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× IL CIBO È ENERGIA, L’ENERGIA È CIBO ×
oxygen | 26 — 05.2015
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comitato scientifico Enrico Alleva (presidente) Giulio Ballio Roberto Cingolani Derrick De Kerckhove Niles Eldredge Paola Girdinio Maria Patrizia Grieco Helga Nowotny Telmo Pievani Francesco Profumo Carlo Rizzuto Francesco Starace Robert Stavins Umberto Veronesi direttore responsabile Andrea Falessi direttore editoriale Vittorio Bo coordinamento editoriale Luca Di Nardo Stefano Milano Anastasia Milazzo Dina Zanieri managing editor Cecilia Toso redazione Cristina Gallotti collaboratori Simone Arcagni Elisa Barberis Michele Bellone Marco Boscolo Davide Coero Borga Emanuela Donetti Nicola Ferrero Michele Fossi Chiara Priante Gianluigi Torchiani
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traduzioni Laura Culver Alessandra Recchiuti Joan Rundo
rivista trimestrale edita da Codice Edizioni
art direction e progetto grafico undesign
via Giuseppe Pomba 17 10123 Torino t +39 011 19700579 oxygen@codiceedizioni.it www.codiceedizioni.it www.enel.com
ricerca iconografica e photoediting white infografiche Centimetri distribuzione esclusiva per l’Italia Messaggerie Libri spa t 800 804 900
© Codice Edizioni Tutti i diritti di riproduzione e traduzione degli articoli pubblicati sono riservati
Oxygen nasce da un’idea di Enel, per raccontare la continua evoluzione del mondo
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sommario
IL CIBO È ENERGIA, L’ENERGIA È CIBO Con una distratta amministrazione delle risorse abbiamo fatto in modo di cambiare le regole del gioco, impoverendo la Terra e sottoponendola a uno stress crescente che non è più in grado di sostenere. Oltre sette miliardi di persone chiedono più cibo ed energia a un territorio che diventa sempre più piccolo. Ma in qualche modo cibo ed energia sono insieme dilemma e soluzione del presente e del futuro: una gestione efficiente, intelligente e ragionata di entrambi è la base per cominciare a ripensare il nostro sviluppo. Ambientalisti, nutrizionisti, economisti, imprese, cittadini ne parlano da tempo. Oxygen racconta i loro progetti e le loro azioni, che vanno dalle grandi rivoluzioni dei sistemi produttivi alle piccole tecnologie agricole, passando per l’educazione nelle scuole, la rivoluzione urbana e quella energetica. Questo proprio mentre a Milano, in occasione dell’Esposizione Universale, nazioni e governi si riuniscono per raccogliere idee e decisioni sul nostro futuro attraverso cibo ed energia. Due ingranaggi indispensabili e interdipendenti dai quali ripartirà un nuovo approccio verso noi stessi e il pianeta che abitiamo.
10 ˜ editoriale LA BUSSOLA DELLA SOSTENIBILITÀ di Maria Patrizia Grieco
12 ˜ editoriale UN PATTO PER IL CIBO di Maurizio Martina
14 ˜ intervista a
giuseppe sala
IL TEMPO DELLE IDEE di Stefano Milano Tutto il mondo a portata di mano in un’edizione di Expo che si fa spazio di racconto e confronto, e stimolo per nuove idee. Ospitati dal Paese che ha fatto della sua alimentazione un’eccellenza, oltre 140 nazioni e gli attesi 20 milioni di spettatori sono coinvolti in un dialogo su cibo, distribuzione equa delle risorse, energia e sostenibilità: le leve per il benessere del nostro pianeta.
20 ˜ contesti IL MADE IN ITALY CHE NON TI ASPETTI di Carlo Tamburi L’occasione di raccontare l’innovazione, un tipo di visione del futuro, il panorama imprenditoriale, il modo di vedere le città di domani, le capacità di progettare. Expo 2015 è in tutto e per tutto la vetrina delle eccellenze italiane, e anche una “scuola” per i visitatori e per i molti Paesi che hanno aderito; raccontando l’Italia e un prodotto che non ti aspetti: l’energia del futuro.
24 ˜ scenari LO SCAMBIO INTELLIGENTE di Barbara Corrao I grandi temi di Expo 2015, cibo ed energia, hanno vite parallele e tangenti. Il loro futuro, infatti, dipende da soluzioni e strategie comuni, come sostenibilità ed efficienza, e le loro risorse possono essere proficua e reciproca merce di scambio. Se il cibo dà energia con i suoi scarti, l’energia può aiutare il cibo a crescere. Un percorso che le renderà sempre più interdipendenti.
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28 ˜ approfondimento ENERGIA SOTTO I DENTI di Marco Boscolo
30 ˜ intervista a
mathis wackernagel
RIMANERE ENTRO I LIMITI di Gianluigi Torchiani La Terra si sta impoverendo. Esperti, studiosi, giornalisti ci avvertono dei rischi del cambiamento climatico; che è solo uno tra i problemi che dobbiamo affrontare. Con il nostro modello di sviluppo abbiamo lasciato un segno indelebile del nostro passaggio ma possiamo ancora comprendere quali sono i limiti del pianeta e vivere all’interno di essi.
44 ˜ intervista ad
andrea segrè
SIAMO CIÒ CHE IMPARIAMO di Cecilia Toso Se è vero che siamo ciò che mangiamo, oggi siamo cibo sprecato e sbilanciato, poco sano o troppo elaborato; svalutando lui abbiamo svalutato noi stessi. Per ridare il giusto valore al cibo, la risposta è ri-educarci all’alimentazione. Solo con il giusto approccio e le informazioni corrette, infatti, mangeremo tutti, bene e in modo sostenibile. E faremo i primi passi nella giusta direzione.
48 ˜ intervista a
cary fowler
34 ˜ infografica
FUTURO SOTTO ZERO di Michele Bellone
ALIMENTARE IL PIANETA
Per spiegare a cosa serva la biodiversità è sufficiente pensare all’evoluzione: se non ci fosse stata la materia grezza su cui lavorare – e quindi un’immensa varietà di specie viventi – nessuno di noi sarebbe arrivato al punto in cui si trova. A 1300 chilometri a sud del Polo Nord esiste una delle banche che conservano qualcosa di molto più prezioso dell’oro: i semi del nostro passato e le radici per la nostra continua evoluzione.
36 ˜ contesti LA CITTÀ DI EXPO È SMART di Livio Gallo La città ideale è un sogno per molti: uno spazio dove vivere, con tutte le condizioni per poter stare bene. Ma perché ciò avvenga è necessario puntare a due obiettivi, l’efficienza dal punto di vista energetico e la sostenibilità. La soluzione si chiama smart city e si basa sulla smart grid, la rete elettrica intelligente.
39 ˜ focus L’AUTO È CARICA di Pierluigi Bonora
40 ˜ approfondimento SMART GRID IN LUCE di Federico Golla
52 ˜ scenari IL CIBO MUOVE I POPOLI di Tom Standage Spezie dell’India che si imponevano sulle tavole della nobiltà inglese, pomodori transfrontalieri incuranti della distanza tra le Americhe e il Vecchio mondo: il cibo non si è mai preoccupato di confini e distanze, e da sempre ha messo in comunicazione gli uomini più di qualsiasi altra cosa. La globalizzazione non è mai stata così antica, e gustosa.
Temi importanti coinvolgono i grandi nomi della tecnologia e dell’industria, che intervengono per portare il loro contributo nei mesi dell’Esposizione. E così ecco che il sodalizio nato tra Siemens ed Enel guarda al futuro della rete elettrica, grazie all’Energy Management System e a una gestione smart dell’energia che sarà il nutrimento di tutta la manifestazione.
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56 ˜ contesti
70 ˜ scenari
ECOSISTEMA ENERGETICO di Alessandro Farruggia
PROTEINE A SEI ZAMPE di Marcel Dicke e Arnold van Huis
A Expo la rete elettrica si tocca con mano, anzi, ci si immerge dentro. Questa l’idea del padiglione di Enel all’Esposizione Universale di Milano: una selva virtuale illuminata a LED, che si staglia da una griglia sensibile. Un viaggio all’interno del futuro dell’energia e un’esperienza che porta il fruitore in primo piano.
La popolazione mondiale in aumento potrebbe trovare la risposta alla sua domanda di proteine in animali sempre più piccoli. Se ancora quasi tutti storcono il naso all’idea, ricercatori, chef, politici, allevatori sono impegnati nella sfida di alimentare il pianeta, almeno in parte, con una risorsa preziosissima e decisamente sostenibile: gli insetti.
60 ˜ data visualization EXPO, GREEN CITY
74 ˜ intervista a
62 ˜ approfondimento
ESPERIENZE A CINQUE SENSI di Michele Fossi
andoni luis aduriz e charles spence
STRUMENTI PER COMUNICARE di Simone Arcagni Raccontare un evento della portata di Expo e renderlo qualcosa di ancora più grande di un’Esposizione Universale: lo si fa grazie a varie tecnologie – più semplici o più complesse –, utilizzate per condividere e partecipare. Un evento che si fa smart e si immerge nella realtà dei social, dei video, della condivisione, delle webserie. E va persino oltre, aumentando la realtà.
66 ˜ scenari INTERNET OF FOOD LA BOTTEGA È A CASA di Elisa Barberis Il cibo ha un futuro futuristico. Comprare e vendere, coltivare, cucinare e distribuire: l’Internet of Things è diventato l’Internet of Food. Come potrebbero essere la cucina e il supermercato del futuro? Come potremmo risolvere i problemi di distribuzione del cibo? La tecnologia entra in gioco anche nella cosa per noi più naturale del mondo, e non certo per snaturala.
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Mangiare non è per nulla una questione di tutti i giorni. Ciò che facciamo quasi automaticamente tre volte al dì è in realtà in grado di attivare legami e connessioni che nemmeno immaginiamo, e che sono alla base delle esperienze sensoriali studiate dalla gastrofisica e offerte da alcuni rinomati ristoranti, grazie all’impiego della tecnologia. Momenti che lasciano, letteralmente, a bocca aperta.
80 ˜ intervista a
peter ladner
RIVOLUZIONE IN CITTÀ di Emanuela Donetti Salute, sicurezza alimentare, produzione: le città sono la risposta a molti dei problemi di oggi e di domani, perché in esse si cela un potenziale agricolo immenso. Non solo con i loro tetti, aiuole, parchi e viali si rendono disponibili a far crescere la nostra verdura, ma grazie alla collaborazione che questa pratica richiede potremmo creare ponti sociali e generazionali. E rendere lo spazio urbano più bello.
83 ˜ focus
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AGRICOLTURA SOCIALE di Cristina Gallotti
DOVE VANNO I KWH? Emanuela Colombo e Mariano Morazzo
84 ˜ approfondimento LE 10 FRONTIERE DELL’INNOVAZIONE AGRICOLA di Nicola Ferrero A Londra l’insalata si coltiva nei tunnel sotto il suolo, gli orti sui tetti sono ormai stati sorpassati da quelli verticali e presto non vedremo più i contadini con il naso all’insù a scrutare il cielo, ma fissi sullo smartphone a incrociare dati provenienti da satelliti e droni. Storie di tecnologia agricola, una delle carte da giocare per prepararsi a un futuro efficiente, produttivo e sostenibile.
90 ˜ contesti LO SCARTO SCALDA di Chiara Priante Usare gli scarti organici per produrre energia? Niente di più facile e, soprattutto, nulla di più diffuso. L’Italia è al terzo posto al mondo per impianti a biogas: una scelta importante, in un momento in cui scarseggiano le fonti fossili per produrre energia e la popolazione è destinata a una crescita continua.
94 ˜ la scienza
dal giocattolaio
UN GAMBERO ROSSO DA FAVOLA di Davide Coero Borga Un cesto di focaccia, una mela avvelenata, una casa di marzapane, una barretta di cioccolata Willy Wonka, e la sempre odiata minestra. All’osteria del Gambero Rosso il pranzo è in favola.
Quando si pensa all’energia è facile immaginarsi che in tutto il mondo basti un click per avere luce, proprio come accade nelle nostre abitazioni. Ma non è così e ancora oggi una parte considerevole della popolazione mondiale non ha accesso all’energia. Occorre quindi trovare una soluzione e un modello di studio che aiutino a comprendere l’impatto di ogni azione e a guidare gli interventi futuri ed Enel, insieme al Politecnico di Milano, sta lavorando in questa direzione.
101 ˜ enel foundation NEWS
102 ˜ enel foundation ACQUA ED ENERGIA: NECESSITÀ INTERDIPENDENTI di Renata Mele e Christian Zulberti Una risorsa limitata e preziosissima, che in tutti i continenti sta andando incontro a un progressivo impoverimento: l’acqua non è indispensabile solo alla vita dell’uomo, ma anche alla produzione di energia. Ed è l’importanza di questo legame che l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha riconosciuto nel World Energy Outlook, stimolando iniziative e ricerche che puntano all’efficienza energetica e all’adozione di altre fonti di energia pulita.
106 ˜ enel foundation RIDURRE IL CONSUMO: LE INIZIATIVE DI ENEL di Carlo Ferrara, Renata Mele e Christian Zulberti
109 ˜ ENGLISH VERSION
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benvenuti nella energy valley. Dove l’innovazione è un’attituDine, una vocazione, un talento.
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contributors
Hanno contribuito a questo numero 01˜ Andoni Luis
02˜ Pierluigi
03˜ Emanuela
Aduriz
Bonora
Colombo
Chef stellato basco, nel 1993 ha iniziato a lavorare al ristorante El Bulli, diretto da Ferran Adrià. Dal 1998 dirige il Mugaritz, dal 2006 annoverato tra i migliori dieci ristoranti al mondo secondo Restaurant Magazine.
Giornalista al Giornale di Montanelli dal 1989, ne è diventato caposervizio, vicecaporedattore e nel 2011 caporedattore. Da quest’anno, ne è collaboratore e continua a curare la pagina dei motori e numerosi servizi speciali.
Professore associato e delegato del Rettore alla Cooperazione e Sviluppo al Politecnico di Milano, detiene la Cattedra UNESCO Energia per lo sviluppo sostenibile. È Adjunct Professor all’istituto Nelson Mandela, di Arusha.
04˜ Barbara
05˜ Marcel
06˜ Alessandro
Corrao
Dicke
Farruggia
Giornalista, ha lavorato al Messaggero specializzandosi in economia e, in particolare, nel settore dell’energia. Attualmente, è caporedattore di FIRSTonline, quotidiano web di economia e finanza.
Professore di Entomologia all’Università di Wageningen, in Olanda, si occupa di insetti in relazione all’agricoltura. Nel 2007 ha ricevuto il premio Spinoza. Sostenitore dell’uso di insetti nell’alimentazione, è tra gli autori di The Insect Cookbook.
Giornalista, si occupa di esteri, ambiente, economia, e politica. Tra i vincitori del premio Energia Ambiente dell’Enea, dal 1992 segue i vertici sull’ambiente e insieme al fisico Vincenzo Ferrara è autore di Clima istruzioni per l’uso.
07˜ Cary
08˜ Livio
09˜ Federico
Fowler
Gallo
Golla
Fondatore di ONG in campo alimentare e agricolo, ha ricevuto il Right Livelihood Award. Nel 2006 è diventato direttore del Global Crop Diversity Trust, di cui oggi è consigliere. Ha contribuito alla fondazione del Global Seed Vault.
Direttore della Divisione globale infrastrutture e reti di Enel, dal 2010 al 2013 è stato Presidente e fondatore dell’Associazione EDSO for Smart Grids e in precedenza Responsabile commerciale clienti vincolati di Enel.
Laureato in Ingegneria elettronica al Politecnico di Torino, nel 1981 è entrato in Siemens, dove ha ricoperto incarichi nel settore medicale. Dopo esperienze all’estero, nel 2009 è diventato AD di Siemens S.p.A. e, nel 2014, Presidente.
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Presidente di Enel da maggio 2014, è stata amministratore delegato di Siemens Informatica e dal 2008 di Olivetti, di cui ha assunto la presidenza nel 2011. È inoltre consigliere di amministrazione di Fiat Industrial, di Space e di Anima Holding.
Giornalista, è autore del libro The Urban Food Revolution: Changing the Way We Feed Cities. Durante il suo mandato come consigliere comunale a Vancouver, ha lavorato con il Vancouver Food Policy Council per creare orti urbani.
Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è stato Sottosegretario di Stato dello stesso Ministero sotto il Governo Letta. Dal 2013 presiede la Commissione di coordinamento per le attività EXPO.
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Responsabile dell’Area di Ricerca su Sviluppo Sostenibile e Innovazione della Fondazione Centro Studi Enel, è entrata in Enel nel 2007 coordinando studi sugli impatti ambientali e sociali di grandi infrastrutture e impianti di generazione.
Responsabile dell’Area di Ricerca Socioeconomica della Fondazione Centro Studi Enel, ha lavorato a ricerche e programmi su fonti rinnovabili, efficienza energetica, cambiamento climatico e regolamentazione del settore elettrico.
Commissario unico delegato del Governo per Expo, nel 1998 è diventato AD della Società Pneumatici Pirelli. Nel 2009 è stato nominato direttore generale del Comune di Milano e, dal 2010, AD di Expo 2015 S.p.A.
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Docente di Politica agraria internazionale e comparata a Bologna, ha fondato il Last Minute Market e presiede il comitato scientifico del piano nazionale di prevenzione rifiuti. È presidente del Centro Agroalimentare di Bologna.
Direttore del Crossmodal Research Laboratory di Oxford, si occupa dei modi con cui il cervello gestisce le informazioni provenienti dai sensi, in particolare riguardo al cibo. Autore di articoli e pubblicazioni, ha ricevuto l’Ig Nobel per la nutrizione.
Vice direttore del The Economist, ne è anche digital strategist. È autore di diversi libri, tra cui Una storia commestibile dell’umanità, edito in Italia da Codice, per cui è appena uscito anche I tweet di Cicerone.
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Direttore della Country Italia di Enel dal 2014, ha lavorato per Citibank, l’IRI e il Ministero dell’economia e delle finanze. È stato consigliere di amministrazione di Finmeccanica, Alitalia, Wind ed Enel, dove è entrato nel 2002.
Co-inventore dell’Impronta Ecologica, è presidente del Global Footprint Network. Autore di articoli e libri sulla sostenibilità, tra cui il Living Planet Report del WWF International, ha ricevuto riconoscimenti, tra cui il Blue Planet Prize e il Binding Prize.
Ricercatore di Enel Foundation, si occupa di cicli di produzione di energia, accesso all’energia e mobilità urbana sostenibile. Ha lavorato nei settori di innovazione e ricerca e sviluppo di Enel, Endesa e Repsol, su rinnovabili e reti integrate.
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editoriale
LA BUSSOLA DELLA SOSTENIBILITÀ di Maria Patrizia Grieco Presidente Enel
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Dal primo maggio sono aperte le porte dell’Esposizione Universale di Milano, una vetrina mondiale in cui ogni Paese può mostrare il meglio delle proprie eccellenze, per dare risposta a un’esigenza vitale per l’umanità: garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri. Ma a Expo 2015 non si parla solo di cibo; questi sei mesi sono anche l’occasione per discutere di soluzioni energetiche sostenibili, un’altra tematica fondamentale per il futuro dell’umanità. Non c’è vita senza cibo, ma non c’è neanche vita senza l’energia che ci consente di curarci, nutrirci, riscaldarci, muoverci. Cibo ed energia hanno molto in comune: le risorse naturali, fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo, sono infatti scarse e limi-
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tate, e la loro domanda è in continua crescita. L’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che nel 2040 la popolazione mondiale passerà dai sette miliardi del 2012 a nove, con una conseguente crescita della domanda energetica globale circa del 40%. Sul fronte del cibo, secondo la FAO, per soddisfare i fabbisogni alimentari mondiali sarà necessario, entro il 2050, un aumento della produzione globale di cibo tra il 70 e il 100%. Un trend che ci spinge a ripensare l’attuale modello di sviluppo in termini di consumi e impatti ambientali. Se dunque le risorse sono limitate, il vero problema è come utilizzarle al meglio per consentire uno sviluppo sociale ed economico più sostenibile nel lungo periodo. Esiste, infatti, una forte disuguaglianza nel modo in cui queste
risorse sono distribuite e consumate: da una parte c’è chi, avendone facilmente accesso o possedendone in abbondanza, non le utilizza in modo razionale, e dall’altra c’è chi invece non vi ha accesso. Un terzo della produzione globale di alimenti, pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, è sprecato ogni anno, una quantità che sarebbe più che sufficiente a sfamare gli 800 milioni di persone nel mondo che oggi soffrono di denutrizione. Una contraddizione messa in evidenza ancora di più dal fatto che per ogni persona affetta da denutrizione ve ne sono due obese o in sovrappeso (2,1 miliardi). Lo stesso paradosso si riscontra anche in ambito energetico: 1,4 miliardi di persone non hanno ancora accesso all’energia a fronte di un’altra parte del mondo con sistemi energetici in sovraccapacità produttiva. In un contesto come quello delineato, l’innovazione tecnologica giocherà un ruolo chiave per definire soluzioni e trovare nuovi equilibri tra disponibilità di risorse e loro consumo. Le modalità di utilizzo delle risorse, in Paesi come il nostro, hanno già iniziato a modificarsi. La parola chiave per capire questa evoluzione è sostenibilità e se ne vedono già gli effetti nei business model dei due settori che, per molti versi, sono diventati sempre più simili e comparabili. È simile il profilo del consumatore, che evolvendo è divenuto più sofisticato, e sempre più spesso oltre a essere consumatore è diventato anche produttore. Per esempio, i clienti del mercato energetico sono molto più attenti a come viene generata l’elettricità e al suo impatto sull’ambiente. Un’attenzione che riscontriamo anche nel settore alimentare, dove i consumatori tengono sempre più in considerazione cosa mangiano, la qualità del cibo e come i prodotti sono stati coltivati. Inoltre, si sta sviluppando un’attenzione sempre maggiore nei confronti dei comportamenti delle aziende; non è un caso il vero e proprio boom di prodotti biologici, equosolidali o a chilometro zero cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Cibo ed energia hanno anche in comune alcune caratteristiche nella dinamica evolutiva della catena del valore: una produzione sempre più intelligente, razionale e meno intensiva, una distribuzione più efficiente e una maggiore condivisione delle risorse. Oggi la generazione di energia si avvicina sempre più alle persone attraverso impianti distri-
buiti sul territorio, che consentono ai cittadini di produrre l’elettricità nel punto stesso in cui la consumano. Allo stesso modo sono sempre più diffusi gli orti coltivati nel proprio giardino, sul terrazzo o in spazi comunali. La produzione è, inoltre, sempre più rispettosa dell’ambiente: i consumatori preferiscono coltivazioni che limitano l’uso di pesticidi e promuovono l’utilizzo di tecniche di coltivazione meno intensive per preservare il territorio. Un’attenzione all’ambiente che ritroviamo anche nel mondo dell’energia, dove continua a svilupparsi la ricerca di nuove tecnologie per produrre elettricità in modo più pulito. Per ciò che riguarda la distribuzione nel settore energetico, le smart grids rappresentano lo strumento più innovativo per sostenere i nuovi flussi di energia bidirezionali che sono anche in grado di offrire ai clienti nuove soluzioni tecnologiche. In ambito alimentare, l’utilizzo di prodotti locali assume sempre più importanza nella grande distribuzione o nella ristorazione, e si pone l’accento sulla provenienza dei prodotti anche rispetto all’impatto sull’ambiente. La parola chiave per poter creare un futuro inclusivo ed equo è appunto sostenibilità, che si realizza e perpetua nel tempo attraverso l’innovazione, come una sorta di bussola per la definizione delle linee strategiche nel mondo d’oggi. Sostenibilità vuol dire fare scelte considerando le conseguenze sulla società e sull’ambiente nel lungo periodo; vuol dire lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Per un’azienda come Enel sostenibilità significa agire quale parte integrante di una comunità, pensando ai propri prodotti e ai propri servizi anche come strumenti in grado di dare soluzioni ai bisogni delle persone prima ancora che dei consumatori. Questa Expo è dunque una grande occasione di scambio di esperienze e di condivisione di idee per individuare nuove soluzioni sostenibili. È l’opportunità di mettere in mostra le grandi eccellenze che l’Italia ha e non deve dimenticare di avere. Enel rappresenta una di queste grandi eccellenze e ne siamo orgogliosi, perché è la dimostrazione del nostro ruolo nel percorso di crescita e di sviluppo di questo Paese, delle nostre competenze industriali e tecnologiche. Quelle competenze che, sul fronte dell’innovazione tecnologica, ci consentono di rappresentare all’Expo una nuova visione del futuro dell’energia.
La parola chiave per poter creare un futuro inclusivo ed equo è “sostenibilità”, che si realizza e perpetua nel tempo attraverso l’innovazione. Una bussola per il mondo d’oggi
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editoriale
UN PATTO PER IL CIBO di Maurizio Martina Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
Sono convinto che i 20 milioni di visitatori attesi a Expo possano diventare altrettanti ambasciatori del diritto al cibo nel mondo 012
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C’è un’Italia appassionata e fiduciosa dietro Expo Milano 2015. Ha il volto di ognuno di noi e crede nella forza del sistema Italia, nella straordinaria piattaforma di opportunità che rappresenta e nella potenza del suo messaggio. Perché la vera anima dell’Esposizione Universale sta proprio nel suo contenuto, “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, che sintetizza la questione alimentare globale. Il diritto al cibo ci pone davanti a un grande tema di equità e di giustizia, di lotta alle diseguaglianze, di ridistribuzione delle possibilità, salvaguardia della biodiversità e tutela di beni essenziali come acqua e terra. Tutto questo è Expo Milano 2015, la prima Esposizione che sarà ricordata per il suo contributo al dibattito internazionale e all’avvio di un processo partecipativo senza precedenti. L’Italia guida questa discussione dando un apporto importante. Lo facciamo con i vari progetti Laboratorio Expo, Women for Expo e Feeding Knowledge, per citarne alcuni, ma soprattutto con la Carta di Milano, un vero e proprio patto tra i cittadini del mondo su grandi tematiche: il paradosso alimentare della malnutrizione e dell’obesità, la lotta alla denutrizione e agli sprechi idrici e alimentari, oltre alla riflessione sulla gestione delle risorse naturali e sull’agricoltura del futuro. Tutti, associazioni, rappresentanti delle istituzioni e del mondo acca-
demico, nel corso dei sei mesi dell’Esposizione possono sottoscrivere questo documento, che a ottobre consegneremo al Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in vista degli Obiettivi del Millennio. Sono convinto che i 20 milioni di visitatori attesi a Expo possano diventare 20 milioni di ambasciatori del diritto al cibo nel mondo, affinché “cibo sano, sufficiente e sicuro per tutti” non sia un semplice slogan, ma una condizione realmente condivisa. Il cibo è da sempre sinonimo di condivisione e, proprio condividendo obiettivi comuni con gli oltre 140 Paesi partecipanti a Expo in tema di alimentazione, cominciamo ad abbattere tutte quelle barriere create dalla mancanza di occupazione, dall’esclusione sociale, dalla mancanza di risorse, ridefinendo i concetti di limite e di potenza. Expo deve aiutarci ad accelerare e rilanciare, a comprendere che non basta la flessibilità ma servono sempre più investimenti, anche in campo tecnologico, rinnovamento e capitale umano, sostenendo al meglio il modello agricolo italiano. Bellezza, saper fare e innovazione sono dunque le chiavi che dobbiamo utilizzare per raccontare il nostro Paese e lanciare una sfida al mondo grazie al grande tema di Expo Milano 2015. Questa non è l’Italia che vorremmo, ma l’Italia che siamo chiamati a essere, con orgoglio e senso di appartenenza.
Expo Milano 2015 è la prima Esposizione che sarà ricordata per il suo contributo al dibattito internazionale e all’avvio di un processo partecipativo senza precedenti
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intervista
IL TEMPO DELLE IDEE Intervista a Giuseppe Sala
Commissario Unico per Expo 2015 di Stefano Milano Giornalista
Tutto il mondo a portata di mano in un’edizione di Expo che si fa spazio di racconto e confronto, e stimolo per nuove idee. Ospitati dal Paese che ha fatto della sua alimentazione un’eccellenza, oltre 140 nazioni e gli attesi 20 milioni di spettatori sono coinvolti in un dialogo su cibo, distribuzione equa delle risorse, energia e sostenibilità : le leve per il benessere del nostro pianeta. 015
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Il nome “Esposizione Universale” fa immediatamente pensare alla Londra del 1851 o all’Expo del 1889 che lasciò in eredità a Parigi la Tour Eiffel. Ma oggi questo evento grandioso, che cinque anni fa ha portato a Shanghai 78 milioni di persone e che ne porterà circa 20 a Milano, è qualcosa di molto diverso. Delle prime esposizioni fatte alla vigilia della seconda rivoluzione industriale mantiene il desiderio di presentare, in uno spazio unico e con architetture costruite ad hoc, genio e inventiva dei Paesi coinvolti. Ma oggi, al centro dell’attenzione non vi è la messa a confronto delle potenze industriali e tecnologiche. Riunirsi e discutere di temi che toccano tutti e ai quali tutti possono contribuire, risolvere problemi, scambiarsi opinioni e progetti: questo è lo scopo delle esposizioni universali contemporanee. Mettere in mostra idee. Ed è proprio il cambio di prospettiva che, dopo una perdita di attrattiva a fine Novecento, nelle ultime tre edizioni ha risvegliato l’attenzione di spettatori e nazioni. A Milano si mette sul piatto il tema del cibo, unica vera risorsa primaria per il nostro futuro, energia per la vita degli individui e del pianeta. Non è solo questo a rendere importante l’Esposizione: idee, prospettive, numeri e novità di Expo Milano 2015 Oxygen li esplora con il suo Commissario Unico Delegato del Governo Giuseppe Sala.
non finisce qui: tappe fondamentali sono anche le quattro aree tematiche che fanno da filo conduttore durante la visita. Spazi dedicati all’introduzione alla visita (Padiglione Zero), alla distribuzione alimentare e ai nuovi consumi (Padiglione del Cibo del Futuro), alla ricchezza e varietà vegetale (Parco delle Biodiversità) e all’educazione dei bambini (Children Park). Oggi, con il livello di connessione e condivisione raggiunto, è ancora necessario riunirsi e mostrarsi fisicamente in un contesto come quello dell’Expo? La tecnologia ha compiuto passi da gigante: basta un click sul pc, sul tablet e sul telefonino per essere catapultati in maniera istantanea dall’altra parte del mondo. Viviamo in un’epoca globale e globalizzata, dove la connettività e l’innovazione fanno parte del nostro modo di vivere quotidiano. Expo Milano 2015 è dunque l’occasione migliore per poter dialogare in tempo reale con centinaia di realtà, associazioni, istituzioni provenienti da ogni parte del pianeta. Ecco, insomma, uno dei tanti valori aggiunti dell’Esposizione Universale: per sei mesi il mondo è ospite di Milano e dell’Italia.
Expo Milano 2015 è l’occasione migliore per dialogare con centinaia di realtà, associazioni, istituzioni provenienti da ogni parte del pianeta
Spesso le Esposizioni Universali sono definite dei “grandi parchi a tema”. Eppure questa definizione rischia di sminuirne serietà e portata. Può spiegarci invece perché sono ancora un evento importante? Perché Expo Milano 2015 è un evento straordinario. In un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadrati, il visitatore ha a portata di mano tutto il mondo: un esempio innovativo di connessione e condivisione tra popoli, usanze e costumi. Per sei mesi, dal 1 maggio al 31 ottobre, circa 140 Paesi del mondo si presentano con le loro eccellenze agroalimentari e tecnologiche. Un vero e proprio tour coinvolgente per i 20 milioni di visitatori attesi, che possono ammirare gli oltre 50 padiglioni nazionali self-built, oppure fare tappa tra i nove cluster, villaggi espositivi che raggruppano in totale più di 80 Paesi accomunati dalla produzione di un alimento – caffè, riso, cacao, cereali e tuberi, frutta e legumi, spezie – o da una tematica alimentare specifica – biomediterraneo, agricoltura e nutrizione nelle Zone Aride, isole, mare e cibo. Ma l’offerta espositiva 016
Cibo ed energia: un argomento delicato dal quale dipende il nostro futuro. Perché l’Italia ha scelto di essere centro nevralgico di discussione su un tema così centrale? Nutrire il pianeta in maniera equilibrata è un argomento quanto mai di attualità per il futuro dell’umanità. Il tema dell’Esposizione Universale è un invito ad adottare politiche condivise per arginare la scarsità di acqua, di risorse agricole e naturali, un appello a evitare gli sprechi e a impegnarsi fattivamente per garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti. In tal senso, Expo Milano 2015 – e conseguentemente l’Italia – rappresenta un laboratorio di innovazione e ricerca. È un momento di confronto e di dibattito internazionale per trovare soluzioni concrete e condivise, anche sul fronte dell’utilizzo intelligente dell’energia – penso alla smart grid che il nostro partner Enel ha sviluppato ad hoc per l’evento. Dando prova diretta di quello che sappiamo e possiamo fare, il nostro Paese avrà un ruolo centrale per la definizione di quelle linee guida che permetteranno di assicurare sviluppo sostenibile, sicurezza alimentare e qualità della filiera produttiva.
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Conosciamo quel che l’Italia ha dato fino a oggi al mondo del cibo, ma che contributo può dare, attraverso il cibo, al futuro? Un contributo di grande competenza, innovazione tecnologica e ricerca scientifica. Il nostro Paese rappresenta un’eccellenza mondiale nell’ambito dell’agroalimentare e dell’enogastronomia. La professionalità dei nostri “addetti ai lavori” pone l’Italian food ai vertici mondiali del settore. Il geniale abbinamento tra tradizione culinaria, sapori millenari e tecniche di produzione innovative rappresenterà senz’altro un valore aggiunto, un esempio da seguire per tutti gli altri Paesi. Cosa può imparare Milano da questo evento e che cosa può insegnare? Abbiamo certamente molto da imparare dagli altri. L’Esposizione Universale però è un driver importante di cambiamento e di miglioramento, i cui effetti possono essere benefici se indirizzati al meglio. Attraverso Expo Milano 2015, possiamo dare dei segnali importanti. Per esempio, possiamo chiedere a tutto il mondo di prestare maggiore rispetto per l’ambiente e di impegnarsi nel diffondere una nuova consapevolezza alimentare. Si tratta di obiettivi ambiziosi, ma sicuramente raggiungibili, grazie al coinvolgimento di tutti gli attori presenti. L’Esposizione è anche un esempio di sviluppo sostenibile innovativo; pensiamo alla realizzazione della prima smart city del futuro, una città intelligente in cui le tec018
Il nostro Paese avrà un ruolo centrale per la definizione di linee guida su sviluppo sostenibile, sicurezza alimentare e qualità della filiera produttiva
nologie digitali sono a disposizione del visitatore. Insomma, un’interazione globale per godere di servizi dedicati, dove si dimostra come il progresso può rendere la vita dell’uomo migliore. Lasciare un’eredità è uno degli obiettivi intrinsechi a questo evento. Quale lascito da Expo Milano? In questo contesto mi piace soffermarmi su un’eredità di tipo immateriale, fatta di idee, proposte e soluzioni strategiche sul tema dell’alimentazione e della sostenibilità ambientale. Stiamo lavorando alla stesura della Carta di Milano, documento che sarà presentato al termine dell’evento al Segretario Gene-
rale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Si tratta di un testo che raccoglierà suggerimenti e linee guida ragionate sulla sicurezza alimentare. Expo Milano 2015 lascerà poi delle best practices, modelli di sviluppo in campo agroalimentare ed ecosostenibile che potranno guidare le azioni future di associazioni, società e governi. In quest’ottica, con la redazione del Rapporto di Sostenibilità nel 2013 e nel 2014, abbiamo sicuramente lanciato dei segnali importanti. Per la prima volta nella storia delle Esposizioni Universali, questa manifestazione ha pubblicato e pubblicherà a fine evento tutte le azioni intraprese per la tutela ambientale: una vera e propria legacy per i grandi eventi.
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contesti
IL MADE IN ITALY CHE NON TI ASPETTI articolo di Carlo Tamburi Direttore Italia Enel fotografie di White
L’occasione di raccontare l’innovazione, un tipo di visione del futuro, il panorama imprenditoriale, il modo di vedere le città di domani, le capacità di progettare. Expo 2015 è in tutto e per tutto la vetrina delle eccellenze italiane, e anche una “scuola” per i visitatori e per i molti Paesi che vi hanno aderito; raccontando l’Italia e un prodotto che non ti aspetti: l’energia del futuro. 020
L’obiettivo non è solo rendere visibile l’energia che alimenta la vita in Expo e fuori, ma anche farci provare cosa vuol dire gestire in maniera intelligente una risorsa preziosa
Numerosi studi e diversi operatori concordano sul fatto che Expo 2015 rappresenti per l’Italia una grande opportunità di rilancio economico e di attrazione degli investimenti: 2,7 miliardi di euro, pari allo 0,2% del PIL nazionale e allo 0,3% dei consumi totali, sono alcuni dei dati che, secondo Confcommercio, misurano l’impatto positivo che Expo porterà all’economia italiana. I Paesi stranieri stanno investendo 1,2 miliardi di euro per partecipare e la manifestazione, secondo gli organizzatori, porterà un’ondata positiva di produttività al sistema nazionale che dal 2012 (anno in cui Milano si è aggiudicata l’Esposizione) arriverà al 2020 con 23,6 miliardi di euro di produzione aggiuntiva, 191.000 persone impiegate direttamente o indirettamente, e circa 4,5 miliardi di euro di valore aggiunto per il turismo, che interesserà oltre 20 milioni di visitatori. Questo è quello che Expo 2015 rappresenta per l’Italia.
Ma è interessante provare a vedere anche cosa porta il nostro Paese all’Esposizione Universale e a tutti i suoi visitatori, un’esperienza che va ben oltre la cultura dell’alimentazione che ci viene universalmente riconosciuta. A Milano è infatti possibile scoprire un Made in Italy meno noto: un’eccellenza tecnologica e industriale in settori apparentemente non collegati al cibo, ma di grande attualità e rilevanza globale. Tra questi c’è l’energia, un “ingrediente” determinante per lo sviluppo di tutte le economie. Enel ha scelto proprio Expo per realizzare la prima smart city “green field” al mondo, una rete elettrica costruita da zero per uno spazio paragonabile a una città di oltre 100.000 abitanti, come la maggior parte dei centri urbani italiani. Nella smart grid di Rho, 100 cabine collegate in fibra ottica trasportano elettricità e informazioni in tempo reale e alimentano la “città” al 100% con energia elettrica. Expo usa solo elettricità per qualsiasi attività: per illuminare e alimentare le tecnologie espositive, garantire le temperature ideali dei padiglioni, cucinare, muoversi nell’area perimetrale; e tutta l’energia dell’Esposizione Universale è monitorata e gestita in maniera intelligente dall’Energy Management System, che governa l’intero sito, fino ai singoli padiglioni. È la prima volta che queste tecnologie vengono applicate tutte insieme in uno spazio così grande, contribuendo a un’esperienza urbana completamente nuova e finalmente concreta: una vera smart city, più pulita, efficiente, digitale, costruita su misura per le persone che la vivono. Non è un caso che questo modello di architettura urbana sostenibile nasca in Italia: il nostro è il Paese con la rete elettrica più automatizzata e digitalizzata del pianeta. Enel ha una leadership internazionale nel settore e, prima al mondo, ha introdotto soluzioni come il telecontrollo e i contatori digitali che hanno radicalmente trasformato il modo di distribuire l’energia. Questo modello di smart grid sarà applicato anche in altri Paesi, tra i quali alcuni in cui Enel è presente con la rete di distribuzione, e diventerà una soluzione italiana esportata in tutto il mondo. È questo “il Made in Italy che non ti aspetti”: la tecnologia e l’innovazione che possiamo diffondere e che costituiscono un traino dell’industria nazionale. A Expo presentiamo tutte le innovazioni del sistema elettrico, che partono dalla rete e coinvolgono l’intera filiera produttiva, dagli impianti al consumo, fino agli strumenti nelle mani dei cittadini. Grazie ad esse, abbiamo la possibilità di ridisegnare il modello di produzione e di 021
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MODULI CINETICI Nel Padiglione Enel a Expo 2015, una parete con 144 moduli cinetici specchianti rappresenta tutta l’energia, i flussi e la vita della smart grid, con movimenti sempre coordinati che disegnano onde e increspature su una superficie assolutamente hi-tech. Un progetto dello studio di design torinese TODO.
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adattarlo alle nuove dinamiche di mercato e di consumo più partecipato da parte dei clienti: le centrali sono più piccole, distribuite sul territorio, il consumatore stesso produce l’energia che gli serve e trova sempre più spazio la produzione green. Già oggi in Italia oltre un terzo dell’elettricità consumata è rinnovabile e la rete intelligente che mostriamo a Expo ne supporterà ancora di più la crescita. L’elettricità si estende sempre più a nuove applicazioni nella quotidianità delle persone, anche in ambiti come mobilità e riscaldamento domestico, come accade nel sito di Expo. Software e device di nuova generazione trasformano il ruolo dei consumatori, che hanno maggiori informazioni sui propri consumi e, quindi, la possibilità di fare scelte più efficienti e consapevoli. Proprio la consapevolezza dei consumi è uno dei grandi temi di Expo 2015: la scarsità di risorse per una popolazione che cresce a ritmi costanti e la sensibilità ambientale spingono infatti i cittadini a essere più responsabili e a cercare un ruolo attivo, a informarsi, a consumare meglio e a riconciliarsi con il territorio. Il modello di consumo dell’energia va in questa direzione e l’Italia ha raggiunto un elevato livello di maturità culturale e tecnologica, grazie anche alle soluzioni per l’efficienza energetica disponibili per i cittadini. Vogliamo che tutti i visitatori di Expo 2015 abbiano la possibilità di acquisire consapevolezza su questi temi e abbiamo lavorato per rendere visibile il nuovo concetto di energia nel nostro padiglione espositivo, per far conoscere a tutti come la tecnologia trasforma la nostra quotidianità. La control room, al centro del padiglione, rende l’Energy Management System uno strumento informativo accessibile ai visitatori tramite un grande display, e un percorso di pannelli e video lungo 107 metri racconta l’evoluzione dell’energia e le soluzioni che ormai le persone hanno nelle loro stesse mani. L’obiettivo non è solo rendere visibile l’energia che alimenta la vita in Expo e fuori, ma anche far provare a ciascuno di noi cosa vuol dire gestire in maniera intelligente una risorsa preziosa. Enel non si è occupata solo della rete elettrica, ma anche dell’illuminazione di
Expo: 8500 punti luce a LED intelligenti, fra cardo, decumano e strade interne, coniugano design italiano e risparmio energetico con consumi ridotti del 36% rispetto a soluzioni tradizionali. Molti padiglioni, tra cui il Padiglione Italia, fiore all’occhiello dell’Esposizione, sono inoltre illuminati con le tecnologie di Enel e i visitatori possono godere della bellezza e delle forme più artistiche di una luce che rispetta l’ambiente. Attraverso l’energia, il nostro Paese diventa quindi un esempio per tutti coloro che intendano approfondire i comportamenti più responsabili: una piccola città che in sei mesi diventa una megalopoli multiculturale in cui transiteranno all’incirca 20 milioni di persone. E se i singoli visitatori possono imparare piccoli gesti, i molti Paesi presenti possono conoscere tecnologie all’avanguardia da importare per rinnovare i sistemi energetici alla base del loro sviluppo. Expo diventa condivisione e circolazione di cultura, conoscenze e tecnologie, anche per le aziende che partecipano. L’Esposizione Universale ha lanciato una sfida a Enel, che l’ha colta per realizzare un progetto mai realizzato prima, almeno in queste dimensioni, e l’ha valorizzata anche come occasione di crescita per chi lavora in azienda. Infatti, accanto alla smart city abbiamo creato un campo scuola per i tecnici, che possono conoscere e testare sul campo la tecnologia che nel prossimo futuro gestirà le nostre realtà urbane. Enel ha realizzato per Milano 2015 un’ultima tecnologia, cruciale per l’evoluzione del sistema elettrico: proprio nel cuore del Padiglione Italia, che alla fine dell’Esposizione diventerà un centro di eccellenza permanente per l’innovazione, abbiamo costruito una grande batteria da 270 chilowatt, un sistema di stoccaggio innovativo che garantirà energia costante e che, speriamo, contribuisca ad alimentare le nuove idee che da qui nasceranno. Innovazione, ricerca, capacità di costruire beni che durano nel tempo e di progettare servizi che migliorino la qualità della vita delle persone e del pianeta: questa è l’energia italiana e questo è il modello industriale e di consumo che l’Italia porta a Expo.
A Expo presentiamo tutte le innovazioni del sistema elettrico, che partono dalla rete e coinvolgono l’intera filiera produttiva, dagli impianti al consumo, fino agli strumenti nelle mani dei cittadini
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scenari
LO SCAMBIO INTELLIGENTE articolo di Barbara Corrao Giornalista
I grandi temi di Expo 2015, cibo ed energia, hanno vite parallele e tangenti. Il loro futuro, infatti, dipende da soluzioni e strategie comuni, come sostenibilità ed efficienza, e le loro risorse possono essere proficua e reciproca merce di scambio. Se il cibo dà energia con i suoi scarti, l’energia può aiutare il cibo a crescere. Un percorso verso il futuro che li renderà sempre più interdipendenti.
Mangiare cibo, consumare energia. Il cibo è energia vitale, l’energia alimenta il nostro benessere. Il cibo racconta la nostra storia, l’energia il nostro sviluppo. Etica, cultura, filosofia, economia si intrecciano in questi due elementi così importanti per la nostra esistenza e ci pongono le nuove sfide del millennio, che puntano a consumi più consapevoli, riduzione degli sprechi, produzione intelligente, distribuzione efficiente, rispetto dell’ambiente e crescita. Anche per queste ragioni cibo ed energia si incontrano e si rincorrono, entrambi indispensabili per alimentare le nostre esistenze. Quanto e come, lo vedremo da vicino in questa Expo, che si misura con l’obiettivo “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Se il cibo ci riporta alle nostre radici, l’energia ci proietta nel futuro. Sono due strade che continuamente si incrociano poiché spesso dipendono l’una dall’altra, nel bene e nel male; ma soprattutto entrambe si trovano al bivio di scelte coraggiose che presuppongono un forte cambiamento nel nostro modo di vivere e di consumare. Certo, continueremo ad andare in macchina per spostarci nelle città, ma la nostra auto avrà un motore elettrico; oppure manterrà l’ibrido, ma lo nutrirà con biocarburante ottenuto dagli scarti agricoli, che potranno anche alimentare impianti di generazione elettrica a biomassa, come già accade in misura crescente in molti allevamenti e aziende ortofrutticole. Per non parlare degli orti urbani indoor e dell’autoproduzione domestica in cui pomodori e insalata crescono, magari anche in salotto, grazie alle lampade a LED, le più efficienti. Visioni eccentriche? Non tanto se il World Outlook 2014 dell’International Energy Agency (IEA) prefigura un boom delle rinnovabili del 190% (in termini di potenza installata) entro il 2030. Di sicuro nei prossimi decenni non potremo più permetterci modelli di consumo improntati allo spreco o all’uso incauto delle risorse del pianeta, limitate e perciò preziose. Questa consapevolezza è ormai entrata nella nostra cultura e spinge verso rivoluzioni virtuose i cui effetti concreti si cominciano già a toccare con mano: nel 2014 per la prima volta l’economia globale è cresciuta mentre le emissioni di CO2 sono aumentate. «Questo fatto mi dà la speranza che l’umanità riuscirà a lavorare insieme per combattere il cambiamento climatico, la più grave minaccia a cui dobbiamo far fronte», ha commentato Fatih Birol, chief economist della IEA, nel presentare i dati. Siamo allora di fronte a una svolta epocale? È bello pensarlo ed è giusto crederci. Per ora il fatto certo è che lo scorso
Cresce il bisogno di cibo, ma anche quello di energia; 800 milioni di persone entreranno nella “middle class” e salirà la concentrazione della popolazione nelle aree urbane. Con questi numeri come reggerà la Terra? 025
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anno il livello di emissioni di CO2 si è fermato a quota 32,3 miliardi di tonnellate, mentre il PIL globale è cresciuto del 3%. Merito soprattutto – osserva ancora l’Agenzia – del lungo pressing ecologico dell’Europa, di un maggior impegno degli Stati Uniti e della recente riconversione cinese. Un cambio di rotta che non potrà non avere un impatto favorevole sulla Conferenza di Parigi di fine 2015, da cui dovrebbe emergere il piano globale di tagli alle emissioni serra. Questi risultati sono stati ottenuti con notevoli sforzi anche da parte delle imprese dell’energia. Ma è solo un lato della battaglia sulla sostenibilità. Guardiamo all’alimentazione mondiale: «Expo apre i battenti su uno scenario globale allarmante. Le statistiche dicono che per sfamare i futuri nove miliardi di abitanti della Terra, la produzione agrico026
la dovrà aumentare del 60% entro il 2050. Ma soprattutto, questo è un mondo in cui oggi 805 milioni di persone soffrono la fame», ha dichiarato a febbraio al “Corriere della Sera” il direttore generale della FAO, José Graziano da Silva. Eppure «cresce rapidamente il problema dell’obesità e molti Paesi in via di sviluppo, specie quelli con reddito medio, si trovano oggi a dover combattere contemporaneamente sia la fame sia l’obesità». È uno dei tanti paradossi dell’equazione alimentare. L’altro, altrettanto grave, è quello dello spreco, secondo la FAO pari a 1000 miliardi di dollari l’anno a livello globale; un disastro a cui l’Italia contribuisce con 8,1 miliardi di cibo sprecato (dati dell’Università di Bologna, Last Minute Market). Lo spreco alimentare ogni anno nel mondo, inoltre, è responsabile dell’immissione in atmosfera di circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente: per dare un’idea della vastità del problema, se fosse un Paese, sarebbe il terzo emettitore mondiale dopo Stati Uniti e Cina. «Oggi un terzo del cibo venduto nelle nostre città viene buttato via. Uno spreco insulso che ha conseguenze devastanti sulle risorse naturali. Sprecare cibo, suolo, energia, risorse, è un lusso che non ci possiamo più permettere» è la conclusione di José Graziano da Silva. Cresce il bisogno di cibo, ma anche quello di energia; entro il 2030 si stima che 1,5 miliardi di persone conquisteranno l’accesso all’elettricità in Africa, America Latina e Asia con una crescita del 30% dei consumi elettrici pro capite. Contemporaneamente 800 milioni di persone faranno il loro ingresso nella middle class e la concentrazione della popolazione nelle aree urbane passerà da 3,9 a 6,3 miliardi di abitanti. Con questi numeri come reggerà la Terra? Le economie mature hanno avviato pratiche virtuose, giudicate ancora del tutto insufficienti a salvare il pianeta dal surriscaldamento climatico dal Quinto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change. Eppure i segnali si moltiplicano verso un’accelerazione dei percorsi a chilometro zero, alimentari o energetici. Enel è impegnata sia sul fronte dell’innovazione sia su quello dell’efficienza. Secondo
Cibo ed energia si trovano al bivio di scelte coraggiose che presuppongono un forte cambiamento nel nostro modo di vivere e di consumare
Enel è impegnata sia sul fronte dell’innovazione sia su quello dell’efficienza: secondo il bilancio di sostenibilità, il 46,7% dell’energia che produce proviene da fonti a zero emissioni
il bilancio di sostenibilità, il 46,7% dell’energia che produce proviene da fonti a zero emissioni. E la svolta verso una crescente quota di produzione green con l’impegno di abbandono progressivo di nuovi investimenti nella filiera del carbone ha convinto il direttore esecutivo di Greenpeace International, Kumi Naidoo, a stringere la mano all’AD Francesco Starace, dopo anni di tenace contrapposizione. Enel non è la sola, tra i colossi dell’energia italiani, ad avere intrapreso questa strada. Eni, per esempio, ha ridotto del 44% le emissioni di anidride solforosa nell’aria e del 65% il gas flaring (la coda di fuoco dei gas associati alla produzione di petrolio), oltre a essere impegnata in diversi progetti di supporto allo sviluppo agricolo in Nigeria, Tunisia, Iraq e Congo. Anche Terna, proprio in questi giorni, ha lanciato l’idea di un nuovo patto sulla sostenibilità, con ricadute anche normative, per «mettere insieme il meglio della società che guarda avanti», come ha affermato la presidente Catia Bastioli, a fronte di investimenti per l’innovazione sulle reti da 3,9 miliardi nei prossimi cinque anni. La ragione di questa presa di responsabilità non è solo nella più diffusa consapevolezza che il patrimonio della Terra vada preservato per le future generazioni e che quindi sia necessario intervenire per rendere più sostenibile lo sviluppo. Ma sta anche nel fatto che ambiente e sostenibilità sono diventati un fattore di business irrinunciabile. Il rapporto Mc Kinsey Beyond the Storm – Value Growth in the Eu Power Sector ha consentito a Enel di stimare al 2020 una crescita di 15 miliardi per il giro d’affari mondiale legato, nelle economie mature, alle nuove opportunità di business più innovative: sistemi di accumulo, mobilità elettrica e reti di distribuzione digitali, integrazione delle rinnovabili e nuovi servizi al consumo. Il potenziale rappresentato dagli interventi di efficienza energetica, poi, è gigantesco: caldaie a condensazione, impianti di cogenerazione, pompe di calore, lampadine ad alto risparmio e a LED sono in grado di generare, nello scenario migliore, un aumento di PIL del 2,1% a fronte di 290 miliardi di chilowattora risparmiati, secondo l’ultimo rapporto 2015 del Politecnico di Milano. Cibo ed energia, benessere individuale e collettivo. La sfida per garantire tutto questo con un utilizzo più efficiente delle risorse disponibili è ormai lanciata e sarà senza ritorno. 027
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approfondimento
Energia sotto i denti articolo di Marco Boscolo Giornalista
Ciò che mettiamo ogni giorno sul nostro tavolo e sotto i nostri denti, oltre a essere energia per il nostro corpo, ha avuto origine proprio da una trasformazione energetica. L’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma: e così le piante crescono grazie alla luce del sole e grazie ad essa diventano nutrimento per noi e per gli animali di cui ci alimenteremo. Due carburanti, dunque, di cui avremo sempre bisogno e che dovremo saper preservare.
In una conferenza del 2003, il premio Nobel per la chimica Richard Smalley indicò quelli che secondo lui erano i più importanti problemi dell’umanità. Ai primi tre posti si trovavano, in ordine decrescente di importanza, energia, acqua e cibo. Smalley era convinto che vincere queste sfide avrebbe avuto effetti positivi per l’ambiente, per la lotta alla povertà e per la pace. In quella lista, il chimico americano aveva centrato il grande tema che caratterizza l’inizio di questo secolo e fa da fil rouge all’Expo milanese: il rapporto tra risorse energetiche e idriche e la capacità di produrre cibo sufficiente a sfamarci. In fondo, è sempre una questione di energia: il cibo è il “carburante” che ci tiene in vita e la sua produzione è lo sfruttamento della capacità delle piante di immagazzinare l’energia del sole. Il primo principio della termodinamica dice che l’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma. Cioè che ogni nostra cellula e ogni caloria che consumiamo deriva da ciò che mangiamo. Sot028
to il profilo energetico, il procedimento somiglia a quello che avviene nel motore dell’auto, con la differenza che non consumiamo subito tutta l’energia disponibile, perché il nostro corpo accumula scorte per usarle in futuro. «La capacità di deposito», spiega Gianna Ferretti, biochimica dell’Università Politecnica delle Marche ed esperta di nutrizione, «è un meccanismo di adattamento dei nostri antenati che di fronte alla scarsità di fonti alimentari dovevano sopravvivere, garantendosi le principali funzioni dell’organismo e bilanciando le necessità energetiche con le riserve di grasso». Quello che finisce sotto i nostri denti, che sia una bistecca, un piatto di pasta o uno spiedino di pesce, ha la sua origine energetica nella capacità delle piante di trasformare l’energia luminosa del sole in energia chimica attraverso la fotosintesi. A partire da anidride carbonica e acqua, con l’apporto della luce solare, le piante forniscono quei composti organici che, trasformati
o meno, chiamiamo cibo. E noi e gli altri animali, proprio dal processo opposto, la respirazione cellulare, otteniamo l’energia di cui abbiamo bisogno consumando cibo e rilasciando nell’ambiente un po’ di scarti. Da quando 10.000 anni fa è stata inventata in Medio Oriente, l’agricoltura è stata il più profondo fattore di trasformazione del pianeta. Abbiamo imparato a preparare i campi, seminare e raccogliere nel momento più opportuno. Abbiamo addomesticato una serie di piante, come i cereali, che si sono dimostrate fondamentali per lo sviluppo di intere civiltà, pensiamo al riso in Asia o al frumento in Europa. Lo scopo ultimo di questo sforzo era sempre lo stesso: assicurare una produzione sufficiente a sfamare una popolazione in crescita e un surplus da stoccare. Le innovazioni in agricoltura che si sono succedute nell’arco della sua storia plurimillenaria non hanno però ancora trovato soluzioni definitive ai problemi elencati da Richard Smalley, soprattutto sul fronte delle interdipendenze tra risorse e produzione di cibo. Un esempio lampante di questo stretto rapporto? Nel luglio del 2012, 620 milioni di indiani sono rimasti senza corrente elettrica perché nei laghi che alimentano le principali centrali idroelettriche di quelle regioni non c’era più acqua sufficiente ad alimentare le turbine: era stata estratta dagli agricoltori in un periodo particolarmente intenso di siccità. Per quanto riguarda l’acqua, oggi l’80% di quella che usiamo a livello mondiale serve all’agricoltura. Michael E. Webber dell’Energy Institute dell’Università del Texas ad Austin racconta, in un suo intervento su “Scientific American”, che «quasi il 13% della produzione energetica è usato per estrarre, depurare, trasportare, riscaldare, raffreddare e smaltire la nostra acqua». Qualsiasi innovazione che permetta sensibili risparmi in questi ambiti darebbe un significativo contributo per rendere più sostenibile la produzione di cibo. Un aiuto arriva dal matrimonio tra agricoltura e dati. È l’agricoltura di precisione che permette di dosare al meglio gli interventi, massimizzando lo sfruttamento delle risorse. Con sensori appositamente sviluppati si scansiona il campo coltivato e se ne ricava una mappa dettagliata in cui si evidenziano le differenze, metro per metro, del terreno. «I campi non sono tutti uguali», spiega Luca Toninato, presidente di AGER, agenzia che si occupa del trasferimento tecnologico in agricoltura. «Sapere in che punto, geo-
referenziato, c’è più bisogno di concime permette un’ottimizzazione, che significa risparmiare tra il 30 e il 40% del concime». È un approccio che può essere utilizzato anche per l’irrigazione, dove si sono sviluppati sistemi a goccia che massimizzano lo sfruttamento dell’acqua, e ci sono innovazioni anche sul fronte della semina, dove si progettano macchine in grado di distribuire sul terreno la quantità ottimale di semi. Capacità di analisi, curiosità e innovazione ci hanno permesso di inventare e migliorare l’agricoltura, e di capire come ricaviamo l’energia dal cibo che produciamo. Ma per riuscire davvero a dare da mangiare a tutti bisognerà non lasciare intentata nessuna possibilità né, tantomeno, dimenticare l’intima relazione tra risorse energetiche e cibo.
Quello che finisce sotto i nostri denti, che sia una bistecca, un piatto di pasta o uno spiedino di pesce, ha la sua origine energetica nella capacità delle piante di trasformare l’energia luminosa del sole in energia chimica con la fotosintesi
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intervista
RIMANERE ENTRO I LIMITI Intervista a Mathis Wackernagel Presidente del Global Footprint Network di Gianluigi Torchiani Giornalista
Noi cresciamo sempre di più e il pianeta si impoverisce. Ce lo dicono tutti e in tutti i modi: esperti, studiosi, giornalisti con affanno ci avvertono sui rischi del cambiamento climatico; che è solo uno tra i problemi che dobbiamo affrontare. Con il nostro modello di sviluppo abbiamo lasciato un segno indelebile del nostro passaggio ma possiamo ancora comprendere quali sono i limiti del pianeta e vivere all’interno di essi. L’umanità non può pensare di crescere all’infinito, da un punto di vista economico e demografico: un messaggio che, in tempi di difficoltà e recessione, è forse difficile da accettare per la maggioranza delle persone, ma che per l’ecologista Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network, rappresenta una strada obbligata. «Come tutti gli esseri viventi anche gli uomini dipendono dalle risorse ecologiche a disposizione per tutto quello di cui hanno necessità. Dunque anche la nostra economia è limitata dalle risorse disponibili, anche se – rispetto al regno animale – il discorso è un po’ più complesso: con il denaro si possono comprare i prodotti necessari anche da altri posti, se le materie prime dell’area geografica in cui ci si trova fisicamente sono poche o non sufficienti. Per esempio, Paesi come la Svizzera, ma anche l’Italia, utilizzano più risorse di quelle che il proprio ambiente è in grado di rinnovare, ma possono acquistarle altrove o utilizzarle senza neppure pagare, come quando usano l’atmo030
sfera e incidono sulla deforestazione senza sopportarne il costo economico». Secondo Wackernagel, la quasi totalità della popolazione occidentale vive in Paesi che consumano più di quello che l’ecosistema può rinnovare, ma che non avvertono il tema della scarsità globale delle risorse come un vero e proprio problema, perché la ricchezza economica permette ai cittadini di godere delle risorse acquisite dall’esterno. La scarsità è, invece, già oggi un problema grave per i Paesi che hanno un reddito medio inferiore alla media mondiale e che non hanno questa possibilità. E non si tratta certo di una minoranza: il 71% della popolazione mondiale deve fare quotidianamente i conti con queste difficoltà. La soluzione, secondo il presidente del Global Footprint Network, non è quella della crescita continua: «Le nostre società sono molto focalizzate nella produzione di reddito, tanto che tutti i politici, di destra e di sinistra, diventano parecchio nervosi e preoccupati quando gli indicatori del PIL nazionale presen-
*Percentuale dell’evoluzione prevista a inizio 0 2050 delle rese +100 agricole a causa del riscaldamento climatico. Dal verde al rosso i Paesi che avranno più o meno giovamenti dall’innalzamento della temperatura terrestre. -50
Dati non disponibili
*Fonte: 2033, Atlas des futurs du monde, Virginie Raisson, Lépac, 2012.
tano un segno negativo. In effetti, è veramente difficile spiegare alla gente che il reddito disponibile sta diminuendo. Avere sempre più ricchezza a disposizione sarebbe un sogno meraviglioso, renderebbe tutto più semplice ed è anche estremamente attrattivo da un punto di vista elettorale. Il problema è che il sistema economico, così come l’abbiamo costruito sinora, è basato sulla continua crescita economica, un modello che però non è fisicamente sostenibile. In buona sostanza siamo di fronte a una contraddizione fondamentale: da una parte abbiamo un sistema economico che non può essere stabile senza un’espansione continua, dall’altra un sistema ecologico che non può essere stabile con questa espansione». Ma da quali Paesi provengono i maggiori rischi per la stabilità ecologica del pianeta? Da quelli ricchi e industrializzati o da quelli in via di sviluppo, in crescita e assetati di risorse? Wackernagel non dà una risposta definitiva, sostenendo che dividere il mondo in bravi e cattivi è null’altro che un gioco. Piuttosto, la domanda che tutti quanti dovremmo porci è che cosa si vuole per il futuro o, meglio, che cosa potrebbe rendere maggiormente stabile il proprio Paese nel lungo periodo in un pianeta che, con gli attuali livelli di crescita, diventerà sempre più affamato di risorse. I rischi impliciti di questo modello riguardano tutti i Paesi, seppure con diversi livelli a seconda della disponibilità di beni e materie prime. Secondo Wackernagel, l’Italia si trova in una situazione rischiosa nel lungo termine, perché non possiede combustibili fossili ed è costretta a importarli da Paesi sempre più instabili. Al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare, però, le sue speranze non risiedono nell’intervento salvifico di un mega accordo internazionale su clima e ambiente: «Oggi c’è un completo fraintendimento, specie nei negoziati internazionali sul clima, perché alcune
Il sistema economico, così come l’abbiamo costruito sinora, è basato sulla continua crescita economica, un modello che però non è fisicamente sostenibile
Nota: I due studi raggruppano le aree del mondo in modo leggermente diverso. I Paesi segnalati a parte hanno un comportamento molto diverso dalla media dell’area geografica a cui appartengono.
RUSSIA
+1,5% EUROPA
+7% / 38%
ASIA CENTRALE E MEDIO ORIENTE
+5,6%
MEDIO ORIENTE
82%
AFRICA
+19% / 79%
Ripartizione demografica (2033) Percentuale di terra ancora disponibile da coltivare
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ASIA CENTRALE E ORIENTALE
80%
ASIA ORIENTALE
18,4%
GIAPPONE
+1,4%
ASIA MERIDIONALE
+24,8%
La quasi totalità della popolazione occidentale vive in Paesi che consumano più di quello che l’ecosistema può rinnovare, ma che non avvertono il tema della scarsità globale delle risorse come un vero e proprio problema
ASIA MERIDIONALE E SUDEST ASIATICO
23%
SUDEST ASIATICO
+8,5%
OCEANIA
+0,5% / 88%
Ripartizione demografica (2033) Percentuale di terra ancora disponibile da coltivare
nazioni pensano che in mancanza di accordo non si debba fare niente. Al contrario, ogni Paese dovrebbe agire in maniera ancora più aggressiva al proprio interno». Addirittura, ritiene che ci sia in questo momento un’aspettativa eccessiva rispetto al tema del cambiamento climatico, considerato comunque un fenomeno importante, che minaccia di fare molti più vinti che vincitori. «Penso che però si enfatizzi un po’ troppo l’aspetto climatico, per una serie di ragioni, in particolare perché le persone comuni tendono a dimenticare tutte le altre problematiche ambientali. Il climate change è poi complicato dai negoziati internazionali in corso, che sono però estremamente frustranti. Ritengo addirittura un vero e proprio accordo globale piuttosto improbabile: in passato ci sono stati almeno 20 negoziati che non hanno portato a nulla. Penso però che ci siano molte altre cose da fare, come frenare la crescita demografica, che sta continuando a ritmi piuttosto rapidi. Se il nostro obiettivo è avere vite migliori per tutti gli esseri umani sarà molto difficile raggiungerlo senza una decrescita della popolazione globale».
NORD AMERICA
+4,9% / 52%
Al contrario di molti altri ecologisti, Wackernagel non nutre particolari speranze neppure nel progresso tecnologico: «La tecnologia è tutt’altro che una cosa omogenea, quindi chiedersi se ci salverà è una domanda abbastanza stupida. Mi spiego: ci sono tecnologie che possono essere utili per diminuire la dipendenza energetica, penso per esempio a quelle connesse all’eolico, e allo stesso tempo ne esistono altre che ci legano di più ad essa». In questo panorama così complesso, cosa può fare un semplice cittadino? La risposta del presidente del Global Footprint, associazione che ha messo a punto l’impronta ecologica – lo strumento di contabilità che misura quante risorse naturali utilizza ogni persona –, non può che essere positiva: «Ci sono un sacco di cose che ognuno di noi può fare; innanzitutto informarsi sui rischi e prendere così decisioni migliori, che possono poi influenzare i nostri amici e, perché no, anche il dibattito politico». Insomma, la salvezza del pianeta, piuttosto che da difficili e complicate soluzioni internazionali, dipende da ciascuno di noi.
CENTRO AMERICA
72%
La domanda che tutti quanti dovremmo porci è che cosa si vuole per il futuro o, meglio, che cosa potrebbe rendere maggiormente stabile il proprio Paese nel lungo periodo
CENTRO AMERICA E SUDAMERICA
+8,3%
SUDAMERICA
78%
Alimentare il pianeta Infografica a cura di Centimetri
Produrre cibo a sufficienza per tutti, soddisfare la domanda di energia elettrica in aumento, possibilmente utilizzando fonti rinnovabili: ecco le due sfide principali che stiamo affrontando. Cibo ed energia dettano le regole del gioco del futuro e il mondo sta cercando la strada per assicurarseli. Quali sono le aree in cui crescerà la domanda di cereali (alimento di base per le persone e mangime per il bestiame)? Sono le stesse che saranno in grado di produrlo? I dati dimostrano che se non tutte sono pronte ad affrontare la domanda in aumento, altre potrebbero avere un surplus produttivo. In alcune zone del pianeta, complice l’aumento di benessere e il passaggio dal consumo di proteine vegetali a quello di proteine animali, sarà la domanda di cereali destinati all’allevamento ad avere la crescita più importante. E sempre dall’incremento dei consumi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, deriverà anche la domanda energetica e la necessità di soddisfarla. L’energia elettrica da parte sua diventerà sempre più a “chilometro zero”, perché le rinnovabili soddisferanno una buona fetta della domanda. Sono e saranno soprattutto i Paesi emergenti a dare il buon esempio, gestendo la loro crescita economica di pari passo con quella dell’energia pulita.
034
CIBO
Produzione e domanda di cereali (dati in milioni di tonnellate metriche)
LEGENDA
Per allevamento
+124%
+24%
+60%
+38%
Var. % 2050/2000
Per domanda totale
853 619
Produzione di cereali nel 2000 e previsione per il 2050 Domanda di cereali nel 2000 e previsione per il 2050
287 180
2000 Area geografica
2050
2000
2050
AMERICA LATINA E CARAIBI
EUROPA* E NORD AMERICA
+109,2%
+38,2%
AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE
NORD AMERICA
Com’è cambiato il consumo di elettricità verde (Var. % 2012/1990)
+78,2% +27,5%
Domanda di elettricità
Var. % 2035/2010
Domanda di elettricità globale nel 2010 e previsione per il 2035 Area geografica
4.659 875
1.559
2010
2035
AMERICA LATINA
ENERGIA
2010
5.939
2035
AMERICHE
Domanda di elettricità globale (dati in TWh)
Fonti: Ifpri, Oecd/Eia, Iea
* La divisione del mondo in sottoregioni nel rapporto dell'Ifpri è dovuta al modello IMPACT, che analizza e raggruppa 115 Paesi secondo molteplici fattori. Nord America ed Europa sono uniti perché leader della produzione cerealicola mondiale.
+14%
+13%
+157%
+152%
+300%
+100%
+189,1%
+102%
+71%
+31%
688 524 427 267
235
243 90
84 2000
2050
EUROPA DELL’EST * E ASIA CENTRALE
2000
182
2050
2000
2050
250
2000
2050
ASIA MERIDIONALE
2000
2050
AFRICA SUBSAHARIANA
MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA
ASIA ORIENTALE E PACIFICO
+108,2%
+111%
+135,3%
EUROPA
AFRICA
MEDIO ORIENTE
EURASIA
ASIA E OCEANIA
+110%
+115,6%
+46,5%
+156,1%
+7,1%
+267%
+21,8% 13.705
3.232
3.938
2010
2035
5.352 569
1.195
680
1.466
1.350
1.978
2010
2035
2010
2035
2010
2035
EUROPA
Il futuro delle rinnovabili nel mondo
(previsioni di produzione in TWh)
AFRICA
MEDIO ORIENTE
2015 2016 2017 2018 2019 2020
2010
EURASIA
5.724 6.030 6.340 6.672 7.000 7.313
2035 ASIA
TASSO MEDIO DI CRESCITA ANNUA
27,7% 035
Co
contesti
L A C I T TÀ DI EXPO È SMART articolo di Livio Gallo Direttore Divisione Globale Infrastrutture e Reti Enel
La città ideale è un sogno per molti: uno spazio dove vivere, con tutte le condizioni per poter stare bene. Ma perché ciò avvenga è necessario puntare a due obiettivi: l’efficienza dal punto di vista energetico e la sostenibilità. La soluzione non è una favola, si chiama smart city e si basa sulla smart grid, la rete elettrica intelligente realizzata da Enel per illuminare Expo e il futuro delle nostre città
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«C’era una volta un uomo intento a costruirsi la casa. Voleva che fosse la casa più bella, calda e accogliente del mondo. Vennero a chiedere il suo aiuto perché il mondo stava andando a fuoco. Ma a lui interessava la sua casa, non il mondo. Quando finalmente ebbe finito, scoprì che non c’era più un pianeta su cui posarla». Queste parole sono tratte dal libro The Prayer of the Frog di Anthony de Mello, gesuita e scrittore indiano. Tutti vogliamo che la nostra casa sia ospitata in un pianeta accogliente, ma perché accada dobbiamo ripensare la costruzione delle nostre città, del posto in cui viviamo, e lo dobbiamo fare in maniera condivisa. Expo è il luogo ideale di scambio di esperienze e d’idee per trovare soluzioni. Nel ricostruire le nostre città, le tecnologie giocano un ruolo importante per realizzare un modello di sviluppo urbano sostenibile a tutela dell’ambiente, integrando contestualmente efficienza energetica e sostenibilità economica, creando nuovi servizi per i cittadini e per le pubbliche amministrazioni. Le smart grid rappresentano l’infrastruttura di base delle smart city: nelle città intelligenti, infatti, i sistemi di trasporto sono elettrici e sostenibili, l’illuminazione pubblica è efficiente, gli edifici sono equipaggiati con sensori e attuatori finalizzati a ottimizzare i consumi energetici e a creare maggiore consapevolezza da parte dei cittadini, fornendo nel contempo maggiori informazioni alle istituzioni
per poter disegnare un piano di sviluppo urbano integrato con uno di sviluppo energetico. Le smart grid sono una risposta alla continua evoluzione tecnologica che oggi sempre più influisce sulla nostra vita. Evoluzione che si potrebbe riassumere in: meno ferro, meno rame, più silicio, più dati. Questo è un trend che Enel sta perseguendo da oltre dieci anni, esercendo 32 milioni di contatori intelligenti in Italia, mentre in Spagna è in corso il progetto per l’installazione di 13 milioni di contatori elettronici; infine, anche in Romania e America Latina sono in corso alcuni progetti pilota con l’obiettivo di portare tutte le reti nelle geografie Enel a una convergenza tecnologica. Negli ultimi dieci anni abbiamo realizzato uno dei più importanti sistemi di telecontrollo a livello europeo con più di 100.000 cabine secondarie monitorate e controllate da remoto: un’eccellenza che consente il recupero della maggior parte dei guasti sulla rete elettrica attraverso una configurazione automatica dell’assetto che ne riduce al minimo il numero. I nostri sistemi consentono la gestione e la supervisione in tempo reale degli interventi del nostro personale sulla rete nei territori dove siamo presenti, mentre sistemi avanzati effettuano previsioni e raccolgono le misure della produzione degli impianti rinnovabili, effettuando bilanci di energia sui diversi livelli della struttura di rete. Con la rete intelligente sarà possibile
Raccogliere informazioni attraverso l’intelligenza distribuita e avvicinare la municipalità ai clienti attraverso un servizio migliore è il traguardo da raggiungere con le smart city
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Nel ricostruire le nostre città, le tecnologie giocano un ruolo importante per realizzare un modello di sviluppo urbano sostenibile a tutela dell’ambiente
offrire servizi alle municipalità e ai cittadini, raccogliendo dai sensori delle città segnali quali temperatura, umidità, pioggia caduta, rifiuti nei cassonetti e qualunque tipo di rilevamento si possa immaginare. Raccogliere informazioni attraverso l’intelligenza distribuita e avvicinare la municipalità ai clienti attraverso un servizio migliore è il traguardo da raggiungere con le smart city. In America Latina, la nostra rete distribuisce l’energia nelle città più importanti: Bogotà, Santiago del Cile, Buenos Aires, Lima, Rio de Janeiro, metropoli che nel 2020 avranno più di dieci milioni di abitanti ciascuna; anche qui, quindi, il concetto di smart city, o piuttosto di mega city, sarà un elemento chiave per favorire efficienza energetica, sostenibilità economica e creazione di nuovi servizi cittadini. Expo 2015 rappresenta in nuce una vera e propria smart city, basata sulla smart grid, i cui obiettivi sono la gestione e il controllo della rete elettrica con l’ottimizzazione dei consumi dell’energia per i padiglioni dell’area espositiva. Tali tecnologie includono i più moderni sistemi per la gestione e il controllo della rete elettrica, per l’integrazione della generazione distribuita da fonti rinnovabili fino ad arrivare ai sistemi di accumulo dell’energia elettrica. In particolare Enel ha installato 100 cabine intelligenti, collegate tra di loro in fibra ottica, per la distribuzione dell’energia nell’intera area espositiva e per l’integrazione della generazione da fonti rinnovabili. Enel ha installato decine d’infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici che,
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perfettamente integrate all’interno della rete intelligente, saranno a disposizione di operatori e visitatori. Enel contribuisce anche a illuminare Expo con 8500 punti luce LED controllati da un sistema di telecontrollo integrato con la rete intelligente. I visitatori, attraverso gli strumenti di realtà aumentata e lo showroom, possono avere esperienza diretta dell’ottimizzazione energetica all’interno dell’area e conoscere quanto le moderne tecnologie possono fare per la salvaguardia dell’ambiente e per la realizzazione di un futuro sostenibile. L’attività di Enel si concretizza anche attraverso l’offerta ai Paesi espositori, con un catalogo di servizi modulari che possono scegliere in base alle loro esigenze e all’impronta di sostenibilità che vogliono dare al loro padiglione. Tra questi, la misurazione dei consumi e della produzione di energia, la visualizzazione dei dati aggregati e puntuali in tempo reale e il controllo dei carichi presenti all’interno del padiglione (Energy Management System); inoltre, Enel dà agli espositori la possibilità di installare corpi illuminanti a LED esterni controllati da un sistema integrato con l’Energy Management System e quella di installare postazioni di ricarica per veicoli leggeri, monitorandoli su tutto il sito espositivo. Ci auguriamo che questa opportunità di vivere una smart city all’interno di Expo possa essere importante per tutti i visitatori affinché contribuiscano personalmente e attivamente allo sviluppo sostenibile della nostra società e delle città del futuro.
focus
L’AUTO È CARICA di Pierluigi Bonora
Giornalista
Al recente CES di Las Vegas i costruttori di automobili hanno presentato una serie di soluzioni su come ricaricare le batterie di una vettura elettrica nel modo più rapido, economico ed ecologico possibile Sono anni che, tempestivamente, viene fatto il punto sull’auto elettrica. E lo stato dell’arte, almeno negli ultimi tempi, non cambia di una virgola. I prodotti ci sono e i costruttori che ci hanno investito più degli altri li hanno già a listino. Tra le case automobilistiche, comunque, non mancano i recalcitranti – come FCA – che vedono nell’auto elettrica un dispendio di energie, in questo caso economiche. L’ibrido (motore termico associato a uno elettrico), meglio se plug-in (con la possibilità di ricaricare l’unità elettrica da una semplice presa), in proposito, mette d’accordo tutti: FCA, impegnata su questo fronte, inclusa. Il settore è dunque pronto, e da tempo: le batterie di ultima generazione offrono maggiore economia e occupano sempre meno spazio; ciò che manca per far decollare l’auto elettrica sono le regole. Occorre, infatti, che l’UE dia seguito alle promesse fatte e vari una normativa specifica che, da un lato sostenga i continui investimenti dei produttori, e dall’altro stabilisca delle norme su come uniformare le stazioni di ricarica affinché non insorgano problemi di “spina” tra un Paese e l’altro. I singoli Paesi, invece, sono chiamati a un impegno maggiore allo scopo di agevolare l’acquisto di queste auto e creare soprattutto le condizioni affinché l’utente che decide di investire sull’auto elettrica non sia costretto a circolare solo in città, ma possa anche percorrere strade statali
e autostrade senza temere che il suo mezzo rimanga “scarico”. Enel ed Eni, in proposito, hanno dato vita a un piano per la mobilità elettrica attraverso l’installazione di un sistema di ricarica veloce denominato Fast Recharge Plus. Per il debutto, presenti i due AD, Francesco Starace e Claudio Descalzi, è stata scelta la Eni Station sulla Pontina tra Roma e Pomezia. Altre installazioni sono annunciate in Italia e l’ex ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, si era impegnato in questa direzione. Spetta ora al successore di Lupi, Graziano Delrio, mantenere la promessa di favorire, grazie all’apporto di Enel ed Eni, la nascita di una rete capillare di stazioni di ricarica extra-urbane nel Paese. Al recente CES di Las Vegas i costruttori di automobili hanno intanto presentato una serie di soluzioni su come ricaricare le batterie di una vettura elettrica nel modo più rapido, economico ed ecologico possibile. BMW, per esempio, ha presentato un sistema di ricarica domestica che si basa su pannelli solari collocati sul tetto del garage. C’è poi chi, sempre a Las Vegas, ha puntato ad assicurare il “pieno” di corrente in soli tre minuti. Insomma, le idee, la volontà e le iniziative non mancano, ma per far crescere i volumi di questo mercato, occorre un preciso impegno politico. I numeri, infatti, continuano a essere modesti. E, per adesso, non ripagano i consistenti investimenti fatti dalle case.
039
Ap
approfondimento
S M A R T GRID IN L U C E articolo di Federico Golla Presidente e Amministratore Delegato di Siemens Italia
Temi importanti coinvolgono non solo opere di rilievo ma anche i grandi nomi della tecnologia e dell’industria, che scendono in campo per portare il loro contributo nei mesi dell’Esposizione. E così ecco che il sodalizio nato tra Siemens ed Enel guarda al futuro della rete elettrica, grazie all’Energy Management System e a una gestione smart dell’energia che sarà il nutrimento di tutta la manifestazione. 040
L’innovazione è il collante, la cultura è nelle forme e nelle espressioni, l’essenza è nei messaggi e nei dibattiti. La sintesi è nella tecnologia. Expo 2015 sarà questo: innovazione, cultura, messaggi, tecnologia, e Siemens ha una certa esperienza di molti degli ingredienti dell’Esposizione Universale. Non solo ha partecipato a ben 19 edizioni, a partire dalla sua nascita nel 1847, ma ha l’innovazione incisa profondamente nel suo codice genetico. L’Esposizione Universale è sempre stata un palcoscenico per attrarre l’attenzione del mondo sulle innovazioni e sui grandi temi culturali che accomunavano (e tuttora accomunano) il destino e l’evoluzione dell’umanità. È nel 1851 che si arriva a una forma di fiera vicina a quella odierna, fatta non tanto per mostrare oggetti, quanto il progresso, per generare il dibattito sul bene comune, sui grandi temi di interesse generale, dal lavoro alla salute, dalla politica alle grandi conquiste sociali. Ma quella che poi sarebbe diventata l’Expo è sempre stata anche una sorta di trampolino di lancio al cambiamento, all’evoluzione del territorio circostante; l’esposizione in termini di opere straordinarie, pensate per essere temporanee e diventate, se non addirittura simboli, elementi perenni e magnifici testimoni di epoche importanti. Basti pensare alla Tour Eiffel (Expo di Parigi 1889) ora emblema di Parigi, al padiglione della Germania ideato per l’Expo di Barcellona del 1929 da Ludwig Mies van der Rohe, tra i maestri del Movimento Moderno, a Genova che si è affidata a Renzo Piano nel 1992. Oppure a Milano stessa, che ospitò l’Expo nel 1906. Tutti i padiglioni dell’esposizione furono pensati per un utilizzo temporaneo, tranne l’Acquario progettato dall’architetto Sebastiano Locati: allora era il padiglione dedicato alla piscicoltura, oggi è tra le più belle espressioni di edifici liberty di Milano. Anche a Roma l’Expo lasciò tracce, pur non aprendo mai i battenti. La città eterna doveva ospitare l’edizione del 1941 che si voleva allestire su un terreno da recuperare tra Roma e il mare, il polo dell’espansione a sud-ovest della città, l’EUR. L’Expo venne rimandata però al 1942, e infine sospesa per
la guerra, ma lasciò in eredità l’EUR. Non solo opere, però; l’Esposizione Universale è anche il luogo dei dibattiti, delle riflessioni. Per citarne alcune, quella di Bruxelles del 1958 aveva come tema dominante l’energia atomica, quella di Spokane, Washington, del 1974 fu la prima a eleggere a tema l’ambiente, ripreso a Okinawa nel 1975 e infine a Lisbona nel 1998. Nel caso dell’Expo di Shanghai 2010 il tema era grande, anche se espresso in modo semplice: “Better City, Better Life”, migliorare la qualità della vita, migliorando l’ambito urbano. Anche “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è un tema forte espresso in modo semplice. Quello su cui si basa Expo 2015 è il nutrimento in tutte le sue forme, dalla generazione alla trasformazione; ma anche l’energia, che è generata dal nutrimento e ne consente una valorizzazione e la trasformazione in un bene comune, che l’umanità deve impegnarsi a distribuire in modo equo e diffuso. I grandi temi proposti da Expo sono stimolo e sprone sia per i Paesi partecipanti sia per riflessioni e dibattiti, volti a sviluppare pensieri e linee di comportamento che, nell’auspicio di tutti, dovranno trasformarsi in azioni per migliorare l’esistenza di tutto il pianeta. Oltre alla parola “nutrire” il tema di questa edizione trova il suo centro nella parola “energia” ed energia non può certo essere disgiunta da Enel. Come Official Global Partner di Expo, Enel ha installato le tecnologie all’avanguardia che caratterizzeranno le città del futuro. Dal più moderno sistema per la gestione e il controllo della rete elettrica, la smart grid, fino agli impianti di accumulo dell’energia elettrica, alle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici e all’illuminazione pubblica intelligente ed efficiente, Expo
La partnership costruita tra Enel e Siemens non ha soltanto la logica dell’unione di eccellenze, ma segue anche la sintonia manageriale e l’unitarietà di visioni e missioni
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è uno showroom pulsante e attivo delle capacità di Enel. Competenze tecnologiche alle quali Siemens contribuisce con la sua ricerca e sviluppo, con la sua capacità ed esperienza globale. L’energia, infatti, è uno dei pilastri su cui poggia anche Siemens. Fin dalla sua nascita l’azienda ha avuto un rapporto molto stretto con l’energia e oggi le sue divisioni ne sono testimonianza per capacità innovativa e generazione di valore. Come Siemens non potevamo chiamarci fuori da un avvenimento di così grande portata e non potevamo farlo, a maggior ragione, se a coinvolgerci era Enel. Questa partnership non ha soltanto la logica dell’unione di eccellenze, ma segue anche la sintonia manageriale e l’unitarietà di visioni e missioni; parte da lontano, contrassegnata da tappe significative, come quella che nel 2009 ha permesso a Siemens di realizzare il sistema di controllo dell’infrastruttura di ricarica delle auto elettriche, nell’ambito del progetto e-mobility Italy di Enel e Smart. Da quel momento il nostro team milanese ha continuato a sviluppare know-how sui temi della mobilità elettrica fino a ottenere, nell’ottobre 2013, il riconoscimento di centro di competenza internazionale dalla nostra casa madre tedesca. Siemens è partner strategico di Enel per la tecnologia smart grid di Expo Milano 2015. Sviluppato da un team di ingegneri della sede Siemens di via Vipiteno a Milano, l’“Energy Management System”, è il cuore digitale alla base del funzionamento della smart grid, l’infrastruttura tecnologica che rappresenta il sistema nervoso dell’intera Esposizione. Un centro di controllo da cui è possibile verificare in tempo reale lo stato di funzionamento di tutti i dispositivi presenti nella rete di distribuzione energetica, effettuare operazioni di telecomando e supportare i processi di manutenzione ordinaria e straordinaria, segnalando l’eventuale presenza di guasti e anomalie. Agli espositori di Expo basta un semplice smartphone per consultare i consumi energetici, l’illuminazione e la cli-
matizzazione del proprio padiglione. Il sistema di gestione dell’energia che abbiamo sviluppato per Enel riceve anche i dati provenienti dalla piattaforma tecnologica che controlla l’infrastruttura di ricarica dei veicoli elettrici, quelli che si muovono intorno all’area della Fiera. Siemens ha fornito non solo gli applicativi software ma anche i rispettivi hardware, dai quadri di distribuzione primaria di media tensione agli apparecchi per la misurazione dei consumi energetici. Come accennavo, Expo è anche cultura e dalla tecnologia all’arte il passo può essere breve. Proprio per sottolineare la nostra prestigiosa presenza in partenariato con Enel, portiamo a Expo un contributo che sintetizza i valori della cultura e dell’innovazione. Abbiamo commissionato all’architetto Daniel Libeskind delle opere architettoniche che si ergono imponenti ai lati di Piazza Italia e rappresentano un tramite straordinario per comunicare la tecnologia. Ogni scultura, alta 10 metri e del peso di 14 tonnellate, si compone di tre sinuose eliche in alluminio che si intrecciano e sviluppano a spirale verso l’esterno, come i rami di un albero. Le opere animano Piazza Italia producendo dei suoni e un flusso costante d’immagini e forme pulsanti che richiamano i trend tecnologici del futuro, dalla fabbrica digitale all’energia sostenibile fino alle infrastrutture intelligenti: una combinazione ideale che congiunge arte dinamica e tecnologia. Sono migliaia i LED incastonati sulla facciata di due sculture, mentre le altre due emettono effetti sonori. Il volo degli uccelli ispira sia le emissioni luminose, che riproducono il fenomeno della murmuration prodotto dal volo degli storni, sia gli effetti sonori, nati grazie alla collaborazione tra Libeskind e l’artista Caleb Townsend. Expo 2015, dunque, come straordinaria sintesi dell’essenza del lavoro umano nella direzione di innovazione, cultura e tecnologia racchiusa nel messaggio chiave: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Con Enel e Siemens in prima fila.
Siemens è partner strategico di Enel per l’“Energy Management System”, cuore digitale della smart grid, l’infrastruttura tecnologica che rappresenta il sistema nervoso dell’intera esposizione
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ALBERI DI LIBESKIND “Ci vediamo in Piazza Italia, sotto gli alberiâ€?: è facile pensare che molti visitatori di Expo sceglieranno queste sculture alte dieci metri come punto di incontro. Firmate da Daniel Libeskind e realizzate da Siemens, le loro facciate illuminate a LED saranno un riferimento e una piacevole sosta, grazie agli effetti che riproducono il volo di uno stormo.
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In
intervista
SIAMO CIÒ CHE IMPARIAMO
Intervista ad Andrea Segrè
Professore di Politica agraria internazionale e comparata di Cecilia Toso
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Se è vero che siamo ciò che mangiamo, oggi siamo cibo sprecato e sbilanciato, poco sano o troppo elaborato; svalutando lui abbiamo svalutato noi stessi. Per ridare il giusto valore al cibo, la risposta è ri-educarci all’alimentazione. Solo con il giusto approccio e le informazioni corrette, infatti, mangeremo tutti, bene e in modo sostenibile. E faremo i primi passi nella giusta direzione. Dici lotta allo spreco alimentare e Piano Nazionale di prevenzione dello spreco del Ministero dell’Ambiente e dici Andrea Segrè. Dici Last Minute Market e dici Andrea Segrè. Dici Centro Agroalimentare di Bologna e Fabbrica italiana contadina e dici, ancora, Andrea Segrè. Insomma, in Italia quando si parla di sistema alimentare sostenibile non ci si può esimere da farne due chiacchiere con il professore di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, che da anni dà il suo contributo per migliorare l’idea che abbiamo del cibo. E per rimettere le cose al loro posto e fare rifunzionare un sistema alimentare evidentemente claudicante si può cominciare dal significato delle parole. Per esempio, secondo la lingua italiana, “consumatore” è qualcuno che consuma le cose, distruggendole; ma è così che possiamo definire qualcuno che compera gli alimenti per nutrirsi? «Io non mi sento un distruttore, così come, non producendo nulla, non mi sento un coproduttore. Fruisco invece dei prodotti: ecco perché penso che la parola “consumatore” dovrebbe essere abbandonata in favore di “fruitore”». Il presidente dello spin-off accademico Last Minute Market – che si occupa di salvare cibo ancora consumabile e ridistribuirlo per evitare che finisca nella spazzatura – puntualizza innanzitutto sui termini che usiamo quando parliamo di cibo, e così a “contadino” preferisce “agricoltore”, perché la prima deriva da contado, lo storico dominio dei proprietari terrieri sugli agricoltori, mentre la seconda si mette sullo stesso piano di “imprenditore”. E poi c’è la strana etichetta di “rifiuto”, il cibo che non vogliamo mangiare perché crediamo non sia più buono, che scartiamo o che mandiamo alle persone che consideriamo a loro volta lo “scarto” della società, i poveri, i senza dimora, le persone in difficoltà. Insomma, le parole, inutile dirlo, sono importanti
e raccontano le nostre abitudini; cambiarle è già un grande passo di consapevolezza sul tema alimentare e sul valore del cibo. Di valore del cibo si parla proprio nel libro uscito a febbraio per Einaudi: L’oro nel piatto. Oggi, secondo Segrè, il valore più grande per il nostro sistema cibo potrebbe averlo una giusta educazione alimentare, fatta direttamente nelle scuole. «Sarebbe un po’ come reintrodurre quella che era conosciuta come “economia domestica” e che trent’anni fa abbiamo abbandonato. Oggi l’educazione alimentare dovrebbe essere inserita nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, come se fosse un capitolo dell’educazione alla cittadinanza». E per l’altra parte della popolazione? «Si possono fare campagne a livello istituzionale e già ne esistono, ma il vero investimento, per il presente e per il futuro, è quello della scuola. Partendo da lì raggiungeremmo un quarto della popolazione tra studenti, insegnanti, genitori: un quarto! E poi oggi le nostre classi offrono una sfida ancora più grande, una sorta di sfida nella sfida: parlare a ragazzi con una sensibilità al cibo molto diversa, che varia a seconda delle loro origini. Partiamo da lì e poi piano piano verranno dietro tutti». Ed è soprattutto la lotta allo spreco – la battaglia principale di Segrè dal campo alla tavola, quindi dalla produzione agricola, passando per la distribuzione e finendo al consumo domestico e alla ristorazione – a vivere di corretta informazione ed educazione. Basti pensare che secondo l’osservatorio Waste Watcher grazie, per esempio, alle campagne di Un anno contro lo spreco oggi l’81% degli italiani annusa o assaggia il cibo scaduto prima di buttarlo; e non è per nulla scontato che ciò accada. Ma quindi, senza spreco, il nostro sistema alimentare potrebbe avvicinarsi a quella che sembra essere ormai la parola d’ordine del futuro, “efficienza”? «Io prima di tutto
Mangiare bene non vuol dire ricercare il cibo “alto”, ma puntare a quello medio, che è poi quello della nostra dieta mediterranea
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parlerei di eco-efficienza, che è legata alla sostenibilità e si distacca dalla smania di raggiungere l’efficienza a tutti i costi. Dobbiamo poi distinguere le due categorie: spreco e perdite. Un’economia sviluppata, per esempio, può puntare a un miglioramento, in termini di eco-efficienza, su tutta la sua filiera produttiva e anche nel consumatore», ha insomma gli strumenti per evitare inquinamento, costi sociali e di smaltimento che appesantiscono il sistema. In più abbiamo a disposizione ogni tipo di tecnologia per il consumatore: non mancano le app che aiutano a organizzare il frigo, a cucinare con gli avanzi, a condividere il cibo in eccesso; e poi c’è la nuova frontiera, il frigorifero in grado di segnalare la data di scadenza dei prodotti. Altra storia è quella dei Paesi in via di sviluppo che, invece, «sprecano meno a livello domestico ma hanno bisogno di un grande intervento nella parte produttiva e di trasformazione, dove mancano gli strumenti, le tecnologie, le organizzazioni agricole e le infrastrutture per conservare il cibo e distribuirlo prima che diventi immangiabile. Se è vero il dato FAO che se lo spreco fosse un Paese sarebbe il terzo inquinatore dopo Cina e Stati Uniti, il contributo che la riduzione dello spreco potrebbe dare all’efficienza globale è molto grande. Eppure efficienza e inquinamento sono parole che non fanno breccia nella consapevolezza delle persone. È piuttosto l’economia la leva su cui bisogna puntare. Ogni mese, per esempio, quasi metà del bonus di 80 euro del governo finisce nella spazzatura. Lo buttiamo via nonostante le difficoltà economiche, perché non è al cibo
che diamo la priorità. Ci spiega Segrè che «la percentuale del reddito che destiniamo al cibo è in media del 15%: il valore si dovrebbe abbassare se diventiamo più ricchi e aumentare se diventiamo più poveri. Quando il reddito pro capite cresce, infatti, la spesa alimentare non cresce nella stessa proporzione, perché non si può mangiare all’infinito. Può aumentare un po’, ci riempiamo lo stomaco, magari cambiamo dieta sostituendo, com’è accaduto in passato, le proteine vegetali con quelle animali, ma il resto del reddito lo destineremo ad altri beni, bisogni e desideri. Ma, con sorpresa, quando le persone perdono potere d’acquisto la percentuale in realtà non cresce, anzi, l’abbassiamo per poter soddisfare altri desideri. Abbiamo perso il senso della misura, e questa povertà economica si traduce in una povertà alimentare: non a caso le persone che hanno più problemi di salute legati all’alimentazione sono quelle più povere. Dobbiamo raccontare che se si spende il giusto per il cibo avremo, per esempio, minori spese sanitarie, meno soldi da dover spendere, poi, per cibi dimagranti, ecc.». Ancora educazione all’economia domestica. Scrive nel suo libro Segrè: «Si deve soltanto mangiare per vivere. E per vivere bene bisogna mangiare bene». Che non vuol dire ricercare il cibo “alto”, quello che secondo Segrè «ha stufato, perché alla fine è per pochi, non risolve i problemi, non è facilmente consumabile e spesso ha costi elevati. È il cibo medio quello a cui dovremmo puntare, che è poi quello della nostra dieta mediterranea». E lo dice a costo di suonare impopolare ma supportato dai dati: da una ricerca dell’Università di Bologna è emerso che una corretta dieta mediterranea costa circa un terzo di una dieta a base di fast food e due euro in più di quella che fanno oggi gli italiani. Due euro che però risparmieremo poi in costi sanitari, per esempio. La dieta mediterranea e il settore agroalimentare italiano sono pilastri delle ultime imprese di Segrè, prima fra tutte F.I.CO, la Fabbrica italiana contadina, che per certi versi «si colloca in continuità con Expo, un evento importante e irripetibile ma che ha una durata temporanea. F.I.CO, 80.000 metri quadrati, è un progetto di educazione alimentare permanente, una sorta di fattoria didattica molto più grande e approfondita. Ma, soprattutto, un esempio di quel che è, e può essere, l’agroalimentare italiano». Fabbrica contadina vuol dire coltivare la terra a
Il valore più grande per il nostro sistema cibo potrebbe averlo una giusta educazione alimentare, fatta direttamente nelle scuole
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rotazione, e a rotazione raccontare la filiera, mostrando coltivazione, produzione e dando la possibilità di degustare in loco. «Un progetto di questo tipo ha lo scopo di avvicinare le persone alla filiera e di creare ponti nel territorio, rendendo i suoi attori dei protagonisti. Tanto più reale sarà questa rappresentazione – e lontana dal circo del cibo – tanto più avrà successo l’educazione». Ideato da Segrè, ma gestito in parte da Oscar Farinetti, F.I.CO punta alla sostenibilità in ogni senso. L’energia che lo alimenterà, infatti, proviene dal tetto del CAAB, il più grande impianto fotovoltaico su tetto d’Europa e un importante caso di legame tra cibo ed energia. Il Centro Agroalimentare di Bologna – mercato ortofrutticolo e uno dei più grandi punti di distribuzione all’ingrosso del settore alimentare – aveva infatti un coperto di 300.000 metri quadrati che, agli occhi di Segrè, era uno spazio sprecato. Ricoprirlo di pannelli fotovoltaici, generare energia elettrica per il fabbisogno del CAAB (elettricità per i magazzini refrigerati) e per alimentare veicoli elettrici per il trasporto dell’ortofrutta è stato il passo logico. «Il CAAB è un laboratorio concreto di azioni che fanno capire che la sostenibilità economica, ambientale e sociale è possibile, si può fare. Volevamo vendere ortofrutta, e così abbiamo continuato a fare; solo che l’energia elettrica pulita è diventata un’occasione per farlo in modo ancora più sostenibile».
Se lo spreco fosse un Paese sarebbe il terzo inquinatore mondiale dopo Cina e Stati Uniti
PLAY ENERGY Con il progetto Play Energy di Enel, gli studenti possono conoscere il mondo dell’energia partendo da temi chiave di grande attualità: innovazione, efficienza, sostenibilità, tecnologia, consumo intelligente. Quest’anno, spazio anche al legame tra energia e cibo, due risorse fondamentali e un diritto per tutti.
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In
intervista
Futuro sotto zero Intervista a Cary Fowler
Consulente del Global Crop Diversity Trust di Michele Bellone Giornalista
Per spiegare a cosa serva la biodiversità è sufficiente pensare all’evoluzione: se non ci fosse stata la materia grezza su cui lavorare – e quindi un’immensa varietà di specie viventi – nessuno di noi sarebbe arrivato al punto in cui si trova. A 1300 chilometri a sud del Polo Nord esiste una delle banche che conservano qualcosa di molto più prezioso dell’oro: i semi del nostro passato e le radici per la nostra continua evoluzione. 048
La biodiversità rappresenta l’insieme delle varietà biologiche di tutti gli organismi viventi. Anno dopo anno, il numero delle specie a rischio di estinzione aumenta, erodendo un patrimonio ecologico di grande importanza. Spesso, quando si parla di perdita di biodiversità, si pensa agli animali, dai coralli ai corvi, ma questo pericolo grava anche su diverse piante. Un problema che ha conseguenze non solo a livello ecologico ma anche agroalimentare, dal momento che la varietà delle nostre colture si sta riducendo sempre più. Ma cosa le minaccia? «Il principale colpevole, sebbene non l’unico, è la modernizzazione del nostro sistema agricolo, con il suo approccio sempre più specialistico e influenzato dal mercato», dice a Oxygen Cary Fowler, consulente del Global Crop Diversity Trust, un’organizzazione internazionale dedita alla conservazione della diversità agricola di cui è stato direttore per sette anni. «Penso sia giusto che i contadini usino le varietà più moderne di semi, è la scelta più logica per loro. Non gli si può chiedere di far crescere piante che si sa essere sensibili a certe malattie o a certi parassiti. È normale che le varietà moderne sostituiscano quelle tradizionali, che però non possiamo permetterci di perdere, perché ciò ridurrebbe la varietà genetica di cui disponiamo».
Ma perché la diversità è così importante? Come può aiutarci a fronteggiare le emergenze alimentari? «La biodiversità è la materia grezza su cui lavora l’evoluzione», spiega Fowler. «Nel caso dell’agricoltura, siamo riusciti in parte a controllare questa evoluzione, pilotandola in modo da ottenere specie più adatte alle nostre esigenze. Se però il materiale di partenza si riduce, cala anche la nostra efficienza agricola». Più varietà di semi preserviamo, maggiore sarà la nostra capacità di aiutare le colture a evolvere. «Si tratta di garantire il ventaglio di possibilità più ampio possibile, in modo che le specie che coltiviamo possano continuare ad adattarsi ai cambiamenti ecologici», continua Fowler. «L’estinzione non è un evento che si realizza quando l’ultimo esemplare di una specie muore. L’estinzione inizia prima, quando una specie smette di evolversi». E qui entrano in gioco le banche dei semi, cioè un tipo particolare di banche genetiche nelle quali vengono conservati diversi tipi di semi, in genere quelli di colture alimentari ma anche quelli di specie vegetali rare. «Sono una sorta di backup, in caso alcune varietà andassero perse», spiega Fowler. E lui conosce bene l’argomento, avendo giocato un ruolo chiave nella nascita della più grande banca dei semi del mondo, il Global Seed Vault delle Svalbard. A vederlo sembra un bunker, un cuneo di cemento incastrato nel permafrost dell’isola di Spitsbergen, nell’arcipelago delle Svalbard, 1300 chilometri a sud del Polo Nord. Lì, in magazzini tenuti a -18 °C, ordinati e catalogati con cura, sono custoditi più di 800.000 campioni, appartenenti a 5099 diverse specie vegetali provenienti da 232 Paesi di tutto il mondo. «La maggior parte dei semi conservati nel Global Seed Vault appartiene a varietà che potremmo chiamare tradizionali, cioè quelle che sono state selezionate dai contadini fin dai primordi dell’agricoltura. È combinando quelle varietà che gli scienziati ottengono quelle moderne», dice Fowler. «Non abbiamo varietà OGM, ma ciò è dovuto alle severe restrizioni che il governo norvegese impone sulla loro importazione. Personalmente mi ritengo un agnostico sul tema degli OGM; il nostro ruolo è di conservare la biodiversità, non di decidere quale tipo di diversità merita di essere preservata». Il Global Seed Vault è una banca genetica diversa dalle altre. È una riserva di sicurezza per le altre banche dei semi regionali, nazionali e internazionali, che consente loro di compensare eventuali perdite di varietà agricole. «La struttura appartiene alla Norvegia ma i semi no, né tantomeno sono nostri», spiega Fowler. «Sono di chi li deposita, che
Nelle banche dei semi vengono conservati diversi tipi di semi, quelli di colture alimentari ma anche quelli di specie vegetali rare
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quindi ha accesso garantito ai propri semi, ma non a quelli altrui». Chi deposita semi, inoltre, non paga nulla, poiché i costi sono sostenuti dalla Norvegia e dal Global Crop Diversity Trust. Un’iniziativa a suo modo unica, che non sarebbe mai stata realizzata senza il lungimirante supporto del governo norvegese. «Credevo che ci avrebbero detto di no», racconta Fowler. «Ci hanno ascoltati per mezz’ora mentre presentavamo il progetto, ci hanno fatto qualche domanda e poi hanno detto “facciamolo”. Ero scioccato. È stato troppo veloce e… razionale. Non me l’aspettavo». Dopo l’approvazione ci sono voluti due anni per trovare i nove milioni di dollari necessari – interamente versati dalla Norvegia – e costruire la struttura, che è stata inaugurata nel febbraio del 2008. Un entusiasmo, quello del Paese scandinavo, dimostrato anche dalla presenza del Global Seed Vault su uno dei suoi francobolli. Ma un contributo significativo è arrivato anche da altre fonti, a partire dalla Bill & Melinda Gates Foundation, che ha sostenuto direttamente il Global Crop Diversity Trust. «Erano interessati a occuparsi di questo tema e ho fatto loro diverse proposte, una delle quali molto legata al Global Seed Vault», dice Fowler. «Ci sono banche dei semi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, che non hanno le risorse per preservare le loro varietà in maniera davvero efficace. I finanziamenti della Fondazione Gates hanno consentito al Global Crop Diversity Trust di andare in questi Paesi per raccogliere i semi
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più vulnerabili e farli crescere in buone condizioni. Le nuove varietà sane sono poi state ridate ai legittimi proprietari e noi abbiamo tenuto qualche campione da conservare nella nostra banca alle Svalbard». Il Global Seed Vault ha avuto un buon successo mediatico, è stato incluso da “Time” nella sua classifica delle migliori invenzioni dell’anno nel 2008 e si è guadagnato soprannomi apocalittici come “L’Arca del cibo” o “La Banca del Giorno del Giudizio”. «Sono termini che non abbiamo mai usato, se li sono inventati i media», precisa Fowler. «Eravamo addirittura preoccupati che simili soprannomi potessero generare scetticismo nei confronti del nostro progetto, dandone un’immagine diversa da quella che noi avevamo in mente. D’altra parte, ci hanno anche dato molta visibilità, il che è un bene. Abbiamo dovuto imparare a sfruttare questa visibilità senza però farci inquadrare in una cornice narrativa catastrofista, ai limiti del fanatismo». Un approccio importante, soprattutto se si vuole evitare di finire intrappolati in dibattiti polarizzati come quello sugli OGM, dove spesso le opinioni sono basate più sulle convinzioni politiche che sui dati scientifici. «Per fortuna, l’importanza della biodiversità agricola è riconosciuta in maniera trasversale e non è al centro di un acceso dibattito politico come altri temi di carattere ambientale e alimentare», commenta Fowler. «Salvare la diversità delle colture è importante a prescindere e sembra che questo messaggio si stia facendo strada nell’opinione pubblica».
«È normale che le varietà moderne sostituiscano quelle tradizionali, che però non possiamo permetterci di perdere, perché ciò ridurrebbe la varietà genetica di cui disponiamo»
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scenari
IL CIBO M U O V E I POPOLI articolo di Tom Standage Giornalista fotografie di William Kass
Spezie dell’India che si imponevano sulle tavole della nobiltà inglese, pomodori transfrontalieri incuranti della distanza tra le Americhe e il Vecchio mondo: il cibo non si è mai preoccupato di confini e distanze e da sempre ha messo in comunicazione gli uomini più di qualsiasi altra cosa. La globalizzazione non è mai stata così antica, e gustosa. 053
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Oggi pensiamo che la globalizzazione e il commercio internazionale siano fenomeni moderni: in realtà esistono entrambi da millenni, come dimostra chiaramente la storia del cibo. Tutto ha avuto inizio dalle spezie, ingredienti esotici il cui valore derivava dalle loro origini distanti e misteriose. Non sono necessarie a livello nutrizionale per il nostro corpo, ma il fatto che provenissero da luoghi lontani le rendeva costose, e quindi simbolo di benessere e di status sociale. Rappresentano inoltre una delle prime prove del commercio a lunga distanza. Il cardamomo dell’India meridionale era reperibile in Mesopotamia già nel terzo millennio a.C.; il faraone Ramses II d’Egitto fu sepolto nel 1224 a.C. con un grano di pepe proveniente dall’India inserito in ognuna delle sue narici. In un’onda espansiva, tra il 500 a.C. e il 200 d.C., la rete del commercio delle spezie che operava via terra e via mare abbracciò l’intero Vecchio mondo: la cannella e il pepe dell’India arrivavano fino in Gran Bretagna, mentre la noce moscata, il macis e i chiodi di garofano provenienti dalle cosiddette “isole delle spezie”, le isole Molucche, erano apprezzati in Cina e in India. Queste spezie, le più esotiche, raggiunsero persino l’Europa nel periodo tardo-romano. Plinio il Vecchio pensava che importare spezie dall’India fosse folle ed eccessivo; si potrebbe dire sia stato un precursore della riduzione dei food miles, ovvero della distanza percorsa dal cibo. Gli europei ebbero invece un ruolo marginale nel commercio delle spezie nei tempi antichi, cosa che non fece che aumentare il mistero e il fascino che le circondava e spinse proprio gli esploratori, in particolare quelli europei, a organizzare viaggi di scoperta per averne accesso diretto e per non essere costretti ad acquistarle tramite interme-
Vasco de Gama navigò verso ovest per raggiungere i mercati di spezie dell’India, mentre Colombo, conoscendo l’origine delle spezie, aveva cercato di raggiungere le Indie arrivando invece alle Americhe
MINIMAZE FOOD “Non si gioca con il cibo”; chissà se sono stati i rimproveri dei genitori di William Kass a fargli venire l’idea di usare proprio il cibo nei suoi set fotografici. E così ecco il mondo di Minimaze – FOOD: antichi greci che filosofeggiano sotto templi di feta, un uomo cannone lanciato da una zucchina, astronauti sbarcati su un piatto di spaghetti. Mondi piccoli, ma molto gustosi.
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diari arabi. Ancora una volta, cibo e globalizzazione erano strettamente collegati. Vasco de Gama navigò verso ovest, circumnavigando l’estremità sud dell’Africa per raggiungere i mercati di spezie dell’India, dando il via alla colonizzazione europea dell’Asia. Colombo, nel frattempo, aveva cercato di raggiungere le Indie (sapendole terra di spezie) navigando verso ovest, e arrivando poi invece nelle Americhe. È così che è cominciato il grande fermento della filiera alimentare globale, conosciuto come Scambio Colombiano, dato che le coltivazioni furono trasportate per la prima volta attraverso l’Atlantico. Colombo era partito per trovare oro e spezie di valore, ma le ricchezze che trovò furono piuttosto di natura culinaria: i suoi viaggi introdussero in Europa colture sconosciute provenienti dal Nuovo mondo – come mais, patate, zucche, pomodori, cioccolato, ananas e peperoncini – e dall’Europa verso il resto del Vecchio mondo. Il mais, in particolare, si diffuse in tutta Europa e raggiunse la Cina in pochi decenni dall’arrivo di Colombo nelle Americhe. Oggi crediamo che il peperoncino sia parte integrante della cucina thailandese e che i pomodori e la polenta lo siano della cucina italiana, ma entrambi sono stati introdotti abbastanza di recente dalle Americhe. I romani non conoscevano né pomodori né mais. Le coltivazioni alimentari viaggiarono anche verso ovest attraverso l’Atlantico: Colombo scoprì che le Indie Occidentali erano ideali per coltivare la canna da zucchero. La produzione di zucchero nel Vecchio mondo aveva portato ad avere estremo bisogno di schiavi e la sua esplosione nel Nuovo mondo fu alla base della tratta atlantica degli schiavi. Quest’orribile commercio di persone si sviluppò nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, e arrivò a costruire due triangoli di scambi sovrapposti. In uno, le materie prime,
zucchero in primis, arrivavano in Europa dalle Americhe, mentre i beni finiti, principalmente tessuti, erano mandati in Africa e utilizzati per l’acquisto degli schiavi, che venivano poi condotti nelle piantagioni di canna da zucchero nel Nuovo mondo. Il secondo triangolo dipendeva anch’esso dallo zucchero. La melassa, lo sciroppo denso ricavato dalla produzione di zucchero, veniva portata dalle isole dello zucchero alle colonie inglesi del Nord America, dove veniva distillata per ricavarne rum. Il liquore era poi mandato in Africa per essere utilizzato, insieme ai tessuti, come merce di scambio per l’acquisto degli schiavi. Schiavi mandati poi ai Caraibi per produrre altro zucchero, e così via. In Gran Bretagna, gli oppositori del commercio degli schiavi reagirono nel 1791 rinunciando allo zucchero e chiedendo a chi la pensava come loro di fare lo stesso. È stato un primo esempio di attivismo alimentare: riconoscere che il cibo sui nostri piatti (e lo zucchero nelle nostre tazze di tè) ci raggiunge attraverso collegamenti globali e che le nostre scelte alimentari possono avere conseguenze di vasta portata. Il cibo ha un potere politico unico, in larga parte perché mette in relazione i consumatori più ricchi del Paese con i contadini più poveri; inoltre, è un prodotto che si consuma, e mangiare vuol dire approvare profondamente quello che si sta mangiando. La storia ci ricorda che il cibo è da tempo qualcosa di globale, ha sempre collegato culture ed è stato spesso controverso. I generi alimentari che troviamo oggi nei supermercati, sui ripiani delle nostre cucine e nei nostri piatti ci mettono in comunicazione con altri Paesi e culture e con altri periodi storici, in molti modi inaspettati. Un pasto porta il mondo sui nostri piatti.
Un primo esempio di attivismo alimentare è riconoscere che il cibo sui nostri piatti ci raggiunge attraverso collegamenti globali, e che le nostre scelte alimentari hanno conseguenze di vasta portata
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contesti
ECOSISTEMA ENERGETICO articolo di Alessandro Farruggia Giornalista
A Expo la rete elettrica si tocca con mano, anzi, ci si immerge dentro. Questa l’idea del padiglione di Enel all’Esposizione Universale di Milano: una selva virtuale illuminata a LED, che si staglia da una griglia sensibile. Un viaggio all’interno del futuro dell’energia e un’esperienza che porta il fruitore in primo piano.
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Un viaggio in un bosco di alberi virtuali degno di un fantasy o della fantascienza – il pensiero corre all’albero casa e all’albero delle anime di Avatar, il capolavoro di James Cameron – per capire che nel mondo dell’energia sta cambiando tutto. Che la generazione di elettricità si avvicina sempre di più al territorio e alle persone attraverso impianti distribuiti, con cui cittadini e aziende producono energia nel posto stesso in cui la consumano, e nel quale le reti intelligenti sono lo strumento flessibile capace di supportare i nuovi flussi dinamici di energia. A Expo 2015 Enel racconta questo nuovo scenario con un padiglione interattivo studiato per comunicare, nella forma esterna e nel contenuto, il concetto dinamico di energia e di rete intelligente. Lo stile architettonico dà vita a
un sistema vivo, che permette ai visitatori di andare oltre, non solo a livello spaziale ma anche sensoriale; di fare un viaggio nel mondo dell’energia 2.0; di vedere dall’interno un centro di controllo di una rete intelligente e comprendere come le soluzioni per fornire cibo ed energia all’intero pianeta non sono poi dissimili e passano dalle stesse soluzioni: una produzione più intelligente, razionale e meno intensiva, una distribuzione più efficiente e una condivisione sostenibile delle risorse. Perfettamente in tema, quindi. La matrice iniziale è la rete intelligente. E se in Avatar gli alberi erano connessi l’un l’altro a un’estesa rete biochimica, nel padi-
Reale e virtuale si intersecano continuamente, perché nel mondo del 2015 un LED, un sensore, un relè non sono meno reali di una quercia
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glione gli alberi virtuali sono connessi alla smart grid, della quale i visitatori hanno la possibilità di vedere il cuore, e capirne la logica, attraverso gli 890 metri quadri del padiglione Enel, che si affaccia direttamente sul decumano di Expo 2015, tra il padiglione della Corea e quello del Brasile. Giusto accanto a quello di Save the Children. Il padiglione è stato progettato da Piuarch – uno studio fondato e gestito da quattro soci che guidano un team di 40 architetti – che ha voluto esprimere il concetto di condivisione dell’energia non con un “edificio contenitore”, ma attraverso la creazione di un volume virtuale, un luogo, generato su una base sulla quale si innestano 650 elementi verticali in policarbonato, illuminati e in costante divenire, che definiscono lo spazio. L’elemento principale è costituito da una griglia sensibile, visibile a terra sopra un terreno coperto di ghiaia, che è in grado di interagire con i visitatori e trasmette l’idea della condivisione dell’energia. Sulla griglia si innesta una serie di elementi cilindrici trasparenti realizzati in policarbonato – sorta di magici aghi di cristallo – del diametro di 15 centimetri e di altezze variabili tra i 5,30 e i 7 metri, che, illuminati dai LED posti alla base, generano un bosco virtuale che interagisce con i visitatori creando sorprendenti effetti luminosi e sonori. La percezione soggettiva del volume virtuale si modifica continuamente in relazione al punto di osservazione e al movimento delle persone, grazie alla sovrapposizione, all’allineamento e disallineamento degli elementi verticali. Ne emerge un’esperienza anche ludica. I visitatori percorrono una passerella in legno sinuosa e sopraelevata ma protetta da una copertura in plexiglass, nella selva di alberi virtuali che si apre su tre diversi boschi reali, ricchi di fiori ed essenze mediterranee, e che sono un richiamo al tema della sostenibilità. Reale e virtuale si intersecano continuamente, perché nel mondo del 2015 un LED, un sensore, un relè non sono meno reali di una quercia. Centro nevralgico dell’intero sistema è la control room, nella quale l’intelligenza che governa la rete 058
L’idea è presentare una sorta di ecosistema energetico tutto da esplorare e nel quale sorprendersi curiosi. Perché questo si attende il visitatore di Expo, di divertirsi acquisendo conoscenza elettrica di Expo diventa visibile. L’ambiente, immerso nel bosco virtuale, ha una grande macchina scenica composta da un ledwall verticale circondato da 127 elementi cinetici a specchio che si muovono in armonia con l’ambiente… proprio come l’energia; un grande display orizzontale permette ai visitatori di capire come funziona l’intero sistema delle smart grid, ma non solo. Vuole raccontare come è cambiato e come evolverà il mondo dell’energia. Quali innovazioni lo stanno percorrendo, cosa sta cambiando e ancor più cambierà per l’utilizzatore finale. «Oggi – dicono in Enel – fare energia significa coltivare risorse e farle crescere affinché soddisfino i bisogni delle persone, che le possono usare in maniera intelligente e sempre più diffusa». L’idea è presentare una sorta di ecosistema energetico tutto da esplorare e nel quale sorprendersi curiosi. Perché questo in fondo si attende il visitatore di un evento come Expo 2015: divertirsi acquisendo conoscenza. Non un’esperienza fine a se stessa, ma arricchente. Durante l’intero percorso, infatti, i visitatori possono interagire con contenuti grafici – l’infografica è in 3D – e multimediali. La flessibilità è massima: chi vuole un’esperienza light può semplice-
mente passeggiare nel padiglione e godersi le sensazioni; chi sceglie di approfondire ne ha l’opportunità. E non sarà raro che qualcuno, entrato per pura curiosità e magari determinato a una visita fugace, sia vinto dalla curiosità e finisca per rimanere molto di più di quanto aveva preventivato. Dopotutto questo è il bello del viaggio. Questo è il bello delle Expo. Il progetto del padiglione Enel, curato dall’architetto Germán Fuenmayor, è ispirato al lavoro dell’artista cinetico Jesús Rafael Soto, in particolare ai suoi “penetrabili” degli anni Sessanta. «Il padiglione Enel – dicono a Piuarch – è progettato per dare una forte componente emotiva. La visita è immersiva, il visitatore si trova circondato dal bosco virtuale e dal bosco reale in un ambiente protetto, in un camminamento lungo 107 metri, che è arricchito da una melodia diffusa che crea un ambiente evocativo. Un team di esperti di graphic design e produzioni video – lo studio TODO e l’agenzia (H) Films – ha poi curato tutti i contenuti per una visitor experience indimenticabile. Il padiglione è pensato per incuriosire e attirare, stimolando la partecipazione diretta, il perdersi al suo interno». E se i visitatori ne escono arricchiti, l’obiettivo è stato centrato. 059
Dv
data visualization
EXPO, GREEN CITY a cura di Oxygen Il sito di Expo racconta la città intelligente di domani: dai più moderni sistemi per la gestione e il controllo della rete elettrica, la smart grid, fino ad arrivare agli impianti di accumulo dell’energia elettrica, alle infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici e all’illuminazione pubblica intelligente. Uno spazio grande come una città da 100.000 abitanti, alimentato al 100% da energia elettrica. Le smart city coniugano in un unico modello urbano tutela dell’ambiente, efficienza energetica e sostenibilità economica.
100%
ELETTRICA La smart city di Expo
24
ORE DI ATTIVITÀ AL GIORNO Per gestire e controllare la smart grid dal centro operativo
8500
PUNTI LUCE A LED Per risparmiare nell’area espositiva circa 280.000 chilowattora grazie al sistema di illuminazione intelligente
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MEGAWATT È la potenza installata per il sito espositivo
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1.000.000
CHILOWATTORA I consumi stimati ogni giorno
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CABINE DI MEDIA TENSIONE Per la consegna dell’energia elettrica ai padiglioni
100
PUNTI DI RICARICA 30 sul perimetro del sito e 70 all’esterno per ricaricare i veicoli elettrici
100.000 ABITANTI
In uno spazio come Expo si può soddisfare il fabbisogno energetico di una città grande come Bolzano
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MILIONI I visitatori nei sei mesi di Expo: una città diventa una megalopoli
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STORAGE Per l’ottimizzazione locale dei flussi di energia (270 chilowatt)
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approfondimento
Strumenti per comunicare articolo di Simone Arcagni Giornalista
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Raccontare un evento della portata di Expo e renderlo qualcosa di ancora più grande di un’Esposizione Universale. Lo si fa grazie a tecnologie varie – più semplici o più complesse –, utilizzate per condividere e partecipare. Un evento che si fa smart e si immerge nella realtà dei social, dei video, della condivisione, delle webserie. E va persino oltre, aumentando la realtà.
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Trasferire informazioni, contenuti: comunicare un evento globale come Expo significa, oggi, tenere in considerazione tecnologie e canali molto diversi e variegati. Gli esempi offerti dalle ultime manifestazioni di portata mondiale, come le Olimpiadi e i Mondiali di calcio, ci hanno consegnato un sistema di comunicazione fatto di strategie transmediali e pervasive, che si servono di canali tradizionali e di media digitali. Un sistema caratterizzato, quindi, dalla convergenza e dalle tecnologie. Certo, Expo – come ci spiega Giacomo Biraghi, Digital
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and media PR di Expo 2015 S.p.A. – non è uno showcase tecnologico e soprattutto ha come sua prima missione quella di offrire un supporto valido agli espositori, i “condòmini”, come ama definirli Biraghi: «Dal punto di vista delle tecnologie, queste sono molto basilari, non ce ne sono di avanzate, ciò che conta davvero è che siano efficaci, sicure, affidabili. Devono essere funzionali alle attrazioni e agli eventi, che sono il vero core di Expo. Ci saranno grandi masse di pubblico e la prima esigenza è che ogni cosa deve funzionare, perciò tutto deve essere semplice.
Ci si serve di tecnologie consolidate, convenzionali, poi ognuno all’interno di Expo potrà avventurarsi dove vuole». OLTRE EXPO Come nel caso del padiglione tedesco, organizzato dalla Fiera del libro di Francoforte, che punta sulla realtà aumentata immersiva, offrendo a ogni visitatore un device e un’app con contenuti e informazioni aggiuntive, in modo che ognuno possa crearsi un tour personale e “aumentato”, per l’appunto. Il centro comunicativo dell’evento Expo è il 063
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suo decumano, verso cui si affacciano i padiglioni espositivi: la piazza e la strada come modello di una comunicazione che privilegia la presenza e l’incontro, supportato ovviamente da oggetti tecnologici come i totem che costellano questo spazio. Sui visori dei totem, infatti, passano notizie riguardanti gli appuntamenti, le mappe e i contenuti dei singoli “condòmini”. Ma ancora una volta il centro di Expo è un luogo fisico rappresentato da un grande teatro all’aperto della capienza di oltre 12.000 posti, dove hanno luogo spettacoli e incontri: un grande evento con il Cirque du Soleil è in calendario. PARTECIPAZIONE SOCIAL Ovviamente a supporto dei contenuti, come si diceva, vengono in aiuto diversi canali di comunicazione, dal sito tradizionale ai diversi social network integrati e aggregati che, dal 2013, raccontano Expo. Il team Social Media nasce da un accordo di convenzione tra la Triennale di Milano ed Expo Milano 2015 al fine di organizzare, preparare e gestire la comunicazione social. Il progetto coinvolge anche un gruppo di tirocinanti: cinque giovani visual e communication designer che si alternano ogni sei mesi. E, oltre ai tradizionali Facebook e Twitter – usati per far circolare informazioni, creare calendari ed eventi, ma anche per lanciare domande, richieste, accettare consigli e ascoltare opinioni – c’è Slideshare per mettere a disposizione degli utenti slide e presentazioni. Instagram e Pinterest invece sono dedicati ad archiviazione e condivisione di immagini e Delicious a scambiare siti e link “preferiti”. I social servono così a generare un archivio e una comunità attraverso lo scambio e la condivisione. Linkli.st per la rassegna stampa, Tumblr per il progetto “Expo Cluster Game” e scoprire così i nove cluster di Expo che rappresentano la storia del cibo e del mondo (culture, lingue, tradizioni), attraverso la partecipazione e un coinvolgimento sul modello dei giochi con domande e risposte. Mentre “Expo in pillole” è una sorta di webserie tutorial su YouTube con pillole 064
La tecnologia fa da supporto agli appuntamenti, costruisce un sistema di informazione e una piattaforma di partecipazione espansa e integrata, smart
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di informazioni, comunicazioni, note, suggerimenti per poter comprendere e vivere al meglio l’esperienza Expo. TECNOLOGIA PER TUTTI Anche il mondo del mobile è ovviamente al centro del progetto comunicativo e l’app ufficiale è quella progettata e realizzata da Accenture, mentre Dessault System ha realizzato il tour virtuale che già prima dell’evento permetteva di girare nello spazio milanese dell’esposizione e che durante l’Expo viene integrato con informazioni in tempo reale... una sorta di Second Life o di Google Street con cui interagire con gli spazi reali in remoto. Mentre Worldrecipes è un grande ricettario online, cui gli utenti possono contribuire attivamente discutendo con i blogger e diverse altre fonti referenziate: un flusso comunicativo che a oggi ha raccolto ben 45.000 ricette in italiano e 130.000 in inglese. Ma c’è spazio anche per un magazine, “ExpoNet”, pensato appositamente per l’evento e focalizzato, ovviamente, sui temi legati al cibo. Ma ad affiancare i canali ufficiali di Expo c’è anche una struttura Rai nata proprio per la “copertura” dell’evento; si chiama Rai Expo e si contraddistingue per un team creato appositamente per sfruttare al meglio modelli di comunicazione transmediale. Collabora infatti con tutta l’offerta Rai: le tre reti generaliste, quelle semigeneraliste e tematiche, i canali radio, la fiction, il cinema, l’editoria cartacea e virtuale e la direzione web. La struttura si contraddistingue per la creazione di contenuti pensati in maniera crossmediale e sperimenta tecnologie e format come i video di droni, i webdoc e infografiche, app e virali. E ai virali – brevi video con la capacità di penetrazione tra siti e piattaforme social – si affida anche il Padiglione Vaticano nel momento in cui il responsabile della comunicazione della diocesi di Milano, Don Davide Milani, decide insieme all’Università Cattolica di provare a raccontare l’esperienza del padiglione con un linguaggio giovane che guarda alle nuove tecnologie. EWall, totem interattivi, schermi,
siti, blog, social, app, le “isole digitali” realizzate da Telecom Italia, che sono aree tecnologiche per l’informazione e la comunicazione di e tra cittadini e turisti... insomma, la tecnologia fa da supporto agli appuntamenti, costruisce un sistema di informazione e una piattaforma di partecipazione espansa e integrata, smart. E accanto all’Expo Digitale troviamo infine una serie di luoghi ed eventi che si concretizzano nello spazio come le aree tematiche: dal Padiglione Zero che propone anche Short Food Movie, un progetto di video partecipati che passano all’interno della sala con la wall room di Expo. Poi il Future Food District, curato da Carlo Ratti, direttore del SENSEable City Lab del MIT di Boston, che presenta possibili scenari legati all’applicazione estesa delle nuove tecnologie a ogni passaggio della catena alimentare; e poi il Children Park, il Biodiversity Park e la mostra Arts & Food. Rituali dal 1851. Ubiqua, pervasiva e convergente, almeno sul piano della comunicazione prima dell’evento, la scommessa sembra vinta: ora tocca a Expo trascinare i contenuti e la partecipazione e quindi la seconda fase della comunicazione.
Ci si serve di tecnologie consolidate, affidabili e convenzionali, poi ognuno all’interno di Expo potrà avventurarsi dove vuole
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approfondimento
INTERNET OF FOOD La bottega è a casa articolo di Elisa Barberis Giornalista
Il cibo ha un futuro futuristico. Comprare e vendere, coltivare, cucinare e distribuire: l’Internet of Things è diventato l’Internet of Food. Come potrebbero essere la cucina e il supermercato del futuro? Come potremmo risolvere i problemi di distribuzione del cibo? La tecnologia entra in gioco anche nella cosa per noi più naturale del mondo, e non certo per snaturarla. 066
Display che tracciano la provenienza di ogni alimento, tablet per acquistare con un click robot che in pochi secondi imbustano e consegnano la spesa e sistemi di riconoscimento visivo in grado di consigliarci i migliori prodotti sulla base delle nostre preferenze e abitudini. Il supermercato del futuro è già una realtà e apre le porte a Expo 2015: nel Future Food District – 6500 metri quadrati nel cuore dell’Esposizione Universale – innovazione e cooperazione viaggiano insieme per darci un assaggio di come cambierà il cibo che mangeremo, ma anche il modo di produrlo, distribuirlo e portarlo sulle nostre tavole. Come il signor Palomar di Italo Calvino che, immerso in una fromagerie parigina, ha l’impressione di trovarsi al Louvre o in un’enciclopedia, perché dietro ogni formaggio c’è un pascolo diverso e dietro ogni oggetto esposto c’è la civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma, così anche i negozi di domani saranno piccoli musei, custodi di tutte le storie che i prodotti stessi saranno in grado di raccontarci attraverso semplici etichette intelligenti trasmesse in modo immediato agli utenti. Addio ai muri di scaffali labirintici, basterà un semplice gesto della mano per avere a disposizione tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. «Potremo scoprire tutto di una mela – racconta l’architetto Carlo Ratti –, l’albero da cui è stata raccolta o il viaggio che ha compiuto. L’anidride carbonica che ha prodotto o i trattamenti che ha subìto». Ratti, direttore del SENSEable City Lab del MIT che insieme a Coop ha ideato il padiglione del Cibo del Futuro, immagina una sorta di “Airbnb gastronomico”, un luogo di scambio aperto a tutti: venditori e acquirenti, che a loro volta diventano produttori. «Una trasposizione delle cosiddette dinamiche peer-to-peer – o “alla pari” – emerse negli ultimi anni nel mondo della rete». Ed è proprio da qui che nasce la grande rivoluzione del terzo millennio, che punta a cambiare l’intera filiera dal campo alla tavola. Il cibo è la nuova frontiera tecnologica, l’elemento più promettente della trasformazione digitale dell’impresa. Già oggi attraverso l’utilizzo
di Big Data e device all’avanguardia, grazie alla possibilità di essere sempre e ovunque connessi, sta cambiando il modello di business dell’intero comparto agroalimentare, migliorando il lavoro di milioni di agricoltori, coltivatori, produttori, ristoratori e professionisti del settore. È l’Internet of Food che guarda alla sostenibilità, aiutando ad assicurare tracciabilità e sicurezza alimentare, e si porta dietro un vocabolario tutto nuovo, tra agricoltura di precisione, smart kitchen, sistemi di cognitive cooking e social eating. Nel 2014, anno segnato dalla nascita di eBay Gusto e Amazon Dash, che permette di ordinare la spesa attraverso un pulsante, secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, il comparto grocery è cresciuto del 18%. Gran parte delle innovazioni nel percorso del cibo è nello shopping, che sempre di più facilita l’incontro tra il locale e il globale. Nascono così botteghe virtuali che danno la possibilità al piccolo produttore di miele della Lombardia o all’agricoltore romagnolo di trovare una vetrina, e ai clienti di farsi recapitare a casa frutta e verdura. Esperienze come quelle di Cortilia, il primo mercato agricolo online, Foodscovery, sistema di vendita diretta in tutta Europa dedicato a prodotti di nicchia e laboratori artigianali, e MySmartFood, che mette a disposizione anche una consulenza nutrizionistica, si fanno promotrici in tutto il mondo della qualità italiana a portata di click. Il piacere di toccare, annusare e scegliere dal vivo il prodotto è compensato dalla narrazione del prodotto
L’Internet of Food guarda alla sostenibilità, aiutando ad assicurare tracciabilità e sicurezza alimentare
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stesso, che si racconta attraverso le sue proprietà, chi l’ha creato, il tragitto che ha affrontato. Tutte queste informazioni, combinate alla possibilità di comunicare in modo trasparente con alimenti e produttori grazie a network e sistemi interattivi, trasformano l’acquisto e il consumo in gesti davvero consapevoli. Come ricorda Michele Casucci, imprenditore seriale e ambasciatore della Singularity University, «sofisticati sensori che misurano temperatura, pressione, umidità
I negozi di domani saranno piccoli musei, custodi di tutte le storie che i prodotti stessi saranno in grado di raccontarci attraverso le etichette intelligenti 068
e composti chimici possono aiutare soprattutto il modo in cui coltiviamo i prodotti della terra. Un esempio: oggi acqua, fertilizzanti e pesticidi vengono erogati “a pioggia” sui campi, quando invece si potrebbero utilizzare con interventi più mirati e meno costosi, risparmiando preziose risorse». Dagli orti verticali alle colture idroponiche, che prevedono l’immersione dell’apparato radicale delle piante nell’acqua anziché nella terra, dai trattori dotati di GPS che si guidano da soli ai droni, anche in agricoltura il futuro è nella precisione. Nuovi strumenti all’avanguardia permettono di raccogliere e condividere dati sullo stato di salute delle piante e di produrre alimenti di qualità non a chilometro zero ma “a metro zero”. Tra stampanti 3D per il cibo, sensori molecolari portatili che ci indicano il contenuto e le calorie di un alimento, nasi elettronici che rilevano se un prodotto è fresco, orti urbani che riproducono microclimi ideali e cucine connesse con tanto di monitor per aggiungere gli articoli desiderati al carrello, telecamere di sicurezza, timer che ci avvisano quando la pasta è pronta, sono migliaia le startup che ogni giorno presentano nuove soluzioni per semplificare la nostra vita e sfruttare al meglio le potenzialità tecnologiche. La sfida del futuro, però, sarà soprattutto rendere disponibile il cibo anche a chi non ne ha accesso oppure lo ha in quantità e qualità limitate. Entro i prossimi dieci anni, sul nostro pianeta ci sarà un miliardo di persone in più che dovrà essere sfamato. Solo in Italia oggi vengono sprecate 277.000 tonnellate di alimenti perfettamente commestibili. Ecco allora che la lotta allo spreco diventa un impegno anche politico importante e una questione centrale a Expo, dove sarà presentata “Safety For Food”, una piattaforma tecnologica per creare una banca dati mondiale dei prodotti agroalimentari per ottenere una completa tracciabilità delle produzioni, secondo regole e standard internazionali in materia di sicurezza, origine e qualità di quello che mangiamo.
Le informazioni, combinate alla possibilità di comunicare in modo trasparente con alimenti e produttori grazie a network e sistemi interattivi, trasformano l’acquisto e il consumo in gesti davvero consapevoli
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approfondimento
Proteine a sei zampe articolo di Marcel Dicke e Arnold van Huis Ricercatori del laboratorio di Entomologia, UniversitĂ di Wageningen
La popolazione mondiale aumenta e potrebbe trovare la risposta alla sua domanda di proteine in animali sempre piÚ piccoli. Se ancora quasi tutti storcono il naso all’idea, ricercatori, chef, politici, allevatori sono impegnati nella sfida di alimentare il pianeta, almeno in parte, con una risorsa preziosissima e decisamente sostenibile: gli insetti. 070
Anche se ne conosciamo i benefici ambientali, l’alto valore nutritivo, i bassi rischi, e anche se il prodotto ha gusto eccellente, è ancora difficile convincere la maggior parte di noi. L’accettazione culturale ha a che fare con le emozioni e la psicologia Da qui al 2050 la domanda di carne dovrebbe aumentare circa del 70%, un vero problema dal momento che la sua produzione assorbe già l’80% della superficie agricola totale. La carne, infatti, ha un elevato fattore di conversione, vale a dire che serve molto mangime, e quindi terra, per produrne un solo chilogrammo. Aumentare le rese per ettaro potrebbe essere una parziale soluzione, ma l’intensificazione dell’agricoltura ha pur sempre dei limiti. Un’alternativa promettente arriva in modo inaspettato dagli insetti: ottimo cibo per le persone e mangime per gli animali, la loro produzione richiede molta meno superficie agricola per chilogrammo di prodotto finito. Sono più di 2000 le specie di insetti che vengono mangiate in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi tropicali, e provengono da molte famiglie: coleotteri, bruchi, vespe, api, formiche, grilli, locuste, cavallette, termiti, libellule e mosche. Fino ad ora, questi animali sono sempre stati raccolti in natura, e l’idea diffusa che i popoli dei Paesi tropicali si nutrissero di insetti per necessità è in realtà frutto di un preconcetto occidentale; lo stesso che ci ha portato a non prenderli mai in considerazione come fonte di cibo. Il mondo occidentale li ritiene da sempre dannosi per le piante, gli uomini e gli animali, anche se solo lo 0,5% di tutte le specie conosciute rientra in questa categoria. La maggior parte degli insetti, infatti, è importantissima per l’ambiente: impollinazione e controllo naturale dei rifiuti e dei parassiti agricoli sono loro opera, e lo sono anche prodotti rilevanti per l’uomo come la seta e il miele. Se li guardiamo da un punto di vista nutrizionale, il contenuto proteico degli insetti è paragonabile a quello della carne comune, ma contengono più acidi grassi insaturi (migliori). Forniscono inoltre più ferro rispetto alla carne, un dato importante, visto che un quarto
della popolazione mondiale soffre di anemia, in particolare donne e bambini. A livello ambientale, invece, il bestiame contribuisce per il 15% al riscaldamento globale, perché il metano proveniente dalla fermentazione enterica dei ruminanti e il protossido di azoto proveniente dal letame sono responsabili dell’emissione di gas serra. Esistono delle proposte per ridurre queste emissioni, in particolare l’utilizzo di mangimi di qualità migliore per i ruminanti e la selezione di specie più produttive, ma è indubbio che la sostituzione delle razze bovine tradizionali con mini bovini o insetti potrebbe aiutare molto. Gli insetti idonei al consumo umano, come grilli, cavallette e i cosiddetti “vermi della farina” (il Tenebrio molitor), sono responsabili di molti meno gas serra e l’area necessaria per produrre, per esempio, un chilogrammo di proteine dai vermi della farina, è molto inferiore. Un altro vantaggio è la resa dei mangimi: per produrre un chilogrammo di manzo ce ne vogliono 25 di mangime, mentre per l’equivalente di grilli comuni ne bastano 2,1. Questo perché si tratta di animali a sangue freddo, che non si nutrono per mantenere la loro temperatura corporea. Inoltre, alcune specie possono essere coltivate nei sottoprodotti organici, recuperando per esempio scarti agricoli (elemento non secondario se si considera che in tutto il mondo un terzo degli alimenti agricoli, 071
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1,2 miliardi di tonnellate, viene sprecato): gli insetti in questo modo possono convertire prodotti organici di scarto in prodotti ad alto contenuto proteico. Gli insetti possono anche essere utilizzati come mangime per gli animali domestici, bestiame e pesci. L’acquacoltura fornisce oggi più della metà del totale del pesce in commercio, un settore che cresce ogni anno del 6%; ma le fonti proteiche per mantenerla sono sempre più costose. La farina di pesce, estratta dal pescato, è utilizzata in acquacoltura come alimento per carpe, salmoni, tilapie e pesci gatto, ma la pesca eccessiva negli oceani la sta rendendo merce preziosa. Certo, per l’allevamento si possono utilizzare anche prodotti vegetali, come la soia, ma non sono esenti da alcuni svantaggi: il profilo amminoacidico non è quello ideale (la carne, al contrario, ha gli amminoacidi essenziali nelle proporzioni corrette), presentano alcuni composti che interferiscono con l’assorbimento dei nutrienti, il contenuto di fibre è troppo elevato. Gli insetti sembrano, invece, essere una fonte sostenibile di proteine di buona qualità, e lo sono in particolare la mosca verde (Chloromyia formosa) e la mosca domestica. Ma mangiare gli insetti è sicuro? Il rischio che trasmettano malattie all’uomo è estremamente basso, perché gli insetti, a differenza dei bovini convenzionali, sono molto diversi dagli esseri umani. I pochi casi di contaminazione sono avvenuti dall’esterno, attraverso i germi; per questo gli insetti sono coltivati in condizioni altamente igieniche. Le persone allergiche ai frutti di mare o agli acari potrebbero trovarsi ad affrontare problemi simili mangiando insetti? Nei test di laboratorio è stato dimostrato che è possibile, ma le analisi sono ancora in corso. Tuttavia, anche se la potenzialità allergica venisse confermata, sarà sufficiente dichiararlo nelle etichette dei prodotti a base di insetti. Il problema più importante sembra capire come possiamo avvicinarci all’uso alimentare degli insetti. Anche se ne conosciamo i benefici ambientali, l’alto valore nutritivo, i bassi rischi in termini di sicurezza alimentare, e anche se il prodotto ha un gusto eccellente, è ancora difficile convincere la maggior parte di noi. L’accettazione culturale, infatti, ha a che fare
con le emozioni e la psicologia. Ma la globalizzazione delle abitudini alimentari fa miracoli e i consumatori potranno adattarsi; d’altronde anche un alimento come il sushi ha trovato il suo spazio. Il nostro laboratorio per esempio, come primo passo per aiutare il pubblico, ha collaborato con l’insegnante di cucina Henk van Gurp nella stesura del libro The Insect Cookbook (Columbia University Press, vincitore dell’edizione 2014 del Green Book Award di San Francisco). Qui, oltre a ricette per spuntini, antipasti, primi piatti e dessert, si trovano anche approfondimenti e interviste con persone influenti come Kofi Annan, René Redzepi (chef del miglior ristorante del mondo, il Noma di Copenhagen), e l’economista Herman Wijffels (ex rappresentante olandese della Banca Mondiale). Gli insetti forniscono un vero e proprio servizio all’umanità. Considerarli un possibile cibo per le persone e mangime per gli animali è la nuova frontiera, e nel corso degli ultimi dieci anni è stato dato l’avvio a una tendenza inarrestabile. L’Olanda, per esempio, ha sempre avuto un settore agricolo molto innovativo e la produzione di insetti è un nuovo campo dell’agricoltura e dell’industria dei mangimi. Un modello per un nuovo importante sviluppo, che è già stato adottato in diversi altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Sud Africa. Gli insetti sono una preziosa fonte di proteine per la popolazione mondiale in rapida crescita, mentre noi occidentali li abbiamo trascurati per così tanto tempo!
Il contenuto proteico è paragonabile a quello della carne convenzionale, ma contengono più acidi grassi insaturi e forniscono più ferro. Un dato importante, visto che un quarto della popolazione mondiale soffre di anemia
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Sono pi첫 di 2000 le specie di insetti che vengono mangiate tutto il mondo: coleotteri, bruchi, vespe, api, formiche, grilli, locuste, cavallette, termiti, libellule e mosche
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intervista
ESPERIENZE A CINQUE SENSI Intervista ad Andoni Luis Aduriz e Charles Spence Chef stellato Professore di psicologia sperimentale di Michele Fossi Giornalista
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Mangiare non è per nulla una questione di tutti i giorni. Ciò che facciamo quasi automaticamente tre volte al dì è in realtà in grado di attivare legami e connessioni che nemmeno immaginiamo, e che sono alla base delle esperienze sensoriali studiate dalla gastrofisica e offerte da alcuni rinomati ristoranti, grazie all’impiego della tecnologia. Momenti che lasciano, letteralmente, a bocca aperta.
Tra i piatti più richiesti al celebre ristorante tristellato The Fat Duck, a Bray, in Gran Bretagna, vi è un’emulsione a base di molluschi chiamata “Il suono del mare”. A rendere questa creazione dello chef-star Heston Blumenthal così speciale, più del suo insolito color sabbia, è il curioso gadget che l’accompagna: una conchiglia high-tech da cui spuntano due auricolari sintonizzati su una rilassante sinfonia di onde che s’infrangono sugli scogli e grida di gabbiani. «“Il suono del mare” ci dà un assaggio di come le tecnologie digitali, in un futuro non molto lontano, potranno aiutarci a vivere esperienze gastronomiche più multisensoriali che in passato, e dunque più complete, più profonde». A parlare è l’autorevole voce del professor Charles Spence, autore di The Perfect Meal: The Multisensory Science of Food and Dining, titolare della cattedra di psicologia sperimentale all’Università di Oxford e direttore del Crossmodal Research Laboratory, un centro di ricerca sperimentale specializzato nello studio degli
effetti degli stimoli sensoriali, in particolare quelli legati al cibo, sulla psiche. Nato da una lunga collaborazione tra lo scienziato e il celebre chef britannico, questo piatto, spiega Spence, è stato successivamente fatto oggetto di uno studio, che ha dimostrato in maniera inequivocabile che le persone tendono ad apprezzare maggiormente i piatti a base di pesce se l’assaggio è accompagnato da una musica che ricorda il mare, rispetto a una melodia qualsiasi. «Abbiamo dimostrato che la musica agisce sul nostro cervello a due livelli diversi: da un lato lo induce a percepire il piatto ancora più gustoso, dall’altro aumenta la nostra attenzione verso i sapori. Il risultato è così potente che non di rado i clienti del ristorante scoppiano in lacrime dall’emozione». Se fino a poco tempo fa la tecnologia era confinata alla cucina dello chef modernista, si pensi alle strumentazioni da laboratorio chimico che hanno reso celebre Ferran Adrià, padre della cucina molecolare, e 075
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i suoi numerosi epigoni, la novità oggi, assicura lo studioso, consiste nel fatto che sta raggiungendo la nostra tavola. «Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un moltiplicarsi di esempi di interventi tecnologici volti a influenzare, e persino a modificare profondamente, la nostra esperienza del cibo in un pasto, direttamente durante la sua fruizione. Si pensi a ristoranti di livello come il Sublimotion di Paco Roncero a Ibiza o l’Ultraviolet di Paul Pairet a Shanghai, dove da tempo si offrono veri e propri spettacoli “gastro-sensoriali” a base di proiezioni sulle pareti, musica e stoviglie digitali. «A catalizzare la rivoluzione della tecnologia a tavola sono i passi da gigante compiuti, negli ultimi anni, dalla “gastrofisica”, una nuova disciplina scientifica specializzata nello studio delle dinamiche di percezione sensoriale legate all’atto di mangiare e bere», spiega lo studioso. «Con chi mangiamo, la composizione dei piatti, il colore delle stoviglie e del cibo, la sua consistenza, il suono che produce quando lo mettiamo in bocca, il rumore di fondo del locale, e persino il peso delle posate: sono solo alcuni esempi dei numerosi parametri che, attraverso il senso dell’udito, del tatto e della vista, influenzano la nostra percezione del cibo e con i quali, grazie alle scoperte della gastrofisica, uno chef oggi può sperimentare con cognizione di causa, quasi si trattasse di nuovi ingredienti», spiega Spence. Recenti studi, per esempio, hanno rivelato che ordinare per primi al ristorante, o fare uso di posate pesanti ci induce inconsciamente ad apprezzare maggiormente il cibo che mangiamo; e che le frequenze alte di una musica esaltano le noti dolci del vino, mentre quelle basse le note amare. Inoltre è emerso che l’ascolto dell’aria Nessun dorma di Giacomo Puccini esalta l’intensità del gusto del caffè. «L’interazione tra gusto e udito è sicuramente una delle sinestesie più studiate al momento», spiega lo studioso, che nel 2008 si è aggiudicato l’Ig Nobel Prize per la nutrizione grazie a Sonic crisp, un’app programmata per amplificare in cuffia lo scricchiolio di patatine e altri cibi croccanti. «La compagnia aerea British Airways lancerà a breve sui voli a lunga percorrenza un’app musicale studiata da un team di gastrofisici per esalta076
re i sapori dei pasti a bordo. Anche lo Champagne Krug sta lavorando a un progetto simile. Prevedo che sempre più aziende alimentari svilupperanno delle app pensate per accompagnare musicalmente il consumo dei loro prodotti, così da esaltarne in maniera mirata le qualità sensoriali volute, e indebolirne altre». «Mai come ora stiamo assistendo alla collaborazione tra scienziati e gastronomi, uniti dal desiderio di decifrare la mente di chi mangia», spiega Andoni Luis Aduriz, chef del Mugaritz, nei Paesi Baschi, terzo miglior ristorante del mondo per la classifica The World’s 50 Best Restaurants. Ex allievo di Ferran Adrià, Aduriz è considerato uno degli chef più ricettivi al mondo alle scoperte nel settore della gastrofisica. «Stiamo assistendo alla nascita di una nuova “gastronomia tecno-psicologica” che, facendo tesoro delle scoperte nel settore della percezione del cibo, anche a livello emozionale e della memoria, punta a offrire, attraverso un dispiego non indifferenze di strumenti tecnologici, non più meri “piatti”, ma vere e proprie “esperienze”». «Sarebbe sbagliato credere, tuttavia, che il fenomeno rimarrà confinato ancora a lungo nelle sale di pochi, pionieristici ristoranti stellati», preconizza lo chef basco. «Nel giro di pochi anni, ne sono certo, vedremo “percolare” questa tendenza verso i ristoranti più economici e, attraverso smartphone e gadget digitali pensati per l’uso domestico, raggiungere anche la tavola di casa. Non ho difficoltà a immaginare che, a breve, mangeremo su camaleontiche stoviglie digitali a uso gastronomico, in grado di cambiare automaticamente il colore dello sfondo in accordo col cibo, così da esaltarne il sapore. Chissà, magari proprio i nostri tablet, dotati di appositi schermi antigraffio a prova di forchetta». La tecnologia a tavola, prevede Aduriz, ci aiuterà non solo ad apprezzare maggiormente il cibo o a renderne il consumo memorabile, ma anche a mangiare in maniera più sana. «Oggi sappiamo per esempio che il vino ha un sapore più dolce se bevuto in un ambiente illuminato di rosso. Nel prossimo futuro i colori dello schermo di una tavola o di un piatto digitali, i suoni di una food app, e chissà quali altri marchingegni in grado di influenzare il nostro senso del tatto e dell’olfatto, ci
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aiuteranno a “condire sensorialmente” il cibo e le bevande in modo da ridurre il bisogno di zuccheri, grassi, e a mangiare in quantità più moderate». Un esempio molto illuminante a tal riguardo, descritto nell’interessante volume Eat, Cook, Grow: Mixing Human-Computer Interactions with Human-Food Interactions (MIT Press, 2014), è il prototipo di “cucchiaio anti-abbuffata”, sviluppato da Philips Research nei Paesi Bassi: munito di appositi sensori, avverte con un beep sonoro quando mangiamo troppo velocemente. Molti, c’è da scommetterci, lo scaglieranno dopo pochi giorni contro una parete; altri, più pazienti, troveranno in questa posata intelligente un valido aiuto per moderare le quantità di cibo ai pasti. «Certo, imbandire la tavola di casa di strumentazioni tecnologiche ha il suo rovescio della medaglia», avverte lo chef. «Si rischia paradossalmente di venirne distratti, un po’ come quando ceniamo con la televisione accesa. Prevedo dunque che nei prossimi anni, esaurito il desiderio di giocare con tecnologie considerate nuove e dirompenti, tali macchinari saranno sì onnipresenti, ma si faranno progressivamente più discreti, quasi invisibili». La tendenza della tecnologia a tavola, sottolinea lo chef nel congedarsi, non va vista in opposizione con l’altra grande “corrente di pensiero” gastronomica che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni: quella del ritorno al cibo biologico, locale, fair dal punto di vista etico, propugnata da Slow Food. «In una società gastronomicamente complessa e poliedrica come la nostra, dove nessuno più trova strano mangiare una ricetta “della nonna” a pranzo e sushi la sera, non saremo mai costretti a scegliere tra “gastronomia della tradizione” e “gastronomia modernista”. Le due tendenze sono destinate a svilupparsi in parallelo nei decenni a venire, e a trovare nuovi, interessanti punti di incontro: la tecnologia a tavola, ci aiuterà, ne sono certo, a godere appieno anche delle ricette più tradizionali. A parte qualche alga e insetto in più, questo almeno prevedono gli esperti della nutrizione, è probabile del resto che nel quotidiano – tecnologia o non tecnologia sulla tovaglia – mangeremo più o meno gli stessi piatti che mangiamo oggi. La verità è che tendiamo a immaginarci il futuro molto più fantascientifico di quello che poi si rivela essere: basti pensare che a fine Ottocento, dopo la scoperta della sintesi della vitamina C, illustri pensatori predissero che entro l’anno 2000 ci saremmo nutriti di sole pillole!».
DIALOGHI DI CUCINA Dal 2007, ogni due anni, gli esperti mondiali di cucina si trovano a San Sebastián per Diálogos de Cocina, un incontro tra chef stellati in cui, a dispetto delle premesse, la cucina è solo la base di partenza per parlare di tutto, dall’arte alla storia, fino alla comunicaizone e le nuove tecnologie. Tema dell’edizione 2015, che ha avuto luogo a marzo, le avanguardie.
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intervista
RIVOLUZIONE I N C I T TÀ Intervista a Peter Ladner
Membro del Consiglio per la politica alimentare della città di Vancouver di Emanuela Donetti Giornalista
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Salute, sicurezza alimentare, produzione: le città sono la risposta a molti dei problemi di oggi e di domani, perché in esse si cela un potenziale agricolo immenso. Non solo con i loro tetti, aiuole, parchi e viali si rendono disponibili a far crescere la nostra verdura, ma grazie alla collaborazione che questa pratica richiede potremmo creare ponti sociali e generazionali. E rendere lo spazio urbano più bello. Il suo libro si intitola The Urban Food Revolution, che di per sé è una posizione chiara. Ma è ancora più chiara se si tiene in considerazione il sottotitolo del libro: Cambiare il modo di nutrire la città. Peter Ladner è un docente universitario, membro del Consiglio per la politica alimentare della città di Vancouver, vicepresidente di The Natural Step Canada, e coltiva da sempre – è il caso di dirlo – una passione per l’agricoltura urbana. Passione che l’ha portato a riflettere sull’alimentazione in generale, su come mangia chi vive in città, su dove si compra il cibo, e da dove questo cibo arriva; andando sempre più su, seguendo tutta la catena. Nel 2010 ha fatto in modo che a Vancouver le comunità di quartiere potessero produrre autonomamente verdura e frutta in aree verdi di proprietà della città, e la stessa politica è stata mutuata nel 2012 dalla città di Londra in occasione delle Olimpiadi. Ma davvero il cibo può cambiare il volto delle nostre aree urbane, a partire dalle nostre periferie e dai nostri quartieri degradati? Considerando che le previsioni vedono il 90% della popolazione mondiale risiedere in città nel 2050, non c’è persona migliore che Peter Ladner per comprendere quale sarà il futuro dell’obiettivo di Expo 2015: “Food for All”. Come ci nutriremo? E soprattutto, come il cibo può davvero essere la rivoluzione per la città? «Sicurezza alimentare, salute pubblica, produzione. Questi sono i tre grandi temi che trasformeranno l’interazione tra città, cittadini e alimentazione. Sulla sicurezza alimentare, tema finora poco considerato, ma molto importante, la questione è: da dove viene il cibo che acquistiamo e che mangiamo, quello che troviamo nei nostri supermercati? Le cose sono molto
diverse a seconda della parte del mondo in cui ci si trova: lo sono le regole, lo sono i metodi di coltivazione e di allevamento. Ma per avere la sicurezza di quello che stiamo mangiando, dobbiamo ridurre la catena di approvvigionamento. E riprendere il controllo di quello che mettiamo nel piatto. Come? Imparando – o re-imparando – a coltivare da soli la nostra verdura. Trovando un nuovo interesse nel cibo, e nella sua produzione». Il secondo tema caro a Ladner – per il quale una nuova attenzione all’alimentazione è la soluzione a buona parte delle questioni legate al benessere quotidiano di ciascuno – è la salute pubblica: «Nei Paesi del Nord America, Stati Uniti e Canada, la percentuale di bambini sotto i 12 anni che soffrono di diabete di tipo 1 ha raggiunto il 30%. Significa che in questi Paesi, circa un bambino ogni tre ha a che fare quotidianamente con una malattia cronica del sistema metabolico potenzialmente invalidante. Il che ha un’influenza non solo sulle condizioni della famiglia occidentale, ma anche sulla scuola, sulla gestione dei tempi e sulla spesa sanitaria nazionale. Il diabete è direttamente legato alla qualità e alla varietà dell’alimentazione, e alla conoscenza degli effetti che alcuni cibi hanno sul metabolismo umano. Ci vuole più informazione, a tutti i livelli. Sono moltissime le malattie croniche che hanno una diretta relazione con quello che mangiamo e con il nostro stile di vita. Bisogna introdurre il tema dell’alimentazione nelle scuole, bisogna che le autorità pubbliche siano maggiormente coinvolte». E l’ultima delle questioni per cui il cibo può rivoluzionare la città, secondo Ladner, è la produzione, la ristorazione e il commercio: «Le persone che si producono il cibo auto-
Quando si parla di interazione tra cibo e città, non c’è nessuno che perda qualcosa: è un gioco in cui tutti vincono
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Ogni città deve riconoscere il ruolo sociale del cibo, e destinare tutte le aree possibili alla produzione alimentare: giardini e parchi pubblici, aiuole, i viali, i cortili delle scuole
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nomamente non smetteranno di certo di comprarlo, o di andare al ristorante – spiega, sfatando il mito dell’autoproduzione e della frugalità come condanna a morte del sistema economico su cui si è basata finora la vita urbana – semplicemente saranno più attente a quello che mettono nel proprio carrello, o nel piatto. Alla sua provenienza, alla sua produzione. E questo è dimostrato anche dall’aumentata considerazione per i marchi “bio” nei supermercati, alla maggiore affluenza ai mercati a chilometro zero o ai farmer’s market. All’attenzione crescente dei ristoranti a specificare da dove provengono tacchino, uova, verdura, e nell’esibire marchi che dimostrino il loro impegno e coinvolgimento nel tema». Una rivoluzione, quella del cibo, che parte dalle scelte di ognuno di noi, ora che il sistema politico ed economico si sta adeguando e ci consegna gli strumenti per poter scegliere a nostro favore: «È un gioco che vede coinvolti tutti quanti, e che per una volta rende tutti protagonisti alla creazione della bellezza. Perché vedere cittadini, scuole, autorità collaborare alla creazione di un orto urbano, ti porta a vedere una città migliore, più bella. Perché lavorare in un orto non è solo andare fuori e fare una corsa, o una passeggiata. È un modo per incontrarsi. È un modo per condividere storie, esperienze, ricette, è un modo per fare incontrare generazioni e culture differenti. Ogni città deve riconoscere questo ruolo al cibo, e destinare ogni area possibile alla produzione alimentare: giardini e parchi pubblici, aiuole, viali, cortili delle scuole. Immaginate se ogni condominio coltivasse l’insalata che serve ai condomini sui tetti, o sui balconi. Le città devono cambiare le norme per consentire a chiunque di produrre il proprio cibo; ai bambini di vederlo crescere negli orti ricavati nel giardino davanti a scuola e agli anziani di tramandare competenze ed esperienze ai più giovani. Bisogna trovare spazio per i mercati a chilometro zero, vigilare sulla qualità, incoraggiarla. Il cibo ha una grande connessione con chi siamo, perché è quello di cui siamo fatti». Expo 2015 può essere quindi il momento per diffondere a livello globale queste riflessioni, ma sarà importante che si ripercuotano anche nelle città italiane, dove rischiamo di adeguarci alle tendenze internazionali, facendoci sfuggire la grande ricchezza della nostra tradizione e della nostra cultura gastronomica. Perché come dice Ladner: «Quando si parla di interazione tra cibo e città, non c’è nessuno che perda qualcosa: è un gioco in cui tutti vincono».
focus
AGRICOLTURA SOCIALE di Cristina Gallotti
Da protagonista della vita economica e sociale dell’Italia a superstite di un tempo che fu: il lavoro agricolo ha subito, a partire dal dopoguerra, una lunga fase calante. È da poco che si è emancipato dall’idea di un mondo a sé, culturalmente chiuso, e quindi svantaggiato e non desiderabile. Il “ritorno alla terra” di questi ultimi anni, complice anche la crisi del mercato del lavoro, ha coinvolto fasce di popolazione eterogenee e, forse, persino inaspettate, promuovendo l’attività agricola a scelta consapevole. La terra sembra quindi tornata, se non al centro della vita dell’uomo, quantomeno al suo fianco, ed è proprio questa funzione di aiuto e guida quella valorizzata da un fenomeno come l’agricoltura sociale. Pratica diffusa da qualche anno, in Europa e anche in Italia, punta all’impiego di gruppi vulnerabili della popolazione (persone con disabilità mentali o fisiche e persone in disintossicazione) in ambienti rurali dove si praticano agricoltura o allevamento. In Italia sono diverse le fattorie sociali, in particolare in Campania, Lazio, Marche, Sicilia e Veneto, mentre all’estero il progetto Social Farming Across Borders opera in Irlanda e Irlanda del Nord e raccoglie sul proprio canale YouTube le esperienze dei partecipanti. Anche la FAO promuove l’iniziativa, con attenzione allo sviluppo del lavoro femminile. I risultati sono molti: oltre ai benefici dell’aria aperta, la relazione che si crea con i proprietari delle aziende agricole, solitamente a conduzione familiare, è di stimolo per i partecipanti. E non manca una ricaduta sulla comunità locale, grazie a giornate aperte per conoscere da vicino questa realtà, magari assaggiando un frutto appena raccolto o facendo merenda con una torta di marmellata bio. Infine, tra le categorie a cui l’agricoltura sociale si rivolge non mancano i bambini: gli agri-asili nati all’interno delle aziende agricole sono a tutti gli effetti scuole per l’infanzia, ma permettono anche ai bambini di città di vedere animali nel loro contesto naturale, e frutta o verdura che non siano già state raccolte e confezionate. Un’educazione alla campagna che parte dall’infanzia per ripensare fin dall’inizio il rapporto tra l’uomo e la terra.
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Ap
approfondimento
LE 10 FRONTIERE DELL’INNOVAZIONE AGRICOLA articolo di Nicola Ferrero Giornalista illustrazioni di Undesign
A Londra l’insalata si coltiva nei tunnel sotto il suolo, gli orti sui tetti sono ormai stati sorpassati da quelli verticali e presto non vedremo più i contadini con il naso all’insù a scrutare il cielo, ma fissi sullo smartphone a incrociare dati provenienti da satelliti e droni. Storie di tecnologia agricola, una delle carte da giocare per prepararsi a un futuro efficiente, produttivo e sostenibile.
Questioni di suolo I pomodori dell’anno scorso erano brutti e per nulla saporiti? L’insalata non è neanche germogliata? La salvia e il rosmarino vi hanno abbandonato dopo poche settimane di vita? Forse il vostro terreno non era adatto a quel tipo di coltivazioni, forse avete bagnato troppo o troppo poco, oppure il problema era la luce. Per risolvere tutti questi inconvenienti, legati sia ai piccoli orti sia ai grandi appezzamenti, è nato Edyn, un sistema che permette di monitorare il suolo (e non solo). È una sorta di sonda che si pianta nel terreno che vogliamo controllare: è alimentata da cellule fotovoltaiche e il suo lavoro è acquisire dati sull’umidità e la composizione del terreno, il livello di irraggiamento solare e il quantitativo di acqua presente. Dopo aver raccolto queste informazioni, tramite un’app che dovrete installare sul vostro smartphone, Edyn sarà in grado di dirvi quali piante cresceranno meglio 084
su quel tipo di terreno e qual è il momento migliore per seminare. Il suo lavoro non termina con la semina, anzi: Edyn vi avvertirà se l’umidità del terreno scenderà sotto i livelli di soglia, saprà indicarvi quali fertilizzanti ecologici usare e vi potrà anche suggerire in quale posto è meglio piantare per ottenere l’illuminazione più efficace. C’è anche la Edyn Water Valve che, se connessa al vostro impianto di irrigazione, permette di gestirlo al meglio e senza sprechi. Se il sensore percepisce pioggia (o se lo fanno le previsioni che la app consulta in automatico), la valvola si blocca, evitando di inzuppare inutilmente il vostro terreno. edyn.com
PreDiVine, in vigna veritas Anche il progetto PreDiVine (l’acronimo significa Predicting Diseases of Vine, “predire le malattie della vite”) si basa sull’attento monitoraggio da parte di sensori di un’area ben specifica. Questa volta non si tratta del campo, ma della vigna. Il progetto è una start-up partita nel 2012 e portata avanti dalla Dolphin Engineering di Mauro Prevostini e Antonio Vincenzo Taddeo, due informatici che hanno deciso di sviluppare la loro idea nell’ambito del progetto Smart Vineyard, fondato dalla
Commissione Svizzera per la Tecnologia e l’Innovazione. Questo sistema è basato su una serie di sensori collegati in wireless che lavorano con algoritmi predittivi in grado di monitorare le condizioni microclimatiche della vigna, con lo scopo di predire, appunto, le malattie (o gli infestanti) che possono colpire la vite. Il sistema, per la precisione, fornisce previsioni riguardanti la cicalina della flavescenza dorata (Scaphoideus titanus), la plasmopara viticola e l’oidio. I vantaggi di un monitoraggio del genere sono ovvi: il vignaiolo sa in anticipo dove e quando il parassita si può presentare e questo gli permette di allocare in maniera più efficace ed efficiente le risorse (umane e monetarie). Inoltre, ha un utile impatto sull’ambiente, perché i fitofarmaci vengono usati in caso di rischio malattia e non in maniera indiscriminata, e tutto ciò non può che aumentare la qualità dell’uvaggio. dolphin-engineering.ch
Freight Farms, il container idroponico Brad McNamara e Jon Friedman, i due giovani che hanno dato vita nel 2010 a questo progetto, stavano lavorando per un’azienda produttrice di serre da terrazzo quando ebbero una bizzarra idea: perché non utilizzare dei container (sì, proprio i container da trasporto navale) per creare un ambiente stagno, iper controllato e controllabile, dotato di una serie di apparecchiature che permettano di coltivare in idroponico al suo interno? Detto fatto, è nata la loro Leafy Green Machine: una sorta di modulo che ti arriva a casa già dotato di tutti i macchinari necessari per cominciare subito a coltivare verdura. Il container è coibentato, ha una serie di sensori che tengono sotto controllo la temperatura, il grado di umidità e il livello di CO2, è dotato di una serie di postazioni per coltivare verdure in regime idroponico (insalata di tutti i tipi, piante aromatiche o della famiglia delle brassicacee, come cavoli, senape, colza, rape), è dotata di una zona per la germi-
nazione, che può ospitare fino a 2500 piantine, e una per la crescita, formata da torri verticali che arrivano a contenere 4500 piante. Il sistema di irrigazione è automatizzato e il tutto è a portata di smartphone, come sempre. Viene consigliato ai ristoranti che vogliono avere la propria produzione, senza dover dipendere dal clima e senza inquinare (verdura a metro zero, altro che chilometro zero!), alle scuole o ai college che vogliono produrre verdure per la propria mensa in maniera sostenibile, ma anche ai normali cittadini che vogliono una serra un po’ particolare. Il prezzo? Scrivete per maggiori informazioni. freightfarms.com 085
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Orto underground L’idea, di per sé, è semplice: realizzare coltivazioni per produrre cibo in modo sostenibile, senza emissioni di CO2 e senza dipendere dal petrolio o dai suoi derivati. State pensando agli orti urbani? A qualche forma di network di contadini che organizzano mercati a basso impatto? Siete fuori strada. L’idea che è venuta a due londinesi, Rich Ballard e Steven Dring, è ben più radicale: mettere in piedi una coltivazione idroponica che sfrutti unicamente l’illuminazione LED, 30 metri sotto il livello del suolo. Il progetto può sembrare assurdo, a prima vista, ma ha una sua logica profonda e anche parecchi aspetti positivi: riduzione delle emissioni di CO2 (le verdure prodotte sono destinate unicamente a Londra, quindi il problema delle food miles non si pone e l’illuminazione a LED è tra le più sostenibili; utilizzo di una quantità d’acqua inferiore del 70% rispetto a una coltivazione tradizionale; sfruttamento di un’area dismessa e possibilità di coltivare senza utilizzare altro terreno. Ballard e Dring hanno trovato un vecchio rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale nel sud di Londra (che ha l’enorme vantaggio di mantenere una temperatura costante di 16° per tutto l’anno), vicino alla stazione metro di Clapham North, l’hanno affittato per 25 anni e hanno iniziato circa 18 mesi fa la loro avventura. Su un’area di un ettaro coltivano per ora germogli di ravanelli, di piselli e senape a foglia rossa. La qualità è tale che lo chef Michel Roux (il suo ristorante, Le Gavroche, ha due stelle Michelin) ha appoggiato il progetto e vi partecipa attivamente. zerocarbonfood.co.uk 086
Africa tech La tecnologia agricola spopola nell’Occidente industrializzato e tecnologico. Ci scordiamo, però, che grandissime aree del pianeta non hanno mezzi economici e tecnici che permettano agli agricoltori con un semplice click di poter avere informazioni meteo, settare l’impianto di irrigazione, controllare l’umidità del terreno e scoprire quale fertilizzante (rigorosamente bio) vada meglio per i loro pomodori. In Africa stanno nascendo una serie di iniziative volte a ridurre il cosiddetto digital divide e fornire supporto agli agricoltori locali. In Ghana, per esempio, l’azienda Prep-eez, in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura, il WAAPP (West Africa Agricultural Productivity Programme) e la World Bank, ha sviluppato un sistema per cui una serie di tecnici, dotati di smartphone, fanno ricerca su database esistenti, controllano i prezzi delle derrate alimentari sul mercato giorno per giorno, seguono le previsioni meteo
e diffondono tutte queste informazioni ai propri clienti, possessori di vecchi cellulari, utilizzando perlopiù sms o telefonate. Il governo nigeriano, in collaborazione con Cellulant Ltd, sta cercando di implementare la distribuzione di sementi e fertilizzanti attraverso voucher elettronici che riducano i disservizi. In Ruanda, Esoko ha sviluppato una piattaforma che mette in contatto agricoltori, ONG e istituzioni. Anche questa prevede l’utilizzo di app per smartphone e di un sito, ma molti servizi vengono garantiti via sms. Uno dei più richiesti è quello che monitora i prezzi sul mercato e invia avvisi a seconda delle fluttuazioni delle quotazioni. prepeez.com esoko.com
Basilico da interni Cosa potrebbe succedere al nostro pianeta se si avverassero le previsioni che vogliono un aumento della popolazione di tre miliardi di individui da qui al 2050? Servirebbe una superficie di terreno coltivabile grande quanto il Brasile, ma il suolo del nostro pianeta è iper sfruttato, maltrattato, inquinato e, in gran parte, coperto di cemento. È per questo motivo che al MIT di Boston è partito il CityFARM Project, per indagare a fondo e cercare di rendere fruibile e disponibile a tutti quella che pare essere la migliore soluzione a questo doppio problema: il vertical farming, la coltivazione verticale di ortaggi. Parliamo di coltivazione indoor, in cui l’illuminazione è fornita dai LED (supportata da illuminazione naturale, quando possibile) e in cui viene utilizzata la coltura idroponi-
ca (o anche aeroponica: le sostanze nutritive vengono vaporizzate sopra le piante). I vantaggi paiono essere numerosi: minore utilizzo di acqua, nessun concime chimico e pesticida, niente suolo né dipendenza dal clima o dalle stagioni e riduzione drastica delle emissioni di CO2 (nessun macchinario agricolo coinvolto). Dickson Despommier, autore del libro Vertical Farm (2010) e paladino di questa battaglia ne è convinto. I costi sono però ancora alti ed è difficile prevedere il gradimento del pubblico di ortaggi che potrebbero essere considerati una specie di frankenfood. Intanto, la Philips e la General Electrics stanno sviluppando nuove lampade apposite e le imprese cominciano a crescere: 24 solo negli Stati Uniti tra cui spicca la FarmedHere, che opera in un vecchio deposito di quasi 3000 metri quadrati in Illinois. Il suo basilico e la sua rucola sono già venduti in più di 400 negozi di Chicago, inclusa la catena Whole Foods. vertical-farming.net verticalfarm.com 087
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Congelare lo spreco
Raccolta dati a tutto campo Che il tavolo su cui si gioca molto del mercato tecnologico abbia a che fare con la raccolta dati, la loro elaborazione e il renderli disponibili è risaputo. FarmLogs ne è l’incarnazione più completa in ambito agricolo, pensata, di base, per il classico agricoltore americano e appezzamenti di terreno molto grandi. Il fattore che la rende unica è che i dati sono raccolti tramite droni, satelliti e altri sensori usati in agricoltura: FarmLogs va a spulciare tra le mappe di Google, i database degli istituti meteorologici, i documenti del catasto e le fonti già disponibili, senza installare sui propri campi costosi macchinari. E il suo servizio è filtrare i dati e fornire al cliente quello che gli serve: foto e analisi dei terreni dal satellite, rese per ettaro comparate alle stagioni precedenti, monitoraggio delle precipitazioni, mappatura dei raccolti, un inventario che segue il percorso dal seme alla vendita. Il tutto sul proprio smartphone. La versione Advantage sfrutta il GPS del telefono per tracciare le attività fatte sui campi e i dati sono archiviati per comparazioni future. In poco più di un anno dal lancio sono stati raccolti 10 milioni di dollari per portare avanti il progetto. Sarà questo il futuro dell’agricoltura intensiva? farmlogs.com 088
Secondo uno studio della FAO, il 40% del cibo prodotto nei Paesi in via di sviluppo non riesce a raggiungere il mercato a causa della cattiva gestione del raccolto e della mancanza di infrastrutture e di competenze degli agricoltori. Uno dei maggiori problemi, soprattutto nelle nazioni con temperature elevate, riguarda la scarsa o inesistente catena del freddo. Come fare per venire incontro alle esigenze soprattutto dei piccoli produttori? Con ampi piani di educazione e insegnamento e con la tecnologia. L’Institute of Mechanical Engineers ha stimato che si potrebbe evitare un quarto degli sprechi grazie a sistemi di refrigerazione efficienti. In India, Promethean Power Systems utilizza l’energia solare per raffreddare il latte, mentre un progetto dell’Università della Georgia usa il biogas prodotto da concime per alimentare un sistema di raffreddamento. Il CoolBot è una scatoletta che trasforma un qualsiasi impianto di condizionamento domestico in una potente fonte di freddo, abbassando le temperature fino a -35°. La Dearman Engine Company, infine, sta sviluppando un motore a pistoni che non produce emissioni e sfrutta l’“aria liquida”, verso la sostenibilità nella produzione di aria condizionata e dei sistemi professionali di refrigerazione. coolectrica.com storeitcold.com
Laboratorio in tasca
L’agricoltore Arduino Non poteva mancare la versione agricola di Arduino, la piccola scheda elettronica dotata di microcontroller che chiunque può costruirsi a casa grazie alla licenza Creative Commons. Vi ricordate Farmville, il giochino per gestire una fattoria virtuale? Ecco, grazie ad Arduino la faccenda diventa più realistica e il progetto “Horto domi” ne è la prova. Grazie a una scheda impiantata vicino all’orto è stato possibile gestire irrigazione, illuminazione e riscaldamento di una piccola serra con semplici sensori e timer e una web application. I sensori rilevano un aumento o una diminuzione della temperatura? Arduino fa partire, o spegne, il condizionatore. Il sensore rileva un valore dell’umidità del terreno troppo basso? Arduino fa partire l’acqua, e così via. Stessa utilità per l’allevamento degli animali. Un’altra applicazione in agricoltura la suggerisce “Global Village Construction Set”, per produrre le 50 più importanti macchine industriali tramite tecnologie open source, permettendo così un notevole risparmio per gli agricoltori. Qualche esempio? Una stampante 3D open source costa 1765 dollari mentre una normale 4449; un trattore della John Deere costa 44.487 dollari, mentre lo stesso modello open source si può realizzare con un risparmio del 79,63% sul costo finale.
Dopo tanto girovagare, finalmente si arriva in Italia con DNAPhone, un kit per fare analisi chimico-biologiche in ambito agricolo. Si compone di due parti, hardware e software. La parte hardware è, in parole povere, una scatola con le componenti ottiche ed elettroniche necessarie all’analisi. L’interfaccia tra questo laboratorio portatile e l’utente sono lo smartphone e il software. L’app permette di controllare l’analisi, di salvare i dati e condividerli tramite cloud o server aziendale. Un esempio di utilizzo è quello del controllo dei livelli di zuccheri della frutta, che permette di decidere il momento migliore per la raccolta. DNAPhone può anche essere utilizzato dagli studenti che frequentano istituti agrari, licei e università per laboratori di chimica o biologia. L’applicazione è pensata per aiutarli a comprendere la logica e il funzionamento dietro un’analisi biochimica. In questa versione DNAPhone utilizza sistemi open source, come la scheda Raspberry PI. dnaphone.it
arduino.cc opensourceecology.org 089
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contesti
LO SCARTO scalda articolo di Chiara Priante Giornalista
Usare gli scarti organici per produrre energia? Niente di più facile e, soprattutto, nulla di più diffuso. L’Italia è al terzo posto al mondo per impianti a biogas: una scelta importante, in un momento in cui scarseggiano le fonti fossili per produrre energia e la popolazione è destinata a una crescita continua.
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Le biomasse, se ben sfruttate, potrebbero arrivare a rappresentare, entro il 2030, il 60% del consumo d’energie rinnovabili
Tra i primi a pensarci sono stati i monaci trappisti dell’Abbazia di Notre-Dame de Tamié, edificio dell’anno Mille perso tra i prati della Savoia. Qui si produce cacio e i cistercensi hanno deciso di creare un impianto a biogas che utilizzi gli scarti della produzione. Sul sito dell’abbazia, insieme a testi su come accogliere i fratelli e sul bisogno di carità, salta fuori una presentazione con sfondo verde fosforescente: tra business plan e diagrammi di flusso, si racconta dove finisce il siero, scarto della lavorazioni della fromagerie. E, tra le foto di monaci con la tunica bianca sovrastata da uno scapolare nero, si annuncia con orgoglio che, grazie alla centrale, si riscaldano 60 persone. Di storie come questa, oggi, ce ne sono tante. Ed è probabile che nei prossimi anni sentiremo parlare molto di biomasse. Basta guardare l’ultimo rapporto dell’International Renewable Energy Agency, organizzazione intergovernativa
che fa da consulente a 133 Stati del mondo e all’Unione europea nella transizione alle rinnovabili. In un periodo di crisi, lo studio è una boccata d’ottimismo: le biomasse, se ben sfruttate, potrebbero arrivare a rappresentare, entro il 2030, il 60% del consumo d’energie rinnovabili. In questo modo si arriverebbe a ricavare un quinto dell’energia che serve al pianeta. Eppure, addetti ai lavori a parte, non si sa molto di questa rinnovabile. Secondo il decreto 28/2011 di recepimento della direttiva comunitaria 2009/28/CE, il famoso documento sulla promozione dell’uso dell’energia delle fonti rinnovabili, la biomassa è «la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani». Biomassa è,
dunque, ciò che finisce nelle centrali: scarti dell’agricoltura, del legname, dell’industria agroalimentare, residui forestali, reflui degli allevamenti. C’è anche chi alimenta gli impianti con vegetali coltivati per lo scopo, ma quest’ultima via convince meno: ruba terreno alle coltivazioni, mentre la forza di quest’energia sta proprio nel fatto che non sottrae terra e acqua e non entra quindi in conflitto con l’agricoltura. Anzi, ne usa gli scarti. In Gran Bretagna, a Newcastle, i residui di produzione di un’azienda della Nestlé finiscono in una fabbrica di cioccolato che potrebbe ispirare un nuovo film a Tim Burton: 1200 tonnellate di scarti di cacao producono gas, poi trasformato in energia. Serve a coprire l’8% del quantitativo utile alla fabbrica. E sembra la storia di un cartone animato anche quella di Disney World, a Buena Vista: 120.000 tonnellate di rifiuti alimentari di hotel e ristoranti del più grande 091
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complesso di parchi a tema producono energia elettrica. Oggi ci sono centrali a biomasse solide (a legno, cippato, paglia), a biomasse liquide e a biogas ottenuto da digestione anaerobica (usano letame, residui organici, mais). Le centrali a biomasse funzionano per combustione. A temperature superiori agli 800 gradi si produce calore che fornisce riscaldamento o crea vapore; in questo modo, grazie a una turbina, si ottiene energia elettrica. Nelle centrali a biogas avviene invece un processo di fermentazione-digestione-metanizzazione: attraverso la digestione anaerobica, in assenza d’aria e con batteri, si produce gas/metano e digestato. Il biogas alimenta impianti di cogenerazione con motori endotermici per produrre elettricità e calore. Per questo, nell’anno di Expo, con il mondo che riflette sulla crescita della popolazione e sulle limitate disponibilità di fonti fossili (che inquinano e comportano rischi di cambiamenti climatici), le biomasse vengono indicate spesso come la strada. L’effetto positivo sull’ambiente è dato non solo dall’utilizzo degli scarti, ma anche dalle quantità di carbonio contenuto che, facendo già parte del ciclo naturale, non incrementano l’anidride carbonica nell’atmosfera. Inoltre, a differenza di altre rinnovabili, le biomasse hanno il vantaggio d’essere stoccate: c’è continuità di erogazione dell’energia fornita, con possibilità d’interruzione come nelle centrali fossili. Oggi l’Italia è al secondo posto nel mercato europeo per impianti a biogas. Terza a livello mondiale, dopo Germania e Cina, grazie a 1300 impianti a biogas e investimenti per 4,5 miliardi, che negli ultimi cinque anni hanno creato 12.000 posti di lavoro. Althesys, società milanese specializzata nella consulenza strategica e nella ricerca in ambiente ed energia, ha calcolato che il settore, entro il 2020, potrebbe movimentare nel nostro Paese un valore economico di 3,2 miliardi di euro. Entro il 2030 in Italia dovrebbero contarsi circa 2300 impianti di biogas agricolo: la potenza elettrica raddoppierebbe, grazie anche allo sviluppo del biometano. 092
Oggi l’Italia è al secondo posto nel mercato europeo per impianti a biogas. Terza a livello mondiale, dopo Germania e Cina
Nell’anno di Expo, con il mondo che riflette sulla crescita della popolazione e sulle limitate disponibilità di fonti fossili, le biomasse vengono spesso indicate come una strada Tornano alla mente le riflessioni di Mario Giampietro, professore all’Università Autonoma di Barcellona, che ha sottolineato che per coprire la totalità dei consumi energetici nostrani servirebbe una superficie tre volte superiore alla terra arabile nel nostro Paese. Lo Stivale, tra l’altro, non produce eccedenze di cibo ma, anzi, importa cereali dall’estero. Seguendo questa considerazione, verrebbe da pensare che le biomasse potrebbero essere la risposta. Bisogna però ancora lavorare sugli impianti: oggi le biomasse vanno essiccate prima dell’uso e i trattamenti chiedono dispendi d’energia irrecuperabili. I costi di trasporto sono alti. Una parte di strada s’è fatta: rispetto ad altri impianti, queste centrali non hanno bisogno di tecnologie sofisticate e sono economicamente più accessibili. Ma bisogna lavorare ancora sulla tecnologia, dove si gioca la sfida degli impianti ibridi. Enel Green Power sta costruendo a Castelnuovo Val di Cecina la Cornia 2, prima centrale al mondo ibrida geotermicabiomasse: qui, le biomasse del settore agricolo e di altre attività connesse nel raggio di 70 chilometri contribuiscono a riscaldare di oltre il doppio i vapori geotermici, aumentando la capacità di produzione d’energia elettrica. Due rinnovabili al posto di una, quindi. E un impatto ambientale vicino allo zero, con un risparmio d’anidride carbonica di 17.000 tonnellate annue. Così l’unione di due rinnovabili apre nuovi scenari per la produzione d’energia. 093
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rubrica
| la scienza dal giocattolaio
Un Gambero Rosso da favola articolo di Davide Coero Borga Giornalista
Un cesto di focaccia, una mela avvelenata, una casa di marzapane, una barretta di cioccolata Willy Wonka, e la sempre odiata minestra. All’osteria del Gambero Rosso il pranzo è in favola.
Chissà se almeno Cracco-OcchiDi-Ghiaccio se lo ricorda. E chissà se lo sanno i mister Chef della tivù o ristoratori di provincia, che tanto aspirano a essere incensati e inseriti nelle preziose guide della gastronomia Italiana. Che il Gambero Rosso è l’osteria del Pinocchio di Collodi. E il Gatto e la Volpe ci entrano senza appetito con l’ingenuo burattino senza fili. Il Gatto poverino, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non può mangiare che appena trentacinque triglie in salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana. Trippa mal condita, poco più che mangiabile se si aggiungono burro e formaggio grattato in abbondanza. La Volpe, cui il medico ha ordinato una rigidissima dieta, pure deve accontentarsi di una semplice lepre con contorno di pollastre ingrassate e galletti di primo canto. E poco vale il «cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa» che si fa portare per saziarsi. Ha così tanta nausea per il cibo che non può avvicinare nulla alla bocca. Fortuna che almeno Pinocchio rende omaggio al cuoco pluristellato del Gambero Rosso ordinando uno spicchio di noce e un cantuccino di pane, che lascia sbocconcellato nel piatto, mentre il suo pensiero è fisso al campo dove ha seppellito gli zecchini, su consiglio dei due birbanti. Il cibo, tema cardine dell’Expo milanese, non è un argomento sempli-
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ce da raccontare ai più piccoli. E il mondo delle favole sembra riflettere bene le ansie, le paure, le passioni e le avventure che apparecchiano la pancia di un bambino. Una questione scottante: la minestra No, no, no. La minestra non la vo’. Pesta i piedi il Gasparino di Heinrich Hoffman, autore ottocentesco di Pierino Porcospino, una raccolta di filastrocche che dovrebbero mettere in guardia i monelli dal disobbedire alle raccomandazioni di mamma e papà. Chi fa i capricci e si rifiuta di mangiare la dose giornaliera di minestra diventa sempre più magro fino a scomparire. Non servono che pochi giorni a digiuno per diventare quasi trasparenti e incapaci di reggersi in piedi. Gasparino è spacciato, «qual pietra sepolcrale ha una zuppiera, eppur sì vispo e sì leggiadro egli era!». Sembra di sentire le dolenti note del mitico Bobby Prince che si spandono nell’aere: «Vegetables, vegetables you’ve got to eat your vegetables, do you hear me?». Mi ascolti o no? Devi finire le tue verdure! Come a dire che quello della minestra sembra un problema destinato a non tramontare mai. Nella casa di marzapane Chi invece la minestra la mangerebbe volentieri, e di corsa, sono i poveri Hänsel e Gretel, protagonisti della
fiaba dei fratelli Grimm. Figli di un infelice taglialegna che con il lavoro non riesce più a sostenere i costi di una famiglia, rimasto tragicamente vedovo, si fa convincere dalla nuova compagna (icona perfetta di una lunga dinastia di matrigne terribili) ad abbandonare gli amati Hänsel e Gretel nel cuore del bosco, sperando che sappiano cavarsela da soli. «No, moglie mia», disse l’uomo. «Questo non lo faccio: come potrei aver cuore di lasciare i miei figli soli nel bosco! Le bestie feroci verrebbero subito a sbranarli». «Pazzo che non sei altro», diss’ella. «Allora dobbiamo morir di fame tutti e quattro; non ti resta che piallare le assi per le bare». Breve sunto per chi non si intende di truci racconti medievali: i fratellini girano a vuoto nella foresta quando inciampano in una casa di marzapane con tetto biscottato e finestre zuccherate. Pancia mia fatti capanna. Però – c’è sempre un però – ecco spunta la strega malefica. Evidentemente stufa di una quotidianità a forma di dessert, la vecchina punta ai bambini per cucinare, finalmente, un secondo di carne. Il piccolo Hänsel viene messo all’ingrasso come si fa con i maiali e Gretel viene istruita per allestire i fornelli. Nel fuoco finisce però la strega, spinta dagli scaltri fratelli. Morire di fame. Letteralmente. La fiaba dei Grimm è la fotografia di un tempo in cui la scarsità
di cibo e la malnutrizione diffusa facevano dell’infanticidio una pratica comune. Hänsel e Gretel non condannano il padre per la scelta drammatica cui è costretto dalle circostanze, al contrario diventano artefici di un riscatto della propria famiglia cui possono regalare un futuro migliore grazie ai beni sottratti alla strega-orco. Breve ricettario della fantasia La cucina della fantasia è sempre aperta. Il lupo di Cappuccetto Rosso inghiotte nonne in un sol boccone (buon per voi care vecchine, che da avventure del genere uscite senza un graffio grazie alle abili mani di cacciatori che sfilettano un lupo come una trota di lago), mentre alla bambina vestita di rosso tocca rischiare l’osso del collo per attraversare il bosco e portare alla parente malata una cesta di focaccia fresca. La vita è più dolce con un po’ di cioccolata. Soprattutto se si tratta della cioccolata di Willy Wonka, l’istrionico e bislacco proprietario de La fabbrica di cioccolato di Roald Dahl. La vita di Charlie Bucket – che vive insieme a nonni e genitori in una baracca di legno, condannato alla povertà più estrema e a un menu fisso di cavoli in zuppa – è destinata a essere rivoluzionata in un’avventura a tutto cacao. E persino i disturbi dell’alimentazione, di cui medici e psicologi sono oggi costretti a occuparsi per difendere la salute di giovanissimi e adolescenti, sono descritti in chiave allegorica nell’Alice di Lewis Carroll. Biscotti e funghi nel Paese delle Meraviglie stiracchiano, ingrassano e rimpiccioliscono a dismisura il corpo bambino di Alice, in un rapporto con la tavola che non ha nulla di salutare. Ecco allora che diventa importante parlare bene e sempre meglio di cibo, alimentazione, dieta sana. Il mondo della fantasia è un riflesso di quanto succede nella realtà e colleziona buona e cattive pratiche a tavola. La Biancaneve che cade vittima di un sortilegio per aver dato un morso alla mela avvelenata sembra volerci ricordare come faceva la mamma: non si accettano caramelle dagli sconosciuti! Ma adesso che la lista della spesa per riempire la dispensa è in mano nostra, come si fa?
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Dove vanno i kWh? articolo di Emanuela Colombo e Mariano Morazzo Cattedra UNESCO Energia per lo Sviluppo Sostenibile, Politecnico di Milano Enel Foundation
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Quando si pensa all’energia è facile immaginarsi che in tutto il mondo basti un click per avere luce, proprio come accade nelle nostre abitazioni. Ma non è così e ancora oggi una parte considerevole della popolazione mondiale non ha accesso all’energia. Occorre quindi trovare una soluzione e un modello di studio che aiutino a comprendere l’impatto di ogni azione e a guidare gli interventi futuri ed Enel, insieme al Politecnico di Milano, sta lavorando in questa direzione.
La disponibilità di energia affidabile, pulita, sicura e a costi adeguati è legata allo sviluppo e questo legame sta profondamente influenzando la modalità con cui i progetti di cooperazione in campo energetico vengono identificati e formulati. L’accesso all’energia è un diritto essenziale e fattore di sviluppo, eppure, oggi, ancora 1,3 miliardi di persone non ha accesso all’energia elettrica, 2,7 miliardi si affidano alla biomassa tradizionale per usi domestici e circa un miliardo non ha accesso a una rete elettrica affidabile. Secondo le stime dell’International Energy Agency (IEA), questi numeri non sono destinati a cambiare significativamente nel prossimo futuro, a meno di interventi strutturali e coordinati da parte della comunità internazionale degli stakeholder. MOTIVAZIONI DELLA RICERCA Nel campo dell’accesso universale e sostenibile all’energia servono metodi e modelli per valutare l’impatto di lungo periodo delle azioni di cooperazione, per essere in grado di sintetizzare i riscontri e di conseguenza indirizzare le strategie future. Tale valutazione, secondo i cinque Criteri globalmente riconosciuti del DAC-OCSE (Development Assistance Committee – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), richiede un doppio passaggio. Dapprima occorre fare
Nel campo dell’accesso universale e sostenibile all’energia è essenziale valutare le azioni intraprese: servono metodi o modelli per misurare l’impatto di lungo periodo degli interventi di cooperazione, per essere in grado di sintetizzare i riscontri e di conseguenza indirizzare le strategie future IMPATTI
VALUTAZIONE ESTERNA
outcome
VALUTAZIONE INTERNA
Basata sullo sviluppo / Orientata alle persone
Basata sui risultati / Orientata al progetto
output
attività
input
Fig. 1 La catena dei risultati DAC-OECD
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una valutazione interna delle prestazioni del progetto, inteso come un processo che corre lungo la catena dei risultati (fig.1). Quindi, è essenziale una valutazione esterna dell’impatto del progetto sullo sviluppo del territorio locale. In questa seconda fase l’attenzione si sposta dal progetto stesso al contesto di riferimento e alle comunità beneficiarie. Gli obiettivi e l’estensione temporale delle due analisi sono differenti e richiedono approcci e strumenti differenti. IL MODELLO INTEGRATO La Cattedra UNESCO del Politecnico di Milano e la Fondazione Centro Studi Enel, supportati dalla lunga esperienza del Gruppo Enel in ambito di responsabilità sociale, stanno sviluppando un modello di valutazione integrata a due fasi (fig 1.) per progetti di cooperazione in ambito energetico. Nella prima fase i primi quattro criteri DAC-OCSE efficacia, efficienza, rilevanza e sostenibilità del progetto vengono calcolati con una metrica comune. Tra le varie proposte della letteratura scientifica, l’exergia – intesa come il massimo lavoro estraibile da un dato sistema per portarlo in equilibrio con l’ambiente di riferimento – occupa un posto di rilievo e consente di proporre un’alternativa alla tradizionale metrica economica. Le analisi exergetiche, e in particolare le recenti estensioni di tali metodologie, sono in grado di includere, oltre alle risorse energetiche e alle materie prime utilizzate l’effetto di eventuali esternalità ambientali ed economiche: l’exergia può così diventare una “proxy” del consumo complessivo di risorse primarie utilizzate durante il progetto (fig. 2). L’applicazione di questa prima analisi a diversi progetti permetterebbe in futuro di creare un benchmark utile per confrontare i risultati specifici dei vari progetti – in particolare in termini di risorse consumate – e per individuare le strategie migliori in base alle categorie di risultato (educazione, sanità, agricoltura, sviluppo imprenditoria, ecc.). Per i progetti energetici, misurare in modo omogeneo (in megajoule) tutti i flussi entranti e uscenti dal progetto e separare gli input primari (che si trasformano in output energetici) da quelli secondari (che si trasformano in altri output), come illustrato nella figura 3a, consente di valutare con indicatori adimensionali i quattro criteri di efficacia, efficienza, rilevanza e sostenibilità. 098
BUDGET PER L’AZIONE risorse umane
Stipendi (importo lordo, personale locale) viaggi
Viaggi internazionali Trasporti locali attrezzatura (ufficio, veicoli, provviste, ecc.)
Altro subappalto
Lavori e provviste
EQUIVALENTI EXERGETICI
CONTO EXERGETICO
eeL
[MJ]
eeK1 eeg
[MJ]
CX C
[MJ]
eeL1 CEX C
[MJ]
eK
[MJ]
Fig. 2 Equivalente exergetico necessario per trasformare i bilanci economici
3a
input
attività
primari | secondari
output energia | altro
3b
input primari ω=
input globali
output energetici ρ=
bisogni energetici
Fig. 3a e 3b Input primari e secondari, output energetici e altri output
risultati
In futuro si potrebbe creare un benchmark per confrontare i risultati specifici dei vari progetti e individuare le strategie migliori per categorie differenti di risultato
modalità con cui selezionarli, normalizzarli e pesarli. In accordo con la letteratura di settore, infatti, gli indicatori devono essere verificabili, calcolabili su una base quantitativa, qualitativa e temporale e devono essere SMART (Specific, Mesurable, Available, Relevant and Time-bound). Progetti in differenti aree, con differenti disponibilità economiche e capacità degli attori principali, possono richiedere un diverso set di indicatori. Per il capitale ambientale, per esempio, vengono definite le dimensioni con cui deve essere misurato: acqua, aria, terra, biodiversità e materie prime. La dimensione acqua e il relativo inquinamento possono essere misurati con indicatori specifici differenti: svolgendo un’analisi chimica-batteriologica di dettaglio oppumodulo 1
gerarchia
modulo 2
selezione di indicatori
modulo 3
inserimento dati e normalizzazione
sviluppo
modulo 4
assegnamento pesi
sviluppo
modulo 5
aggregazione
sviluppo
modulo 6
valutazione impatti
framework customizzazione
analisi dei risultati
Fig. 4 La metodologia di valutazione proposta (IEF, Impact Evaluation Framework)
Per esempio, efficacia (ω) e rilevanza (ρ) sono rispettivamente calcolate come nella figura 3b. La seconda fase è invece dedicata al quinto criterio, ovvero l’impatto, misurato attraverso gli effetti che il progetto ha comportato sul patrimonio locale valutato in termini di cinque capitali della comunità: naturale, fisico, umano, sociale, finanziario. Il modello riprende e rielabora in modo originale l’approccio “Sustainable Livelihoods Framework”, utilizzato dal Department for International Development (UK) e promosso dall’Imperial College. Una schematizzazione della metodologia proposta per la valutazione dell’impatto è riportata nella figura 4 che si basa su una gerarchia (modulo 1) in cui per ciascun capitale vengono individuate le dimensioni più rilevanti (fig. 5). Si lascia tuttavia allo specifico progetto la definizione dei singoli indicatori all’interno di ogni dimensione, proponendo, però, le
CAPITALI
DIMENSIONI
capitale naturale
terra acqua aria ecosistema e biodiversità materie prime
capitale fisico
infrastrutture pesanti infrastrutture leggere infrastrutture intelligenti
capitale umano
educazione e competenza capacità stato di salute
capitale sociale
collaborazione e iniziativa uguaglianza e inclusione
capitale finanziario
condizione economica economia formale economia informale
Fig. 5 La gerarchia utilizzata a livello di capitali e dimensioni dei capitali (modulo 1)
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re distribuendo questionari alle famiglie del territorio per capire come la popolazione locale percepisce e vive il problema dell’inquinamento della falda. Il contenuto informativo nei due approcci è completamente differente, come lo è anche il costo e il tempo richiesto e le capacità necessarie per portare a termine i due processi di misura e popolare gli indicatori. Per questo motivo la selezione degli indicatori fortemente specifica al progetto permette di contemplare entrambi gli approcci più estremi (e tutti gli eventuali intermedi). La metodologia di valutazione, misurando gli indicatori per la situazione prima e dopo il progetto, permette di identificare i capitali in cui l’intervento ha provocato un miglioramento o un peggioramento. La metodologia di aggregazione degli indicatori si basa su un modello tipo AHP (Analytic Hierarchy Process) ed è pertanto anche in grado di fornire per ogni capitale il contributo di ciascuna dimensione. La metodologia di valutazione può essere utilizzata sia per analisi ex-ante, e dunque in fase di scelta tra possibili alternative, sia ex-post, per valutazioni di progetti conclusi.
dei consumi di 150 famiglie. L’impianto è di tipo stand alone e comprende un sistema di accumulo elettrochimico da 600 chilowattora in grado di gestire tutte le necessità tecniche della rete, garantendo agli abitanti dell’area di disporre dell’energia elettrica per 24 ore al giorno. Si valuterà la possibilità di applicare il metodo descritto anche a un nuovo progetto, “Powering Education II”, che verrà realizzato in Kenia da Enel Green Power con il supporto scientifico della Fondazione Centro Studi Enel e per il quale si prevedono diversi tipi di impatto sul territorio. Il progetto, che si baserà sui risultati positivi di una prima fase conclusa nel 2013, ha come obiettivo la distribuzione di lampade solari a giovani studenti che vivono in zone non collegate alla rete elettrica, per favorirne lo studio a casa anche nelle ore serali. L’applicazione del modello permetterà di fare una valutazione puntuale di questi interventi di elettrificazione sullo sviluppo della comunità locale. Il modello offre così un protocollo per analizzare come i chilowattora, intesi come strumento, si trasformano in “patrimonio” della comunità locale promuovendone lo sviluppo equo e sostenibile, inteso come il vero fine delle azioni di innovazione e sostenibilità.
Il modello sarà applicato al progetto di Enel Green Power “Ollague”, località situata nel deserto di Atacama e abitata da numerose piccole comunità non connesse alla rete elettrica nazionale
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Il modello è stato applicato, in fase di sperimentazione, ad alcuni casi studio legati a progetti di cooperazione e corporate social responsibility, dimostrando la flessibilità della metodologia proposta. Essa suggerisce, infatti, di seguire un protocollo specifico (schematizzato in fig. 4) per meglio adattare il modello al contesto, piuttosto che definire a priori una serie di indicatori che potrebbero non trovare risconto in territori tra loro molto diversi da un punto di vista socio-economico e culturale. Il modello sarà applicato al progetto di Enel Green Power “Ollague”, località situata nel deserto di Atacama e abitata da numerose piccole comunità non connesse alla rete elettrica nazionale. Il progetto, iniziato nell’Aprile 2014, ha una natura innovativa e combina fotovoltaico, minieolico e un sistema co-generativo per la produzione di elettricità e acqua calda. La potenza installata è di 235 chilowatt con una capacità produttiva pari a circa 460 megawattora all’anno, l’equivalente 100
naturale
1 0,8 0,6 0,4 finanziario
fisico
0,2 0
sociale
umano
Fig. 6 Esempio di output della metodologia di valutazione dell’impatto (in grigio la situazione senza progetto e in arancione la situazione ipotizzata a seguito del progetto)
NEWS Trend e best practices
L’uso delle risorse nelle megacity In collaborazione con la Fondazione Centro Studi Enel, il professor Chris Kennedy, presidente della International Society for Industrial Ecology e Senior Fellow del Global Cities Institute, ha guidato un team di 28 ricercatori provenienti da 19 Paesi nella realizzazione del primo studio approfondito sui flussi di energia e materia di 27 megacity nel mondo. La peculiarità della ricerca consiste nell’analisi dei flussi di materia e nell’aver superato i confini amministrativi delle città, determinando e analizzando i flussi di materia e di energia per intere aree metropolitane con una popolazione superiore ai dieci milioni. Da Tokyo, a Shenzhen, passando per Londra, Los Angeles, Il Cairo e Rio de Janeiro, lo studio Energy and material flows in megacities, di prossima pubblicazione sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”, mostra come per molte di queste realtà urbane la rapida crescita della popolazione sia superata dalla ancor più rapida crescita del consumo di quelle risorse energetiche strategiche alla crescita del loro PIL. Le analisi indicano, inoltre, che le economie delle megacity continueranno a espandersi e ci si aspetta una continua crescita dei loro consumi energetici. Dall’analisi dei risultati si possono trarre importanti lezioni ed elaborare best practices per un futuro urbano sempre più sostenibile grazie al contenuto di attori chiave quali le utility.
Expo Milano 2015
“Energy and the integrated management of resources: system thinking for technician and policy makers”
La Fondazione Centro Studi Enel all’EXPO, per presentare i risultati del progetto di ricerca Perfomance measurement systems for cooperation projects in the energy fields sviluppato in collaborazione con il Politecnico di Milano. La presentazione si inserisce nell’ambito della conferenza “Energy and the integrated management of resources: system thinking for technician and policy makers” ospitata nel padiglione Europeo dell’EXPO 2015, e rappresenta un’occasione di riflessione sulla necessità di adottare un approccio globale integrato nella gestione delle risorse, per assicurarne un utilizzo equo e sostenibile. Milano, 25 giugno 2015 101
Acqua ed energia: necessità interdipendenti articolo di Renata Mele e Christian Zulberti Enel Foundation
Una risorsa limitata e preziosissima, che in tutti i continenti sta andando incontro a un progressivo impoverimento: l’acqua non è indispensabile solo alla vita dell’uomo, ma anche alla produzione di energia. Ed è l’importanza di questo legame che l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha riconosciuto nel World Energy Outlook, stimolando iniziative e ricerche che puntano all’efficienza energetica e all’adozione di altre fonti di energia pulita.
102
irrigazione uso domestico bestiame
Fig. 1 Domanda idrica globale (prelievo di acqua dolce): scenario di riferimento, 2000 e 2050 (Fonte: OECD Environmental Outlook to 2050, 2012).
industria elettricità
KM3 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0 2000
2050
ocse
2000
2050
brics
2000
2050
altri
2000
2050
mondo
La disponibilità di acqua dolce di sufficiente qualità è un’importante questione nell’attuale agenda politica globale, che ha causato una crescente attenzione alla sua relazione con la sicurezza energetica (UN Water, 2014; World Economic Forum, 2011). L’acqua dolce è una risorsa comune, globale, ma con una disponibilità fortemente limitata che dipende dalle condizioni locali e può variare nel tempo e nello spazio. Quasi tutti i continenti si trovano a dover fronteggiare fenomeni legati alla scarsità della risorsa idrica e anche i Paesi con disponibilità diffusa nei prossimi anni potrebbero dover mettere in atto misure per ridurre lo stress idrico in particolari regioni. Le risorse idriche possono infatti variare notevolmente da un bacino idrico a un altro e trovarsi molto lontane dalle aree di maggiore richiesta. È ben nota l’importanza del nesso tra acqua ed energia: la produzione di energia necessita di acqua dolce per l’estrazione e per il trasporto dei combustibili fossili, così come per la crescita della biomassa; il processo stesso di produzione dell’energia consuma acqua, esponendo il ciclo energetico ai rischi legati alla variabilità e scarsità di questa risorsa. Nel 2012, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) ha riconosciuto l’importanza della relazione tra acqua ed energia e nel suo rapporto annuale, il World Energy Outlook, ha calcolato che nel 2010 la quota di prelievo di acqua per la produzione di energia è stata pari al 15% dei prelievi idrici totali a livello mondiale. Di questa, il consumo di acqua (il volume prelevato, ma non restituito alla sua fonte) è inferiore al 2% del prelievo idrico globale, ma ci si aspetta che questo dato aumenti nei prossimi anni a causa della diffusione di impianti per la riduzione dell’inquinamento atmosferico, la rimozione delle polveri e il raffreddamento di impianti che utilizzano grandi quantità di acqua dolce. Le interdipendenze esistenti tra acqua ed energia sono note e la questione è già diventata un argomento dell’agenda politica: un esempio è la 103
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È possibile stabilire l’impronta idrica di diverse realtà, come un prodotto, un consumatore, un’attività di business, un Paese o un’azienda
Roadmap acqua-energia degli Stati Uniti nell’Energy Policy Act 2005, che ha avviato nei laboratori nazionali del Dipartimento di Energetica il filone di ricerca dedicato alla riduzione della domanda idrica nella produzione di energia. Questo legame è talmente stretto che per assicurare la fornitura sia di acqua sia di energia è necessario modificare le politiche convenzionali e operare secondo un approccio integrato, creando sinergie tra i settori. Un indicatore appropriato e recentemente standardizzato relativo all’uso dell’acqua è l’impronta idrica (water footprint, WF): concettualmente simile alla carbon footprint, rappresenta il volume d’acqua dolce utilizzato sull’intera filiera di produzione di un bene, mostrando il consumo d’acqua per tipo di fonte e il volume di acqua inquinato per tipo di inquinante. Questo indicatore prende in considerazione tre componenti diversi dell’utilizzo di acqua: l’impronta blu, che misura il consumo di acqua superficiale e sotterranea; l’impronta verde, che misura il consumo di acqua piovana (specialmente per i settori agricolo e forestale); l’impronta grigia, che misura il volume d’acqua inquinata. La somma delle impronte blu 104
e verdi rappresenta l’impronta relativa al consumo, un indicatore che non include quindi l’inquinamento dell’acqua (sia in termini di variazione termica che di rilascio di agenti inquinanti). È possibile stabilire l’impronta idrica di diverse realtà, come un prodotto, un consumatore, un’attività di business, un Paese o un’azienda (Arjen Hoekstra, The Water Footprint of Modern Consumer Society, 2013). Considerata quindi l’interrelazione tra acqua ed energia, nelle aziende attive nel settore energetico sta aumentando la consapevolezza della propria impronta idrica e della necessità di adottare pratiche intelligenti per garantire uno sviluppo sostenibile. In quest’ottica forti del know-how e delle best practice del Gruppo Enel, la Fondazione Centro Studi Enel, in collaborazione con l’Università di Twente, sta realizzando una valutazione dell’impronta idrica della produzione energetica a livello globale, mettendo a confronto l’impronta delle diverse tecnologie di produzione. Il consumo di acqua per la produzione di energia elettrica e di calore, espressa come volume totale di acqua consumata nell’intera filiera produttiva, contribuisce sensibilmente all’impronta idrica
globale ed è determinata da tre fattori principali: energia totale prodotta (che può essere espressa in terajoule/anno), l’energy mix (cioè il rispettivo contributo delle diverse fonti di energia, ognuna delle quali ha un’impronta diversa) e l’impronta specifica per unità di energia prodotta per fonte energetica (metri cubi/terajoule). Nel periodo 2000-2012 si è registrato un aumento della produzione globale di energia elettrica e calore, e gli scenari energetici comunemente utilizzati prevedono un’ulteriore crescita per i prossimi decenni. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) prevede ad esempio che la domanda globale di energia elettrica crescerà più velocemente di quella di ogni altra forma di energia finale, sebbene il tasso di crescita differisca tra i vari scenari e dipenda dalle politiche governative relative ai limiti d’emissione di anidride carbonica (CO2), l’efficienza energetica e la sicurezza energetica (AIE, 2012). Con un aumento della domanda di energia elettrica superiore al 70% previsto tra il 2010 e il 2035, di cui più di metà solamente in Cina (38%) e India (13%) (AIE, 2012), si può presumere che l’impronta idrica totale della produzione di energia aumenti, con un conseguente aumento della pressione sulla scarsità di disponibilità di acqua dolce. Dal momento che l’impronta idrica media per unità di energia elettrica prodotta è strettamente legata alla tecnologia di produzione, il valore dell’impronta dipenderà dalla composizione del mix energetico, dagli impianti di trattamento delle emissioni e dal tipo di tecnologia di raffreddamento utilizzabile nei vari impianti di produzione. Come si afferma nel rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) pubblicato nel 2014, «l’aumento degli sforzi per mitigare e adattarsi al cambiamento climatico implica un aumento della complessità delle
interazioni, in particolare nelle interrelazioni tra acqua, energia, sfruttamento del terreno e biodiversità». Importanti esempi di azioni che possono avere un impatto positivo su diversi settori includono il miglioramento dell’efficienza energetica e lo spostamento verso fonti di energia più pulite, i quali hanno come effetto diretto la riduzione delle emissioni dei gas dannosi sia per la salute sia per il clima. Sebbene i benefici siano stati studiati, la gestione delle interazioni tra i vari settori è ancora una questione aperta. Partendo dal presupposto che la disponibilità di acqua dolce è limitata e gli usi che si fanno di questa risorsa sono spesso in competizione tra loro, una delle questioni cruciali è se, e in che modo, le azioni per limitare gli effetti sul cambiamento climatico possano influire sull’impronta idrica globale. Tornando alle implicazioni del nesso acqua-energia e considerando le tecnologie attualmente disponibili, una riduzione significativa del consumo di acqua per la produzione di energia può essere raggiunta grazie ad azioni coordinate e innovazione nel settore energetico. Risultati rilevanti possono peraltro essere ottenuti attraverso miglioramenti nel campo dell’efficienza energetica così come con un profondo cambiamento dell’attuale mix energetico verso fonti di energia più pulite. In questa cornice, le grandi aziende del settore energetico che stanno utilizzando tecnologie e pratiche innovative per la gestione dell’acqua rivestono un ruolo decisivo nella riduzione della propria impronta idrica e tracciano con il loro esempio la strada verso un futuro sostenibile.
Le interdipendenze esistenti tra acqua ed energia sono note e la questione è già diventata un argomento dell’agenda politica e parte integrante del piano d’azione di player energetici lungimiranti
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Ridurre il consumo
Le iniziative di Enel di Carlo Ferrara, Renata Mele e Christian Zulberti Sustainability Enel Enel Foundation Enel Foundation
Migliorare la gestione delle risorse, portando al minimo il reale consumo di acqua. Questo è l’obiettivo del Gruppo Enel, che si impegna a preservare ecosistemi e risorse idriche. La produzione di energia richiede utilizzo di acqua da fonti idriche principalmente per il raffreddamento, la desolforazione, l’abbattimento degli ossidi di azoto e delle polveri prodotte durante i processi di combustione. I fabbisogni complessivi vengono generalmente coperti attraverso il prelievo di acque dolci di superficie, acque sotterranee, da acquedotto, oppure sfruttando fonti come l’acqua di mare e i reflui derivanti dagli stessi processi produttivi. Vista l’importanza della risorsa idrica per le comunità locali e per gli ecosistemi di riferimento, è necessario che i settori industriali che richiedono l’utilizzo di acque siano costantemente rivolti a migliorare la gestione della risorsa idrica, assumendo impegni di riduzione e comunicando in modo trasparente tutti gli impatti e le misure di mitigazione messe in atto. Nella gestione delle risorse idriche è perciò necessaria una misurazione accurata e affidabile delle performance (per esempio consumi specifici, carico inquinante delle acque reflue) oltre a una definizione di politiche e di target specifici, e approfondimenti e studi volti a delineare possibili scenari futuri. 106
In questo quadro, il Gruppo Enel si è posto come obiettivo per il 2020 di ridurre del 10% il consumo specifico di acqua totale rispetto ai dati del 2010. Sono stati perciò sviluppati sistemi e soluzioni per contenerne l’uso nei processi industriali gestiti dal Gruppo. Nel 2014 il consumo complessivo di acqua è stato pari a 185,9 milioni di metri cubi, inferiore rispetto al 2013 a seguito della diminuzione della produzione termoelettrica e nucleare. Il consumo specifico del 2014 è stato pari a 0,64 litri al chilowattora, in linea con i valori del 2013, e ha confermato la riduzione a tendere in linea con l’obiettivo al 2020. Va inoltre sottolineato che il 99% dell’acqua prelevata dal Gruppo viene restituita al bacino idrico di provenienza, e solamente un 5% (7% nel 2013) del totale della produzione del Gruppo ha utilizzato o consumato acqua dolce in zone water stressed. Un caso particolarmente virtuoso di gestione delle acque è rappresentato dalla centrale di Fusina, dove le acque utilizzate per il raffreddamento in ciclo chiuso provengono dall’impianto di trattamento delle acque urbane e industriali dell’azien-
Il Gruppo Enel si è posto come obiettivo per il 2020 di ridurre del 10% il consumo specifico di acqua totale rispetto ai dati del 2010
da municipalizzata locale. Altre esigenze, come il raffreddamento a ciclo aperto, vengono coperte invece senza un vero e proprio consumo, attraverso acqua di mare o di fiume prelevata e poi restituita al corpo d’origine nella medesima quantità, con caratteristiche chimiche inalterate e variazioni minime in termini di temperatura (sempre entro i limiti fissati dalle normative dei Paesi in cui Enel opera). Enel, inoltre, ha dotato le centrali di Brindisi e Torrevaldaliga Nord di sistemi Zero Liquid Discharge (ZLD) consentendo, grazie agli impianti di cristallizzazione, un risparmio di oltre 600 tonnellate all’ora di acqua. Lo ZLD è un sistema che permette una gestione sostenibile degli spurghi liquidi degli impianti di desolforazione delle centrali termoelettriche, evitando lo scarico in mare a conclusione del trattamento nel rispetto dei limiti di legge (DLgs 152/2006) e destinando i reflui degli impianti al riutilizzo nel processo produttivo. Il sistema adotta la stessa soluzione utilizzata per recuperare l’acqua nelle zone desertiche, già applicata anche per le torri di evaporazione negli impianti distanti
dai bacini di scarico. In questi contesti i liquidi di scarico vengono pretrattati e cristallizzati e producono quindi un’acqua distillata di alta qualità, ottima per il riutilizzo: i sali prodotti con la cristallizzazione possono così essere facilmente gestiti come rifiuti solidi non pericolosi. Per comunicare in modo trasparente ed esauriente l’utilizzo delle risorse idriche e le misure attuate, Enel partecipa dal 2013 al CDP Water ed è stata la prima utility al mondo ad attuare una ulteriore valutazione sull’utilizzo delle risorse idriche attraverso il tool Aqua Gauge (sviluppato dalla società Ceres in collaborazione con il World Business Council for Sustainable Development)proprio per rispondere alle esigenze di investitori interessati a comprendere come le aziende gestiscano le risorse idriche e i rischi ad esse correlati. Enel inoltre effettua un costante monitoraggio di tutti i siti di produzione che si trovano in zone a rischio di scarsità idrica per gestire tale risorsa nella maniera più efficiente, sia attraverso il monitoraggio di situazioni di water scarcity sia massimizzando l’utilizzo di acque marine e da reflui. 107
info@codiceedizioni.it codiceedizioni.it facebook.com/codice twitter.com/codice_codice pinterest.com/codice_codice
NON SI TRATTA DI CREARE UNA VITA DI LUSSI, MA UNA VITA DI POSSIBILITÀ. SI TRATTA DI PRENDERE QUELLO CHE È SCARSO E RENDERLO ABBONDANTE GRAZIE ALLA TECNOLOGIA. PETER H. DIAMANDIS, STEVEN KOTLER
AYESHA KHANNA PARAG KHANNA
PETER H. DIAMANDIS STEVEN KOTLER
L’ETÀ IBRIDA
ABBONDANZA
IL POTERE DELLA TECNOLOGIA NELLA COMPETIZIONE GLOBALE
IL FUTURO È MIGLIORE DI QUANTO PENSIATE
PP. 144 EURO 11,90
PP. 464 EURO 27,00
PAUL ROBERTS
RICHARD MULLER
LA FINE DEL CIBO
ENERGIA PER I PRESIDENTI DEL FUTURO
PP. 470 EURO 28,00
PP. 384 EURO 15,90
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MATT RIDLEY
GORDON SHEPHERD
UN OTTIMISTA RAZIONALE
ALL’ORIGINE DEL GUSTO
PP. 464 EURO 15,90
PP. 364 EURO 25,00
26 05.2015
Co cover
FOOD IS ENERGY, ENERGY IS FOOD Faced with a distracted administration of resources, we have made sure we change the rules of the game which has been depleting the Earth and subjecting it to an increasing stress which it can no longer support. Over seven billion people are demanding more food and energy in an area that is getting increasingly smaller. But somehow food and energy are both the dilemma and the solution for the present and the future: efficient, intelligent, and reasoned management of both of them is the basis for beginning to rethink our development. Environmentalists, nutritionists, economists, businesses, and citizens have been talking about this for some time. Oxygen tells us about the projects and activities concerning the urban and energy revolution, ranging from the great revolutions of the production systems to small agricultural technologies, which are being spread through education in schools. This is occurring just as nations and governments are together in Milan, on the occasion of the Universal Exposition, to gather ideas and decisions about our future through food and energy. These are the two indispensable and interdependent gears with which to start up a new approach to ourselves and the planet we inhabit.
Ed editorial
THE COMPASS OF SUSTAINABILITY by Maria Patrizia Grieco Enel Chairman
The Universal Exhibition in Milan was inaugurated on May 1, as a world showcase where each country can display the best of their excellences, to provide an answer to a vital need of hu-
manity: ensuring healthy food that is safe and sufficient for everyone, while respecting the planet and its equilibrium. But Expo 2015 is not just about food; these six months are also an opportunity for discussing sustainable energy solutions, another key theme for the future of humanity. There is no life without food, but there is also no life without energy that lets us take care of ourselves, feed and heat ourselves, and move around. Food and energy have a lot in common: the natural resources, essential for human survival, are in fact scarce and limited, and the demand for them is growing. The International Energy Agency has estimated that the world population will increase from 7 billion in 2012 to 9 billion in
2040, with a consequent growth in the global energy demand by about 40%. In terms of food, according to the FAO, meeting the need for food worldwide in 2050 will require an increase in global food production of between 70 and 100%. This is a trend that forces us to rethink the current model of development in terms of consumption and environmental impacts. So if our resources are limited, the real problem is how to make the best use of them in order to allow social and economic development that is more sustainable in the long run. There is effectively a great inequality in how these resources are distributed and consumed: on the one hand, there are those who have easy access to these resources or possess them in abundance but
do not use them rationally, and on the other, there are those who have practically no access to them at all. A third of the global production of food, equal to about 1.3 billion tons of food, is wasted every year. This amount would be more than enough to feed the 800 million people in the world now suffering from malnutrition. This contradiction is highlighted even more by the fact that for every person suffering from malnutrition, there are two people who are obese or overweight (2.1 billion). This same paradox is also reflected in the field of energy: 1.4 billion people still lack access to energy whereas in another part of the world, there are countries with energy systems producing an overcapacity.
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In such a context, technological innovation plays a key role in defining solutions and finding a new balance between the availability and consumption of resources. The methods of using resources, such as in Italy, have already begun to change. The key word for understanding this evolution is sustainability. You can already see the effects of these strategies in the business model of the two sectors that have become increasingly similar and comparable in many ways. The profile of the consumers is similar, because in evolving, they have become more sophisticated, and in addition to being consumers, they have also increasingly become producers. For example, customers in the energy market are much more concerned with how electricity is generated and the impact that this production has on the environment. This kind of attention is also found in the food industry, where consumers are increasingly paying attention to what they eat, to the quality of their food, and how the products were grown. In addition, greater attention towards the behavior of companies is developing; it is no coincidence that in recent years we have witnessed a boom in organic, fair trade, or zero-distance products. Food and energy also have some common characteristics in the dynamic evolution of the value chain: production that is increasingly intelligent, rational and less intensive, with a more efficient distribution, and a greater sharing of resources. Today, energy generation is getting closer to people through power plants distributed throughout the land, thus allowing citizens to produce electricity where they consume it. Likewise, people growing vegetables in their gardens, on terraces, or in communal spaces has become increasingly widespread. Production has also become more environmentally friendly: consumers prefer crops that limit the use of pesticides and promote the use
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of less intensive farming techniques to preserve the land. This attention to the environment is also found in the world of energy, which is increasingly developing research into new technologies for a cleaner production of electricity. Regarding the distribution of energy, smart grids are the most innovative tool for supporting the new bidirectional energy flows that can also offer customers new technological solutions. In the food industry, local products are becoming increasingly important in supermarkets or in restaurants, and the origin of the products is also advertised in connection with a minimal impact on the environment. Sustainability is indeed the key word for creating an inclusive and equitable future that can be achieved and sustained over time through innovation, as a sort of compass to define the strategic guidelines in the world today. Sustainability means making choices by considering the long-term consequences on society and the environment, it means leaving our children a world that is better than ours was. For a company like Enel, sustainability means acting as an integral part of a community, thinking of its products and its services as tools capable of giving solutions to the needs of people even before those of consumers. This Expo is therefore a great opportunity for exchanging experiences and sharing ideas in order to identify new sustainable solutions. This is an opportunity to showcase the great excellences that Italy has, and which it mustn’t forget it has. Enel is one such excellence, and we are proud of that because it is a demonstration of our role in the growth and development of Italy and its industrial and technological expertise. This expertise, with regard to technological innovation, enables us to present a new vision of the future of energy at the Expo.
In interview
IDEA TIME The whole world will be at hand in an edition of the Expo which is the space for narration and comparison, and a stimulus for new ideas. Hosted by the country that has made its food renowned for its excellence, over 140 countries and 20 million people will be involved in a dialogue concerning food, the equitable distribution of resources, energy, and sustainability: all crucial for the wellbeing of our planet.
interview with Giuseppe Sala Commissioner of Expo 2015 by Stefano Milano Journalist
Food and energy have some common characteristics in the dynamic evolution of the value chain: production that is increasingly intelligent, a more efficient distribution, and a greater sharing of resources
The name ‘Universal Exposition’ immediately brings to mind London in 1851, or the Expo in 1889 that left Paris with the legacy of the Eiffel Tower. But today this great event, which took 78 million people to Shanghai five years ago, and which is going to bring about 20 million to Milan, is something quite different. Like the first expositions held on the eve of the second industrial revolution, it has maintained the desire to present the inventive genius of the countries involved within a single space and with architectural structures built ad hoc. Today, however, the center of attention is no longer on the confrontation of industrial power and technology, but on coming together to discuss issues that affect everyone and to which everyone can contribute, by solving problems, and exchanging ideas and projects: that is the purpose of the contemporary world fairs – to showcase ideas. And after having lost their attractiveness in the late twentieth century, it is because of this change of perspective that the Expo has been attracting the attention of spectators and nations over the last three years. The theme that the Expo in Mi-
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But the Expo’s offerings do not end there: a highlight will also be the four thematic areas acting as a guiding thread during the visit. These spaces will be dedicated to the introduction to the visit (Pavilion Zero), to food distribution and new consumption (Food of the Future Pavilion), the richness and variety of plants (Biodiversity Park) and the education of children (Children’s Park). lan plans to put on our plates is food, the only true primary resource for our future, energy for the life of individuals and the planet. But that is not the only thing that makes this Expo important: Oxygen has talked about the ideas, perspectives, numbers, and innovation of Expo Milano 2015 with its sole commissioner, delegated by the Italian Government, Giuseppe Sala. The Universal Expos are often defined as “major theme parks”. Yet this definition is likely to diminish their seriousness and scope. Can you explain instead why it si still an important event? Because Expo Milano 2015 is an extraordinary event. Visitors will have the entire world at hand, in an exhibition area of 1.1 million square meters: this is an innovative example of people connecting and sharing customs and traditions. For six months, from May 1 to October 31, about 140 countries from around the world will present visitors with their excellent food and technology. It will be a truly engaging tour for the expected 20 million visitors, who will be able to admire the more than 50 self-built national pavilions, or make a stop among the nine clusters, exhibition villages bringing together a total of more than 80 countries that have the production of a food – coffee, rice, cocoa, cereals and tubers, fruits and legumes, spices – in common; or a specific food theme – Mediterranean, organic, agriculture and nutrition in the Dry Areas, the islands, the sea, and food.
Today, with the level of connection and sharing reached, is there still any need for people to come together physically in a context such as the Expo? Technology has made great strides: it only takes the click of a PC, tablet, and mobile phone to be instantly catapulted onto the other side of the world. We live in a global and globalized era, where connectivity and innovation are part of our way of daily life. Therefore Expo Milano 2015 is the best opportunity for speaking with hundreds of realities, associations, and institutions from all over the planet. In a nutshell, this is one of the many added values of the Universal Expo: for six months the world will be a guest of Milan and Italy. Food and energy: a sensitive subject on which our future depends. Why has Italy chosen to be the nerve center of the discussion on such a central issue? Feeding the planet in a balanced way is an issue that is more topical than ever for the future of humanity. The theme of this Expo is an invitation to adopt common policies to curb the scarcity of water, of agricultural and natural resources, as well as an appeal to avoid wastage and engage constructively in ensuring food that is healthy, safe, and sufficient for everyone. In this sense, the Expo 2015 in Milan – and consequently Italy – will be a laboratory for innovation and research. It will be a moment of confrontation and international debate to find concrete and shared solutions, also in terms
of the intelligent use of energy resources – I’m thinking of the Smart Grid that our partner Enel has developed specifically for the event. By giving direct evidence of what we know and can do, Italy will have a central role in defining those guidelines that will allow us to ensure sustainable development, food safety, and the quality of the production chain. We know what Italy has given the world in terms of food to date, but what contribution, through food, can it make in the future? A contribution of expertise, technological innovation and scientific research. Our country represents world-class excellence in the agribusiness and food industries. The professionalism of our ‘experts’ places Italian food as a global leader in the sector. The brilliant combination of culinary tradition, age-old flavors, and innovative production techniques certainly represents an added value, an example to be followed by all other countries. What can Milan learn from this event and what can it teach? We certainly have a lot to learn from others. However, the Universal Exposition is an important driver of change and improvement, the effects of which can be beneficial if they are directed in the best way. Expo Milano 2015 can give us some important signals. For example, we can ask the whole world to have greater respect for the environment and engage in spreading a new awareness of food. This is ambitious, but certainly achievable, thanks to the involvement of all the people involved. The Expo will also be an example of innovative sustainable development: we are thinking of creating the first smart city of the future, a city in which digital technologies will be available to the visitors. In short, a global interaction to enjoy the dedicated services, demonstrating how progress can make human life better.
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Leaving a legacy is one of the goals inherent in this event. What legacy will the Expo leave in Milan? In this context, I wish to reflect on the immaterial kind of legacy, made up of ideas, proposals, and strategic solutions on the issues of food and environmental sustainability. We are working on the drafting of the Charter of Milan, a document to be presented at the end of the event to the Secretary General of the United Nations, Ban Ki-moon. This is a text that will collect tips and guidelines concerning food safety. Expo Milano 2015 will also establish the best practices, models of eco-sustainable development in the agri-food sector that will guide the future actions of associations, companies, and governments. With this in mind, with the preparation of the Sustainability Report in 2013 and in 2014, we most certainly launched important signals. For the first time, in the history of the Universal Expositions, at the end of the event, all the actions undertaken to protect the environment will be published: that is truly a legacy worthy of a great event.
Expo Milano 2015 is the best opportunity for speaking with hundreds of realities, associations, and institutions from all over the planet
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Co contexts
THE MADE IN ITALY FACTOR YOU DID NOT EXPECT Expo 2015 offers an opportunity to describe innovation, a kind of vision of the future, the business landscape, a way of envisioning the city of tomorrow, and the ability to design. In all respects, it is a showcase of Italian excellence, and also a ‘school’ for visitors and the many countries that are participating; the chance to talk about Italy and a product that you did not expect: the energy of the future. by Carlo Tamburi Head of Country Italy of Enel photographs by White
Numerous studies and several operators agree that Expo 2015 represents a great opportunity for Italy’s economic recovery and attraction of investments: €2.7 billion, equal to 0.2% of the national GDP and 0.3% of total consumption, are some of the data which, according to Confcommercio, measure the positive impact that the Expo will have on the Italian economy. Foreign countries are investing €1.2 billion to attend, and according to organizers, the event is bringing a wave of positive productivity to the national system that, starting from 2012 (the year Milan was awarded the Expo), will reach €23.6 billion of additional production by 2020, with 191,000 people employed directly or indirectly, and about €4.5 billion of added value from tourism, with more than 20 million visitors. That is what Expo 2015 represents for Italy. It is, however, also interesting to try to see what Italy is bringing to the World Expo and all its visitors: an experience that goes far beyond its universally recognized food culture. In fact, in Milan, a far less well-known Made in Italy factor can be discovered: its technological and industrial
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excellence in sectors that are seemingly unrelated to food, but which are very topical and have global relevance. One of these is energy, an ‘ingredient’ that is instrumental in the development of all economies. Enel has chosen the Expo precisely for creating the first ‘green field’ smart city in the world, consisting of an electrical network built from scratch that occupies a space comparable to a city of 100,000 inhabitants, like the majority of Italian urban centers. In nearby Rho, the smart grid consists of 100 cabins connected by fiber optics which transport the electricity and information in real time and supply the ‘city’ 100% with electricity. The Expo only uses electricity for all of its activities: for lighting and powering the exhibition technologies, ensuring ideal temperatures in the pavilions, for cooking, and getting around in the peripheral areas; and all the energy of the Universal Exposition is monitored and managed intelligently by the Energy Management System, which governs the entire site, right up to the single pavilions. This is the first time that these technologies have been applied together in such a large space and have contributed
to a completely new and concrete urban experience: it is an actual smart city, one that is cleaner, more efficient, digital, and custom built for the people who are living in it.
Our goal is not only to make the energy that nourishes life inside and outside the Expo visible, but also to try to make all of us aware of what intelligently managing a valuable resource means It is no coincidence that this model of sustainable urban architecture was created in Italy: Italy is the country with the most automated and digitized power grid on the planet. Enel is an international leader in the field and the first in the world to have introduced solutions such as remote monitoring and digital meters, which have radically transformed the way energy is distributed. This smart grid model will also be applied in other countries, in some of which Enel is present with its distribution network, so that it becomes an Italian
solution exported worldwide. This is the ‘Made in Italy you did not expect’: technology and innovation that can be exported and are a way of driving domestic industry. At Expo 2015, we are presenting all our innovations in the electrical system, starting from the network and involving the entire production chain, from power plants to consumption and the tools in citizens’ hands. Thanks to them, we have had the opportunity to redesign the production model and adapt it to the new market dynamics and the greater involvement of consumers: power plants are smaller and geographically distributed, the consumers themselves produce the energy they need, and green production is increasing. In Italy today, over a third of the electricity consumed is already renewable and the smart network that we are showing at Expo will support even more growth. Electricity is being extended to more and more new applications in people’s everyday life, including in areas such as mobility and home heating, just as at the Expo site. Software and new generation devices are transforming the role of consumers, who have more information on their energy consumption and are therefore able to make more efficient and more aware choices. Consumption awareness is one of the great themes of Expo 2015: the scarcity of resources for a population that is growing at a steady rate and a greater environmental sensitivity are making people become more responsible and seek an active role, informed, consume better, and be reconciled with their local area. This is the direction in which energy consumption model is headed, and Italy has achieved a high level of cultural and technological maturity, thanks to the solutions for energy efficiency available to citizens. We want all the visitors to Expo 2015 to have the opportunity to become aware of these issues and we have worked to render
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the new concept of energy visible in our exhibition pavilion, so as to let everyone know how technology transforms our daily lives. Located in the control room in the center of the pavilion, the Energy Management System is an information tool that visitors can see on a large display, and a 107 meter-long pathway through panels and videos describing the evolution of energy and the solutions that people now have in their own hands. Our goal is not only to make the energy that nourishes life inside and outside the Expo visible, but also to try to make all of us aware of what intelligently managing a valuable resource means. Enel developed not only the electricity grid, but also the lighting of the entire Expo: 8,500 smart LED light sources, along the Cardo and Decumano main streets and the internal roads, combining Italian design and energy saving with a consumption reduced by 36% compared to traditional solutions. Many
pavilions, including the Italian Pavilion, the flagship of the Expo, are also illuminated with Enel’s technologies and visitors can enjoy the beauty and the artistic forms of lighting that respect the environment. Through its energy, Italy becomes an example for all those who wish to further a more responsible kind of behavior: the Expo is a small town that, in six months, will have become a multicultural megalopolis visited by approximately 20 million people. If individual visitors can learn some small gestures, many countries present can learn of the latest technologies to import in order to renew the energy systems underlying their development. The Expo is an opportunity to share and circulate culture, knowledge, and technology, even for the participating companies. The Universal Exposition set a challenge to Enel which, in rising to meet it, completed a project never attempted
before, at least not of this size, and Enel has also exploited it as a growth opportunity for those who work for the company. Next to the smart city, we have created a field school for technicians, where those who will manage electricity in our cities in the near future can learn about and field test the technology. For Milan Expo 2015, Enel has created its latest technology, which is crucial for the evolution of the power system: in the very heart of the Italian Pavilion, which after the Expo will become a center of excellence for permanent innovation, we have built a large 270 kilowatt battery, an innovative storage system guaranteeing constant energy that, hopefully, helps to fuel the new ideas that will arise here. Innovation, research, the ability to build long-lasting goods and to design services that improve the quality of life of people and the planet: this is Italian energy and this is the industrial and consumption model that Italy is bringing to Expo.
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At Expo 2015, we are presenting all our innovations in the electrical system, starting from the network and involving the entire production chain, from power plants to consumption and the tools in citizens’ hands
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Sc scenarios
AN INTELLIGENT EXCHANGE The great themes of Expo 2015, food and energy, have parallel lives and tangents. Their future, in fact, depends on solutions and strategies such as sustainability and efficiency, and their resources can be fruitful and mutual exchange goods. While food gives us energy with its waste, energy can help food to grow. This path will inevitably make them increasingly interdependent. by Barbara Corrao Journalist
Eating food, consuming energy. Food is life energy, energy feeds our well-being. Food tells of our history, energy tells of our development. Ethics, culture, philosophy, and economics are intertwined in these two elements that are so important to our lives, and they pose the new challenges of the millennium, which are aiming for more conscientious consumption, the reduction of waste, smart production, efficient distribution, respect for the environment, and growth. For these reasons, food and energy have come together and chase after one another, and both are essential for nourishing our lives. We will be able to see for ourselves just how much and in what ways they do so at this Expo 2015, which proposes the objective of “Feeding the Planet, Energy for Life”. If food takes us back to our roots, energy propels us into the future. There are two paths that continually intersect as they often depend on each other, for better or for worse; but above all, both are at the crossroads of courageous decisions which will requi-
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re a major change in our way of living and consuming. Of course, we will continue to use cars for moving around the city, but our cars will have an electric motor; or else we will keep a hybrid car, but it will run on biofuel made from agricultural waste, which can also power electricity genera-
Food and energy are at the crossroads of courageous decisions which will require a major change in our way of living and consuming tion plants by using biomass, as is already increasingly the case on many animal, and fruit and vegetable farms. Not to mention the urban and indoor gardens, and patches of tomatoes and salad, home-grown perhaps even in the living room, thanks to LED lamps, which are the most efficient.
Eccentric visions? Not really, since the 2014 World Outlook of the International Energy Agency (IEA) anticipates a 190% boom in renewable energy (in terms of installed capacity) by 2030. For sure, in the next few decades we
will no longer be able to afford consumption patterns geared to the wastage or careless use of the planet’s resources, which are limited and therefore valuable. This awareness has now entered our culture and is pushing us toward virtuous revolutions whose practical effects are already beginning to make themselves seen: in 2014, the global economy grew for the first time, whereas the CO2 emissions did not increase. “This fact gives me hope that humanity will be able to work together to combat climate change, the greatest threat that we face,” said Fatih Birol, chief economist of the IEA, when he presented the data. So are we facing a turning point? It’s nice to think so and it is right to believe so. For now, the fact is that last year, the level of emission of CO2 stopped at 32.3 billion tons, while the global GDP grew by 3%. As the Agency observed, this was especially due to a long ecological pressing in Europe, a greater commitment by the United States, and the recent conversion of China. This is a change of course that will not fail to have a favorable impact on the Paris Conference at the end of 2015, from which a global plan of cuts in greenhouse emissions needs to emerge. These results were obtained with considerable efforts also made by the energy companies. But that is only one side of the battle on sustainability. We are looking at feeding the world, “Expo opens the doors on an alarming global scenario. Statistics say that in order to feed the future nine billion people on Earth, agricultural produc-
Enel is committed on the fronts of both innovation and efficiency. According to its sustainability report, 46.7% of its energy comes from sources that produce zero emissions
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tion will have to increase 60% by 2050. But above all, this is a world where 805 million people suffer hunger today,” José Graziano da Silva, the DirectorGeneral of FAO, told the newspaper Corriere della Sera in February. Yet “the problem of obesity is growing rapidly and many countries in the developing world, especially those with average incomes, are now having to simultaneously fight both hunger and obesity.” This is one of the many paradoxes of the food equation. Another equally serious one is that of food waste, which according to FAO amounts to 1,000 billion dollars a year globally; a disaster to which Italy contributes with 8.1 billion dollars in wasted food (data from the University of Bologna, Last Minute Market). Furthermore, the food wasted every year in the world is also responsible for putting about 3.3 billion tons of CO2 into the atmosphere: to give an idea of the immensity of the problem, if it were a country, it would be the third largest emitter in the world after the US and China. “Today, a third of the food sold in our cities gets thrown away. This is an absurd waste that has devastating consequences on natural resources. Wasting food, soil, energy, and resources is a luxury that we can no longer afford,” concluded José Graziano da Silva. The need for food is growing, but so is the need for energy; by 2030, it has been estimated that 1.5 billion people will gain access to electricity in Africa, Latin America, and Asia, with a 30% growth of electricity consumption per capita. At the same time, 800 million people will make their entry into the middle class and the concentration of population in urban areas will rise from 3.9 to 6.3 billion inhabitants. With these numbers, how can the Earth possibly hold up? Mature economies have already started virtuous practices, judged nevertheless as entirely
insufficient to save the planet from global warming, according to the fifth report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Yet the signals of an acceleration of the paths at zero distance, whether concerning food or energy, are multiplying. Enel is committed on both the fronts of innovation and that of efficiency. According to its sustainability report, 46.7% of its energy comes from sources that produce zero emissions and the shift towards an increasing share of green production, with the farewell to coal, convinced the Executive Director of Greenpeace International, Kumi Naidoo, to shake hands with Enel’s CEO Francesco Starace, after years of tenacious opposition. Enel is not alone, among the Italian energy giants, in having undertaken this path. For example, Eni has reduced its emissions of sulfur dioxide into the air by 44% and gas flaring (the tail of fire of gas associated with oil production) has undergone a 65% reduction, and it is involved in various projects to support the development of agriculture in Nigeria, Tunisia, Iraq, and Congo. Terna, too, in these days, has been launching the idea of a new pact on sustainability, with enforced regulations, to “bring together the best of the company that is looking ahead,” said its President Catia Bastioli, so as to make investments for the innovation of networks totaling 3.9 billion dollars in the next five years. The reason for this assumption of responsibility is not only due to the widespread awareness that the heritage of the Earth must be preserved for future generations and therefore that it is necessary to intervene to make development more sustainable. But it also lies in the fact that the environment and sustainability have become an indispensable business factor. The McKinsey report Beyond
the storm – Value gGrowth in the EU Power Sector allowed Enel to estimate a growth of 15 billion dollars in 2020 for the worldwide turnover linked, in mature economies, to the more innovative new business opportunities: storage systems, electric mobility and digital distribution networks, integration of renewables, and new consumer services. Then, the potential offered by energy efficiency measures is gigantic: condensing boilers, cogeneration plants, heat pumps, high-saving light bulbs, and LEDs are capable of generating, in the best case scenario, an increase in the GDP of 2.1% compared to 290 billion kilowatt hours saved, according to the latest 2015 report by the Polytechnic University of Milan. Food and energy, individual and collective well-being. The challenge to ensure all this with a more efficient use of available resources has now been launched and there is no turning back.
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Food and energy, individual and collective wellbeing: 800 million people will make their entry into the middle class and the concentration of population in urban areas will rise from 3.9 to 6.3 billion inhabitants. With these numbers, how can the Earth possibly hold up?
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In interview
STAYING WITHIN THE LIMITS There are more and more of us and the planet is becoming impoverished. Everybody has been telling us this: experts, scholars, and the news anxiously warns us of the risks of climate change, and that is only one of the problems that threatens our planet. Our passage has left an indelible mark, but we can still understand what the limits of the planet are and live within them.
CENTRAL AND EASTERN ASIA
80%
EASTERN ASIA
18,4%
interview with Mathis Wackernagel President of the Global Footprint Network by Gianluigi Torchiani Journalist
JAPAN
+1,4%
SOUTH ASIA
+24,8% SOUTH ASIA AND SOUTHEAST ASIA
23%
SOUTHEAST ASIA
+8,5%
*Percentage of evolution expected by 2050 of crop 0 yields due to +100 climate warming. The countries that benefit more or less from rising global temperature are marked from red to green. -50
No data available
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Humanity cannot expect to grow infinitely, from a financial and demographic point of view: this is a message that perhaps, in times of difficulty and recession, is difficult for most people to accept, but for the ecologist Mathis Wackernagel, President of the Global Footprint Network, it is an obligation. “Like all living beings, human beings also depend on the ecological resources available for everything they need.
OCEANIA
+0,5% / 88%
*Source: 2033, Atlas des futurs du monde, Virginie Raisson, Lépac, 2012.
Therefore our economy is limited by available resources, though – compared to the animal kingdom – the matter is a bit more complex: with money, you can buy the products you need from other places, if the raw materials in the region where you are physically based are scarce or insufficient. For example, countries like Switzerland, but also Italy, are using more resources than their environment is able to renew, but they can buy them elsewhere or use them even without paying, such as when they use the atmosphere and affect deforestation without having to bear the economic cost.” According to Wackernagel, almost all of the Western population lives in countries that consume more than their ecosystem can renew, but which do not experience the issue of the global scarcity of resources as a real problem because their economic wealth allows citizens to enjoy resources acquired from outside. However, scarcity is already a serious problem for the countries that have a lower average income than the world average and that do not have this possibility. And it is certainly not a minority: 71% of the world population has to deal with these problems on a daily basis. The solution, according to the president of the Global Footprint Network, is not that of continuous growth: “Our societies are very focused on the production of income, so that all politicians, both on the right and the left, become quite nervous and worried when indicators of their national GDP give off a negative signal. In fact, it’s really hard to explain to people that available income is decreasing. Always having more wealth available would be a wonderful dream, it would make things easier, and it is also extremely attractive from an electoral point of view. The problem is that the economic system, such as we have made it so far, is based on continuous economic growth, a model which is not physically sustainable. Basically, we are facing
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a fundamental contradiction: on the one hand, we have an economic system that cannot be stable unless there is continuous expansion, on the other, there is an ecological system that cannot be stable with this expansion.” So what countries pose the greatest risks to the ecological stability of the planet? Those that are wealthy and industrialized or those that are developing, growing, and hungry for resources? Wackernagel does not give a definitive answer, arguing that dividing the world into good and evil is nothing but a game. Rather, the question that everyone should be asking is what they want for the future, or better yet, what could make their country more stable in the long run on a planet that, with the current levels of growth, is becoming increasingly hungry for resources. The risks inherent in this model apply to all countries, albeit with different levels depending on the availability of goods and raw materials. According to Wackernagel, Italy is in a risky situation in the long term, because it has no fossil fuels and is forced to import from increasingly unstable countries. Contrary to what one might expect, however, his hopes do not lie in being saved by a mega international agreement on climate and environment: “Today there is a complete misunderstanding concerning international climate negotiations, because some nations think that in the absence of an agreement, we should not do anything. On the contrary, each country should act even more aggressively within itself.” Indeed, the President of the Global Footprint believes that at this time there is an excessive expectation in relation to the issue of climate change, even though it is evaluated as an important phenomenon, which threatens to create many more losers than winners. “I think, however, that there has been a little too much emphasis on extreme weather events, for a number of reasons, particularly because ordinary people tend
to forget about all the other environmental problems. Climate change is also complicated by the ongoing international negotiations, which, nevertheless, are extremely frustrating. I also think that a real global agreement is rather unlikely: in the past, there have been at least 20 negotiations that have never led to anything. But I think there are many other things that can be done, such as curbing population growth, which is continuing at a rather fast pace. Since our goal is to have better lives for all human beings, it will be very difficult to reach it without a decrease in the global population.” Unlike many other ecologists, Wackernagel does not have any specific hopes in technological progress: “Technology is a far cry from being homogeneous, so wondering if it will save us is a pretty stupid question. Let me explain: there are technologies that can be helpful in decreasing energy dependence, just think of those related to wind power, for example, and at the same time, there are others that bind us to them even more.” What can an ordinary citizen do, in such a complex panorama? The response of the President of Global Footprint, an association that developed the ecological footprint – an accounting tool that measures how many natural resources each person uses – can’t help but be positive: “There are a lot of things that each of us can do; first of all, become informed about the risks and therefore make better decisions, which can then influence our friends and, why not, even the political debate.” In short, rather than through difficult and complicated international solutions, the salvation of the planet depends on each and every one of us.
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RUSSIA
+1,5% EUROPE
+7% / 38%
CENTRAL ASIA AND THE MIDDLE EAST
+5,6%
THE MIDDLE EAST
82%
AFRICA
+19% / 79%
Demographic distribution (2033) Percentage of land still available for cultivation
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Co contexts
THE EXPO IS A SMART CITY The ideal city is a dream for many people: a place to live, with all the conditions for well-being. For that to happen, however, there are two objectives to aim for: efficiency in terms of energy, and sustainability. The solution is not a fairy tale: it is called a smart city and it is based on the smart grid built by Enel to illuminate the Expo and the future of our cities. by Livio Gallo Head of Global Infrastructures and Networks of Enel
“Once upon a time, there was a man intent on building his house. He wanted it to be the most beautiful, warmest, and coziest house in the world. Others came to ask for his help because the world was on fire. But he was only interested in his house, not the world. When he had finally finished, he found that there was no longer a planet where he could put it.” These words are from the book The Prayer of the Frog by Anthony de Mello, an Indian writer who was a Jesuit. We all want our homes to be situated on a hospitable planet, but for that to happen, we have to rethink the construction of our cities, of the places where we live, and we must do so in a shared manner. The Expo is the ideal place for the exchange of experiences and the sharing of ideas in order to find solutions. In rebuilding our cities, technologies play an important role in creating a model of sustainable urban development that ensures environmental protection by simultaneously integrating energy efficiency and economic sustainability, and creating new services for citizens and public administrations. Smart grids are the basic in-
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frastructure of the smart cities: in fact, in smart cities, the transport systems are electric and sustainable, the public lighting is efficient, and the buildings are equipped with sensors and actuators designed to optimize energy consumption and create greater awareness by citizens, while providing more information to the institutions so that they can draw up a plan of urban development integrated with energy development. Smart grids are an answer that comes from the evolving technology now increasingly affecting our daily lives. This evolution could be summed up as follows: less iron, less copper, more silicon, and more data. This is a trend that Enel has been pursuing for over ten years, utilizing 32 million smart meters in Italy, while a project to install 13 million electronic meters is underway in Spain; finally, there are also ongoing pilot projects in Romania and Latin America, with the goal of bringing all networks in the countries where Enel is present to a technological convergence. Over the past decade, we have developed one of the most important remote control systems in Europe with more In rebuilding our than 100,000 seccities, technologies ondary stations that are moniplay an important tored and conrole in creating a trolled remotely: model of sustainable this is an excelurban development lence that enables recovering most that ensures of the failures on environmental the power grid protection through an automatic buoyancy configuration that minimizes the number of customers affected by the fault. Our systems enable real-time management and supervision of our personnel’s interventions on the network in the areas where we are present, while advanced systems make predictions and collect measurements of the production of renewable energy plants, and
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carry out energy balances on the different levels of the network structure. Smart grids make it possible to offer services to municipalities and citizens by collecting signals from the cities’ sensors such as temperature, humidity, rainfall, the waste in bins, and any type of surIn a nutshell, Expo other vey you can imag2015 is a truly a ine. The goal that true smart city smart cities aim based on a smart to achieve is gathinformation grid, the objectives ering through distribof which are the uted intelligence management and bringing the and control of the m u n i c i p a l i t i e s to customelectricity grid with closer ers through a betthe optimization ter service. of the energy Our network disconsumption for tributes energy in major cities the pavilions of the the of Latin America: exhibition area Bogotå, Santiago, Buenos Aires, Lima, Rio de Janeiro, which will all have more than ten million inhabitants by 2020; here too the concept of smart city, or rather of mega city, will be a key factor in promoting energy efficiency, economic sustainability, and the creation of new services for citizens. In a nutshell, Expo 2015 is a truly a smart city based on a smart grid, the objectives of which are the management and control of the electricity grid with the optimization of the energy consumption for the pavilions of the exhibition area. These technologies include the most modern systems for the management and control of the electricity grid, for the integration of distributed generation from renewable sources, up to the electric energy storage systems. More specifically, Enel has installed 100 smart cabins interconnected by fiber optics for distribution throughout the entire exhibition area and for the integration of generation by renewable sources. Enel has installed dozens of charging infrastructures for electric
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vehicles that are perfectly integrated into the smart grid, and which will be available for operators and visitors. Enel has also helped illuminate the Expo with 8,500 LED light points controlled by a remote control system integrated with the smart network. Through the instruments of augmented reality and the showroom, visitors will have direct experience of energy optimization inside the area and know what modern technology can do to protect the environment and create a sustainable future. Enel’s activity is also materialized in its provision of services to the exhibiting countries, with a catalog of modular services that exhibitors can choose from according to their needs and the footprint of sustainability they wish to give their pavilion. These services include the measurement of the consumption and production of energy, the display of aggregated, precise real-time data and load control inside the pavilion (Energy Management System); Moreover, Enel provides exhibitors with the opportunity to install external LED lighting controlled by an integrated system with the Energy Management System and, as well as installing charging stations for light vehicles, monitoring them throughout the exhibition site. We hope that this opportunity of experiencing a smart city within the Expo will be important for ensuring that all visitors can personally and actively contribute to the sustainable development of our soThe goal that ciety and the cities smart cities aim of the future.
to achieve is gathering information through distributed intelligence and bringing the municipalities closer to customers through a better service 119
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In interview
THE FUTURE BELOW ZERO In order to explain why biodiversity is useful, just think of evolution: if there had been no raw material to work with - and therefore an immense variety of living species none of us would be where we are today. Located 1,300 km south of the North Pole, there is one of the banks that preserve something much more precious than gold: the seeds of our past and the roots for our continuous evolution.
Interview with Cary Fowler Consultant for the Global Crop Diversity Trust by Michele Bellone Journalist
Biodiversity is the whole of the biological variety of all living organisms. Year after year, the number of species at risk of extinction increases, eroding an ecological heritage of great importance. When it comes to loss of biodiversity, what comes to mind is animals, from corals to crows, but this danger also concerns many plants. This is a problem that has consequences not only on the environment but also with regard to agribusiness, since the diversity of our crops is shrinking more and more. What is threatening them? “The main culprit, although not the only one, is the modernization of our agricultural system, with its increasingly specialized approach, influenced by the market,” Cary Fowler, a consultant for the Global Crop Diversity Trust – an international organization dedicated to the preservation of agricultural diversity – which he directed for seven years, tells Oxygen. “I think it is right for farmers to use the most modern varieties of seeds, it is the most logical choice for them. You can’t ask
them to cultivate plants that are known to be susceptible to certain diseases or certain parasites. It is normal for modern varieties to replace the traditional ones, which nevertheless we cannot afford to lose, because that would reduce the genetic diversity that we have.” Why is diversity so important? How can it help us to cope with food emergencies? “Biodiversity is the raw material on which evolution works,” says Fowler. “In the case of agriculture, we have partly succeeded in controlling this evolution, shaping it to obtain species best suited to our needs. However, if the starting material is reduced, our agricultural efficiency will be diminished, too.” The more varieties of seeds preserved, the greater our ability to help crops evolve. “This is to ensure the widest possible range of possibilities, so that the species we cultivate can continue to adapt to ecological changes,” Fowler continues. “Extinction is not an event that occurs when the last member of a species dies. Extinction begins beforehand, when a species ceases to evolve.” And this is where the seed banks come into play: these are a particular type of gene
bank that store various kinds of seeds, generally those of food crops but also those of rare plant species. “They are a kind of backup, in case some varieties get lost,” says Fowler. And he knows the subject well, having played a key role inestablishing the largest seed bank in the world, the Global Seed Vault in Svalbard. This concrete wedge embedded in the permafrost of the island of Spitsbergen in the Svalbard archipelago, 1,300 kilometers south of the North Pole, looks like a bunker. This is where the more than 800,000 specimens belonging to 5,099 different plant species from 232 countries around the world, all carefully sorted and cataloged, are kept in warehouses at -18°C. Most of the seeds stored in the Global Seed Vault belong to varieties that would be called traditional, those that have been selected by farmers since the beginning of farming. It is by combining those varieties that scientists obtain the modern ones. We have no GMO varieties, but this is due to the severe restrictions that the Norwegian government imposes on their importation. Personally I consider myself an agnostic on
It is normal for modern varieties to replace the traditional ones, which nevertheless we cannot afford to lose, because that would reduce the genetic diversity that we have
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This is to ensure the widest possible range of possibilities, so that the species we cultivate can continue to adapt to ecological changes
the issue of GMOs; our role is to conserve biodiversity, not to decide what kind of diversity is worth preserving.” The Global Seed Vault is different from the other kinds of gene banks. It is a safety reserve for other regional, national, and international seed banks, which allows them to compensate for any loss of agricultural varieties. “The structure belongs to Norway but the seeds do not, nor are they ours,” says Fowler. “They belong to whoever deposits them, and who then has guaranteed access to their own seeds, but not to those of others.” Furthermore, those who deposit seeds do not pay anything, since the costs are incurred by Norway and the Global Crop Diversity Trust. This is a unique initiative that would never have been realized without the visionary support of the Norwegian Government. “I thought they would have said no to us,” says Fowler. “They listened to us for half an hour while we presented the project, they asked a few questions, and then they said, “Let’s do it.” I was amazed. It was so fast and ... rational. I really didn’t expect it.” After the approval, it took two years to find the nine million dollars needed – fully paid by
Norway – to build the structure, which was inaugurated in February 2008. Norway’s enthusiasm was even demonstrated by the appearance of the Global Seed Vault on one of its postage stamps. But a significant contribution also came from other sources, starting with the Bill & Melinda Gates Foundation, which has directly supported the Global Crop Diversity Trust. “They were interested in dealing with this issue and I made several proposals to them, one of which is closely linked to the Global Seed Vault,” says Fowler. “There are seed banks, especially in developing countries, which do not have the resources to maintain their varieties in a truly effective manner. The funding from the Gates Foundation enabled the Global Crop Diversity Trust to go to these countries to collect the more vulnerable species of seeds and grow them under good conditions. The new healthy varieties were then given back to their rightful owners and we kept some samples to be preserved in our Svalbard bank.” The Global Seed Vault has had good media coverage: in 2008, “Time” included it in its ranking of the best inventions of the
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year, and it has earned apocalyptic nicknames such as “The Food Ark” or “The Day of Judgment Bank”. “Those are terms that we have never used, they were invented by the media,” explains Fowler. “We were actually worried that similar nicknames could generate skepticism regarding our project, by giving off a different picture from the one we had in mind. But on the other hand, they have also given us a lot of visibility, which is good. We have had to learn to take advantage of this visibility without being set in the framework of a catastrophic narrative, bordering on fanaticism.” This approach is important, especially if you want to avoid being trapped in polarized debates like the one on GMOs, where opinions are often based more on political beliefs than on scientific data. “Fortunately, the importance of agricultural biodiversity is recognized across the board and it is not at the center of a heated political debate as much as other environmental and food issues,” says Fowler. “Saving the diversity of cultures is important, regardless, and it seems that this message is making headway in public opinion.”
Seed banks store various kinds of seeds, generally those of food crops but also those of rare plant species
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Sc scenarios
FOOD MOVES PEOPLE Spices from India that appeared on the dining tables of the English nobility, and trans-boundary tomatoes despite the distance between the Americas and the Old World: food has never been concerned with borders and distances, and more than anything else, it has always been about communication between human beings. Globalization has never been so old, and so tasty.
by Tom Standage Writer and journalist Today we think of globalization and international trade as modern phenomena, but they go back millennia, as the history of food vividly demonstrates. It all starts with spices. These were exotic ingredients whose value derived from their distant and mysterious origins. They are nutritionally unnecessary. But the fact that they came from far away made spices expensive, and thus symbols of wealth and status. It also means that spices provide some of the earliest evidence of long-distance trade. Cardamom from southern India was available in Mesopotamia in the third millennium BC; pharaoh Ramses II of Egypt was buried in 1224 BC with a peppercorn from India inserted in each of his nostrils. In a wave of expansion between 500 BC and 200 AD, the spice-trade network, operating over both land and sea, came to encompass the entire Old World: cinnamon and pepper from India were carried as far west as Britain, while nutmeg, mace and cloves from the spice islands of the Moluccas were prized in China and India. These last, most exotic spices even reached Europe by the late Roman period. Pliny the Elder thought importing spices from India was crazy
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and self-indulgent; you could say he was an early advocate of minimizing ‘food miles’. Europeans had only a peripheral role in the spice trade in ancient times, which heightened the mystery and appeal of spices to Europeans in particular – and prompted European explorers to set out on voyages of discovery in an effort to gain direct access to spices, rather than buying them through Arab middlemen. Once again, food and globalization were intertwined. Vasco da Gama sailed west, around the southern tip of Africa, to reach the spice markets of India, thus setting in motion the European colonization of Asia. Columbus, meanwhile, tried to reach the Indies (as the source of spices was known) by sailing west, arriving instead in the Americas. So began the great stirring of the global food supply known as the “Columbian Exchange”, as food crops were carried across the Atlantic for the first time. Columbus had set out to find valuable “gold and spices”, but the riches he found were of a culinary nature: his voyages led to the introduction of New World crops including corn, potatoes, squash, tomatoes, chocolate, pineapples and chili peppers into Europe, and from there to the rest of the Old World. Maize in particular spread throughout Europe and reached China within a few decades of Columbus’s arrival in the Americas. Today we consider chili peppers to be integral to Thai cuisine, and tomatoes and polenta central to Italian food. But both are relatively recent introductions from the Americas. The Romans had no tomatoes or corn. Food crops also travelled west across the Atlantic: Columbus found that the West Indies were ideal for growing sugarcane. Sugar production in the Old World had come to rely on slaves, and the explosion of sugar production in the New World prompt-
ed the establishment of a vast trans-Atlantic slave trade. This gruesome trade developed in the 17th and 18th centuries, and ended up consisting of two overlapping triangles. In the first, commodities from the Americas, chief among them sugar, were shipped to Europe; finished goods, chiefly textiles, were shipped to Africa and used to purchase slaves; and those slaves were then shipped to the sugar plantations in the New World. The second triangle also depended on sugar. Molasses, the thick syrup left over from sugar production, was taken from the sugar islands to England’s North American colonies, where it was distilled into rum. This rum was then shipped to Africa where, along with textiles, it was used as currency to buy slaves. The slaves were then sent to the Caribbean to make more sugar. And so on. In Britain, opponents of the slave trade responded in 1791 by giving up sugar, and calling on their friends to do the same. It was an early example of food activism: recognizing that the food on our plates (and the sugar in our tea cups) reaches us along global connections, and our food choices can have far-reaching consequences.
Food has a unique political power, in large part because it links the world’s richest consumers with its poorest farmers; moreover, food is a product you consume, and eating something implies a deeply personal endorsement of it. History reminds us that food has long been global, has always linked cultures and has frequently been controversial. The foodstuffs arrayed in our markets, on kitchen shelves or on our plates connect us to other countries and cultures, and to other periods of history, in many unexpected ways. A meal puts the world on your plate.
Colombus had set off to find gold and spices, but the riches he found were of a culinary nature: corn, potatoes, squash, tomatoes, chocolate, pineapples and chili peppers, which from there reached the Old World
A first example of food activism is to recognize that the food on our plates reaches us along global connections, and that our food choices can have farreaching consequences
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Id in-depth
SIX-LEGGED PROTEIN The world population is increasing and it could find the answer to its question of diminishing animal proteins. Even though almost everyone still turns their nose up at the idea, researchers, chefs, politicians, and farmers are engaged in the challenge of feeding the planet, at least in part, with an invaluable and definitely sustainable resource: insects. by Marcel Dicke and Arnold van Huis Researchers at the Laboratory of Entomology, Wageningen University
By 2050, the demand for meat is expected to increase by about 70%, which is a real problem since its production already absorbs 80% of the total agricultural area. In fact, meat has a high conversion factor, that is to say that a lot of fodder, and therefore land, is necessary to produce one kilogram. Increasing yields per hectare could be a partial solution, but the intensification of agriculture still has its limits. A promising alternative has unexpectedly been found in insects: they are great food for people and for animals, and their production requires much less agricultural area per kilogram of finished product.
There are more than 2,000 species of insects being eaten all over the world: beetles, caterpillars, wasps, bees, ants, crickets, locusts, grasshoppers, insects, termites, flies, and dragonflies
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There are more than 2,000 species of insects being eaten all over the world, especially in tropical countries, and these include many families: beetles, caterpillars, wasps, bees, ants, crickets, locusts, grasshoppers, insects, termites, flies, and dragonflies. Until now, these animals have always been gathered in nature, and the belief that the peoples of tropical countries eat insects out of necessity is actually the result of a Western bias; the same one that has led us to never take them into consideration as a food source. The Western world has always considered them harmful to plants, humans, and animals, even though only 0.5% of all known species fall into this category. In fact, the majority of insects are very important for the environment: pollination and the natural control of waste and agricultural pests are their work, as well as creating products that are important for humans such as silk and honey. If we look at them from a nutritional point of view, the protein content of insects is comparable to that of common meat, but they contain more unsaturated fatty acids (the best kind). They also provide more iron than meat does, which is an important fact given that a quarter of the world population suffers from anemia, particularly women and children. At the environmental level, however, livestock contributes 15% to global warming because the methane deriving from the ruminants’ enteric fermentation and the nitrous oxide from manure are responsible for the greenhouse gas emissions. There are proposals to reduce these emissions, in particular through using better quality fodder for ruminants and selecting the most productive species, but there is no doubt that substituting traditional breeds with tiny cattle or insects could help a lot.
Insects fit for human consumption, such as crickets, grasshoppers, and the socalled ‘mealworms’ (Tenebrio molitor) are responsible for far fewer greenhouse gases and the area needed to produce, for example, one kilogram of protein from mealworms is much less. Another advantage is the yield of fodder: it takes 25 kilograms of fodder to produce one kilogram of beef, whereas for the equivalent of common crickets, 2.1 kilos are enough. This is because they are cold-blooded animals that do not eat in order to maintain their body temperature. Moreover, some species can be grown in organic by-products, for example, by recovering agricultural waste (not a secondary element if one considers that all over the world, a third of the agricultural food, 1.2 billion tons, is wasted): this way, insects can convert organic waste into products with high protein content. Insects can also be used as food for pets, livestock, and fish. Aquaculture now provides more than half of the total fish market, a sector that is growing by 6% every year, but the protein sources needed for maintaining it are increasingly expensive. Fishmeal, extracted from fish, is used in aquaculture as food for carp, salmon, tilapia, and catfish, but the overfishing of the oceans is making it a valuable commodity. Of course, plant products, such as soy, can also be used for breeding, but there are some disadvantages: their amino acid profile is not ideal (meat, on the contrary, has the essential amino acids in the correct proportions), they have some compounds that interfere with the absorption of nutrients, and the fiber content is too high. Instead, insects seem to be a sustainable source of good quality protein, particularly the green fly (Chloromyia formosa) and the housefly. But is eating insects safe? The risk that they might transmit
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diseases to humans is extremely low, because insects, unlike conventional cattle, are very different from humans. The few cases of contamination have occurred from the outside, through germs; for this reason, insects are cultivated under highly hygienic conditions. Are people who are allergic to seafood or mites likely to face similar problems if they eat insects? Laboratory tests have shown that it is possible, but the analysis is still underway. However, even if the allergic potential is confirmed, it will be sufficient to declare it on the labels of products based on insects. The most important problem seems to be knowing how to approach the use of insects as food. Although we know the environmental benefits, the high nutritional value, the low risk in terms of food security, and even if the product has an excellent taste, it is still difficult to convince most of us. In fact, its cultural acceptance has to do with emotions and psychology. But the globalization of eating habits is doing wonders and consumers will adapt; moreover, even a food such as sushi has found its space. For example, as a first step to help the public, our laboratory partnered with the cooking teacher Henk van Gurp in writing the book The Insect Cookbook (Columbia University Press, winner of the 2014 Green Book Award in San Francisco). In addition to recipes for snacks, appetizers, main courses, and desserts, there are further investigations and interviews with influential people such as Kofi Annan, RenĂŠ Redzepi (chef of the best restaurant in the world, Noma in Copenhagen), and the economist Herman Wijffels (former Dutch representative of the World Bank). Insects provide a real service for humanity. Considering them a possible food source for people and fodder for animals is the new frontier, and
an unstoppable trend has been triggered over the past decade. The Netherlands, for example, has always had a very innovative agricultural sector and the production of insects is a new field of agriculture and the fodder industry. It is a model for a major new development, which has already been adopted in several other countries, including the United States and South Africa. Insects are a valuable source of protein for the rapidly growing world population, one that we in the West have neglected for so long!
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Although we know the environmental benefits, the high nutritional value, the low risk in terms of food security, and even if the product has an excellent taste, it is still difficult to convince most of us. Its cultural acceptance has to do with emotions and psychology
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In interview
EATING EXPERIENCES INVOLVING OUR 5 SENSES Eating is not at all an everyday matter. What we do almost automatically three times a day is actually able to activate links and connections that we can’t even imagine and which are the basis of sensory experiences studied by gastro-physics and thanks to the use of technology, offered by some renowned restaurants. There are times when you are literally left speechless.
Interview with Andoni Luis Aduriz and Charles Spence Starred Chef and Professor of Experimental Psychology
periences than in the past, and therefore also more complete, more profound.” This authoritative voice is that of Professor Charles Spence, the author of The Perfect Meal: The Multisensory Science of Food and Dining, Professor of experimental psychology at Oxford University and Director of the Crossmodal Research Laboratory, a research center specializing in the experimental study of the effects of sensory stimuli, particularly those related to food, on the psyche. The result of a lengthy collaboration between the scientist and the famous British chef, this dish later became the subject of a study which unequivocally demonstrated that people tend to appreciate fish-based dishes more if tasting it is accompa-
In order to catalyze the technology revolution of the dinner table, in recent years, great strides have been made in ‘gastrophysics’, the study of the dynamics of sensory perception related to eating and drinking of molecular gastronomy, and his many imitators, has made famous, but the novelty today is that it is also on the dinner table. “In recent years, we have witnessed a growing number of examples of technological de-
by Michele Fossi Journalist
In one of the most popular dishes at the famous 3-star restaurant The Fat Duck in Bray, in Britain, there is a shellfish-based emulsion called “The sound of the sea”. What makes this creation by the starred chef Heston Blumenthal so special, more than its unusual sand color, is the curious gadget that accompanies it: a high-tech shell which has two head-sets tuned to a soothing symphony of waves crashing on the rocks and the cries of gulls. “‘The sound of the sea’ gives us a taste of how digital technologies, in a not too distant future, will help us have more multi-sensory dining ex-
It has been shown that music affects the brain on two different levels: on the one hand, it causes the person to perceive the dish as even tastier, and on the other, it increases our attention to the flavors. The result is powerful 126
TASTE nied by music that recalls the sea, rather than some melody. “We have shown that music affects the brain on two different levels: on the one hand, it causes the person to perceive the dish as even tastier, and on the other, it increases our attention to the flavors. The result is so powerful that it is not uncommon for restaurant customers to burst into emotional tears.” Until recently, technology was confined to the kitchen of the modernist chefs – just think of the chemical laboratory instrumentation that Ferran Adrià, the father
velopments that have affected, and even profoundly changed, our experience of food at a meal, directly during its fruition.” Think of classy restaurants like Paco Roncero’s Sublimotion in Ibiza or Paul Pairet’s Ultraviolet in Shanghai, where he has long been offering real ‘gastro-sensory’ shows based on projections on the walls, music, and digital dishes. “In order to catalyze the technological revolution of the dinner table, in recent years, great strides have been made in ‘gastro-physics’, a new scientific discipline specialized in the
study of the dynamics of sensory perception related to eating and drinking. Who we eat with, the composition of the dishes, the color of the plates and the food, its texture, the sound it produces when we put it in our mouth, the background noise in the room, and even the weight of the cutlery: these are just a few examples of the many parameters that, through the senses of hearing, touch, and sight, affect our perception of food and thanks to the discoveries of gastro-physics, with which a chef today can experiment with knowledge of the matter, as if it were a new ingredient,” Spence explains. For example, recent studies revealed that ordering first at the restaurant, or using heavy cutlery unconsciously leads us to better appreciate the food we eat; and that high frequencies in music enhance the sweetness of wine, while the low notes enhance the bitterness. It was also found that listening to Puccini’s aria Nessun dorma enhances the intensity of the taste of coffee. “The interaction between taste and hearing is definitely one of the most studied synesthesia at present,” says the scholar, who in 2008 was awarded the Ig Nobel Prize for Nutrition thanks to Sonic crisp, an app programmed to amplify the crunch of potato chips and other crunchy foods through headphones. “The airline British Airways will soon launch a musical app designed by a team of gastro-physicists to enhance the flavors of the meals on board for its long-haul flights. Krug Champagne is also working on a similar project. I predict that more and more food companies will develop apps designed to musically accompany the consumption of their products, so as to enhance the targeting of the desired sensory qualities, and weaken others.” “Now more than ever, we are seeing the collaboration between scientists and gastronomes, united by the desire to decipher the mind of those who eat,” says Andoni Luis Aduriz, chef of Mugaritz, in the Basque Country, the third best restau-
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rant in the world according to The World’s 50 Best Restaurants ranking. A former student of Ferran Adrià, Aduriz is considered one of the chefs in the world who is the most receptive to the discoveries in the field of gastro-physics. “We are witnessing the birth of a new ‘techno-psychological gastronomy’ which, by building on discoveries in the field of food perception, including at the emotional and memory level, and through a significant deployment of technological tools, aims to provide not just mere ‘dishes’, but real “experiences”. “However, it would be wrong to believe that the phenomenon will remain confined for a long time to a few pioneering starred restaurants,” predicts the Basque chef. “I am sure that within a few years we will see this trend ‘seep’ into cheaper restaurants and, through smartphones and digital gadgets designed for home use, reach tables in homes. In short, I have no trouble imagining that we will eat on chameleon-like digital crockery for gastronomic use, able to automatically change its background color in accordance with the food, so as to enhance the flavors. Who knows, maybe our own tablets will be equipped with special forkscratch-proof screens.” Aduriz predicts that technology at the table will help us not only to better appreciate food or make its consumption memorable, but also to eat more healthily. “Today we know for example that wine tastes sweeter if drunk in an ambience with red lighting. In the near future, the colors of a table screen or a digital plate, the sounds of a food app, and who knows what other gadgets that can influence our sense of touch and smell, will help us to ‘sensorially season’ food and drinks in order to reduce the need for sugar and fats, and to eat a more moderate quantity.” A very enlightening example in this regard, described in the interesting book Eat, Cook, Grow: Mixing Human-Computer Interactions with Human-Food In-
teractions (MIT Press, 2014), is the prototype of an ‘anti-binge spoon’ developed by Philips Research in the Netherlands, that has sensors to warn you with a beeping sound when you eat too fast. I’d bet that, after a few days, many will fling it against the wall; other more patient people will find this smart spoon to be a valuable aid for moderating amounts of food at meals. “Of course, setting the table at home with technological instruments has its downside,” warns the chef. “Paradoxically, you are likely to become distracted, a bit like when you have dinner with the television on. So I predict that in the coming years, once the wish to play with technologies considered new and disruptive has faded, these machines will still be ubiquitous, but they will progressively become more discreet, almost invisible.” The trend of technology at the din-
ner table, points out the chef in conclusion, should not be seen in opposition to the other great gastronomic ‘school of thought’ that has characterized the last ten years: the return to local organic food that is fair
In a gastronomically complex and multifaceted society such as ours, we will never be forced to choose between ‘traditional cuisine’ and ‘modernist gastronomy’ from the ethical standpoint, advocated by Slow Food. “In a gastronomically complex and multifaceted society such as ours, where no one finds it strange to eat ‘Grandma’s recipe’ at lunch and sushi in the
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evening, we will never be forced to choose between ‘traditional cuisine’ and ‘modernist gastronomy’. The two trends are bound to develop in parallel in the coming decades, and find new, interesting intersections: technology at the table will surely help us to enjoy even the most traditional recipes. Aside from some algae and more insects, at least according to the predictions by nutrition experts, it is likely that in daily life – whether there is technology or not at the dinner table – we will more or less be eating the same dishes that we eat today. The truth is that we tend to imagine the future much more like science fiction than it then turns out to be: just think that in the nineteenth century, after the discovery of the synthesis of vitamin C, illustrious thinkers predicted that by the year 2000 we would be nourishing ourselves only with pills!”
SMELL HEARING
TOUCH
SIGHT 127
Oxygen 2007/2015 Andrio Abero Giuseppe Accorinti Amylkar Acosta Medina Emiliano Alessandri Nerio Alessandri Zhores Alferov Enrico Alleva Colin Anderson Lauren Anderson Martin Angioni Ignacio A. Antoñanzas Paola Antonelli Simone Arcagni Marco Arcelli Ben Backwell Antonio Badini Roberto Bagnoli Andrea Bajani Pablo Balbontin Philip Ball Alessandro Barbano Ugo Bardi Paolo Barelli Vincenzo Balzani Roberto Battiston Enrico Bellone Mikhail Belyaev Massimo Bergami Carlo Bernardini Tobias Bernhard Alain Berthoz Michael Bevan Piero Bevilacqua Ettore Bernabei Nick Bilton Lorenzo Bini Smaghi Andrew Blum Gilda Bojardi Angelo Bolaffi Aldo Bonomi Carlo Borgomeo Albino Claudio Bosio Stewart Brand Franco Bruni Luigino Bruni Giuseppe Bruzzaniti Massimiano Bucchi Pino Buongiorno Nick Butler Tania Cagnotto Michele Calcaterra Gian Paolo Calchi Novati Davide Canavesio Paola Capatano Maurizio Caprara Nicholas Carr Carlo Carraro Bernardino Casadei Federico Casalegno Stefano Caserini Valerio Castronovo Ilaria Catastini Marco Cattaneo Pier Luigi Celli Silvia Ceriani Marco Ciurcina Corrado Clini Co+Life/Stine Norden & Søren Rud
Davide Coero Borga Emanuela Colombo Elena Comelli Ashley Cooper Barbara Corrao Paolo Costa Rocco Cotroneo Manlio F. Coviello George Coyne Paul Crutzen Brunello Cucinelli Roberto Da Rin Vittorio Da Rold Partha Dasgupta Marta Dassù Andrea De Benedetti Luca De Biase Mario De Caro Giulio De Leo Michele De Lucchi Gabriele Del Grande Domenico De Masi Ron Dembo Gennaro De Michele Andrea Di Benedetto Gianluca Diegoli Dario Di Vico Fabrizio Dragosei Peter Droege Riccardo Duranti Freeman Dyson Magdalena Echeverría Daniel Egnéus John Elkington Richard Ernst Daniel Esty Monica Fabris Carlo Falciola Alessandro Farruggia Antonio Ferrari Francesco Ferrari Paolo Ferrari Paolo Ferri Tim Flach Danielle Fong Stephen Frink Antonio Galdo Attilio Geroni Enrico Giovannini Louis Godart Marcos Gonzàlez Julia Goumen Monique Goyens Aldo Grasso Silvio Greco Maria Patrizia Grieco David Gross Sergei Guriev Julia Guther Giuseppe Guzzetti Jane Henley Søren Hermansen Thomas P. Hughes Jeffrey Inaba Christian Kaiser Sergei A. Karaganov George Kell Parag Khanna Sir David King
Mervyn E. King Tom Kington David Kirkpatrick Houda Ben Jannet Allal Hans Jurgen Köch Charles Landry David Lane Karel Lannoo Cecilia Laschi Manuela Lehnus Johan Lehrer Giovanni Lelli François Lenoir Jean Marc Lévy-Leblond Ignazio Licata Armin Linke Giuseppe Longo Arturo Lorenzoni L. Hunter Lovins Mindy Lubber Remo Lucchi Riccardo Luna Eric J. Lyman Tommaso Maccararo Paolo Magri Kishore Mahbubani Giovanni Malagò Renato Mannheimer Vittorio Marchis Carlo Marroni Peter Marsh Jeremy M. Martin Paolo Martinello Leonardo Martinelli Gregg Maryniak Massimiliano Mascolo Mark Maslin Tonia Mastrobuoni Marco Mathieu Ian McEwan John McNeill Daniela Mecenate Lorena Medel Joel Meyerowitz Stefano Micelli Paddy Mills Giovanni Minoli Marcella Miriello Antonio Moccaldi Renata Molho Maurizio Molinari Carmen Monforte Patrick Moore Luca Morena Javier Moreno Luis Alberto Moreno Leonardo Morlino Dambisa Moyo Geoff Mulgan Richard A. Muller Teresina Muñoz-Nájar Giorgio Napolitano Oriol Nel·lo Edoardo Nesi Ugo Nespolo Vanni Nisticò Nicola Nosengo Helga Nowotny Alexander Ochs
Robert Oerter Riccardo Oldani Alberto Oliverio Sheila Olmstead Vanessa Orco James Osborne Rajendra K. Pachauri Mario Pagliaro Francesco Paresce Luca Parmitano Vittorio Emanuele Parsi Claudio Pasqualetto Corrado Passera Alberto Pastore Darwin Pastorin Federica Pellegrini Gerardo Pelosi Shimon Peres Ignacio J. Pérez-Arriaga Matteo Pericoli Francesco Perrini Emanuele Perugini Carlo Petrini Telmo Pievani Tommaso Pincio Giuliano Pisapia Michelangelo Pistoletto Viviana Poletti Jason Pontin Giovanni Porzio Borja Prado Eulate Ludovico Pratesi Stefania Prestigiacomo Giovanni Previdi Antonio Preziosi Filippo Preziosi Vladimir Putin Alberto Quadrio Curzio Marco Rainò Virginie Raisson Federico Rampini Jorgen Randers Mario Rasetti Carlo Ratti Henri Revol Gabriele Riccardi Marco Ricotti Gianni Riotta Sergio Risaliti Roberto Rizzo Kevin Roberts Lew Robertson Kim Stanley Robinson Sara Romano Alexis Rosenfeld John Ross Marina Rossi Bunker Roy Jeffrey D. Sachs Paul Saffo Gerge Saliba Juan Manuel Santos Giulio Sapelli Tomàs Saraceno Saskia Sassen Antonella Scott Lucia Sgueglia Steven Shapin Clay Shirky
Konstantin Simonov Cameron Sinclair Uberto Siola Francesco Sisci Craig N. Smith Giuseppe Soda Antonio Sofi Donato Speroni Giorgio Squinzi Leena Srivastava Francesco Starace Robert Stavins Bruce Sterling Antonio Tajani Nassim Taleb Ian Tattersall Paola Tavella Viktor Terentiev Chicco Testa Wim Thomas S tephen Tindale Nathalie Tocci Jacopo Tondelli Chiara Tonelli Agostino Toscana Flavio Tosi Mario Tozzi Dmitri Trenin Licia Troisi Ilaria Turba Luis Alberto Urrea Andrea Vaccari Paolo Valentino Marco Valsania Giorgio Vasta Nick Veasey Matteo Vegetti Viktor Vekselberg Jules Verne Umberto Veronesi Alejo Vidal-Quadras George Vidor Daniela Vincenti Marta Vincenzi Alessandra Viola Mathis Wackernagel Gabrielle Walker Elin Williams Changhua Wu Kandeh K. Yumkella Anna Zafesova Stefano Zamagni Antonio Zanardi Landi Edoardo Zanchini Carl Zimmer
Testata registrata presso il tribunale di Torino Autorizzazione n. 76 del 16 luglio 2007 Iscrizione al Roc n. 16116 Finito di stampare a maggio 2015 presso Tipografia Facciotti, Roma
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IL CIBO È ENERGIA, L’ENERGIA È CIBO Con una distratta amministrazione delle risorse abbiamo fatto in modo di cambiare le regole del gioco, impoverendo la Terra e sottoponendola a uno stress crescente che non è più in grado di sostenere. Oltre sette miliardi di persone chiedono più cibo ed energia a un territorio che diventa sempre più piccolo. Ma in qualche modo cibo ed energia sono insieme dilemma e soluzione del presente e del futuro: una gestione efficiente, intelligente e ragionata di entrambi è la base per cominciare a ripensare il nostro sviluppo. Ambientalisti, nutrizionisti, economisti, imprese, cittadini ne parlano da tempo. Oxygen racconta i loro progetti e le loro azioni, che vanno dalle grandi rivoluzioni dei sistemi produttivi alle piccole tecnologie agricole, passando per l’educazione nelle scuole, la rivoluzione urbana e quella energetica. Questo proprio mentre a Milano, in occasione dell’Esposizione Universale, nazioni e governi si riuniscono per raccogliere idee e decisioni sul nostro futuro attraverso cibo ed energia. Due ingranaggi indispensabili e interdipendenti dai quali ripartirà un nuovo approccio verso noi stessi e il pianeta che abitiamo.