele Fossi João Gonçalves Daniela Mecenate Raffaele Oriani Donato Speroni Jan van der Borg Erwin van Tuijl Alessandra Viola Maria Chiara Voci
traduzioni Laura Culver Francesca Mormandi Alessandra Recchiuti Joan Rundo art direction e progetto grafico undesign
rivista trimestrale edita da Codice Edizioni
via Giuseppe Pomba 17 10123 Torino t +39 011 19700579 oxygen@codiceedizioni.it www.codiceedizioni.it
ricerca iconografica e photoediting white infografiche Centimetri distribuzione esclusiva per l’Italia Messaggerie Libri spa t 800 804 900
© Codice Edizioni Tutti i diritti di riproduzione e traduzione degli articoli pubblicati sono riservati
Oxygen nasce da un’idea di Enel per raccontare la continua evoluzione del mondo
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sommario
Brasile Una sfida a tutto campo
10 ˜ editoriale
30 ˜ contesti
52 ˜ intervista a
La forza del Brasile di Francesco Starace
Pernambuco: la nuova locomotiva del Nordest di Chico Santos
L’Italia che c’è in Brasile di Daniela Mecenate
12 ˜ scenari E pur si muove! Il gigante si rimette in moto di George Vidor
È sulla bocca e nell’immaginario di tutti: il Brasile è il paese protagonista di questi ultimi mesi. Sede dei Mondiali 2014, ha gli occhi di mezzo mondo puntati addosso, e non solo per ragioni calcistiche. Dopo essere stato invidiato per lo sviluppo economico degli ultimi anni – mentre sull’Occidente pesava la crisi –, oggi la sua esplosione vive un momento di assestamento, generando ovunque preoccupazioni, ipotesi, aspettative, soprattutto perché in concomitanza di due eventi mondiali: la Coppa e le Olimpiadi. Oxygen racconta il presente di questo paese dai grandi contrasti, luogo di ricchezze immense forse a rischio, che esporta di tutto e deve importare moltissimo, che cresce e si arresta, che festeggia e protesta. Una nazione di cui tutti hanno un’immagine forte, ma che in pochi conoscono davvero. Il paese degli eccessi e delle grandi passioni, come quella del calcio mondiale che, dopo 64 anni, è tornato in terra brasiliana.
Con la sua estensione territoriale, la ricchezza, la varietà delle risorse e una densità demografica senza pari, il Brasile ha un enorme potenziale. Dovendo però gestire equilibri delicati e trovandosi a combattere contro i propri limiti, negli ultimi anni ha alternato momenti di crescita e di assestamento. Ma le prospettive sono più luminose che nebulose.
18 ˜ passepartout Un paese al lavoro
20 ˜ scenari Il futuro brasiliano è già scritto di Roberto Da Rin
× Una sfida a tutto campo ×
Politiche contro la fame, a favore dei consumi e degli investimenti: da Lula in poi le cose hanno cominciato a prendere una piega diversa, creando una nuova classe media. E l’attuale Presidente Dilma Rousseff ha seguito in gran parte le orme del suo predecessore. Il paese ha così ricominciato a respirare, lasciandosi alle spalle le difficoltà del passato.
26 ˜ contesti Il Dottore e il Presidente Storia di un’amicizia politica di Marco Mathieu Il calcio non è solo uno sport. In Brasile, sul campo si giocano partite che vanno ben oltre i gol messi in rete. Come quelle capitanate da Sócrates, fuoriclasse del pallone negli anni Settanta e grande amico di Lula, con cui ha condiviso la passione per il Corinthians e che, come l’ex Presidente, è stato per molti brasiliani una guida verso il riscatto sociale.
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Il Nordest brasiliano, zona tra le più povere del paese, trova tra i suoi confini un’eccezione, lo stato del Pernambuco. Grazie a una strategia per l’attrazione degli investimenti stranieri e alla gestione di Eduardo Campos, ha saputo risollevare la propria economia.
34 ˜ approfondimento Una bandiera tra le stelle di Stefano Milano
36 ˜ intervista a
natalia viana
Occupy Brazil di Raffaele Oriani Assegnati in un momento di crescita economica, Mondiali e Olimpiadi si svolgono in un paese che vive oggi un rallentamento nello sviluppo. Per questo gli investimenti massicci per sostenerli non sono più visti di buon occhio da una popolazione in difficoltà.
42 ˜ data visualization Il costo del benessere
44 ˜ approfondimento
raffaele trombetta
Viaggio nel paese verdeoro, in giorni di fermento internazionale e a pochi mesi dall’appuntamento con le urne. Ci fa da guida l’Ambasciatore italiano, che racconta una nazione dai mille volti e dai tanti contrasti.
56 ˜ approfondimento Spazio a nuovi mercati di Angela Zoppo I numeri dell’energia in America Latina oggi superano di gran lunga quelli dell’Europa. La ricchezza di risorse, la crescente domanda energetica e il boom di una classe media che chiede servizi rendono questo mercato molto interessante per gli operatori del settore.
60 ˜ intervista a
maurício tolmasquim
Visioni alternative di João Gonçalves Terzo al mondo per potenziale idroelettrico, il Brasile ha un’importante storia di produzione di rinnovabili, grazie soprattutto al patrimonio idrico della regione amazzonica. E oggi il paese sta guardando oltre: sole e vento, legna e canna da zucchero contribuiranno a diversificare le fonti.
Lo scatto dell’energia di Rocco Cotroneo
64 ˜ contesti
Un paese che ha tutto e in grandi quantità. Ma con lo sviluppo economico sono aumentati anche i consumi, e il Brasile è costretto tuttora a importare carburante. Un problema legato a molti fattori, tra cui una certa dose di sfortuna climatica.
vento a 20 nodi di Ben Backwell
50 ˜ passepartout
Nell’ultimo decennio il vento è stato al centro dei pensieri di molti politici e imprenditori brasiliani, che hanno saputo comprenderne il valore e gettare le fondamenta strutturali e normative per sfruttare al meglio l’energia eolica.
Infrastrutture per generare crescita
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68 ˜ approfondimento
88 ˜ opinioni
110 ˜ future tech
Storie di fermenti imprenditoriali di Elisa Barberis
matrice creativa di Domenico De Masi
Social-Mondiali di Simone Arcagni
Radici indigene, contaminazione di culture portoghesi e africane, immigrazione da tutto il mondo. Il paese al centro dell’attenzione economica e mediatica internazionale ha fatto della sua diversità la sua forza.
112 ˜ portfolio
74 ˜ intervista a
ermínia maricato
La città meravigliosa: un’eredità a rischio di Maria Chiara Voci Mondiali e Olimpiadi, come tutte le grandi manifestazioni, dividono l’opinione pubblica, soprattutto per quel che riguarda la gestione dei fondi. Urbanisti, architetti e professori dibattono e alcuni non nascondono le loro preoccupazioni.
78 ˜ speciale enel foundation Rio de Janeiro: la dimensione sociale dell’energia di Luis de Carvalho, Jan van der Borg e Erwin van Tuijl Le grandi città brasiliane, patria di sprechi e irregolarità nel consumo energetico, costituiscono un problema per la distribuzione dell’energia: da loro, e in particolare da Rio, prende il via lo studio di Euricur ed Enel Foundation, che analizza i comportamenti sociali legati al consumo energetico.
82 ˜ scenari Curitiba Una tartaruga veloce e smart di Alessandra Viola Smart city da più di quarant’anni, il successo di Curitiba si basa su concetti, soluzioni e teorie, quelle dell’ex sindaco Jaime Lerner, che hanno reso questa città un magnifico spunto di riflessione per gli urbanisti di tutto il mondo. La città “smart” è quella in cui vita, lavoro, svago e natura non sono separati ma si contaminano a vicenda.
92 ˜ data visualization Terra di ricchezze
94 ˜ contesti Il giro di prova dell’innovazione di Cesar Baima Non solo più meta del turismo esotico, o riserva di grandi risorse: la recente stabilità economica ha permesso al Brasile di investire nella ricerca, per affrancarsi dalle posizioni di coda occupate in passato su scala mondiale. Una sfida che sta già mostrando i suoi frutti.
98 ˜ data visualization Un paese da record
100 ˜ opinioni 2014: l’anno del riscatto Mondiale di Darwin Pastorin Nel 1950 il sogno di una nazione era quasi una certezza: vincere la Coppa. Ma la partita che doveva essere una formalità non andò come previsto. Quest’anno il Campionato del Mondo è tornato in Brasile e la voglia di rivincita è tanta.
106 ˜ approfondimento La scienza nel pallone di Davide Coero Borga Un extraterrestre lo descriverebbe come una forma primitiva di religiosità. Ma per chi ci è cresciuto dentro, il calcio è semplicemente straordinario. E anche la scienza va nel pallone per spiegare le traiettorie impossibili di Roberto Carlos, Messi, Cristiano Ronaldo, Andrea Pirlo.
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130 ˜ intervista a
andréa del fuego
Letteratura da vertigini di Cecilia Toso
118 ˜ intervista a
La letteratura brasiliana, che riscopre lettori, editori e un pubblico appassionato di fiere letterarie, deve in parte la sua rinascita al ritrovato benessere nazionale. E l’offerta non manca, con novità e sperimentazioni, ma anche con tradizioni come quella del rinfrescato realismo magico.
Brasilia, capitale dei contrasti di Michele Fossi
134 ˜ contesti
Street Art Narrazioni Urbane
rainer hehl
Città giovanissima nata a tavolino sul finire degli anni Cinquanta, Brasilia è il luogo d’incontro architettonico tra la vocazione democratica del progetto di Lúcio Costa e le disuguaglianze sociali della nazione, riunite nelle favelas e baraccopoli sviluppatesi spontaneamente intorno alla città.
122 ˜ approfondimento L’albero della ricchezza di Donato Speroni Spesso la consapevolezza che preservare la ricchezza naturale può essere un traino per l’economia arriva tardi: è il caso dell’Amazzonia, in passato sovrasfruttata e sottoposta a stress ambientali. Ma negli ultimi anni si è registrata un’inversione di tendenza.
124 ˜ contesti Tropicalismo, la rivoluzione permanente di Paolo Ferrari I suoi semi erano stati gettati negli anni Trenta, ma è nel biennio caldo ’67-’68 che il Tropicalismo esplode grazie ai giovani musicisti Gilberto Gil e Caetano Veloso. Capace di andare oltre le tradizionali dicotomie nella musica popolare brasiliana, il suo impatto fu enorme, e l’influenza si sente ancora oggi.
128 ˜ oxygen senza confini Metà Africa e metà Nuovo Mondo di Emanuela Donetti
Dietro al carnevale di Alberto Riva Festa popolare e democratica che si animava ambulante per le strade e sfarzosa nel sambodromo, il carnevale brasiliano ha ormai cambiato faccia. Abiti sgargianti, strass e piume sono uno spettacolo di luci e colori riservato più ai turisti che ai locali, e che muove soldi da mezzo mondo.
138 ˜ approfondimento Inhotim: la natura salvata dall’arte di Maria Cristina Didero Tra la foresta pluviale e la savana brasiliana, in una zona dove la biodiversità è tra le più alte del pianeta, sorge un centro per l’arte contemporanea che è anche parco botanico, e che ospita oltre 800 opere e quasi 5000 varietà di piante. Un vero tesoro per lo sguardo.
142 ˜ approfondimento Agribusiness: un mercato che ha radici nella foresta di Silvia Ceriani Agire bene nel campo dell’energia, privilegiando le risorse pulite, non basta al Brasile per considerarsi fuori pericolo a livello ambientale. Il buon esempio che il paese sta dando da qualche anno deve trovare un alleato in politiche che puntino a preservare le risorse.
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oxygen | 23 — 06.2014
Sport, arte, musica, moda, design, industria, cinema. non esiste disciplina nella quale l’italia non sia stata grande. non esiste settore nel quale non abbiamo brillato. Siamo stati sul tetto del mondo, ora è tornato il momento di attaccare in contropiede. E allora
#guardiamoavanti Costruiamo, inventiamo, produciamo, scriviamo. Facciamo qualcosa di cui essere di nuovo fieri. Perché per essere grandi come il nostro passato non serve la nostalgia. Serve l’energia.
insieme con
enel.com
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contributors
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02˜ Cesar
03˜ Rocco
04˜ Roberto
05˜ Andréa
11˜ Marco
Backwell
Baima
Cotroneo
Da Rin
Del Fuego
Mathieu
Darwin Pastorin
Caporedattore di Recharge, rivista e portale sull’industria delle energie rinnovabili, ha lavorato in America Latina come corrispondente estero ed è autore di Wind=Power, the Struggle for a New Global Industry, di prossima pubblicazione.
Giornalista, è redattore di O Globo, dove scrive di scienza, salute e ambiente. Ha lavorato per il Jornal do Brazil, la rivista Veja e TV Globo, occupandosi di diverse aree, dallo sport all’economia, finanza, scienza e tecnologia.
Laureato in International Affairs a New York, dal 1987 lavora al “Corriere della Sera” e dal 1998 vive a Rio de Janeiro, coprendo per il quotidiano milanese tutta l’America Latina e seguendo temi di società, economia e sport.
Giornalista per il Sole 24Ore scrive di economia e politica internazionale. Ha vissuto molti anni a Buenos Aires, dove è stato corrispondente dall’America Latina. È laureato in Economia.
Scrittrice brasiliana, sperimenta varie forme di narrazione, dal libro per bambini, al racconto e al blog. Nel 2011 ha vinto il premio José Saramago con il suo romanzo d’esordio Fratelli d’acqua, edito in Italia da Feltrinelli.
Giornalista di Repubblica, nel marzo scorso ha intervistato Lula e nel 2004, da inviato speciale di Gq, Sócrates, sulla cui figura ha scritto, per la regia di Mimmo Calopresti, il documentario televisivo Sócrates, uno di noi.
06˜ Domenico
07˜ Maria Cristina
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De Masi
Didero
Ferrari
Hehl
Sociologo italiano, è professore emerito di Sociologia del Lavoro alla Sapienza. Ha fondato S3-Studium, società di consulenza organizzativa. Autore di diversi libri, l’ultimo è Mappa Mundi. Modelli di vita per una società senza orientamento.
Curatore indipendente e giornalista freelance, ha scritto per riviste come Domus, Vogue, Officiel Hommes e ha collaborato per oltre dieci anni con Vitra Design Museum. Nel 2011 è stata nominata direttore della Fondazione Bisazza.
Critico musicale, scrive per La Stampa, Torino Sette, Rumore e Il Manifesto. È stato autore e conduttore, tra gli altri, di Planet Rock, Stereo Notte, Suoni e Utrasuoni e Boogie Nights per Radio Rai2.
Architetto e urbanista, ha diretto il Master in Urban Design presso all’ETH di Zurigo ed è guest professor alla TU di Berlino. Curatore di mostre, ha lavorato anche nella favela di Paraisópolis.
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13˜ Alberto
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Starace
Nato in Brasile da genitori veronesi, ha diretto giornali e canali televisivi sportivi, tra cui Tele+, La7Sport e Sky Sport. Attualmente dirige Quartarete Tv ed è responsabile editoriale di Juventus Channel, oltre a essere editorialista dell’Unità.
Ha vissuto molti anni in Brasile, dove ha lavorato per l’agenzia di stampa TmNews. È autore di Seguire i pappagalli fino alla fine (Il Saggiatore) e del romanzo Sete (Mondadori). Scrive su Il Venerdì e ha il blog L’Osservatore Carioca.
Laureato in giornalismo, è specializzato in energia e macroeconomia. Per la Folha de São Paulo si è occupato della privatizzazione del 1990, e per Valor Econômico ha firmato importanti reportage.
Amministratore Delegato e Direttore Generale di Enel da maggio 2014, è stato AD di Enel Green Power. Laureato in Ingegneria Nucleare al Politecnico di Milano ha ricoperto ruoli in società del gruppo GE e ABB, prima di giungere in Enel nel 2000.
16˜ Maurício
17˜ Raffaele
18˜ Natalia
19˜ George
20˜ Angela
Maricato
Tolmasquim
Trombetta
Viana
Vidor
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Docente di architettura e urbanistica a San Paolo, è stata autrice delle proposte per l’area urbana delle candidature di Lula, segretario esecutivo del Ministero delle Città e consulente per UN-Habitat, il programma per gli insediamenti umani.
Presidente dell’Impresa di ricerca energetica (EPE), si è specializzato presso l’Università federale di Rio de Janeiro e si è laureato in Economia sociale dello sviluppo presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.
Ambasciatore d’Italia in Brasile dal 2013, ha intrapreso la carriera diplomatica nel 1985 e da allora ha ricoperto diversi ruoli di prestigio. Nel 2011 è stato insignito dell’Onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica.
Brasiliana, in dieci anni di giornalismo indipendente ha collaborato con la BBC, il Guardian, l’Independent e ha fondato l’agenzia Pública. Si occupa di politica, ambiente e diritti umani e si è occupata dei preparativi ai Mondiali.
Laureato in economia, si è dedicato al giornalismo, affrontando perlopiù temi economico-finanziari. Commentatore del canale tv Globonews ed editorialista di O Globo, dove firma una rubrica settimanale, è anche professore universitario.
Laureata in giurisprudenza è giornalista. Dopo esperienze alla Rai e per testate economiche, dal 2000 è nella redazione di MF-Milano Finanza. Attualmente è capo servizio, e si occupa di energia, difesa e trasporti.
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editoriale
la forza del brasile di Francesco Starace Amministratore Delegato e Direttore Generale di Enel
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Mondiali di calcio sono solo un motivo in più per tenere sotto i riflettori il Brasile. Economia, ambiente, energia, politica regionale e globale: il “fattore B” delle nuove dinamiche geo-strategiche, ora che persino l’acronimo BRICS sembra appartenere a un recente passato, è imprescindibile per chi assume il mercato globale come orizzonte delle proprie attività. Questo numero monografico è dedicato a evidenziare l’interesse e le potenzialità di un paese in cui anche Enel vede l’opportunità strategica di agganciare una crescita profonda, destinata da un lato a durare – per peso e dimensioni dei fattori in gioco – dall’altro a condizionare modi, tempi e qualità della propria presenza in tutto il Sud America. Calcio e Brasile sono da sempre sinonimi. La verità, tuttavia, è che questi Mondiali non sono solo un’edizione da vincere a tutti i costi, ma la vetrina per presentarsi al mondo. Insieme alle Olimpiadi del 2016, assumono infatti un forte signifi-
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da, dal 2011 l’economia brasiliana si trova ad affrontare una fase di rallentamento rispetto agli anni passati, con un crescita stimata per il 2014 intorno all’1,8%. Le cause sono riconducibili non tanto alla crisi economico-finanziaria, che ha influito in maniera marginale sul Brasile, quanto a una serie di problemi strutturali che hanno finito per provocare le manifestazioni di protesta dell’estate scorsa, principale esternazione della “crisi delle aspettative”, come dice Moisés Naím, della classe media brasiliana. Una fascia di popolazione che negli ultimi anni è cresciuta sensibilmente e che oggi rappresenta il 53% della popolazione totale, pari a oltre 100 milioni di cittadini, gode del maggiore benessere dovuto alla recente crescita, e reclama non posti di lavoro, ma nuovi diritti civili e sociali, trasparenza, servizi efficienti e lotta alla corruzione. Manifestazioni, queste, che sono però anche un segnale della vitalità e dell’irreversibilità del processo socioeconomico avviato nel paese. Tutto ciò rappresenta una sfida, ma allo stesso tempo un’incredibile opportunità che, se affrontata con l’approccio sistemico adottato negli ultimi lustri, permetterà al Brasile di ritornare a essere il paese “dello sviluppo e dell’inclusione”. Un segnale in tal senso viene dal Piano Brazil Mayor il cui slogan “Innovare per competere, competere per crescere” rende bene il senso del cammino orientato alla crescita, all’innovazione e allo sviluppo che il governo brasiliano intende percorrere. I presupposti perché ciò avvenga esistono: ricchezza di risorse naturali, dinamismo e potenziale ancora inespresso rendono il Brasile il terzo al mondo per investimenti esteri, dietro solo a Stati Uniti e Cina. Un’opportunità anche per Enel se si considera che, secondo le stime del World Energy Outlook del 2013, la domanda di energia elettrica continuerà ad aumentare a una media del 4% all’anno, pari a una necessità di circa 4,3 Gigawatt (GW) di nuova capacità di generazione. La crescente domanda di energia renderà necessario mantenere alti livelli di investimento al fine di sviluppare nuova capacità di generazione, ampliare la presenza nella distribuzione e migliorare la qualità dell’infrastruttura elettrica; ciò anche in considerazione di alcuni trend climatici (legati soprattutto alla piovosità in aree strategiche) che iniziano a essere presenti nella pianificazione delle autorità
e delle grandi aziende pubbliche del paese. Sul lato della nuova capacità di generazione, le rinnovabili sono destinate a ricoprire un ruolo di primo piano perché sono la risposta sostenibile all’incremento dei consumi di energia determinati dalla rapida crescita economica e demografica. Oggi il Brasile è già uno dei paesi più “verdi” al mondo con oltre il 70% di energia prodotta da fonte idroelettrica, e a questa fonte, il cui sfruttamento attualmente trova ostacoli nella carenza di infrastrutture sul territorio– in particolare linee di trasmissione –, si è aggiunto negli ultimi anni il contributo di altre, come il solare, e soprattutto l’eolico, che in Brasile compete pienamente con le fonti tradizionali. A favorire gli investimenti nel settore è stata anche la presenza di un quadro normativoregolatorio affidabile, caratterizzato da un efficiente meccanismo di gare pubbliche competitive che nel mondo ha fatto emergere per la prima volta e in maniera inequivocabile l’estrema competitività delle fonti di energia rinnovabile. Un’occasione che Enel, con Enel Green Power, ha saputo cogliere, aggiudicandosi contratti per la fornitura di energia prodotta mediante lo sviluppo di 510 Megawatt (MW) di nuova capacità, tra eolico, idroelettrico e solare che si aggiungeranno ai 266 MW di capacità rinnovabile già installata. Questo per il nostro Gruppo non è che un inizio. Fonti rinnovabili, efficienza energetica e innovazione rappresentano i driver di sviluppo di un paese che vuole crescere in maniera sostenibile. Per questo la nostra sfida è portare in Brasile non soltanto investimenti ma il know-how, le competenze e le tecnologie che ci rendono leader mondiali, come nel caso delle smart grid. Búzios, la prima smart city dell’America Latina, costituisce il primo esempio di questo impegno volto a coniugare la crescita economica con il pieno rispetto delle nuove sensibilità ambientali e sociali. Un impegno che Enel promuove anche attraverso le proprie politiche di corporate social responsibility, come il progetto Ecoelce e il Barefoot College, piano di formazione di capacità tecnico-imprenditoriale femminile, che rientrano in Enabling Electricity, il programma che Enel ha intrapreso sotto l’egida delle Nazioni Unite e che ha come obiettivo quello di garantire il diritto all’energia anche a chi vive nelle zone più disagiate.
Il Brasile vuole dimostrare che il proprio modello di sviluppo e inclusione rappresenta ancora, nonostante le recenti criticità, la leva per rilanciare la crescita e la chiave per diventare uno dei maggiori player internazionali
cato geopolitico per il Brasile, che ha affermato con forza la propria identità e il proprio ruolo a livello internazionale. Il Brasile vuole dimostrare che il proprio modello “di sviluppo e inclusione” rappresenta ancora, nonostante le recenti criticità, la leva per rilanciare la crescita e la chiave per diventare uno dei maggiori player internazionali. Le politiche realizzate negli ultimi 20 anni dai presidenti Cardoso, Lula e Rousseff lo hanno reso la settima potenza mondiale in termini di PIL, riuscendo al tempo stesso a garantire elevati tassi di crescita, attrarre investimenti esteri, portare la disoccupazione al di sotto del 6% e consentire a circa 40 milioni di persone di uscire dalla povertà. Risultati ottenuti in un quadro di stabilità politica e normativo-regolatoria che ha favorito un clima di fiducia diffusa sia all’interno sia all’esterno del paese. Tuttavia, nonostante gli sforzi del governo Rousseff per proseguire su questa stra-
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scenari
E pur si muove! Il gigante si rimette in moto di George Vidor Giornalista economico
Con la sua estensione territoriale, la ricchezza, la varietà delle risorse e una densità demografica senza pari, il Brasile ha un enorme potenziale. Dovendo però gestire equilibri delicati e trovandosi a combattere contro i propri limiti, negli ultimi anni ha alternato momenti di crescita e di assestamento. Ma il gigante, questo è certo, non è addormentato, e le prospettive sono più luminose che nebulose.
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e pur si muove! il gigante si rimette in moto |
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tanti giovani tra i 20 e i 30 anni come ne abbiamo avuti nel 2010, perché d’ora innanzi questa fascia di età si restringerà, tanto in termini relativi quanto in numeri assoluti. È quindi un’opportunità per investire nella qualificazione professionale, nella produttività del lavoro e nelle diverse fasi dell’insegnamento. Negli anni Novanta, la sfida è stata quella di universalizzare l’insegnamento, meta quasi del tutto raggiunta; ora bisogna far sì che i bambini e i giovani imparino di più. Possiamo dire che nel caso dell’insegnamento pubblico le evoluzioni sono state percepite dal momento in cui i bambini hanno anticipato di un anno l’ingresso a scuola (e anche la cosiddetta pre-scuola si è moltiplicata). In varie regioni, circa il 60% dei bambini arrivava al quarto anno dell’insegnamento obbligatorio come analfabeta funzionale, senza dominare la lingua portoghese. Oggi, in stati come Rio de Janeiro, Minas Gerais, San Paolo e anche nelle regioni meno sviluppate (Ceará e Piauí), già alla fine del secondo anno, ed entrando un anno prima, più del 70% dei bambini padroneggia la lingua. Da paese rurale e analfabeta fino a metà del ventesimo secolo, il Brasile è
Il Brasile è passato attraverso una transizione demografica molto rapida. Nei prossimi vent’anni, il paese avrà il maggior numero di persone che produrranno, consumeranno, risparmieranno e investiranno
I naviganti che arrivano a Rio de Janeiro hanno l’impressione di vedere, da lontano, la silhouette di un gigante sdraiato, a causa del profilo delle montagne vicine alla costa. Tale impressione di un gigante addormentato è stata per decenni, o addirittura secoli, un simbolo dell’economia brasiliana. Il Brasile da solo è quasi un continente (8,5 milioni di chilometri quadrati): uno dei cinque maggiori paesi al mondo per territorio e uno dei più popolosi, con circa 200 milioni di abitanti e un litorale che misura 13.500 chilometri. L’economia brasiliana era un gigante addormentato perché dipendeva solo da pochi prodotti: inizialmente l’albero pau brasil, poi lo zucchero, l’oro, il cotone, la gomma e il caffè, alle cui vendite all’inizio degli anni Settanta corrispondeva ancora più del 40% delle esportazioni nazionali. La maggior parte delle attività economiche è rimasta concentrata in una fascia che arriva fino a 200 chilometri dalla costa. L’espansione verso l’interno ha avuto, di fatto, uno stimolo solo a metà del secolo scorso, aiutata dal trasferimento della capitale federale da Rio (che mantenne tale status per oltre duecento anni) a Brasilia, città costruita dal nulla, nel mezzo di un immenso cerrado, la savana tropicale del Brasile, nel Planalto Central. 014
Senza trasporti ed energia, l’economia brasiliana era titubante, alimentando l’anticonformismo del nostro immaginario popolare: “Il Brasile non si sviluppava perché non glielo lasciavano fare...”, come se il resto del mondo cospirasse contro di noi, spaventato dalle potenzialità del paese. Tale sentimento nazionalista e arcaico resiste tuttora in alcune correnti d’opinione con un’influenza politica sufficiente a frenare (indipendentemente dall’origine del capitale) gli investimenti privati, capaci di sollevare il gigante addormentato. Intanto, come direbbe Galileo, «E pur si muove!». Anche con tutti questi ostacoli, il paese si è mosso e, nel bilancio dei punti positivi e negativi, l’economia brasiliana ha una prospettiva più promettente che nebulosa, nonostante la bassa crescita degli ultimi anni abbia causato amarezza e pessimismo tra i ceti imprenditoriali. I problemi che devono essere affrontati non sono insolubili e possono essere superati in un periodo relativamente breve. Il Brasile è passato attraverso una transizione demografica molto rapida. Nei prossimi vent’anni, il paese avrà, in termini assoluti, il maggior numero di persone che produrranno, consumeranno, risparmieranno e investiranno. Invece che a una piramide, il nostro profilo demografico assomiglia più a un vaso, con una base che si restringe poco a poco. Non avremo mai più
Jogar capoeira Sport nazionale brasiliano dal 1974, la capoeira ha radici nei rituali degli schiavi africani deportati dai portoghesi. Spesso scambiata per una danza per la fluidità dei movimenti e la presenza della musica, è in realtà un’arte marziale con diversi stili a seconda del ritmo scandito dai suonatori.
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diventato urbano. Più dell’84% dei brasiliani vive in città. Metà della popolazione si concentra in appena 100 città, sebbene il Brasile abbia più di 5000 municipi. L’ingrossamento delle regioni metropolitane, che ha causato tanti problemi, fortunatamente si è arrestato: ciò lascia lo spazio necessario per esaminare la sfida della sicurezza pubblica e superare le carenze nelle infrastrutture per il trasporto, le abitazioni, la salute, i servizi igienici di base, ecc. Se l’economia non si espande, o meglio, non crea dei profitti, il Brasile non potrà però sostenere molte delle conquiste, sociali in particolare, raggiunte a partire dal programma di stabilizzazione monetaria e del lancio del real nel 1994. L’economia brasiliana ha varie carenze strutturali, tra cui un tasso di risparmio interno insufficiente a finanziare gli investimenti che il paese necessita per aumentare, in maniera competitiva, la propria capacità produttiva. Il settore pubblico è quello che meno contribuisce a tale tasso di risparmio. Il deficit pubblico nominale si è invece ridotto significativamente, mantenendosi così a lungo da poter far invidia agli ideatori del Trattato di Maastricht, che ha dato vita all’euro. Tuttavia, date le responsabilità dirette che il settore pubblico ha sulle infrastrutture, tale difficoltà di risparmio impedisce che gli investimenti avvengano nel rispettivo segmento al ritmo che il paese necessita. Perfino con un’economia che cresce poco, la domanda repressa di infrastrutture è tale che sarebbe possibile procedere in quest’area anche nel caso in cui tutte le altre rimanessero ferme. Anche se ci ha messo molto a svegliarsi, il governo alla fine ha capito che è molto meglio condividere tali investimenti tramite le concessioni dei servizi pubblici, che si tratti di trasporti, energia, servizi igienici o telecomunicazioni. In questi settori il Brasile ha una serie di investimenti in corso o prossimi alla partenza, proprio perché ha cominciato ad attrarre investitori privati (istituzionali, finanziari, corporativi) per le concessioni o le collaborazioni. E c’è ancora molto spazio che può essere occupato da tale modello, che potrà progredire più rapidamente se i limiti normativi si perfezioneranno in maniera realistica. 016
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Nel settore delle infrastrutture il Brasile ha investimenti in corso o prossimi alla partenza, proprio perché ha cominciato ad attrarre investitori privati per le concessioni o le collaborazioni
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Oltre alle infrastrutture, l’economia brasiliana ha altre leve capaci di catapultarla verso il successo, per usare un’espressione oggi molto in voga tra i vicini sudamericani. La maggior parte di queste è lo sfruttamento dello strato di pre-sale nei fondali marini al largo di Rio de Janeiro, San Paolo ed Espírito Santo. Le riserve di petrolio e di gas scoperte nel pre-sale triplicheranno quelle brasiliane: i pozzi già in produzione hanno una produttività ineguagliabile (un solo pozzo è arrivato a produrre l’equivalente di 36.000 barili di petrolio al giorno). È una sfida colossale perché i giacimenti si trovano tra i 100 e i 300 chilometri dalla costa. La profondità marina è dell’ordine di duemila metri e le riserve si trovano a cinquemila metri sotto il fondo del mare. Si stima che solo il giacimento di Libra, recentemente messo all’asta, possa contenere l’equivalente di 12 miliardi di barili di petrolio. Per fare un confronto, le riserve attuali della Petrobras sono pari a 16 miliardi di barili. La seconda leva è il “pre-sale” dell’entroterra, l’agroalimentare. La regione centrooccidentale del Brasile ha costi di produzione imbattibili, ma, per conquistare più mercati, dipende da un miglioramento delle infrastrutture. Ciononostante, il Brasile è oggi il secondo maggior esportatore di soia e il primo di carne bovina, solo per dare un esempio. La terza grande leva è l’attività mineraria. Il ferro è il minerale più presente sulla faccia della terra, ma quello trovato in Brasile ha la qualità sognata dalla siderurgia. Infine, il Brasile è un paese senza nemici. L’Argentina conserva la sua principale arma di difesa, un sottomarino, presso l’Arsenale della Marina di Rio de Janeiro. Per diversi anni i piloti navali del Brasile si sono preparati là, allo stesso modo in cui le migliori truppe dell’esercito argentino hanno fatto le loro esercitazioni nella selva brasiliana. Il Cile comprerà sottomarini che saranno costruiti a Itaguaí, a Rio de Janeiro. È una questione rilevante per chi guarda al Brasile con una visione a lungo termine, senza preoccuparsi solo dei problemi congiunturali. 017
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Capace di scalare la classifica mondiale del PIL assestandosi nel 2011 in sesta posizione (scavalcando persino un paese come la Gran Bretagna), l’economia brasiliana ha subito un arresto negli ultimi anni, senza abbandonare però la strada dello sviluppo. Il Brasile sa su che cosa puntare: il 67,5% del PIL è generato dal settore terziario che dà lavoro – se si considerano solo commercio, trasporti e servizi finanziari – a oltre quindici milioni di persone. Non sono molte le aziende straniere e nazionali che detengono il potere economico del paese, e le prime cinque di proprietà brasiliana sono responsabili da sole di oltre duecento miliardi di dollari di fatturato. Un numero simile è quello generato dal mercato delle esportazioni: qui l’agricoltura gioca un ruolo rilevante con prodotti come carne (bovina e avicola), canna da zucchero, soia e succhi di frutta. E poi c’è la carta dei Mondiali, che porteranno oltre mezzo milione di turisti per un introito previsto di più venti miliardi di euro. E tra due anni l’appuntamento è quello con le Olimpiadi che confermano l’impressione che il Brasile non abbia nessuna intenzione di fermarsi.
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SETTORE MINERARIO
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I minerali (ferro, bauxite, rame e oro) rappresentano il 20% delle esportazioni del Brasile. Il ferro contribuisce per il 15%. Il Brasile è anche il terzo produttore mondiale di bauxite, e il sesto più grande produttore di alluminio.
Il Brasile è tra i leader del settore aerospaziale. Embraer, azienda costruttrice di aeromobili, è terza al mondo per forza lavoro con quasi 17.000 dipendenti. Ora sta progettando il primo satellite geostazionario del paese. Il settore quest’anno crescerà del 9,5%.
20,3
miliardi di euro l’introito complessivo stimato dai settori turistico e alberghiero
47.900 nuovi posti di lavoro
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scenari
il futuro brasiliano è già scritto articolo di Roberto Da Rin Giornalista, corrispondente dal Sudamerica
Politiche contro la fame, a favore dei consumi e degli investimenti: da Lula in poi le cose hanno cominciato a prendere una piega diversa, creando una nuova classe media. E l’attuale Presidente Dilma Rousseff ha seguito in gran parte le orme del suo predecessore. Il paese ha così ricominciato a respirare, lasciandosi alle spalle le difficoltà del passato e si presenta più forte alle elezioni presidenziali di ottobre. Ripartire dai consumi e rilanciare l’intera economia. Consumi e investimenti, per la verità. È stata questa la scelta economica del Brasile di Luiz Inácio da Silva, detto Lula, e poi di Dilma Rousseff, l’attuale Presidente, che si ricandiderà alle elezioni del prossimo ottobre. E pensare che Lula, 12 anni fa, alla vigilia della sua prima vittoria alle presidenziali, era temuto dai mercati, odiato dagli imprenditori e osteggiato dalla classe media. Pochi anni dopo, da leader del paese, veleggiava attorno all’80% dei consensi: un record assoluto. Per gli analisti politici e per gli economisti la spiegazione è una: crescita dell’economia coniugata con politiche attive di solidarietà rivolte ai poveri. L’economia brasiliana, negli ultimi anni, ha inanellato molti punti a favore, tra cui quello di aver saputo resistere alla crisi finanziaria che ha investito le maggiori economie mondiali. Qualche contraccolpo c’è stato, ovvio, ma il paese ha tenuto, eccome. Difficile prevedere cosa accadrà nei prossimi anni; di recente un pool di analisti 020
di HSBC Brasile, in occasione del World Federation of Investors Corporations, ha dichiarato che «il Brasile non è mai stato così attrezzato per fronteggiare una crisi». Poco più di vent’anni fa il paese era attanagliato da problemi di inflazione, bilancia dei pagamenti, eccessivo peso dello Stato nell’economia. Fernando Henrique Cardoso ha avviato un risanamento e poi Lula ha saputo puntare sulla domanda interna, la crescita di consumi e investimenti. E infine Rousseff, che pur con piccole variazioni, ha seguito le linee di politica economica di Lula. Un paese immenso, grande 27 volte l’Italia, abitato da 190 milioni di persone, con delle enormi sacche di povertà: vale la pena guardare al suo straordinario sviluppo e ai fattori che lo hanno consentito. I consumi e gli investimenti, appunto. La classe media brasiliana è una delle più studiate al mondo, proprio per la sua forza e le sue potenzialità. Secondo la Fundação Getúlio Vargas (FGV), le famiglie con un reddito compreso tra 600 e 2500 dollari 021
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sono ora il 52%. Otto punti percentuali in più rispetto al 2002. «Da questi dati si evince – dice Marcelo Neri, economista di FGV – un cambiamento storico della società brasiliana che, paradossalmente, ribalta uno stereotipo: il Brasile non è più una società polarizzata, con due classi estreme, ricchi e poveri. Ora è un paese di classe media». Sono due i fattori che spiegano il fenomeno del nuovo ingresso nella classifiche internazionali: il primo è l’istruzione che, grazie al miglioramento degli ultimi 15 anni, ha consentito a molti lavoratori l’accesso a segmenti produttivi. Il secondo fattore è la riduzione del lavoro nero: molti occupati sono entrati nel mercato del lavoro ufficiale. La crescita dei consumi, sia chiaro, è stata favorita da un aumento dei salari medi e da un tasso di disoccupazione in calo. Infine gli investimenti: Lula ha saputo individuare dei settori strategici e puntare su quelli, ovviamente in sinergia con gli imprenditori brasiliani. Non tutti i problemi sono risolti, restano grandi sacche di povertà e un sistema di welfare ancora da migliorare; le manifestazioni degli ultimi mesi invocavano, appunto, una sanità più equa, un sistema scolastico più capillare e pensioni meno misere. Il piano Fame Zero Uno dei cardini del successo di Lula è stato il programma mirato ai cittadini indigenti. Lanciato da Lula nel 2003, Fome Zero (Fame Zero) ottiene, a dieci anni di distanza, risultati molto confortanti. Con un bilancio iniziale di 500 milioni di dollari, ha saputo combattere la piaga della fame con veri e propri trasferimenti di denaro e con la distribuzione di cibo. Il programma è complementare all’obbligo di frequenza scolare. «In questo modo – spiega Josué de Castro, sociologo brasiliano autore del libro Geografia della fame – vengono rifornite direttamente delle strutture scolastiche e si riduce il rischio di dispersione delle risorse». Fame Zero ha sradicato la povertà estrema di 46 milioni di brasiliani e i ministri di Lula che lo hanno coordinato hanno più volte ricordato che non si tratta di un’idea filantropica e assistenzialista, ma di una politica che ha gettato le fondamenta per consolidare i diritti di decine di milioni di brasi022
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liani. La lotta alla fame ha previsto anche lo sviluppo dell’agricoltura familiare e gli investimenti sono passati da 1 a 4 milioni di dollari. Un altro paese latinoamericano che sta combattendo la fame è il Venezuela, anche se con risultati meno certi. La Misión Barrio Adentro è il principale programma contro la povertà: mette le basi per garantire standard accettabili di sicurezza alimentare e sanitaria nei contesti di maggior degrado sociale. I risultati sono stati incoraggianti in alcune favelas, dubbi in altre. Anche l’Argentina ha lanciato un programma di governo contro la fame. Un paradosso per un paese di 40 milioni di abitanti capace di produrre cibo per 400 milioni, e un dato che certo non nobilita gran parte dei politici argentini degli ultimi 50 anni.
Elezioni 2014 e rilancio degli investimenti brasiliani all’estero A cinque mesi dalle elezioni presidenziali di ottobre 2014, il Brasile assiste distrattamente alla campagna elettorale; i Campionati del Mondo di calcio catalizzano l’attenzione. Dilma Rousseff ha perso un po’ di smalto: le manifestazioni degli ultimi mesi hanno scalfito i suoi alti indici di popolarità. L’altra candidata è Marina Silva, ex ministro dell’Ambiente del governo Lula, con una storia molto brasiliana: proveniente da una famiglia indigente, è stata analfabeta fino ai 16 anni per poi, con l’aiuto di alcune missionarie, laurearsi in Storia e diventare un’icona del riscatto. Sia Rousseff sia Silva sono candidate di matrice “lulista”, per questo è davvero improbabile che il modello economico venga modificato. Non è escluso che, per ragioni di marketing politico, si ripresenti lo stesso Lula che, in caso di vittoria, si appresterebbe a governare il Brasile per il terzo mandato. Analisti politici, sociologi ed economisti ritengono, quasi all’unanimità, che il programma del nuovo governo manterrà la stessa rotta: spinta a consumi interni e investimenti, nel quadro di una stabilità macroeconomica che non è mai messa in discussione. Inoltre il Brasile continuerà a internazionalizzarsi, con un progetto ben chiaro.
Alle prossime elezioni Dilma Rousseff e Marina Silva saranno le candidate di matrice “lulista”. Non è escluso però che si ripresenti lo stesso Lula che potrebbe governare il Brasile per il terzo mandato 023
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Una conferma importante arriva dal BNDES, la Banca nazionale di sviluppo economico e sociale, che metterà sul piatto 40 miliardi di dollari per finanziare lo sviluppo e la crescita dei famosi “campioni nazionali”: gruppi industriali e commerciali su cui puntare. L’idea è di consolidare team che possano essere competitivi a livello mondiale e quindi in grado di fare acquisizioni sul mercato internazionale. Come? Favorendo fusioni di imprese nazionali che sappiano formare gruppi forti, capaci di competere innanzitutto all’interno degli altri paesi dell’America Latina e poi in Europa e negli Stati Uniti. I settori su cui il gigante sudamericano punta sono questi: alimentare, petrolio, telecomunicazioni ed etanolo. In una fase in cui il credito privato ha subito una contrazione, il settore finanziario pubblico sopperisce con una disponibilità ingente di risorse. Nessuna contestazione, a questo proposito, neppure dai liberisti più puri. Ciò che risulta convincente agli occhi di tutti è che Lula ha messo in moto un progetto paese, con investimenti mirati e un disegno pensato. Nulla di improvvisato, quindi, né finanziamenti a pioggia né credito facile. Guardiamo al settore alimentare, per esempio. Il Brasile ha ridotto sensibilmente le importazioni dall’Argentina ed entro breve diverrà un grande esportatore di commodities. Si pensi che, solo in Argentina ha investito più di dieci miliardi di dollari negli ultimi cinque
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anni, prevalentemente nel settore agroalimentare. Più forti in casa per investire fuori; e il Banco do Brasil, la più grande banca latinoamericana, è interessata ad acquisizioni negli Stati Uniti. Un altro comparto in grande espansione è quello petrolifero. Le scoperte di enormi giacimenti offshore hanno spinto Petrobras a cercare partner internazionali con cui effettuare joint venture per le estrazioni. Anche qui, secondo la logica BNDES, l’idea è quella di rafforzare il settore petrolifero e l’azienda, per renderla competitiva sui mercati di tutto il mondo. Una conferma arriva anche da un’altra city, New York. «Quello brasiliano – spiega Marcello Hallake, avvocato dello studio newyorkese Thompson & Knight LLP – è un fenomeno che si osserva da tempo: fare acquisizioni per creare dei campioni nazionali. E il BNDES è un catalizzatore di transazioni che abbiano un valore aggiunto. Vale la pena osservare ciò che accade nel settore dell’etanolo». Uno spaccato lo offre un report del Banco Itaú, importante banca brasiliana: il comparto ha patito la recente crisi, (conseguenza di quella finanziaria internazionale), e ora sta ripartendo con grande forza. La ristrutturazione del debito delle imprese attive nella produzione di etanolo è proprio dovuta alla strategia di rafforzamento e rilancio. E il demiurgo dell’operazione è sempre il BNDES.
Due fattori in particolare spiegano il nuovo ingresso del Brasile nella classifiche internazionali: l’istruzione, che ha consentito a molti lavoratori l’accesso a segmenti produttivi, e la riduzione del lavoro nero 024
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Il Dottore e il Presidente Storia di un’amicizia politica articolo di Marco Mathieu Giornalista
Il calcio non è solo uno sport. In un paese che ha conosciuto la dittatura e non ha ancora dimenticato la povertà, sul campo si giocano partite che vanno ben oltre i gol messi in rete. Come quelle capitanate da Sócrates, fuoriclasse del pallone negli anni Settanta e grande amico di Lula, con cui ha condiviso la passione per il Corinthians e che, come l’ex Presidente, è stato per molti brasiliani una guida verso il riscatto sociale. Maggio 2004, Ribeirão Preto «Odio il calcio». Fu la prima cosa che mi disse quell’uomo alto e grosso, con il viso gonfio, i capelli corti ingrigiti e la barba di una settimana, quando lo incontrai in un bar di Ribeirão Preto, a quattro ore di auto da San Paolo. «Per l’intervista ci vediamo al Pinguim, dove si beve la miglior birra di tutto il Brasile», aveva spiegato al telefono la sera prima, dopo giorni di inseguimenti e chiamate senza risposta. E in effetti bevemmo molte birre quel pomeriggio, in mezzo alle sue dichiarazioni sul doping e il calcio-scommesse, sulla vita e la politica. «Nel calcio fa paura chi pensa 026
con la propria testa», ripeteva. «Questa è l’unica industria in cui i dipendenti hanno più potere del loro padrone. Ma la ribellione non è ammessa». Perché Magrão, come gli amici chiamavano da sempre Sócrates (Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira) non era mai banale. Fuoriclasse del calcio (Botafogo, Corinthians, Fiorentina, Flamengo, Santos) da metà degli anni Settanta alla fine del decennio successivo, simbolo del proprio paese (capitano della nazionale brasiliana ai Mondiali del 1982 e del 1986), medico (“Dottore” era l’altro suo soprannome), artista, intellettuale e leader politico. Tanto che si vociferava di un suo incarico nel governo presieduto da Lula. «Con lui siamo amici, companheiros, e lo sostengo da molto tempo. Ho partecipato al gruppo di lavoro che ha dedicato allo sport. Ma ora ci sono altre priorità e per accettare un incarico vorrei poter agire davvero. In Brasile il 40% della popolazione vive in povertà: il calcio è occasione di riscatto sociale, però pochissimi sfondano e gli altri rimangono poveri, ignoranti. Vorrei cambiare la legge e obbligare le società a far studiare i giovani calciatori almeno fino al diploma». Prima di salutarci ci fu tempo per una sua personale profezia. Che arrivò quando gli chiesi se pensava mai alla morte. Sócrates rispose accompagnando le parole con una risata che contrastava con la malinconia dello sguardo. «Non so quando succederà, ma spero di morire il giorno in cui la mia squadra, il Corinthians, tornerà a vincere il campionato brasiliano».
Quel periodo di mobilitazione civile, la “democracia corinthiana”, lascia il segno: le elezioni del 1989 saranno le prime a eleggere direttamente un Presidente del Brasile, dopo 29 anni
Marzo 2014, San Paolo «Attenzione, l’ex Presidente ama il calcio e quando ne parla, lo fa da tifoso». Le parole di Luiz Dulci, ex ministro e direttore dell’Instituto Lula, vorrebbero essere l’ultima avvertenza prima che abbia inizio l’incontro con quell’uomo carismatico e capace di sprigionare un’istrionica simpatia: 68 anni, ex Presidente del Brasile (due mandati, dal 2003 al 2011), fondatore del PT (Partido dos Trabalhadores), sindacalista. Luiz Inácio da Silva, per tutti semplicemente Lula, si illumina, quando tra le domande rotola infine il pallone. «Nel 1982 alcuni compagni, durante una riunione della direzione del partito, proposero di boicottare le partite della nostra nazionale impegnata nel Mondiale in Spagna, per protesta contro la dittatura militare, sostenendo che il calcio è l’oppio dei popoli». Si ferma, mima la sua incredulità, oggi come allora. E aggiunge: «Ma il futebol per me era e rimane una cosa meravigliosa». Altra pausa, poi: «Amo il calcio, seguo il calcio e sono corinthiano da sempre». 027
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il dottore e il presidente. storia di un’amicizia politica |
E in Italia? «Tifo Milan: anche perché ha avuto e ha ancora brasiliani importanti. Ma guardo anche le partite della Roma, quelle della cara e vecchia Juve, dell’Inter. E un tempo seguivo anche il Torino: lì giocava il mio grande amico Casagrande». Storia di oltre vent’anni fa quando il centravanti brasiliano, già simbolo-ribelle del Corinthians amato da Lula, giocò per due stagioni con la maglia granata addosso. Aprile 1984, San Paolo «Noi chiediamo democrazia e libertà per tutto il popolo brasiliano». La voce al microfono è quella di Sócrates. Davanti a lui, una piazza del centro di San Paolo gremita di oltre un milione e mezzo di persone, per la più grande manifestazione nella storia brasiliana. Dietro di lui, sul palco, tra gli altri ci sono Lula e i giocatori del Corinthians, Casagrande compreso. Questo è l’ultimo comizio della campagna Diretas Já, che chiede il voto popolare diretto alle prossime elezioni presidenziali, primo e possibile passo verso la democratizzazione del Brasile, ostaggio della dittatura militare dal 1964. Sócrates e i giocatori del Corinthians hanno accompagnato e sostenuto la campagna Diretas Já fin dall’inizio. Sono gli anni della democracia corinthiana, il loro esperimento di autogestione dentro e fuori lo spogliatoio. «Ogni cosa veniva decisa con una votazione», ricorderà Sócrates, ispiratore e leader della democracia. «Dagli orari degli allenamenti agli acquisti di nuovi giocatori». Esperimento che anticipava il cambiamento imminente della società brasiliana. Dal calcio alla politica. Tanto che Sócrates lega il proprio futuro all’esito della votazione sull’emendamento dell’elezione diretta: «Se viene approvato, rimango a giocare qui e non vado in Italia». Il risultato è negativo: niente elezioni dirette, per ora. Sócrates si trasferisce alla Fiorentina e il sogno della democracia corinthiana sembra sfumare. Eppure, quel periodo di mobilitazione civile, dentro e fuori il campo, lascia il segno: dopo anni di lotte, le elezioni del 1989 saranno le prime a eleggere direttamente un Presidente del Brasile, dopo 29 anni. E intanto, cresce il consenso popolare intorno al partito di Lula, che arriverà – dopo ripetute sconfitte – al successo nel 2003. E che lui spiegherà anche così: «La grande novità del PT? Non c’era scritto in nessun libro di politica o di sociologia che fosse possibile creare un partito che è una miscela. Non un partito puro, solo di cattolici, solo di neri, solo di bianchi, solo marxista: no, noi siamo una miscela di diversità politica, perché abbiamo imparato a convivere democraticamente nel rispetto delle diversità».
68 anni, ex Presidente del Brasile, fondatore del PT, sindacalista. Lula si illumina, quando tra le domande rotola il pallone
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Dicembre 2011, San Paolo Il 4 dicembre è una domenica. E nello stadio Pacaembu di San Paolo si gioca l’ultima partita di campionato. Quella decisiva per il titolo. Un derby: Corinthians-Palmeiras. Ma all’alba Sócrates ha già perso la sua partita con la vita. Al secondo ricovero in meno di una settimana, un’infezione intestinale diventa fatale. Risultato di eccessi e abusi: l’amore per la birra diventato alcolismo l’ha infine ucciso. All’alba. Al pomeriggio, la notizia della sua morte viene accolta da un collettivo e commovente addio: giocatori riuniti in semicerchio al centro del campo, tifosi in piedi sulle gradinate gremite. Tutti a salutarlo con il braccio alzato e il pugno chiuso. Come lui festeggiava gol e vittorie. Aggiungendoci un sorriso grande così. Il Corinthians quel giorno torna a essere campione del Brasile, come Sócrates aveva auspicato. E a lui, quel giorno, Lula dedica queste parole: «Un fuoriclasse in campo e un grande amico: è stato un esempio di intelligenza e coscienza politica, oltre che un immenso talento calcistico. Il suo generoso contributo al Corinthians, al futebol e alla società brasiliana non verrà mai dimenticato».
In Brasile il calcio è molto più che uno sport o un passatempo nazionale: rappresenta l’opportunità di riscatto per interi settori della popolazione
Maggio 2014, Rio de Janeiro «Sócrates? È la nostra democrazia» (tifoso del Corinthians). In Brasile il calcio è molto più che uno sport o un passatempo nazionale. Rappresenta l’opportunità di riscatto per interi settori della popolazione. Autentica ragione di speranza. E di sogno. Quando tutto sembra perduto, c’è sempre e comunque una partita che la tua squadra può provare a vincere. E spesso la partita non è soltanto o semplicemente quella che si gioca in campo. Come nel caso di Sócrates: molto più di un calciatore, tanto da risultare ancora oggi un simbolo di talento e ribellione. Dentro e fuori il calcio. Uno che ha finito per amare le parole e gli ideali più ancora dello sport che gli ha regalato fama, soldi e gloria. Così Sócrates è diventato una leggenda. Anche Lula lo è, per molti, e spiega quale pensa sia la sua eredità politica: «Durante i miei due mandati presidenziali e per la prima volta in questo paese il popolo è stato trattato con rispetto. E ascoltato nelle decisioni. Mi sono sentito realizzato come Presidente quando ho capito che le persone più umili mi vedevano non come un estraneo, ma uno di loro arrivato fin là: si sentivano importanti, attraverso me. Come se fossero loro a governare il paese». 029
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Pernambuco: La nuova locomotiva del nordest articolo di Chico Santos Giornalista
Il Nordest brasiliano, zona tra le più povere del paese, trova tra i suoi confini un’eccezione, lo stato del Pernambuco. Grazie a una strategia per l’attrazione degli investimenti stranieri messa in atto dal primo governo Lula e alla gestione di uno dei politici più promettenti del paese, Eduardo Campos, ha saputo risollevare la propria economia, risalendo la classifica nazionale del prodotto interno lordo.
Per grandezza, lo stato del Pernambuco è diciannovesimo tra le 27 unità federali del Brasile, ma è il settimo più popoloso. Situato nel tratto più orientale del territorio brasiliano, nel cuore di una delle regioni più povere del paese, quella del nordest, nel 2011 (ultimo dato disponibile) aveva un PIL di 104,39 miliardi di real, numero che lo poneva al decimo posto tra le unità federali. Dividendo però tale ricchezza per il numero degli abitanti, il PIL pro capite ammonta ad appena 11.776,10 real (quasi 3900 euro), e lo stato scende al diciannovesimo posto. Compatibilmente con tali dati, l’indice di sviluppo umano del Pernambuco, calcolato dal programma delle Nazio030
ni Unite per lo sviluppo in base all’ultimo censimento (realizzato nel 2010), era 0,673, dato che relegava lo stato di nuovo al diciannovesimo posto. Ci sono però segnali concreti di un risollevamento economico dello stato da quando, circa tre decenni fa, ha perso la posizione di leader economico del nordest brasiliano a favore di Bahia; ha infatti già ripreso la posizione, occupata per tutti gli anni Sessanta, di principale polo di attrazione commerciale della regione, e a partire dal 2005, solo nel 2007 la crescita del PIL non è stata superiore alla media del paese.
Il Pernambuco è al quarto posto tra le 237 unità regionali dell’America del Sud con la miglior strategia per l’attrazione degli investimenti stranieri diretti
In virtù di ciò, la partecipazione dello stato nel PIL brasiliano è passata dal 2,27% nel 2004 al 2,52% nel 2011: in quell’anno il suo tasso di crescita è stato del 4,2%, rispetto al 2,4% del Brasile. «Abbiamo una strategia», afferma il Segretario allo sviluppo economico dello stato, Márcio Stefanni, ricordando il sorprendente quarto posto del Pernambuco nella selezione realizzata in aprile dalla rivista “FDI Magazine” (pubblicazione del rinomato gruppo Financial Times) tra le 237 unità regionali dell’America del Sud con la miglior strategia per l’attrazione degli investimenti stranieri diretti. Il Pernambuco è superato solo dagli stati di San Paolo, Rio de Janeiro
e Minas Gerais, situati nella regione più ricca del paese. Questa strategia, secondo Stefanni, è stata sviluppata nel 2006, durante la campagna per il governo statale dell’economista Eduardo Campos, oggi pre-candidato alla presidenza della Repubblica del Partito Socialista Brasiliano (PSB). Campos, 48 anni, è stato Ministro della scienza e della tecnologia del primo governo del presidente Lula, lasciando l’incarico per candidarsi al governo del suo stato natale, già governato per tre mandati da suo nonno, Miguel Arraes. Il Brasile viveva allora un periodo, tuttora in corso, di distribuzione delle rendite, del quale beneficiavano le parti più povere della popolazione e,
di conseguenza, la regione del nordest dove vive quasi metà della popolazione. Secondo Stefanni, Campos ha capito che il paese avrebbe vissuto un’espansione dei consumi e che il Pernambuco, in posizione strategica sia per il mercato regionale sia per quello internazionale, poteva cavalcare quest’onda per uscire dall’impasse. Lo stato poteva già contare su un prezioso strumento per mettere in pratica la strategia per l’attrazione degli investimenti: il complesso industriale e portuale di Suape, nella regione della capitale Recife, composto da un porto con acque profonde fino a 20 metri e dall’ampia area industriale circostante. Secondo dati ufficiali, dalla sua creazione, 35 031
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anni fa, e fino al 2013, Suape ha già ricevuto all’incirca 50 miliardi di real in investimenti e Stefanni lo vede sia come un’àncora sia come una locomotiva. Àncora perché negli ultimi sette anni ha accolto circa 70 imprese, tra cui investimenti pesanti come quelli della raffineria petrolifera Abreu e Lima dell’impresa statale Petrobras che, da sola, rappresenta un investimento di 34 miliardi di real e che, dopo diversi ritardi, dovrebbe diventare operativa alla fine di quest’anno. E locomotiva perché, dopo aver ricevuto nel 2007 due miliardi di real di investimenti per la sua modernizzazione, Suape ha la vocazione di diffondere lo sviluppo verso l’entroterra dello stato, dove si concentrano le popolazioni più bisognose. Una grande opera per le infrastrutture, anch’essa in ritardo, è la ferrovia Transnordestina: con i suoi 1728 chilometri di estensione, si prevedeva di inaugurare l’opera, privata ma con un forte sostegno del governo federale, nel 2010 mentre ora non è sicuro che riesca a essere operativa nel 2015. Anche con le difficoltà logistiche che possono compromettere la continuità di questo ciclo favorevole (un’altra grande opera in ritardo è la nuova tangenziale di Recife), l’area di Suape continua a ricevere importanti investimenti strategici. La somma di 12 dei maggiori investimenti rappresenta un totale di 51,6 miliardi di real e si stima che creeranno oltre 16.000 posti di lavoro diretti una volta conclusi. La Fiat ha promesso di inaugurare, all’inizio del 2015, la prima fabbrica automobilistica dello stato. Stefanni afferma che la sintonia tra il governo statale e quello federale, che c’è stata fino al lancio della candidatura di Campos, è stata importante per realizzare gli investimenti, sia quelli già conclusi sia quelli in corso, ma rileva che gli altri stati del nordest come Bahia e Sergipe, pur potendo contare sullo stesso sostegno, non hanno raggiunto gli obiettivi ottenuti dal Pernambuco. Secondo il Segretario, parallelamente alla politica per attrarre gli investimenti che può contare su incentivi fiscali fino al 95% della tassa per la cir032
pernambuco: la nuova locomotiva del nordest |
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colazione delle merci e dei servizi, e al Programma di sviluppo di Pernambuco, si è pensato anche a garantire la formazione della manodopera necessaria a sostenere tale ciclo. Oggi, secondo Stefanni, lo stato ha la maggior rete di scuole pubbliche a tempo pieno del paese (260) e il numero totale di scuole professionali statali ammonta a 26 e altre 14 sono in costruzione (nel 2007 ce n’era solo una). Per l’economista Tatiane de Menezes, il porto di Suape, riducendo le distanze con gli Stati Uniti e l’Europa e attraendo le imprese esportatrici, è stato uno dei fattori decisivi per l’attuale ciclo di crescita dell’economia del Pernambuco.
Allo stesso tempo, de Menezes enumera anche la concessione di incentivi fiscali «con l’obiettivo di attenuare/trasformare gli svantaggi locali» e la crescita generale del paese; tuttavia si mostra scettica per quanto riguarda la continuità di questo ciclo di sviluppo: ritiene infatti che manchino collegamenti, strade e navigazione di cabotaggio di qualità tra il Pernambuco e i centri di consumo del centrosud del paese e che non si stia realizzando un processo di qualificazione professionale in grado di attrarre imprese ad alta produttività, sia del settore industriale sia del terziario. De Menezes ritiene inoltre
che l’industria petrolifera e quella della costruzione navale, due punte di diamante dell’attuale ciclo di crescita, porteranno un aumento del PIL a breve termine, ma non una crescita sostenibile, e cita come esempio il polo petrolchimico di Camaçari, nello stato di Bahia. Sono argomenti che non possono non essere presi in considerazione, così come non si può ignorare che lo stato presenta un’effervescenza economica che non ha precedenti, almeno negli ultimi 40 anni. Nei primi due mesi di quest’anno, la produzione industriale del Pernambuco è cresciuta dell’8,3% rispetto allo stesso periodo del
2013, mentre l’industria del Brasile, nel suo complesso, è cresciuta solo dell’1,3%. Nel tasso di disoccupazione, la relazione si inverte: la regione metropolitana di Recife a marzo aveva il 6,8% di disoccupati, contro la media del 5% delle sei principali regioni metropolitane delle capitali brasiliane, ma a marzo del 2006 la situazione era decisamente peggiore: 14,1% a Recife e 10,4% nella media generale.
Il complesso industriale e portuale di Suape, nella regione della capitale Recife, in 35 anni ha già ricevuto all’incirca 50 miliardi di real in investimenti 033
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approfondimento
una bandiera Tra le stelle articolo di Stefano Milano Giornalista
Rombi, sfere e stelle, e soprattutto un motto positivista: ordine e progresso. La bandiera verdeoro raccoglie nel suo disegno un’evoluzione politica e di pensiero, la sua struttura federale e parte della sua geografia. E una passione per l’astronomia e la scienza che si mantiene viva ancora oggi.
Il fondo verde e il grande rombo giallo al centro ricordano i colori della bandiera imperiale. Non compaiono più, però, lo stemma reale e i segni di una monarchia passata. Sono stati sostituiti da un globo turchese, trapunto di stelle luminose e attraversato da una fascia bianca che gli conferisce tridimensionalità. È una mappa stellare. E le parole Ordem e Progresso che campeggiano sulla fascia sono un manifesto, un motto, un imperativo. Ordine e progresso, i principi del positivismo di Auguste Comte: l’Amour pour principe et l’Ordre pour base; le Progrès pour but (l’amore come principio e l’ordine come fondamento; il progresso come scopo). Una bandiera può dire molto di una nazione. È fotografia viva di un popolo. E, per noi di Oxygen, custodisce un’affascinante storia di scienza. Il verdeoro della bandiera brasiliana appartiene alle vecchie insegne imperiali che glorificavano i colori della famiglia reale di Braganza di Pedro I – il verde – primo imperatore del Brasile, mentre il giallo rappresentava la Casa d’Asburgo della moglie Leopoldina. La differenza tra la vecchia bandiera e quella repubblicana sta tutta in un tondo blu: una mappa stellare del cielo sopra Rio de Janeiro. Non un cielo qualunque, ma quello che sovrastava la metropoli carioca il mattino del 15 novembre 1889, il giorno della proclamazione della Repubblica. Ognuna delle 27 stelle di cui è trapunta la bandiera
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sta lì a rappresentare uno degli stati della federazione brasiliana, oltre naturalmente alla capitale del distretto federale. Al centro della bandiera si trova la costellazione della Croce del Sud. Le altre stelle e costellazioni sono: Procione, Sirio nel Cane Maggiore, Canopo, Idra, σ Octantis, Scorpione e il Triangolo Australe. Unica nel suo genere la stella che rappresenta la capitale Brasilia: Polaris Australis, la stella polare dell’emisfero Sud, la cui posizione vicino al polo celeste la rende visibile da ogni regione del grande paese, a ogni ora del giorno. La sfera celeste è rappresentata come nei globi di legno ottocenteschi: vista dal di sopra, come se la Terra – nostro punto di vista privilegiato sull’Universo – fosse al suo centro. Il cielo rappresentato è pertanto diurno con le stelle rovesciate. Un fazzoletto di firmamento risvoltato rispetto a come lo osserviamo con i nostri occhi. La sola stella a rimanere al di sopra della fascia bianca con la scritta Ordem e Progresso è Spica, nella costellazione della Vergine: è lo stato di Pará, il cui territorio supera la linea equatoriale. Perché il Brasile è anche la terra dei due emisferi. Fu Benjamin Constant, membro del governo provvisorio, a chiedere al professor Raimundo Teixeira Mendes, anch’egli membro del governo, di lavorare al disegno di una nuova bandiera. Teixeira Mendes chiese aiuto al dottor Miguel Lemos e a Manuel Pereira Reis, preside
della facoltà di Astronomia. Il pittore Décio Vilares mise a disposizione le sue competenze grafiche ma la scienza aveva ormai lasciato il suo zampino. Il Brasile ha conservato negli anni quella passione per l’astronomia. E proprio quest’anno gli scienziati brasiliani sono stati protagonisti di un’importante scoperta: il primo asteroide con gli anelli. Si chiama Chariklo e proprio come nel caso di Saturno è circondato da anelli, densi e sottili, di polveri e altre particelle. È a oggi il più piccolo oggetto intorno a cui siano state trovate simili formazioni e solo il quinto corpo del Sistema Solare a mostrarle. Gli anelli di Saturno sono tra i panorami più spettacolari del cielo, ben visibili a tutti con telescopi amatoriali. Anelli meno evidenti sono stati trovati anche intorno agli altri pianeti giganti (Giove, Urano, Nettuno). Ma nonostante ricerche accurate, non ne sono stati trovati intorno ad altri oggetti più piccoli in orbita intorno al Sole. La scoperta degli astronomi dell’osservatorio ESO di La Silla è stata confermata da altre osservazioni realizzate da diversi siti dell’America del Sud. L’origine degli anelli resta un mistero, ma potrebbero dipendere da una collisione che ha dato origine a un disco di detriti. Nel frattempo gli anelli sono stati battezzati con i nomi dei due fiumi che abbracciano agli estremi nord e sud la terra rossa del Brasile: l’Oiapoque e il Chuí. Il cielo su una bandiera, un paese fra le stelle.
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intervista
Occupy Brazil Intervista a Natalia Viana
Direttrice dell’agenzia giornalistica brasiliana Pública di Raffaele Oriani Giornalista fotografie di Daniel Kfouri / Lente Viva Filmes
Assegnati in un momento di crescita economica, Mondiali e Olimpiadi si svolgono in un paese che vive oggi un rallentamento nello sviluppo. Per questo gli investimenti massicci per sostenerli non sono più visti di buon occhio da una popolazione in difficoltà, che da mesi manifesta il suo scontento. Uno sguardo critico sulle scelte delle istituzioni, da chi segue le proteste che animano piazze e favelas.
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Nel 2007 fu assegnata al Brasile l’organizzazione della Coppa del Mondo di calcio 2014: il gigante amazzonico era ancora la prima e più squillante lettera dei BRICS, la sua economia cresceva al 6% annuo, la povertà calava, i programmi di inclusione sociale facevano dubitare che l’1% più ricco del paese avrebbe continuato a lungo a possedere quanto il 50% più povero. Nel 2009 gli furono assegnati anche i Giochi olimpici 2016: la crisi che in quell’anno aveva bloccato il mondo per il Brasile sembrava un’infreddatura di stagione, tanto che già nel 2010 l’economia carioca sarebbe tornata a crescere di un robusto 7,5%. Calcio e Olimpiadi: avrebbero dovuto essere la festa dello sviluppo made in Brazil e si stanno trasformando in bersagli di scontento, delusione, proteste. Sì, perché nel frattempo la locomotiva brasiliana ha rallentato la corsa fino quasi a fermarsi, e a gran parte della popolazione gli investimenti faraonici in stadi e affini sembrano ormai un incomprensibile spreco di risorse pubbliche. Assegnati in un periodo di boom, Mondiali e Olimpiadi stanno venendo a maturazione in anni di magra: nel 2013 le punte di malcontento e contestazione sono state tali da far dichiarare al direttore generale della FIFA Jerome Valcke che «con meno democrazia sarebbe più facile organizzare la Coppa del Mondo». L’aria è decisamente cambiata, e secondo un sondaggio dell’istituto Ipobe un buon 38% della popolazione vorrebbe molto semplicemente che i Mondiali si tenessero altrove. Eppure la giornalista brasiliana Natalia Viana non potrebbe essere meno d’accordo con Valcke. Reporter investigativa tra i più autorevoli del paese, Viana è stata la voce brasiliana di Wikileaks al tempo della clamorosa pubblicazione dei cablogrammi della rete diplomatica statunitense. Da allora ha fondato la piattaforma di giornalismo online apublica.org e ha continuato a indagare sullo sfruttamento dell’Amazzonia, la gestione del denaro pubblico, il
movimento di protesta di questi ultimi anni. Le chiediamo come il Brasile si è preparato a ospitare due manifestazioni sportive capaci di catalizzare l’attenzione del mondo intero: «In realtà Olimpiadi e Mondiali hanno un peso molto diverso. La partita vera dell’opinione pubblica si gioca sulla Coppa del Mondo FIFA». È stata la Coppa a scatenare l’insoddisfazione per le condizioni del paese? Penso che senza Mondiali non avremmo avuto nemmeno le proteste di piazza. Non c’è bisogno di sottolineare l’importanza del calcio per i brasiliani, e a questo si aggiunge che, mentre le Olimpiadi riguarderanno soltanto Rio de Janeiro, la Coppa del Mondo si gioca in dodici città, il che vuol dire che coinvolge l’intero paese. Cos’è mancato nell’organizzazione? In sostanza, cosa si rimprovera al governo? Ora ministri e funzionari minimizzano la portata degli investimenti, ma stime abbastanza attendibili parlano di 30 miliardi di real (10 miliardi di euro) spesi solo per la Coppa del Mondo, di cui 8 (2,6) solo per gli stadi. Per dare un’idea: in un paese di 200 milioni di abitanti con 60 milioni di studenti, un mese di partite costa come quattro mesi e mezzo di budget per l’istruzione di ogni ordine e grado. Se a ciò si aggiunge la corruzione diffusa e la contaminazione continua tra investimenti pubblici e soldi privati, non mi sembra così strano che prevalga la delusione. Ma il Brasile è un paese povero di infrastrutture, per le quali spende appena l’1,5% del PIL, contro l’11% della Cina. Non pensa che sarebbe potuta essere un’occasione per modernizzare il paese, e rendere per esempio più vivibili città perennemente congestionate? No, le proteste sono divampate proprio quando la gente si è resa conto che la
Le proteste sono divampate proprio quando la gente si è resa conto che la Coppa non avrebbe funzionato da volano per risolvere gli annosi problemi della società brasiliana 037
20 Centavos Le fotografie sono tratte dal documentario 20 centavos, un ritratto delle manifestazioni avvenute a giugno 2013 in Brasile diretto da Tiago Tambelli e selezionato dal festival Tudo Ê Verdade. Per celebrare l’anniversario delle manifestazioni il film sarà trasmesso sulle reti nazionali.
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Coppa non avrebbe funzionato da volano per risolvere gli annosi problemi della società brasiliana. Dei progetti sulla mobilità urbana molti resteranno sulla carta, altri non sono stati realizzati in tempo utile per i Mondiali, altri ancora hanno migliorato la viabilità da e per gli aeroporti e gli stadi: non certo una priorità delle nostre città. Nell’estate 2013 il mondo è stato sorpreso dall’ondata di ribellione della gioventù brasiliana. Cosa dobbiamo aspettarci per l’estate 2014? Al momento ci sono proteste solo a San Paolo, dove una volta al mese scendono in piazza studenti, lavoratori pubblici e qualche black bloc. Ma lo scorso anno l’incendio della protesta è divampato per il comportamento violento della polizia proprio a San Paolo. Bisogna vedere se ripeteranno l’errore: dal livello di training cui sono sottoposte le forze dell’ordine (si parla di 150.000 agenti e 20.000 guardie private, ndr), l’impressione è che il governo e le agenzie di intelligence non si aspettino un Mondiale tranquillo.
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Pensi al 14 luglio, giorno dopo la conclusione dei Mondiali. Riesce a immaginare un lascito positivo di questa grande manifestazione? Certo, la consapevolezza che si può lottare per i propri diritti. Quando dopo le proteste per la Confederation Cup dello scorso anno quattordici municipalità sono state costrette ad abbassare le tariffe sui trasporti locali; o quando il movimento civico di Natal, nel Rio Grande do Norte, è riuscito a deviare la strada di collegamento tra stadio e aeroporto; o quando ancora le donne di Salvador de Bahia si sono imposte all’interno dello stadio con le loro frittelle non sponsorizzate da nessuno, noi tutti abbiamo capito che una visione più partecipata della cosa pubblica è possibile. Questi anni di delusioni, dibattiti e proteste rimarranno un punto di svolta per la nostra giovane democrazia.
Assegnati in un periodo di boom, Mondiali e Olimpiadi stanno venendo a maturazione in un periodo di magra
Mentre le proteste di piazza sono diminuite, nelle favelas continuano gli scontri con la polizia. Cosa pensa dell’operazione di pacificazione delle favelas avviata nel 2008? È una questione molto complessa, che riguarda l’area di Rio de Janeiro e vede al centro il problema delle gang e del traffico di droga: penso solo che più che di pacificazione, nelle 38 favelas in cui si sono insediate le Unidades de Polícia Pacificadora sarebbe il caso di parlare di vera e propria occupazione militare. Dal punto di vista economico, che impatto avranno le migliaia di tifosi di tutto il mondo che hanno invaso il Brasile per le partite dei Mondiali? Girano tantissimi soldi, ma a noi brasiliani ne resteranno pochi. Questo essenzialmente per l’invadenza della FIFA nella gestione del business mondiale: per legge le attività FIFA non pagano un real di tasse e possono gestire il loro personale in deroga al diritto del lavoro brasiliano. Inoltre, attorno ai dodici stadi della Coppa del Mondo è assicurata un’ampia exclusive zone dove i tifosi potranno acquistare solo i prodotti dei grandi sponsor della FIFA. Ovviamente anche questo aspetto poco noto dell’organizzazione dei Mondiali è stato oggetto di feroci contestazioni. 040
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Il costo del benessere a cura di Oxygen
È tempo di crescita in Brasile, ma la popolazione non sembra reggere il ritmo dell’inflazione. Sebbene alcune categorie abbiano visto aumentare la propria busta paga (come gli insegnanti, i cui stipendi medi negli ultimi cinque anni sono passati da 300 a 550 euro circa) bisogna fare i conti con l’aumento dei prezzi dei beni di consumo: le scarpe brasiliane per antonomasia, le celebri Havaianas, per esempio, sono passate da costare 4-5 euro ad almeno 10. Mezzi di trasporto, divertimenti e bevande diventano quasi beni di lusso per le persone. Molti aumenti dipendono anche dalla speculazione in vista dei Mondiali, che ha colpito in particolar modo Rio, dove una frittata di gamberi sul lungomare di Copacabana oggi può costare fino a 30 euro.
6 euro Il grande (costoso) schermo Vedere un film al cinema in Brasile oggi costa in media quasi quanto in Italia, un prezzo insostenibile rispetto agli stipendi
16 euro 0,73 euro
Trem do Corcovado Oggi salire al Corcovado non è più accessibile a tutti, mentre dieci anni fa costava meno di dieci euro
Mango Anche questo frutto diffuso e popolare costa di più: nel 2010 si pagava neanche 50 centesimi, oggi più di 70
2 euro Acqua di cocco In soli cinque anni il prezzo della bevanda popolare venduta per strada, che prima si aggirava intorno a 1 euro, è raddoppiato
20 euro Una gita esclusiva Andare al mare a Parati è diventato un lusso per i brasiliani: il biglietto dell’autobus da Rio costa il doppio rispetto al 2004
38 euro 3,60 euro
2,54 euro
Hamburger Acquistarne mezzo chilo al supermercato quattro anni fa costava circa 2 euro, mentre oggi quasi 4. Un dato che non sorprende, visto che il Big Mac Index dell’Economist mette il Brasile ai primi posti nella classifica mondiale del costo del celebre panino
Coscia di pollo Al supermercato si paga 2,54 euro al chilo, contro l’1,66 che si spendeva nel 2010
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Una notte a Recife Passare una notte in un albergo di media categoria a Recife costa quasi 40 euro, mentre fino a qualche anno fa il prezzo non arrivava ai 30
+50% Le notti di Rio L’ingresso nelle celebri discoteche di Copacabana o Ipanema è raddoppiato, passando da una media di 7 euro del 2004 ai 14 attuali
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approfondimento
Lo scatto dell’energia articolo di Rocco Cotroneo Giornalista
Un paese che ha tutto e in grandi quantità, risorse naturali per produrre energia, terra per i biocombustibili, grandi riserve di acqua. Con lo sviluppo economico sono però aumentati anche i consumi, e il Brasile è costretto tuttora a importare carburante. Un problema legato a molti fattori, tra cui una certa dose di sfortuna climatica, che sembra essersi accanita proprio nel momento in cui il paese ha su di sé gli occhi del mondo. 044
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Acqua, molta acqua. E poi sole, vento, petrolio, gas, canna da zucchero. La natura è stata generosa con il Brasile, un paese grande quanto un continente che dispone di tutte le risorse per produrre energia in abbondanza, in gran parte pulita e rinnovabile. “Dio è brasiliano”, si dice qui, e forse non ci meritiamo tanta generosità. «Avete già il Padreterno dalla vostra, volevate anche il Papa?», ha scherzato Papa Francesco appena sbarcato a Rio de Janeiro, lo scorso anno. Il paniere delle fonti energetiche, ereditato dal passato, è però in difficile equilibrio e ha bisogno di interventi continui. Perché la crescita economica degli ultimi anni è stata forte, i consumi sono cresciuti in ogni settore, dal raddoppio del parco automobili alla produzione industriale. E il Brasile boccheggia, come non dovrebbe. Ha le più grandi risorse d’acqua del pianeta, ma una città come San Paolo è costretta al razionamento; ha scoperto ingenti giacimenti di petrolio in fondo all’oceano, ma deve tuttora importare benzina; intere regioni del paese vivono da tempo sotto l’incubo di blackout. E un’altra grande speranza, i biocombustibili, stanno giocando un ruolo importante, ma più contenuto rispetto alle aspettative di qualche anno fa. Mancanza di visione e di programmazione, c’è chi accusa. Ma anche la sfortuna fa la sua parte. Nell’anno in cui il Brasile ha gli occhi del mondo puntati addosso per i Mondiali di calcio, è piovuto pochissimo nel sudest del paese, dove vive gran parte della popolazione e si producono tre quarti del PIL nazionale. La più grande riserva di acqua a uso potabile di San Paolo, dove vivono 20 milioni di persone, è arrivata appena all’8% delle sue capacità. Va un po’ meglio nei bacini idroelettrici, ma ci sono stati mesi di panico. E intanto interi stati amazzonici come Acre e Rondonia vivono inondazioni epocali. È l’acqua che cade dal cielo, e alimenta i fiumi e i laghi, che 046
La crescita economica degli ultimi anni è stata forte, i consumi sono cresciuti in ogni settore ma il Brasile boccheggia, come non dovrebbe
muove il gigante sudamericano. Il 74% dell’energia prodotta nel paese viene da centrali idroelettriche. Il resto è frammentato tra gas, derivati del petrolio, vento, sole e nucleare. Anche considerando tutto il complesso delle fonti energetiche, il Brasile vanta la matrice più rinnovabile del pianeta. Il 45% arriva da acqua, etanolo, biomasse, vento e sole, contro una media di appena il 13% nei paesi più sviluppati. Il salto in avanti è stato enorme, se si pensa che nel 1940 circa l’80% dell’energia in Brasile era generata bruciando legna (carbone vegetale). Pur disponendo di tanta grazia, negli ultimi anni ha guadagnato forza l’idea di una maggiore diversificazione. Considerato il clima, la partecipazione di solare ed eolico ai consumi nazionali è risibile; gli impianti domestici fotovoltaici sono cari e non appoggiati da incentivi. Gran parte dell’energia domestica è consumata dalle docce elettriche, un assurdo in un paese a fortissima insolazione. L’ultimo piano decennale energetico punta ancora sull’idroelettrico, con la costruzione di 71 nuove centrali, grandi e piccole, fino al 2017. Quattro quinti dell’energia generata arriverebbero da appena quindici impianti previsti nella regione amazzonica. Ma è qui che le cose vanno più a rilento soprattutto per problemi ecologici; da anni gli occhi dell’ambientalismo mondiale sono puntati sulla centrale in costruzione di Belo Monte, nel Parà. Pronta nel 2015, con i suoi 11,2 Gigawatt di capacità installata, sarà la seconda più grande del paese dopo quella di Itaipu, condivisa con il Paraguay. Belo Monte porterà all’inondazione di territori indigeni, tra gli altri effetti collaterali. Il progetto è già stato rivisto “al ribasso” per diminuirne l’impatto, il che secondo alcuni è un errore per un impianto già soggetto a forte stagionalità, a causa dei regimi delle piogge. Restano i rischi legati a cambiamenti climatici di forte intensità, in un futuro non troppo lontano. Anche al047
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Le più grandi scoperte petrolifere in Occidente negli ultimi anni sono avvenute nell’Atlantico brasiliano, al largo di Rio de Janeiro: è la manna del pre-sale
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tri bacini in costruzione lungo i fiumi amazzonici sono nel mirino negli ambientalisti, per ragioni analoghe. Può apparire paradossale, ma guardando ancora più in là nel tempo, è probabile che il Brasile debba dare una sterzata verso i combustibili fossili. Il ministro dell’Energia Altino Ventura ha dichiarato di recente che «è probabile che dopo il 2030 le fonti rinnovabili perdano forza, perché non avremo più dove costruire idroelettriche di grande portata. Dovremo ricorrere sempre di più a gas, carbone e nucleare». Anche i recenti problemi di siccità hanno fatto suonare un campanello d’allarme: se i bacini si svuotano a sud, non importa che l’Amazzonia sia inondata d’acqua. E difatti le centrali termoelettriche hanno ripreso a lavorare a tutta forza negli ultimi mesi, per evitare il peggio. Secondo alcuni analisti, la situazione a fine 2014 sarà peggiore di quella del 2001, quando il governo fu costretto a imporre un rigido piano di razionamento. Purtroppo, dicono, il governo non sta adottando misure per ridurre i consumi; abituati all’abbondanza e ai costi relativamente contenuti, i brasiliani sono grandi dissipatori di acqua e di elettricità. Le più grandi scoperte petrolifere in Occidente negli ultimi anni sono avvenute nell’Atlantico brasiliano, al largo di Rio de Janeiro. È la manna del cosiddetto pre-sale, perché viene estratto sotto uno strato di roccia e sale sul fondo dell’oceano, a profondità enormi. I pozzi andranno a pieno regime solo nei prossimi anni, dopo investimenti ingenti. Sui numeri ci sono ancora opinioni contrastanti: secondo alcune stime, il pre-sale porterà il Brasile tra i primi otto paesi produttori al mondo, in grado quindi di diventare un grande esportatore. Altri invece ritengono che i costi di produzione eccedano le aspettative, e il Brasile otterrà al massimo l’autosufficienza (già annunciata in pompa magna dall’ex presidente Lula anni fa, ma mai
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davvero raggiunta). Nel processo di estrazione del petrolio si otterrà anche molto gas naturale, ed è questo che dovrebbe andare ad alimentare una serie di piccole centrali di nuova generazione. Il gas correrà anche verso le aree industriali di Rio e San Paolo, riducendo la necessità di importazioni, oggi in prevalenza dalla Bolivia. Anche se il petrolio dell’oceano rifornirà il grande sogno della mobilità urbana, per decine di milioni di cittadini che hanno avuto accesso alla loro prima automobile i problemi di congestione e inquinamento in Brasile sono già molto simili a quelli conosciuti e affrontati nel Nord del mondo. Il forte contributo dell’etanolo prodotto con la canna da zucchero (il Brasile ne ha il primato mondiale) non è stato finora sufficiente a ridurre la necessità di greggio, come si sperava. Come la pioggia, l’alcol per i motori dipende alla fin fine da madre natura: basta un anno di raccolti insufficienti, o di prezzi di mercato che si muovono in modo inatteso, e il Brasile è costretto a rivedere il mix petrolio-etanolo nella benzina. Nulla, insomma, è dato per scontato anche nel paese benedetto da Dio al quale il mondo guarda con invidia.
È l’acqua che cade dal cielo, e alimenta i fiumi e i laghi, che muove il gigante sudamericano: il 74% dell’energia prodotta nel paese viene da centrali idroelettriche
Il re sta sugli alberi Con un nome che deriva dall’espressione indigena jag-war, traducibile in “colui che caccia volando”, il giaguaro domina la foresta pluviale: abilissimo sugli alberi e persino in acqua, caccia oltre 85 specie animali, coprendo un territorio ampio da 30 a 500 chilometri quadrati.
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passepartout
Infrastrutture per generare crescita Carbone
Risorse e infrastrutture LEGENDA:
Dighe
Miniere
Carbone
Centrali a carbone
Petrolio
Centrale nucleare
Parchi solari
Parchi eolici
ENERGIA PRODOTTA
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RORAIMA
AMAPÁ
ENERGIA CONSUMATA
infografica a cura di Centimetri
Milioni di Tep 8,2 12,7 9,5
PARÁ CEARÁ
MARANHÃO
18,0
Petrolio109,0 PERNAMBUCO ALAGOAS ACRE
34,4
TOCANTINS
RONDÔNIA
MATO GROSSO
SERGIPE
BAHIA
82,8
Industria
PARAÍBA
PIAUÍ
Venezuela
22,9
I GASDOTTI
4,1 Perù
Idroelettrico
BRASILIA
io
SÃO PAULO
de ne
Ja
Principali impianti di produzione di energia
367
12,9 0,5
0,4 9,6
RIO GRANDE DO SUL
0,1 Eolico
29
22
Gas naturale
Petrolio 12 Biomasse 6 3 Carbone Solare 2 1 Nucleare
74,1
21,2
SANTA CATARINA
iro
lo
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Argentina
Idroelettrico
77,9
RIO DE JANEIRO
PARANÁ
Paraguay
Uruguay
Biomasse e rifiuti
1,9 0,1 12,9
Bolivia
n
Geotermico Solare e altro
3,0 0,6
ESPÍRITO SANTO
MATO GROSSO DO SUL
R
Elettricità (Import)
36,8
Natal
e le principali linee di interconnessione elettrica
59,2 MINAS GERAIS
15,4
TOTALE
0,8
44,6 16,3
Trasporti
Nucleare
GOIÁS
Usi Residenziale/altro non energetici
Gas Naturale
TOTALE 050
RIO GRANDE DO NORTE
AMAZONAS
Sa
Produrre benessere con le proprie risorse è un obiettivo ambizioso e al Brasile gli strumenti non mancano. I minerali sparsi in tutto il paese (ferro, tungsteno, berillio, bauxite, rame) lo rendono un territorio ricco, ma le risorse che lo stanno aiutando davvero sono quelle che producono energia. Ottava nazione al mondo per consumo e decima per produzione, le sue fonti preferite sono acqua e vento, con parchi eolici posizionati soprattutto nel nordest e dighe e centrali idroelettriche diffuse su tutto il territorio. Nel 2011 la produzione di elettricità è stata di 531 TWh, con l’80% di idroelettrico. Ma il segreto per crescere e soddisfare la domanda è differenziare le fonti, e così trasporti, consumi domestici, ma soprattutto industrie utilizzano anche impianti geotermici e solari, nucleari, gas naturale e, ovviamente, il petrolio. Perdite di generazione e di distribuzione richiedono però che, per soddisfare la domanda, il Brasile debba anche importare. Gasdotti e linee di interconnessione creano legami soprattutto con Venezuela, Paraguay, Argentina, Uruguay, Perù. Ma le previsioni sono ottimiste: entro il 2035 il Brasile si sarà convertito da importatore a esportatore di energia.
Nota: l’infografica analizza l’energia primaria brasiliana, quella che deriva dal diretto utilizzo delle risorse indicate. La produzione di elettricità quantificata nel testo è invece energia secondaria, quella che si ottiene dalla trasformazione di parte di quell’energia primaria. 051
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intervista
L’Italia che c’è in Brasile Intervista a Raffaele Trombetta Ambasciatore italiano in Brasile di Daniela Mecenate Giornalista
Viaggio nel paese verdeoro, in giorni di fermento internazionale e a pochi mesi dall’appuntamento con le urne. Ci fa da guida l’Ambasciatore italiano, che racconta una nazione dai mille volti e dai tanti contrasti, ricca di una burocrazia complicata e allo stesso tempo di vivacità intellettuale, scritta nel DNA della popolazione, alla quale non si resta facilmente immuni. Non solo Coppa del Mondo. «I motivi per innamorarsi del Brasile sono un’infinità»: parola dell’Ambasciatore italiano Raffaele Trombetta, che parte dal calcio per spiegarci tutto su un territorio che continua a crescere tra contrasti e speranze, passi avanti e battute d’arresto. E a fare gol nonostante tutto. «Qui la comunità di oriundi italiani è la più grande del mondo; sono circa 30 milioni i brasiliani originari del nostro paese, più o meno il 15% della popolazione. E si vede anche nelle abitudini locali: a San Paolo per esempio va di gran moda la gastronomia italiana con una vera passione per la pizza!». Ma in un territorio che è 28 volte l’Italia, la 052
presenza tricolore si fa notare anche oltre le tradizioni culinarie. «La presenza delle nostre imprese è massiccia: colossi come Fiat, Pirelli, Enel, Tim e Ferrero sono ben saldi sul mercato brasiliano – spiega Raffaele Trombetta – e altre aziende stanno approdando qui, come Barilla. Sono circa 850 gli stabilimenti produttivi italiani. Cosa li attrae è presto detto: un mercato dalle dimensioni enormi, in cui la fascia a reddito medio è cresciuta in questi anni, una politica fiscale che in alcuni stati è attenta agli investimenti stranieri, ma anche le grandi opportunità offerte dalle abbondanti risorse naturali, dal ferro all’oro, dal gas al petrolio. E a questo proposito non dimentichiamo che al largo delle coste brasiliane è stato scoperto un
enorme giacimento di petrolio, il pre-sale, una vera miniera di “oro nero” che prima o poi costituirà un autentico Eldorado. Intanto, per facilitare gli investimenti, il governo ha introdotto una politica di tariffe contenute su risorse naturali ed elettricità in particolare: è stato un successo, anche se a lungo andare questa scelta potrebbe rivelarsi non sostenibile e costringere a tornare indietro. E in un paese che sta iniziando a rallentare la sua corsa, ciò potrebbe risultare rischioso. Dopo le impennate degli scorsi anni qual è la crescita attesa per i prossimi? Il Brasile, ormai lo sappiamo, fa parte dei BRICS, i paesi con tassi di crescita che hanno sfiorato l’8% del PIL, eppure a par-
tire dagli ultimi anni c’è stato un ripiegamento e la crescita attesa per il 2014 è del 2% o poco più. Anche le agenzie di rating hanno sottolineato queste deboli previsioni di crescita, ma non c’è bisogno di Standard and Poor’s per vedere che il Brasile sta attraversando una fase di assestamento. Circa un anno fa è iniziata una serie di manifestazioni contro il governo, nonostante il livello occupazionale si fosse innalzato e la crescita economica fosse stata notevole, manifestazioni che continuano tuttora, anche durante i Mondiali: la popolazione ha ottenuto un maggior reddito, ma ora vuole servizi. Anche la presidente Dilma Rousseff lo ha ammesso: il problema non è più nelle case, è fuori, nelle infrastrutture. 053
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l’italia che c’è in brasile |
È un annoso problema per questo paese, che nonostante la crescita economica non è quindi riuscito ad adeguarsi sotto il profilo delle infrastrutture. Infatti. Questo paese è caratterizzato da distanze enormi e da zone impervie e talvolta gli spostamenti sono così complicati da mettere a rischio la disponibilità delle stesse materie prime. Nel 2012 il governo ha messo in campo un programma per le infrastrutture che ha dato alcuni frutti, soprattutto per la rete stradale e aeroportuale, ma che non ha avuto i risultati sperati. Le dimensioni enormi della sfida spiegano in parte il motivo per cui il paese, sotto il profilo delle infrastrutture e della tecnologia, ha ancora molti miglioramenti da fare. Considerazioni analoghe possono essere fatte per il sistema politico e amministrativo: gli stessi brasiliani sanno che una riforma istituzionale sarebbe necessaria, ma la complessità del sistema federale la rende tutt’altro che semplice.
Ciò che attrae le imprese italiane è un mercato dalle dimensioni enormi, in cui la fascia a reddito medio è cresciuta, una politica fiscale attenta agli investimenti stranieri e la grande opportunità delle risorse naturali
A volte sembra che la cosa più difficile da capire di questo paese è... come funziona! Ci può dare qualche “istruzione per l’uso”? È vero, a volte non è facile districarsi… Il Brasile è una Repubblica federale presidenziale divisa in 26 stati federati più il distretto federale di Brasilia. Il 5 ottobre ci saranno le elezioni e probabilmente molti equilibri cambieranno, perché il voto riguarderà sia la figura del Presidente, sia i governatori degli stati federali, sia la Camera e il Senato federale. Insomma il 5 ottobre è un appuntamento importante. In Brasile convivono due sistemi elettorali, quello maggioritario e quello proporzionale ed esistono un gran numero di partiti; al momento sono più di 30, e ciò si riflette su un esecutivo composto da ben 39 ministri. Il potere esecutivo è stabile perché il Presidente e il suo governo restano in carica per quattro anni, ma il quadro politico è frammentato, frutto di quello che è stato definito presidenzialismo di coalizione. La conseguenza è la grande distribuzione di cariche pubbliche che rende difficile per un imprenditore che arriva in questo grande paese orientarsi e trovare l’interlocutore giusto. Per tornare al tema della riforma istituzionale, il basso numero di provvedimenti adottati in questo settore può essere spiegato con l’attenzione maggiore che il governo ha dedicato in questi anni, comprensibilmente, soprattutto alla lotta alla povertà. 054
Questo è un paese in cui favolosi progressi economici convivono con sacche di povertà e in cui la ricchezza si è fermata agli strati medio alti della popolazione. Per rimediare a questa situazione sono stati lanciati programmi come il progetto Bolsa Família, che prevede un sussidio per chi è ai margini della società, attribuito a una condizione: che i figli vengano mandati a scuola. Un aspetto, quello della formazione e del progresso culturale e scientifico, che sembra stare a cuore al Brasile, è così? Certo. Qui l’età media è bassa ma sta crescendo in fretta e il governo ha posto molto l’accento sulla formazione. Il progetto Ciência sem Fronteiras per esempio permette ai giovani migliori di studiare in tutto il mondo a spese dello Stato. Qui si respira una grande vivacità intellettuale, in linea con quella dei costumi: è una terra di grandi creativi e artisti, attenta alle innovazioni in campo di tutela dell’ambiente, e a dimostrarlo è il fatto che i biocombustibili sono di uso comune. Insomma anche in questo, grandi contrasti: da un lato le imponenti opere architettoniche, dall’altro le favelas... Per l’appuntamento col Mondiale di calcio sono stati fatti grandi investimenti, ci si attende un grande ritorno? A dire il vero sono tante anche le polemiche perché secondo alcuni osservatori l’impatto economico non sarà significativo a fronte di spese enormi per le infrastrutture collegate al Mondiale. Probabilmente è vero, e anche il numero dei turisti non salirà in maniera particolare, ma a mio giudizio sono polemiche strumentali: per il paese è un’occasione per dare il meglio di sé davanti al mondo e vale la pena investirvi.
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smarrimento dei documenti fino alla protezione in caso di problematiche di ordine pubblico. Per promuovere un’immagine moderna e dinamica del nostro paese abbiamo poi lanciato l’iniziativa Itália na Copa, una rassegna che sta portando tante nostre eccellenze nelle città del Mondiale, presentando sia la cultura tradizionale sia la capacità di innovazione scientifica e tecnologia. Ci tengo a sottolineare che il progetto rappresenta una grande operazione di promozione dell’immagine dell’Italia ed è realizzato praticamente senza ricorso a fondi pubblici, ma con il finanziamento di entusiasti partner privati italiani e italo-brasiliani. La rassegna comprende eventi come un seminario sulla tecnologia Made in Italy, concerti di Fiorella Mannoia e Mario Biondi, oltre a mostre sull’arte e sul costume italiano, e su simboli del nostro stile di vita e della creatività tricolore. Previsioni per il Mondiale degli azzurri? Ah no, per scaramanzia nessun pronostico! Certo sognare di arrivare fino in fondo al Campionato non costa nulla: diciamo che se tutto va bene per l’Italia bisognerà poi consolare i brasiliani!
Sono molti i tifosi italiani che sono venuti in Brasile? Direi di sì, e li abbiamo aspettati a braccia aperte, sia noi sia i brasiliani che, nonostante la rivalità calcistica, si sentono vicini ai “cugini” italiani, la cui nazionale è quella che, dopo la loro, amano di più. D’altronde qui anche buona parte del calcio ha origini tricolori: team seguitissimi come il Palmeiras o il Cruzeiro nascono da una squadra che un tempo si chiamava Palestra Italia e che fu fondata da immigrati italiani. Come vi siete preparati per l’evento? Abbiamo preparato un dispositivo di assistenza consolare straordinaria per i tifosi e i turisti italiani: oltre a un numero verde per contattare Ambasciata e Consolati, ci sono anche dei nuclei consolari mobili nelle città dove gioca l’Italia. Si tratta di gruppi di funzionari pronti a intervenire per aiutare il connazionale in ogni situazione, dallo 055
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approfondimento
Spazio a nuovi mercati articolo di Angela Zoppo Giornalista fotografie di Alessandro Cosmelli
I numeri dell’energia in America Latina oggi superano di gran lunga quelli dell’Europa. La ricchezza di risorse, la crescente domanda energetica e il boom di una classe media che chiede servizi rendono questo mercato molto interessante per gli operatori del settore. Il Brasile in particolare offre grandi opportunità ed Enel, che ha già una presenza importante e radicata in tutto il continente latinoamericano, intende coglierle.
Da quando, con l’acquisizione di Endesa, gli si sono aperte le porte del mercato dell’America Latina, Enel è diventato il primo operatore elettrico privato dell’area. Un primato difeso e consolidato negli anni. Il gruppo Enel, si potrebbe dire, si è trovato (e non a caso vista la determinazione nel condurre in porto l’OPA su Endesa) al posto giusto al momento giusto: nei Paesi Latam, infatti, la domanda di energia è crescente e tale da compensare il calo che sta caratterizzando ormai da anni i mercati domestici italiani e della penisola iberica. Il Brasile, dove il gruppo ha una capacità installata di oltre 1200 Megawatt (976 MW attraverso 056
Endesa e altri 266 MW con Enel Green Power), non fa eccezione. Con un tasso di crescita della domanda di energia elettrica pari al 3,4% annuo, si mantiene su un trend dal quale ormai la vecchia Europa è lontanissima. Di qui al 2020, secondo le stime più aggiornate, il tasso salirà ancora fino a circa il 4%. Molti gli atout di questo sconfinato paese: il quadro regolatorio è stabile – nonostante anche la presidente Dilma Rousseff abbia stretto un po’ sul settore delle utility – e a vantaggio di Enel vanno anche la lunga durata delle concessioni (la minima è di circa 30 anni) e un tasso di profittabilità che, per quanto riguarda gli asset di
Quasi l’85% della capacità totale installata nel paese proviene dalle fonti rinnovabili. Enel Green Power si è conquistata una robusta fetta di mercato, con 173 MW di eolico, 93 MW di idroelettrico e altri 331 MW di progetti già in via di esecuzione 057
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distribuzione, nel piano industriale 2014-2018, presentato a marzo scorso, viene indicato del 10,2%, superiore persino a quello di un altro mercato chiave nella strategia latinoamericana del gruppo, il Cile (10%). Enel opera su più fronti: oltre a gestire circa un Gigawatt di potenza installata, è presente nella trasmissione attraverso Cien, la rete ad alta tensione che arriva fino in Argentina, e nella distribuzione attraverso Ampla, società attiva nello stato di Rio de Janeiro, e Coelce, nello stato del Ceará, insignita per il quinto anno consecutivo del titolo di migliore utility del settore. Insieme vendono elettricità a circa 6,3 milioni di clienti e nel 2013 la loro attività è cresciuta del 4,4%. Proprio Coelce è stata al centro dell’operazione che ha aperto ufficialmente la campagna per il riacquisto delle minorities, annunciata da Enel per razionalizzare la catena societaria Latam. Quella portata in
dote da Endesa era in effetti troppo intricata. Le grandi manovre per la razionalizzazione di quella pletora di controllate e partecipate sono partite l’estate scorsa con l’aumento di capitale della cilena Enersis, ed è attraverso questa controllata che Enel si è mossa sul mercato, promuovendo l’OPA sulla società di distribuzione del Ceará. A metà gennaio scorso è stata lanciata l’offerta pubblica non ostile sul restante 42% di Coelce. A conclusione del periodo d’OPA, un mese dopo, Enersis ha acquistato sulla Borsa brasiliana Bovespa il 15,13% del capitale della società per un controvalore di circa 176 milioni di euro, mentre per le sole azioni ordinarie si è andati ai tempi supplementari. Ma il Brasile ha anche un altro indiscutibile appeal agli occhi di Enel. È, infatti, tra i primi paesi al mondo per la produzione di energia pulita, con quasi 100.000 MW di capacità installata (e senza contare il grande idroelettrico). In pratica quasi l’85% della capacità totale installata nel paese proviene dalle fonti rinnovabili. Enel Green Power si è conquistata perciò una robusta fetta di mercato, con 173 MW di eolico, 93 MW di idroelettrico e altri 331 MW di progetti già in via di esecuzione. Dall’inizio dell’anno si è inoltre aggiudicata anche 11 MW solari. Ad aprile scorso la controllata verde di Enel ha completato l’impianto eolico di Crystal, 90 MW a Morro do Chapéu nello stato di Bahia, in grado di generare oltre 400 milioni di KWh all’anno. Altri progetti eolici, per circa 88 MW e 163 milioni di dollari di investimenti, produrranno l’energia elettrica che Enel Green Power rivenderà in forza dei contratti ventennali da stipulare con la Ccee (Câmara de Comercialização de Energia Elétrica), assegnati alla società delle rinnovabili con la gara pubblica del 2013, Brazilian reserve auction. Gli impianti sorgeranno sempre nello stato di Bahia.
Il Brasile, con un tasso di crescita della domanda di energia elettrica pari al 3,4% annuo, si mantiene su un trend dal quale ormai la vecchia Europa è lontanissima
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Un cantiere è invece in piena attività nel Mato Grosso per la costruzione di un impianto all’avanguardia da 1,2 MW, che utilizzerà la tecnologia a film sottile e contribuirà a fornire energia elettrica per i lavori delle tre centrali idroelettriche (102 MW in totale) di Salto Apiacás, Cabeça de Boi e Fazenda. L’investimento per i tre impianti idro è stimato a oltre 280 milioni di dollari, e anche in questo caso si parte con contratti di fornitura già assicurati. Enel Green Power, infatti, rivenderà l’energia prodotta a un pool di società di distribuzione che operano sul mercato regolato locale. Tanta attenzione all’energia verde e alle nuove tecnologie non poteva non sfociare in un altro progetto all’avanguardia: la creazione della prima smart city dell’America Latina, ad Armação dos Búzios, cittadina di circa 25.000 abitanti nello stato di Rio de Janeiro famosa per le sue spiagge. Con un investimento di 18 milioni di dollari finanziato dall’Aneel (l’agenzia nazionale per l’energia elettrica) la controllata Ampla ha installato tutte le applicazioni delle smart grid, dai contatori intelligenti all’automazione di rete, dall’integrazione delle rinnovabili alla mobilità elettrica fino all’illuminazione pubblica efficiente. 059
In
intervista
Visioni alternative Intervista a Maurício Tolmasquim
Presidente dell’Empresa de Pesquisa Energética di João Gonçalves Giornalista
Terzo al mondo per potenziale idroelettrico, il Brasile ha un’importante storia di produzione di rinnovabili, grazie soprattutto al patrimonio idrico della regione amazzonica. E non solo di acqua vive la sua energia, perché oggi il paese sta guardando oltre: sole e vento, legna e canna da zucchero contribuiranno a diversificare le fonti e a rafforzare la sicurezza energetica.
L’ingegnere ed economista Maurício Tolmasquim è il presidente dell’Empresa de Pesquisa Energética (EPE), l’ente del governo brasiliano responsabile per gli studi e le ricerche che, fin dalla sua creazione nel 2004, contribuisce alla pianificazione energetica del paese. In questa intervista per Oxygen, Tolmasquim espone nei dettagli il piano brasiliano degli investimenti nel settore dell’energia elettrica dal 2015 al 2018, che consisterà in 46,11 miliardi di dollari statunitensi (circa 102 miliardi di real) per la produzione di ulteriori 31.891 Megawatt (MW). Con la progressiva riduzione delle possibilità per l’ampliamento del potenziale idroelettrico, che è la modalità produttiva più diffusa nel paese (86.020 in 126,55 MW di capacità installata a fine 2013), il Brasile sta rivolgendo il proprio sguardo verso altre fonti di energia rinnovabili, in particolare 060
quella eolica, solare e la biomassa. Insieme alle centrali termoelettriche a combustibili fossili, tali fonti rinnovabili amplieranno il ventaglio alternativo alle centrali idroelettriche, garantendo una maggior sicurezza energetica negli anni con scarse precipitazioni, proprio come questo 2014. Tolmasquim afferma che la partecipazione delle fonti eoliche alla rete elettrica del paese schizzerà dall’attuale 2% al 10% nel 2023. Qual è il profilo della produzione elettrica brasiliana e come crescerà nei prossimi anni? Il Brasile ha una delle reti elettriche più rinnovabili al mondo. La proporzione delle fonti rinnovabili nella produzione energetica si attesta tra l’80 e il 90%. Tale variazione dipende da quanta energia idroelettrica stiamo effettivamente pro-
ducendo. Nel mondo, la partecipazione delle fonti rinnovabili alla produzione è pari solo al 20%. La principale fonte che garantisce al mondo il rifornimento di energia elettrica è il carbone, che rappresenta il 40% del totale e che in Brasile ha invece una partecipazione molto ridotta, inferiore al 2%: qui la principale fonte di rifornimento energetico è l’energia idroelettrica. In termini di espansione, il Brasile dispone del terzo maggior potenziale idroelettrico al mondo, secondo solo a Cina e Russia, e finora ne ha utilizzato solo un terzo. Ora, il 60% dei due terzi rimanenti è situato nella regione Nord, in Amazzonia, dove abbiamo la principale concentrazione di un’altra grande ricchezza brasiliana, la biodiversità. La grande sfida è proprio usare parte del potenziale idroelettrico di questa frontiera Nord, rispettando l’ecosistema. In considerazione di questo vincolo ambientale, qual è il reale potenziale dello sfruttamento di questa energia elettrica vergine? Sarà decisamente inferiore, forse la metà di quello che abbiamo. Inoltre, dato che l’Amazzonia è pianeggiante, sono sempre più rare le centrali idroelettriche a serbatoio. Nei pochi punti in cui sarebbe possibile averne, è necessario considerare che l’impatto ambientale sarebbe notevole. Perciò, andiamo verso la costruzione di centrali ad acqua fluente, che non sono dotate di un serbatoio. Continueremo ad averne alcune a serbatoio, ma saranno sempre meno e dato che le altre non possono immagazzinare il combustibile, cioè l’acqua, è essenziale diversificare la rete elettrica. In che direzione va questa diversificazione? Già da molto tempo stiamo lavorando con diverse fonti energetiche e approfondiremo questo percorso. Ma, per concludere il discorso sulle energie idroelettriche, le aste di offerta che avranno luogo tra il 2015 e il 2018 prevedono l’appalto di 14.350 MW. La punta di diamante sarà la centrale ad acqua fluente di São Luiz do Tapajós, con una potenza installata di 8040 MW. Tornando alla diversificazione, una delle alternative sarà l’ampliamento del parco delle centrali termoelettriche a combustibili fossili, preferibilmente a gas naturale; tuttavia, dato che il Brasile deve importare il gas, in particolare sotto forma di gas naturale liquefatto (GNL), e il gas continua a essere caro, potremmo aggiungere alcune centrali termiche a carbone. Stiamo già negoziando con le imprese europee fornitrici di GNL l’acquisto del prodotto per le nostre centrali termiche. 061
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L’energia eolica sta crescendo in maniera esponenziale: nel 2014 raddoppieremo la quantità delle centrali eoliche installate
Saranno dei rigassificatori come quelli importati dalla Petrobras? Proprio così: abbiamo sia imprese che stanno studiando la possibilità di avere rigassificatori propri sia imprese che stanno valutando, insieme alla Petrobras, la possibilità di affittare parte dei rigassificatori già esistenti. Fino al 2018, in che misura l’energia termica parteciperà a questa espansione? Intendiamo appaltare 7000 MW di centrali termoelettriche a combustibile fossile. Un’altra fonte energetica importante è l’energia termica da biomassa, sia quella derivante dal bagasso (una biomassa ricavata dallo scarto della lavorazione della canna da zucchero), sia quella prodotta dalla legna sminuzzata, il cosiddetto cippato. Il Brasile, avendo un programma di etanolo, ha sovrabbondanza di bagasso e ora cominciano ad apparire le prime centrali a cippato: ciò è molto interessante per il sistema elettrico brasiliano perché, in caso di problemi con l’energia idroelettrica, possiamo usare il legno che è stato piantato. Se l’energia idroelettrica rimarrà invece costante per molti anni, l’impresa potrà guadagnare esportando il legno per altri
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usi. Piantare una foresta significa avere uno stock di combustibile che può essere utilizzato in qualsiasi momento. Nelle ultime aste le foreste hanno fatto la loro apparizione, mostrandosi competitive dato che, qui in Brasile, crescono a un ritmo molto elevato. Entro il 2018 appalteremo 1630 MW in centrali a biomassa. Al giorno d’oggi, l’energia eolica è sempre più diffusa a livello mondiale. Non pensa che in Brasile lo sfruttamento di tale fonte energetica sia ancora molto ridotto? Ritengo che in questo momento l’energia eolica stia crescendo in maniera esponenziale: nel 2014 raddoppieremo la quantità delle centrali eoliche installate e il contributo di tale segmento all’insieme della produzione elettrica del paese passerà da 2200 MW nel 2013 a 9000 MW a fine 2015. Si tratta di centrali già appaltate. Il Brasile ha un ottimo potenziale eolico, con venti forti e costanti. Abbiamo uno dei Megawatt più economici al mondo per l’energia eolica e sei imprese che producono aerogeneratori, garantendo così che almeno il 60% delle attrezzature necessarie siano prodotte internamente. Tra l’altro, i venti in Brasile soffiano più forte proprio da maggio a novembre, il periodo con meno precipitazioni nelle regioni del sudest e del nor-
dest che sono quelle con maggiore concentrazione di serbatoi idroelettrici; lo stesso si verifica anche con la biomassa da canna da zucchero, il cui raccolto va da aprile a novembre: anche la biomassa da bagasso è perciò complementare all’energia idroelettrica. Pertanto la triade di fonti termoelettriche, eoliche e a biomassa andrà a sostituire, senza sorprese, l’energica idrica nei periodi di siccità anomala, proprio com’è successo quest’anno? Si tratta di fonti che vanno a integrare l’energia idroelettrica: l’energia termica a combustibile fossile ha il vantaggio che può essere usata solo quando necessaria, le altre sono fonti naturalmente complementari. L’obiettivo è appaltare almeno 5000 MW di eolica nelle aste previste fino al 2018: oggi rappresenta all’incirca il 2% della rete elettrica del paese, ma nel 2023 dovrà arrivare al 10%. Nel suo insieme, quanta nuova energia questo programma aggiungerà alla rete elettrica del paese e quali saranno gli investimenti necessari? Nel totale, la programmazione fino al 2018 prevede 31.891 MW, ovvero 102 miliardi di real, senza parlare delle piccole centrali idroelettriche (centrali fino
a 30 MW), delle quali appalteremo 910 MW fino al 2018, e dell’energia solare, la cui prima asta specifica è prevista per quest’anno. Solo per dare un esempio, il livello di insolazione del Brasile è due volte quello della Germania e pertanto la fonte solare ha tutte le caratteristiche per avere successo nel paese. Stiamo pensando a 3000 MW di energia solare in quattro aste fino al 2018. Come si può tranquillizzare l’investitore straniero sul problema normativo nel settore elettrico brasiliano? Il nostro quadro normativo attrae molti investitori, in particolare quelli internazionali. Vuole sapere perché? Abbiamo aste pubbliche, il cui vincitore ottiene un contratto a lungo termine firmato dalle imprese distributrici: 30 anni per l’energia idroelettrica, 25 per la termoelettrica e 20 per l’eolica. Tale contratto è accettato dalla Banca nazionale di sviluppo economico e sociale (BNDES) come garanzia per un finanziamento a condizioni molto vantaggiose e garantisce al proprietario della centrale un introito permanente, anche nel caso in cui il consumo non cresca.
Cascate dell’Iguaçú Leggenda (indios) narra che quando la bellissima Naipi fuggì con il suo amato, il Dio Serpente, che voleva sposarla, spaccò la roccia e da li fece precipitare il fiume, e con esso i due giovani: lei fu trasformata in roccia e lui in una palma, e tuttora si guardano attraverso l’immensa cascata.
Il livello di insolazione del Brasile è due volte quello della Germania: la fonte solare ha tutte le caratteristiche per avere successo nel paese
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Co oxygen | contesti 23 — 06.2014
vento a 20 nodi articolo di Ben Backwell Giornalista
Nell’ultimo decennio il vento è stato al centro dei pensieri di molti politici e imprenditori brasiliani, che, a volte con qualche reticenza, hanno saputo comprenderne il valore e gettare le fondamenta strutturali e normative per sfruttare al meglio l’energia eolica. Un bilancio di come sono andate e andranno le cose, per capire che vento tirerà nei prossimi altri dieci anni.
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Nel nordest del paese il vento è costante. Una sorta di “immenso phon” che ha permesso ai progetti eolici di totalizzare uno dei fattori di capacità medi più alti al mondo Il Brasile non ha mai avuto un ruolo così importante nella consapevolezza globale come quello di paese ospitante dei Mondiali 2014 e delle Olimpiadi 2016, che coincide con la sua progressiva affermazione a una delle maggiori potenze economiche e diplomatiche, rendendo questo decennio un “decennio brasiliano”. Il futuro del soft power brasiliano, mentre lotta per un posto al tavolo più importante delle relazioni internazionali, è strettamente collegato all’abilità di gestione delle sue ricche risorse naturali e di confronto con la minaccia del cambiamento climatico, rispetto alla quale è molto vulnerabile. A lungo associato all’agenda per la sostenibilità per aver ospitato l’incontro decisivo del 1992, l’Earth Summit di Rio e il follow-up Rio+20 nel 2012, aprendo così la strada agli accordi internazionali in ambiti come la deforestazione, il Brasile sta giustamente iniziando ad avere un ruolo guida nello sviluppo delle energie rinnovabili, e in particolare di quella eolica. Il paese ha goduto per molto tempo di un vantaggio significativo sotto il profilo delle emissioni di anidride carbonica; circa l’80% dell’energia elettrica è prodotta da centrali idroelettriche, mentre le centrali termoelettriche a gas, gasolio e carbone costituiscono poco più del 16% e il nucleare il 2%. La disponibilità di idrocarburi è stata storicamente limitata, il che gli ha permesso di diventare un pioniere mondiale di biocarburanti negli anni Settanta. L’attuale boom nell’esplorazione dei giacimenti di petrolio pre-sale, in acque ultra-profonde, non ha finora portato a un aumento su larga scala dei flussi di gas naturale verso il continente, ma è possibile che ciò si verifichi nel medio termine. L’idroelettrico resterà la colonna portante del sistema energetico nazionale, ma gli enormi investimenti di capitale, la pianificazione a lungo termine e il maggiore impatto ambientale e sociale del progetto pre-sale dimostrano che
il Brasile al momento non è in grado di tenere il passo della domanda energetica con l’energia idroelettrica. Anche perché la sua fornitura può subire nette riduzioni in caso si susseguano anni di siccità, come successo prima della crisi energetica del 2001-2002, superata senza blackout soltanto riducendo il consumo del 20% su un periodo di otto mesi. I decisionisti stanno comprendendo che l’energia eolica è complementare a quella idroelettrica e di conseguenza, nel 2004, la nuova amministrazione del Partito dei Lavoratori (PT) ha voluto la creazione di un sistema di gare, come parte di una serie di riforme finalizzate ad assicurare l’adeguata disponibilità di nuova energia. Il governo aveva anche creato un’azienda statale, la EPE, incaricata della pianificazione energetica a lungo termine e di decidere, tra le altre cose, come gestire le gare e quali fonti energetiche includere. Il Brasile ha ottime risorse eoliche. In molte aree del nordest del paese il vento è costante (funzionari industriali lo definiscono un “immenso phon”), il che ha permesso ai progetti eolici di totalizzare uno dei fattori di capacità medi più alti al mondo, in eccesso del 50%. Il governo aveva varato la legge per il primo programma di incentivazione per l’eolico (PROINFA) durante l’amministrazione Fernando Henrique Cardoso (1995-2003), programma però attuato solo nel primo governo Lula, dall’allora Ministro per l’Energia e ora Presidente Dilma Rousseff. C’era comunque molto scetticismo da parte dei funzionari di governo, che vedevano l’eolico come risorsa energetica di larga scala; ciò accadde fino alla primavera del 2009, quando alcune corporazioni organizzarono un viaggio in Spagna, in pieno boom del mercato eolico, destinato a politici chiave della scena brasiliana e funzionari di governo, inclusi membri dei comitati per le energie rinnovabili di entrambe le camere del Congresso brasiliano. 065
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«Osservare le dimensioni dell’industria, e soprattutto la sala di controllo Red Eléctrica, da cui si può monitorare l’intero sistema di produzione di energia spagnolo, illuminò le menti dei funzionari e politici brasiliani», afferma Steve Sawyer, segretario generale del Global Wind Energy Council (GWEC). Tra i partecipanti al viaggio c’era il presidente dell’EPE Maurício Tolmasquim, che da quel momento è stato determinante per la creazione del quadro normativo a favore di una rapida crescita dell’industria eolica in Brasile che si è concretizzata, dal 2011 in poi, in una serie di bandi di gara di grande successo nell’ambito di PROINFA. La capacità eolica aumenterà a più di 9 GW entro la fine del 2015 (da 2,7 Gigawatt installati e connessi attualmente). Soltanto nel 2013 sono state indette gare per 4,7 GW. Le proiezioni del governo prevedono 17,5 GW di potenza eolica installata nel paese entro la fine del 2022. Tutto ciò mette il Brasile in una posizione di rilievo nel settore eolico, con la probabile installazione di 2,5 GW all’anno. Società internazionali di sviluppo nel campo delle energie rinnovabili come Ibedrola, Enel Green Power e EDP Renovaveis sono state veloci a sfruttare il vantaggio di queste possibilità, a fianco di imprese locali dinamiche come Renova, CPFL Renováveis e Casa dos Ventos. Per soddisfare l’esplosione della domanda, i produttori di turbine come la GE, Alstom, Gamesa, Vestas, Wobben (Enercon), e Acciona stanno producendo i macchinari in Brasile. La grande sorpresa per chi partecipa al mercato globale dell’energia è stata la competitività del vento sin dall’inizio del sistema delle gare. La gara del dicembre 2012 ha assegnato un contratto per una capacità di 10 centrali eoliche a una tariffa media di 87,94 real brasiliani/MWh (42,2 dollari americani/MWh), con un prezzo minimo che era pari a 87,77 real brasiliani/MWh. I prezzi erano più bassi del 12% rispetto alla gara di agosto 2011, che fino ad allora segnava il prezzo per l’energia eolica più basso del mondo (per fare un confronto, i contratti di fornitura di energia più economici nel competitivo mercato statunitense si aggirano in media sui 50 dollari per MWh). L’importanza dello sviluppo di un’industria eolica più ampia in Brasile non può essere esagerata: il fatto 066
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che questa energia stia diventando una delle maggiori fonti di approvvigionamento elettrico senza incentivi, vincendo contro la generazione dei combustibili fossili, è estremamente importante, in un contesto in cui recenti dibattiti tendevano a essere dominati dalle preoccupazioni sui costi. Che cosa ha permesso che questo accadesse? Prima di tutto l’enorme “phon” del nordest del Brasile sta fornendo fattori di capacità che sono praticamente insuperabili. Poi, il sistema di gare ideato dalla EPE, che crea un ambiente estremamente competitivo, assicurando prevedibilità agli imprenditori dell’eolico grazie a contratti di fornitura garantiti per 20 anni. Infine, il Brasile mette a disposizione finanziamenti in termini estremamente interessanti attraverso il BNDES. Il sistema non è ancora perfetto, certo, e l’industria eolica in rapida evoluzione del Brasile si trova ad affrontare una serie di sfide, sia dal punto di vista della costruzione delle strutture, sia sul realismo delle offerte avanzate dalle imprese. Le norme locali per la gestione dei finanziamenti della BNDES hanno avuto successo fino a ora, ma una seconda fase di regolamentazione (FINAME2) potrebbe portare a un aumento dei costi delle centrali e quindi della produzione. Ci sono inoltre potenziali nuvoloni nell’orizzonte politico: i funzionari di governo continuano a voler promuovere la produzione da combustibili fossili con il consueto argomento della maggiore necessità di “carico base” piuttosto che di energia variabile, e si sono impegnati a promuovere il gas e addirittura una produzione marginale di energia con il carbone. Se il Brasile può sfruttare un grande flusso di gas naturale dagli enormi giacimenti di idrocarburi pre-sale di Santos Basin, l’azienda petrolifera statale Petrobras agirà a favore della costruzione di un ingente numero di nuove centrali a gas nei prossimi anni. Per mantenere lo slancio, l’industria eolica deve dimostrare di poter fornire quanto ha promesso, continuando a innovare e a tenere bassi i costi di produzione senza mettere a rischio l’ambiente: non sarà semplice, ma la leadership brasiliana nell’eolico non può che costituire un vantaggio perché il paese accresca la propria influenza a livello globale. 067
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approfondimento
Storie di fermenti imprenditoriali articolo di Elisa Barberis Giornalista illustrazioni di Undesign
Energia, commercio, informatica, biotecnologie, moda e design. Lo sviluppo interessa un’ampia varietà di settori: dal petrolio alla crema per il corpo e i seggiolini degli stadi, ciò che accomuna la produzione del Brasile è l’attenzione alla sostenibilità ambientale e il rispetto della biodiversità.
Design ecofriendly Per architetti e designer di tutto il mondo oggi la patria di Oscar Niemeyer e Marcio Kogan è la “terra promessa”: dagli aeroporti agli stabilimenti produttivi, dall’illuminotecnica ai piani urbanistici sono infinite le esigenze di un’economia emergente. E anche in vista dei grandi eventi sportivi che si terranno in Brasile – a cominciare dalla Coppa del Mondo FIFA di quest’estate – il settore sta vivendo una nuova fase di espansione. In prima linea lo studio BCMF Arquitetos, responsabile della maggior parte degli appalti architettonici per Rio 2016, che ha rinnovato il Mineirão Stadio a Belo Horizonte, spogliando l’originale costruzione del 1960 e creando un nuovo tetto in pannelli solari che lo rendono il primo stadio completamente alimentato a energia solare. L’edificio, al quale si aggiungono nuovi negozi e un museo del calcio, userà l’acqua piovana raccolta per ridurre ancora di più il consumo di risorse.
Il logo di Olimpiadi e Paralimpiadi è stato, invece, disegnato da Tatil Design, che conta tra i suoi clienti anche Procter&Gamble e Coca-Cola. Sempre in ottica ecofriendly, il pluripremiato studio ha elaborato una nuova generazione di imballaggi che non sono solo ecologici, ma soprattutto ottimizzano l’efficienza. Si tratta di un packaging rivoluzionario, creato in collaborazione con Natura Cosméticos, per ridurre al minimo lo spreco di prodotto e utilizzare il 70% in meno di plastica rispetto agli imballaggi convenzionali. Il risultato è una tasca verticale che consente agli utenti di usare creme e altri prodotti di bellezza fino all’ultima goccia.
Shopping per tutte le tasche Bellezza sostenibile L’ambiente, prima di tutto. È questa la filosofia di Natura Cosméticos, l’azienda di prodotti di bellezza che nel 2011 è stata scelta come la seconda impresa più sostenibile al mondo. Della conservazione della biodiversità nella foresta pluviale ha fatto un vero fiore all’occhiello: l’80% della sua produzione è basata su piante coltivate dagli agricoltori di São Francisco, nell’estremo nord del Brasile. È una comunità indigena, composta di sole 32 famiglie, a occuparsi di una tra le più importanti piantagioni: 800.000 ettari di terreni da dove viene estratto l’ingrediente principale per la linea di profumi, olii, saponi e creme. Quando nel 1969 Antonio Luiz Seabra ha fondato 068
Natura, aveva in mente due obiettivi ben precisi: non solo la valorizzazione degli ingredienti naturali da proteggere contro uno sfruttamento eccessivo, nell’ottica di preservare la biodiversità, ma soprattutto favorire il welfare e lo sviluppo delle comunità rurali. Nel 1998 grandi brand come L’Oréal e Palmolive hanno tentato di comprare l’azienda, ma il fondatore ha raddoppiato la sua scommessa e puntato sulla creazione di modelli di business basati sulla sostenibilità. Di recente, con la popolazione del Surui, ha avviato un pioneristico progetto che mira all’abbattimento di circa cinque milioni di tonnellate di emissioni di CO2 per i prossimi trent’anni.
Con un giro d’affari di oltre cinquanta miliardi di dollari che coinvolge più di 30.000 imprese, il Brasile si sta imponendo come il nuovo Eldorado della moda e dei brand di lusso. E mentre gli shopping mall di San Paolo e Rio de Janeiro si arricchiscono delle firme internazionali più importanti sul modello della Fifth Ave newyorkese, i retailer locali puntano tutto sui designer emergenti e rubano le scene allo storico panorama di griffe europee. Quello di Osklen, il brand d’abbigliamento eco-chic fondato 25 anni fa da Oskar Metsavath, è tra i fashion show più attesi: in ogni vestito si percepisce la frenesia di una metropoli che cresce a ritmi altissimi così come l’esuberanza della natu-
ra brasiliana. Per la linea sportswear, la casa di moda – che progetta e realizza le sue collezioni nel rispetto dell’ambiente – sta sperimentando seta filata a mano, tessuti fabbricati con pelle di pesce d’acqua dolce, cotone organico e lattice dell’Amazzonia. Sono fatte al 100% di gomma naturale brasiliana anche le Havaianas, le popolari infradito colorate diventate un accessorio di tendenza, al punto che solo nel 2010 ne sono stati venduti 200 milioni di paia. Pensate inizialmente dall’azienda Alpargatas come una soluzione per permettere ai più poveri di non camminare a piedi nudi, proteggendoli dalle malattie, sono diventate un simbolo anche per la classe più agiata. Da Missoni a Manolo Blahnik, alcuni tra i più grandi stilisti hanno creato edizioni limitate e il marchio è ormai sinonimo di uno stile di vita colorato e divertente. 069
La ricchezza nella diversità Il retail entra in favela Una classe media e un potere d’acquisto in rapida crescita, una propensione al consumo sempre più elevata, un mercato non ancora saturo e dalle grandi potenzialità: il Brasile per il terzo anno consecutivo è nella parte alta della classifica mondiale delle economie più promettenti, non solo dell’America Latina ma di tutto il mondo. Dal cibo ai vestiti, dagli elettrodomestici ai libri, dai giocattoli ai pacchetti vacanze, a guidare l’exploit delle vendite è Lojas Americanas, il più grande rivenditore al dettaglio del Brasile. Fondato nel 1929 da un gruppo di statunitensi arrivati con l’idea di lanciare un negozio a prezzi bassissimi, tutt’oggi il marchio è conosciuto per essere il più conveniente rispetto a qualsiasi altro rivenditore, oltre che una delle più importanti piazze di e-commerce del paese. La convenienza, infatti, è una delle motivazioni più forti alla base del successo degli shopping center brasiliani. Grazie alla capacità di intercettare bisogni e abitudini d’acquisto dei clienti con un basso reddito e alla decisione di facilitare l’accesso al credito anche per chi non ha un conto in banca, il rivenditore di mobili ed elettrodomestici Casa Bahia è diventato un punto di riferimento per chi vive nelle favelas. Caso unico nel mondo del retail, la catena fondata nel 1957 da un immigrato polacco, vanta ormai quasi 500 negozi e ha conquistato oltre 20 milioni di consumatori sparsi in tutto il Brasile.
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In un paese che dispone di una delle maggiori biodiversità esistenti, con il 20% delle specie di tutto il pianeta, il settore delle biotecnologie si sta imponendo come un’industria di grande importanza strategica per il futuro. Il governo è impegnato in prima linea per sostenerne lo sviluppo, favorendo sinergie tra università, centri di ricerca e quei centinaia di incubatori la cui missione è l’assistenza alle startup per almeno un triennio. Tra queste, una delle più innovative è Bug Agentes Biológicos, che ha trovato un modo per combattere naturalmente le larve e le cimici che ogni anno mettono a rischio le coltivazioni di canna da zucchero e soia. Sui cam-
pi vengono “spruzzati” sciami di vespe al posto dei pesticidi chimici di cui il Brasile – terzo esportatore di prodotti agricoli a livello mondiale – è il più grande consumatore dopo gli Stati Uniti. Bug, finora, è l’unica alternativa approvata dai ministeri della salute e dell’ambiente, in grado di eliminare i parassiti e prevenire le infestazioni. All’avanguardia nelle tecniche per proteggere i frutti della terra è anche Embrapa, l’istituto statale per la ricerca agricola, che ha creato diverse tecniche per aumentare il contenuto di vitamine in banane, fagioli, mais, manioca e squash, oltre che per accrescere la resistenza alle malattie in papaia e fagioli e il contenuto energetico della canna da zucchero. Nel 2008 l’azienda ha scommesso sull’Africa e lanciato un partenariato per condividere le proprie tecnologie agricole, oggi fondamentali per l’industria del cotone che si sta sviluppando tra Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali.
Dal Brasile alla Cina il futuro è online Belo Horizonte, Manaus, Campinas, San Paolo: piccole Silicon Valley crescono nel cuore dell’America Latina, grazie ai sempre più numerosi incentivi e sgravi fiscali a livello nazionale e federale che incoraggiano l’apertura non solo di filiali di aziende straniere operanti nel settore tecnologico, ma di tante start up locali che puntano a farsi conoscere in tutto il mondo. Creato nel 2007 con un capitale iniziale di 300.000 dollari, il network Boo-Box (boobox.com) oggi domina la pubblicità su internet in Brasile, attraverso una rete di quasi 500.000 blog, siti e profili social, che visualizzano più di tre miliardi di annunci al mese, in grado di raggiungere 80 milioni di persone. Inserita dalla rivista “FastCompany” tra le cinquanta aziende più innovative al fianco di Google, Twitter e Facebook, Boo-Box si sta facendo strada anche come fornitore di servizi di pianificazione e monitoraggio delle campagne pubblicitarie, soprattutto per quelle piccole aziende che
hanno un budget limitato per farsi conoscere sul web. Nata invece come rivenditore di giochi per cellulari, oggi Samba Tech (sambatech.com) è diventata la più grande piattaforma di video online del continente, che gestisce i contenuti delle prime cinque reti televisive del paese oltre a quelli di importanti marchi come MGM, Samsung e MTV, su computer, televisione e smartphone. Il prossimo obiettivo? Destinazione Cina, che proprio come il Brasile, sta attirando l’attenzione di venture capitalist stranieri che vedono enormi opportunità di mercato nella crescente penetrazione di internet. 071
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Il Brasile prende quota
Verde come la plastica
Energia eccellente
Il Ministero delle PMI
Un satellite geostazionario che garantisca “assoluta sicurezza”, sia in campo militare sia civile, dopo lo scandalo sulla rete di spionaggio ordita dagli Stati Uniti ai danni di milioni di brasiliani, inclusa la presidente Dilma Rousseff. È l’ultima sfida della Embraer, terza impresa aeronautica al mondo per forza lavoro dietro a Boing e Airbus, con quasi 17.000 dipendenti. Data l’attuale crisi che ha colpito soprattutto chi viaggia per piacere, la compagnia statale si prepara non solo a sbarcare nello spazio, ma anche a lanciarsi nel mercato dell’aviazione “d’affari”, ovvero quello dei jet privati utilizzati da manager e imprenditori. Simbolo dal 1968 di un paese che produce e che vola alto, con una crescita annua del 5% del settore, Embraer punta a raggiungere un giro d’affari di oltre 315 miliardi di dollari entro il 2031. Con i Mondiali di calcio, prendono però quota anche le compagnie low cost, in trattativa con il governo per abbassare i costi dei biglietti e favorire il traffico aereo, spesso unico mezzo per attraversare la nazione a causa delle grandi distanze e del malfunzionamento della rete di trasporti locali. Azul, in particolare, facendo leva su prezzi più abbordabili per tutti e tariffe speciali per chi ha budget limitati o non possiede carte di credito, sta cercando di sostituire i viaggi in autobus, molto più lunghi e dispendiosi. Il primo vero test sarà quest’estate, ma intanto l’azienda punta già alla rotta verso gli Stati Uniti.
Eco-sedili di polietilene a base di etanolo di canna da zucchero, 100% riciclabile: ecco su cosa si stanno sedendo gli appassionati di calcio che assistono alla Coppa del Mondo. Le poltrone, che hanno debuttato all’Estádio do Morumbi di San Paolo, sono opera di Braskem, azienda petrolchimica e la più grande produttrice di polimeri a livello mondiale, con un’ampia presenza anche in Messico e un’attività in crescita negli Stati Uniti. La domanda di materiale biodegradabile anche nel comparto alimentare e la messa al bando delle borse di plastica hanno accelerato il trend di consumo delle bioplastiche. Con materie prime rinnovabili come la canna da zucchero – usata non solo come biocombustibile –, Braskem ogni anno produce oltre 200.000 tonnellate di plastica “verde”, utilizzata da colossi come Johnson&Johnson e Walmart per le loro confezioni. I benefici per l’ambiente non sono pochi: per ogni tonnellata prodotta ne vengono rimosse 2,5 di gas di carbonio dall’atmosfera, contribuendo così a ridurre l’effetto dei gas serra. L’azienda fa parte del gruppo tedescobrasiliano Odebrecht, ben più vasto e datato, per il quale lavorano 170.000 dipendenti in trenta paesi del mondo nei settori più diversi, dall’energia alle prestazioni ingegneristiche, dal trasporto e logistica al settore immobiliare, dall’edilizia alla chimica. Ma nello stato carioca si è affermato anche come pioniere nel sociale, sviluppando progetti negli ambiti dell’istruzione, della salute, dell’ambiente e della cultura.
Da azienda notoriamente poco rispettosa dell’ambiente a leader globale della sostenibilità: in 15 anni il gigante dell’energia Petrobras ha saputo modificare il suo volto fino a diventare un modello per chi opera nel settore petrolchimico. L’impresa si è, infatti, imposta sul mercato non solo come pioniera delle energie rinnovabili e dei biocarburanti, ma soprattutto per l’innovatività delle proprie tecnologie per l’estrazione di gas e petrolio. Con il nuovo piano industriale e la costruzione del complesso Comperj, che assorbirà circa 200.000 addetti contando anche l’indotto, punta inoltre a raddoppiare la produzione entro il 2020, passando da 2 a 5,2 milioni di barili. Obiettivo: garantire l’autosufficienza dell’intero paese. Al momento Petrobras controlla, in tutto il mondo, 14 impianti di perforazione in acque profonde e altre sette piattaforme offshore sono in arrivo nei prossimi mesi. Con una capacità di stoccaggio di 600.000 barili e altri 80.000 prodotti ogni giorno, la struttura Chinook-Cascade, situata a 165 miglia al largo della Louisiana, si distingue dalle altre anche per la possibilità di essere sganciata e spostata fuori dal percorso degli uragani, evitando carenze di greggio a lungo termine. Sull’onda di disastrosi incidenti e perdite di petrolio, Petrobras ha investito su una politica ambientale rigorosa, affidando la gestione direttamente ai top manager che ne monitorano le performance e stimolando la competizione tra i propri fornitori perché dimostrino la loro eccellenza.
Sono negozi di alimentari e sartorie artigianali, studi di consulenza o commercialisti, piccole fabbriche o aziende agricole. Costituiscono il 99% dell’universo delle imprese e garantiscono almeno due terzi dei 94 milioni di posti di lavoro, al punto da rappresentare il 20% del PIL del paese. Le piccole e medie imprese sono la spina dorsale del Brasile e la loro crescita non vede limiti, soprattutto nel sudest, dove il tasso di sopravvivenza ha superato di gran lunga quello di Canada, Austria, Spagna e Italia. Merito della legislazione favorevole, che ha ridotto e unificato le tasse in un’unica soluzione, ma anche dell’aumento della scolarizzazione e del rafforzamento del mercato interno, con oltre cento milioni di consumatori in più. Imprenditori più preparati e manodopera qualificata sono le chiavi del successo delle aziende che hanno scelto di investire in capitale umano, puntando anche sulle assunzioni di giovani e di over 40 disoccupati, piuttosto che in efficienza operativa. Una decisione che ha trovato il sostegno del nuovo Ministero delle PME (Pequena e Média Empresas) creato dalla presidente Dilma Rousseff per sostenere non solo il rilancio delle città, ma soprattutto di quelle aree rurali più isolate. Se da un lato l’eccessiva burocrazia e le imposte ancora elevate per la maggior parte dei brasiliani scoraggiano queste iniziative imprenditoriali, dall’altro gli investimenti in innovazione e gestione professionale segnano il passo di svolta per favorire i nuovi business. E mentre il governo ha messo al primo posto in agenda la creazione di politiche pubbliche per favorire il lavoro, il resto del mondo non resta a guardare: il Brasile è il nuovo Eldorado?
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In
intervista
La città meravigliosa: un’eredità a rischio Intervista a Ermínia Maricato
Professoressa di Architettura all’Università di San Paolo di Maria Chiara Voci Giornalista
L’arrivo di opere e infrastrutture produrrà, nell’immediato, occupazione: è molto probabile che gli hotel, i ristoranti e le imprese turistiche vedranno aumentare il movimento per un determinato periodo di tempo
Mondiali e Olimpiadi, come tutte le grandi manifestazioni, dividono l’opinione pubblica, soprattutto per quel che riguarda la gestione dei fondi. Urbanisti, architetti e professori dibattono e alcuni non nascondono la preoccupazione che il doppio evento possa lasciare un’eredità né importante né positiva per la città e l’economia.
«Rio de Janeiro è una città meravigliosa, con molti problemi urbani e sociali. Un doppio, grande, evento è probabile che porti con sé ricchezza e occupazione per un certo periodo di tempo; ma si tratta di benefici temporanei e che riguardano solo un gruppo troppo ristretto di persone. Al contrario, il rischio è che i tanto decantanti vantaggi finiscano per rivelarsi decisamente inferiori ai proclami, con costi altissimi a carico della popolazione». Nell’irrefrenabile clima di entusiasmo che accompagna i Mondiali di calcio 2014 in Brasile e l’arrivo delle Olimpiadi 2016 a Rio de Janeiro, si distinguono le voci fuori dal coro. Così quella di Ermínia Maricato, urbanista, titolare della cattedra di Architettura all’Università di San Paolo (Fauusp), già segretaria esecutiva del Ministério de Cidades fra il 2002 e il 2005. Il suo giudizio, sul rapporto fra conseguenze sociali e vantaggi indotti dall’arrivo di nuovi stadi, infrastrutture e posti letto per rispondere alle logiche di due appuntamenti 074
internazionali, non lascia spazio a interpretazioni. Soprattutto per ciò che concerne gli effetti che investiranno Rio, capitale del terzo stato federale del paese. Dai Mondiali di calcio alle Olimpiadi del 2016, il Brasile e Rio portano a casa un doppio traguardo. Tuttavia, lei è molto critica verso chi parla di un importante successo per il paese. Perché? Il doppio evento sportivo ha portato e sta portando con sé investimenti significativi. Si tratta, tuttavia, di progetti che non coincidono con le domande urgenti e da troppo tempo disattese e presenti nelle nostre città. A partire da Rio, ci sarebbero molte necessità, che vengono prima della ricostruzione dello stadio di Maracanã e del rinnovo urbano di Porto Maravilha. Parlo di esigenze basilari e impellenti, come la salute, l’educazione, le abitazioni e la mobilità urbana. Inoltre, i decantanti vantaggi dei Mondiali e delle Olimpiadi, credo si riveleranno alla 075
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fine decisamente inferiori rispetto alle attese. Mentre i costi che pagheremo saranno molto alti. Il cosiddetto “lascito” non corrisponde a ciò di cui abbiamo bisogno. Su quali presupposti si basano le sue certezze? Dall’osservazione di ciò che varie esperienze, prima di quella brasiliana, ci hanno mostrato nel passato. Il processo innescato dai maxi eventi si ripete con caratteristiche molto simili pur in paesi e contesti diversi. La bibliografia sul tema è già ragguardevole e sono molti i casi registrati di “cattedrali nel deserto”, mega costruzioni dalla dubbia utilità, che divengono un peso aggiuntivo cui fare fronte. Il suo timore è dunque che dopo il 2016 il paese e Rio de Janeiro si troveranno in una condizione peggiore anziché migliore? Credo semplicemente che questa sarà una conseguenza fisiologica. Le manifestazioni sportive promosse da FIFA e CIO (Comitato Olimpico Internazionale), per la natura stessa delle esigenze che mettono in campo, hanno un profondo impatto sul contesto giuridico, economico, sociale e urbanistico di uno stato. Ogni progetto, ogni opera in arrivo, ogni prodotto immesso sul mercato risponde a precise logiche, dettate dagli sponsor e dalle clausole dei contratti commerciali e per i diritti televisivi. Spesso gli stessi enti finanziari, aziende edili e di promozione immobiliare, “archistar” alla ricerca di una visibilità globale, finiscono per promuovere un’ondata imprenditoriale, che mette in secondo piano le economie nazionali, indebitando i paesi con spese straordinarie. Ma non crede che l’arrivo di un grande evento significhi anche occupazione e ricchezza, a cascata, per tutta la popolazione? I grandi eventi non creano ricchezza per tutti, ma solo per un gruppo di detentori di capitali specializzati nel “fare affari” grazie a questo genere di opportunità. È vero che l’arrivo di opere e infrastrutture produrrà, nell’immediato, occupazione. È probabile che gli hotel, i ristoranti e le imprese turistiche vedranno aumentare il movimento per un determinato periodo di tempo. Tuttavia, si tratta di effetti a scadenza e tutt’altro che gratuiti. La speculazione immobiliare e la cosiddetta “gentrificazione” sono marchi che, con rare eccezioni, accompagnano queste costose trasformazioni, celate dietro alle promesse delle loro innumerevoli virtù. Quali sono le conseguenze che teme maggiormente nel contesto di Rio de Janeiro? La strategia volta a migliorare l’immagine di una parte della città in linea con il 076
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mercato immobiliare implica l’aumento della segregazione urbana. Il dislocamento di circa 40.000 residenti nelle favelas delle aree più centrali verso periferie più distanti aggrava, invece che migliorare, le condizioni abitative della metropoli. La valorizzazione immobiliare che accompagna i processi di rinnovo urbano tende ad accrescere le disparità: i prezzi aumentano, dagli affitti al cibo, allargando ancora una volta l’esclusione delle classi più povere. La città di Rio era preparata ad affrontare grandi trasformazioni? Intendo dire: esisteva un piano regolatore già pronto e capace di intercettare e incanalare nella direzione corretta le risorse in arrivo al traino dei grandi eventi? Oppure è stato necessario redigere un piano “in emergenza”, soltanto in funzione dell’evento? Purtroppo questo tipo di eventi contrasta con i piani urbanistici orientati alla riduzione della disuguaglianza sociale e a risolvere i principali problemi urbani, come nel caso del trasporto di massa. I mega eventi servono più a fare affari che a risolvere i problemi sociali. L’esigenza di realizzare molte opere in tempi brevi sta avendo conseguenze? La fretta con cui le nuove strutture devono essere e sono realizzate, in un calendario che procede a ritmi serratissimi, porta a condizioni di rischio per i lavoratori. In Brasile abbiamo già registrato diverse morti nella costruzione degli stadi, come si è recentemente verificato a San Paolo. Ci sono opere che più di altre incideranno sul lungo termine? Gli stadi brasiliani sono nel loro insieme le infrastrutture più care rispetto alla somma delle numerose opere realizzate in 12 città per i Mondiali 2014, e a Rio de Janeiro per le Olimpiadi del 2016. Gli interventi di mobilità effettuati, al contrario, non coincidono esattamente con quelli che erano più necessari e attesi per migliorare le condizioni del trasporto urbano di massa. Sta succedendo qui ciò che, ad esempio, è successo in Sudafrica.
I decantanti vantaggi dei Mondiali e delle Olimpiadi credo si riveleranno alla fine decisamente inferiori rispetto alle attese, mentre i costi che pagheremo saranno alti
Insomma, il peso degli eventi si dovrà contare negli anni a venire… Temo di sì. Come già detto, a partire dall’esperienza di altri paesi e soprattutto in società disuguali, come la nostra, con gravi problemi sociali, l’arrivo di appuntamenti internazionali ha come immediata conseguenza l’utilizzo di ingenti risorse, canalizzate verso obiettivi secondari. Così è avvenuto in Grecia, in Sudafrica e persino in Cina. È molto probabile, a mio avviso, che il Brasile seguirà questo esempio. 077
speciale
Rio de Janeiro:
la dimensione sociale dell’energia articolo di Luis de Carvalho Jan van der Borg Erwin van Tuijl Ricercatori Euricur
Le grandi città brasiliane, patria di sprechi e irregolarità nel consumo energetico, costituiscono un problema per la distribuzione dell’energia: da loro, e in particolare da Rio, prende il via lo studio di Euricur ed Enel Foundation, che analizza i comportamenti sociali legati al consumo energetico per definire nuovi modelli rivolti a cittadini e aziende.
In Brasile le riforme economiche degli ultimi quindici anni associate a politiche attive di ridistribuzione hanno portato un notevole progresso sia sociale sia economico. In tutto il mondo, la crescita economica e delle possibilità di consumo (per esempio di una nuova classe media) è sempre andata di pari passo con un aumento della domanda di energia. Attualmente, il mix elettrico brasiliano è in larga misura “pulito” (essendo in gran parte idroelettrico) e le reti di trasmissione sono ben collegate in tutto il paese. Tuttavia, ci sono dei colli di bottiglia proprio in posizioni chiave della rete di distribuzione, soprattutto nelle grandi città come Rio de Janeiro. Sprechi, mancanza di regolarità e perdite di natura non tecnica (come furti di energia) sono fenomeni molto diffusi che hanno ricadute elevate sulle utenze, i governi e i contribuenti. Inoltre, le reti di distribuzione hanno bisogno di essere modernizzate per essere conformi ai nuovi quadri normativi su smart metering (contabilizzazione automatica e remota dell’energia), tariffe orarie e produzione di energia distribuita sul territorio. La questione spinosa di queste sfide è che non è semplicemente possibile “tecnologizzare” la risoluzione dei problemi: anche la stessa dimensione sociale, le cui radici sono molto profonde, deve cambiare. I comportamenti legati al consumo di energia e le pratiche culturali e sociali devono evolvere: bisogna formare nuove reti di conoscenza e innovazione e far emergere nuovi modelli di business. Per questa ragione, come stanno analizzando Euricur (European Institute for Comparative Urban Research) ed Enel Foundation in uno studio internazionale chiamato Energy Transitions in Cities (enelfoundation.org), è fondamentale avviare delle pre-sperimentazioni nelle città (come Rio de Janeiro) per orientarsi verso la giusta combinazione tra la realtà tecnica e quella sociale. I motivi alla base di questo ragionamento sono molti. Le città sono i luoghi in cui le nuove soluzioni possono essere visualizzate più facilmente
e collegate a sfide urbane concrete (come traffico, esclusione, cambiamento economico); inoltre, la vicinanza fisica, sociale e istituzionale tra gli stakeholder rende più semplice la promozione di accordi cooperativi per sviluppare, verificare e adattare soluzioni. E infine, le città e le grandi aree metropolitane concentrano diverse comunità di utenti, il che permette di capire le differenze nei comportamenti e nelle preferenze sociali. Il caso studio di Rio de Janeiro, disponibile nelle Working Paper Series di Enel Foundation, descrive in dettaglio come le società di distribuzione locali (DSO, Distribution System Operator), Ampla (parte di Enel Group) e Light, stiano affrontando molte di queste sfide. Prendiamo in considerazione il caso concreto delle perdite di natura non tecnica (che arrivano al 7% circa di tutta l’elettricità distribuita in Brasile), come quelle legate ai furti. Studi precedenti le collegavano alla violenza e alla criminalità, alla densità urbana e alle difficoltà di accesso, ma anche ai fattori socio-culturali, come nuclei familiari disfunzionali e a bassissimo reddito, mancanza di fiducia verso i servizi pubblici, scarsa informazione e comportamenti culturali consolidati. Come ci è stato spiegato durante la nostra visita sul campo, genitori e nonni di molte famiglie in tutta la loro vita non hanno mai pagato l’energia elettrica, che considerano come qualcosa di gratuito, un dono della natura. Nell’ultimo decennio, per reprimere furti e connessioni in rete irregolari (conosciute come gatos), le società di distribuzione e i provider tecnologici hanno dispiegato un buon numero di nuove soluzioni telemetriche informatiche a controllo remoto, sigillando contatori e concentratori in cassette blindate. Tuttavia, la dimensione sociale e culturale del problema è stata sottovalutata: l’adozione prematura di nuove soluzioni di misurazione ha generato una reazione sociale molto negativa. Le bollette di parecchie famiglie sono lievitate perché non erano abituate a utilizzare ragionevolmente l’energia elettrica, e ciò ha
Le città e le grandi aree metropolitane concentrano diverse comunità di utenti, cosa che permette di capire le differenze nei comportamenti e nelle preferenze sociali
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provocato sia un aumento dei costi per il mancato pagamento sia tensione politica tra utenze e governi locali. Di conseguenza, per affrontare la dimensione sociale, Ampla ha poi lanciato Consciência Ampla, un portfolio d’iniziative sociali (per bambini, studenti, famiglie, opinion maker, associazioni e community leader) per supportare e responsabilizzare i clienti verso un consumo razionale dell’energia. L’iniziativa include, tra gli altri, educazione all’energia, campagne per la sostituzione di vecchi elettrodomestici, capacity building (formazione, gestione del reddito) e altre strategie per guidare gli utenti a decidere responsabilmente come consumare. Come il programma EcoAmpla, uno schema che stabilisce che i consumatori ricevano riduzioni nella bolletta elettrica in cambio di rifiuti riciclabili. Light sta offrendo simili portfolio di azioni orientate al sociale, e nello specifico in baraccopoli recentemente “pacificate” nelle quali i rapporti tra la società e le comunità locali sono stati inesistenti per decenni. Alcuni esempi sono il patto di transizione (tramite il quale si garantisce ai consumatori un mese di sperimentazione con la nuova soluzione, per ribilanciare il consumo) e il programma per il riciclo chiamato Light Recicla (sconto-riciclo), che garantisce degli sconti sulla bolletta elettrica ai nuovi consumatori “regolari” delle baraccopoli in cambio di rifiuti riciclabili. Negli ultimi anni, le perdite di energia
in diverse aree svantaggiate sono diminuite in modo sostanziale, ma c’è ancora molta strada da fare per cambiare radicalmente il modo in cui l’energia elettrica viene distribuita e consumata. Quindi, cosa ci dice il caso di Rio de Janeiro sulla dimensione sociale della transizione energetica? Vorremmo sottolineare due questioni fondamentali: innanzitutto suggerisce che la transizione verso la regolarità può durare molto tempo. L’irregolarità fa parte del DNA di molte aree urbane in cui lo Stato è stato assente troppo a lungo. Per molti decenni, le comunità e il microbusiness erano organizzati su sistemi di scambi irregolari, che tendono a riorganizzarsi autonomamente e qualsiasi iniziativa in questo tipo di comunità dovrebbe tenerne conto. Inoltre, contrariamente alle iniziative sociali convenzionali delle aziende (relativamente marginali rispetto alla strategia aziendale), i programmi sociali messi in atto da Ampla e Light sono al centro dei propositi di business aziendali: influiscono sui profitti (con la riduzione delle perdite e la maggiore efficienza nella distribuzione di energia) e contribuiscono a impegnare, responsabilizzare e a creare valore nelle comunità in cui le aziende operano. In questo modo lasciano intendere che la transizione economica in corso può creare nuove opportunità per un maggiore impegno tra aziende energetiche, città e società.
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scenari
Non è stata fondata negli Stati Uniti, e neanche in Cina o negli Emirati Arabi. Tantomeno in Europa, né è una conquista dell’ultimo decennio. Se non lo sapete già, non lo indovinereste mai: la prima smart city del mondo è nata in Brasile, negli anni Settanta. Si chiama Curitiba, e dai suoi quasi mille metri di altitudine, stesa sull’altopiano del Paraná da cui domina l’omonimo stato di cui è anche capitale, guarda sorniona allo sviluppo dell’intero paese, forte della sua quarantennale esperienza di città ecologica e sostenibile. La prima isola pedonale del mondo? L’hanno realizzata lì. E anche la prima metropolitana di superficie. A Curitiba c’è il più alto numero di metri quadrati di verde per abitanti, e la differenziata si fa “cambio merce” per aiutare le famiglie povere. Un modello di città dimostratosi
Curitiba
Una tartaruga veloce e smart articolo di Alessandra Viola Giornalista
realmente sostenibile, che arriva da un paese in via di sviluppo ma che con la forza del suo esempio fa riflettere architetti, amministratori e urbanisti dei paesi più sviluppati. Con una ricetta semplice. «Se vuoi la creatività, taglia uno zero dal tuo budget – parola di Jaime Lerner, architetto tre volte sindaco e autore visionario delle più profonde innovazioni di Curitiba. Se vuoi sostenibilità, taglia due zeri dal tuo budget. E se vuoi solidarietà, assumi la tua identità e rispetta la diversità degli altri. Questi sono i temi che stanno diventando sempre più importanti, non solo per le città ma per l’intero genere umano, e che sono correlati a tre aspetti importanti delle città: mobilità, sostenibilità e tolleranza». Lui, neanche a dirlo, a Curitiba si è occupato di tutti e tre. Eletto la prima volta nel 1971, ha mescolato sogno, progetta-
• praça • parque
• cinema
• jardim
biblioteca •
Smart city da più di quarant’anni, il successo di Curitiba si basa su concetti, soluzioni e teorie, quelle dell’ex sindaco Jaime Lerner, che hanno reso questa città un magnifico spunto di riflessione per gli urbanisti di tutto il mondo. La città “smart” è quella in cui vita, lavoro, svago e natura non sono separati ma si contaminano a vicenda. Come la tartaruga, che vive, abita e lavora sotto lo stesso guscio. 082
• jardim teatro • • praça
• praça
escola •
Curitiba, stesa sull’altopiano del Paraná da cui domina l’omonimo stato di cui è anche capitale, guarda sorniona allo sviluppo dell’intero paese, forte della sua quarantennale esperienza di città ecologica e sostenibile 083
curitiba: una tartaruga veloce e smart |
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zione urbanistica e buon senso sostenendo lo sviluppo urbano con infrastrutture all’avanguardia. Considerata oggi la capitale con la migliore qualità della vita di tutto il Brasile, Curitiba nei primi anni Settanta era una cittadina agricola con poco più di seicentomila abitanti, in frenetica espansione e in rapida riconversione al commercio e all’industria, che cresceva popolata di abusivismi, favelas, disparità e asfalto, senza alcuna pianificazione. La prima sfida per il neo sindaco, oggi docente universitario e consulente di diverse città del mondo, fu quella di domare le periodiche inondazioni che allagavano strade e case. Contro i consigli di chi suggeriva di avviare imponenti e costose opere pubbliche (come interrare o deviare corsi d’acqua) Lerner optò 084
per la “ripulitura” dalle baracche di un’ampia zona della città e la realizzazione di un’imponente zona verde, in cui i fiumi potessero esondare tranquillamente creando laghetti e habitat per specie animali e vegetali. Grazie a quel piano, Curitiba è oggi una delle città più verdi del mondo, ed è passata dal mezzo metro di verde pro capite degli anni Settanta agli attuali 55 metri quadrati (in Italia, secondo l’Istat, la media è di 30 mq) per ognuno dei suoi quasi due milioni di abitanti. Una sorta di cintura verde, in cui i parchi sono tutti collegati uno all’altro, anche per favorire la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e la cui manutenzione è affidata – oltre che alla co-responsabilità dei cittadini – alle... pecore. Nel corso dei suoi complessivi 22 anni di governo,
Penso che le automobili siano come delle... suocere. Dobbiamo intrattenere buone relazioni con loro, ma non possiamo certo lasciare che guidino le nostre vite
Lerner ha fatto del buon senso e della creatività le sue armi vincenti. Così, quando la città si è trovata alle prese con i primi gravi problemi di mobilità, l’allora sindaco di Curitiba ha pensato, contro l’avviso di chi proponeva di abbattere alcuni vecchi palazzi per allargare la principale arteria del centro, Rua das Flores, di chiuderla alle auto per quindici isolati, inventando la prima isola pedonale del mondo. Per evitare le proteste dei commercianti, Lerner improvvisò un vero e proprio bliz: la strada fu chiusa, lastricata e pedonalizzata in sole 72 ore. «Penso che le automobili siano come delle... suocere – ha dichiarato in un intervento all’American Society of Landscape and Architectures. Dobbiamo intrattenere buone relazioni con loro, ma non possiamo certo la-
sciare che guidino le nostre vite. Io sono convinto che una città sia come un ritratto di famiglia. Non distruggeresti mai un ritratto di famiglia perché non ti piace una vecchia zia. Quel ritratto sei tu». Il suo ritratto di famiglia, Lerner ha cercato di improntarlo a criteri di funzionalità, sostenibilità e co-responsabilità. A partire dai trasporti. Divisa ognuna delle principali arterie in tre parti, una per entrare in città, una per uscire e una riservata ai mezzi pubblici, questo visionario amministratore pubblico ha creato il primo sistema di metropolitane di superficie. Un servizio di autobus che funziona con la stessa rapidità ed efficienza delle metropolitane (una corsa ogni minuto circa), ma in compenso è molto più economico e semplice da gestire. «Per prima cosa ci siamo chiesti: cos’è una metropolitana? Deve avere velocità, confort, affidabilità e numerosa frequenza. Ma chi dice che debba essere sotterranea? Inevitabilmente quello è un sistema molto costoso. Perché non ottenere gli stessi benefici con gli autobus?». Oggi quel sistema viario si chiama Bus Rapid Transit (BRT) e ha già fatto da modello per un’ottantina di sistemi analoghi in tutto il mondo, convincendo quasi metà della popolazione di Curitiba a non usare più l’auto per i trasporti urbani. Anche grazie a 150 chilometri di piste ciclabili. Come c’è riuscito? «Curitiba non ha segreti ma solo quella che si potrebbe definire una speciale attenzione per la semplicità. Le città non sono così complicate: bisogna solo capirle. Non direi che Curitiba sia un paradiso: abbiamo tutti i problemi delle grandi città, ma penso che qui una cosa faccia la differenza: il rispetto per le persone». Su quest’idea e sulla co-responsabilità dei cittadini nell’amministrazione Lerner ha fondato tutte le sue politiche. «Dovevamo lavorare con soluzioni economiche. Abbiamo iniziato ripulendo le nostre baie grazie a un accordo con i pescatori. La giornata non è buona per la pesca? Il pescatore può andare a pescare la spazzatura che c’è in acqua, e noi gliela compriamo.
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curitiba: una tartaruga veloce e smart |
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Búzios a cura di Enel
Più ne raccoglie, più la baia si ripulisce e più pesce ci sarà in futuro». Più o meno lo stesso principio sul quale ancora oggi si basa la raccolta differenziata. «Avevamo strade in cui i camion per la raccolta dei rifiuti non potevano entrare. Soprattutto nelle favelas, dove le persone vivevano nella spazzatura e sembrava non esserci soluzione. Allora, era il 1989, abbiamo avviato una grande campagna nelle scuole, insegnando ai bambini a riciclare e spiegando agli abitanti dei quartieri più poveri e inaccessibili che avremmo comprato la loro spazzatura, se l’avessero differenziata e consegnata nei punti di raccolta. Ogni cinque chili di spazzatura, un chilo di frutta e verdura. In tre mesi le favelas erano pulite, e ancora oggi questo piccolo sostegno economico aiuta tante famiglie a sbarcare il lunario. A volte diamo anche biglietti dell’autobus, o del cinema». Curitiba ha oggi una delle più alte percentuali di materie riciclate al mondo: intorno al 70%. E riuscirà probabilmente in modo più elastico di altre città brasiliane a reggere l’orda 086
di turisti portati dal Campionato del Mondo di calcio. «Le città non sono il problema, sono la soluzione», ama ripetere Lerner. Forse la sua follia visionaria non è altro che semplice (ma non meno prezioso) buon senso?
La prima sfida per il neo sindaco fu quella di domare le periodiche inondazioni che allagavano strade e case. Lerner optò per la “ripulitura” dalle baracche di un’ampia zona della città e la realizzazione di un’imponente zona verde, in cui i fiumi potessero esondare tranquillamente
Città Tartaruga Per Jaime Lerner la città ideale si ispira alla vita della tartaruga, che dorme, lavora e si muove in uno stesso spazio; se le si taglia il guscio muore. Le città devono seguire questo modello: vita, lavoro e divertimento integrate nello stesso luogo, per non sprecare energia inutilmente.
Inaugurato nel novembre 2011, il progetto di conversione di Búzios in smart city sarà finalizzato a giugno 2015: per quell’epoca la città brasiliana sarà un modello di efficienza energetica unico in America Latina. Basato sull’applicazione in un contesto cittadino delle tecnologie smart grid, il progetto, finanziato da ANEEL (Agência Nacional de Energia Elétrica) e diretto da Ampla, la società di Distribuzione del gruppo Enel in Brasile, ha l’obiettivo di agire sulla gestione dell’energia, sia dal punto di vista della generazione e integrazione, sia per quanto riguarda il consumo e il controllo. Un investimento complessivo di oltre 18 milioni di dollari con numerosi vantaggi sulla comunità: una verifica più diretta dei consumi accompagnata dalla possibilità di controllare il dispendio energetico degli apparecchi domestici, l’utilizzo delle lampade a LED nell’illuminazione pubblica con risvolti positivi sia dal punto di vista economico sia della sicurezza, la possibilità per i cittadini di usufruire di stazioni di ricarica per auto e biciclette elettriche, oltre a una motobarca taxi da otto posti, per
rendere elettrico anche il servizio di trasporto che collega la città alle spiagge. Famiglie e piccole imprese potranno inoltre diventare prosumer (consumatori e produttori insieme) di energia e godere di un servizio di fornitura energetica migliore. E a Búzios esiste anche un punto per il riciclaggio rifiuti del programma Consciência EcoAmpla, mentre per gli oli vegetali è effettuata una raccolta porta a porta presso abitazioni ed edifici commerciali. A febbraio 2014 sono stati raccolti 28.583 litri di olio e più di venti tonnellate di rifiuti, generando circa 5700 dollari di sconti in bolletta per i clienti di Ampla. Vantaggi per tutti, con importanti benefici anche per l’ambiente. Teatro del programma è Armação dos Búzios, un centro turistico nello stato di Rio de Janeiro scelto per le grandi potenzialità di energia solare ed eolica, per la struttura della rete elettrica, per la sua visibilità all’estero e per il numero di abitanti, sufficiente a sperimentare la gestione della domanda attiva tramite contatori intelligenti: i 10.363 clienti di Ampla coinvolti dal progetto saranno i pionieri dell’intelligenza cittadina.
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opinioni
matrice creativa articolo di Domenico De Masi Sociologo, autore del libro “Mappa Mundi” fotografie di Boa Mistura
Radici indigene, contaminazione di culture portoghesi e africane, immigrazione da tutto il mondo. Il paese al centro dell’attenzione economica e mediatica dell’economia internazionale ha fatto della sua diversità la sua forza, e in ognuna di queste origini ha scovato la parte creativa, basando su di essa il suo passato, il suo presente e, senza dubbio, anche il suo futuro. Matrice india La creatività brasiliana ha quattro matrici: india, portoghese, africana e mondiale. Cabral sbarcò a Porto Seguro forse il 21 aprile del 1500. Un anno dopo arrivò anche Amerigo Vespucci. Entrambi trovarono terreno fertile, venti moderati, clima ottimo, acqua potabile, frutta a volontà, popolazione accogliente «com tanta inocência como em mostrar os rostos», con tanta innocenza stampata in volto. Allora gli indios, grazie al rapporto esuberante tra risorse naturali e popolazione, si trovavano ante litteram nella situazione di “ozio creativo” (sintesi di lavoro, studio e gioco) che secondo Keynes la tecnologia avrebbe consentito ai suoi nipoti. Gli indios – qui sta l’essenza della loro matrice creativa – adornavano i loro corpi in modi ricchissimi e possedevano utensili, monili, ornamenti personali di grande raffinatezza estetica. Come attesta Darcy Ribeiro, il massimo studioso della loro cultura, «la vera funzione che gli indios si aspettano da tutto ciò che fanno è la bellezza. Incidentalmente le loro belle frecce e la loro preziosa cera088
Matrice portoghese Eduardo Galeano dice che ci sono «paesi specializzati nel guadagnare e paesi specializzati nel rimetterci: ecco il significato della divisione internazionale del lavoro». La matrice portoghese della creatività brasiliana sta nei molti modi con cui i colonizzatori si specializzarono nel guadagnarci: con le miniere di diamanti e di oro, con le piantagioni di zucchero, poi di caucciù, quindi di caffè. A questa creatività, i colonizzatori sommarono la procreatività: poiché dal Portogallo e dall’Africa arrivavano prevalentemente maschi, ogni portoghese ingravidava decine di donne indigene, incoraggiato dalle autorità coloniali, autorizzato dalla Corona e benedetto dai missionari. Iniziò così la formazione del popolo più meticcio e più post-moderno del mondo. Nel novembre del 1807 il re del Portogallo, per sfuggire alla doppia minaccia degli inglesi e di Napoleone, scappò in Brasile, che di colpo si trasformò da colonia in madrepatria. Da quel momento
l’ascesa: il Brasile ebbe una Costituzione, gli schiavi furono liberati e iniziò la modernizzazione del paese. Aveva scoperto ancora prima dell’Inghilterra quanto fosse economicamente vantaggioso sommare alla coltivazione del cotone la sua trasformazione industriale in filo e in stoffa: ogni fazenda si era dotata di telai che producevano in massa. Ma nel 1785 la Corona portoghese, in base a un accordo con quella inglese, ottenne di vendere il suo vino in Gran Bretagna impegnandosi a distruggere tutti i telai impiantati in Brasile. Così l’industria tessile inglese si sbarazzò del suo massimo concorrente mondiale. La matrice creativa portoghese ancora oggi alimenta l’intraprendenza commerciale del Brasile, che resta il primo produttore ed esportatore di caffè e di zucchero, e la sua abilità diplomatica che gli ha permesso negli ultimi 120 anni di risolvere pacificamente tutti i problemi di convivenza con i suoi dieci paesi confinanti.
Boa Mistura Collettivo madrileno attivo dal 2001 riunisce diverse figure, artistiche e professionali, e lavora sullo spazio urbano. Le sue opere colorano i muri di Berlino e San Paolo, del Sud Africa e delle città norvegesi, e sono state protagoniste di mostre e progetti sociali. In queste foto, il progetto brasiliano Luz nas Vielas.
mica hanno un valore utilitario. Ma la loro funzione reale, cioè il loro modo di contribuire all’armonia della vita collettiva e all’espressione della sua cultura, è creare bellezza». In Mundus novus Vespucci annotò: «Fra la carne, la humana è a quelli comune cibo». Ma si trattava di un’antropofagia rituale, alla quale, molti secoli dopo, si è ispirato uno dei maggiori movimenti brasiliani di avanguardia estetica che assumeva proprio il cannibalismo come metafora del metabolismo culturale. Il suo atto di nascita, il Manifesto antropófago pubblicato da Oswald de Andrade nel 1928, contiene passaggi dissacratori come questi: «Solo l’Antropofagia ci unisce. Socialmente. Economicamente. Filosoficamente... Vogliamo una rivoluzione caraibica. Più grande della rivoluzione francese... Prima che i portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva già scoperto la felicità». Della propensione india alla felicità i brasiliani hanno ereditato la dolcezza dei modi e la convivialità, che ritroviamo in tante loro espressioni artistiche. 089
Matrice africana La matrice africana ha contribuito soprattutto alla creatività musicale dei brasiliani e al loro primato mondiale in chirurgia plastica. L’unica proprietà dello schiavo era il proprio corpo. Dalla forza, dalla salute, dalla bellezza e dall’agilità dipendeva il suo valore sia commerciale sia sessuale agli occhi del padrone. Di qui la cura del corpo, il footing, la danza, la capoeira, ma soprattutto le più avanzate scuole di chirurgia plastica, le migliori aziende produttrici di cosmetici, le migliori compagnie di danza classica e contemporanea. La matrice africana trova una persistente espressione nel sincretismo religioso e soprattutto nella creatività musicale. La musica popolare, insieme alla letteratura, è stata ambasciatrice nel mondo di saudade e di allegria, di dolcezza e di futuro, di ricordi nostalgici, desideri e speranze. Con Sinfonia de Rio de Janeiro (1955) compostà da Antônio Carlos Jobim e con il disco Canção do amor demais (1958) dello stesso Jobim e di Vinícius de Moraes, nell’ibrido Brasile degli entusiasmanti anni Cinquanta anche la musica si fece soavemente ibrida
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sposando il samba di Rio e di Bahia con il jazz di New Orleans e con le fisarmoniche della Rive Gauche per regalare al mondo il minimalismo struggente della bossa nova che fece da colonna sonora all’ottimismo cosmopolita e alla modernizzazione democratica. Inoltre negli anni Cinquanta il cinema di Glauber Rocha, il teatro di Augusto Boal, i Centros Populares de Cultura, tutto spinse verso la partecipazione e la creatività. Una sintesi di musica e danza certamente influenzata dalla matrice africana è il carnevale, che ogni anno si rinnova con ineguagliata creatività collettiva che esplode non solo nei colori, nei suoni e nei gesti, ma anche nella macchina organizzativa capace di trasformare il folklore in una delle maggiori imprese turistiche ed economiche dell’America Latina, studiata da economisti, sociologi e antropologi. Matrice planetaria Oggi la popolazione del Brasile supera i 200 milioni e la creatività brasiliana ha aggiunto alle matrici india, portoghese e africana, anche quella di tanti altri paesi che cento anni fa hanno fornito manodopera contadina e oggi forniscono laureati. Svizzeri, tedeschi, italiani, polacchi, slavi, giapponesi, siriani, libanesi hanno arricchito di colori la pelle del paese e la sua creatività di stimoli, ispirazioni, nuove risorse, attratte da una terra accogliente e refrattaria al razzismo. Esempio e simbolo di questa stagione espansiva, resta l’illuminata presidenza di Juscelino Kubitschek, che stimolò con il suo coraggio visionario la grande avventura di Brasilia. Subito dopo vi fu un’altra circostanza che contribuì ad alimentare la dimensione mondiale della creatività brasiliana trasformando una tragedia in opportunità. Tra il 1964 e il 1984 la dittatura militare costrinse all’esilio molti intellettuali, da F.H. Cardoso a Gilberto Gil, da Oscar Niemeyer a Darcy Ribeiro, da Chico Buarque a Caetano Veloso, da Cristovam Buarque a Brizola. Tornati in patria dopo la parentesi autoritaria, questi talenti, quasi tutti prestati alla politica, hanno modernizzato il paese consentendo al suo PIL di crescere ininterrottamente. Oggi il Brasile è la settima potenza economica mondiale; è al quinto posto nel mondo per produzione industriale; al secondo per numero di utenti di Facebook, al quarto per abbonamenti a internet. Questo portentoso sviluppo è stato accompagnato da un’ulteriore forma di creatività. A partire dagli anni Trenta, con ininterrotta immaginazione sociologica, una fitta schiera di scienziati sociali rivelarono il Brasile ai brasiliani. «Si devono a questi saggisti – scrive Fernando Henrique Cardoso – molti dei concetti, delle immagini, dei miti e dei poli narrativi che ancora oggi sono usati per
definire il paese, per spiegare la specificità brasiliana. Ciascuno a suo modo, furono loro i veri inventori del Brasile». La conquista dell’identità ha spinto i brasiliani a imboccare per ogni arte e scienza una via originale, intenzionalmente connotata da ambizioni globali e da radici locali. Appena approdato alla modernità, il Brasile aveva prodotto geni creativi come Alberto Santos Dumont, progettista dei primi dirigibili e dei primi aeroplani, o come Carlos Chagas primo e unico caso nella storia della medicina in cui lo stesso studioso ha descritto una malattia e ne ha scoperto agente eziologico e vettore. Ma via via pittori come Cândido Portinari e Tarsilia do Amaral, architetti come Niemeyer e Paulo Mendes da Rocha, designer come Fernando e Humberto Campana, stilisti come Lino Villaventura, calciatori come Pelé, piloti come Ayrton Senna, cineasti come Glauber Rocha, Ruy Guerra, Fernando Meirelles, Walter Selles e cento altri, insieme a romanzieri come Jorge Amado, a poeti come Carlos Drummond de Andrade, a compositori come Hector Villa Lobos, hanno fatto del Brasile uno dei paesi più creativi del mondo.
Della propensione india alla felicità i brasiliani hanno ereditato la dolcezza dei modi e la convivialità, che ritroviamo in tante loro espressioni artistiche
Brasilian Way Oggi la creatività brasiliana trova una delle sue massime espressioni nel campo imprenditoriale e manageriale. Secondo l’ultima graduatoria di “Forbes”, gli imprenditori Jorge Paulo Lemann e Joseph Safra sono rispettivamente il 34° e il 55° tra i primi cento uomini più ricchi del mondo. La rete televisiva Globo, oltre a rappresentare un modello eccellente di organizzazione, orgogliosa di essere brasiliana, sforna ogni anno diecine di telenovele vendute in tutto il mondo e positivamente responsabili della modernizzazione culturale delle masse non solo brasiliane. La stessa impresa, tramite la Fondazione Marinho, ha creato musei – quello della lingua portoghese, quello del football, quello del futuro – unici al mondo per originalità, missione pedagogica e organizzazione. In un recente articolo (Le nuove frontiere dell’innovazione in “Aspenia” n.64) Roberto Panzarani ricordava l’originalità organizzativa di imprese come Natura, Havaianas, Osken. Ma anche Porto Digital di Recife, Semco, Rede Brasil Fertile. Queste realtà puntano tutte su una Brasilian Way «che concilia la qualità dell’ambiente, l’accessibilità dei prodotti, l’intelligenza del management e la felicità della vita quoti-
diana». Il segreto di tanta creatività sta nel fatto, sottolineato da Gilberto Freire, che «la mentalità brasiliana non si scandalizza con il gioco di contrasti, confronti, paradossi, misture e antinomie. Il Brasile vive il sincretismo, la coniugazione degli opposti, il matrimonio di ciò che è inconciliabile a prima vista». Essendo giovane, il paese è incline a rinnovarsi, mischiando però il nuovo con il vecchio, dando luogo a un modo originale di evolvere, rendendo più problematico e complesso, ma anche più ricco, il suo modello di vita sempre allo stato nascente. Nel suo primo romanzo – Il paese del carnevale del 1931 – Jorge Amado ironicamente faceva dire a un suo personaggio che il Brasile «è il paese con il più grande avvenire nel mondo intero». Dieci anni dopo, nel 1941, lo scrittore austriaco Stefan Zweig riprese il concetto di Amado e lo trasformò da ironico in profetico con un libro intitolato appunto Brasile, terra del futuro. Tra il 1964 e il 1984, per venti anni, il Brasile, oppresso dalla dittatura militare, si è sentito ripetere che «O Brasil è o pais do futuro». Oggi questo stereotipo persistente nell’immaginario brasiliano è diventato realtà. O futuro chegou, il futuro è arrivato. 091
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Terra di ricchezze
17,3 milioni di tonnellate di rame Sono le riserve brasiliane, la cui quasi totalità si trova nello stato di Pará
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specie di pesci Le specie ittiche che vivono nel Rio delle Amazzoni sono più di quelle che esistono in tutto l’oceano Atlantico
chilometri di fiume È il Rio delle Amazzoni, il cui bacino appartiene per il 56% al territorio brasiliano
75.000 specie di alberi Un chilometro quadrato di foresta amazzonica ospita più di 75.000 specie di alberi e 150.000 piante superiori diverse
Una manciata di terra brasiliana può valere oro… e non solo. Ferro, stagno, rame sono solo alcuni dei minerali che si possono trovare nel suolo e che si concentrano soprattutto in stati come Minas Gerais (che non a caso significa miniere generali). Ma la ricchezza brasiliana è anche in superficie: acque dolci, enormi distese coltivabili e la foresta che, oltre a essere fondamentale dal punto di vista ambientale, è l’habitat di un’immensa varietà di specie animali e vegetali.
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detentore di stagno Il 13% di riserve di stagno a livello mondiale è in Brasile, che ne è il quinto produttore. Il primato a livello produttivo è della Cina
di acqua dolce È l’acqua disponibile annualmente per abitante, una delle quantità più alte al mondo
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produttore di terre rare Nella corsa alla produzione delle terre rare, nel 2012 il Brasile occupava il quinto posto, a pari merito con la Malesia
tonnellate di ferro La quantità di ferro prodotta all’anno lo rende secondo solo alla Cina, mentre nella classifica delle riserve disponibili il paese occupa il 5° posto
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riserva di oro Da sempre tra i paesi con più risorse d’oro al mondo, oggi è al nono posto. Al primo il Sud Africa
chilometri quadrati verdi È lo spazio occupato dalla foresta amazzonica in Brasile, che complessivamente si estende su oltre 5 milioni di chilometri quadrati
Minas × Lo stato di Minas Gerais, detto Minas, è storicamente un territorio ricco. Finita l’illusione di trovarvi immensi giacimenti d’oro, è diventato grande produttore di caffè, soia e soprattutto minerali: ferro, nichel, quarzo, bauxite e... sì, anche un po’ d’oro.
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Il giro di prova dell’innovazione articolo di Cesar Baima Giornalista
Non solo più meta del turismo esotico, o riserva di grandi risorse: la recente stabilità economica ha permesso al Brasile di investire nella ricerca, per affrancarsi dalle posizioni di coda occupate in passato su scala mondiale. Una sfida che sta già mostrando i suoi frutti, soprattutto in ambito accademico ed educativo, attraverso lo sviluppo di programmi che favoriscano interscambi culturali e stimolino le università a puntare all’eccellenza. Se fino a poco tempo fa era una semplice comparsa nello scenario mondiale della produzione di conoscenza, durante l’ultimo decennio il Brasile si è fatto notare nella battaglia per ricoprire un ruolo da protagonista in quegli ambiti considerati strategici per il paese. Oltre alla ricerca nelle scienze agricole, che ha contribuito a fare della produzione e dell’esportazione brasiliane di grano una tra le maggiori del mondo, il paese sta ora cercando di differenziarsi in altri settori considerati prioritari, che vanno dal petrolio e dall’energia fino alla difesa aerea, alla salute, alle telecomunicazioni e alla sostenibilità. In questo percorso, il paese affronta problemi di lunga data, come gli scarsi investimenti delle imprese nei settori di ricerca e sviluppo, e nuove sfide, come quella di trasformare queste conoscenze in prodotti e processi brevettabili e remunerativi. Con la buona congiuntura economica, dall’inizio degli anni 2000, il Brasile ha visto moltiplicare i propri investimenti in ricerca e sviluppo. Secondo il Ministero della scienza, tecnologia e innovazione, la somma 094
totale investita da governi e imprese in questo settore è passata dai 12 miliardi di real del 2000 fino ai quasi 50 del 2011. Tuttavia, tale somma equivale ad appena l’1,21% del PIL del paese, ben al di sotto della soglia di quel 2% che l’Unione Europea considera minima per le economie sviluppate. Una percentuale che si riflette su dati poco favorevoli, come quello della registrazione di brevetti: secondo l’UNESCO, il Brasile deposita quattro brevetti ogni mille ricercatori, media inferiore a quella degli altri BRICS (7,4) e dell’America Latina (5,9). Un altro problema riscontrato è che il 52% di tale valore proviene da casse pubbliche e, all’interno della percentuale sborsata dalle imprese, si rileva una partecipazione significativa della Petrobras, che è statale. Questo quadro è molto diverso da quello di paesi come la Corea del Sud, dove gli investimenti in ricerca e sviluppo rappresentano il 3,7% del PIL e sono per la maggior parte apportati dall’iniziativa privata. Jerson Lima Silva, direttore scientifico della Fondazione Carlos Chagas Filho
de Amparo à Pesquisa do Estado do Rio de Janeiro e vincitore nel 2010 del Premio scientifico Conrado Wessel, afferma che il paese continua a registrare pratiche che non stimolano lo scambio tra università e imprese: «Abbiamo una legge per l’innovazione che, ad esempio, permette a un ricercatore di impegnarsi in un’altra attività, a condizione che abbandoni la vita accademica, quando entrambe le attività potrebbero essere cumulate a favore di un miglior risultato», spiega. Recentemente, la principale evoluzione è stata il lancio, nel marzo dell’anno passato, del programma Inova Empresa che si basa su un sistema di finanziamento tripartito: risorse dell’impresa, sovvenzioni e credito pubblico, oltre al sostegno di un centro di ricerca applicata, che cede i propri ricercatori e la propria infrastruttura per lo sviluppo del progetto proposto dall’impresa. Con risorse dell’ordine di 32,9 miliardi di real, il programma ha apportato flessibilità e velocità al processo di sostegno all’innovazione nel settore privato, oltre a fornire 095
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to delle citazioni, non si distanzia molto dal Brasile» confronta Silva. Il fatto è che la stabilità economica che si è verificata nell’ultimo decennio ha permesso al paese di delineare strategie più a lungo termine, focalizzandosi non solo sull’importanza dell’innovazione in sé ma anche sul ruolo strategico della qualità dell’educazione nella creazione di un’economia della conoscenza. Questo si è osservato tanto nel dibattito sul miglioramento dell’istruzione primaria quanto nella nascita di programmi come Ciência sem Fronteiras, lanciato a metà del 2011 con l’obiettivo di integrare la formazione degli studenti brasiliani con borse per l’estero, e promuovere la cooperazione tecnicoscientifica per rafforzare la formazione delle risorse umane in aree strategiche, focalizzandosi sulle scienze di base e sulle varie ingegnerie, dove si registra un’offerta inferiore alle esigenze brasiliane. La meta iniziale del programma è finanziare 101.000 borse di stu-
al ricercatore coinvolto nei progetti una maggiore visione di mercato. Maurício Canêdo, ricercatore del settore di economia applicata presso l’Istituto brasiliano di economia della Fondazione Getúlio Vargas, considera positivamente le recenti conquiste nelle politiche di incentivi all’innovazione: «Quando parliamo di strumenti per aumentare la competitività, ad esempio, cresciamo più in questo settore che nell’infrastruttura fisica del paese, le cui difficoltà influiscono drasticamente sulle attività delle imprese brasiliane». Canêdo rileva però che la tendenza protezionistica della politica industriale adottata è controproducente, ricordando che il Brasile continua a portare il segno di una delle economie più chiuse al mondo: «Nessuno innova per caso. Se un settore è protetto dalla concorrenza internazionale, non investirà in innovazione. In questo modo, abbiamo oggi uno scenario nel quale, da un lato, il governo riduce il costo dell’innovazione ma, 096
dall’altro, riduce anche il beneficio di tale investimento» afferma. Dal punto di vista della produzione accademica, anche se gli investimenti sono ancora lontani dalla perfezione, l’aumento delle
Con risorse nell’ordine di 32,9 miliardi di real, il programma “Inova Empresa” ha apportato flessibilità e velocità al processo di sostegno all’innovazione nel settore privato risorse disponibili ha contribuito a stimolare il numero di articoli di ricercatori e istituzioni brasiliane in periodici nazionali e stranieri. Secondo il servizio Web of Science, gestito dalla Thomson Reuters
dio fino alla fine di quest’anno. «È un’interazione positiva che ci ha permesso ad esempio di portare qui il Nobel per la chimica, lo svizzero Kurt Wüthrich, per aiutarci nelle nostre ricerche presso l’Università Federale di Rio de Janeiro»,
Con la buona congiuntura economica, dall’inizio degli anni 2000, il Brasile ha visto moltiplicare i propri investimenti in ricerca e sviluppo racconta Silva. Wüthrich è specialista nell’area della risonanza magnetica nucleare e, tra le sue attività presso l’UFRJ, sta orientando gli studenti di dottorato e post-dottorato, facendo lezioni, convegni e seminari speciali.
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La finalità di tali progetti, tuttavia, dipende ancora dalla reale estensione degli investimenti, dato che oggi qualsiasi nuova iniziativa lotta per il proprio posto all’interno del medesimo bilancio che appoggia i programmi di ricerca e sviluppo e gli sforzi per aumentare il numero delle università brasiliane nel ranking mondiale di eccellenza. Per gli specialisti, solo con questo stimolo il Brasile potrà raggiungere il ruolo di primo piano che cerca, ottenendo l’adesione del settore privato: «Tutto ciò però dipende dagli stimoli e dalle decisioni del governo» ricorda Silva. Per illustrare l’importanza di tale sforzo, basta citare il crescente deficit commerciale registrato dal paese in farmaci e principi attivi farmaceutici, uno dei settori considerati prioritari, che nel 2013 è stato pari a 7,6 miliardi di dollari statunitensi: «Questo è un buon esempio del fatto che, qualsiasi problema sia oggi presentato come giustificazione per limitare l’investimento, senza scienza e tecnologia potrà solo peggiorare in futuro» conclude Silva.
e che analizza oltre undicimila periodici scientifici pubblicati nel mondo, nel 2003 il Brasile era l’origine dell’1,7% di tutta la produzione scientifica mondiale e, nel 2012, era già responsabile del 2,7%, passando da meno di 13.000 testi annuali a quasi 35.000. Un’altro database di pubblicazioni scientifiche, la Scimago (supportata dal sistema Scopus della casa editrice specializzata Elsevier), mostra anche la grande evoluzione della presenza brasiliana nella comunità scientifica mondiale. In tale database, il paese è saltato dalla 21a posizione nel ranking di coloro che hanno prodotto più documenti citabili nel 1996 (8600), al 13° posto nel 2012, con oltre 53.000. «È un dato importante perché ci permette di interpretare meglio i numeri. Alla fine, la nostra produzione è maggiore di quella della Svizzera, ma non abbiamo nessun premio Nobel. D’altro lato, la Cina è al secondo posto per la pubblicazione di documenti scientifici, ma, per quanto riguarda il fattore di impat097
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Un vero e proprio gigante demografico, con circa 200 milioni di abitanti (e il maggior numero di oriundi italiani a livello mondiale), economico, con un PIL di oltre 2200 miliardi di dollari, e naturalistico, con una ricchezza di risorse che lo rende il primo tra i paesi megadiversi, ovvero con il maggior numero di specie viventi. Il Brasile non è solo un’eccellenza dal punto di vista dell’abbondanza di paesaggi, acque dolci e risorse minerarie: anche l’industria registra numeri importanti,
Vitamine brasiliane La percentuale del succo d’arancia esportato è altissima e destinata in gran parte al mercato statunitense
rendendolo leader nell’esportazione di molti beni, primi fra tutti caffè, carne, succo d’arancia e canna da zucchero e nella produzione di acciaio e petrolio, oltre che di polpa di eucalipto. Nota dolente? I record non sono solo positivi: il paese detiene infatti anche quello mondiale di furti d’auto, oltre a essere il primo mercato per il crack. Nota di colore culinario? È il brasiliano acarajé (una pasta di fagioli condita, fritta e ripiena) il piatto più calorico al mondo.
Un poco di zucchero Detenendone più di un terzo, quelle della canna da zucchero è uno dei primati di esportazione più solidi
41% Gli anni del pollo Il Brasile rappresenta quasi la metà del mercato d’esportazione della carne avicola, quella che secondo l’Economist sarà la più consumata dei prossimi anni
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Café do Brasil Il primato più famoso appartiene al caffè: quasi un terzo del commercio mondiale
Non solo mare Il Brasile è il primo paese a livello mondiale per percentuale di acque dolci
1,36 Bovini da esporto I milioni di tonnellate di carne bovina esportata nel 2013, il 25% del commercio mondiale
10-20% Un paese diverso È il grande contributo in percentuale del Brasile al biota, l’insieme delle specie vegetali e animali di una certa area
Cristo Redentor × A 709 metri sul livello del mare, con i suoi 38 metri di altezza è la seconda statua rappresentante il Cristo più alta al mondo. Inaugurata nel 1931, per illuminarla Marconi emise da Roma un segnale elettrico inviato a un’antenna situata nel quartiere di Jacarepaguá.
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Nel 1950 il sogno di una nazione era quasi una certezza: vincere la Coppa. Ma la partita che doveva essere una formalità non andò come previsto. Quest’anno il campionato del mondo è tornato in Brasile e la voglia di rivincita è tanta. Umori, aspettative, preparativi, proteste, economia: il racconto di un paese che ospita l’evento, 64 anni dopo e con un volto tutto nuovo.
2014: l’anno del riscatto Mondiale di Darwin Pastorin Giornalista sportivo fotografie di White 100
Sessantaquattro anni di attesa. Dal 1950 a oggi. Il Brasile del calcio ha conquistato cinque Mondiali, rappresenta l’essenza e la bellezza del football, Pier Paolo Pasolini (che fu ala destra) parlava di “poesia” per descrivere le giocate dei frombolieri in maglia verdeoro, bastano i nomi di Pelé e Garrincha a raccontare la magia e l’allegria. Ma restava quella pagina nera da strappare, quella ferita da lavare; perché il 1950 appartiene alla memoria negativa; non è canto, non è danza: è malinconia, rabbia, voglia di riscatto. In quel ’50 il Brasile organizzò la Coppa, costruì uno stadio, il Maracanã di Rio de Janiero, capace di contenere quasi duecentomila spettatori, possedeva indubbiamente la squadra più forte. E, in effetti, Zizinho e compagni marciarono a ritmo di goleada, con la gente che impazziva, che andava sugli spalti con la maglietta con sopra scritto “campioni”. Poi arrivò il giorno della partita decisiva, contro l’Uruguay: alla Seleção bastava il pareggio per trionfare. Ma quel Brasile era una
macchina da gol: non poteva accontentarsi delle briciole. Così, quel 16 luglio si respirava un’aria di festa. Suonavano le trombe e i tamburini, tutta una nazione si preparava per un carnevale del pallone. Perché nessuno poteva fermare quegli assi. Jean-Paul Sartre definì il calcio “una metafora della vita”. E la vita non è mai scontata, il fato cambia umore, la palla ha, talvolta, strani rimbalzi, strane traiettorie. Il 16 luglio non fu un giorno di festa. L’illusione si trasformò in dramma collettivo. Dopo il primo tempo, finito 0-0, la Seleção cominciò la ripresa in gloria, andando a rete con l’attaccante Friaça. Ora: provate a chiudere gli occhi. A immaginare l’esplosione, sì l’esplosione, del Maracanã: coriandoli, risate, cori, samba. Samba a tutto andare! Ma qualcosa, anzi qualcuno, fece cambiare il corso del match. E quel qualcuno si chiamava Obdulio Varela, il capitano della Celeste. Prese il pallone e se lo tenne stretto. L’arbitro inglese George Reader disse di riconsegnargli la sfe-
Per la finale del 13 luglio, al Maracanã, sono tante le nazionali accreditate dai pronostici: oltre alla Seleção, l’Argentina e l’Uruguay, la Germania e anche l’Italia di Cesare Prandelli
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64 le partite che si giocano dal 12 giugno al 13 luglio
12 le cittĂ e il numero di stadi in cui si disputano le partite
32 le nazioni coinvolte negli altrettanti giorni dei Mondiali
56.268 spettatori la capienza media degli stadi dei Mondiali
73.531 gli spettatori che potranno assistere alla finale nello stadio MaracanĂŁ
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ra di cuoio. Varela disse «Non capisco», e intanto mormorava di un presunto fuorigioco. I giocatori brasiliani si innervosirono, i tifosi brasiliani si innervosirono, persino il cielo brasiliano si innervosì. Ma Obdulio: niente. Prendeva tempo e quel tempo si trasformò in oro. Perché il Brasile uscì di scena, Schiaffino realizzò il pareggio e, a pochi minuti dalla fine, Ghiggia realizzò la rete della vittoria, della Coppa. Sul Maracanã calò il silenzio, si sentivano soltanto i singhiozzi, ci fu chi si tolse la vita. Tutto il Brasile rimase attonito, ascoltando la radiocronaca. E il portiere della Seleção, Moacyr Barbosa, primo mulatto a vestire la maglia numero uno della nazionale, si trasformò in “eroe tragico”, nel capro espiatorio. Da quel preciso istante, fu emarginato e dimenticato. Diventò invisibile. Sessantaquattro anni dopo, il Brasile organizza di nuovo il Mondiale: per cancellare l’onta del ’50, per ridare onore a Moacyr e ai suoi fratelli. Non sarà facile, malgrado la presenza di un fuoriclasse come Neymar, un goleador cresciuto nel Santos e oggi “stella” del Barcellona, al fianco dell’argentino Lionel Messi. Per la finale del 13 luglio, al Maracanã, sono tante le nazionali accreditate dai pronostici: oltre alla Seleção, l’Argentina e l’Uruguay, la Germania e anche l’Italia di Cesare Prandelli. Gli azzurri non sono stati fortunati nel sorteggio e il caldo di alcune città potrebbe, per davvero, spezzare gambe e fiato. Ma i nostri giocatori ci hanno abituato a imprese impossibili, vedi Spagna 1982 e Berlino 2006. Chi sarà il nuovo Paolo Rossi? Il Mondiale ha portato anche molte proteste di piazza. Va bene insieme alle Olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro (successo straordinario ottenuto dall’ex presidente Lula), ottime occasioni per costruire impianti, migliorare le infrastrutture e aumentare il flusso di turisti. Ma alla gente non basta. Il paese del football si è ribellato, chiedendo, soprattutto, ospedali e 104
scuole. Perché non si scherza sulla salute e sull’istruzione, sul futuro dei figli. Dilma Rousseff ha promesso di ascoltare tutte le voci, per far crescere ancora di più il gigante sudamericano. Ci sono stati ritardi nella costruzione degli stadi, la perfezione non è stata indubbiamente raggiunta, ci sono stati morti sul lavoro, polemiche accese, atti di violenza: ma la Coppa del Mondo potrebbe rappresentare una nuova occasione per l’economia brasiliana. Da un po’ di tempo si respira un’aria nuova, i poveri sono diminuiti grazie al progetto Fame Zero ed è risorto il ceto medio. Soprattutto, dopo le stagioni della dittatura si parla soltanto di democrazia e di crescita. E questo il Brasile lo deve anche a un campione che ci ha lasciato da poco: il dottor Sócrates, asso del Corinthians e della Seleção. Grazie alla democrazia corinthiana, il primo e anche unico tentativo di portare il socialismo all’interno di uno spogliatoio, il Brasile è oggi di tutti, e non soltanto di pochi privilegiati. I giocatori capitanati da Sócrates scendevano in campo invitando il popolo ad andare a votare, a scegliere il Presidente direttamente, ad alzare la testa, a dire no alle violenze dei militari. Il “Dottore”, che parlava di Gramsci e di solidarietà, sarà uno dei simboli della Coppa: un simbolo forte, nobile e vincente. Chi scrive è nato in Brasile da emigranti veronesi. Il mio cuore, da sempre, è diviso in due, tra Brasile e Italia. Da inviato speciale del quotidiano “Tuttosport” vidi gli azzurri trionfare nel 1982 al Santiago Bernabeu di Madrid e i verdeoro conquistare la Coppa, superando Roberto Baggio e compagni ai rigori, nel 1994 al Rose Bowl di Pasadena in California; nel 2006, da direttore e conduttore di La7 Sport, accompagnai il cammino dell’Italia al Mondiale di Berlino con una diretta quotidiana. Ora il mio desiderio è vedere, a Rio, la finalissima tra Italia e Brasile: per essere di sicuro “vincitore”.
Ci sono stati ritardi nella costruzione degli stadi, la perfezione non è stata indubbiamente raggiunta ma la Coppa del Mondo potrebbe rappresentare una nuova occasione per l’economia brasiliana 105
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approfondimento
La scienza nel pallone articolo di Davide Coero Borga Giornalista illustrazioni di Undesign
Un extraterrestre lo descriverebbe come una forma primitiva di religiosità: milioni di ominidi, sul posto e in collegamento dalle loro abitazioni, urlano e strepitano mentre nei confini di un rettangolo 22 gladiatori in mutande si azzuffano per il possesso di un pezzo di cuoio. Ma per chi ci è cresciuto dentro, il calcio è semplicemente straordinario. E anche la scienza va nel pallone per spiegare le traiettorie impossibili di Roberto Carlos, Messi, Cristiano Ronaldo, Andrea Pirlo.
Che sia di cuoio, stracci o plasticaccia, non importa. La palla da calcio è pura magia. Scuote l’animo. Fa sussultare la Terra. Ne sanno qualcosa gli africani che hanno ospitato l’ultimo Mondiale. E di più lo sanno i geologi che nel 2007, rianalizzando i dati raccolti durante una campagna internazionale di rilevazioni sulla situazione sismica del Camerun, si sono accorti di alcune anomalie nel rumore di fondo che caratterizza la normale attività tellurica del pianeta: tremori ad alta frequenza, rilevati da una ventina di sismografi in tutto il paese, perfettamente sincronizzati fra loro… scientificamente inspiegabili. Il mistero è stato risolto da un appassionato di calcio. Il periodo in cui erano stati compiuti i rilevamenti coincideva infatti con le partite della Coppa d’Afri106
ca e i tremori anomali corrispondevano con i gol segnati dai Lions, i beniamini locali. A ogni rete della squadra nazionale del Camerun i tifosi davano vita a un pedemoto – footquake, così lo definirono i ricercatori – pestando energicamente il terreno in forma di esultanza. Homo Ludens La palla è il giocattolo dei giocattoli. Il fatto che sia diventato così popolare la dice lunga sul vizio dei Sapiens Sapiens a trasformare alcuni oggetti di uso comune in giocattoli. Un’attitudine che condividiamo con molti altri animali, perlopiù mammiferi, dove il giocattolo ha un ruolo importante nell’apprendimento dei saperi fondamentali per la sopravvivenza. Per esempio, i cuccioli di cane, utiliz107
zano palline di gomma come giocattolo sviluppando abilità che, per lo meno nella vita selvatica, sono utili alla caccia. Se teniamo in considerazione questo istinto a giocare con gli oggetti, non stupisce che l’uomo sia arrivato a progettare e produrre anche a livello industriale giocattoli pensati a questo scopo. Alcune categorie ludiche probabilmente fanno parte di un bagaglio culturale comune a diversi popoli. Altri sono diventati indispensabili nella formazione dell’uomo moderno.
Quella che poeticamente chiamiamo sfera – il pallone da calcio – è anzitutto un icosaedro, la forma che otteniamo cucendo insieme dodici pentagoni e venti esagoni
Tutte palle Ma in fondo è solo un gioco, no? Prova a dirlo ai goleador del quartiere, i bambini che trasformano in stadi gremiti il cortile e la piazza abbandonata in onore delle sacre divinità protettrici della pallastrada. È questione di lana caprina. Pallone di cuoio? Di plastica dura come il Tango? O amico del portamonete come il SuperTele? La differenza restituisce un profumo diverso alla giornata. Il calcio è insomma una scienza esatta. E certo per vincere torna utile la confidenza con fisica, balistica e geometria. Quella che poeticamente chiamiamo sfera – il pallone da calcio – è anzitutto un icosaedro, la forma che otteniamo cucendo insieme dodici pentagoni e venti esagoni. La palla è un corpo tozzo, poco aerodinamico, per questo motivo si incastra così bene nell’aria. Quando nel 2010 Adidas ha presentato Jabulani, il pallone regolamentare più tondo di sempre, per la Coppa del Mondo sudafricana è stato un fiasco. Traiettorie imprevedibili, imprecisione, complicanze nel fraseggio. C’è stato bisogno di restituire in fretta e furia la palla ai progettisti che per aumentare la stabilità hanno dovuto inserire microzigrinature e piccoli pesi al Jabulani. Col tempo si è ritornati a qualcosa di più simile a un icosaedro, la forma geometrica del Telstar, il pallone di Messico 1970.
Che sia di cuoio, stracci o plasticaccia, non importa. La palla da calcio è pura magia. Scuote l’animo. Fa sussultare la Terra
Ci vuole il fisico È così. Colpi di testa, punizioni e palle a effetto si spiegano in termini di massa, velocità, densità dei corpi, teoria degli urti, aerodi108
namica e teoria dei fluidi. Che siano a effetto a rientrare, a cucchiaio o d’esterno, i tiri e le punizioni che ci tengono con il fiato sospeso rispettano complesse regole fisiche. Il colpo perfetto con cui il brasiliano Roberto Carlos nel 1997 ha umiliato Fabien Barthez, portiere della Francia, è entrato nella storia della scienza: la palla calciata che sembra volare in tribuna e invece a pochi metri dalla porta descrive una curva e gonfia la rete sfiorando il palo. È quello che i fisici chiamano effetto Magnus: studiato per interpretare le variazioni della traiettoria di un corpo rotante in un fluido in movimento, ci può spiegare come la rotazione impressa a un pallone possa creare una differenza di pressione aerostatica fra lato destro e sinistro di una sfera di cuoio, generando portanza (effetto Bernoulli): una forza fisica che spinge il pallone facendogli chiudere una parabola in pochi metri. Andrea Pirlo ne ha fatto un marchio di fabbrica. Nella sua punizione a effetto la forza rotatoria anziché verso destra o sinistra viene data dall’alto in basso, mettendo in rete una palla che sembra puntare alla tribuna.
Il colpo perfetto con cui il brasiliano Roberto Carlos nel 1997 ha umiliato Fabien Barthez, è entrato nella storia della scienza: la palla calciata che sembra volare in tribuna e invece a pochi metri dalla porta descrive una curva e gonfia la rete sfiorando il palo
Quelli che… Brasile 2014 Se in un caldo pomeriggio di luglio, mentre rientrate a piedi dal lavoro, vi fermerete immobili in mezzo alla strada scoprendo una città piombata nel silenzio più totale, deserta, fantasma, non lasciatevi prendere dalla paura. Niente di spettrale aleggia nell’aria. Tendete le orecchie e ascoltate il brusio che proviene dalle finestre spalancate sui cortili dei palazzi. Il rosario laico di una telecronaca sportiva vi darà il conforto di cui avete bisogno per raggiungere le vostre case. Un urlo polifonico festeggerà la squadra andata in rete. Il campionato mondiale di calcio, giunto alla sua 20a edizione, entrerà nella sua fase finale dal 12 giugno al 13 luglio 2014. Il campo da gioco è unico: il Brasile, che fu di Pelé, Zico, Falcão, Romario, Didi, Roberto Rivelino, Zizinho, Rivaldo, Ronaldo. Una terra nel pallone. Perché come diceva Toninho Cerezo, il centrocampista verdeoro di Roma e Sampdoria negli anni Ottanta, «il calcio è felicità, gioia di vivere, il calcio è riso con i fagioli».
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future tech
Social-Mondiali articolo di Simone Arcagni Giornalista
Ospitare la FIFA World Cup è una grande opportunità di visibilità, e il Brasile lo sa bene. Di fronte a una fruizione degli eventi oggi più condivisa e partecipata, si è puntato molto sulla rete, investendo in tecnologie che rendano possibile la visione delle partite su ogni dispositivo mobile e cogliendo l’occasione per far conoscere storia e cultura nazionali con un approccio social.
I Mondiali di calcio sono un grande media event, anzi, forse il più grande – e realmente su scala globale – media event. Non a caso su di esso convergono grandi player e pubblicitari, tutti con lo scopo di intercettare l’attenzione di un pubblico così vasto e motivato come quello dei supporter del calcio. Tanto più che il Brasile è la patria del calcio inteso come spettacolo, emozione, divertimento. Innanzitutto, questi sono i Mondiali di una nuova televisione possibile: l’evento mediale che per la prima volta sarà seguito più su piattaforme e social network, su device mobile, come notebook e soprattutto tablet, piuttosto che sul classico televisore casalingo. Una rivoluzione che racconta di pratiche che cambiano, ma anche di nuovi modelli di fruizione meno legati al luogo e più “social”. E anche in Italia i Mondiali brasiliani di calcio sono visti su internet e con dispositivi mobile: Perform Group (società attiva nella commercializzazione e nella produ-
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zione di contenuti sportivi) ha rilevato che questo Campionato del Mondo è il primo a essere seguito massicciamente su mobile, via streaming e sui social media. La ricerca condotta da Perform Group, in collaborazione con Kantar Media Sport e Tv Sport Markets, dal titolo Global Sports Media Consumption Report, sottolinea come gli italiani seguano sempre più spesso lo sport, e in particolare il calcio, attraverso le piattaforme digitali e questo fenomeno è ancora più evidente durante la manifestazione brasiliana. I social giocano un ruolo fondamentale e, quindi, anche le strategie pubblicitarie ne tengono conto, così come la capacità del Brasile di comunicare se stesso. Non a caso il governo brasiliano ha da qualche mese approntato un nuovo portale per il turismo che gioca la carta dei social e della partecipazione. Brasil Home (http://visitbrasilhome.com/) è la piattaforma social che prende le forme di una casa, una casa particolare però, perché ogni stanza
Brasil Home × Un tuffo nella musica di Gilberto Gil, la ricetta delle ostriche alla Moqueca e i libri di Machado De Assis: il portale Brasil Home permette di muoversi in una casa virtuale in cui ogni oggetto racconta un pezzo della storia paesaggistica e culturale del paese.
permette di entrare in contatto (attraverso link, foto e video) con i diversi aspetti della cultura brasiliana: lo sport, la cucina, i panorami, le bellezze naturali e architettoniche, la storia e così via. Nel nuovo Brasile anche il turismo diventa digitale. E allora ecco che il paese si è apprestato a ospitare i turisti del pallone e gli spettatori di tutto il mondo che questi Mondiali li vorranno vedere, commentare, rivedere, partecipare e vivere. Così mentre il CT azzurro Prandelli vieta l’uso dei social network ai giocatori della nazionale impegnati nella manifestazione, e la FIFA per la prima volta dà il via libera alla tecnologia sulla linea di porta... la strategia del Brasile è quella di servirsi di questa manifestazione per indirizzare il paese verso l’innovazione: in prima battuta le dodici città che ospitano le partite si sono dotate di nuovi impianti ICT, della banda larga e della tecnologia 4G per la comunicazione mobile. L’idea è quella di incamminare il paese – che già si accredita tra le realtà emergenti del pianeta – verso un aggiornamento tecnologico su vasta scala. E aver vinto l’organizzazione delle Olimpiadi del 2016 è per il governo un’ulteriore tappa in questa direzione. L’interrogativo è se la strategia funzioni davvero o se si rischia di creare ancora più divario tra i diversi strati della popolazione. Una preoccupazione che riunisce osservatori, accademici, studenti e studiosi e che ha visto mobilitarsi molte persone per chiedere addirittura la rinuncia all’organizzazione dei Mondiali per investire invece i soldi in piani economici che si occupino di quella parte di brasiliani che ancora versa in situazioni di povertà assoluta. Dagli stadi ipertecnologici, iperconnessi e dalle tecnologie green di ultima generazione alle favelas, c’è un divario che il Brasile deve riuscire a colmare. Questi comitati vogliono sensibilizzare in questa direzione e, guarda caso, lo fanno organizzandosi soprattutto sui social network: in ogni caso è comunque evidente che in Brasile la comunicazione ha cambiato definitivamente faccia.
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Street Art Narrazioni urbane a cura di Oxygen
Better Out Than In Collaborazione tra Banksy e Os Gêmeos
Una metropoli che non ha uno sbocco sul mare, fatta di grattacieli e palazzi la cui densità costringe lo sguardo; Os Gêmeos, i due gemelli esponenti della street art brasiliana, vedono così la loro città, San Paolo. E proprio dall’esigenza di farsi spazio tra il cemento nasce il loro percorso di street artists, che si inserisce in una tradizione molto florida a San Paolo, dove a partire dagli anni Ottanta, con la caduta della dittatura militare, gli artisti sono scesi nelle strade e le hanno colorate. A differenza dei pixação (che sono principalmente scritte), i murales di tutto il Brasile sono dipinti, spesso di grandi dimensioni, che ricoprono i muri e i marciapiedi cittadini, dando loro una nuova
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identità. La fama di molti artisti ha valicato i confini nazionali: nel 2008 Nunca e Os Gêmeos sono stati scelti dalla Tate Modern per la mostra dedicata alla street art, e l’anno scorso undici artisti brasiliani sono stati invitati dalla Schirn Kunsthalle di Francoforte per celebrare la presenza del Brasile come paese ospite alla fiera del libro. Os Gêmeos hanno anche personalizzato l’aereo che la nazionale brasiliana sta utilizzando durante i Mondiali. L’attenzione riservata oggi agli street artists origina contaminazioni anche con altri mondi, come quello della moda; è l’artista paulista Nina Pandolfo ad aver disegnato la borsa Baguette pensata per l’inaugurazione del primo negozio Fendi in Brasile.
Rio de Janeiro L’architettura coloniale incontra la street art
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street art narrazioni urbane |
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Muro dos idolos Nilton Santos
Murale nella favela Complexo do AlemĂŁo, Rio de Janeiro
Muro dos idolos Loucos 22 indica i sostenitori del Botafogo, i Loucos pelo Botafogo
Muro dos idolos Murales che celebra il club Botafogo in Rua General Severiano in Rio de Janeiro, dove sorgeva il vecchio stadio, attraverso i suoi storici giocatori. Nella foto Donizete e Tulio
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street art narrazioni urbane |
Muro dos idolos
Bambas da Lapa
Russao e Garrincha
Circo Voador, Rio de Janeiro a opera di quindici writers
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Germania 2006 Graffiti sui Mondiali in Germania. Quartiere Santa Teresa, Rio de Janeiro
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Muro dos idolos Botafogo de Futebol e Regatas, Rio de Janeiro
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intervista
Brasilia, capitale dei contrasti Intervista a Rainer Hehl
Professore di architettura alla TU di Berlino di Michele Fossi Giornalista
Città giovanissima nata a tavolino sul finire degli anni Cinquanta, Brasilia è il luogo d’incontro architettonico tra la vocazione democratica del progetto di Lúcio Costa e le disuguaglianze sociali della nazione, riunite nelle favelas e baraccopoli sviluppatesi spontaneamente intorno alla città. Quella che spesso è ritenuta una città artificiale è oggi invece il vero simbolo del paese dei grandi contrasti.
Negli anni Cinquanta in Brasile si respirava un’aria carica di energia, speranza ed entusiasmo: lo sviluppo economico, catalizzato dal rapido progresso tecnico-industriale, sembrava finalmente a portata di mano e la Bossanova, grazie alla chitarra di João Gilberto e al pianoforte di Tom Jobim, viveva il suo momento di massimo fervore. Fu in questo contesto di fiducia nel futuro ed euforia generale che il presidente Juscelino Kubitschek de Oliveira (eletto nel 1955 e famoso per aver coniato lo slogan “50 anni in 5”, con cui prometteva di far conquistare al paese la prosperità di 50 anni nei 5 del suo governo) decise di dare avvio a un ambizioso progetto di cui si parlava già nell’Ottocento: fondare una nuova capitale nel centro arretrato del paese, così da catalizzarne lo sviluppo ed evitare un accentramento eccessivo di po118
L’urbanista Costa affidò al progetto la sua visione di una città utopica, che trasponendo in architettura gli stessi valori democratici di uguaglianza e giustizia sociale stabiliti dalla Costituzione brasiliana
tere e attività economiche attorno a Rio de Janeiro. A vincere il bando di concorso indetto dal Presidente, con sorpresa di molti, fu l’unico degli architetti e urbanisti partecipanti che si presentò all’appuntamento non con un progetto dettagliato ma con un testo scritto, accompagnato da un semplice schizzo: Lúcio Costa. «Un uomo colto e raffinato, nato e formatosi in Francia, e, profondamente affascinato dalle idee del modernismo propugnate in Europa da Le Corbusier», racconta Rainer Hehl, professore di architettura alla TU di Berlino e autore di numerose pubblicazioni sull’urbanistica brasiliana, tra cui Cidade de Deus – City of Gods (Ruby Press, 2012) e Brazil minha Casa – nossa cidade (Ruby Press, 2014). «Alla Memória descritiva del Plano piloto – questo il nome del testo – Costa affidò la sua visione di 119
una città utopica, che trasponesse in architettura gli stessi valori democratici di uguaglianza e giustizia sociale stabiliti dalla Costituzione brasiliana». Nasce così, tra il 1956 e il 1960, in soli 41 mesi, Brasilia, la prima “città-testo” del mondo. «Trionfo assoluto della razionalità, niente nel meticoloso e dettagliato piano urbanistico realizzato da Lúcio Costa era lasciato al caso: egli suddivise a tavolino le aree destinate a uso residenziale, commerciale, bancario e ospedaliero, limitando quelle industriali e persino l’altezza massima degli edifici, che a Brasilia non superano mai la vegetazione circostante. La sensazione è straniante: da un lato senti il rumore delle autostrade che attraversano la città; dall’altro apri la finestra e hai davanti a te un muro di verde. A questo si aggiunga che, per idea di Oscar Nemeyer, allievo di Costa e fin da subito coinvolto nel progetto, i palazzi di Brasilia, come moderne palafitte di cemento, sono tutti appoggiati a un sistema di colonne e pilastri, col risultato che l’architettura della nuova capitale non è mai d’impedimento alla mobilità: per usare un’espressione a lui cara, libera lo spazio. Un’opera d’arte, a tutti gli effetti: basti pensare che, vista dall’alto, la pianta della nuova capitale ricorda poeticamente un uccello in volo». Al punto che l’astronauta Jurij Gagarin, quando si recò in visita a Brasilia dopo il suo storico viaggio nello spazio, commentò: «Sembra di sbarcare su un altro pianeta». Preoccupato che la città fosse interessata, negli anni a venire, da una proliferazione caotica che pregiudi120
casse la perfezione del piano originario, Costa concepì inoltre un modello di crescita urbana basato sulla creazione di città-satellite, collegate alla città-madre da autostrade ad alto scorrimento. «Così la città nata per incarnare i principi di uguaglianza contenuti nella Costituzione divenne paradossalmente negli anni il simbolo della segregazione e della disparità sociale: da un lato la Brasilia disegnata a tavolino, abitata dall’intellighenzia ricca e colta, dall’altro le città satellite, come Santa Maria, São Sebastião, Gama, Ceilândia e Sobradinho, popolate dai nullatenenti, accorsi in massa dalle aree più arretrate del paese». «Le città-satellite di Brasilia», rimarca Hehl, «sono molto diverse tra di loro: alcune sono cresciute in maniera pianificata e quindi appartengono a buon diritto al tessuto cosiddetto “formale” (leggi: “pianificato”) della capitale, mentre altre si sono sviluppate in maniera completamente non controllata, dando luogo a oasi di “informalità”, ovvero favelas e baraccopoli. Questo fa di Brasilia, oggi, uno dei più interessanti casi-studio, per noi architetti, per osservare la relazione tra tessuto formale e informale nelle città dei paesi in via di sviluppo nel ventunesimo secolo». Una relazione che, spiega Hehl, in questi anni sta acquisendo nuove, insospettabili valenze. «Per decenni le favelas delle città-satellite di Brasilia sono state percepite come zone off-limit in mano alla criminalità, tenute in vita da un’economia sommersa parallela a quella ufficiale. Oggi sappiamo che, lungi dall’essere gli estremi
inconciliabili di una dicotomia, tessuto formale e informale a Brasilia rappresentano due sottomondi che dialogano sempre più vivacemente tra di loro. Anzi, ci appare sempre più chiaro che hanno addirittura bisogno l’uno dell’altro per esistere: il settore informale ha bisogno di quello formale perché offre posti di lavoro e servizi, mentre, viceversa, quello formale si affida a quello informale per il reperimento di manodopera a basso costo, senza il quale l’intero ingranaggio cittadino si incepperebbe». Ma c’é di più: col crescere del ceto medio brasiliano, le favelas si stanno configurando come un nuovo mercato dal potenziale enorme. «In base alle ultime statistiche, una percentuale compresa tra il 65 e il 70% degli abitanti
centro cittadino e cena fuori casa una volta a settimana. Un discorso particolarmente vero a Brasilia, che vanta oggi il primato di città con il più alto indice di sviluppo umano (HDI) dell’intero paese», spiega Hehl. «Nel giro di tre-quattro anni, la linea immaginaria che separa spazialmente il tessuto formale e informale di Brasilia e di altre città brasiliane ha acquisito così un nuovo significato: da barriera sociale invalicabile tra ricchi e poveri, a frontiera di conquista per il ruggente capitalismo brasiliano, che nelle aree informali sempre più popolate dal ceto medio intravede oggi le sue maggiori potenzialità di espansione». Ne è uno specchio, neanche a dubitarne, il neonato mercato immobiliare delle baraccopoli: se solo pochi anni fa parlarne avrebbe fatto sorridere, oggi costituisce una delle realtà economiche in più rapida crescita di tutto il Brasile, con il valore dei terreni nelle aree informali di Brasilia e altre città brasiliane quadruplicato in soli quattro anni.
Brasilia, oggi, è uno dei più interessanti casi-studio per osservare la relazione tra tessuto formale e informale nelle città dei paesi in via di sviluppo delle favelas brasiliane, ormai, appartiene al ceto medio; nel 2002 era solo il 37%. Le favelas appaiono così improvvisamente come uno sterminato bacino di milioni di nuovi, potenziali consumatori». Lo conferma un recente studio dell’istituto demoscopico brasiliano Data Popular, in base al quale l’accesso ai beni di consumo nelle aree informali delle città brasiliane è letteralmente esploso negli ultimi dieci anni: il numero di abitanti delle favelas che oggi possiedono una lavatrice è raddoppiato, ed è pari al 50%, mentre il 90% ha un cellulare, il 40% un computer, e il 45% è un internauta regolare. «Le favelas brasiliane, ormai, sono popolate in massima parte da consumatori nel senso classico del termine, di cui il 70% si reca nei centri commerciali del 121
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approfondimento
L’albero della ricchezza articolo di Donato Speroni Giornalista economico
Spesso la consapevolezza che preservare la ricchezza naturale può essere un traino per l’economia arriva tardi: è il caso dell’Amazzonia, in passato sovrasfruttata e sottoposta a stress ambientali, ma che negli ultimi anni ha registrato, in alcune zone, un calo del tasso di deforestazione che fa sperare in un’inversione di tendenza.
Domanda: chi organizza annualmente i World Forests Summits, vertici mondiali sulla situazione delle foreste? Greenpeace, il WWF o qualche altra organizzazione di tree huggers, fanatici difensori degli alberi? Errore: queste riunioni sono promosse dall’Economist. Costano care: per partecipare bisogna sborsare 1500 euro. L’incontro più recente, che si è svolto il 20 marzo a Stoccolma, aveva per oggetto il business: il rapporto con l’espansione delle terre agricole, il futuro della bioenergia e dei mercati del legname, i nuovi prodotti ricavabili dagli alberi. L’iniziativa della rivista inglese sottolinea che è in corso una svolta nell’approccio al problema: l’estensione delle foreste tropicali non va difesa soltanto per contenere il cambiamento climatico o per salvare la biodiversità e le popolazioni autoctone, ma perché le distese boschive sono una componente fondamentale dell’economia del futuro, fonte di ricchezza sia per chi ci investe, sia per i paesi nei quali si trovano. In passato i governi hanno consentito o addirittura incoraggiato la distruzione delle foreste tropicali per ricavarne esportazioni e valuta. La svolta consiste invece nel considerare questa ricchezza come parte di una nuova economia sostenibile, utilizzando gli alberi in modo ecocompatibile. Il rapporto FAO del 2012 State of the world forests dedica un capitolo all’importanza (finora poco studiata) del legname per l’economia dei paesi in via di sviluppo, considerando anche che almeno 1,6 miliardi di persone nel mondo dipendono dalle foreste per la loro sopravvivenza, per non parlare dei 60 milioni che ancora vi abitano.
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Oggi si comincia a comprendere il valore della foresta originale: uno studio pubblicato su “Nature” afferma che un ettaro di foresta amazzonica rende ogni anno 148 dollari se trasformato in terreno da allevamento, 1000 dollari se impiegato per l’estrazione di legname commerciale distruggendo tutti gli altri tipi di arbusti, e 6820 dollari se la foresta viene rispettata, limitandosi a “mieterla” per raccogliere frutta, lattice e legname. È ancora presto per parlare di un’inversione di tendenza, ma anche grazie a questa nuova ottica i progressi a livello globale sono incoraggianti. La FAO stima che nel 2010 le foreste mondiali coprivano un’estensione di 4,03 miliardi di ettari. Nel primo decennio del nuovo secolo, il tasso di deforestazione annuo è sceso da 8,3 a 5,2 milioni di ettari e alcuni grandi paesi hanno cominciato ad aumentare l’estensione delle loro foreste: la Cina dell’1,6% all’anno, l’India dello 0,5%. Anche in Brasile i ritmi di deforestazione stanno diminuendo; qui due terzi del territorio sono coperti da foreste: 544 milioni di ettari, pari, secondo uno studio del World Forest Institute, al 17% del totale delle foreste mondiali. Secondo le rilevazioni satellitari, si passa dai circa 12.000 chilometri quadrati distrutti annualmente nel 2007-2008 ai meno di 5000 di oggi, dato che indica un impegno significativo, anche se azzerare questo scempio non è facile, perché è fortemente legato alla dinamica demografica. Il taglio illegale del legname e altre attività come il contrabbando di animali esotici contribuiscono al degrado della foresta amazzonica, ma le cause principali, che
provocano più del 90% dell’impatto della deforestazione, sono l’allevamento del bestiame e l’agricoltura, specie quella praticata liberando il terreno col fuoco, che spesso di estende al di là delle aree che si vorrebbero “ripulire”. La popolazione nelle aree amazzoniche negli ultimi 50 anni si è decuplicata superando i 20 milioni di abitanti e la pressione antropica è di fatto la principale minaccia alle foreste brasiliane. Secondo il Climate Policy Initiative (CPI), un think tank internazionale, il 70% delle attività di deforestazione derivano oggi da disboscamenti effettuati per ricavare piccole proprietà, ma il Brasile non avrebbe bisogno di impiegare tutta quella terra per le produzioni agricole: basterebbe migliorare la produttività delle terre già coltivate per ottenere risultati soddisfacenti. Ovviamente non è semplice cambiare i modelli di attività economica e realizzare gli investimenti necessari, ma lo sfruttamento economico razionale delle foreste tropicali è la grande speranza per salvare i polmoni del pianeta. Dice Almir Narayamoga, capo della tribù amazzonica Suruí: «Noi non diciamo di non usare la foresta, ma di riflettere sempre sugli effetti a medio e lungo termine di qualsiasi intervento». I Suruí sono la prima popolazione tribale che in Amazzonia si è impegnata in un progetto Redd (Reducing emissions from deforestation and forest degradation) finanziato dall’ONU. Il 10% del reddito generato andrà alle popolazioni locali non tribali, per dimostrare come la conservazione della foresta può generare lavoro e reddito.
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Tropicalismo, la rivoluzione permanente articolo di Paolo Ferrari Critico musicale
I suoi semi erano stati gettati negli anni Trenta, ma è nel biennio caldo ’67-’68 che il Tropicalismo esplode nella musica popolare brasiliana grazie ai giovani musicisti Gilberto Gil e Caetano Veloso. Capace di andare oltre le tradizionali dicotomie che caratterizzavano la musica del paese, il suo impatto fu enorme, e neanche la dura reazione del regime nazionale riuscì a impedire che influenzasse lo scenario musicale nazionale attuale. Lisbona, 4 agosto 1969. I ventisettenni Gilberto Gil e Caetano Veloso sono arrivati in Portogallo da una settimana, esuli dal Brasile sottoposto a un pesante irrigidimento del regime autoritario militare. Cantano in teatro, e il presentatore chiede loro se la musica che hanno appena elargito al pubblico entusiasta sia riconducibile al movimento chiamato Tropicalismo. Risponde Caetano, look da hippy intellettuale e selvaggio: «Il nome di un movimento esiste nel momento in cui quel movimento esiste, e il Tropicalismo non esiste più in quanto tale. Ha prodotto frutti che hanno acceso l’attenzione su alcuni cantautori brasiliani e influenzato le nostre idee. Ora però noi non siamo più in Brasile e quel movimento non esiste più». È l’inizio dell’eccellente documentario Tropicália di Marcelo Machado. Ciò che i due ragazzi brasiliani non potevano presagire in quel momento era la capacità dello spirito del Tropicalismo di penetrare in profondità nella cultura del grande paese lusofono, per trasformarsi in un segmento
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imprescindibile del DNA della musica popolare brasiliana, per convenzione MPB. Il Tropicalismo tout court era nato nel 1928 con il Manifesto Antropófago di Oswald De Andrade, fonte di ispirazione per la bulimia emotiva e culturale che a metà anni Sessanta si tradusse in un geniale crossover tra culto della radici precolombiane e desiderio di futuro condiviso con i giovani del resto del pianeta. È il 1967 quando Gil e Veloso sconvolgono l’audience della televisione di stato cantando rispettivamente Domingo No Parque e Alegria Alegria. Subito dopo Veloso pubblica la canzone Tropicália. Saltato il tappo, nel 1968, non un anno qualsiasi, arriva il manifesto collettivo a 33 giri Tropicália ou Panis et Circenses: le foto raccontano di una banda di freak, i riferimenti al rock lisergico sono espliciti e così pure il legame con la grande scuola della bossa nova di João Gilberto e Tom Jobim. E ancora, dadaismo, pacifismo, liberazione sessuale. Tutto messo insieme da un collettivo multicolore che suona come un puzzle di talenti epocali: Caetano Veloso e Gilberto Gil, Os Mutantes, Gal Costa, Tom Zé, Nara Leâo, Rogério Duprat, il poeta Torquato Neto, con l’agitprop Maria Bethânia, troppo anarchica per sentirsi parte di un gruppo, nel ruolo di fiancheggiatrice. L’impatto è devastante, il carcere e l’esilio sono dietro l’angolo. Al rientro, nel 1972, il Tropicalismo sembra alle spalle, distante anni luce. «È stata un’utopia», chiosa di lì a poco Gilberto Gil. Dal movimento allo spirito Secondo Rogerio Duarte, grafico, poeta e cantautore di tre anni più anziano di Caetano e Gilberto, la quintessenza del Tropicalismo fu l’avvento della cultura della sintesi in un paese abituato alla dinamica della contrapposizione: Africa contro Europa, Rio contro Bahia e via discorrendo. Questo spiegherebbe la sua natura di rivoluzione culturale di portata ben superiore all’ambito musicale e la sua attuale permanenza nello spirito del cinema, del teatro, dell’arte e della canzone. È un ragionamento che si può estendere alla straordinaria capacità del pop brasiliano di vivere di dialettica costante tra generazioni anziché basarsi su processi di conflitto tra il nuovo e il passato. Come il collettivo di Tropicália valorizzò da una prospettiva differente la frizzante lezione di João Gilberto e Tom Jobim, così nei decenni successivi il presente continuò a tessere la trama del rinnovamento esibendo con orgoglio i fili del passato. Fino a manifestazioni di affetto rumorose, come la ripresa del repertorio de Os Mutantes da parte dei metallari Sepultura e il dopato rock tropicale degli attualissimi Carotas Suegas. Mentre le fulgide carriere di Caetano, Gilberto, Gal Costa e Tom Zé 125
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proseguivano sotto i riflettori del mondo, nel sottosuolo e con particolare intensità nel nordest del paese la brace covava e teneva viva una fiamma destinata a divampare con rinnovata energia all’inizio degli anni Novanta. L’utopia paga L’ultimo decennio del Novecento esprime indizi sufficienti a costituire una prova: il Tropicalismo è stata utopia fertile, pronta a tornare alla ribalta sotto nuove forme. Un quarto di secolo dopo lo storico album collettivo, Gil e Veloso tornano insieme per Tropicália 2; David Byrne, immerso nei suoni del Sud del mondo con la sua etichetta Luaka Bop, rilancia in grande stile Tom Zé; il cosmopolita samba reggae dilaga sotto i ritmi furiosi di Carlinhos Brown. Soprattutto, un ragazzo di Recife guida un nuovo movimento culturale, il Mangue Beat. Lui si chiama Chico Science, la sua band Naçao Zumbi, con il ritorno all’immaginario precolombiano mescolato allo spirito della Zulu Nation di Afrika Bambaataa, pioniere dell’hip hop statunitense. Il suono è una miscela di radici locali, rap, black music, reggae che scuote il paese e lascerà un segno ben più duraturo della breve esistenza del suo giovane eroe, ucciso trentunenne nel 1997 da un incidente d’auto. Anche l’altro paladino del neo-Tropicalismo anni Novanta è di Recife, si chiama Osvaldo Lenine Marcelo Pimentel, e tra i quattro sceglie il nome più combattivo, Lenine. Lui è una star, vince il Grammy Award, lavora per il cinema e la televisione, ed esprime nei testi il mélange di passato e futuro che Chico Science ricerca nel sound. Dietro i due spunta l’eredità di un personaggio cult della MPB, Luis Gonzaga, anche lui di Recife, nato nel 1912 e scomparso nel 1989. Ideatore a sua volta di un filone innovativo, il Baião, definito dallo stesso Veloso «il primo significativo evento culturale con un appeal di massa in Brasile». Attraverso questi vasi comunicanti tra generazioni, si scivola verso la ricchezza sonora del Brasile odierno. Un proliferare di talenti, testacoda, interazioni e sperimentazioni da cui non è esente la vecchia guardia: chi abbia assistito a uno show del recente tour italiano di Caetano Veloso ha visto il settantunenne di Bahia sul palco con un trio di giovani musicisti in assetto indie rock. Uno di loro, Pedro Sá, è anche parte dell’Orquestra Imperial, all star della scena carioca in cui brillano anche le stelle di Moreno Veloso e Kassim. Se la specialità del combo è la ripresa della samba gafieira, i Forro In The Dark di Mauro Refosco partono proprio dal Forró, suono popolare nel nordest fin dai tempi dello stesso Gonzaga. Impressionante, anche sotto il profilo della ricerca grafica, l’idea freak cibernetica di Cibelle, 126
Nel 1968, non un anno qualsiasi, arriva il manifesto collettivo a 33 giri “Tropicália ou Panis et Circenses”: le foto raccontano di una banda di freak, i riferimenti al rock lisergico sono espliciti come il legame con la grande scuola della bossa nova
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in bilico tra canzone d’autore, elettronica e rock alternativo non solo attraverso i dischi ma anche con applicazioni cinematografiche, teatrali e visuali. La sua inquietudine di temperamento urbano può sembrare distante dallo spirito di provenienza rurale di una cantautrice come Vanessa Da Mata, cresciuta in un paesino del Mato Grosso e salita alla ribalta mondiale per il duetto Boa Sorte con Ben Harper; invece le due anime si specchiano attraverso la lente d’ingrandimento dei richiami alle dive della MPB, da Gal Costa a Joyce, da Rita Lee a Maria Bethãnia, Margareth Menezes, Daniela Mercury. Tra i due poli, scorre una ricca gamma di pop tropicale femminile, con Céu vicina alle dive soul statunitensi, Dom La Nena così legata alla scuola britannica da lavorare quasi in simbiosi con Piers Faccini e Flavia Coelho sedotta dal reggae di eco giamaicana. La curva della cintura I Tropici, è bene ricordarlo, non abbracciano soltanto il Brasile. La suggestione del legame con l’Africa è forte fin dall’avvento del Tropicalismo propriamente inteso, e non poteva che conoscere un esplicito ritorno di fiamma con la penetrazione nel paese della sottocultura hip hop. Anche in questo caso, la forza della MPB ha tenuto la scena locale al riparo dalle applicazioni strettamente derivative cui le ondate internazionali hanno dato vita in altri contesti. Il personaggio più affermato, Marcelo D2, ha lavorato con la crema del rap statunitense, ma non ha mai perso il legame con i musicisti di strada e con il Carnevale di Rio; il surreale Dj Dolores ama inserire nelle sue produzioni digitali frammenti di bossa nova e samba, mentre nel poeta e rapper Criolo, oggi il personaggio di punta del fermento nazionale, convivono la canzone engagé alla Lenine e il portamento hip hop. Sono tutti artisti per i quali l’Africa è un punto di riferimento essenziale, sulla traiettoria del pianeta che il formidabile progetto dei brasiliani Arnaldo Antunes e Edgard Scandurra con il maliano Toumani Diabaté ha definito A Curva Da Cintura. Loro, il graffiante chitarrista Lucas Santtana, la vocazione afro punk psichedelica dei Metá Metá, il tocco d’essai del cantautore afrocentrico Tigana Santana, il collettivo Graveola e o Lixo Polifônico, per il quale è stata coniata l’esplicita definizione di postTropicalismo, sono oggi le prove della permanenza dell’utopia di Gil, Veloso e compagni nel DNA dell’MPB oggi più in vista nella vetrina del nuovo pop internazionale. Un fermento che, come spesso accade nei moti pop, trova casa in un’etichetta discografica di riferimento, l’innovativa Mais Um Discos con sede a Londra. Dove il Meridiano di Greenwich diventa ripetitore per le missioni in arrivo dal Tropico del Capricorno.
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Metà Africa e metà Nuovo Mondo articolo di Emanuela Donetti Giornalista
Un re portoghese sposato prima con una Asburgo e poi con una francese, le tradizioni africane sbarcate insieme agli schiavi, i monumenti nazionali che posano su terreno straniero… E poi divinità appassionate, il culto del Candomblé le cui radici, guarda caso, sono un mix che comprende anche la religione cristiana. La storia del Brasile è quella dell’incontro di tre continenti, e scoprirla è come viaggiare attraverso i secoli.
Pedro de Alcântara Francisco António João Carlos Xavier de Paula Miguel Rafael Joaquim José Gonzaga Pascoal Cipriano Serafim. Si chiamava così il primo re del Brasile. Cresciuto come un teppistello qualsiasi nelle campagne brasiliane, dopo che il padre Giovanni IV del Portogallo si era trasferito al di là dell’oceano, quando venne proclamato re scelse per semplicità di farsi chiamare Pedro I. Da ragazzo sfuggiva a tutori e insegnanti e col fratello Miguel raggiungeva i coetanei per i quartieri di Rio de Janeiro: crebbe scapestrato ma benvoluto dal popolo, e, soprattutto, ottimo stratega. Gli dettero in sposa Maria Leopoldina d’Asburgo-Lorena, sorella di Maria Luigia, la seconda moglie di Napoleone, che in Italia divenne contessa di Parma, Piacenza e Guastalla. Vedendo la piega che prendevano i movimenti indipendentisti nelle vicine nazioni latinoamericane, dietro suggerimento del padre, Pedro dichiarò il Brasile indipendente dal Portogallo nel 1821. Prima ne fece una monarchia costituzionale, e poi si autonominò imperatore, a soli 24 anni. Leopoldina gli dette sette figli, ma morì durante la guerra della Cisplatina. Questa regione brasiliana nel corso di uno scontro con l’Argentina riuscì a otte-
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nere l’indipendenza e a creare l’attuale Uruguay. E a Pedro I non restò altro che sposare la nipote della prima moglie di Napoleone, Amelia di Beauharnais, anche se le malelingue dicono che si divertisse parecchio con la Marchesa di Santos, tale Domitilla, con la di lei sorella, e (addirittura) con una suora portoghese dalla quale ebbe anche un figlio illegittimo. Si capisce che da un tale fondatore, il Brasile non poteva che nascere sotto l’influenza di una stella danzante, o perlomeno sicuramente molto folkloristica. Un paese su cui vigila benevola Yemanyá, dea del Mare, colei che crea, madre della vita, e governa le acque degli oceani, dei mari e dei fiumi che conducono al mare. E poiché si ritiene che la sua vita abbia avuto inizio nel mare, si crede anche che tutta la vita sia iniziata con Yemanyá. Il suo nome è la contrazione di Yey Omo Eja, che significa “madre i cui figli sono i pesci”. È anche sorella e moglie di Aganju, dio della terra, e madre di Oya, dea dei venti, di cui però è più importante, poiché l’aria a sua volta si forma dagli oceani e dai mari. Materna e protettiva, ama la buona compagnia, la caccia e non si formalizza se deve usare il machete. Yemanyá fa parte della tradizione africana, portata in Brasile dagli
Candomblé e cattolicesimo × Nata durante il periodo in cui i missionari convertirono gli schiavi africani giunti in Brasile, questa religione ha associato alcune figure della tradizione cattolica alle proprie divinità; così a Gesù corrisponde Oxalá, a san Gerolamo Xangô e a sant’Antonio Ogum.
schiavi che arrivavano sulle coste sudamericane dopo che una bolla papale nel 1537 definisce gli indigeni americani “Indios veros nomine esse”. Fu così che, dovendo rinunciare a sfruttare le popolazioni locali, un po’ per la scomunica papale, un po’ perché effettivamente erano di costituzione fragile, e soprattutto morivano a frotte a causa delle malattie europee, la tratta degli schiavi africani fece tappa anche a Salvador de Bahia. Impiegati principalmente nella coltivazione della canna da zucchero, ma anche nelle miniere di pietre preziose del Minas Gerais, si calcola che nei periodi più intensi arrivassero sulle coste brasiliane circa 8000 persone, tra uomini e donne. Portarono con sé religioni e tradizioni, che fuse con quelle cristiane dettero vita al Candomblé, il culto della dea Yemanyá: metà Terra Madre, metà dea del Mare, selvaggia e materna come solo una donna appassionata può essere. Metà Africa, e metà Nuovo Mondo. Il Candomblé ancora si pratica, tra le strade di Bahia. Dal 1871 invece è lo schiavismo che è diventato illegale; ci ha pensato Isabella del Brasile, nipote di quel Pedro I che lo aveva reso uno stato indipendente, con l’istituzione nel 1889 la legge dei Lombi vuoti, in Brasile più conosciuta come Lei Aurea, con cui tutti i nuovi nati in Brasile hanno per diritto lo stato libero. Amatissima per questo motivo, Isabella è ricordata dai brasiliani come A Redentora. È dedicata a lei la statua sulla spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro. Proprio di fronte al Pão de Açúcar. Due volte simbolico, visto che il cosidetto Pan di Zucchero, che sorge letteralmente dalle acque dell’oceano con la forma di un cono di canna da zucchero, è in realtà una roccia del tutto africana. Il monolito, montagna che caratterizza l’immagine di Rio e del Brasile in generale, è infatti formato da un unico blocco di gneiss, una roccia metamorfica originata circa 600 milioni di anni fa dall’alterazione del granito presente sotto la crosta terrestre dopo il cambiamento di pressione e temperatura provocato dal distacco dei continenti africano e sudamericano.
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intervista
Viene da San Paolo, «l’immensa città orizzontale e verticale», la scrittrice brasiliana Andréa Fátima do Santos, in arte Andréa del Fuego. E da questa città ha scritto di tutto un po’. Da autrice di una rubrica di consigli sessuali su un giornale (alla quale deve lo pseudonimo “del Fuego”) è passata attraverso la letteratura per ragazzi, la scrittura per blog, il racconto breve, fino ad approdare al romanzo con il suo primo, e riuscitissimo, Os Malaquías, (uscito come Fratelli d’acqua in Italia), vincitore del premio José Saramago nel 2011. E di tutte queste esperienze ha sempre conservato una parte: dallo pseudonimo alla giocosità di certi testi, dall’erotismo alla brevità dei racconti proiettata sui romanzi. Esperienze che si sono sedimentate rendendola, a meno di quarant’anni, una delle scrittrici più interessanti del Brasile. Lei ha fatto parte del gruppo di scrittori invitati alla fiera del libro di Francoforte quando il Brasile è stato il paese ospite nel 2013. Quanto c’è di identità brasiliana nel suo lavoro? Io non cerco di dire, come autrice, da dove vengo. È una cosa che accade naturalmente: le persone scrivono da un corpo, da una
letteratura da vertigini Intervista ad Andréa Del Fuego Scrittrice
di Cecilia Toso fotografie di Raquel Brust
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La letteratura brasiliana, che riscopre lettori, editori e un pubblico appassionato di fiere letterarie, deve in parte la sua rinascita al ritrovato benessere nazionale. E l’offerta non manca, con novità e sperimentazioni, ma anche con tradizioni come quella del rinfrescato realismo magico. La carriera e le opinioni sulla situazione letteraria nazionale di chi la letteratura la fa, reputandola un’esperienza “vertiginosa”.
città, da un luogo. Io vivo in una città, San Paolo, che è la più grande del Brasile, è il suo cuore finanziario, è caotica, urbana, inquinata. Da qui però, nel caso di Fratelli d’acqua, ho scritto di una zona rurale del paese che non esiste quasi più. Nell’epoca in cui è ambientato il romanzo, infatti, la maggior parte della popolazione viveva in campagna; oggi ci vive appena il 15% dei brasiliani. Questo luogo di cui ho scritto esiste ancora, ma ha rinunciato alla sua innocenza rurale, perché il mondo oggi vive tutto simultaneamente la stessa epoca. Fratelli d’acqua, che racconta la storia della mia famiglia, segnata dalla caduta di un fulmine sulla casa dei miei bisnonni, ritrae il momento in cui questa zona rurale cominciava a ricevere il progresso, in cui per avere la luce elettrica (e quindi il futuro) gli abitanti si sono dovuti spostare e la regione è stata allagata per costruire una diga. Il mio secondo romanzo, As Miniaturas, è ambientato in un palazzo nel centro di San Paolo, che è però un luogo fittizio come accade nel realismo magico: il suo contesto di traffico, povertà, mendicanti, violenza resta appunto solo uno sfondo di una storia in cui alle persone vengono suggeriti i sogni che devono fare.
Il realismo magico è parlare con un linguaggio molto realista di qualche cosa che non esiste, finendo per dare verosimiglianza all’assurdo 131
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Il realismo magico è molto presente nei suoi testi. Ha qualche tipicità rispetto a quello delle altre tradizioni dell’America Latina? In Brasile abbiamo un rappresentante molto interessante del realismo magico: Murilo Rubião, che ha pubblicato tra gli anni Cinquanta e Sessanta circa 50 racconti, passando più tempo a riscrivere quelli passati che a crearne di nuovi. Il suo stile mi ha in qualche modo influenzato: si tratta di parlare con un linguaggio molto realista di qualche cosa che non esiste. Così si finisce per dare una verosimiglianza all’assurdo ed è ciò che ho cercato di fare nei miei testi: essere concisa, avere un linguaggio molto limpido per cercare di portare il lettore in un luogo che non esiste senza che lui si senta ingannato, perché quel luogo in realtà esiste, solo che non si sa dove. Purtroppo la mia scrittura tende verso la prosa poetica e il mio lavoro è soprattutto quello di asciugarla, affinché non sottragga forza al testo. C’è una scena, in Fratelli d’acqua, in cui un personaggio cade nel colino del caffè: l’ho riscritta migliaia di volte, era molto ricca, come se avessi messo troppo condimento in una pietanza. Quanto più pulito fosse stato il linguaggio più la scena sarebbe stata “incarnabile”. Ora sto cercando di uscire un po’ dal realismo magico, ma è un registro molto spontaneo del mio lavoro, è il mio difetto e il mio limite. Lei ha esplorato molti generi diversi nella sua scrittura, tra i quali il mini racconto, un genere da noi poco conosciuto che può constare in una sola frase, o in un paragrafo. Era in cerca del “suo” genere o ha voluto esplorare l’ampiezza della letteratura? Sì, credo che la letteratura sia ampia, a tal punto che si può cominciare un testo pensando che sia un romanzo e all’improvviso capire che non può andare più in là di un racconto. Bisogna avere questa libertà con i propri testi per dare loro la dimensione che richiedono: quella di un racconto, di un paragrafo, di un mini racconto, o di un romanzo se ha l’ossigeno per poterlo diventare. Com’è accaduto con Fratelli d’acqua, un’esperienza per me fantastica. Oggi scrivo racconti per delle antologie, ma il mio prossimo progetto è un romanzo: il rapporto che si crea con un testo di quel tipo, intimo, familiare, è un’esperienza vertiginosa. La letteratura è convivenza, si trascorre il tempo cercando di affrontare i propri limiti. Il suo primo romanzo è ricco di capitoli corti, che durano il tempo di una scena: è l’influenza del racconto breve? Durante i sette anni in cui ho scritto Fratelli d’acqua ho aperto un blog, come facevano molti autori, persino lo stesso José Saramago! Il mondo si stava convertendo, per cui 132
letteratura da vertigini |
ho deciso di farlo anch’io. Pensai di scrivere di alcune immagini, non come se stessi creando una didascalia, ma come una specie di storia che sorgesse e facesse continuare la fotografia. I mini racconti sono nati da lì, come testi senza importanza, senza pretese di pubblicazione, un esercizio per il blog. È stata una cosa deliziosa, e alla fine ho capito che se avessi preso quei testi dal blog e li avessi sottoposti a un trattamento letterario che ha, come primo ingrediente, il tempo di riposo, allora avrei potuto racchiuderli in un libro. E i mini racconti stavano già contaminando il mio modo di scrivere, per cui quando mi sono messa a riscrivere Fratelli d’acqua ho assunto un’ottica di tagli maggiore. Quella che sembrava essere una cosa sciocca, effimera e povera è diventata invece un forte strumento, mi ha reso in grado di scrivere un romanzo. Tutto è cammino.
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Negli ultimi dieci anni c’è stata una crescita straordinaria di scrittori e editori: nello stesso momento in cui i grandi poli editoriali si ampliano ci sono piccole case editrici che fanno edizioni artigianali. Inoltre in tutto il paese si stanno creando feste e fiere del libro e ci sono programmi a livello governativo per incentivare le traduzioni, e grazie a questo ci sono molte più opere tradotte di scrittori contemporanei. Questo benessere letterario è dovuto alla crescita economica del Brasile? Completamente. I programmi di cui ho parlato sono il ritratto della crescita economica. L’ascesa della classe media, più accesso alla cultura, a internet, più consumo: siamo di fronte a una generazione, una classe che sta emergendo e che acquista ciò che ha visto consumare al padrone, per dimostrare che progetto “Giganto” Per il festival PhotoEspaña.br, la fotografa brasiliana Raquel Brust ha reso Minhocão, la sopraelevata di San Paolo, un’installazione in cui l’architettura della città diventa il supporto per l’esposizione di fotografie iperdimensionate che interagiscono con la vita del pubblico.
Qual è la situazione della letteratura in Brasile? Dopo essere stata alla fiera di Francoforte, nel 2012 e nel 2013, e dopo aver visto quell’immensa borsa dei valori della cultura, dove si decide quali testi andranno nel resto del mondo, è difficile credere che non ci siano lettori e che il libro, il migliore supporto che la letteratura possa avere, sia arrivato alla fine. Perché alimenta ancora un mercato straordinario. E sta crescendo anche in Brasile: molte persone analfabete si stanno istruendo, ci sono programmi di alfabetizzazione per adulti e c’è stata una vera e propria apertura nel campo dell’educazione, con sempre più persone che attivano la propria scolarizzazione. È un movimento lento ma continuo, e la potenzialità dei lettori del Brasile è immensa: ci sono migliaia di brasiliani che devono ancora incontrare il libro nella loro vita.
oggi può permetterselo. La cultura fiorisce con il benessere economico: la crisi è materia prima dell’arte, perché permette di riflettere, ma il consumo della cultura non ha a che fare con la crisi ma con la stabilità economica. La letteratura brasiliana ha il suo pubblico anche all’estero? Il pubblico straniero, europeo ha abitudini di lettura molto radicate, vuole sapere e penso che possa avere la curiosità di esplorare anche gli scrittori brasiliani. Visti i molti autori che stanno nascendo in questo momento, quella della loro possibilità di farsi conoscere oltre il loro paese d’origine è una partita aperta. La fiera di Francoforte ha in qualche modo stimolato la curiosità degli editori e sarà possibile solo fra qualche anno sapere fin dove il Brasile è riuscito a portare la sua letteratura. 133
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DIETRO al CARNEVALE articolo di Alberto Riva Giornalista
Festa popolare e democratica che si animava ambulante per le strade e sfarzosa nel sambodromo, il carnevale brasiliano ha ormai cambiato faccia. Abiti sgargianti, strass e piume sono uno spettacolo di luci e colori riservato più ai turisti che ai locali, e che muove soldi da mezzo mondo. Ma bische, sponsor, soldi pubblici riescono davvero a togliere energia a una delle feste più kitsch del mondo?
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Quando fu chiamato a dirigere la sua prima scuola di samba, la celeberrima Salgueiro, Pamplona trasformò il carnevale vestendo i neri da neri Si chiamava Fernando Pamplona. Studiò alla scuola di belle arti, voleva diventare scenografo. Divenne qualcosa di più: carnavalesco. Ecco una professione che esiste solo in Brasile e per molto tempo, anzi, è esistita solo a Rio de Janeiro. A Hollywood gli eroi si chiamavano John Ford, Frank Capra, Billy Wilder. A Rio i loro nomi sono Fernando Pinto, Joãonzinho Trinta, Max Lopes. E Fernando Pamplona. Chi è il carnavalesco? Un misto di regista, coreografo, produttore, costumista, scrittore. Se la scuola di samba fosse una squadra di calcio, il carnavalesco sarebbe molto più di un allenatore. Anche perché la squadra di calcio è fatta di undici uomini, mentre nel chilometro di cemento del Sambodromo si scende in quattromila foliões e la sfilata dura 80 minuti. Il carnavalesco è colui che li deve
tenere insieme e spingere verso l’Apoteosi, che non è un modo di dire, ma è proprio il nome della piazza dove la sfilata si scioglie, spesso tra le lacrime. Quanto a Pamplona, era nato nel 1926 nel quartiere di Botafogo. Il mattino di un lontano febbraio, ancora ragazzino, mentre la sua tata lo portava a scuola per strada passò un bloco de rua, una festa ambulante, e la tata si accodò. Tornarono che era quasi sera. La ragazza fu licenziata in tronco, invece il piccolo Fernando rimase con il pensiero fisso sulla principessa e il principe che aveva visto danzare sull’asfalto come avessero le ali. Quando, molti anni dopo, fu chiamato a dirigere la sua prima scuola di samba, la celeberrima Salgueiro, Pamplona trasformò il carnevale. Come? Vestendo i neri da neri. Detta così, sembra la scoperta dell’acqua calda. Non lo è. Anzi, la sua proposta fu accolta come un sacrilegio. Il carnevale era l’unica occasione 135
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in cui i poveri lavoratori delle favelas e della periferia potevano indossare gli abiti di un Luigi XV, di una Maria Antonietta! E invece se ne arriva questo bel signore bianco, abitante di Copacabana, e li vuol vestire da schiavi? Il fatto è che Pamplona, come argomento della sua sfilata, aveva scelto la ribellione di Zumbi dos Palmares, il primo schiavo (1695) che scappò dalla prigionia e fondò un quilombo, una repubblica libera che per molti anni, nel nordest del paese, sopravvisse lontana dai colonizzatori. Nessuno, prima di Pamplona, aveva pensato di dedicare un carnevale a Zumbi. Sulle prime, i neri della scuola di samba rifiutarono di rinunciare agli abiti sfarzosi, ma piano piano cambiarono idea. Risultato: Salgueiro vinse il carnevale del 1960 e il carnavalesco divenne una celebrità. Fernando Pamplona è morto il 29 settembre 2013. Era un vecchio signore elegante e orgoglioso, che da tanti anni si era allontanato dalle sfilate che, a suo parere, non erano più quelle di una volta. Tempi cambiati. I tempi di quando il carnevale era l’espressione autentica di una comunità. Tradotto, significa favela. Un mondo preciso, una cultura. Cambiata, per gente della generazione di Pamplona, da quando una marea di soldi è entrata nel business del carnevale. Da quando a decidere l’argomento della sfilata non è più il carnavalesco – come colui che aveva deciso di celebrare Zumbi – ma lo sponsor, una marca di birra o di automobili, o spesso un grande tour operator, che vende un pacchetto Tokio/Rio/Tokio tutto compreso, dal posto in spiaggia alla camera d’albergo fino al costume che il turista indosserà la notte della gara, quella scintillante nottata che i giornali online di tutto il mondo celebrano nelle foto gallery con mulatte troneggianti sui carri allegorici. L’immagine che del Carnevale di Rio si ha nel mondo. Ormai molti dei quattromila che si buttano nel Sambodromo 136
sono turisti. A quelli della “comunità”, come li chiamava Pamplona, spesso è difficile persino l’accesso agli spalti, tanto sono diventati cari. La comunità non è più al centro della festa, bensì relegata alla sua fabbrica, impegnata a ritmi ferrei nella confezione dei carri e dei costumi da piazzare in vetrina nei grandi hotel di Ipanema. Per capire questa trasformazione bisogna tornare a Pamplona e al giorno in cui ricevette la convocazione da parte di Nélson de Andrade. E chi era costui? Il padrone di Salgueiro. Professione? Bicheiro. Cioè? Boss del gioco del bicho. La lotteria clandestina. Come la smorfia napoletana. Un racket milionario che fin dalla metà del Novecento ha le mani sulle scuole di sam-
ba. Motivo? Le scuole, come appunto Salgueiro, Mangueira, Portela, Villa Isabel, Mocidade Indipendente, sono legate a un quartiere e alla sua gente. I bicheiros, per svolgere i loro affari senza pensieri, avevano bisogno di consenso e così foraggiavano le scuole, le coccolavano, ne pagavano i costi. Una specie di voto di scambio per il controllo del territorio. Nel 1946 la legge chiuse i casinò e i così il bicho divenne le febbre dei carioca. Figure leggendarie di bicheiros, come Castor de Andrade, Carlinhos Maracanã, Natal da Portela, pur essendo dei fuorilegge (sebbene la legge, con indulgente malizia, li definisca “contravventori”), governavano il carnevale, il che accade ancora oggi con i loro eredi e nuove figure emerse nel frattempo: per esempio Anísio, patron della scuola Beija-Flor, finito varie volte in carcere, una volta proprio durante il carnevale. Così, molte scuole, rimaste orfane dei loro padroni e finanziatori, si sono aperte alle influenze dei grandi sponsor e alla criminalità spiccia delle comunità. La festa si è trasformata in un carrozzone mangiasoldi (anche pubblici), ma persino la musica, il samba (ndr in portoghese il sostantivo è maschile), che poi è sempre stata la grande espressione artistica del
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fenomeno, ha perso smalto. Ha perso il suo bel ritmo balançado e, per far correre le migliaia di turisti da un punto all’altro della pista, si è trasformato in una marcia militare, senza swing, senza svolazzi melodici. Eppure, vista nel suo insieme, la magia di quelle tre notti illuminate da milioni di Kilowatt, immerse in tonnellate di piume di struzzo (non è la festa più ecologica del pianeta), chilometri di passamaneria, metri cubi di polistirolo e maquillage, resta ancora imponente, è uno spettacolo superbamente kitsch e strabiliante nei dettagli e, se visto dal vivo, mette i brividi. La gente di Rio però, negli ultimi dieci anni, vi si è sostanzialmente distaccata. Lontani dal Sambodromo (progettato nel 1984 da Oscar Niemeyer), i carioca preferiscono scendere in strada nei blocos de rua: oggi sono tornati a essere centinaia, spontanei, organizzati, estemporanei, ognuno con un suo vessillo e un suo titolo, spesso ironico. Accendono una strada, una piazza, un angolo, una salita. Si formano in spiaggia, nei bar, in casa. Di notte, o all’alba. È qui che, ancora oggi, un bambino potrà vedere, come accadde a Fernando Pamplona, il principe e la principessa danzare. Da qui, dalla strada, ogni febbraio ricomincia il sogno.
Il “Bicheiro” è il boss del gioco del “bicho”. La lotteria clandestina. Come la smorfia napoletana. Un racket milionario che fin dalla metà del Novecento ha le mani sulle scuole di samba 137
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approfondimento
Inhotim: la natura salvata dall’arte articolo di Maria Cristina Didero Giornalista
Tra la foresta pluviale e la savana brasiliana, in una zona dove la biodiversità è tra le più alte del pianeta, sorge un centro per l’arte contemporanea che è anche parco botanico, e che ospita oltre 800 opere e quasi 5000 varietà di piante. Un vero tesoro per lo sguardo, che può spaziare da sculture, installazioni, arte figurativa e video a una varietà vegetale unica al mondo, che il parco contribuisce a salvaguardare. Una lunga tradizione di collezionismo e di cultura lega l’arte contemporanea alla natura. Dalla grande esperienza della Land Art americana – i cui protagonisti si avventuravano in località desolate e sperdute dei deserti statunitensi per creare opere monumentali nelle quali immergersi completamente – fino ai più recenti e complessi esperimenti di arte pubblica o di arte partecipata, l’uomo si confronta da sempre con la grandezza del paesaggio. Il miraggio di fondere l’espressione antropica con ciò che circonda l’uomo – che qualcuno potrebbe definire divina – ci fa viaggiare a ritroso fino all’origine dell’umanità stessa, quando l’arte era graffiata sulle pareti fredde delle caverne e aveva una funzione rituale, mistica e apotropaica. Ma l’arte contemporanea non si espone certo al rischio di cercare “la salvezza dell’uomo”, le è sufficiente raccontare il mondo di oggi, svelarne alcuni meccanismi nascosti, funzionare come una stella cometa che guarda al futuro o mostrare, in maniera più o meno palese, gli 138
umori del tempo che l’ha generata. Gli artisti di oggi si confrontano con il mondo e le sue diverse manifestazioni per proteggerlo e difenderlo, per interpretarlo soprattutto, combattendo la battaglia con spirito etico e anticonformista. Esiste un luogo in cui questa fusione straordinaria è stata costruita sistematicamente, tassello dopo tassello, all’interno di un percorso istituzionale (voluto e pensato con attenzione e puntualità per anni) che ha coinvolto artisti, architetti, paesaggisti, ricercatori, biologi: a circa sessanta chilometri da Belo Horizonte, nella località di Brumadinho nello sconfinato Brasile, ha aperto al pubblico nel 2006 l’Instituto Inhotim and Botanical Garden, centro per l’arte contemporanea e al tempo stesso lussureggiante parco botanico. Concepito dalla mente e nato dalla generosità del noto imprenditore e collezionista Bernardo Paz, Inhotim si sviluppa su una superficie di 110 ettari di terra abitata da fitte foreste e giardini tropicali, in cui sono installate diverse opere d’arte di grandi 139
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dimensioni e costruiti padiglioni architettonici adibiti a gallerie espositive: magistrale sforzo questo, dedicato all’arte. Pittura, scultura, disegno, fotografia, video e installazioni di oltre 100 artisti brasiliani e internazionali (provenienti da più di 30 paesi) costituiscono la collezione permanente di Inhotim, composta da oltre 800 opere che spaziano dagli anni ’60 fino ai giorni nostri – in mostra nello stesso momento se ne possono vedere circa 170. All’interno del parco sono stati innalzati 21 diversi spazi espositivi, di circa 1000 metri quadri ciascuno, adibiti a ospitare la collezione permanente e il fitto calendario di mostre temporanee promosse dall’istituto. Quattro di questi padiglioni – nominati Lago, Fonte, Praça e Mata – con i loro spazi outdoor, sono concepiti come un’architettura neutra e flessibile in grado di accogliere qualunque tipo di media artistico e vengono spesso utilizzati per presentare al pubblico le nuove acquisizioni della collezione, con appuntamento biennale. Gli altri diciassette padiglioni invece, sono stati sviluppati appositamente per contenere opere site-specific di artisti di chiara fama all’interno del panorama dell’arte contemporanea internazionale come Tunga, Cildo Meireles, Miguel Rio Branco, Hélio Oiticica & Neville d’Almeida, Adriana Varejão, Doris Salcedo, Victor Grippo, Matthew Barney, Rivane Neuenschwander, Valeska Soares, Janet Cardiff & George Miller, Doug Aitken, Marilá Dardot, Lygia Pape, Carlos Garaicoa e Cristina Iglesias. Inhotim sorge su un’area particolare, tra la foresta pluviale atlantica e il cerrado (o savana brasiliana), due degli ambienti naturali più ricchi per biodiversità del globo ma al tempo stesso, e purtroppo, anche uno degli ecosistemi più a rischio di estinzione. Dei 110 ettari di terreni occupati dalla struttura, ben 25 sono composti da giardini protetti; un’ulteriore porzione del territorio si è legata nel 2010 al progetto Natural Heritage Private Reserve che ha stabilito una stretta collaborazione con la comunità locale della catena montagnosa Espinhaço, da cui i ricercatori possono ora trarre diverse specie di piante da importare e conservare a Inhotim. Qui il lavoro nei giardini è iniziato ben prima dell’apertura al pubblico del parco: nella metà degli anni ’80 si diede il via all’importazione di alcune rare specie di palme e tipologie di piante rare tropicali, brasiliane e non, da far crescere e sviluppare all’interno del parco. L’o140
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biettivo era creare una perfetta integrazione dei nuovi arbusti con il paesaggio circostante grazie alla costruzione di più elementi architettonici come una serie di passerelle, patii, sentieri, scalinate, elementi caratteristici della tecnica paesaggistica brasiliana (si pensi al lavoro del grande Roberto Burle Marx, architetto, botanico, paesaggista). La collezione di piante di Inhotim conta oggi quasi 5000 varietà, con un particolare approfondimento per le palme (di cui si conservano oltre mille generi) oltre ad altri vegetali quali il filodendro o la calla, di cui si possono trovare nel parco quasi 400 esemplari diversi. Ma questi giardini lussureggianti non sono soltanto uno spettacolo per gli occhi: all’interno del parco di Inhotim, infatti, «oltre a programmi educativi dedicati agli studenti, ai bambini e agli appassionati, si punta sull’integrazione e al servizio per la comunità locale grazie a progetti specifici che guardano al miglioramento della qualità della vita nella zona di Minas Gerais», commenta Antonio Grassi, direttore esecutivo della struttura. E aggiunge: «La struttura, l’organizzazione e gli spazi rendono questo luogo non solo un’istituzione unica al mondo, ma anche una delle attrazioni turistiche più importanti di questa regione del
Inhotim si sviluppa su una superficie di 110 ettari di terra su cui sono installati opere d’arte di grandi dimensioni e padiglioni adibiti a gallerie Brasile oltre a una delle mete culturali più interessanti del Sud America, capace di attrarre oltre un milione e mezzo di visitatori dal giorno dell’inaugurazione. Ci visitano non solo gli addetti ai lavori, botanici o amanti dell’arte contemporanea ma un pubblico eterogeneo: nel 2013 abbiamo avuto 300.000 persone all’interno del nostro parco e quest’anno ne aspettiamo almeno 100.000 in più. L’ultimo sondaggio ci ha rivelato che circa il 25% dei nostri ospiti sono stranieri. Per noi questo è molto importante considerando che ci troviamo in un luogo difficile da raggiungere… Nel luglio dello scorso anno abbiamo toccato il nostro record di visite: 53.000 persone. Un traguardo veramente significativo». 141
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approfondimento
Agribusiness: un mercato che ha radici nella foresta articolo di Silvia Ceriani Giornalista
Agire bene nel campo dell’energia, privilegiando le risorse pulite, non basta al Brasile per considerarsi fuori pericolo a livello ambientale. Il buon esempio che il paese sta dando da qualche anno deve trovare un alleato in politiche agroalimentari meno invasive, che puntino a preservare una risorsa come la foresta pluviale, troppo spesso sacrificata a favore di allevamento e agricoltura.
Quinto paese del mondo per estensione, il Brasile – che da solo occupa il 47% della superficie dell’America Latina – nel 2011 e 2012 è stata la sesta economia ed entro il 2050 si stima che si attesterà al quarto posto. Merito di una politica economica dinamica, che ha saputo puntare anche sulle giuste energie. Un termine, questo, non usato a sproposito, visto che proprio le fonti energetiche rappresentano la fetta più consistente degli investimenti governativi nei Piani di accelerazione della crescita (PAC). La parte del leone, il Brasile la fa sul fronte dell’etanolo – per molti versi contraddittorio dal punto di vista delle energie pulite – rappresentando il secondo produttore e il primo esportatore su scala mondiale, ma anche altri settori energetici hanno acquisito sempre maggior rilevanza: nel 2012, ad esempio, il Brasile è stato attraversato da un vento favorevole, che l’ha portato in un solo anno ad aumentare del 73% la propria capacità di generazione eolica. Parimenti, il PAC2 ha stanziato ingenti risorse per lo sviluppo del fotovoltaico e del settore idroelettrico. Ma sarà davvero tutto oro quello che luccica? O, ponendo la do-
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manda altrimenti, il Brasile riuscirà ad amministrare al meglio la propria crescita salvaguardando l’enorme patrimonio di risorse naturali, ed esauribili, che gli è stato dato in dote? Alcuni anni fa, Virginie Raisson in 2033: Atlante dei futuri del mondo (Slow Food Editore,2012) mostrava i potenziali scenari futuri a seconda di come il Brasile si mostrerà in grado di conciliare le proprie potenzialità economiche con logiche sociali, ambientali ed economiche estremamente contraddittorie. E in questo quadro non vanno neppure dimenticate le politiche di produzione alimentare, che per la loro stessa natura sono connesse a quelle energetiche. Larga parte del discorso ecologico portato avanti dal Brasile e dell’attenzione riservata alle energie pulite, infatti, rischia d’essere inficiata da una politica agroalimentare troppo aggressiva, che sta conquistando pezzo a pezzo l’Amazzonia per farne uno dei principali bacini d’allevamento a livello globale, nonché uno dei mercati della soia più estesi. Legato solo marginalmente allo sfruttamento del legname, il disboscamento dell’Amazzonia brasiliana – e il conseguente sra-
PAC × Il Piano di accelerazione della crescita è stato lanciato nel 2007 con l’obiettivo di ottenere un aumento del PIL del 5% annuo. Per ottenere questo risultato sono stati stanziati quasi 200 miliardi di euro. Il PAC2, del 2010, ha previsto di triplicare gli investimenti, canalizzandoli su trasporti, energia, cultura, ambiente, sanità.
dicamento di un inestimabile patrimonio di diversità biologica – deriva soprattutto dalla crescita di questi due mercati. Responsabili del 70% della deforestazione, gli allevamenti bovini di tipo estensivo registrano in questa regione una crescita costante, che da 20 anni a questa parte si è assestata su un tasso annuo superiore al 10%. E i dati lieviteranno ancora, spinti dall’aumento demografico e da quello del consumo medio di carne. Il suolo che non è occupato dal pascolo è assegnato alla produzione di soia, in larga parte geneticamente modificata e perlopiù destinata all’industria dei mangimi e dei biocarburanti. Con una produzione annuale di 60 milioni di tonnellate nel biennio 2007-2008, il Brasile si è attestato come secondo produttore mondiale di soia e i dati sono cresciuti ulteriormente, portandolo oggi a superare gli 80 milioni di tonnellate. Ma quando è a rischio un’area come l’Amazzonia, è chiaro che le responsabilità brasiliane assumono una portata che va ben oltre i confini nazionali. Il Brasile, pertanto, riuscirà a proporsi davvero come una nazione attenta alle questioni ambientali intese nel loro complesso soltanto se supererà il dilemma che contrappone il suo sviluppo economico alla conservazione del suo patrimonio naturale in modo più favorevole all’ambiente, se gli interessi legati alla salvaguardia di quest’ultimo saranno anteposti a quelli che alimentano la pratica della deforestazione, se le politiche ambientali saranno in grado di valutare, nel loro complesso, molte questioni che vanno dalla produzione di energia a quella alimentare. Il Brasile ha dato senz’altro prova di avere una visione energetica lungimirante, puntando sulla diversificazione delle fonti e sulla ricerca di alternative alle energie fossili. Dall’altra parte, però, la speranza è che sappia accompagnare a questa visione delle politiche altrettanto accorte, per tutelare con maggior efficacia le proprie risorse riuscendo a valorizzare – anche dal punto di vista economico – l’enorme diversità biologica che ne contraddistingue ancora il territorio.
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andrea gentile
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LA SCIENZA SOTTO L’OMBRELLONE Uno sguardo inedito e curioso sulla vita da spiaggia, dalla Fisica del castello di sabbia perfetto ai cambiamenti del nostro corpo in immersione, Fino alla composizione del nero di seppia. Un libro illustrato bello da leggere e da vedere, dedicato a chi si chiede sempre il perché delle cose. pp. 200 | euro 18,00
Brazil, A challenge right across the field It is on everybody’s lips and in everybody’s minds: Brazil has been the star country in the past few months. Venue for the 2014 World Cup, it is in the sights of half the world, and not only for reasons connected with soccer. After having been envied for its economic development over the past few years – whilst the crisis hung over the West –, today its explosion is experiencing a moment of adjustment, generating concern, hypotheses, and expectations everywhere, in particular because it coincides with two events of global importance: the World Cup and the Olympics. Oxygen tells the story of the present of this country with its huge contrasts, a place of immense wealth possibly at risk, which exports everything and has to import a great deal, which is growing and stopping, which is celebrating and protesting. It is a nation of which everyone has a strong image, but which few really know well. The country of excesses and great passions, like that of world soccer which has returned to Brazil after 64 years.
Ed editorial
The strength of Brazil by Francesco Starace Enel Chief Executive Officier and General Manager
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The World Cup is just one more reason to keep the spotlight on Brazil. Economy, environment, energy, and regional and global policy: the ‘B factor’ of the new geo-strategic dynamics, now that even the acronym BRICS seems to belong to the recent past, is essential for anyone who takes on the global market as the horizon of their activities. This special issue is dedicated to highlighting the interest and potential of a country in which Enel sees an opportunity also to engage in ‘profound’ strategic growth, in-
tended on the one hand to last – for the weight and dimensions of the factors involved – and on the other, to influence the mode, time, and quality of its presence in South America. Soccer and Brazil have always been synonymous. However, the truth is that this World Cup is not only an event to win at all costs, but the showcase for presenting itself to the world. In fact, along with the 2016 Olympics, it takes on a strong geopolitical significance for Brazil, which has strongly affirmed its identity and its role at the international level. Brazil wants to prove that its model of ‘development and inclusion’, despite recent criticality, is still, the leverage for boosting growth and the key to becoming a major international player. The policies implement-
ed over the last 20 years by Presidents Cardoso, Lula, and Rousseff have made it the seventh world power in terms of GDP, while at the same time ensuring high rates of growth, attracting foreign investment, bringing unemployment to below 6% and raising about 40 million people out of poverty. These results have been obtained in a context of political and legal-regulatory stability that has fostered a climate of confidence expanding both inside and outside the country. However, despite the Rousseff government’s efforts to continue along this path, since 2011, the Brazilian economy has been facing a slowdown compared to previous years, with an estimated growth for 2014 of around 1.8%. The causes are due not so much to the economic and financial
crisis, which has had a marginal effect on Brazil, as to a number of structural problems that ultimately triggered the protests last summer, the main demonstration of the ‘crisis of expectations’ of the Brazilian middle class, as Moisés Naím said. This is a segment of the population that has grown significantly in recent years and now accounts for 53% of the total population, amounting to more than 100 million citizens, who enjoy greater well-being due to the recent growth, and today are asking not only for jobs, but also for new civil and social rights, transparency, efficient services, and to fight against corruption. These demonstrations, however, are also a sign of the vitality and the irreversibility of the socio-economic process
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underway in the country. All this is a challenge, but at the same time an incredible opportunity which, if faced with the systemic approach adopted in recent decades, will allow Brazil to return to being the country of ‘development and inclusion’. A sign to that effect is the Piano Brazil Maior (Bigger Brazil Plan) whose motto ‘Innovate to compete, compete to grow’ effectively renders the sense of the course oriented toward growth, innovation, and development that the Brazilian government intends to follow. The conditions for this to happen are all there: wealth of natural resources, energy, and untapped potential make Brazil the third country in the world as to foreign investments, behind only the United States and China. This is also an opportunity for Enel, considering that, according to estimates by the World Energy Outlook in 2013, the demand for electricity will continue to increase at an average of 4% per year, amounting to a necessity of around 4.3 Gigawatts (GW) of new generation capacity. The growing demand for energy will make it necessary to maintain high levels of investment in order to develop new generation capacity, to expand its presence in the distribution, and improve the quality of electricity infrastructures; also taking into consideration certain climate trends (especially related to rainfall in strategic areas) that are beginning to be present in the planning by the authorities and large public companies in the country. On the side of new generation capacity, renewables are likely to play an important role because they are a sustainable response to the increase in energy consumption determined by the rapid economic and population growth. Today, Brazil is already one of the ‘greenest’ countries in the world, with over 70% of its energy produced from hydroelectric sources and this source, the exploitation of
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which has currently met with obstacles due to the lack of infrastructures in the territory – transmission lines in particular – and in recent years it has added the contribution of others, such as solar energy, but above all, wind energy, which fully competes with the traditional sources in Brazil. Investments in the sector have also been fostered by the presence of a reliable regulatory framework, characterized by an efficient mechanism of competitive public tenders that for the first time, unequivocally revealed to the world the extreme competitiveness of renewable energy sources. This is an opportunity that Enel, with Enel Green Power, has been able to seize by winning contracts for the supply of energy produced through the development of 510 Megawatts (MW) of new capacity, including wind, hydro, and solar power that will be added to the 266 MW of renewable capacity already installed. This is just a beginning for our Group. Renewable energy sources, energy efficiency, and innovation are the drivers of development in a country that wants to grow in a sustainable manner. For this reason, our challenge is to bring not only investments to Brazil, but also the know-how, skills, and technologies that make us world leaders, as in the case of smart grids. Búzios, the first smart city in Latin America, constitutes the first example of this commitment to combine economic growth with a full compliance with the new environmental and social sensitivity. This is a commitment that Enel also promotes through its policies of Corporate Social Responsibility, such as the Ecoelce project and the Barefoot College, the training plan for technical-entrepreneurial women which is part of Enabling Electricity, the program that Enel has undertaken under the auspices of the United Nations that aims to guarantee the right to energy even for those who live in the poorest areas.
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And yet it moves! The giant is back in motion With its huge territory, wealth, variety of resources and an unequalled population density, Brazil has an enormous potential. However, having to cope with delicate balances and fight against its limits, in recent years it has alternated moments of growth and adjustment. What is certain is that the giant has not fallen asleep and that the prospects look brighter than cloudier. by George Vidor Economics journalist Sailors arriving in Rio de Janeiro had the impression, from a distance, of seeing the silhouette of a giant lying down, due to the profile of the mountains near the coast. This impression of a sleeping giant has been a symbol of the Brazilian economy for decades, or even centuries. Brazil itself is almost a continent (8.5 million square miles), one of the five largest countries in the world as to territory and one of the most populous, with about 200 million people, and a coastline that measures 13.5 thousand kilometers. The Brazilian economy was a sleeping giant because it depended on only a few products: initially, pernambuco wood, then sugar, gold, cotton, rubber, and coffee. In the early Seventies, coffee sales still accounted for more than 40% of Brazilian exports. Most of its economic activity has remained concentrated in a stretch extending only as far as 200 kilometers from the coast. The expansion into the interior, in fact, had had a stimulus only in the middle of the last century, aided by the transfer of the federal capital from Rio (which had maintained that status for over two hundred years) to Brasilia, a city built from scratch in the middle of a vast cerrado, the vast tropical savanna ecoregion of Brazil in the Planalto Central or Brazilian highlands.
Without transport and energy, the Brazilian economy was hesitant, feeding the unconventionality of our popular imagination: “Brazil has not developed because they do not let it do so …”, as if the rest of the world were conspiring against us, frightened by the potential of the country. This archaic nationalist sentiment still stands in some currents of opinion with sufficient political influence to curb (regardless of the source of capital) private investments that would able to arouse the sleeping giant. Meanwhile, in Galileo’s words, “and yet it moves!” Even with all these obstacles, the country has moved on and, in the balance of positive and negative points, the economy of Brazil is more promising than nebulous, despite the fact that low growth in recent years has caused bitterness and pessimism among the entrepreneurial classes. The problems that need to be addressed are not insolvable and could be overcome in a relatively short period. Brazil has gone through a very rapid demographic transition. Over the next two decades, the country, in absolute terms, will have the largest number of people who will be simultaneously producing, consuming, saving, and investing. Instead of a pyramid, Brazil’s demographic profile is more like a vase, with a base that is shrinking gradually. Never again will Brazil have as many young people between the ages of 20 and 30 as there were in 2010. Henceforth, this age group will shrink, both in relative terms and in absolute numbers. This is an opportunity to invest in professional qualifications, in labor productivity and in the various stages of education. In the Nineties, the challenge was to universalize education, a goal that was achieved almost entirely; now we must ensure that children and young people learn more. We can say that, in the case of public education, the changes were perceived from the time when children entered school a year earlier (and the so-called pre-schooling also increased).
Brazil has gone through a very rapid demographic transition. Over the next two decades, the country will have the largest number of people who will all be simultaneously producing, consuming, saving, and investing
In various regions, about 60% of the children reached their fourth year of compulsory education as functionally illiterate, without sufficient mastery of the Portuguese language. Today, by entering a year earlier, at the end of the second year in states such as Rio de Janeiro, Minas Gerais, São Paulo, and also in the less developed regions (Ceará e Piauí), more than 70% of children are proficient in the language. From a rural and illiterate country until the mid-twentieth century, Brazilian society has become an urban one. More than 84% of Brazilians live in cities. Half of the population is concentrated in just 100 cities, although Brazil has more than 5,000 municipalities. The increased size of the metropolitan regions, which has caused so many problems, has luckily been checked: this leaves the space needed for the big cities to examine the challenge of public safety and overcome the deficiencies in transport infrastructures, housing,
health, basic sanitation, etc... However, if the economy does not expand, or rather, does not create profits, Brazil will not be able to support many of the achievements, particularly social ones, starting from its monetary stabilization program and the launch of the real in 1994. The Brazilian economy has structural deficiencies, including a domestic savings rate that is inadequate for financing the investments the country needs to increase its productive capacity in order to be competitive. The public sector is the one that contributes the least to such a savings rate. Instead, the nominal deficit has been significantly reduced, remaining so long enough to be able to arouse envy in the creators of the Maastricht Treaty, which created the euro. However, given the direct responsibility that the public sector has with regard to infrastructures, such difficulty in saving prevents investments from being carried out in their respective segment at
the pace that the country needs. Even with an economy that is growing very little, the pent-up demand for infrastructures is such that it would be possible to proceed in this area even in the case in which all the others would be halted. Although it took quite a while to wake up, the government has finally realized that it is much better to share these investments through the concessions of public services, whether they be transport, energy, telecommunications, or sanitation. Brazil has a number of investments in progress or about to start in these sectors, because it has begun to attract private investors (institutional, financial, corporate) for concessions or collaborations. And there is still a lot of space that can be occupied by such a model, which will be able to progress more quickly if the regulatory limits are improved in a realistic way. In addition to infrastructures, the Brazilian economy has other
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levers capable of “catapulting it toward success”, to use a current expression very much in vogue among South American neighbors. Most of them involve the exploitation of the pre-salt layer in the seabed off the coast of Rio de Janeiro, São Paulo and Espírito Santo. The reserves of oil and gas discovered in the pre-salt stratum will triple the Brazilian reserves: the wells already in production have an unparalleled productivity (one well alone is capable of producing the equivalent of 36,000 barrels of oil per day). This is a huge challenge, because the deposits are between 100 and 300 kilometers from the coast. The sea depth is approximately two thousand meters and the reserves are located five meters below the sea floor. It was estimated that the recently auctioned off Libra deposit may hold the equivalent of 12 billion barrels of oil. In comparison, the current reserves of Petrobras amount to 16 billion barrels. The second lever is the ‘presalt’ layers in hinterland, thus food. The Central West region of Brazil has unbeatable production costs, but conquering more markets depends on an improvement of the infrastructures. Nevertheless, Brazil is now the second largest exporter of soybeans and the first for beef, just to give an example. The third lever is mining. Iron is the most abundant mineral found on the face of the earth, but the ore found in Brazil is of a quality that the steel industry dreams of. Brazil is a country with no enemies. Argentina maintains its principal weapon of defense, a submarine, at the Naval Arsenal in Rio de Janeiro. For many years, the Brazilian naval pilots were trained there, and likewise the best troops of the Argentinean army did their training in the Brazilian forest. Chile is buying submarines that will be built in Itaguaí in Rio de Janeiro. It is an important issue for those who look to Brazil with a long-term vision, without only worrying about the cyclical problems.
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There are two factors that explain the phenomenon of this new entry into the international rating: education, that has enabled many workers to access productive segments, and the reduction of the black economy
Sc scenarios
The future of Brazil has already been written Policies against hunger, in favor of consumption and investments: since Lula, things have begun to take a different turn, creating a new middle-class. To a great extent, the current President Dilma Rousseff has followed in the footsteps of her predecessor. This way, Brazil has begin to breathe again, leaving behind it the difficulties of the past and it will be a stronger country that turns out to vote in October’s presidential elections. by Roberto Da Rin Journalist, correspondent from South America
Starting afresh by consumption and reviving the economy as a whole. Consumption and investments, actually. This was the choice of the economic policy of Brazil under Luiz Inácio da Silva, known as Lula, and then Dilma Rousseff, the current President, who is standing for re-election next October. And to think that on the eve of his first victory in the presidential elections 12 years ago, Lula was feared by the markets, hated by entrepreneurs, and opposed by the middle class. A few years later, as leader of the country, his approval rating soared to around 80%: an absolute record. According to political analysts and economists, there is an explanation: economic growth coupled with active policies of solidarity for the poor. The Brazilian economy has racked up many points in its favor in recent years, including that of having been able to withstand the financial crisis that has hit the world’s largest economies. There has been some backlash, of course, but the country has held up, and how! It is difficult to predict what will happen in the next few years; recently, on the occasion of the World Federation of Investors Corporations, a team
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of analysts from HSBC Brazil said that “Brazil has never been better equipped to deal with a crisis”. Just over twenty years ago, the country was in the throes of problems of inflation, balance of payments, and the excessive weight of the state in the economy. Fernando Henrique Cardoso initiated a reorganization, and then Lula was able to focus on the domestic demand, and the growth of consumption and investments. And lastly, Rousseff has followed the economic policies of Lula, although with slight variations. Brazil is a huge country, 27 times larger than Italy, inhabited by 190 million people, with enormous areas of poverty: it is worth looking at its extraordinary development and the factors that have allowed this. Consumption and investments, in fact. The Brazilian middle class is one of the most studied in the world, due to its strength and its potential. According to the Fundação Getulio Vargas (FGV), 52% of households now have incomes of between $600 and $2,500. Eight percentage points higher than in 2002. According to Marcelo Blacks, an economist at FGV, “The data clearly shows a historic change in Brazilian society that, para-
doxically, has overturned a stereotype: Brazil is no longer a polarized society with two extreme classes, rich and poor. It is now a middle class country.” There are two factors that explain the phenomenon of this new entry into the international rating: the first is education which, thanks to the improvement in the last 15 years, has enabled many workers to access productive segments. The second factor is the reduction of the black economy: many employees have entered the official labor market. Consumption growth has clearly been favored by an increase in the average wages and a lower unemployment rate. Lastly, investments: Lula was able to identify strategic sectors and focus on those, obviously in synergy with Brazilian entrepreneurs. Not all the problems have been solved – there are still large areas of poverty and a welfare system that needs to be improved; in fact, the protests in recent months have been calling for a more equitable health care system, a school system that is more widespread, and better pensions. The Zero Hunger plan One of the cornerstones of Lula’s success was the program aimed at indigent citizens.
also included the development of family farming and investments have increased from one to four million dollars. Another Latin American country that is fighting hunger is Venezuela, although with less certain results. Misión Barrio Adentro is the main anti-poverty program: it provides the basis for ensuring acceptable standards of food safety and health in the contexts of greater social deprivation. The results have been encouraging in some favelas, and dubious in others. Argentina has also launched a government program against hunger. This is a paradox for a country of 40 million inhabitants capable of producing food for 400 million, a fact that certainly does not ennoble the majority of Argentine politicians of the last 50 years. The 2014 elections and the revival of Brazilian investments abroad Five months before the presidential elections of October 2014, Brazil is distractedly observing the election campaign; the World Soccer Champion-
Launched in 2003 by Lula, ten years later Zero Hunger has achieved very encouranging results. With an initial budget of 500 million dollars, it has been able to combat the scourge of hunger with real money transfers and the distribution of food. The program is complementary to compulsory school attendance. “In this way” – says Josué de Castro, Brazilian sociologist and author of the book Geography of hunger – “the school facilities are supplied directly, thus reducing the risk of the dispersion of resources.” Zero Hunger has eradicated the extreme poverty of 46 million Brazilians and Lula’s ministers who coordinated it have repeatedly pointed out that it is not an idea of philanthropy and welfare programs, but a policy that laid the groundwork for strengthening the rights of tens of millions of Brazilians. The fight against hunger has
ships are at the center of attention. Dilma Rousseff has lost some luster: the events of recent months have tarnished her high popularity ratings. The other candidate is Marina Silva, a former environment minister of the Lula government, with a very Brazilian history: from a poor family, she was illiterate until the age of 16 and then, with the help of some missionaries, she graduated in history and become an icon of redemption. Rousseff and Silva are both candidates of a ‘lulist matrix’, so it is very unlikely that the economic model would be changed. It is not to be ruled out that, for reasons related to political marketing, Lula might run again, and in the case of victory, he would govern Brazil for a third term of office Political analysts, sociologists, and economists almost unanimously believe that the program of the new government will maintain the same direction: to push domestic consumption and investments in the context of macro-economic stability that has never been questioned. In addition, Brazil will con-
tinue to become internationalized with a clear design. An important confirmation comes from BNDES, the National Bank for Economic and Social Development, which will put up 40 billion dollars to fund the development and growth of the famous ‘national champions’: industrial and commercial groups on which to focus. The idea is to consolidate teams that can be competitive in the world and therefore be able to make acquisitions in the international market. How? By favoring the mergers of national companies that can form strong groups able to compete primarily within the other countries of Latin America, and then in Europe and the United States. The sectors that the South American Giant is focusing on are: food, petroleum, telecommunications, and ethanol. At a time when private credit has diminished, the public financial sector has compensated with the huge availability of resources. There have been no protests in this regard, not even from the purest liberals. What is convincing in the eyes
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of everyone is that Lula set in motion a project for the country with targeted investments and a well-conceived design. Nothing has been improvised, neither indiscriminate funding nor easy credit. For example, let’s take a look at the food sector. Brazil has significantly reduced imports from Argentina and soon the country will become a great exporter of commodities. Just think that, in Argentina alone, Brazil has invested more than ten billion dollars in the last five years, mainly in the food industry. In short: become stronger at home to invest abroad: and the Banco do Brasil, the largest bank in Latin America, is interested in acquisitions in the United States. Another sector in major expansion is the oil industry. The discovery of huge offshore fields has led Petrobras to seek international partners with which to carry out joint ventures for extraction. Here too, according to the BNDES logic, the idea is to strengthen the oil sector and thus Petrobras, in order to make it competitive in markets around the world. Confirmation has also come from another city, New York. “That Brazilian phenomenon,” – explains Marcello Hallake, a lawyer with the New York firm Thompson & Knight LLP – “has been seen for some time: making acquisitions to create national champions. And the BNDES is a catalyst of transactions that have an added value. It is worthwhile to observe what is happening in the ethanol industry.” A glimpse has been provided a report by Banco Itaú, a major Brazilian bank: the sector has suffered from the recent crisis (resulting from the international financial crisis), and is now being relaunched with great effort. The restructuring of the debt of enterprises active in the production of ethanol is due precisely to the strategy of strengthening and revitalization. And the creator of this operation is, once again, the BNDES.
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The Doctor and the President A Story of political friendship Football is not only a sport. In a country that has experienced dictatorship and has not forgotten poverty yet, matches are played on the pitch that go far beyond the goals scored. Like the ones when the captain was Sócrates, the soccer champion in the 1970s and a great friend of Lula’s, with whom he shared a passion for the Corinthians and who, like the ex President, for many Brazilians pointed the way towards social redemption. by Marco Mathieu Journalist
May 2004, Ribeirão Preto “I hate soccer.” That was the first thing that a tall and large man with swollen cheeks, short hair, and a week-old graying beard said to me when I met him in a bar in Ribeirão Preto, a four-hour drive from São Paulo. “Let’s meet for the interview at Pinguim, where you can drink the best beer in all of Brazil,” he explained on the phone the night before, after days of pursuit and missed calls. We actually drank many beers that afternoon, in the midst of his statements on doping and match-fixing, life, and politics. “In soccer, those who think with their own head are frightening,” he repeated. “It is the only industry where employees have more power than their master. But rebellion is not permitted.” Because Magrão, as his friends always called Sócrates (Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira) was never banal. A world-class soccer player (Botafogo, Corinthians, Fiorentina, Flamengo, and Santos) from the mid-Seventies to the end of the following decade, a symbol of his country (captain of the Brazilian national team in the World Championships of 1982 and 1986), a medical doctor (‘Doctor’ was his other nickname), an artist, an intellectual,
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and a political leader. So much so that there were rumors about his having a position in a government headed by Lula. “We are friends, companheiros, and I have supported him for a long time. I participated in the working group dedicated to the sport. But now there are other priorities, and if I were to accept a position, I would like to truly be able to act. In Brazil, 40% of the population live in poverty: soccer is an opportunity for social redemption, but very few manage to break into it and the others remain poor and uneducated. I would like to change the law and require the sports clubs to make young players study, at least until they graduate.” Before saying goodbye, there was time for him to make a personal prophecy. That came when I asked him if he ever thought of death. Sócrates replied, accompanying his words with a laugh that contrasted with his melancholy gaze. “I don’t know when it will happen, but I hope to die on the day when my team, the Corinthians, once again win the Brazilian championship.” March 2014, São Paulo “Look out, the former President loves soccer and when he speaks about it, he does so as a fan.” These words of Luiz Dulci, a former minister and director of the Lula Institute, were meant to be a last warning before the That period of civil start of the meetmobilization, on and ing with that charoff the pitch, left ismatic man who is able to emanate its mark: the 1989 histrionic sympaelections would be thy: 68 years old, the first to directly the former Presielect a President of dent of Brazil (two terms, 2003-2011), Brazil, 29 years later founder of the PT (Partido dos Trabalhadores), and a trade unionist. Luiz Inácio da Silva, for everyone simply Lula, lights up when the questions finally roll towards the ball. “In 1982, at a meeting of the party leadership, some friends proposed a boycott of the games of our national team
involved in the World Cup in Spain, in protest against the military dictatorship, arguing that football is the opium of the people.” He stops, mimics his disbelief, then as now. He adds: “But for me, futebol was and still is a wonderful thing.” Another pause, then: “I love soccer, I watch the games, and I’ve always been a Corinthians fan.” And Italy? “I’m a fan of the Milan team: also because it has had and still has important Brazilian players. But I also watch the matches of Rome, and those of dear old Juve, and Inter. And once I was even a fan of Turin’s Toro team: my great friend Casagrande played there.” History from over twenty years ago, when the Brazilian striker, formerly a rebel-symbol of the Corinthians loved by Lula, played wearing the burgundy shirt for two seasons. April 1984, São Paulo “We demand democracy and freedom for all Brazilians.” The voice on the microphone was that of Sócrates. Before him, a square in the center of São Paulo packed with over a million and a half people, for the biggest demonstration in the history of Brazil. Behind him, on the stage, among others there are Lula and the players of Corinthians, including Casagrande. This is the last rally of the campaign Diretas Já, which calls for the direct popular vote in the upcoming presidential election, and the first possible step towards the democratization of Brazil, hostage of the military dictatorship since 1964. Sócrates and the Corinthians players have accompanied and supported the Diretas Já campaign from the outset. These are the years of Corinthian’s democracia, their experiment in self-management inside and outside the locker room. “Everything was decided by a vote,” recalled Sócrates, inspirer and leader of the democracia, from the times of the workouts to the purchase of new players.” This was an experiment that anticipated the impending change in Brazilian society. From soccer
to politics. So much so that Sócrates links his own future to the outcome of the vote on the amendment for direct elections: “If it is approved, I’ll stay and play here and I won’t go to Italy.” The result was negative: no direct elections for now. Sócrates moved to Fiorentina and the dream of Corinthian democracy seemed to fade. Yet, that period of civil mobilization, on and off the pitch, left its mark: after years of struggle, the 1989 elections would be the first to directly elect a President of Brazil, 29 years later. Meanwhile, popular consensus grew around Lula’s party, which was to be successful – after repeated defeats – in 2003. And which he also explained thus: “The big news of the PT? There was nothing written in any books about politics or sociology to the effect that it would be possible to create a party that is a mixture. Not a pure party, only for Catholics, only blacks, only whites, or only Marxists: no, we are a mixture of political diversity, because we have learned to live democratically and have respect for diversity.” December 2011, São Paulo December 4th was a Sunday. And at the Pacaembu stadium in São Paulo, the last game of the season was being played. The decisive one for the title. A derby: Corinthians-Palmeiras. But at dawn, Sócrates had already lost his match with life: his second hospitalization in less than a week, and an intestinal infection that became fatal. The result of excesses and abuses: his love of beer turned into alcoholism that finally killed him. At dawn. In the afternoon, the news of his death was greeted by a touching and collective farewell from the players, gathered in a semicircle in the center of the field, and the fans standing in the packed stands. Everyone there to say good-bye to him with their arm raised and fist clenched. Just as he celebrated goals and victories. Giving us a big smile as well. That day the Corinthians went
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back to being the champions in Brazil, just as Sócrates had hoped. And that day, Lula dedicated these words to him: “A world class player on the field and a great friend: he was an example of intelligence and political consciousness, as well as an immense soccer talent. His generous contribution to the Corinthians, to futebol and to Brazilian society will never be forgotten.”
68 years old former President of Brazil, founder of the PT, and a trade unionist. Lula lights up when the questions finally roll towards the ball May 2014, Rio de Janeiro «Sócrates? He is our democracy” (a Corinthians fan). In Brazil, soccer is much more than a sport or a national pastime. It represents an opportunity for redemption for whole sectors of the population. A genuine reason for hope. And something to dream of. When all seems lost, there is always a game that your team can try to win. And often the game is not only or not simply the one that is played on the field. As in the case of Sócrates: much more than a soccer player, such as to still be a symbol of rebellion and talent. Inside and outside soccer. One who came to love words and ideals even more than the sport that had given him fame, money, and glory. Thus, Sócrates has become a legend. For many people, so has Lula, and he explains what he thinks his political legacy is: “During my two terms as President and for the first time in this country, people were treated with respect. And listened to concerning decisions. I felt accomplished as President when I realized that the most humble people saw me not as a stranger, but as one of them who has made it: through me, they felt important. As they were the ones who were governing the country.”
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Pernambuco: the new locomotive of the North-East The North-East of Brazil, one of the poorest parts of the country, has an exception within its borders, the state of Pernambuco. Thanks to a strategy to attract foreign investments implemented by the first Lula government and under the management of one of the country’s most promising politicians, Eduardo Campos, it has been able to revive its economy, climbing up the national rankings of the GDP. by Chico Santos Journalist
The state of Pernambuco is the nineteenth by size of the 27 federal units of Brazil, but it is the seventh most populous. Located in the easternmost part of the Brazilian territory, in the heart of one of the poorest regions of the country, in 2011, (the latest available data) the Northeast had a GDP of 104,39 billion reals, a number that put it in tenth place among the federal units. But in dividing this wealth by the number of inhabitants, the GDP per capita amounts to just 11,776.10 reals (about 3,900 euros), and the state falls to nineteenth place. Consistent with this data, according to the last census conducted in 2010, the human development index of Pernambuco, as calculated by the United Nations program for development, was 0.673, a figure that once again relegated the state to the nineteenth place. However, there have been concrete signs of an economic resurgence of the state since it lost the position of economic leader of the Brazilian Northeast in favor of Bahia, about three decades ago; it has already taken the position of the main commercial center of attraction in the region that it occupied during the Sixties, and as of 2005, its GDP growth has been higher than the national average, with the excep-
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tion of in 2007. Because of this, the participation of the state in the Brazilian GDP increased from 2.27% in 2004 to 2.52% in 2011: in that year, its growth rate was 4.2%, compared to 2.4 % of Brazil. “We have a strategy,” says the Secretary of the economic development of the state, Márcio Stefanni, remembering the amazing fourth place obtained by Pernambuco in the selection made in April by “FDI Magazine” (a publication of the renowned “Financial Times” ) among the 237 regional units of South America with the best strategy for attracting direct foreign investments. Pernambuco is only surpassed by the states of São Paulo, Rio de Janeiro and Minas Gerais, located in the richest region of the country. According to Stefanni, this strategy was developed in 2006 during the campaign for Governor of the state of the economist Eduardo Campos, today a pre-candidate for the presidency of the Brazilian Socialist Party. Campos, 48, who was Minister of Science and Technology in the first government of President Lula, left that office in order to run for the position of Governor of his home state, which had already been ruled for three terms by his grandfather, Miguel Arraes. Brazil was then in a period, still in course, of distribution of annuities, which benefited the poorer parts of the population and, consequently, the northeastern region where almost half of the population lives. According to Stefanni, Campos realized that the country would experience an expansion of consumption and that Pernambuco, in a strategic position for the regional market and for the international market, could ride this wave out of its impasse. The state could already count on a valuable instrument to implement its strategy for the attraction of investments: the industrial complex and port of Suape in the region of the capital Recife, consisting of a port with water up to 20 meters in depth and a surrounding major industrial area. According to official data, since its creation 35 years ago, and
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until 2013, Suape has already received about 50 billion reals in investments, and Stefanni sees this both as an anchor and as a locomotive. An anchor because in the past seven years it has welcomed 70 companies, including heavy investments like those of the Abreu e Lima oil refinery of the state company Petrobras that should become operational at the end of this year. And a locomotive because, having received two billion reals in investments for its
modernization in 2007, Suape has the vocation to spread development to the hinterland of the state, home to the neediest populations. A great operation for infrastructures, also somewhat late, is the Transnordestina railway: with its length of 1,728 km, the work, private but with strong support from the Federal Government in 2010, was expected to be inaugurated but it is no longer certain that it will succeed in being operational by 2015. Even with the logistical difficulties that may jeopardize the continuity of this favorable cycle (another recent major work is the new ring road of Recife), the area of Suape continues to receive significant strategic investments. The sum of the 12 largest investments equals a total investment of 51.6 billion reals, and once completed,
Pernambuco obtained the fourth place in the selection made among the 237 regional units of South America with the best strategy for attracting direct foreign investments
it is estimated that more than 16,000 direct jobs will have been created. Fiat has promised to open the first automobile factory in the state at the beginning of 2015. Stefanni confirms that the agreement between the state and the federal government that existed until the launch of Campos’ candidacy has been important for achieving the investments, both those already completed and those in progress, but he notes that, while relying on the same support, other states in the Northeast such as Bahia and Sergipe have not achieved the goals achieved by the state of Pernambuco. According to the Secretary, in parallel with the policy to attract investments that can rely on tax incentives of up to 95% of the fee for the movement of goods and
services and the development program of Pernambuco, the decision has also been taken to ensure the training of the workforce needed to sustain this cycle. According to Stefanni, today the state has the largest network of full-time public schools in the country (260) and the total number of state vocational schools amounted to 26 and another 14 are under construction (in 2007, there was only one). The port of Suape, reducing the distances with the United States and Europe and attracting exporting firms, was one of the decisive factors for the current cycle of economic growth of the State of Pernambuco, according to the economist Tatiane de Menezes. At the same time, she also enumerates the granting of tax incentives, “with the objective of
mitigating/ transforming the local disadvantages”, and the general growth of the country; however, she is skeptical with regard to the continuity of this development cycle: she considers that there is a lack of quality connections, roads, and coastal navigation between Pernambuco and the centers of consumption in the Center-South of the country and that a process of professional qualification that will attract companies with high productivity, both in the industrial sector is the service sector, is not being created. De Menezes also believes that the oil industry and shipbuilding, two spearheads of the current cycle of growth, would lead to an increase in its GDP in the short term, but not sustainable growth, and cites the Camaçari petrochemical
group in the state of Bahia as an example. These are matters that have to be taken into account, just as it cannot be ignored that the state is experiencing an economic effervescence that is unprecedented in the last 40 years, at least. In the first two months of this year, industrial production in Pernambuco grew by 8.3% compared to the same period in 2013, while industry in Brazil, as a whole, grew by only 1.3%. The relationship is inverted in the unemployment rate: the metropolitan region of Recife had an unemployment rate of 6.8% in March, against an average of 5% in the six main metropolitan regions of the Brazilian capitals, but in March 2006, the situation was much worse: 14.1% in Recife and 10. 4% on average generally.
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could have been an opportunity to modernize the country and make its perpetually congested cities more livable, for example? No, the protests erupted only when people realized that the World Cup would not have worked as a driving force to solve the old problems of Brazilian society. Many of the projects on urban mobility will remain on paper, others haven’t been carried out in time for the World Cup, and others to improve traffic flow to and from the airports and stadiums: certainly not a priority of our cities.
In interview
occupy brazil Assigned during a period of economic growth, the World Cup and the Olympics are being held in a country which is today experiencing a slowdown in its development. This is why the huge investments to support them are no longer looked on very favorably by a population in difficulty, who for months have been expressing their discontent. A critical view of the choices of the institutions, by someone who has been following the protests in the squares and favelas.
In the summer of 2013, the world was shocked by the wave of youth rebellion in Brazil. What can we expect in the summer of 2014? At the moment there are only protests in São Paulo, where once a month students, public workers, and some black bloc instigators take to the streets.
interview with Natalia Viana Director of the Brazilian news agency Pública by Raffaele Oriani Journalist
But last year, the explosion of protest spread because of the violent behavior of the police in São Paulo. We will have to see if the error is repeated: the level of training the forces of order are subjected to (something like 150,000 agents and 20,000 private security guards, editor’s note), gives the impression that the government and intelligence agencies are not expecting a peaceful Championship. While protests in the squares have declined, clashes with the police have continued in the favelas. What do you think of the operation of pacification of the favelas that was begun in 2008? This is a very complex issue which concerns the area of Rio de Janeiro and involves the central problem of gangs and drug trafficking: I just think that rather than pacification, seeing as the Unidades de Polícia Pacificadora have settled in the 38 favelas, it would be more appropriate
to speak of an actual military occupation. From the economic point of view, what impact will the thousands of fans from around the world who are invading Brazil for the World Cup matches make? A lot of money is going around, but very little of it will be left for us Brazilians. This is mainly because of the intrusiveness of the FIFA in the management of the soccer business: by law, FIFA’s activities are not subject to paying real taxes and can be managed by their staff in derogation of the Brazilian labor law. Furthermore, there is a large exclusive zone around the twelve World Cup stadiums where fans are able to purchase only the products of the major sponsors of the FIFA. Obviously this little-known aspect of the organization of the World Cup has been the subject of fierce dispute.
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Think of July 14th, the day after the conclusion of the World Cup. Are you able to imagine a positive legacy of this great event? Of course, the awareness that you can fight for your rights. After the protests for the Confederations Cup last year, when fourteen municipalities were forced to lower fares on local transport; or when the civic movement in Natal, in Rio Grande do Norte, was able to divert the road linking the stadium and airport; or even when the women of Salvador de Bahia stood their ground inside the stadium selling their pancakes that were not sponsored by anyone; we have all understood that a more participatory vision of public affairs is possible. These years of disappointments, debates, and protests have nevertheless been a turning point for our young democracy.
photographs by Daniel Kfouri Lente Viva Filmes
In 2007, the organization of the 2014 World Cup Soccer Championship was assigned to Brazil: the Amazonian giant was already the first and clearest letter of the BRICS, its economy was growing at 6% per annum, poverty was falling, and the social inclusion programs had made people doubt that the richest 1% of the country could continue to possess as much as 50% of the poor. In 2009, Brazil was also awarded the 2016 Olympic Games: so to Brazil, the crisis that had blocked the world that year, just seemed like a seasonal cold, so much so that in 2010 the Brazilian economy would be back on track, growing a robust 7.5%. Soccer and the Olympics, which were supposed to be the celebrations of development made in Brazil, have been turning into the targets of discontent, disappointment, and protests. Yes, because in the meantime the Brazilian locomotive has slowed its progression almost to a standstill, and to much of the population, the co-
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lossal investments in stadiums and such now seem to be an incomprehensible waste of public resources. Assigned in a boom period, the World Cup and the Olympics are coming to maturity in lean years: in 2013, the pinnacle of discontent and protest was such as to make the Director General of FIFA Jerome Valcke declare that “with less democracy, it would be easier to organize the World Cup”. The atmosphere has definitely changed, and according to a survey by Ipobe a good 38% of the population quite simply wish that the World Championships would be held elsewhere. Yet the Brazilian journalist Natalia Viana could not be less in agreement with Valcke. One of the most respected investigative reporters in the country, Viana was the voice of Brazilian Wikileaks at the time of the sensational publication on the cable traffic of the U.S. diplomatic network. Since then, she has founded the platform of online journalism apublica.
org, continuing to investigate the exploitation of the Amazon, the management of public money, and the protest movement in recent years. We asked her how Brazil is preparing to host two sporting events able to attract the attention of the whole world: “In reality, the Olympics and World Championships have a very different weight. The real game is being played by the FIFA while the World Cup concerns public opinion”. Are you saying it is the World Cup that has unleashed dissatisfaction with the conditions of the country? I think that without the World Championship there would never even have been any protests. There is no need to stress the importance of soccer for Brazilians, and added to this is the fact that, while the Olympics will only concern Rio de Janeiro, the World Cup is played in twelve cities, which means involving the entire country.
What has been missing in the organization? In essence, what are you criticizing the government for? Ministers and officials are now downplaying the scale of investments, but fairly reliable estimates speak of 30 billion reals (10 billion euro) having been spent on the World Cup alone, of which 8 (2.6) for the stadiums alone. To give you an idea: in a country of 200 million people with 60 million students, a month of games will cost about as much as four and a half months of the entire budget for education at all levels. If one adds to this the widespread corruption and the continued contamination between public investment and private money, it does not seem so strange that frustration prevails.
The protests erupted only when people realized that the World Cup would not have worked as a driving force to solve the old problems of Brazilian society
But Brazil is a country of poor infrastructures, for which it spends only 1.5% of its GDP, compared with 11% in China. Don’t you think that this
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Id in-depth
The snap of energy A country that has everything and in large amounts, natural resources to produce energy, land for biofuels and large reserves of water. With economic development though, consumption has also increased and Brazil is still forced to import fuel. This problem is linked to many factors, including a certain amount of climatic bad luck, which seems to be plaguing the country exactly when the eyes of the whole world are on it. by Rocco Cotroneo Journalist
There is water, lots of water. And then there is sun, wind, oil, gas, and sugar cane. Nature has been generous with Brazil, a country as large as a continent that has all the resources to produce energy in abundance, most of them clean and renewable. “God is Brazilian”, they say here, and maybe we do not deserve such generosity. “You already have the Almighty on your side, so you wanted the Pope, too?” quipped Pope Francis after he had just landed in Rio de Janeiro last year. However, this cornucopia of energy sources, inherited from the past, is suffering from a difficult balance and needs continuous work. Since economic growth has been strong in recent years, consumption has grown in every sector, from the doubling of its fleet of cars to industrial production. And Brazil is gasping, but it shouldn’t have to be. It has the largest water resources on the planet, but a city like São Paulo has to enforce rationing; it has huge deposits of oil that have been discovered on the bottom of
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the ocean, but it still needs to import gasoline; for a long time, entire regions of the country have been living under the threat of a blackout. And biofuels, another great hope, are playing an important role but less significant than expected a few years ago. There are those who accuse a lack of vision and planning.
Economic growth has been strong in recent years, consumption has grown in every sector, and Brazil is gasping, but it shouldn’t have to be But bad luck has also played its part. In the year that Brazil has the eyes of the world focused upon it for the World Cup, it has rained very little in the southeast of the country, where most of the population lives and which produces three-fourths of the national GDP. The largest reserve of drinking water in São Paulo, home to 20 million people, reached just 8% of its capacity. Things have been a bit better concerning the hydroelectric reservoirs, but there have been months of panic. Meanwhile, entire Amazonian states such as Acre and Rondonia have experienced momentous floods. It is the water that falls from the sky, and feeds the rivers and lakes, which moves the South American giant. 74% of the energy produced in the country comes from hydroelectric plants. The rest is fragmented between gas, petroleum, wind, solar, and nuclear power. Even considering the whole complex of renewable energy, Brazil has the most renewable matrix on the planet. 45% comes from water, ethanol, biomass, wind, and sun, against an average of just 13% in most developed countries. The leap forward is huge when you consider that in 1940, about 80% of the energy in Brazil was generated
by burning wood (charcoal). Even though there is so much bounty, in recent years the idea of a greater diversification has gained strength. Given the climate, the contribution of solar and wind power for domestic consumption is laughable; domestic photovoltaic systems are expensive and not supported by incentives. Most of the energy in households is consumed by the electric showers, an absurdity in a country with strong sunshine. The last ten-year plan still focuses on hydroelectric energy, with the construction of 71 new power plants, both large and small, by 2017. Four-fifths of the energy generated would come from just fifteen plants planned in the Amazon region. But this is where things are going more slowly, especially because of ecological problems; for years, the eyes of environmentalism worldwide have been focused on the hydroelectric dam being built in Belo Monte, in Pará. To be made ready by 2015, with its 11.2 Gigawatts of installed capacity, it will be the second largest in the country after that of Itaipu, shared with Paraguay. Belo Monte will cause indigenous territories to be flooded, among other side effects. The project has already been ‘downsized’, revised to lessen its impact, which according to some is an error for a complex that is already subject to strong seasonality, due to the rainfall patterns. Still remaining are the risks associated with the extreme climate changes in a not too distant future. The other reservoirs being built along the tributaries of the Amazon are also being targeted by the environmentalists, for similar reasons. It may seem paradoxical, but looking even further into the future, it is likely that Brazil will have to steer towards fossil fuels. Energy Minister Altino Ventura recently stated that “it is likely that after
2030, renewable sources will lose strength, because there will no longer be anywhere to build a large-scale hydropower plant. We will have to resort increasingly to gas, coal, and nuclear power”. The recent drought problems were also alarming: it doesn’t matter that the Amazon is flooded with water, if the ponds to the south are emptied. And in fact, the power plants have started to work at full strength in recent months, to avoid the worst. According to some analysts, the situation at the end of 2014 will be worse than in 2001, when the government was forced to impose a strict rationing plan. Unfortunately, they say, the government is not taking any measures to reduce consumption; accustomed to its abundance and relatively low cost, Brazilians are great squanderers of water and electricity. The largest oil discoveries in the Western world in recent years have occurred in the Brazilian Atlantic, offshore from Rio de Janeiro. This is the manna of the so-called pre-salt, because it is extracted under a layer of rock salt on the ocean floor at enormous depths. The wells will be fully operational only in the coming years, after a substantial investment. There are still conflicting opinions regarding the numbers: according to some estimates, the pre-salt operation will lead Brazil into the top eight producing countries in the world, thus able to become a major exporter. Others believe that production costs exceed expectations, and at most, Brazil will achieve self-sufficiency (already announced with great fanfare by former President Lula years ago, but never really reached). In the process of extracting oil, a lot of natural gas will also be obtained, and this is what should fuel a number of small new-generation power plants. The gas
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will also be directed towards the industrial areas of Rio and São Paulo, reducing the need for imports, now mainly from Bolivia. If the oil from the ocean fuels the great dream of urban mobility, for the tens of millions of citizens who have had access to their first car, the problems of congestion and pollution in Brazil are very similar to those already known and addressed in the northern hemisphere. The strong contribution of ethanol produced from sugar cane (Brazil holds the world record) has not yet been sufficient to reduce the need for crude oil, as hoped for. Like the rain, the alcohol for engines ultimately depends on mother nature: just one year of poor harvests, or market prices which move in an unexpected way, and Brazil would be forced to revise its oil-ethanol mix in gasoline. In short, nothing is to be taken for granted, even in the country blessed by God to which the whole world looks with envy.
It is the water that falls from the sky, and feeds the rivers and lakes, which moves the South American giant: 74% of the energy produced in the country comes from hydroelectric plants 157
In interview
The Italy that is in Brazil A journey through the green and gold country, on days of international excitement and a few months before the appointment at the polling stations. Our guide will be the Italian Ambassador, who tells the story of a country with a thousand faces and many contrasts, with a complicated bureaucracy and at the same time very lively intellectually, written in the DNA of the population to whom it is difficult to stay immune.
interview with Raffaele Trombetta Italian Ambassador to Brazil by Daniela Mecenate Journalist Not just the World Cup. “The reasons to fall in love with Brazil are endless,” in the words of the Italian Ambassador Raffaele Trombetta, who explains everything to us starting with soccer, about an area that continues to grow amidst contrasts and hope, progress and setbacks. And despite everything, continues to score. “Here the community of Italian origin is the largest in the world; there are about 30 million Brazilians originating from Italy, more or less 15% of the What attracts Italian population. This is seen in the local businesses is an also customs: in São Pauenormous market lo, for example, Italin which the bracket ian gastronomy is all of average income the rage, with a real for pizza!” has grown, a fiscal passion But in an area that policy attentive to is 28 times that of foreign investments, Italy, the Italian and the great presence stands out just culiopportunities beyond nary traditions. offered by abundant “The presence of natural resources Italian companies is massive: giants such as Fiat, Pirelli, Enel, Ferrero, and Tim are firmly established on the Brazilian market, and other companies are flocking here, such as Barilla. There are about 850 Italian manufacturing facilities. What attracts
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them is obvious: an enormous market in which the bracket of average income has grown in recent years, a fiscal policy, which in some states is attentive to foreign investments, but also the great opportunities offered by abundant natural resources from iron to gold, and from gas to oil. And in this regard, we mustn’t forget that a huge oil deposit was discovered off the Brazilian coast, in the pre-salt layer, a treasure trove of ‘black gold’ that sooner or later will be a genuine El Dorado. Meanwhile, to facilitate investments, the government introduced a policy of containing the pricing of natural resources, and electricity in particular: this has been a success, although in the long run this choice could prove unsustainable and may force it to take a step backward. And in a country that is starting to slow down its drive, this could be risky. After the spikes of the past years, what is the expected growth for the years to come? Brazil, we now know, is one of the BRICS countries with growth rates in their GDPs that reached almost 8%, but in recent years there has been a slump and the expected growth for 2014 is 2% or little more. The rating agencies have also pointed out these weak growth outlooks, but nobody needs for Standard and Poor’s to see that Brazil is going through a phase of adjustment. About a year ago, a series of demonstrations against the government began in spite of the fact that the level of employment had increased and economic growth had been remarkable: these demonstrations are still continuing during the World Cup: the population has obtained a higher income, but now it wants services. Even President Dilma Rousseff has admitted that the problem is no longer in the home, but rather outside, in the infrastructures. This is a perennial problem for this country, which despite economic growth, has therefore not able to adapt in terms of infrastructures.
Indeed, this country is characterized by enormous distances and inaccessible areas, and sometimes moving is so complicated as to endanger the availability of the raw materials themselves. In 2012, the government implemented a program for infrastructures that have borne some fruits, especially the road and airport networks, but which have not had the desired results. The enormous size of the challenge partly explains why the country still has a lot of improvements to make in terms of infrastructures and technology. Similar considerations can be made for the political and administrative system: Brazilians know that an institutional reform is needed, but the complexity of the federal system makes it anything but simple. Sometimes it seems that the most difficult thing to understand about this country is how it works! Can you give us some ‘instructions for use’? That’s true, sometimes it is not easy to extricate yourself ... Brazil is a presidential federal republic divided into 26 federal states plus the Federal District of Brasilia. There will be elections on October 5th, and probably many balances will change, because the vote will affect the figure of the President and the governors of the federal states, as well as the House and the Federal Senate. In short, October 5 is an important appointment. There are two electoral systems in Brazil, the majority one and the proportional one, and there are a large number of parties; there are currently more than 30, and this is reflected on an executive government with up to 39 ministers. The executive power is stable because the President and his/ her government remain in office for four years, but the political framework is fragmented, the result of what has been called the ‘coalition presidentialism’. The consequence is the large-scale distribution of public offices that has made it difficult in recent years for an entrepreneur who comes into
this great country to get oriented and find the right person. To return to the issue of institutional reform, the low number of measures taken in this area can be explained by the greater attention that the government has understandably paid in recent years above all to the fight against poverty. This is a fabulous country where economic progress coexists with terrible poverty and in which wealth has stopped at the medium-upper classes of the population. To remedy this situation, programs have been launched such as the Bolsa Família project, which provides a subsidy for those on the margins of society, attributed to one condition: that the children are sent to school. There is one aspect, training and cultural and scientific progress, which seems to be of great concern to Brazil, isn’t it? Certainly. Here the average age is low but it is growing quickly and the government has placed a lot of emphasis on training. For example, the Science Without Borders project allows the best young people to study elsewhere in the world at the expense of the state. Here you can feel a great intellectual vivacity, in line with that of its traditions: it is a land of great and creative artists, attentive to innovations in the field of environmental protection, and to prove that is the fact that biofuels are in common use. So even in this, there are great contrasts: on one hand, the impressive architectural works, on the other, the favelas ... The focus is now on the World Cup events. There have been large investments: is there any expectation of a great return? Actually, these days there has also been lots of controversy because according to some observers, the economic impact will not be significant in the face of the huge expenses for infrastructures related to the World Cup. This is probably true, and also the number of tourists will not particularly
increase, but in my opinion the controversy is instrumental: it is an opportunity for the country to do its best in front of the world and it is worthwhile to invest in that. Did many Italian fans come to Brazil? I think so! We waited for them with open arms, even the Brazilians who, despite the soccer rivalry, feel close to their Italian ‘cousins’ , whose national team is the one they love the most after their own. On the other hand, here a great deal of soccer has Italian origins: extremely popular teams such as Palmeiras and Cruzeiro were created from a team that was once called Palestra Itália (Italian Gym), which was founded by Italian immigrants. dId you prepared yourself for the event? We prepared an extraordinary consular assistance device for Italian fans and tourists: in addition to a toll free number for contacting the Embassy and Consulates, we also have consular mobile units in the cities where Italy is playing. These are groups of officers ready to step in to help their fellow citizens in every situation, from loss of the documents to protection in case of public order issues. To promote a modern and dynamic image of Italy, we then launched the initiative Itália na Copa, a festival bringing our many excellences to the World Cup cities, presenting both traditional culture and capacity for innovation in science and technology. I wish to underline that the project represents a major operation to promote the image of Italy and has been made with virtually no recourse to public funds, but with the funding from enthusiastic private partners, both Italians and ItalianBrazilians. The festival includes events such as a workshop on Made in Italy technology and concerts with Fiorella Mannoia and Mario Biondi, as well as exhibitions on Italian art and customs, and on symbols of our Italian lifestyle and creativity.
Any predictions about the Italian team at the World Cup? Oh no, to avoid bad luck, no predictions! Certainly, dreaming of getting to the top of the league does not cost anything: let’s say that if all goes well for Italy, then the Brazilians will need to be consoled!
What attracts Italian businesses is an enormous market in which the bracket of average income has grown, a fiscal policy attentive to foreign investments, and the great opportunities offered by abundant natural resources 159
oxygen | 23 — 06.2014
Id in-depth
Room for new markets The figures on energy in Latin America are today far greater than those on Europe. The wealth of resources, the growing demand for energy and the boom of a middle class asking for services make this market very interesting for the sector’s operators. Brazil in particular offers great opportunities and Enel, which already has a substantial and deeply-rooted presence in the whole of the Latin American continent, has every intention of seizing them. by Angela Zoppo Journalist photographs by Alessandro Cosmelli
Since its acquisition of Endesa, the doors of the Latin American market have opened and Enel has become the first private electricity company in the area. This record has been defended and strengthened over the years. You could say that the Enel Group was in the right place at the right time (and by chance, given its determination to carry through the takeover bid for Endesa): in fact, the demand for energy is growing in Latin American countries and is such as to compensate for the decline that has been characterizing the
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domestic markets in Italy and the Iberian Peninsula for many years. Brazil, where the group has an installed capacity of over 1,200 Megawatts (976 MW through Endesa, and 266 MW more with Enel Green Power), is no exception. With a 3.4% growth rate of the electricity demand per annum, Brazil is continuing a trend that is by now far-removed from that of old Europe. According to the latest estimates, by 2020 the rate will rise again to about 4%. There are many assets in this huge country: the regulatory framework is stable – although even President Dilma Rousseff has been stricter on the utility sector – and also benefitting Enel are the long duration of concessions (the minimum is about 30 years) and a rate of profitability that, with regard to the distribution of assets in the 2014-2018 business plan which was presented in March, is indicated at 10.2%, higher than that of Chile (10%), another key market in the Latin American strategy of the group. Enel operates on several fronts: in addition to managing about one gigawatt of installed capacity, it is present in transmission through Cien, the high-voltage grid that reaches Argentina, and in distribution through Ampla, a company operating in the state of Rio de Janeiro, and Coelce in the state of Ceará, which was awarded the title of best utility company in the sector for the fifth consecutive year. Together they sell electricity to approximately 6.3 million customers, and in 2013, their business grew by 4.4%. Coelce specifically was at the center of the operation that officially opened the campaign for the repurchase of minority interests, announced by Enel to rationalize the Latin American corporate chain. In fact, what Endesa brought as a dowry was too complicated. The great maneuvers for the rationalization of the plethora of subsidiaries and associates began last summer with the increase of the capital of the Chilean Enersis, and it is through this subsidiary that Enel has moved in the market, promoting the
takeover bid regarding the distribution companies in Ceará. In mid-January, we launched the non-hostile public offer for the remaining 42% of Coelce. At the end of the period of the tender offer, a month later, on Bovespa, the Brazilian Stock Exchange, Enersis bought a 15.13% stake in the company for an amount of approximately 176 million euro, while for the ordinary shares, it has gone into extra time. But Brazil also has another undeniable appeal in the eyes of Enel. It is, in fact, among the first countries in the world for the production of clean energy, with nearly 100,000 megawatts of installed capacity (not counting the great hydropower). In practice, almost 85% of the total installed capacity in the country comes from renewable sources. Enel Green Power has therefore earned a strong share of the market, with 173 MW of wind energy, 93 MW of hydroelectric power, and other 331 MW of projects that are already being implemented. Since the beginning of the year, it has also been awarded 11 MW of solar power. Last April, the green subsidiary of Enel completed the Crystal wind farm, 90 MW in Morro do Chapéu in the state of Bahia, able to generate over 400 million KWh per year. Other wind projects, for approximately 88 MW and 163 million dollars of investments, will produce electricity that Enel Green Power will sell under the twenty-year contracts to be signed with the CCEE (Câmara de Comercialização de Energia Elétrica), allocated to the renewable energy company with the public tender the Brazilian reserve auction in 2013. Once again the systems will be in the state of Bahia. A construction site in Mato Grosso is in full swing for a state of the art 1.2 MW plant that will use thin-film technology and help provide electricity to the operations of the three hydroelectric plants (102 MW in total) of Salto Apiacás, Cabeça de Boi and Fazenda. The investment for the three hydropower plants is estimated at over 280 million dollars, and in this case too, we are starting
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Almost 85% of the total installed capacity in the country comes from renewable sources and Enel Green Power has earned a strong share of the market, with 173 MW of wind energy, 93 MW of hydroelectric power, and other 331 MW of projects already being implemented
with supply contracts that have already been secured. In fact, Enel Green Power will sell the energy produced in a pool of distribution companies operating in the regulated local market. So much attention to green energy and new technologies couldn’t help but lead to another pioneering project: the creation of the first smart city in Latin America, in Armação dos Búzios, a town of 25,000 inhabitants in the state of Rio de Janeiro that is famous for its beaches. With an $18 million investment funded by Aneel (National Agency for Electricity), the subsidiary Ampla installed all the applications of so-called smart grid, from smart meters to the automation network, from the integration of renewable to electric mobility, up to efficient public lighting.
With a 3.4% growth rate of the electricity demand per annum, Brazil is continuing a trend that is by now farremoved from that of old Europe 161
In interview
Alternative visions Third in the world for its hydroelectric potential, Brazil has an important history in the production of renewable energies, thanks in particular to the water assets in the Amazon region. Its energy does not only live on water, because the country today is looking further ahead: the sun and wind, timber and sugar cane will contribute to diversifying sources and reinforcing energy security.
interview with Maurício Tolmasquim President of the Empresa de Pesquisa Energética by João Gonçalves Journalist
The engineer and economist Maurício Tolmasquim is the president of the Empresa de Pesquisa Energetìca (EPE), the institution of the Brazilian government responsible for studies and research which, since its creation in 2004, has contributed to energy planning in the country. In this interview for Oxygen, Tolmasquim gives a detailed explanation of the plan of investments in the Brazilian electricity sector from 2015 to
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2018, which will consist of 46.11 billion U.S. dollars (about 102 billion reals) for the production of an additional 31,891 megawatts (MW). With the gradual reduction of the possibilities for the expansion of its hydroelectric potential, which is the most common mode of production in the country (86,020 in 126.55 MW of installed capacity at the end of 2013), Brazil is looking towards other sources of energy, in particular wind, solar, and biomass. Together with the thermal power plants using fossil fuels, such renewable sources broaden the range of alternatives to hydropower, ensuring greater energy security in the years with low rainfall, as at the present in 2014. Tolmasquim stated that the participation of wind energy for the electricity network of the country will jump from the current 2% to 10% in 2023. What is the profile of Brazilian electricity production and how will it grow in the coming years? Brazil has one of the most renewable electricity networks in the world. The proportion of renewable sources in its energy production is between 80 and 90%. This variation depends on how much hydropower we are actually producing. In the world, renewable energy production accounts for only 20%. The main source that provides the world’s
supply of electricity is coal, 40% of the total, which in Brazil, however, has a very low participation with less than 2%: here the main source of energy supply is hydropower. In terms of growth, Brazil has the third largest hydropower potential in the world, second only to China and Russia, and so far, it has used only one-third. Now, 60% of the remaining twothirds is located in the northern region, in the Amazon, where we have the greatest concentration of another great Brazilian wealth, biodiversity. Our great challenge is to use part of the hydroelectric potential of this northern frontier while respecting its biodiversity. In view of these environmental constraints, what is the real potential for the exploitation of this virgin electricity? It will be much lower, perhaps half of what we already have. Moreover, given that the Amazon area is extremely flat, hydropower plants with a central reservoir are increasingly rare. It must be taken into consideration that, in the few places where it would be possible to have these plants with reservoirs, the environmental impact would be considerable. So we have turned towards the construction of river plants, which are not equipped with a reservoir. We will continue to have some with reservoirs, but there will be fewer
and fewer, and given that these plants cannot store the fuel, which is water, it is essential to diversify the electricity grid. What direction is this diversification taking? We have been working with different energy sources for a long time now, and we will further this process. But to conclude the discussion on hydroelectric energy, the bid auctions that will take place between 2015 and 2018 provide for the procurement of 14,350 MW. The spearhead will be the São Luiz do Tapajós flowingwater plant, with an installed capacity of 8,040 MW. Returning to diversification, one of the alternatives will be the expansion of the park of fossil fuel-fired thermal power plants, preferably natural gas; but given that Brazil has to import gas, particularly in the form of liquefied natural gas (LNG), and gas continues to be expensive, we could add some coal-fired power stations. As for the gas, we are negotiating with some European companies supplying LNG on the purchasing of the product to fuel our power stations. Will they be LNG terminals like those imported by Petrobras? That’s right: we have both companies that are studying the possibility of having their own
LNG terminals, and companies that, along with Petrobras, are considering the possibility of renting some of the existing LNG terminals. Until 2018, to what extent will thermal energy participate in this expansion? We intend to procure 7,000 MW from fossil fuel-fired power plants. Another important source of energy is thermal energy from biomass, both what comes from the bagasse of sugar cane (biomass derived from the waste of the processing of sugar cane), and what is produced from chopped wood, the so-called chips. Having an ethanol program, Brazil has an overabundance of bagasse and now the first plants using wood chips are beginning to appear: this is very interesting for the Brazilian electricity system because, in case of problems with hydroelectric power, we can use the wood that has been planted. If hydropower remains fairly constant for many years, the company can earn by exporting the wood for other uses. Planting a forest means having a stock of fuel that can be used at any time. Forests have made their appearance at recent bid auctions, showing to be competitive given that they are growing at a very high pace here in Brazil. By 2018, we will have contracted 1,630 MW in biomass power plants.
Nowadays wind energy is becoming more widespread in the world. Don’t you think that Brazil’s exploitation of this energy source is still very low? I believe that in Brazil, wind energy is growing exponentially right now: in 2014, we will have doubled the amount of wind power installed and the contribution of this segment to the whole of the country’s electricity production will increase from 2,200 MW in 2013 to 9,000 MW by the end of 2015. This concerns power plants that have already been contracted. Brazil has a very good wind potential, with strong and constant winds, which guarantees one of the cheapest megawatts in the world of wind energy. We have six companies that produce wind turbines, thus ensuring that at least 60% of the necessary equipment is produced domestically. Among other things, in Brazil the winds blow the strongest from May to November, precisely the period with less rainfall in the Southeast and Northeast which are the areas with the highest concentration of hydroelectric reservoirs; the same also occurs with biomass from sugar cane, the harvest of which is from April to November; therefore the biomass from bagasse is also complementary to hydropower.
Will the triad of thermoelectric/ wind/biomass sources therefore replace, without any surprises, water energy in times of abnormal drought, just as is happening this year? These are sources that complement hydropower: thermal energy from fossil fuel has the advantage that it can be used only when necessary, the other sources are naturally complementary. The goal is for wind power to procure at least 5,000 MW at bid auctions planned until 2018. Today it represents about 2% of the electricity network in the country and it will reach 10% by 2023. As a whole, how much new energy will this program add to the power grid in the country and what investments are necessary? In total, the program until 2018 includes 31,891 MW, or 102 billion real, not to mention the small hydropower plants (plants up to 30 MW), of which 910 MW will be contracted until 2018, and the first specific auction of solar energy is expected this year. Just to give you an example, the level of insolation in Brazil is twice that of Germany and therefore, the solar source has all the characteristics to become successful in the country. We are thinking of 3,000 MW of solar power in four auctions until 2018.
How can you reassure foreign investors concerning the regulatory problem in the Brazilian electricity sector? Our framework attracts many investors, especially international ones. Do you want to know why? Because we have public auctions where the winner gets a long-term contract signed by the distribution companies: 30 years for hydropower, 25 for thermal power stations, and 20 for wind power. This contract has been accepted by the National Bank of Economic and Social Development (BNDES) as collateral for a loan on very favorable terms. In fact, the contract ensures that the plant owner has a permanent income, even in the case in which consumption does not grow.
Brazil has one of the most renewable electricity networks in the world. The proportion of renewable sources in its energy production is between 80 and 90%
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Co contexts
Wind at 20 knots In the past decade, the wind has been at the centre of the thoughts of many Brazilian policy-makers and entrepreneurs who, at times with a certain reticence, have been able to understand their value and lay the structural and legislative foundations to take greatest advantage of wind energy. The article takes stock of how things have gone and will go, to understand which way the wind will be blowing in the next ten years. by Ben Backwell Journalist
Brazil has never been more prominent in global consciousness. Its hosting of the 2014 World Cup and 2016 Olympics coincides with its emergence as a major economic and diplomatic power, making this a ‘Brazilian decade’. Brazil’s projection of ‘soft power’ as it strives for a place at the top table of world affairs is intimately connected to its ability to manage its abundant natural resources and confront the threat of climate change, to which it is highly vulnerable. Brazil has had longterm association with the sustainability agenda, hosting the landmark 1992 Rio Earth Summit and the follow-up Rio+20 in 2012, and leading the way on international agreements in areas such as deforestation. And so it is fitting that Brazil is now starting to take a leading position in the development of renewable energy, and in particular wind power. Brazil has long enjoyed a significant advantage in terms of its carbon emissions profile. Around 80% of Brazil’s power comes from hydroelectric power, while thermoelectric power from gas, fuel oil and coal makes up just over 16% and nuclear accounts for 2%. Hydrocarbons’ availability has been historically limited, which allowed Brazil to become a global pioneer in biofuels in the Seventies. The
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In large parts of the north east of the country, the wind is constant – as a vast warm ‘hair dryer’ – and this has allowed Brazilian wind projects to clock up some of the highest average capacity factors in the world
current boom in pre-salt ultra deep water oil exploration has not so far brought large scale increase in flows of natural gas to the mainland, although it is likely to in the mid-term. Hydroelectric power will remain the mainstay of the country’s power system, but the huge capital investments, long term planning and major environmental and social impacts involved mean that Brazil is now unable to construct sufficient new hydroelectric capacity to keep up with power demand. Hydro power supply can be sharply curtailed if several drought years follow each other, as they did in the run up to the 2001-2002 energy crisis, which Brazil overcame without blackouts only by reducing consumption by 20% over an eight month period. Hydro generation relies on highly seasonal patterns of rainfall, and this can bring Brazil’s power system close to the brink. There has been a growing realisation among policy makers that wind power is highly complementary with hydro power, with Brazil’s wind’s blowing most strongly during the winter dry period. They have also learned to appreciate the wind industry’s ability to add new power capacity quickly. One of the consequences of the 2001-2002 energy crisis was the creation by the new PT administration of an auctioning system in 2004, as part of a series of reforms aimed at ensuring that adequate amounts of new power would be brought online. As part of the reforms, the government also created a new state-owned company – EPE – tasked with long term energy planning, and deciding – among other things – how the auctions should be designed and which energy sources should be included, based on criteria of energy supply security and cost effectiveness. Brazil has extremely good wind resources. In large parts of the north east of the country, the wind is constant – industry officials compare it to a vast warm ‘hair dryer’ – and this has allowed Brazilian wind projects
to clock up some of the highest average capacity factors in the world, in excess of 50%. The government established the legislation for the first support system for wind called PROINFA during the administration of Fernando Henrique Cardoso (1995-2003), although this was not implemented until the first Lula government by the then Energy Minister – now President Dilma Rousseff. There was still significant skepticism among government officials about wind as a large scale power source until the Spring of 2009, when wind industry bodies organized a trip to the then booming wind market of Spain for key Brazilian politicians and government officials, including members of the renewable energy committees in both the upper and lower houses of the Brazilian Congress. “Seeing the scale of the industry, and most importantly the Red Eléctrica control room, from which the whole Spanish power system is controlled, caused cascading epiphanies in the minds of Brazilian officials and politicians,” says Steve Sawyer, Secretary General of the Global Wind Energy Council (GWEC). Among those on the trip was EPE president Maurício Tolmasquim who has since been instrumental in creating the framework for the rapid growth of Brazil’s wind industry. A series of highly successful competitive tenders followed PROINFA from 2011 onwards. Wind power capacity will increase to over 9 GW by the end of 2015 (from 2.2 GW installed and connected at present). In 2013, alone, 4.7 GW was tendered in 2013 alone. Government projections foresee 17.5 GW of wind power installed in the country by the end of 2022. This puts Brazil in the big leagues as far as wind power is concerned, with installations likely to be at around 2.5 GW per year. International renewables developers such as Iberdrola, Enel Green Power and EDP Renováveis have been quick to take advantage of the possibilities, alongside dynamic local developers such as Renova, CPFL
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Renováveis and Casa dos Venthrough a guaranteed 20 year tos. To meet the explosion in power purchase agreement demand, turbine manufactur(PPA). Thirdly, Brazil proers such as GE, Alstom, Gamesa, vides financing on extremely Vestas, Wobben (Enercon), and attractive terms through the Acciona are all producing maBNDES. chinery in Brazil. The system is not perfect, of The big surprise for participants course, and the rapidly develin the global energy market has oping Brazilian wind industry been the competitiveness of faces a series of challengwind since the start of es, both from the the tender system. point of view of At the December constructing 2012 auction, the infrastrucBrazil awardtures and on ed contracts the realism for capacity of the bids from 10 wind placed by farms at an developers. average rate of Meanwhile loR$87.94/MWh cal content reg($42.2/MWh), with ulations governthe lowest prices being ing the all important R$87.77/MWh. Prices were BNDES funding have been suc12% cheaper than the August cessful until now, but a second 2011 tender, which at the time, phase of regulations, known as were considered by some the FINAME2, could push equiplowest price for wind power in ment costs and thus generathe world. As a comparison, the tion costs up. There are pocheapest power purchase agreetential clouds on the policy ments (PPAs) in the highly comhorizon as well. Government petitive US wind officials are still power market come keen to promote in the range of the After Rio Earth fossil-fuel generaSummit and tion with the famid $50’s per MWh. The importance of miliar argument the followdevelopments in up Rio+20 in that more ‘baseBrazil for the wider load’ rather than 2012, Brazil is variable power is wind industry cannot be exaggerated. now starting to needed, and have The fact that wind take a leading done much to suppower is becoming position in the port gas and even a major source of marginal coal gendevelopment eration. If Brazil power supply withof renewable can develop a large out subsidy, as well as competing and energy, and in flow of natural gas winning against fos- particular wind from its giant presil fuel generation salt hydrocarbon power in open competidiscoveries in the tion is of huge sigSantos Basin, state nificance, in a context where reoil company Petrobras will cent debates about wind power constitute a formidable lobby have tended to be dominated by in favour of building large concerns about cost. What has amounts of new gas-fired powallowed this to take place? er plants in the years to come. Firstly the giant ‘hairdryer’ To maintain momentum, the of North Eastern Brazil is dewind industry needs to show it livering capacity factors that can deliver what it has promare virtually unparalleled. ised, while continuing to innoSecondly, the auction system vate and keep generation costs created by EPE creates an exlow: getting it right won’t be tremely competitive environeasy. But Brazil’s leadership ment, while providing prein wind power can only help dictability to wind developers its rise to global influence.
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In interview
The marvelous city: a legacy at risk As for all major events, public opinion is divided over the World Cup and the Olympics, especially as regards the management of funds. Town-planners, architects and professors discuss them and some of them do not conceal their concern that the double event may leave a legacy that is neither important nor positive for the city and the economy.
interview with Ermínia Maricato Professor of Architecture at the University of São Paulo by Maria Chiara Voci
Journalist
“Rio de Janeiro is a wonderful city, with many urban problems and social issues. A double big event is likely to bring wealth and employment with it for a certain period of time; but these are only temporary benefits which concern too limited a group of people. In contrast, the risk is that the much-vaunted benefits end up turning out to be far less significant than the announcements, with the high costs borne by the population.” In the irresistible climate of enthusiasm that accompanies the 2014 World Cup in Brazil and the 2016 Olympics in Rio de Janeiro, dissident voices can be heard. Such as that of Ermínia Maricato, an urban planner, professor of Architecture at the University of São Paulo (FAUUSP), and former executive secretary of the Ministério de Cidades from 2002 to 2005. The following is her opinion on the relationship between the social consequences and benefits brought about by the arrival of new stadiums, infrastructures, and accommodation to respond to the logic of two international events, which leaves no room for interpretation – especially con-
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cerning the impact that they have made on Rio, the capital of the third federal state of the country. From the 2014 World Cup to the 2016 Olympics, Brazil and Rio are bringing home a double victory. However, you are very critical of those who speak of it as an important success for the country. Why? The dual sporting event has brought and is bringing significant investments with it. However, these are a matter of projects that do not coincide with the urgent requests that have been disregarded for far too long and which are present in our cities. Starting with Rio, there are many needs that should come before the reconstruction of the stadium of Maracanã and the urban renewal of Porto Maravilha. I’m talking about basic and compelling needs such as health, education, housing, and urban mobility. In addition, I believe that in the end, the vaunted benefits of the World Cup and the Olympics will prove to be far less significant than expected, while the costs that we’ll have to pay will be very high. This so-called ‘legacy’ is not what we need. What assumptions are your certainties based on? By observing what various experiences, before this one in Brazil, have shown us in the past. The process triggered off by major events is repeated with very similar characteristics, even if in different countries and contexts. The bibliography on the subject is already considerable and there are many recorded cases of ‘white elephants’, mega constructions of dubious utility, which become an additional burden to cope with. So do you fear that after 2016, Brazil and Rio de Janeiro will be in a worse, instead of better, condition? I simply believe that there will be a physiological conse-
quence. Sports events promoted by the FIFA (International Federation of Football Association) and the IOC (International Olympic Committee), by the very nature of the demands they bring into play, have a profound impact on the legal, economic, social, and urban development of a nation. Every project, all the work coming in, and every product placed on the market responds to a specific logic dictated by the sponsors and by the terms of contracts for commercial and television rights. Often the very financial institutions and construction and property development companies, ‘archistars’ in search of a global visibility, end up promoting an entrepreneurial wave that overshadows the national economies, causing countries to get into debt at an extraordinary cost.
The arrival of infrastructure works will produce immediate employment: it is likely that hotels, restaurants, and tourism businesses will increase their movement for a specified period of time But don’t you think that the arrival of a great event also means plenty of jobs and wealth for the entire population? Great events do not create wealth for everybody, but just for a group of holders of capital who are specialized in ‘doing business’ with this kind of opportunity. It is true that the arrival of infrastructure works will produce immediate employment. It is likely that hotels, restaurants, and tourism businesses will increase their movement for a specified period of time. However, these effects are due to expire and are anything but free. Real estate speculation and the so-called
‘gentrification’ are the ‘trademarks’ that, with rare exceptions, accompany these costly changes, hidden behind the promises of their many virtues. What are the consequences that you fear the most concerning the context of Rio de Janeiro? The strategy to improve the image of a part of the city so as to be in line with the housing market implies the increase of urban segregation. The displacement of about 40,000 residents in the favelas from the most central areas to more distant suburbs will make the housing conditions of the metropolis worse, rather than better. The real estate development that accompanies processes of urban renewal tends to increase inequalities: prices rise, from rents to food, once again furthering the exclusion of the poorer classes. Was the city of Rio prepared to deal with major changes? What I mean to say is, had any plans already made that would be able to intercept and channel the resources, arriving in the wake of the big events, in the correct direction? Or has it been necessary to draw up an ‘emergency’ plan, only depending on the event? Unfortunately these kinds of events contrast with the urban plans aimed at reducing social inequality and solving major urban problems, as in the case of mass transport. Mega events are more about doing business than solving social problems. Does this need to do a lot of work in a short time have consequences? The haste with which the new structures have to be, and are being, completed, proceeding at a fast pace on a tight schedule, leads to hazardous conditions for the workers. In Brazil, we have already recorded several deaths linked to the construction of the stadiums, as shown by what happened recently in São Paulo.
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The interventions of mobility that have been made do not exactly coincide with those that were needed the most and which were expected to improve the conditions of urban mass transit
Are there any works that, more than others, will have a longterm impact? Taken as a whole, the Brazilian stadiums are the most expensive infrastructures with regard to the great deal of work as a whole in 12 cities for the 2014 World Cup, and the 2016 Olympic Games in the city of Rio de Janeiro. On the contrary, the interventions of mobility that have been made do not exactly coincide with those that were needed the most and which were expected to improve the conditions of urban mass transit. What is happening here is what already happened in South Africa, for example. In short, the burden of the events will be felt in the years to come ... I’m afraid so. As already mentioned, from the experience of other countries and especially in unequal societies with serious social problems such as ours, the arrival of international events has as an immediate consequence the use of considerable resources, channeled into the secondary objectives. That is what happened in Greece, South Africa, and even China. In my opinion, it is very likely that Brazil will follow their example.
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The first challenge for the new mayor was to control the periodic floods that flooded roads and houses. Lerner opted for ‘cleaning up’ the shanty areas in much of the city, and the construction of a huge green zone, where the river could safely overflow
Sc scenarios
Curitiba A fast and smart tortoise A smart city for more than forty years, the success of Curitiba is based on concepts, solutions and theories, those of the former mayor Jaime Lerner, which have made this city a magnificent subject of reflection for town-planners all over the world. The ‘smart’ city is one where life, work, leisure and nature are not separate but contaminate one another – like the tortoise that spends its whole life under the same shell. by Alessandra Viola Journalist
It was not established in the United States, and not even in China or the United Arab Emirates. Nor in Europe, nor is it an achievement of the last decade. If you don’t know already, you would never guess; the first smart city in the world was
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born in Brazil in the Seventies. Its name is Curitiba, and from a height of almost a thousand meters above sea level, lying on the plateau of Paraná which dominates the state of the same name, and of which it is also the capital, it slyly looks at the development of the whole country, with its nearly forty years of experience in being an ecological and sustainable city. The first pedestrian street in the world? It was here. And also the first light-rail system. Curitiba has the highest number of square meters of greenery per inhabitant, and its recycling has become a ‘goods exchange’ to help poor families. A model of a city that has proven to be truly sustainable that comes from a developing country but on the strength of its example, one that has given architects, city planners, and administrators in more developed countries pause to think. The recipe is simple. “If you want creativity, cut one zero from your budget” – in the words of Jaime Lerner, architect, mayor for three man-
dates, and the visionary author of the most profound innovations in Curitiba. “If you want sustainability, cut two zeros from your budget. And if you want solidarity, assume your identity and respect the diversity of others. These are the issues that are increasingly important, not only for cities but for the entire human race, and which are related to three important aspects of cities: mobility, sustainability, and tolerance.” Needless to say, he was involved in all three in Curitiba. First elected in 1971, he combined a dream, city planning, and common sense by supporting the development of state of the art urban infrastructures. Now considered the capital with the best quality of life in all of Brazil, in the early Seventies Curitiba was a farming town with just over six hundred thousand inhabitants, in fast-paced expansion and rapidly converting to commerce and industry, which grew becoming populated by abusers, favelas, inequality, and asphalt, and without any plan-
ning. The first challenge for the new mayor, now a university professor and consultant in different cities around the world, was to control the periodic floods that flooded roads and houses. Against the advice of those who suggested undertaking imposing and expensive public works (such as burying or diverting water courses), Lerner opted for ‘cleaning up’ the shanty areas in much of the city, and the construction of a huge green zone, where the river could safely overflow, creating ponds and a habitat for plant and animal species. Thanks to that plan, Curitiba is now one of the greenest cities in the world, and went from half a meter of vegetation per capita in the Seventies to the current 55 square meters (in Italy, according to Istat, the average is 30 square meters) for each of its nearly two million inhabitants. A sort of green belt, where the parks are all connected with one another, also fosters the survival of plant and animal species whose maintenance is entrusted – in addition to the
co-responsibility of citizens – to ... sheep. During his total of 22 years in government, Lerner made common sense and creativity his winning weapons. So, when the city found itself in the throes of its first serious mobility problems, the then mayor of Curitiba thought, against the advice of those who sought to demolish some old buildings in order to widen the main street of the city center, Rua das Flores, of closing it to cars for fifteen blocks, thus inventing the first pedestrian street in the world. To avoid the protests of shopkeepers, Lerner improvised an actual blitz: the road was closed, paved, and made pedestrian in just 72 hours. “I think that cars are like our ... in-laws,” – he said in a speech to the American Society of Landscape Architects. “We have to have good relations with them, but we cannot let them guide our lives. I am convinced that a city is like a family portrait. You would never destroy a family portrait because you didn’t like an old aunt. You are that portrait.” Lerner has tried to impress criteria of functionality, sustainability, and co-responsibility on his family portrait, starting from transport. The main arterial roads were divided into three parts, one for entering the city, one to leave it, and one reserved for public transport, and then this visionary public administrator created the first light-rail system. It is a bus service that runs at the same speed and efficiency as subways (every minute), but which is much cheaper and easier to manage. “The first thing we asked ourselves was: what is a subway? It must have speed, comfort, reliability, and a high frequency. But who says it has to be underground? Inevitably, that is a very expensive system. Why not get the same benefits with a bus?” Today the road system is called the Bus Rapid Transit (BRT) and it has already become a model for eighty similar systems around the world, convincing almost half the population of Curitiba to no longer use their car for urban transport. Thanks to 150 miles of cycle paths as
well. How did the city manage to do this? “Curitiba has no secrets, just what you might call a special focus on simplicity. Cities are not so complicated: you just have to understand them. I would not say that Curitiba is a paradise: we have all the problems of big cities, but I think that here, we have what makes the difference: respect for people.” Lerner founded all his policies on this idea and on the co-responsibility of the citizens. “We had to work with economic solutions. We started cleaning up our bays thanks to an agreement with the fishermen. So if it’s not a good day for fishing, the fishermen can go fishing for the junk that is in the water, and we buy it from them. The more you collect, the cleaner the bay gets and the more fish there will be in the future.” This is more or less the same principle on which the differentiated waste collection is also based. “We had roads where the trucks for waste collection could not enter. Especially in the favelas, where people lived in the middle of garbage and there seemed to be no solution. So in 1989, we launched a major campaign in schools, teaching children to recycle and explaining to the residents of the poorest and inaccessible neighborhoods that we would buy their trash if they had differentiated and delivered it to collection points. In exchange for every five kilos of trash, a pound of fruits and vegetables. The favelas were cleaned up in three months, and even this little financial support has helped many families to make ends meet. Sometimes we even give out bus or cinema tickets.” Today Curitiba has one of the highest percentages of recycled materials in the world: around 70%. And it will probably manage to be more elastic than the other Brazilian cities in dealing with the horde of tourists who went there on the occasion of the forthcoming World Cup Soccer Championship. “Cities are not the problem, they are the solution,” Lerner likes to say. Perhaps his visionary folly is nothing but simple (but nonetheless precious) common sense!
Fo focus
Búzios by Enel
Inaugurated in November 2011, the conversion project to turn Búzios into a smart city will be finalized in June 2015: by then the Brazilian city will have become a unique model of energy efficiency in Latin America. Based on the application in an urban context of smart grid technologies, the project funded by ANEEL (Agência Nacional de Energia Elétrica) and directed by Ampla, the distribution company of the Enel Group in Brazil, aims to act on energy management, both from the point of view of generation and integration, and in terms of consumption and control. There will be a total investment of over $18 million, with many advantages for the community: a more direct verification of consumption accompanied by the ability to control the energy consumption of household appliances, the use of LED lamps in public lighting with positive implications from both an economic point
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of view and in terms of safety, and the possibility for citizens to take advantage of charging stations for electric cars and bicycles. Families and small businesses can also become prosumers (both consumers and producers) of energy and enjoy a better energy supply service. In Búzios, there is also a point for recycling the waste of the Consciência EcoAmpla program, whilst door-to-door collection from homes and commercial premises is made for vegetable oil. In February 2014, 28,583 liters of oil and more than twenty tons of refuse were collected, generating a discount of about $5700 on their bills for the Ampla clients. There will be benefits for everyone, as well as important benefits for the environment. The theatre of the program is Armação dos Búzios, a tourist center in the state of Rio de Janeiro, chosen for its great potential of solar and wind energy, the structure of its electricity grid, its visibility abroad, and the number of inhabitants, enough to experiment with active demand management through smart meters: the 10,363 clients of Ampla involved in the project will be the pioneers of this smart town.
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oxygen | 23 — 06.2014
Op opinions
Creative matrix Native roots, contamination of Portuguese and African cultures, and immigration from all over the world. The country at the centre of international economic and media attention has forged its strength out of its diversity, and has dug out the creative part from each of these origins, basing its past, present and, undoubtedly, its future, on this. by Domenico De Masi Sociologist photographs by Boa Mistura
The Indian matrix Brazilian creativity has four matrices: Indian, Portuguese, African, and universal. Cabral landed at Porto Seguro perhaps on April 21 of 1500. One year later, Amerigo Vespucci also
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came. Both of them found fertile soil, moderate winds, a great climate, drinking water, plentiful fruit, and a welcoming population “with so much innocence showing on their faces”. The Indians back then, thanks to the exuberant relationship between natural resources and population, were ahead of their time regarding ‘creative idleness’ (summary of work, study, and play) which, according to Keynes, technology would have allowed his grandchildren. The Indians – here is the essence of their creative matrix – adorned their bodies extravagantly and possessed tools, jewelry, and personal ornaments of great aesthetic refinement. As documented by Darcy Ribeiro, the greatest scholar of their culture, “the true function that the Indians expected from everything they made was its beauty. Their beautiful arrows and their precious ceramics incidentally have a utilitarian value. But their
real function, that is to say, the way they contribute to the harmony of the collective life and the expression of its culture, was to create beauty.” In Mundus novus Vespucci wrote: “Among the kinds of meat, human flesh is the most common food”. But it was a ritualistic cannibalism, which, many centuries later, became the inspiration for one of the greatest Brazilian avant-garde aesthetic movements that used cannibalism precisely as a metaphor for cultural metabolism. Its birth certificate, the Cannibal Manifesto published by Oswald de Andrade in 1928, contains desecrating passages like these: “Only Cannibalism unites us. Socially. Economically. Philosophically ... We want a Caribbean revolution. Greater than the French Revolution ... Before the Portuguese discovered Brazil, Brazil had already discovered happiness.” Brazilians have inherited the gentleness of manners and conviviality, which we find in so many of their artistic expressions, from the Indian inclination for happiness.
zil to escape from the double threat of the British and Napoleon, suddenly transformed it from a colony to the motherland. It has been on the rise ever since that moment: Brazil had a Constitution, slaves were freed, and the modernization of the country began. It had discovered, even before England did, that as well as the growing of cotton, its industrial transformation into thread and cloth was economically advantageous: every ranch had looms that produced in mass. But in 1785, on the basis of an agreement with the British Crown, the Portuguese Crown was granted permission to sell its wine in Britain while pledging to destroy all the looms set up in Brazil. So the English textile industry got rid of its greatest global competitor. The creative Portuguese matrix still fuels commercial initiatives by Brazil, which is still the largest producer and exporter of coffee and sugar, and for the last 120 years, its diplomatic skill has enabled it to peacefully resolve all the problems of living with ten bordering countries.
(1955) composed by Antônio Carlos Jobim, and with the record Canção do amor demais (1958) again by Jobim and Vinicius de Moraes, in the hybrid Brazil of the exciting Fifties, music also became sweetly hybrid by wedding the samba of Rio and Bahia to the jazz of New Orleans and accordions of the Parisian Left Bank to give the world the poignant minimalism of bossa nova, which became the soundtrack for cosmopolitan optimism and democratic modernization. Also in the Fifties came the cinema of Glauber Rocha, the theatre of Augusto Boal, the Centros Populares de Cultura, all pushing towards participation and creativity. A synthesis of music and dance most certainly influenced by the African roots is the carnival, renewed every year with unparalleled collective creativity that not only explodes into colors, sounds, and gestures, but also into the organizational machine that transforms its folklore into one of the largest tourist and economic enterprises in Latin America, studied by economists, sociologists and anthropologists.
The Portuguese matrix Eduardo Galeano says that there are “countries specialized in earning and countries specialized in having to lose: that is the significance of the international division of labor.” The Portuguese matrix of Brazilian creativity lies in the many ways in which the colonists began to specialize in earning: with the mining of diamonds and gold, and with plantations of sugarcane, then rubber, and coffee. Along with this creativity, the colonists added procreativity: seeing as it was mostly males who came from Portugal and Africa, every Portuguese man impregnated dozens of indigenous women, encouraged to do so by the colonial authorities, authorized by the Crown and blessed by the missionaries. This is how the most culturally diverse and post-modern people in the world started to come into being. In November 1807, the King of Portugal, who had fled to Bra-
The African matrix The African matrix has contributed in particular to the Brazilians’ musical creativity and their world leadership in plastic surgery. The only property of slaves was their own body. In the eyes of the master, their value, both commercial and sexual, depended on their strength, health, beauty, and agility. Hence their body care, jogging, dancing, and capoeira, but above all, the most advanced schools of plastic surgery, the best manufacturers of cosmetics, and the best classical and contemporary dance companies. The African matrix finds a persistent expression in religious syncretism and above all, in musical creativity. Its popular music, along with literature, has been a worldwide ambassador of saudade, joy, sweetness, and the future, and of nostalgic memories, desires and hopes. With Sinfonia de Rio de Janeiro
The universal matrix Today, Brazil’s population exceeds 200 million, and as well as its Indian, Portuguese and African matrices, Brazilian creativity has also added that of those from many other countries who a hundred years ago provided peasant labor, and today provide graduates. Swiss, Germans, Italians, Poles, Slavs, Japanese, Syrians, and the Lebanese have enriched the colors of the country’s skin and its creativity with their stimulation, inspiration, and new resources attracted by a friendly land that is refractory to racism. An example and symbol of this expansive season was the enlightened presidency of Juscelino Kubitschek, who with his visionary courage, stimulated the great adventure of Brasilia. Soon after, there was another fact that helped fuel the global dimension of Brazilian creativity by turning a tragedy into opportunity. Between 1964 and
1984, the military dictatorship forced many intellectuals into exile, from F.H. Cardoso to Gilberto Gil, from Oscar Niemeyer to Darcy Ribeiro, from Chico Buarque to Caetano Veloso, and from Cristovam Buarque to Brizola. Returning home after the authoritarian parenthesis, these talents, almost all of whom are involved in politics, have modernized the country allowing its GDP to grow continuously. Today Brazil is the world’s seventh-largest economy; it ranks fifth globally for industrial production; it has the second largest number of Facebook users, and is in fourth place for subscriptions to the Internet. This portentous development has been accompanied by a further form of creativity. Since the Thirties, with uninterrupted sociological imagination, a dense array of social scientists have revealed Brazil to the Brazilians. Fernando Henrique Cardoso wrote: “We owe many of the concepts, images, myths, and narrative poles that are still used to define the country, to explain the specificity of Brazil, to these essayists. They were the true inventors of Brazil, each in their own way.” The conquest of identity has led the Brazilians to let every art and every science take an original path, intentionally characterized by global ambitions and local roots. Upon reaching modernity, Brazil produced creative geniuses such as Alberto Santos Dumont, designer of the first airship and the first airplanes, or Carlos Chagas, the first and only case in the history of medicine in which the scholar himself described a disease, and discovered the causative agent and the carrier. But little by little, painters such as Cândido Portinari and Tarsilia do Amaral, architects like Niemeyer and Paulo Mendes da Rocha, designers such as Fernando and Humberto Campana, clothing designers such as Lino Villaventura, soccer players such as Pelé, drivers such as Ayrton Senna, filmmakers such as Glauber Rocha, Ruy Guerra, Fernando Meirelles, and Wal-
ter Selles, and a hundred others, along with novelists such as Jorge Amado, poets such as Carlos Drummond de Andrade, and composers such as Hector Villa Lobos, have made Brazil one of the most creative countries in the world. The Brazilian Way Today, Brazilian creativity has found one of its highest expressions in business and management. According to the latest ranking by ‘Forbes’, the entrepreneurs Jorge Paulo Lemann and Joseph Safra are respectively the 34th and the 55th among the top hundred richest men in the world. In addition to being an excellent model of organization and proud to be Brazilian, the network Globo churns out dozens of soap operas sold throughout the world every year and is positively responsible for the cultural modernization of the masses, and not only in Brazil. The same enterprise, through the Marinho Foundation, has created museums – one of the Portuguese language, one of soccer, and one of the future – that are unique in the world as to originality, pedagogical mission, and organization. In a recent article (The new frontiers of innovation in “Aspenia” issue #64), Roberto Panzarani recalled the originality of organizational enterprises such as Nature, Havaianas, and Osken. But also Porto Digital in Recife, Semco, and Rede Brasil Fertile. These all point to a Brazilian Way “that combines the quality of the environment, the accessibility of products, intelligent management, and the happiness of everyday life.” The secret of so much creativity lies in the fact, pointed out by Gilberto Freire, that “the Brazilian mentality is not offended by the play of contrasts, comparisons, paradoxes, contradictions, and mixtures. Brazil lives in syncretism, the conjugation of opposites, the marriage of what at first sight seems irreconcilable.” Being young, the country is prone to renew itself, but by mixing the new with the old, resulting in an original way to evolve, making its way of life more difficult and
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complex, but also richer, in an ever-nascent state. In his first novel – The Carnival Country in 1931 – Jorge Amado ironically has one of his characters say that Brazil “is the country with the greatest future in the whole world”. Ten years later, in 1941, the Austrian writer Stefan Zweig took up Amado’s concept and turned it into prophetic irony in a book entitled Brazil, Land of the Future. For twenty years, between 1964 and 1984, in Brazil oppressed by the military dictatorship, you would repeatedly hear “O Brasil è o pais do futuro” – “Brazil is the country of the future”. Today, this persistent stereotype in the Brazilian imagination has become reality. “O futuro chegou”, the future has arrived.
Brazilians have inherited the gentleness of manners and conviviality, which we find in so many of their artistic expressions, from the Indian inclination for happiness
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oxygen | 23 — 06.2014
Op opinions
2014: the year of the World Cup redemption In 1950, the dream of a nation was almost a certainty: to win the World Cup, but the match, which should have been a formality, did not go as expected. This year, the World Cup is back in Brazil and the desire for redemption is great. Moods, expectations, preparations, protests, and the economy: the story of a country that is hosting the event 64 years later and with a completely new face.
by Darwin Pastorin Sports Journalist photographs by Boa Mistura
Sixty-four years of waiting. Since 1950. Brazil, which has won five World Cup soccer championships, is the essence and beauty of soccer – Pier Paolo Pasolini (who played right wing) spoke of ‘ poetry’ to describe the play of the athletes in green and gold jerseys, and just naming Pelé and Garrincha evokes its magic and joy. But there is still that dark page to be torn out, a wound to be washed away: because the negative memory of that 1950 is not one of singing or dancing: it is melancholy, anger, and a desire for revenge. When Brazil organized the 1950
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World Cup, the Maracanã stadium, which could contain nearly two hundred thousand spectators, was built in Rio de Janiero, and Brazil undoubtedly had the strongest team. And, in fact, Zizinho and his comrades marched to the goleada beat, with people wearing T-shirts bearing the word ‘champions’ going crazy in the stands. Then came the day of the decisive match against Uruguay: for Seleção, the Brazilian national team, even a tie would be enough to triumph. But the Brazilian team was a goal machine: it could not settle for the crumbs. So, that July 16th there was an atmosphere of celebration. There was the sound of trumpets and drums as an entire nation prepared for a soccer carnival. Because no-one could ever stop those aces. Jean-Paul Sartre called soccer “a metaphor for life.” And life is never a given, fate changes its mood, the ball sometimes bounces weirdly and takes strange trajectories. July 16th was not a day of celebration. An illusion was turned into collective drama. After the first half ended 0-0, the Seleção team began climbing back in glory, scoring with the attacker Friaça. Now: try shutting your eyes. Try to imagine the explosion, yes, the explosion at the Maracanã: confetti, laughter, songs, and samba. Samba everywhere! But something, or rather someone, changed the course of the match. And that someone was named Obdulio Varela, captain of the Celeste team. He took the ball and held it tight. The English referee George Reader told him to give back the leather ball. Varela said, “I do not understand”, meanwhile murmuring about an alleged offside. The Brazilian players became nervous, the Brazilian fans became nervous, even the Brazilian sky grew nervous. But Obdulio: not at all. He took his time and that time turned into gold. Putting Brazil out of the picture, Schiaffino managed to
tie the score and, a few minutes from the end, Ghiggia created the winning goal, and thus the Cup victory. The Maracanã fell silent, you could only hear the sobbing, there were even those who took their own life. All of Brazil was astonished, listening to the radio commentary. And the Seleção goal-keeper, Moacyr Barbosa, the first mulatto player to wear the number one jersey of the national team, became a ‘tragic hero,’ the scapegoat. From that moment on he was marginalized and forgotten. He became invisible. Sixty-four years later, Brazil is once again organizing the world championship: to erase the stigma of 1950 and restore honor to MoThe Maracanã acyr and his brothstadium fell silent, ers. It will not be easy, you could only hear despite the presence the sobbing. All of of a champion such as Neymar, a goalBrazil was astonished, scorer who grew listening to the up in Santos and is radio commentary. now a ‘star’ of the Sixty-four years later, Barcelona team, alongside Argentina’ Brazil is once again s Lionel Messi. For organizing the world the final game at the championship: to erase Maracanã on July the stigma of 1950 13th, there are many national teams accredited by the predictions: in addition to Seleção, the teams of Argentina, Uruguay, Germany, as well as Italy’s team coached by Cesare Prandelli. The Italian team was not lucky in the draw and the heat of some cities could really and truly weaken legs and hamper breathing. But Italian players have accustomed us to impossible feats, think of Spain 1982 and Berlin in 2006. Who will the new Paolo Rossi be? The World Cup has also led to many protests. Together with the 2016 Olympics in Rio de Janeiro (an extraordinary success achieved by former President Lula), there are good opportunities for building facilities, improving infrastructures, and increasing the flow of tourists. But for the people, that is not enough. The Land of Soccer has rebelled, demanding, above all, hospitals and schools. Because health and education are not
to be taken lightly, nor the future of their children. President Dilma Rousseff has promised to listen to everyone: to make the South American Giant grow even more. There have been delays in the construction of stadiums, perfection has undoubtedly not been reached, there have been work-related deaths, heated controversy, and acts of violence, but the World Cup could represent a new opportunity for the Brazilian economy. For some time now, you have been able to breathe new air, the number of the poor has decreased thanks to the Zero Hunger project, and the middle class has risen again. Above all, after the seasons of dictatorship, people are only speaking of democracy and growth. And Brazil also owes that to a champion who recently left us: ‘Doctor’ Sócrates, an ace player for the Corinthians and the Seleção team. Thanks to his ‘Corinthian democracy’, the first and also only attempt to bring socialism into a changing room, today’s Brazil is for everyone, and not just the privileged few. The players captained by Sócrates went out onto the field, inviting people to go to vote, to choose their president directly, to raise their head and say no to the violence of the military. Sócrates, who spoke of Gramsci and solidarity, will be one of the symbols of the World Cup: a powerful symbol, one that is noble and winning. I was born in Brazil after my parents emigrated there from Verona. My heart has always been divided in two, between Brazil and Italy. As a special correspondent of the newspaper “Tuttosport”, I saw the Italian team triumph in 1982 at the Santiago Bernabeu stadium in Madrid, and the green-gold team win the World Cup, defeating Roberto Baggio and his team-mates with penalty kicks, in 1994 at the Rose Bowl in Pasadena, California. In 2006, as the director and conductor of LA7 Sport, I accompanied Italy’s journey in the Berlin world championship games with a live daily program. Now my desire in Rio is to see the final match between Italy and Brazil: that would surely be a ‘winner’.
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There have been delays in the construction of stadiums, perfection has undoubtedly not been reached, but the World Cup could represent a new opportunity for the Brazilian economy 173
placed in the display windows of the grand hotels in Ipanema. In order to understand this transformation, we must go back to Pamplona and the day he received a call from Nélson de Andrade. And who is that? The boss of Salgueiro. Profession? Bicheiro. What is that? The boss of the game of bicho. The illegal lottery. Like the Neapolitan grimace. A racket worth millions that has had its hands on the samba schools since the mid-twentieth century. Why is that? Because the schools, such as Salgueiro, Mangueira, Portela, Villa Isabel, and Mocidade Indipendente, are linked to a neighborhood and its people. To carry out their business without having to worry, the bicheiros needed consensus and so they did their recruiting in the schools, bankrolling their costs. A kind of vote trading for control of the territory. In 1946, legislation closed the casinos and so the bicho became the fever of Rio. Legendary Bicheiro figures such as Castor de Andrade, Carlinhos Maracanã, Natal da Portela, despite being outlaws (although, with indulgent malice, the law defines them as ‘offenders’), ruled over the carnival, and it is happening yet again today with their heirs and the new figures who have emerged in the meantime: for example, Anísio, the owner of the school Beija-Flor, who has ended up in jail several times,
Co contexts
Behind the Carnival Once a popular and democratic celebration which joyfully paraded through the streets and glittered in the Sambadrome, the Brazilian carnival is very different today. The brightly colored costumes, the glitter and feathers are a spectacle of light and color that is more for the tourists than for locals, and which moves money from half around the world. But can gambling dens, sponsors and public money really pull the plug on one of the greatest celebrations of kitsch in the world? by Alberto Riva Journalist
His name is Fernando Pamplona. He studied at the school of fine arts, and wanted to become a designer. He then became something more: carnevalesco (carnivalesque). This is a profession that exists only in Brazil and in fact, for a long time, existed only in Rio de Janeiro. Hollywood has its heroes whose names are John Ford, Frank Capra, and Billy Wilder. In Rio, their names are Fernando Pinto, Joãonzinho Trinta, Max Lopes. And Fernando Pamplona. Who is a carnivalesque? A mixture of director, choreographer, producer, costume designer, and writer. If the samba school had a soccer team, the carnivalesque would be much more than just the coach. Also because a soccer team is made up of eleven men, whereas four thousand foliões, or revelers, swarm onto the Sambadrome’s kilometer of cement and the show lasts 80 minutes. The carnivalesque is the person who has to keep them all together and push them towards the Apotheosis, which is not a figure of speech but the name of the square where the parade dissolves, often amidst tears. As for Pamplona, he was born in 1926 in the neighborhood of Botafogo. One February morning long ago, when he was still
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a boy and his nanny was taking him to school, they passed a bloco de rua, a festive parade, on the street and his nanny tagged along. By the time they got home, it was almost evening. The girl was fired on the spot; instead, little Fernando was left with the image stuck in his mind of the princess and the prince whom he had seen dancing on the pavement as if they had wings. Many years later, when he was asked to direct his first samba school, the famous Salgueiro, Pamplona transformed carnival. How? By dressing blacks as blacks. Said like that, it sounds like the umpteenth discovery of hot water. It is not. Indeed, his proposal was considered a sacrilege. The carnival was the only occasion in which the poor workers of the favelas and outskirts could dress up as Louis XV of Marie Antoinette! But instead along comes this handsome white gentleman, a resident of Copacabana, and he wants to dress them up as slaves? The fact is that, as the subject of his show, Pamplona chose the rebellion of Zumbi dos Palmares, the first slave (1695), who escaped from prison and established Quilombo, a free republic that for many years survived far from the colonizers, in the northeast of the country. Before Pamplona, nobody had ever decided to dedicate a carnival to Zumbi. At first the blacks of the samba school refused to give up their rich clothes, but they slowly changed their minds. Result: Salgueiro won the carnival of 1960 and the carnivalesque became a celebrity. Fernando Pamplona died on September 29th, 2013. He was an elegant, proud, old gentleman who for many years had moved away from the shows that, in his opinion, were no
longer what they had once been. Times had changed. There had been a time when the carnival was the authentic expression of a community. Translated, it means favela. A precise world, a culture. Changed, for the people of Pamplona’s generation, from the time that a lot of money entered the business of carnival. Ever since the decision of the topic of the show would no longer be made by the carnivalesque – like the one who had decided to celebrate Zumbi – but by the sponsor, a brand of beer or cars, or often a large tour operator selling a Tokyo/Rio/Tokyo all-inclusive package, from the place on the beach to the hotel room to the clothes the tourist will wear on the night of the event, the glittering night that online newspapers from around the world will celebrate in their photo galleries with mulattoes towering on floats. The image that the whole world has of Carnival in Rio. By now most of the four thousand people flocking to the Sambadrome are tourists. It has become so expensive that it is often difficult for those of the ‘community’, as Pamplona called them, to even get into the stands. The community is no longer at the center of the party, but relegated to being its factory, committed to the hardand-fast rhythms of making the floats and costumes to be
The ‘Bicheiro’ is the boss of the game of ‘bicho’, the illegal lottery. Like the Neapolitan grimace. A racket worth millions that has had its hands on the samba schools since the mid-twentieth century
one of them right during the carnival. Therefore many schools, orphaned of their masters and funders, have opened to the influences of the great sponsors and low-level community criminality. The festival has become a money-eating bandwagon (including of public funds), but also the music, the samba (editor’s note: in Portuguese, the noun is masculine), which has always been the great artistic expression of the phenomenon, has lost its luster. It has lost its lovely balançado rhythm, now making the thousands of tourists rush from one point on the track to another, as it has been turned into a military march, without any swing, without melodic flourishes. Yet, seen as a whole, the magic of those three nights lit up by millions of kilowatts, surrounded by tons of ostrich feathers (it is not the most ecological event on the planet), miles of trimmings, and cubic meters of polystyrene and make-up, is still impressive: it is a superbly kitsch spectacle, amazing in detail and, if seen live, it is thrilling. The people of Rio, however, have become substantially detached from it in the last ten years. Far from the Sambadrome (designed in 1984 Oscar Niemeyer), the Brazilians prefer to take to the streets in the blocos de rua: today they have spontaneously returned by the hundreds, organized and extemporaneous, each with their own flag and name, often ironic. They throng in a street, a square, a corner, or a flight of stairs. They gather at the beach, in bars, at homes. At night, or at dawn. It is here that even today a child can still see, as Fernando Pamplona did, the prince and princess dancing. It is here on the streets that every February the dream begins once again.
By now most of the four thousand people flocking to the Sambadrome are tourists. It has become so expensive that it is often difficult for those of the ‘community’, as Pamplona called them, to even get into the stands
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Oxygen 2007/2014 Andrio Abero Giuseppe Accorinti Amylkar Acosta Medina Emiliano Alessandri Nerio Alessandri Zhores Alferov Enrico Alleva Colin Anderson Lauren Anderson Martin Angioni Ignacio A. Antoñanzas Paola Antonelli Marco Arcelli Antonio Badini Roberto Bagnoli Andrea Bajani Pablo Balbontin Philip Ball Alessandro Barbano Ugo Bardi Paolo Barelli Vincenzo Balzani Roberto Battiston Enrico Bellone Mikhail Belyaev Massimo Bergami Carlo Bernardini Tobias Bernhard Alain Berthoz Michael Bevan Piero Bevilacqua Ettore Bernabei Nick Bilton Andrew Blum Gilda Bojardi Aldo Bonomi Carlo Borgomeo Albino Claudio Bosio Stewart Brand Franco Bruni Luigino Bruni Giuseppe Bruzzaniti Massimiano Bucchi Pino Buongiorno Tania Cagnotto Michele Calcaterra Gian Paolo Calchi Novati Davide Canavesio Paola Capatano Maurizio Caprara Carlo Carraro Bernardino Casadei Federico Casalegno Stefano Caserini Valerio Castronovo Ilaria Catastini Marco Cattaneo Pier Luigi Celli Silvia Ceriani Marco Ciurcina Corrado Clini Co+Life/Stine Norden & Søren Rud Emanuela Colombo Elena Comelli Ashley Cooper Barbara Corrao Paolo Costa Manlio F. Coviello
George Coyne Paul Crutzen Brunello Cucinelli Vittorio Da Rold Partha Dasgupta Marta Dassù Andrea De Benedetti Luca De Biase Mario De Caro Giulio De Leo Michele De Lucchi Gabriele Del Grande Ron Dembo Gennaro De Michele Andrea Di Benedetto Gianluca Diegoli Dario Di Vico Fabrizio Dragosei Peter Droege Riccardo Duranti Freeman Dyson Magdalena Echeverría Daniel Egnéus John Elkington Richard Ernst Daniel Esty Monica Fabris Carlo Falciola Alessandro Farruggia Antonio Ferrari Francesco Ferrari Paolo Ferrari Paolo Ferri Tim Flach Danielle Fong Stephen Frink Antonio Galdo Attilio Geroni Enrico Giovannini Marcos Gonzàlez Julia Goumen Aldo Grasso Silvio Greco David Gross Sergei Guriev Julia Guther Giuseppe Guzzetti Jane Henley Søren Hermansen Thomas P. Hughes Jeffrey Inaba Christian Kaiser Sergei A. Karaganov George Kell Parag Khanna Sir David King Mervyn E. King Tom Kington Houda Ben Jannet Allal Hans Jurgen Köch Charles Landry David Lane Karel Lannoo Manuela Lehnus Johan Lehrer Giovanni Lelli François Lenoir Jean Marc Lévy-Leblond Ignazio Licata
Armin Linke Giuseppe Longo Arturo Lorenzoni L. Hunter Lovins Mindy Lubber Remo Lucchi Riccardo Luna Eric J. Lyman Tommaso Maccararo Paolo Magri Kishore Mahbubani Giovanni Malagò Renato Mannheimer Vittorio Marchis Carlo Marroni Peter Marsh Jeremy M. Martin Paolo Martinello Gregg Maryniak Massimiliano Mascolo Mark Maslin Tonia Mastrobuoni Ian McEwan John McNeill Daniela Mecenate Lorena Medel Joel Meyerowitz Stefano Micelli Paddy Mills Giovanni Minoli Marcella Miriello Antonio Moccaldi Renata Molho Maurizio Molinari Carmen Monforte Patrick Moore Luca Morena Javier Moreno Luis Alberto Moreno Leonardo Morlino Dambisa Moyo Geoff Mulgan Richard A. Muller Teresina Muñoz-Nájar Giorgio Napolitano Edoardo Nesi Ugo Nespolo Vanni Nisticò Nicola Nosengo Helga Nowotny Alexander Ochs Robert Oerter Alberto Oliverio Sheila Olmstead Vanessa Orco James Osborne Rajendra K. Pachauri Mario Pagliaro Francesco Paresce Vittorio Emanuele Parsi Claudio Pasqualetto Corrado Passera Alberto Pastore Federica Pellegrini Gerardo Pelosi Shimon Peres Ignacio J. Pérez-Arriaga Matteo Pericoli Francesco Perrini
Emanuele Perugini Carlo Petrini Telmo Pievani Tommaso Pincio Giuliano Pisapia Michelangelo Pistoletto Viviana Poletti Giovanni Porzio Borja Prado Eulate Ludovico Pratesi Stefania Prestigiacomo Giovanni Previdi Antonio Preziosi Filippo Preziosi Vladimir Putin Alberto Quadrio Curzio Marco Rainò Virginie Raisson Federico Rampini Jorgen Randers Mario Rasetti Carlo Ratti Henri Revol Gabriele Riccardi Marco Ricotti Gianni Riotta Sergio Risaliti Roberto Rizzo Kevin Roberts Lew Robertson Kim Stanley Robinson Sara Romano Alexis Rosenfeld John Ross Marina Rossi Bunker Roy Jeffrey D. Sachs Paul Saffo Gerge Saliba Juan Manuel Santos Giulio Sapelli Tomàs Saraceno Saskia Sassen Antonella Scott Lucia Sgueglia Steven Shapin Clay Shirky Konstantin Simonov Cameron Sinclair Uberto Siola Francesco Sisci Craig N. Smith Giuseppe Soda Antonio Sofi Donato Speroni Giorgio Squinzi Leena Srivastava Francesco Starace Robert Stavins Bruce Sterling Antonio Tajani Nassim Taleb Ian Tattersall Paola Tavella Viktor Terentiev Chicco Testa Wim Thomas Stephen Tindale Nathalie Tocci
Jacopo Tondelli Chiara Tonelli Agostino Toscana Flavio Tosi Mario Tozzi Dmitri Trenin Licia Troisi Ilaria Turba Luis Alberto Urrea Andrea Vaccari Paolo Valentino Marco Valsania Nick Veasey Matteo Vegetti Viktor Vekselberg Jules Verne Umberto Veronesi Alejo Vidal-Quadras Marta Vincenzi Alessandra Viola Mathis Wackernagel Gabrielle Walker Elin Williams Changhua Wu Kandeh K. Yumkella Anna Zafesova Stefano Zamagni Antonio Zanardi Landi Edoardo Zanchini Carl Zimmer
Testata registrata presso il tribunale di Torino Autorizzazione n. 76 del 16 luglio 2007 Iscrizione al Roc n. 16116 Finito di stampare a giugno 2014 presso Tipografia Facciotti, Roma
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BRASILE
unA SfIdA A tutto cAmpo
È sulla bocca e nell’immaginario di tutti: il Brasile è il paese protagonista di questi ultimi mesi. Sede dei Mondiali 2014, ha gli occhi di mezzo mondo puntati addosso, e non solo per ragioni calcistiche. Dopo essere stato invidiato per lo sviluppo economico degli ultimi anni – mentre sull’Occidente pesava la crisi –, oggi la sua esplosione vive un momento di assestamento, generando ovunque preoccupazioni, ipotesi, aspettative, soprattutto perché in concomitanza di due eventi mondiali: la Coppa e le Olimpiadi. Oxygen racconta il presente di questo paese dai grandi contrasti, luogo di ricchezze immense forse a rischio, che esporta di tutto e deve importare moltissimo, che cresce e si arresta, che festeggia e protesta. Una nazione di cui tutti hanno un’immagine forte, ma che in pochi conoscono davvero. Il paese degli eccessi e delle grandi passioni, come quella del calcio mondiale che, dopo 64 anni, è tornato in terra brasiliana.
oxygen nasce da un’idea di Enel per raccontare la continua evoluzione del mondo
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