OXYGEN n. 15 - Il consumatore più intelligente

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IL CONSUMATORE PIÙ INTELLIGENTE


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Yannick

Chiara

Paulo

Sta organizzando un viaggio con gli amici a Parigi: lo fa su Facebook, tramite un’app delle ferrovie francesi. Niente SMS avanti e indietro e telefonate incrociate: ognuno partecipa direttamente al programma di viaggio, acquisto dei biglietti incluso.

Su proposta di Fair Trade ha coinvolto altre mamme blogger nel personalizzare le scarpe da bimbo in cotone equo-solidale: si è trasformata in designer, coinvolgendo la propria rete di relazioni.

Brasiliano, aveva saputo che la Halls non avrebbe più prodotto le caramelle al suo gusto preferito, l’uva verde. Assieme ad altre migliaia di persone, organizzate on-line, dopo qualche mese è riuscito a far cambiare idea al produttore.

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Karin

giovanni

Tu!

A Londra, sta facendo la spesa. O così crede la grande distribuzione. Karin la sua spesa l’ha già compilata a casa, confrontando le recensioni dei prodotti e ciò che le sue amiche hanno comprato recentemente: il suo smartphone serve semplicemente per spuntare gli acquisti già decisi altrove.

Dovrà noleggiare un’auto durante le Olimpiadi, ma tutte le compagnie sono sold-out. Tranne The Car Club, che mette in contatto persone che possiedono mezzi inutilizzati con altri che hanno bisogno di una macchina per pochi giorni. L’auto sarà quella di John, che si ripagherà un mese di assicurazione.

Scrivi la tua storia di smart consumer.


Sm

sommario

Il consumatore più intelligente Il XXI secolo è l’epoca dello smarter consumer. Il consumatore di oggi ha una possibilità di scelta inimmaginabile: ha in tasca un supercomputer che gli permette di ottenere quello che vuole, e al miglior prezzo. Le persone stanno diventando più intelligenti perché lo stanno diventando gli oggetti che utilizzano, e questo comincia a esser valido praticamente per qualsiasi cosa. Oggi i consumatori sono più liberi: di evitare, accettare e interagire con un’offerta commerciale, di prendere parte a un’idea e migliorarla. Il consumatore intelligente è attento al tema dell’eco-sostenibilità e della solidarietà sociale nella produzione di beni o servizi. Per questo motivo, lo smart consumer è già in via di estinzione, sostituito dalla sua nuova versione, il consumer 2.0, ovvero il consumatore eco-smart.

10 editoriale il consumatore più intelligente

di Kevin Roberts

«È il brand a entrare nel cuore del pubblico, non viceversa. È il più grande mercato che ci sia, ed è quello che il consumatore vuole. È il telefono cellulare che diventa il navigatore per la tua vita»

14 scenari geni collaborativi e consumi intelligenti

di Federico Rampini

SONO, DUNQUE CONSUMO — Il motto del consumatore smart è “Consumo certi beni e non altri in funzione di ciò che sono e credo”

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«In America, tanta attenzione si è concentrata sul misurare il ritorno di consumi “classici” (con il trionfo dello shopping low cost) come indicatore di una ripresa economica. È l’inizio della fine della crisi? Oppure una conferma che le famiglie dai bilanci sempre più magri devono scannarsi fra loro per conquistare i prodotti in saldo? […] Se il “consumo frugale” insidia perfino la più commerciale di tutte le feste, a qualcosa la crisi è servita davvero: entra nella vita di tutti i giorni l’idea che viviamo in un’“età dell’accesso” in cui l’importante è poter usare le cose, non accumularle».


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approfondimento La rivoluzione delle termiti

traveller Locast. Il turista diventa agenzia...

di Gianluca Diegoli

di Stefano Milano

«Come termiti, in modo silenzioso e microscopico ma continuo, gli uomini stanno cambiando il modo di scegliere le merci, di produrle, di progettarle e, soprattutto, di utilizzarle. Stanno trasformando (e rodendo da dentro) l’ecosistema che chiamiamo “consumo”». Nuovi modelli di business e tendenze, basati sulla collaborazione, sulla sostenibilità e sulla condivisione dell’intelligenza, della conoscenza e dell’uso efficiente delle cose, che stanno cambiando il consumatore e la sua relazione con il produttore e il prodotto.

26 scenari Il marketing globale e i nuovi mercati dopo la grande crisi

32 contesti La dura legge del marketing

di Pino Buongiorno Il flop della Nano e il boom dei marchi di lusso Jaguar e Land Rover. Negli ultimi anni sono state le scelte indovinate o errate della strategia di marketing a determinare i successi e i fallimenti del gruppo indiano Tata, nel momento di un epocale cambio al vertice: Ratan Tata, il carismatico patriarca, ha deciso di andare in pensione e ha scelto il suo successore...

«La società cinese passerà dagli attuali 150 milioni di persone a 400 nel 2020. Questa massa consistente di nuovi consumatori rappresenta una grande opportunità»

approfondimento La secolarizzazione dell’Occidente e il consumatore contemporaneo

di Remo Lucchi Come cambiano le attese dei consumatori/cittadini? La marca – e il sistema di offerta in genere – ha senza dubbio rappresentato nei decenni scorsi la partner affidabile per il progetto di benessere delle famiglie occidentali. Ma a partire dagli anni Ottanta in poi questa relazione è andata man mano indebolendosi.

54 intervista a martin angioni Amazon: il catalogo è questo

di Stefano Micelli Negli ultimi vent’anni, il mondo ha sperimentato una progressiva omogeneizzazione dei consumi: i nuovi mercati delle economie emergenti hanno adottato gusti e preferenze molto simili a quelli occidentali. Questa tendenza continuerà anche dopo la “grande crisi” e i profondi cambiamenti economici di questi anni, o la domanda internazionale inizierà nuovi percorsi di differenziazione di cui le imprese dovranno necessariamente tenere conto?

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di Luca Morena

38 approfondimento Eco-Smart: il consumatore vincente

di Renato Mannheimer Consumo critico, consapevole, responsabile, sostenibile, “green”, equo, solidale, eco, etico, bio… Nuove forme di consumo in vista? È apparso un nuovo consumatore, piuttosto. È meno ingenuo e più smaliziato, meno credulone e più informato, più esigente e meno bisognoso, meno malleabile e più determinato. È più intelligente. Più smart, insomma. E ha già cominciato a condizionare i trend di consumo.

Intervista a Martin Angioni, country manager di Amazon Italia, economista con la passione per l’ermeneutica filosofica: è la persona destinata a guidare il primo forte impatto di una multinazionale online sulle abitudini di consumo degli italiani. «L’ambizione realistica è quella di diventare la catalogue authority per eccellenza, realizzando negli anni a venire l’inventario completo di tutto ciò che viene prodotto. Amazon diventerà il catalogo esaustivo di gran parte dei prodotti che ci circondano».

62 contesti Digitale Mon Amour

di Daniela Mecenate Dai pagamenti con il cellulare al commercio elettronico: è la sfida italiana ed europea per un mercato più digitale e un business tutto ancora da esplorare. Che s’intrecciano con i progetti ambiziosi di Neelie Kroes, Commissario europeo per l'agenda digitale.

«Il giro d’affari del mercato digitale nel 2010 ha raggiunto in Italia gli 11 miliardi di euro, con una crescita del 13% sul 2009. Un mercato di consumatori senza bisogno di un luogo fisico per l’acquisto che secondo gli esperti potrebbe arrivare a conquistare, nei prossimi cinque anni, ben 33 milioni di italiani» 003


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approfondimento I nuovi voi, sempre al centro

contesti Consumi elettrici: il futuro è già iniziato

di Nick Bilton

di Gianfilippo Mancini e Livio Gallo

Stiamo assistendo a un processo di “ricollocazione dell’utente”: il consumatore, oggi, si pone al centro della rete. Narcisismo digitale? Non è detto, ma chi produce intrattenimento e contenuti dovrebbe tenerne conto. Come scrive Nick Bilton – autore di Io vivo nel futuro e design integration editor del “New York Times” – «in realtà, non paghiamo per il contenuto: paghiamo per l’esperienza».

«Essere al centro cambia tutto: la vostra concezione dello spazio, del tempo e dei luoghi, il vostro senso della posizione e della comunità, il modo in cui guardate le informazioni, le notizie, i dati che vi arrivano per mezzo del computer o del cellulare. Ora il mondo digitale segue voi, non il contrario» 70 data visualization iPad: come lo usiamo?

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72 approfondimento la risorsa più smart del XXI secolo

di Fulvio Conti

«I clienti sono al centro di questo nuovo paradigma dell’energia, attori consapevoli della domanda di elettricità, promotori di un suo uso più razionale ed efficiente e attenti alla qualità del servizio che gli viene offerto» Ogni epoca vive la sua rivoluzione. Quella del XXI secolo è senza dubbio la globalizzazione intesa come apertura dei mercati, dei confini e dei canali di comunicazione. Assistiamo al ribaltamento dei paradigmi a cui siamo stati abituati: tecnologie e trasporti riducono le distanze geografiche e quelle “di ruolo”, merci e prodotti di ogni tipo fanno il giro del mondo, reale e virtuale, a velocità esorbitanti, ognuno di noi può raggiungere un interlocutore in pochi passaggi. L'elettricità vive questa rivoluzione in misura amplificata perché il meccanismo coinvolge la sua intera catena del valore.

L’elettricità è il vettore di energia più efficiente e sostenibile che si possa utilizzare su larga scala e di conseguenza l’industria sta investendo moltissimo nel massimizzarne gli utilizzi e le potenzialità. Efficienza energetica e mobilità elettrica sono due finestre importanti sul domani del mercato elettrico e le smart grids modificano il ruolo dei consumatori, che diventano parte attiva nel mercato dell’energia e protagonisti della tutela dell’ambiente. L’opinione di Gianfilippo Mancini (Direttore Divisione Generazione ed Energy Management) e Livio Gallo (Direttore della Divisione Infrastrutture e Reti) di Enel.

82 scenari Verso i nuovi servizi per l'energia

di Arturo Lorenzoni La riduzione dei costi della gestione commerciale di un consumatore di energia ha reso possibile l'evoluzione della vendita verso la fornitura di servizi evoluti, come la riduzione dei consumi o la vendita dell'informazione relativa al prelievo di energia.

86 oxygen versus co2 Energy manager, questo sconosciuto

di Davide Coero Borga

88 intervista a bunker roy Rinnovabili: la rivoluzione a piedi nudi

di Alessandra Viola «Dov’è scritto che solo perché non sai leggere e scrivere o non conosci la lingua che si parla in un certo posto non puoi diventare un ingegnere elettrico?». La rivoluzione rurale “dal basso” del Barefoot College, dove le donne, meglio se analfabete e “nonne”, imparano a risolvere i problemi energetici del proprio villaggio. E cambiano la propria vita e quella di chi sta loro intorno.

«Ci vuole pazienza per tutte le cose. Come diceva Gandhi: “Prima ti ignorano. Poi ridono di te. Poi ti combattono. E alla fine vinci tu”» 92 intervista a paolo martinello Consumatori intelligenti, unitevi

di Beatrice Mautino Tecnologie a basso impatto ambientale, filiere produttive, attenzione per l’equo e il solidale, liberalizzazioni del mercato, concorrenza spietata, scelte da compiere: il consumatore di oggi è davvero smart? Abbiamo chiesto a Paolo Martinello, avvocato e presidente di Altroconsumo e del BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs) di aiutarci a fare chiarezza.


sommario

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100 approfondimento Il glossario del nuovo marketing

di Alberto Pastore

94 approfondimento Eat Local, Think Global

di Carlo Petrini Perché è meglio parlare di “mangiare locale” piuttosto che di “chilometro zero” e “filiera corta”, perché i consumatori dovrebbero diventare co-produttori, perché cibo, energia e informazione viaggiano sullo stesso binario: la “rivoluzione guidata” del fondatore di Slow Food.

«Se il cibo diventa (e purtroppo lo è già) una merce come tante della società dei consumi, si tende a giudicarlo per il suo prezzo e non per il suo valore reale»

Negli ultimi anni abbiamo assistito a profondi cambiamenti dello scenario economico e competitivo (globalizzazione, liberalizzazioni, crisi, ecc.), tecnologico (rivoluzione digitale, ecc.), sociale (struttura socio-demografica, ruolo dei consumatori, ecc.), istituzionale (ruolo degli stakeholder, responsabilità sociale, ecc.), che hanno determinato una conseguente evoluzione nell’approccio di marketing e di comunicazione delle imprese.

106 contesti Zara e Ikea: quando il CEO sei tu

di Gennaro De Michele Due imprese che hanno dimostrato che percorrere una strada ardita e sconosciuta può portare a risultati inimmaginabili e a un successo che si misura, oltre che con un fatturato miliardario, con la creazione di uno stile inimitabile.

108 contesti Il superfluo necessario

di Renata Molho «Ancora oggi, al di là di tutte le speculazioni e le analisi filosofiche, al di là delle considerazioni elevate, per le quali la conoscenza e la cultura, la sensibilità e l’inclinazione al bello, l’autentica eccentricità, la disponibilità di tempo rappresentano il vero lusso, oggi per lusso s’intende prodotti da vendere, perché restano caricati di tali e tanti significati simbolici, da diventare il veicolo primo e più importante del sogno. Un marchio che sappia comunicare, rappresenta la via che conduce alla luce».

«Quel che all’apparenza sembra rappresentare il superfluo diventa sempre più necessario. La nuova frontiera del lusso è nella coscienza, nella consapevolezza» 112 future tech Da spettatore a produttore

di Simone Arcagni

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comitato scientifico Enrico Alleva (presidente) Giulio Ballio Roberto Cingolani Paolo Andrea Colombo Fulvio Conti Derrick De Kerckhove Niles Eldredge Paola Girdinio Helga Nowotny Telmo Pievani Francesco Profumo Carlo Rizzuto Robert Stavins Umberto Veronesi direttore responsabile Gianluca Comin

art direction e progetto grafico undesign ricerca iconografica e photoediting white distribuzione esclusiva per l’Italia Messaggerie Libri spa t 800 804 900 promozione Istituto Geografico DeAgostini spa concept di copertina undesign

direttore editoriale Vittorio Bo coordinamento editoriale Pino Buongiorno Luca Di Nardo Giorgio Gianotto Paolo Iammatteo Dina Zanieri managing editor Stefano Milano collaboratori Simone Arcagni Federica Bosi Davide Coero Borga Beatrice Mautino Daniela Mecenate Luca Morena Alessandra Viola

rivista trimestrale edita da Codice Edizioni

via Giuseppe Pomba 17 10123 Torino t +39 011 19700579 oxygen@codiceedizioni.it www.codiceedizioni.it/ oxygen www.enel.com/oxygen

© Codice Edizioni Tutti i diritti di riproduzione e traduzione degli articoli pubblicati sono riservati

traduzioni Laura Culver Fabio Deotto Gail McDowell illustrazioni Elena La Rovere Tai Pera Oxygen nasce da un'idea di Enel, per promuovere la diffusione del pensiero e del dialogo scientifico.


Al cuore dellA tuA energiA c’è un cervello.

contAtore elettronico enel. il futuro dell’energiA AbitA A cAsA tuA. dal 2001, continua a costruire il futuro vicino a te. è il contatore elettronico, una delle più grandi innovazioni infrastrutturali di enel, che festeggia i suoi 10 anni in 36 milioni di case con un risparmio di 30.000 tonnellate di co 2 ogni anno. una tecnologia nata per darti, insieme all’energia, le informazioni che servono a consumare con consapevolezza e scegliere le offerte commerciali più in linea con il tuo stile di vita. Anche se è solo un contatore, presto conterà molto di più, perché diventerà il cuore tecnologico di città sempre più sostenibili. Per questo, se vuoi provare a vedere come sarà il futuro, apri la porta della tua cantina. enel.it


Contributors

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1 Martin Angioni — Economista, ha lavorato alla banca d’affari JP Morgan nelle sedi di Berlino, Londra e New York. Dal 2006 è stato amministratore delegato di Electa, casa editrice di libri d’arte e illustrati del gruppo Mondadori. Dal febbraio 2011 è country manager per l’Italia di Amazon, leader mondiale di vendite on-line.

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2 Nick Bilton — Lavora per il “New York Times”, di cui è reporter e design integration editor. È autore del blog Bits Blog e professore a contratto presso la New York University. Anche se non ne va particolarmente fiero, ha progettato la prima bambola di Britney Spears. È autore di Io vivo nel futuro (Codice Edizioni, 2011)

3 Fulvio Conti — Amministratore delegato e direttore generale di Enel dal maggio 2005, attualmente ricopre anche l’incarico di consigliere di amministrazione di Barclays plc e di AON Corporation. È inoltre vicepresidente di Eurelectric e di Endesa e consigliere dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Dal 1999 al giugno 2005 ha ricoperto il ruolo di CEO dell’Enel.

4 Gennaro De Michele — È stato responsabile Politiche di ricerca e sviluppo Enel ingegneria e innovazione, oltre che membro dell’Advisory Council della Technology Platform for the Zero Emission Fossil Fuel Power Plants dell’UE, del Clean Coal Science Group dell’IEA e General Secretary della IFRF. All'inizio del 2011 ha fondato la società di consulenza ejase.

5 Gianluca Diegoli — Bocconiano, si occupa di marketing online e offline per medie e grandi aziende. È consulente indipendente in strategia digitale, blogger dal 2004 su minimarketing.it e scrittore. Il suo ultimo libro è Vendere Online (Il Sole 24 Ore). Nel 2011 ha contribuito ad alcuni volumi su comunicazione diffusa, social business e turismo online.


6 Livio Gallo — Direttore della Divisione infrastrutture e reti Enel. È stato responsabile dell’Area di business rete elettrica e responsabile commerciale clienti vincolati di Enel Distribuzione, responsabile Area mercato delle Generation Companies-Gencos, oltre che amministratore delegato e membro dei consigli di amministrazione di varie società in Italia e all’estero.

7 Arturo Lorenzoni — Professore associato di Economia applicata presso l’Università di Padova, insegna anche presso alcuni master universitari e scuole di specializzazione. È direttore dell'Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente della Bocconi di Milano. Ha condotto numerosi programmi di ricerca nazionali e internazionali ed è consulente di diversi operatori del settore energetico.

8 Remo Lucchi — Amministratore delegato di Gfk Eurisko, dal 1968 opera nel settore delle ricerche sociali e di marketing. Ha promosso e diretto alcuni degli studi più importanti condotti dall’istituto e svolto attività di docenza sui temi del marketing e della ricerca di mercato nell’Università Cattolica di Milano.

9 Gianfilippo Mancini — Direttore della Divisione generazione ed energy management di Enel, responsabile dell'approvvigionamento dei combustibili, della produzione degli impianti termoelettrici e rinnovabili programmabili in Italia, della vendita di energia sui mercati all'ingrosso e del trading dei prodotti energetici sui mercati internazionali. Dal 2008 è anche direttore della Divisione mercato.

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Stefano Micelli

Carlo Petrini — Fondatore e presidente del movimento internazionale Slow Food. Nel 2004 la rivista “Time Magazine” gli ha attribuito il titolo di “Eroe Europeo del nostro tempo” e nel 2008 è stato inserito dal quotidiano inglese “The Guardian” tra le “50 persone che potrebbero salvare il mondo”. Tra i suoi libri, Slow Food Revolution (2005) e Buono, pulito e giusto (2005).

Sanjit Bunker Roy — Nato nel 1945 in India, di famiglia agiata e avviato a una comoda carriera diplomatica, ha preferito schierarsi a fianco dei più poveri: nel 1972 ha deciso di dedicarsi all’imprenditoria sociale e ha fondato in Rajasthan il Barefoot College, organizzazione non governativa per l’istruzione e l’educazione di tutti gli indiani che vivono con meno di un dollaro al giorno.

— Professore di Economia e gestione delle imprese all'Università Ca' Foscari di Venezia e direttore della Venice International University. Da oltre dieci anni ha concentrato la sua attività di ricerca sulle trasformazioni del sistema industriale italiano con particolare attenzione al tema della competitività della piccola e media impresa.

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Renato Mannheimer — Presidente dell’ISPO, ha insegnato nelle università di Milano-Bicocca, Genova, Milano, Napoli, Salerno. Collabora con diversi programmi televisivi d’informazione ed è analista delle tendenze elettorali per il “Corriere della Sera”. Ha pubblicato negli ultimi anni Senza più sinistra (2008) e L’Italia dei furbi (2009).

Renata Molho — Giornalista, saggista e critica del costume e della moda per il quotidiano “Il Sole 24 Ore” dal 1991. Collabora con numerose testate del gruppo Condé Nast (“Vogue Italia”, “L’Uomo Vogue”, “GQ Style”). Ha tenuto diversi corsi di giornalismo di moda (IULM, IED, Università di Urbino).

Federico Rampini — Corrispondente di “la Repubblica” da New York, ha esordito scrivendo per “Rinascita”, è stato vicedirettore de “Il Sole 24 Ore”, capo della redazione milanese di “la Repubblica”, editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco e Pechino. Ha insegnato nelle università di Berkeley e Shanghai. È autore di numerosi saggi, tra cui il recente Alla mia sinistra (2011).

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Paolo Martinello — Avvocato, è presidente dal 1995 di Altroconsumo e dal 2008 del Bureau Européen des Unions de Consommateurs, organismo europeo che riunisce 42 associazioni indipendenti di 31 Paesi. È dal 2000 membro dell'esecutivo del BEUC e ne ha ricoperto la vicepresidenza dal 1996 al 1998.

Alberto Pastore — Ordinario di Economia e gestione delle imprese presso la Sapienza Università di Roma, dove insegna Marketing e Marketing avanzato – Comunicazione d'impresa. È inoltre direttore del Dipartimento di management della stessa università e del Master Universitario in Marketing Management (MUMM).

Kevin Roberts — Worldwide CEO di Saatchi & Saatchi, Ideas Company, dirige un team internazionale di 7000 creativi, con uno staff sparso su 139 sedi in 82 diversi Paesi. È inoltre CEO del Judge Institute of Management dell'Università di Cambridge e professore di Impresa sostenibile alla Management School dell'Università di Waikato in Nuova Zelanda.

illustrazioni: Elena La Rovere

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editoriale

il consumatore più intelligente di Kevin Roberts

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o smart customer, il consumatore “in- utilizzano, e questo comincia a esser valido telligente”, non è poi una grande novi- praticamente per qualsiasi cosa. Dal mondo tà. Comprava e mercanteggiava quan- dell’internet industriale arrivano soluzioni do ancora le lance erano considerate tecnologia, sempre più avanzate per aiutare l’umanità, quando i mercati erano fuochi da accampamen- dal risparmio energetico alle cure sanitarie. to, quando la pietra era valuta corrente. Come Oggi i consumatori sono “più intelligenti” dice il maestro dell’advertising David Ogilvy: «Il perché sono più liberi: liberi di evitare, accettare e interagire con un’offerta commerciale. consumatore non è un idiota, è tua moglie». Il XXI secolo è l’epoca dello smarter customer, il Sono inoltre liberi di prendere parte a un’idea consumatore più intelligente. I guru della tec- e di migliorarla. nologia, della connettività e della mobilità lo Quando un’idea viene percepita allo stesso hanno investito di superpoteri. Il consumatore modo di una conversazione piacevole, le perdi oggi ha una possibilità di scelta inimmagi- sone non si preoccupano se essa provenga dal commercio duro e puro, se nabile. Ha in tasca un supercomputer che gli permette di Oggi i consumatori sono sia frutto di una cultura radicale o di una causa più mite, ottenere quello che vuole, e al miglior prezzo. La sua potenza “più intelligenti” perché né in che modo questa idea di calcolo supera quella che la sono più liberi: liberi sia veicolata. La conversazioche trascende i brand è soNASA poteva vantare nel 1969. di evitare, accettare e ne stanzialmente questa: «Lascia Per quanto riguarda il marketing, le basi per ottenere la interagire con un’offerta che renda la tua vita migliore, fedeltà del consumatore non commerciale. Sono inoltre aiutami a conoscerti meglio sono cambiate nel corso dei liberi di prendere parte a e insieme rendiamo questo mondo un posto migliore». millenni. La fedeltà comincia con la risposta ed è da lì che un’idea e di migliorarla Alcuni l’hanno capito. Converse sta cercando persone si risale alla domanda. La risposta è la gente, e il cuore che ci guida, che ci che progettino e vendano le proprie scarpe muove, che ci costringe a condividere. La ragione Converse. I Radiohead permettono a musicisti e fan di remixare i loro brani. T-Mobile, porta a conclusioni, l’emozione porta all’azione. Questo i marchi non sono riusciti a capirlo, e con “Life’s for sharing”, ha consentito alla sono diventati involucri vuoti. Per mezzo seco- gente di diventare parte del messaggio publo hanno percosso in testa un pubblico passi- blicitario attraverso canzoni, balli e momenti vo con proclami sterili del tipo “più bianco”, di festa. Crea un’esperienza emotiva condivi“più splendente” e “più economico”. C’è stato sa e otterrai la cosiddetta Loyalty Beyond Reabisogno di sfruttare veri sentimenti per aprire son (letteralmente: “Fedeltà oltre la ragione”). un varco in questo rumore di fondo. Un’ispi- Oggi viviamo in una “economia di partecipazione globale”, dove il marketing è morto come razione iniziale è stato, in Italia, il Carosello. Le persone stanno diventando più intelligen- lo sono i brand. Ecco cinque soluzioni tra loro ti perché lo stanno diventando gli oggetti che correlate per trasformare i brand in Lovemark. 011


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IL RITMO DELL’ADESSO

SII UN LEADER CREATIVO

Le persone accedono alla rete 24 ore su 24, sette giorni su sette. Siamo “sempre connessi”, ma soprattutto, viviamo l’attimo, un luogo molto più allegro dei rimpianti di ieri e delle paure del domani. Circa l’80% della felicità delle persone risiede nell’Adesso. Non esiste nulla di veramente completo. Viviamo in una permanente “fase beta”. Gli impulsi primari guidano le persone dove ci sono le luci più brillanti. La velocità e l’incessante innovazione sono fattori fondamentali. Domani è troppo tardi. Agisci oggi, perché l’aspettativa è istantanea. Il tuo pubblico risponde nell’immediato, e si aspetta un’immediata risposta. È nell’attimo che regna l’emozione. I profitti prodotti da idee originali che sfruttano una connessione emotiva continueranno ad aumentare. La gente decide cosa conta in un lampo, ed è la tecnologia a integrare nella vita di tutti i giorni i processi decisionali condivisi. L’Adesso è l’unico spazio operativo. Benvenuti nell’Era dell’Adesso. L’Adesso si basa sulla passione e sta emergendo ovunque attorno a noi. Hai adocchiato qualcosa che ti piace da morire mentre guardavi History Channel? Clicca su “Acquista”. Hai bisogno di uno striscione istantaneo personalizzato da sbandierare all’aeroporto? Fatto. Un’app che ti aiuti con il carrello della spesa, con tanto di coupon? Esiste già. Vuoi pagare ora, senza fare code? Usa il telefono cellulare.

Il successo nell’Adesso richiede una leadership creativa, poiché solo la creatività è in grado di far breccia nello tsunami di rumori di fondo che assorda Internet. Solo la creatività ha quel tipo di potere irrazionale. Come ispirare dunque uno smarter customer? Fatti venire un sacco di piccole idee, in continuazione. Le grandi idee sono rare, con il tempo perdono valore e richiedono grandi investimenti. Su una grande idea di solito ci s’inciampa per caso, viene ispirata da un conoscente o suggerita dal pubblico. I leader creativi ricontestualizzano in continuazione, riescono a sorprendere con l’ovvio ed eliminano senza pietà. Steve Jobs, ad esempio, era un eliminatore seriale, dai floppy drive alle tastiere fisiche.

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3 FAI SÌ CHE IL VALORE NON ABBIA PREZZO

La domanda tipica del vecchio consumatore è: “Quanto mi fai risparmiare?”. Per lo smarter customer il miglior prezzo è solo l’inizio. La questione più impellente per lui è: “In che modo renderai la mia vita migliore? In che modo potrò essere io, e non il brand, il protagonista di questa esperienza?”. Le risposte più efficaci sono ispirate dall’obiettivo e pilotate dai benefici. Questo significa operare la transizione da un prodotto per cui il prezzo è una componente determinante a un’esperienza e una soddisfazione “senza prezzo”. Nell’America della Generazione Y, la Grande recessione ha creato un unico criterio d’acquisto valido a prescindere dalle ampie differenze di reddito. Non si tratta di cosa sia “economico” o “fondamentale”. La questione è: questo prodotto rispecchia i miei ideali e offre soluzioni per come vivo? L’esperienza senza prezzo permette al consumatore di essere parte di un sogno più grande di lui, un sogno che possa condividere, e a un prezzo che renda possibile crederci. Charles Dickens, in questo caso, è emblematico: «Ogni centesimo risparmiato è un centesimo guadagnato». Procter & Gamble è leader nel conferire valore senza prezzo: «Touching lives, improving life». Apple è diventata senza prezzo con «Think Different», ovvero consentendo alle persone di sentirsi parte di una sorta di tribù.


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SI ALZINO IN PIEDI I NARRATORI

CONDIVIDERE TRE SEGRETI

Viviamo in un «flusso di vita» (come lo ha definito David Gelernter, professore di Yale) incardinati nell’Adesso in un flusso narrativo che va dal passato al futuro passando attraverso diversi canali. Più piattaforme creiamo, più condividiamo contenuti e più abbiamo bisogno di storie. Le storie conferiscono significato e magia alla valanga di informazioni digitali. Per dirla con il futurista Rolf Jensen: «La persona più pagata nella prima metà di questo secolo sarà il narratore». Nelle nostre vite esistono almeno 30 diversi tipi di dispositivi dotati di schermo, dai TV al PC fino ai tablet, dai cellulari ai bancomat alle bacheche digitali. Siamo tutti screenager, rapidamente influenzabili da immagini, suoni e animazioni. Il vero modello per il business della comunicazione consiste in un contenuto di grande qualità confezionato in una storia, che non è necessariamente “digitale”. Gli smarter customer hanno solo tre domande: 1. Voglio ripetere l’esperienza? 2. Voglio condividerla? 3. Voglio migliorarla? Le grandi storie veicolano una risposta affermativa, gli effetti speciali sono un optional. Creano un significato più ampio, mettendo sullo stesso piano le vite di ognuno, un’uguaglianza che va oltre gli schermi, i confini e i punti di vendita, creando una trasversale spinta all’acquisto. Individuano le nostre paure, speranze e sogni, inclusi vampiri e lupi mannari! Ci forniscono un tipo di verità che ci coinvolge. Ci fanno conoscere personaggi formidabili con cui ci piacerebbe passare il tempo. Inoltre, le grandi storie ci fanno ridere. E l’umorismo è la scorciatoia per arrivare al cuore.

È necessario riportare in vita il fascino e l’empatia che i marchi hanno eliminato dalla pubblicità. Tipicamente, i “comunicatori” annoiano a morte il loro pubblico con informazioni, e-mail, demo, premi e una pioggia di termini sterili. I connettori invece creano spazi di adorazione più vasti di qualsiasi brand, servendosi di mistero, sensualità e intimità. Il mistero ha a che fare con le ispirazioni, i sogni, le icone, i simboli, le storie e la condivisione di qualcosa di sconosciuto. La gamification è mistero allo stato puro. Per coinvolgere i millennial [nomignolo dato ai ragazzi della Generazione Y, N.d.T.], MTV promuove il gioco leale, inserisce un feedback costante sulla leaderboard, si serve di scorciatoie intelligenti per passare al livello successivo, di scosse di adrenalina (una gomma che cambia sapore a metà masticata!) e invoglia a condividere l’esperienza di gioco. La vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e il gusto possono rielaborare la “fedeltà oltre la ragione” in un’infinità di modi. Vendere allo smarter customer significa fornire una continua scelta, una trasparenza immediata sui prezzi, raccomandazioni da parte di amici, un’istantanea gratificazione sensoriale e le ultime tendenze in fatto di interazione sociale. L’intimità riunisce tutto ciò insieme con l’empatia, la dedizione e la passione. È il brand a entrare nel cuore del pubblico, non viceversa. È il più grande mercato che ci sia, ed è quello che il consumatore vuole. È il telefono cellulare che diventa il navigatore per la tua vita. È una tendenza che agisce a livello locale, e non solo globale. È la gestualità perfetta per il consumatore in là con gli anni. L’intimità è il futuro oltre i brand. Benvenuti ai Lovemark.

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scenari

geni collaborativi e consumi intelligenti articolo di Federico Rampini fotografie di David A. Northcott - Michael Kern

«In America, tanta attenzione si è concentrata sul misurare il ritorno di consumi “classici” (con il trionfo dello shopping low cost) come indicatore di una ripresa economica. È l’inizio della fine della crisi? Oppure una conferma che le famiglie dai bilanci sempre più magri devono scannarsi fra loro per conquistare i prodotti in saldo? […] Se il “consumo frugale” insidia perfino la più commerciale di tutte le feste, a qualcosa la crisi è servita davvero: entra nella vita di tutti i giorni l’idea che viviamo in un’“età dell’accesso” in cui l’importante è poter usare le cose, non accumularle». Parlare di post-consumismo, di consumi “smart”, può sembrare una fuga in avanti elitaria, in un mondo dove domina un problema molto più basilare, drammatico e antico: dove trovare potere d’acquisto, come rilanciare i consumi per evitare una ricaduta nella recessione. È una riflessione obbligata, rievocando il clima che ho vissuto in America durante le feste di fine anno: quando tanta attenzione si è concentrata sul misurare il ritorno di consumi “classici” come indicatore di una ripresa economica. A riguardare la copertura mediatica degli ultimi mesi del 2011 e dell’ini014

zio del 2012, un tema dominante è il trionfo dello shopping low cost, grazie alla più forsennata campagna di sconti della storia. E le domande che gli esperti si sono posti erano anch’esse molto tradizionali. È l’inizio della fine della crisi? O invece una conferma che le famiglie dai bilanci sempre più magri devono – letteralmente – scannarsi fra loro per conquistare i prodotti in saldo e liquidazione? Appena finito il tacchino di Thanksgiving, 82 milioni di consumatori si sono avventati verso le catene della grande distribuzione: dagli ipermercati WalMart ai grandi magazzini Target, dalle

catene di elettronica Best Buy agli Apple Store. Il volume di vendite è schizzato all’insù, ritrovando d’incanto i livelli pre-crisi: siamo tornati ai fatturati del 2007, cancellando un quadriennio terribile. Ancora meglio hanno fatto il lunedì immediatamente successivo con il commercio on-line: il cosiddetto “Cyber Monday” ha segnato il massimo storico nel volume di vendite su Internet. Tutto questo grazie alla sapiente regia del marketing, che da anni ha trasformato le giornate dopo Thanksgiving nell’orgia degli sconti. Sia la grande distribuzione tradizionale, sia i grandi negozi digitali come Amazon, attirano i


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consumatori con offerte specialissime. La febbre degli acquisti, che raggiunge punte isteriche e degenera in episodi di violenza, è alimentata ad arte. Questi eccessi non sono nuovi; è nuova invece l’estrema politicizzazione che ne viene fatta. Il revival del consumismo, soprattutto nella versione low cost, è diventato un nuovo spunto di battaglia ideologica, nella polarizzazione del dibattito americano. I talk show televisivi si sono contesi le interpretazioni divergenti, a seconda della geopolitica dei network. A destra, il primo impulso è stato di “appropriarsi” del ritorno del consumismo, leggendovi una sconfitta di Occupy Wall Street. In alcune città americane – poche in verità – gli indignati avevano accennato a portare la protesta davanti ai grandi magazzini. “L’America profonda ama il suo capitalismo, eccone la prova: gli assalti di Black Friday”, è stato un leitmotiv della Fox News di Rupert Murdoch. Gli stessi commentatori di destra però sono stati assaliti da un dubbio. Se questo revival di consumismo segna l’inizio della ripresa, allora le chance di rielezione di Barack Obama nel novembre 2012 possono risalire. Ecco allora la necessità di sottolineare “low cost”, e correggere il tiro verso una lettura negativa di questi Black Friday e Cyber Monday: l’irruenza dei consuma016

tori è un segno della disperazione, con il loro potere d’acquisto stremato dalla crisi le famiglie americane devono avventarsi sulle offerte speciali altrimenti rischiano di non potersi permettere i regali sotto l’albero di Natale. L’interpretazione “di sinistra” ha avuto le stesse oscillazioni e sbandate. Un’euforia iniziale c’è stata, proprio perché la campagna elettorale del 2012 si giocherà tutta sull’economia e bisogna sperare

Il consumo smart non è controtendenza: anzi, il nostro “gene collaborativo” è attivo e forte dalla prima infanzia in un’inversione di tendenza rispetto all’ultimo triennio. Poi però anche tra i progressisti è affiorato il pentimento. Si può tifare per Occupy Wall Street e al tempo stesso per il ritorno dello shopping? È politically correct affidare la rielezione di Obama a una rivincita del vecchio modello di sviluppo? Dopotutto, non si può dimenticare che la stessa logica del low cost è stata all’origine del disastro. Low cost in senso proprio lo erano anche i mutui subprime: un

espediente per far credito a chi non ne aveva i mezzi. Credito facile, incentivi al consumismo, hanno drogato la crescita americana fino al 2007, spingendo le famiglie a vivere al di sopra dei propri mezzi. Certo il low cost è anche democratico: da Wal-Mart una famiglia appena sopra la soglia di povertà riesce a riempirsi il carrello e il frigo. Ma quanti americani sono finiti disoccupati perché l’unica merce davvero low cost è ormai made in China, o Vietnam, Cambogia, Bangladesh? Il resto del mondo è in preda agli stessi impulsi contraddittori, davanti allo spettacolo di Black Friday e Cyber Monday. C’è chi ammira la flessibilità di un capitalismo americano sempre capace di rigenerarsi. C’è chi affida le proprie speranze di ripresa alla “locomotiva” di sempre: i consumatori degli Stati Uniti. Dalla Cina alla Germania, ciascuna afflitta da un rallentamento delle proprie esportazioni, il bisogno di tornare a vendere in America è impellente. Eppure questa è la strada che ci ha portato alla perdizione. Da una parte, la logica del “compri tre e paghi due”, dell’eccitazione manipolata coi supersconti, ha riempito le case degli americani di roba inutile, esasperando un modello di consumo distruttivo per l’ambiente (e certamente non replicabile su sca-


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la cinese o indiana). D’altra parte è lo shopping low cost ad avere generato i macro-squilibri dell’economia globale: i deficit americani, gli eccessi di riserve valutarie in Cina, il riciclaggio di questi squilibri affidato alla finanza tossica. In mezzo a questi segnali di un ritorno al passato, ci sono anche delle potenti controtendenze. Una di queste si è consolidata proprio durante il Natale 2011, con una semplice idea che dagli Stati Uniti ha diffuso l’antidoto all’accumularsi di oggetti inutili nelle stanze dei figli. L’ha lanciata per prima la Babyplays.com, una piccola società di commercio on-line: fondata, guarda caso, da un gruppo di mamme imprenditrici. Gente che se ne intende, dotata di senso pratico e capace di rivoluzionare la società dei consumi partendo dalle due roccaforti che sembrano irremovibili: l’istituzione del Natale e la volubilità dei bambini. La fondatrice di Babyplays.com, Stephanie Weber, è arrivata al suo quarto Natale e gli affari non sono mai andati così bene (guarda caso, l’anno di nascita della sua società è il 2007, la genesi di Babyplays.com coincide con “la fine del vecchio mondo”, l’arrivo della grande crisi economica). È la Weber ad avere disegnato il sito d’accesso della società, che più amichevole non potrebbe essere. «Il nostro

impegno è divertirvi! No al disordine!», sono due degli slogan che appaiono sulla prima pagina del sito. Il quale ovviamente opera tutto l’anno, solo che a Natale la sua visibilità è schizzata ai massimi. Coloratissimo, vi propone tre formule low cost: la più semplice, che può servire come test, è il singolo affitto di un giocattolo per il pupo, da un minimo di tre dollari a un massimo di nove, inclusa la consegna a domicilio. Poi c’è l’abbonamento da 20 dollari, che vi dà diritto a cambiare regolarmente i giocattoli, riconsegnando quelli usati: fino a quattro giochi ogni due mesi. Infine la formula di lusso prevede una rotazione di quattro giochi al mese, 33 dollari tutto compreso. Nel catalogo c’è di tutto, l’offerta è ricca di quei giochi che piacciono di più nella primissima infanzia. «La fascia di clientela che finora ci ha dato più soddisfazioni è dai neonati ai quattro anni», spiega la fondatrice. La prima barriera di resistenza verso “l’usato”, quella igienica, è brillantemente superata con l’avviso che compare nella pagina d’accesso al sito: «Tutti i nostri prodotti sono disinfettati, con l’uso di detergenti biologici». E che succede se in poche ore vostro figlio scassa il regalo? «Siamo tutte mamme – garantisce la Weber – perciò è prevista la sostitu-

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zione senza alcun sovrapprezzo». A sorpresa, però, il “tasso di incidenti” è minimo. La flessibilità è totale: se dopo il pupo s’innamora a tal punto da non volersi più staccare dal suo regalo, potrete sempre comprarlo, al prezzo dell’usato (con uno sconto dal 30% al 50%). Il successo di questa iniziativa la dice lunga su quanto stia cambiando l’America. Babyplays.com è stata esibita da diversi giornali a Natale in testa a una lunga lista di iniziative analoghe in altri campi: fioriscono in ogni angolo degli Stati Uniti i vivai che vi affittano gli alberi di Natale (li restituirete dopo le feste e torneranno nel loro habitat naturale), o le “tecno-biblioteche” che vi prestano gli utensili per i lavoretti del fai-date domestico durante le vacanze. Se il “consumo frugale” insidia perfino la più commerciale di tutte le feste, a qualcosa la crisi è servita davvero: esce dai testi di fanta-sociologia ed entra nella vita di tutti i giorni l’idea che viviamo in un’“età dell’accesso” in cui l’importante è poter usare le cose, non accumularle. I bambini quel valore ce l’hanno alla nascita: «È solo dopo i quattro anni che cominciano a voler possedere i giochi», spiegano a Babyplays.com. Il consumo smart dunque non è controtendenza: anzi, il nostro “gene collaborativo” è attivo e forte dalla prima infanzia. 017



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approfondimento

LA RIVOLUZIONE DELLE TERMITI articolo di Gianluca Diegoli fotografie di Louis K. Meisel Gallery, Inc. - Charles Bell

«Come termiti, in modo silenzioso e microscopico ma continuo, gli uomini stanno cambiando il modo di scegliere le merci, di produrle, di progettarle e, soprattutto, di utilizzarle. Stanno trasformando (e rodendo da dentro) l’ecosistema che chiamiamo “consumo”». Nuovi modelli di business e tendenze, basati sulla collaborazione, sulla sostenibilità e sulla condivisione dell’intelligenza, della conoscenza e dell’uso efficiente delle cose, che stanno cambiando il consumatore e la sua relazione con il produttore e il prodotto.

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«La terra vista dallo spazio è una palla / Azzurra e silenziosa / Ma se ci vivi ti rendi conto / Che è tutta un'altra cosa» (Safari, Lorenzo Jovanotti, 2008) Immaginate di guardare il mondo (quello del commercio, della pubblicità, del marketing, del consumo) dall’alto, come da una macchina da presa di un film hollywoodiano, passare sopra centri commerciali pieni di gente con carrelli zeppi di cibo e regali per le feste. Notate qualcosa di diverso rispetto a qualche anno fa? Sforzatevi, su! No, eh? Niente. Avete ragione. Immaginate ora un enorme albero centenario, sopravvissuto ai mutamenti climatici, a due guerre mondiali, al DDT, agli organismi geneticamente modificati: una pianta apparentemente indistruttibile. Ma se ci avviciniamo improvvisamente – come in C.S.I. quando l’inquadratura entra nel corpo del delitto passando per il microscopio di Grissom – e oltrepassiamo la corteccia, la troveremo 020

percorsa di tunnel, scavati da termiti. Quello che mi piacerebbe mostrarvi in quest’articolo è che, come termiti, in modo silenzioso e microscopico ma continuo, gli uomini stanno cambiando il modo di scegliere le merci, di produrle, di progettarle e, soprattutto, di utilizzarle. Stanno trasformando (e rodendo da dentro) l’ecosistema che chiamiamo “consumo”. Ognuno degli esempi che seguono è un segnale. A volte piccolo, ma significativo, per far comprendere ciò che spesso non è visibile a occhio nudo. Le termiti sono singolarmente insignificanti, ma sono miliardi e miliardi, e stanno scambiandosi informazioni a raffica sulla strada migliore per arrivare all’albero e sulla qualità del legno. L’intelligenza collettiva e lo scambio veloce di informazioni è ciò che permette alle termiti di organizzarsi, di prosperare indisturbate e alla fine di mangiarsi l’albero, senza che qualcuno se ne accorga. Siamo noi stessi le termiti, ormai l’avete capito, vero?

Chiara su proposta di Fair Trade ha coinvolto altre mamme blogger nel personalizzare le scarpe da bimbo in cotone equo-solidale: si è trasformata in designer, coinvolgendo la propria rete di relazioni.


la rivoluzione delle termiti

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Asos ha creato qualcosa di impensabile per la maggior parte degli store: permettere ai propri clienti di scambiarsi i vestiti, o di rivenderli nello stesso store in cui vende i propri. Zoe vende gli abiti che non usa più, e ne ricompra di nuovi, o di usati: non trova utile possedere tanti abiti, ma solo indossarne sempre di nuovi.

Piccoli segnali (apparentemente) senza importanza Zoomiamo all’interno dell’osteria di Fuori Porta a Padova, inquadriamo un gruppo di persone che si stanno dividendo, tra una chiacchiera e un bicchiere di rosso, dei barattoli di miele. Come si sono incontrati? Perché non hanno comprato il miele al supermercato come hanno sempre fatto? Quello che non vediamo è il reticolo di relazioni, la condivisione di valori e la tecnologia “organizzativa” che li ha portati a essere lì a ritirare la propria scorta di miele prodotto da Stefano dell’Apicoltura Mellarius, che ha spiegato loro perché costa un po’ di più, come lo produce biologicamente e perché non riusciva a venderlo alla grande distribuzione. L’associazione Biorekk è una comunità – on-line e off-line – di persone che condividono valori, e hanno modificato la tradizionale sequenza standard: scaffale, occhiata, controllo prezzo, acquisto, consumo. “Ehi, ma è una piccola e insignificante cosa”, direte voi: “Ricordatevi delle termiti”, vi direi io, per il momento.

Perché tu sei il media, il copy, l’editore, la campagna Microscopizziamoci un’altra volta, in modo da poter entrare in uno di quei cavi che collegano gli apparati delle società di telecomunicazioni, quelli che stanno in enormi data center di migliaia di metri quadrati. Vedremmo passare ogni minuto milioni di bit di ogni tipo (SMS, e-mail, foto, video, update di Facebook, commenti, post su blog e forum, messaggini istantanei di Facebook, Skype, MSN, WhatsApp, gTalk). Se potessimo collegarli a un text-to-speech (quei software che leggono la scrittura) e a un amplificatore da concerto avremmo davvero il senso di quello che sta succedendo. Ogni secondo, migliaia di unità di conversazione (come dobbiamo chiamarli? Dialoghi contenenti informazioni imparziali, recensioni affidabili, consigli da amici?) che trasportano sensazioni su prodotti, brand, prezzi, negozi supererebbero rapidamente i limiti legali di inquinamento acustico. Queste unità di conversazione rispondono alle stesse

domande alle quali erano soliti (auto) rispondere i vecchi pubblicitari: “Quali nuovi prodotti fanno per me?”, “Quanto questo prodotto vale davvero?”, “Quanto è in linea con i miei valori?” (o i nostri, dovremmo dire), “Devo comprarlo, che ne dite, amici, vado?”. Riuscite a sentire il chiasso di 500 milioni di messaggi come questi, scritti su Facebook ogni giorno? Segnali di presenza di termiti nell’albero del business come lo conosciamo In un negozio di Hong Kong sta succedendo qualcosa che assomiglia a un flashmob: un gruppo di persone organizzate improvvisamente chiede uno sconto collettivo al gestore del punto vendita. Prendere o lasciare? La comunità coalizzata ha il sopravvento sul venditore. Non è lo stesso che succede ogni giorno in Groupon, il sito di coupon super-scontati per acquisti di gruppo? Il ristoratore più o meno consapevolmente sta cedendo di fronte alla pressione della massa organizzata. In un paesino in provincia di Manto021


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Karin, a Londra, sta facendo la spesa. O così crede la grande distribuzione. Karin la sua spesa l’ha già compilata a casa, confrontando le recensioni dei prodotti e ciò che le sue amiche hanno comprato recentemente: il suo smartphone serve semplicemente per spuntare gli acquisti già decisi altrove.

va, un’azienda è in difficoltà: il prodotto cinese costa meno, le sue scarpe sembrano fuori mercato. Decide di cambiare il modello di vendita, vendendo direttamente on-line e trattando direttamente con i gruppi d’acquisto, facendo capire bene la differenza nei materiali e nei modi di produrre le scarpe. Astorflex vende oggi gran parte della propria produzione in modo diretto, al “grossista” composto da consumatori auto-organizzati. Karin, a Londra, sta facendo la spesa. O così crede la grande distribuzione, almeno. Karin la sua spesa l’ha già compilata a casa, confrontando le recensioni dei prodotti e ciò che le sue amiche hanno comprato recentemente: il suo smartphone serve semplicemente per spuntare gli acquisti già decisi altrove. Ha un dubbio però: e allora fotografa il codice a barre del cioccolato, e legge che sì, il cacao è certificato biologico ed equosolidale. E che altri 20 hanno detto che sì, è pure buono. Ricordate? L’albero non si accorge di nulla, ma dentro le termiti stanno già scavando. E tutte as-

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sieme cercano il percorso più efficiente: durante le Olimpiadi, Giovanni dovrà noleggiare un’auto. Peccato che tutte le compagnie siano sold-out. Tranne una: The Car Club, che in realtà non possiede auto, mette solo in contatto persone che possiedono mezzi inutilizzati con altri che hanno bisogno di una macchina a noleggio per pochi giorni. L’auto sarà quella di John, che con quei soldi si ripagherà un mese di assicurazione. Negli stessi giorni, Yannick sta organizzando un viaggio con gli amici a Parigi: lo fa su Facebook, tramite un’app delle ferrovie francesi. Niente SMS avanti e indietro e telefonate incrociate: ognuno partecipa direttamente al programma di viaggio, acquisto dei biglietti incluso. Bernard è bavarese ed è un fan della senape. Fin qui, tutto normale. Bernard però assieme ad altri 10.000 ha appena contribuito a creare nuovi gusti di senape del brand Mari Senf. Ha ricevuto a casa un kit per provare davvero i gusti che immaginava solamente: poi on-line, ha mandato le sue variazioni al prodotto. Ora il nuovo prodotto è in vendita. 023


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In Brasile, Paulo aveva saputo che la Halls non avrebbe più prodotto le caramelle al suo gusto preferito, l’uva verde. Assieme ad altre migliaia di persone, organizzate online, dopo qualche mese è riuscito a far cambiare idea al produttore. Giovanni dovrà noleggiare un’auto durante le Olimpiadi ma tutte le compagnie sono sold-out. Tranne una: The Car Club, che in realtà non possiede auto, ma mette in contatto persone che possiedono mezzi inutilizzati con altri che hanno bisogno di una macchina per pochi giorni. L’auto sarà quella di John, che con quei soldi si ripagherà un mese di assicurazione.

Ecco che l’albero ha deciso di allearsi, di fare un accordo con le termiti. Chiara e Justine sono italiane e hanno un blog, Le Funkymamas, con cui condividono esperienze e partecipano attivamente al movimento on-line delle mamme blogger. Chiara e Justine su proposta di Fair Trade hanno coinvolto altre mamme blogger nel personalizzare le scarpe da bimbo in cotone equosolidale: si sono trasformate in designer, coinvolgendo la propria rete di relazioni, la propria audience. Justine, inoltre, ha aperto un negozio su Etsy.com, in cui vende oggetti e capi fatti a mano. Justine, come tanti altri, a volte compra, a volte vende: Etsy è una comunità-mercato, in cui compratori e venditori si scambiano spesso i ruoli, e in cui il prodotto è spesso solo un mezzo, e non un fine, per mantenere e consolidare relazioni. Tra i lettori di Funkymamas c’è anche Donatella, un’altra mamma, che ha aperto da poco un negozio on-line di abbigliamento (diverso dal solito) per bambini, The 024

Kidsboutik: sarà lei a vendere on-line le scarpe disegnate dalle blogger. Da lontano, è difficile scorgere il brulicare di oggetti e relazioni. Ma se vi avvicinate alla base del tronco, noterete uno sciamare senza fine di termiti con pezzetti di legno tra le zampe. Zoe, a Londra, è una fan di Asos, uno dei più importanti store di abbigliamento on-line. Asos ha creato qualcosa di impensabile per la maggior parte degli store: permettere ai propri clienti di scambiarsi i vestiti, o di rivenderli nello stesso store in cui vende i propri. Zoe vende gli abiti che non usa più e ne ricompra di nuovi, o di usati. Zoe non trova utile possedere tanti abiti, ma solo indossarne sempre di nuovi. In Brasile, Paulo aveva saputo che la Halls non avrebbe più prodotto le caramelle al suo gusto preferito, l’uva verde. Assieme ad altre migliaia di persone, organizzate on-line, dopo qualche mese è riuscito a far cambiare idea al produttore. Non si può sfuggire al ricat-


la rivoluzione delle termiti

Bernard è bavarese ed è un fan della senape Insieme ad altri 10.000 ha appena contribuito a creare nuovi gusti di senape del brand Mari Senf. Ha ricevuto a casa un kit per provare davvero i gusti, poi on-line ha mandato le sue variazioni. Ora il nuovo prodotto è in vendita.

to dello sciame, ma si può collaborare. Anders ha 41 anni, ha un’agenzia pubblicitaria a Stoccolma e abita in campagna, dove mantiene una piccola fattoria. Questa settimana lui è la Svezia, almeno su Twitter: l’account svedese non viene gestito da un’agenzia, ma da singoli cittadini volontari, uno per settimana. Migliaia di chilometri più a sud, Mr. Wyss è il sindaco di Obermutten, uno sconosciuto paesino svizzero. Ha promesso di incollare una vera foto, di carta, per ogni persona che avesse messo il Like alla pagina, su Facebook. Mai avrebbe pensato che dalla bacheca di legno al centro sarebbe dovuto passare ad attaccare ritratti in ogni muro libero del suo paesello. Lo spunto per il futuro L’albero certo è ancora solido, apparentemente. Il mutamento è spesso invisibile, ma non per questo meno potente, e non meno grave per chi non saprà adattarsi. Ma le termiti scavano, pezzetto dopo pezzetto, senza fermarsi mai, imma-

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gazzinando informazioni sempre più precise, organizzandosi in modo sempre più perfetto. La crisi che continuerà nei prossimi anni sarà la spinta finale, la tempesta additata come colpevole della caduta, ma non sarà stata la vera causa. Ma non è la difesa dell’albero, ormai condannato, il vero obiettivo su cui concentrarci. È meglio iniziare a immaginare un nuovo modello di business, basato sulla collaborazione, la costruzione di un ecosistema sostenibile e fondato sulla condivisione dell’intelligenza, della conoscenza e dell’uso efficiente delle cose. Nella piccola riunione nell’osteria di Padova c’è già dentro tutto, a volerlo vedere: il passaparola accelerato, la tecnologia che permette di consolidare le relazioni e l’efficienza, la fiducia – tra produttore e compratore, tra i compratori stessi – che fa funzionare il sistema, le informazioni scambiate da pari a pari, l’acquisto collettivo e un nuovo rapporto di forza – e di collaborazione – tra produzione e consumo. 025


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scenari

Il marketing globale e i nuovi mercati dopo la grande crisi articolo di Stefano Micelli fotografie di Corbis Images

Negli ultimi vent’anni, il mondo ha sperimentato una progressiva omogeneizzazione dei consumi: i nuovi mercati delle economie emergenti hanno adottato gusti e preferenze molto simili a quelli occidentali. Questa tendenza continuerà anche dopo la “grande crisi” e i profondi cambiamenti economici di questi anni, o la domanda internazionale inizierà nuovi percorsi di differenziazione di cui le imprese dovranno necessariamente tenere conto?

All’inizio degli anni Ottanta, i primi studiosi della globalizzazione dei mercati immaginavano un mondo in cui una nuova generazione di prodotti pensati e distribuiti a scala mondiale avrebbe fatto la fortuna di aziende capaci di interpretare i bisogni di consumatori senza frontiere. È vero che i jeans e le macchine di cui allora parlava Theodore Levitt, il profeta dei prodotti globali, non sono più necessariamente leader sul mercato, ma è certo che in quest’ultimo ventennio il mondo ha sperimentato una progressiva omogeneizzazione dei consumi. I nuovi mercati delle economie emergenti hanno adottato gusti e preferenze molto simili quelle occidentali. Sulle tavole della classe media cinese sono apparsi i cereali, le vitamine e i succhi di frutta. I mobili di Ikea hanno occupato sempre più spazio nelle case della classe media di tutto il mondo. Il mercato del lusso ha visto l’imporsi di marche globali che hanno saputo costruire un immaginario condiviso in grado di suggestionare i nuovi ricchi del Pianeta. La domanda con la quale siamo chiamati a confrontarci è se questa tendenza potrà proseguire all’indomani 026

della grande crisi di questi anni. È legittimo chiedersi, in altre parole, se i profondi cambiamenti economici di questi anni lasceranno immutata la traiettoria di convergenza che ha segnato quest’ultimo decennio o se è verosimile pensare che la domanda internazionale inizierà nuovi percorsi di differenziazione di cui le imprese dovranno necessariamente tenere conto. Per rispondere a questi interrogativi è utile ragionare in termini di scenari. Ci ha provato per esempio lo UK’s Forum for the Future con un rapporto sul profilo del consumatore nel 2020 (Consumer Futures 2020, Scenarios for Tomorrow’s Consumers, 2011, www.forumforthefuture.org). Gli scenari messi a fuoco nel rapporto si fondano su alcune variabili chiave che sintetizzano l’esito del percorso di uscita dalla crisi. Un primo scenario ipotizza la possibilità di continuare lungo binari noti. L’economia ricomincia a crescere, anche se a ritmi meno sostenuti rispetto al passato; le grandi imprese multinazionali si dimostrano capaci di dare soluzioni alle grandi risposte del Pianeta, prima fra tutte quella relativa al nodo

L'Africa ha 900 milioni di consumatori di cui 400 costituiscono già oggi una classe media emergente che può spingere la crescita economica. Molti dei limiti strutturali del mercato africano hanno stimolato nel recente passato un’imprenditorialità locale che ha dimostrato vitalità e capacità di adattamento nei comparti più diversi, dalla cosmetica alla telefonia mobile, dal turismo sostenibile alle produzioni cinematografiche.


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della sostenibilità ambientale. I modelli di consumo rimangono sostanzialmente invariati. In questo scenario i grandi marchi consolidano la loro posizione nella società e sul mercato anche se sono chiamati a sviluppare, rispetto al passato, maggiore attenzione ai temi della responsabilità sociale di impresa. È lo scenario che il Forum for the Future etichetta come “I’m in your hand” per sottolineare il persistere di una delega sostanziale che il consumatore continua ad attribuire alla grande impresa come perno della crescita economica e di modelli di consumo consolidati. Esistono ovviamente scenari alternativi. In un contesto in cui l’economia smette di crescere e i mercati sono saturi, le cose potrebbero andare diversamente. Secondo gli analisti, un’economia più incerta, segnata dal costo crescente dell’energia e delle materie prime e da una gestione sempre più onerosa delle conseguenze dei cambiamenti climatici, potrebbe portare l’opinione pubblica a considerare modelli di consumo alternativi. In questo secondo scenario, etichettato dal forum come “From me to you”, i consumatori attribuiranno nuovo 028

valore ai beni e ai servizi prodotti a scala locale in particolare in campo alimentare. Riemerge il peso delle comunità come spazio per favorire scambi peer to peer a scapito dell’offerta promossa dai grandi brand consolidati. Il tema della sostenibilità diventa cruciale e spinge a considerare soluzioni alternative di trasporto e di logistica delle merci. È plausibile pensare che questi scenari non s’impongano in modo omogeneo a livello mondiale, ma vadano a caratterizzare specifiche aree a livello internazionale. In molte economie emergenti il consumatore è ancora saldamente legato all’offerta della grande impresa e continua ad attribuire valore ai brand dei leader di mercato nazionali e internazionali. Le logiche della produzione di massa sono alla base della crescita del tenore di vita: il che fa delle imprese e dei loro marchi un punto di riferimento positivo soprattutto per quella classe media che comincia oggi ad apprezzare uno stile di vita occidentale. In Cina la classe media – composta da commercianti e produttori che hanno beneficiato delle liberalizzazioni degli anni Ottanta così come da nuovi


il marketing globale e i nuovi mercati dopo la grande crisi

In Brasile, tra il 2003 e il 2008 circa 20 milioni di persone sono uscite dallo stato di povertà e oltre 30 milioni sono entrate nei livelli di reddito della classe media.

professional che operano nelle grandi imprese delle principali città cinesi – è in costante crescita. Secondo stime di Boston Consulting Group, il nuovo baricentro della società cinese passerà dagli attuali 150 milioni di persone a 400 nel 2020, attestandosi principalmente attorno ai grandi conglomerati urbani di primo, secondo e terzo livello. Questa massa consistente di nuovi consumatori rappresenta una grande opportunità per le imprese che operano nei principali comparti dei beni di consumo, dalle lavatrici alle automobili, dall’alimentare alla telefonia mobile. Chi può candidarsi a servire un mercato con queste caratteristiche? Non solo le grandi multinazionali che oggi guardano al mercato cinese come a una grande opportunità di crescita. Secondo diversi analisti il consolidamento della domanda della classe media cinese rappresenta una grande opportunità per riequilibrare l’offerta nel Paese a vantaggio di una nuova generazione di grandi aziende cinesi orientate a soddisfare la nuova domanda interna. Considerazioni simili valgono per altri mercati caratterizzati da una dinamica

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di forte crescita. In Brasile il settore dei consumi è stato sostenuto da una struttura demografica e socio-economica del Paese che ha fortemente beneficiato delle condizioni di stabilità garantite dal nuovo ciclo politico. La popolazione economicamente attiva è cresciuta a un ritmo del 2,3% annuo dall’inizio del decennio, consentendo quindi un costante aumento del numero dei consumatori. Secondo l’analisi di Credit Suisse, tra il 2003 e il 2008 circa 20 milioni di persone sono uscite dallo stato di povertà vero e proprio e oltre 30 milioni di persone sono entrate nei livelli di reddito della classe media. La crescita dei consumi di beni e servizi costituisce una grande opportunità per le multinazionali di tutto il mondo, anche se è molto probabile che la classe politica brasiliana punterà a rilanciare la competitività di alcuni campioni nazionali per evitare che l’apprezzamento del Real si traduca in uno spiazzamento dell’offerta nazionale a solo vantaggio di operatori stranieri. Anche in Africa il recente consolidamento della classe media suggerisce di guardare alle opportunità di mercato in questo continente. In un libro 029


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pubblicato nel 2009, Vijay Mahajan è stato fra i primi a proporre all’attenzione internazionale i numeri di una crescita economica poco conosciuta a causa di stereotipi profondamente radicati nell’opinione pubblica occidentale. L'Africa ha 900 milioni di consumatori, di cui 400 costituiscono già oggi una classe media emergente che può spingere la crescita economica. Molti dei limiti strutturali del mercato africano hanno stimolato nel recente passato un’imprenditorialità locale che ha dimostrato vitalità e capacità di adattamento nei comparti più diversi, dalla cosmetica alla telefonia mobile, dal turismo sostenibile alle produzioni cinematografiche. Vi sono ovviamente grandi opportunità per le multinazionali europee e americane, a condizione che si dimostrino capaci di interpretare questi mercati in modo originale senza pensare di replicare formule commerciali già consolidate in altri contesti. Se in gran parte delle economie emergenti è legittimo immaginare un rapido consolidamento del ruolo della grande impresa come principale interlocutore della classe media in ascesa (come

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prefigurato nello scenario “I’m in your hand”), alcuni mercati maturi potrebbero conoscere un’evoluzione diversa. L’ipotesi di uno scenario “From me to you”, più attento alla qualità dell’esperienza del consumo, alle dinamiche delle comunità locali e al rispetto dell’ambiente, potrebbe essere l’evoluzione di molti mercati europei non solo per ragioni strettamente economiche – in primis un quadro macroeconomico spesso poco favorevole –, ma soprattutto per motivazioni di tipo culturale. Il superamento di un approccio consumistico e la richiesta di beni e di servizi in grado di garantire esperienze autentiche appaiono come il tratto distintivo di società e di economie caratterizzate da logiche “post-crescita”. In questo scenario, il consumatore maturo non riconosce più alle grandi imprese una delega in bianco per il soddisfacimento dei suoi bisogni; reclama un ruolo attivo nella definizione del prodotto (bene o servizio che sia), richiede un vero dialogo con l’offerta ed è disposto a pagare per la personalizzazione di esperienze su misura. Come potranno le imprese che oggi operano sui mercati globali affron-

Il nuovo baricentro della società cinese passerà dagli attuali 150 milioni di persone a 400 nel 2020. Questa massa consistente di nuovi consumatori rappresenta una grande opportunità per le imprese che operano nei principali comparti dei beni di consumo.


il marketing globale e i nuovi mercati dopo la grande crisi

tare un processo di differenziazione delle preferenze che questi scenari portano con sé? La risposta a questi interrogativi non è facile perché le istanze promosse dai due tipi di domanda sono oggettivamente diverse. Un primo ambito d’innovazione riguarda la strategia e la comunicazione. Le aziende più sensibili a questi temi hanno reagito rinnovando profondamente le loro campagne di comunicazione e puntando a nuove parole d’ordine capaci di attraversare in modo originale contesti culturali molto diversi fra loro. Esempi come Patagonia (protagonista di uno sforzo straordinario per il rispetto dell’ambiente) o come Gucci e Bottega Veneta (impegnate nel ridefinire il valore dei propri prodotti attraverso una rivalutazione del lavoro artigiano) segnalano l’imporsi di nuovi valori di marca e di formule originali di comunicazione al consumatore. Altro spazio in cui è possibile sviluppare forme nuove di relazione con il mercato e di differenziazione competitiva è quello della personalizzazione dell’offerta. Anche il prodotto più standardizzato è oggi suscettibile di customizzazione:

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i mobili Ikea sono stati recentemente rielaborati dal Taiwan Craft Research Institute per sperimentare una contaminazione fra il design nordico e la cultura tradizionale cinese. In generale, la crisi che stiamo vivendo suggerisce di elaborare rapidamente strategie competitive che tengano conto dei profondi cambiamenti che stanno segnando economie consolidate e Paesi emergenti. Il processo di globalizzazione che abbiamo conosciuto nel corso degli ultimi vent’anni, dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, è stato soprattutto un percorso di omogeneizzazione e di consolidamento di modelli di consumo occidentali. Gli avvenimenti di questi due anni mettono in discussione questa traiettoria. Il mondo ricomincia a essere eterogeneo e differenziato. Le imprese che vogliono operare in modo efficace a scala globale devono sviluppare nuove capacità di dialogo con la domanda per incontrare richieste di consumatori con culture e aspettative diverse. È su questo piano che si gioca una parte importante della competitività delle multinazionali del futuro.

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contesti

La dura legge del marketing articolo di Pino Buongiorno fotografie di D.& J. Heaton - J. O’Rear - K. Schafer - F. Soltan

Il flop della Nano e il boom dei marchi di lusso Jaguar e Land Rover. Negli ultimi anni sono state le scelte indovinate o errate della strategia di marketing a determinare i successi e i fallimenti del gruppo indiano Tata, nel momento di un epocale cambio al vertice: Ratan Tata, il carismatico patriarca, ha deciso di andare in pensione e ha scelto il suo successore...

Sono state settimane frenetiche alla Bombay House, il palazzo coloniale che funge da quartier generale del gruppo Tata fin dal 1924. Qui, nei quattro piani dell’edificio costruito con la pietra basalto tipica di Mumbai, è avvenuto un cambio epocale per il primo gruppo industriale indiano, che fattura 83 miliardi di dollari e ha 425.000 dipendenti in tutto il mondo. In carica dal 1991, Ratan Tata, 74 anni, il carismatico patriarca, uno dei pochi imprenditori al mondo seguace del profeta Zarathustra, che con la sua conglomerata ha accompagnato lo sviluppo del gigante India, un po’ come 032

fece la Fiat con l’Italia del miracolo economico negli anni Sessanta, ha deciso di andare in pensione. Dopo una sofferta decisione che l’ha assorbito in lunghe discussioni, il rappresentante della quinta generazione della famiglia che guida da 143 anni il gruppo Tata è stato costretto a fare una scelta dolorosa, non avendo figli. Ha preferito al fratellastro Noel, l’esterno Cyrus Mistry, 43 anni, l’uomo-ombra degli ultimi anni, erede di una famiglia di costruttori che è proprietaria del 18% della holding Tata. Il passaggio di consegne avverrà nel dicembre 2012 e nel frattempo Cyrus entrerà da vicepresi-

dente a pieno diritto in tutte le decisioni più importanti. Come se non bastasse, un’altra casella strategica si è liberata all’improvviso creando non poco scompiglio a Mumbai e nel resto del mondo. Carl-Peter Foster, 57 anni, il gran capo di Tata Motors, l’azienda che ha contribuito più delle altre all’internazionalizzazione del gruppo, compresa l’alleanza con la Fiat, si è dimesso per «ineluttabili circostanze personali». Assieme a Ratan Tata, Foster, ex boss della General Motors Europe, ha creato i presupposti di una rivoluzione senza precedenti nelle quattro ruote (per



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ora fallita) e, nello stesso tempo, ha impresso una forte accelerazione alla globalizzazione dell’azienda automobilistica non solo nei mercati sviluppati, ma soprattutto in quelli emergenti (impresa riuscita). La sua leadership è associata a due fenomeni contrastanti che stanno diventando materia di corsi universitari sia nel mondo anglosassone, sia nelle scuole di management in India. E che la dicono lunga su come il marketing, se applicato in maniera corretta, può portare a grossi successi. Ma che, se è sbagliato nei fondamentali, diventa fonte di disastri imprenditoriali. Quando nel gennaio 2008 Tata annunciò con grande fanfara la nascita della Nano, «l’auto del popolo» da soli 2000 dollari, tutti (imprenditori, uomini politici, analisti) applaudirono perché «l’automobile meno costosa al mondo» era destinata a sconvolgere l’industria automobilistica. Alcuni mesi dopo, nel giugno 2008, quando sempre lo stesso tycoon indiano acquistò i marchi Jaguar e Land Rover dalla Ford per 2,3 miliardi di dollari, gli stessi personaggi delle lodi sperticate alla Nano, tutti indistintamente, fecero “Buuh”, un po’ perché sembrava che l’India colonizzata si prendesse la rivincita sul colonizzatore britannico; un po’ perché ritenevano che Tata avesse fatto il passo più lungo della gamba. I più blasonati esperti delle principali banche di affari, in testa Morgan Stanley, scommisero che sarebbero state vendute centinaia di migliaia di Nano da 2000 dollari e poche, pochissime Jaguar da 65.000. «L’acquisizione di-

Ratan Tata sognava di far viaggiare sulle quattro ruote migliaia di indiani delle aree rurali che finora avevano utilizzato solo i motocicli. E meditava anche di distribuire i kit della Nano nei villaggi più sperduti per trasformare in imprenditori i meccanici di quelle zone. Belle visioni che però si sono scontrate con la realtà. 034

strugge valore a causa della mancanza di sinergie e delle operazioni ad alto costo», sentenziò l’analista indiano Balaji Jayaraman di Morgan Stanley. Non è affatto andata così. La casa automobilistica guidata da Foster, che ha un valore di borsa attorno ai 15 miliardi di dollari, ha fatto profitti quasi esclusivamente grazie alle vetture simbolo del lusso. La Jaguar, che costa 25-30 volte la Nano, ha venduto finora 53.000 vetture contro le 70.000 Nano low cost. Il marketing ha fatto la differenza. Prendiamo il flop dell’auto ultracheap. Ratan Tata sognava di far viaggiare sulle quattro ruote migliaia di indiani delle aree rurali che finora avevano utilizzato solo i motocicli. E meditava anche di distribuire i kit della Nano nei villaggi più sperduti per trasformare in imprenditori i meccanici di quelle zone. Belle visioni che però si sono scontrate con la realtà. Dal momento del lancio fino alla nascita della prima vettura la Nano è passata da una crisi all’altra. Intanto, la prima fabbrica che doveva essere costruita nel poverissimo West Bengala non è mai sorta per l’opposizione dei contadini locali. All’ultimo momento il progetto si è trasferito a Sanand, nel Gujarat. Di qui, i grossi ritardi, fino a 18 mesi, nelle consegne che hanno scoraggiato anche i più ottimisti acquirenti. A rendere le vendite ancora più complicate è stato il fatto che alcune Nano hanno preso fuoco. È stato facile per i detrattori, il gruppo Maruti in testa, accusare Tata e soprattutto Foster di aver trascurato la sicurezza a favore del prezzo. Terzo fallimento del marketing: non è mai stato elaborato un modello di distribuzione su scala nazionale; la pubblicità è stata assai scarsa e nessuno ha pensato al piano di finanziamenti con le banche dell’estrema periferia indiana. L’assenza delle strategie di vendita è arrivata al punto che la maggior parte degli indiani dei villaggi rurali non hanno mai sentito neppure parlare della Nano, né hanno avuto la possibilità di vedere l’auto che avrebbe dovuto trasformare la loro vita. Anche il posizionamento è stato un disastro. Come ha spiegato Matt Eyring sull’“Harvard Business Review”, le fasi di una campagna di marketing ben riuscita sono tre. La prima è pensare a qualcosa che è realmente voluto e ricercato dai consumatori. La seconda è identificare chi vuole quel prodotto e la terza è studiare i dettagli di come e sotto quali circostanze quel prodot-

Festival dell’elefante Il Festival dell'Elefante si tiene a Jaipur, in Rajasthan, nel corso della giornata di Holi. Questo festival annuale è un evento molto particolare, nel quale gli elefanti vengono pitturati e accuratamente abbigliati in oro luccicante. Secondo la mitologia indù, la popolazione considera gli elefanti (denominati anche Samudra Manthan) esseri preziosi e regali.


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to sarà usato. «Insomma», conclude Eyring, che è presidente di una società di consulenza con uffici a Boston, a Singapore e in India, «devi scovare il modo di produrre qualcosa che sia affidabile e che crei profitto al prezzo che le persone interessate pagheranno. E devi comunicare un messaggio chiaro, ben mirato e differenziato dalle offerte dei competitori». Ebbene, Tata Motors ha fallito in tutte e tre le fasi e, per di più, lo ha fatto davanti agli occhi dell’opinione pubblica. Risultato? Lo stesso Foster ha dovuto annunciare poco prima delle sue dimissioni lo stravolgimento del modello di business della Nano con una nuova vettura pronta nel 2012, che sarà disponibile in più colori, avrà interni un po’ meno spartani, un motore più potente (38 cavalli e non 30), nonché più efficiente nei consumi, e sarà anche meno rumorosa. Il prezzo rimarrà lo stesso. In compenso, Tata Motors ha messo a punto un 036

nuovo schema di finanziamenti con 29 banche locali. La garanzia è stata estesa. E soprattutto è in programma una campagna pubblicitaria sulle televisioni a livello nazionale e locale per far conoscere la Nano anche nei villaggi più lontani da Mumbai. Il nuovo messaggio sarà quello di vendere l’auto non come una macchina a basso costo, ma facile da acquistare. Tutt’altro marketing (“Big is beautiful”) ha invece decretato il successo dei marchi Jaguar e Land Rover, che hanno realizzato profitti strabilianti nel 2010-2011. Le vendite sono cresciute del 30%. E, a fine ottobre 2011, Tata ha assunto 1000 nuovi operai e tecnici nello stabilimento di Solihull, dove attualmente lavorano 5000 persone nelle catene di montaggio delle Range Rover. Il recentissimo modello Evoque sta contribuendo al boom di vendite e al potenziamento della fabbrica. Infine, per rafforzare il progetto di espansione nei mercati

Big is beautiful: è il marketing che ha decretato il successo dei marchi Jaguar e Land Rover, che hanno realizzato profitti strabilianti nel 2010-2011. Le vendite sono cresciute del 30%.


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«Il primo valore è che da noi non ci sono proprietari, ma amministratori. Il secondo è quello del fondatore Jamsertji Nusserwanji Tata: qualsiasi cosa emana dalla società deve ritornare alla società in una forma o in un’altra. Ecco perché Tata ha un tipo diverso di cultura e di filosofia aziendale» (Ratan Tata)

cinese e russo, in vista della prevista recessione delle economie europee, Tata ha assunto ingegneri tedeschi e maghi del marketing dalle aziende concorrenti. I benefici sono stati enormi grazie alla campagna di marketing indovinata. Tata Motors ha dimostrato di saper preservare e anzi di sviluppare il valore dei marchi storici dell’auto di lusso, è riuscita a ridurre la dipendenza dal mercato indiano, che fino a poco tempo fa totalizzava il 90% delle vendite, e ha potuto diffondere il suo modello aziendale in diverse aree geografiche e a differenti segmenti di clienti. Se fino a poco tempo fa il brand Tata era associato ai veicoli commerciali e alle auto a bassa tecnologia, oggi è anche sinonimo di veicoli di lusso, da esportare magari un giorno nella stessa India per controbattere la concorrenza della Mercedes e della BMW. Ora toccherà al “mago Cyrus”, come viene chiamato a Mumbai, trovare

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l’uomo giusto come amministratore delegato di Tata Motors, in grado di vendere sia le Nano, sia le Jaguar con la stessa bacchetta magica e rispettando la tradizione imposta da Ratan Tata in questi 20 anni: «Operiamo globalmente in più di 80 Paesi attraverso un centinaio di società in sette settori di affari», mi disse il patriarca in una lunga intervista che ebbi con lui a Mumbai nel 2007. «Ciascuna azienda è governata dal suo consiglio di amministrazione indipendente e ha la propria strategia. In ogni caso ogni compagnia è connessa al gruppo in quanto aderisce ad alcuni valori e processi decisionali. Il primo valore è che da noi non ci sono proprietari, ma amministratori. Il secondo è quello del fondatore Jamsertji Nusserwanji Tata: qualsiasi cosa emanata dalla società deve ritornare alla società in una forma o in un’altra. Ecco perché Tata ha un tipo diverso di cultura o, se preferisce, di filosofia aziendale». 037


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approfondimento

Eco-smart: il consumatore vincente

consumatore di oggi

articolo di Renato Mannheimer illustrazioni Undesign

Consumo critico, consapevole, responsabile, sostenibile, “green”, equo, solidale, eco, etico, bio… Nuove forme di consumo in vista? È apparso un nuovo consumatore, piuttosto. È meno ingenuo e più smaliziato, meno credulone e più informato, più esigente e meno bisognoso, meno malleabile e più determinato. È più intelligente. Più smart, insomma. E ha già cominciato a condizionare i trend di consumo.

SMART: IL CONSUMER DI OGGI Vi siete mai chiesti perché lo smart consumer è smart, perché il consumatore intelligente è intelligente? È semplice. Il motto del consumatore tradizionale è “Consumo, dunque sono”, espressione che significa “Mi sento di esistere se e solo se consumo certi beni e non altri”, mentre il motto dello smart consumer è “Sono, dunque consumo”, vale a dire “Consumo certi beni e non altri in funzione di ciò che sono e di ciò che credo”. Il primo fa dipendere se stesso – e la propria maschera sociale – dai propri consumi; il secondo fa dipendere i propri consumi da sé e da ciò che crede di essere. Il primo è ciò che i suoi consumi lo fanno diventare o gli danno la sensazione di poter diventare, il secondo fa diventare i propri consumi un’espressione rilevante di sé. «Io non sono una cosa e la mia spesa un’altra cosa. La mia spesa sono io», ha scritto Ralph Waldo Emerson (150 anni fa: che

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genio!). Il consumatore intelligente non è, dunque, intelligente invano. Di conseguenza, le aziende produttrici di beni o servizi, le società di marketing e comunicazione, le agenzie di pubblicità devono evitare di commettere l’errore di certi boss brontosauri che fanno il proprio lettore-ascoltatore-consumatore più stupido, più ignorante, meno informato e meno innovatore di quanto non sia davvero. ECO-SMART: IL CONSUMER DI DOMANI Il consumatore intelligente ha una coscienza “verde”: è attento al tema dell’eco-sostenibilità della produzione di beni o servizi e apprezza le aziende che impegnano una parte delle proprie revenues nel campo della solidarietà sociale o della protezione ambientale. Per questo motivo, lo smart consumer è già in via di estinzione, sostituito dalla sua nuova versione, il consumer 2.0, ovvero il consumatore

consumatore di domani


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eco-smart

eco-smart. Possiamo definirlo così: eco-smart è il consumatore che, con la propria scelta di acquisto, premia le aziende capaci di un impegno esplicito nel produrre beni o servizi senza provocare danni all’ambiente, senza attentare alla salute dei cittadini e senza sfruttare minori o creare “nuovi schiavi”. State pensando che questo consumatore eco-smart sia quantitativamente un granello nell’immensa spiaggia dei consumatori italiani? Nel settembre 2009, ISPO (Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione) ha condotto un sondaggio a livello nazionale per Green Value, intervistando un campione rappresentativo dell’intera popolazione italiana maggiorenne. Alla domanda “In che misura le è capitato di cercare di informarsi per capire quali sono le aziende che producono senza rispettare l’ambiente e i diritti?”, ha risposto “Spesso/Talvolta” il 52% degli intervistati. Alla domanda “In che misura le è capitato di evitare di comprare beni alimentari prodotti

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da aziende non attente ad ambiente e sociale?”, ha risposto “Spesso/ Talvolta” il 49% degli intervistati, così come per “In che misura le è capitato di voler comprare prodotti di aziende attente a ambiente e sociale ma di non trovarli?”. Alla domanda “In che misura le è capitato di voler evitare di comprare capi di abbigliamento prodotti da aziende non attente a ambiente e sociale?”, ha risposto “Spesso/ Talvolta” il 48% degli intervistati, stessa percentuale della domanda “In che misura le è capitato di voler comprare prodotti di aziende attente ad ambiente e sociale ma di non farlo perché costano troppo?”. Già nel 2009, dunque, un consumatore italiano su due mostrava di aver sviluppato l’attitudine a premiare aziende capaci di produrre beni o servizi con un ridotto impatto ambientale o sensibili ai temi della solidarietà sociale. Pensate ancora che il consumatore ecosmart sia un granello dell’ampia spiaggia dei consumatori italiani?

LE “5 ERRE”: 5 PASSWORD ECO-SMART Le “5 erre” sono le parole d’ordine che guidano le scelte del consumatore eco-smart: risparmiare, ridurre, riusare, riciclare, riparare. «Ridurre la quantità e tossicità dei rifiuti che produciamo, riusare contenitori e prodotti, riparare ciò che si è rotto o donarlo a qualcuno che sia in grado di ripararlo, riciclare il più possibile e prevedere l'acquisto di beni prodotti con materiali riciclati»: ecco un buon elenco di “erre virtuose”, tutte eco-smart. E sapete chi l’ha redatto? Barack Obama. RISPARMIARE Ci sono tanti modi di risparmiare perché ci sono tante cose che un consumatore può risparmiare. Si possono risparmiare i soldi e si può risparmiare sul consumo di una risorsa non rinnovabile. Comprare una bistecca di manzo al posto del filetto di vitello è una forma di risparmio del primo tipo; rispar-

miare sul consumo di elettricità o di acqua è una forma di risparmio del secondo tipo che comporta anche un risparmio di denaro. Al consumatore eco-smart piace questa seconda forma di risparmio e quanto più diventeranno eco-smart i consumatori di domani, tanto più aumenterà la propensione a questo genere di risparmio. Il futuro è in parte già cominciato. Trend costante dell’ultimo decennio è l’aumento del consumo di acqua del rubinetto e la correlata contrazione dei consumi di acqua minerale, come testimoniano rilevamenti Istat e di Aqua Italia. Da un lato, sempre meno famiglie valutano negativamente l’acqua del rubinetto (il giudizio ostile che caratterizzava il 16,2% delle famiglie nel 2001 scende al 10,8% nel 2010), dall’altro diminuiscono i consumi di acqua minerale (nel 2000 l’acquistava il 67,6% delle famiglie, nel 2009 il 63,4%). Effetto della crisi? Non si tratta solo di un risparmio economico: cresce tra i consumatori la consapevolezza che una bottiglia non solo può


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risparmiare

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percorrere molti chilometri prima di arrivare in tavola, consumando così energia, ma pone anche problemi ambientali se non viene correttamente smaltita. Secondo l’Istat, il risparmio di denaro motiva solo il 16,3% dei consumatori che passano dalla minerale all’acqua di rubinetto, mentre la maggioranza lo fa per un concerto di diversi motivi, tra cui spicca la tutela dell’ambiente. Questo dato è confermato anche dallo studio qualitativo condotto da ISPO per Assobibe sui temi del riciclo e dei comportamenti virtuosi: già nel 2009, la maggioranza assoluta di consumatori maggiorenni “evoluti” e “sensibili all’ambiente” dichiara di aver rinunciato in modo definitivo e durevole all’acquisto di acqua minerale. RIDURRE Il consumatore eco-smart riduce prima di tutto gli sprechi di denaro, risorse energetiche, acqua, e persino di cibo: chiede l’uso di luci temporizzate nei condomini, mette i doppi vetri alle finestre, recupera la “ricetta della nonna” per trasformare in torta l’avanzo di pane, regala gli abitini che stanno ormai stretti ai propri figli. Che il consumatore eco-intelligente cerchi soprattutto di ridurre i rifiuti, i consumi e il proprio impatto ambientale risulta evidente dallo studio qualitativo condotto da ISPO per Assobibe da cui emerge che la maggioranza assoluta di consumatori maggiorenni “evoluti” e “sensibili all’ambiente” sceglie lavatrici e lavastoviglie di classe A e le usa solo a pieno carico, compra

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lampadine a basso consumo nonostante siano più care delle tradizionali, spegne di notte ogni apparecchio elettrico per evitare anche il modesto consumo in stand by, utilizza con sistematicità i prodotti acquistati ed evita di sprecarli facendo loro superare la data di scadenza, evita di acquistare prodotti con contenitori e vaschette in plastica ogni volta che sia possibile. Negli ultimi anni l’eco-smart consumer ha acquisito una “massa critica” tanto da far lievitare i consumi di carta riciclata e legni da foreste sostenibili e far crescere, di conseguenza, anche le aziende del comparto carta-legno che lavorano materiali eco-certificati; le certificazioni FSC, ad esempio, sono cresciute del 53% tra 2009 e 2010. In tutte le città italiane, inoltre, si sono moltiplicati i cittadini che si spostano in bici anziché in auto per ridurre il consumo di benzina e i fumi di scarico; nel 2010, ben 132 centri urbani hanno creato servizi di bike-sharing o di noleggio con bici

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pubbliche. La tendenza a razionalizzare e a ridurre responsabilmente i consumi è così forte che alcune aziende hanno impostato le loro campagne pubblicitarie con parole che qualche anno fa sarebbero parse folli o insensate. «Chiediamo ai nostri clienti un aiuto per ridurre l’impronta ambientale dei capi di abbigliamento Pxxxx acquistati. Oppure non acquistateli», recita la recentissima campagna italiana dell’azienda americana Pxxxx. «Anche se disegniamo e vendiamo per mestiere, ci impegniamo perché i nostri prodotti siano fatti per durare e vi chiediamo di non comperare ciò di cui non avete bisogno». Incredibile, vero? Sono le parole “giuste” per colpire il “cuore” del consumatore eco-intelligente. RIUSARE Dallo studio qualitativo 2009 di ISPO per Assobibe si evince che per il campione di “consumatori evoluti”

e “sensibili all’ambiente” l’attitudine a buttare via non è più un segno di modernità e di opulenza, ma è un indice di cecità autolesiva, soprattutto perché la gestione dei rifiuti non riciclati porta inevitabilmente a dover ricorrere sia agli inceneritori, all’origine di pericolosi effetti collaterali derivanti dalla combustione, sia alle discariche, responsabili dell’emanazione di gas nocivi e di liquidi che percolano fino alle falde acquifere. Il consumatore eco-smart non ha dunque paura di riusare, né di acquistare beni di seconda mano, a patto ovviamente che il loro uso non sia stato un abuso e non ne abbia modificato la qualità. Negli ultimi anni, il numero di mercatini, reali o virtuali, di libri scolastici e manuali universitari usati si è più che raddoppiato, mentre le community e le piattaforme on-line di compravendita continuano a conoscere un aumento del volume di affari. Secondo il Report 2011, nel 2010 salgono fatturato, utili e numero di clienti di e-Bay.

RICICLARE Secondo i dati dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), pubblicati nel Rapporto Rifiuti Urbani 2011, nel nostro Paese diminuisce dell’1% la produzione di rifiuti urbani e aumenta la raccolta differenziata. Nonostante le forti variazioni tra alcune regioni, sembra ormai diffusa ovunque la consapevolezza di quanto l’adozione di un corretto smaltimento dei rifiuti sia rilevante per la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini. Dallo studio qualitativo 2009 di ISPO per Assobibe, più volte citato, emerge che tra i “consumatori evoluti” e “sensibili all’ambiente” è forte e ben radicata la convinzione che il riciclo dei rifiuti, se fosse gestito con estremo rigore, ridurrebbe in maniera significativa l’inquinamento, farebbe risparmiare risorse, creerebbe nuovi posti di lavoro, garantirebbe un ritorno di tipo economico. Dallo studio ISPO risulta che la stragrande maggioranza


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riciclare

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riparare

degli intervistati condivide l’idea che riciclare sia culturalmente, strategicamente, politicamente corretto, anche se non sempre è ritenuto conveniente sotto il profilo economico. Il consumatore eco-smart del futuro prossimo venturo non solo si attiene alle norme sulla raccolta differenziata stabilite dal proprio comune di residenza, ma cerca di adottare un’etica del riciclo ben al di là dei regolamenti imposti. Il domani è già iniziato. Nell’isola di Ischia, il proprietario di un parco di cactacee ha riciclato centinaia di bottiglie di vetro nella produzione di coloratissimi ciottoli per la pacciamatura del terreno, a Milano un’artista ricicla nelle sue opere gli imballaggi delle capsule di caffè, in tutto lo Stivale decine di giovani home designer riciclano con gusto i materiali più disparati. È questa la via italiana al riciclo:

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creatività e fantasia al servizio di un uso-consumo sempre più intelligente. RIPARARE L’eco-smart consumer ripara ciò che può ed evita di buttare ciò che può essere riparato da altri: se far riparare un ombrello non ha più senso – gli ombrellai si sono estinti quando i parapioggia Made in China hanno iniziato a costare meno di quattro euro – far risistemare un abito démodé o svecchiare un paio di pantaloni di ottima qualità è il comportamento “virtuoso” che sta soppiantando il “vizietto” dello shopping compulsivo. Come spiegare altrimenti il boom di piccole e piccolissime sartorie, spesso gestite da extra-comunitari, che sta caratterizzando da qualche anno il paesaggio commerciale delle grandi aree metropolitane?

IL CONSUMO WIN-WIN E LA FELICITÀ È finita l’epoca dell’iperconsumo, dello shopping bulimico e degli sprechi. Colpa della crisi? Se l’effetto della stagflazione fosse solo quello di deprimere i consumi, sarebbe difficile spiegare il successo di vendita dei prodotti alimentari biologici che costano il 10-12% in più ma registrano nell’ultimo anno una crescita media dell’11,6%, con punte oltre il 101% (formaggi freschi e spalmabili). Secondo le rilevazioni Ismea, oggi il 52% degli italiani compra bio. Dobbiamo pensare che un italiano su due non senta la crisi? No, è ovvio. La crisi, da sola, non ha cambiato i consumi; ha solo reso più acuta una consapevolezza molto eco-smart: l’iperconsumo non dà la felicità. Banale? Solo in apparenza. Proprio perché è intelligente, il consumatore eco-smart sa altrettanto


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La crisi, da sola, non ha cambiato i consumi; ha solo reso più acuta una consapevolezza molto eco-smart: l’iperconsumo non dà la felicità

lucidamente che non poter consumare dà tristezza, infelicità, cattivo umore. E allora, la felicità o più prosaicamente il benessere del consumatore dove stanno di casa? Il consumatore intelligente è sobrio nei consumi ma non è ascetico, e pur non essendo mosso da un’immediata gratificazione di possesso, non per questo consuma senza emozioni (“intelligente” non equivale a “razionale”). È il “consumo win-win” ciò che lo fa stare bene. Esempi di tale consumo sono gli acquisti di prodotti equo-solidali, di prodotti eco-bio partoriti da piccoli artigiani impegnati a salvare le tradizioni locali, di prodotti elaborati da aziende coinvolte in progetti di tutela dell’ambiente o di solidarietà sociale, ecc. Il consumatore che acquista uno di questi prodotti non sta semplicemente comprando qualcosa di cui ha bisogno o che gli piace: sta facendo del bene a qualcuno o a qualcosa, sta premiando un produttore meritevole e sente perciò di stare “dalla parte giusta” (come recita il pay off del settore equo-solidale). Tutti gli attori coinvolti nel consumo “vincono” qualcosa: per questo il consumo è “win-win” e questa caratteristica lo rende capace di generare nel consumatore una soddisfazione assai meno volatile e superficiale di un acquisto tradizionale. Molti dei consumi win-win sono in costante aumento. Comprare sentendo “di aver fatto la cosa giusta” e di “essere dalla parte giusta” è molto attraente per la psiche umana, oltre che molto eco-smart, e quanto più l’eco-intelligenza diventerà una caratteristica dominante del consumatore, tanto più questo tipo

di consumo aumenterà. Il fatturato del comparto biologico è cresciuto del 300% in 10 anni e interessante è anche la crescita del mercato dei prodotti equo-solidali: stando al Rapporto nazionale 2011 di AGICES (l’Associazione Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), il fair trade ha registrato a livello internazionale un incremento delle vendite del 15% solo tra 2008 e 2009. ECO-SMART CONSUMER E SMART TECHNOLOGY Il consumatore intelligente legge le etichette, la lista degli ingredienti, le specifiche tecniche di un prodotto e capisce quello che sta leggendo. È un consumatore informato e capace di reperire le informazioni che gli servono nell’immenso bacino della Rete; è anche un forte consumatore di smart technology: la vendita di smartphone segna un +3,4% persino a fine 2011, quando tutto il comparto dell’elettronica di consumo soffre un tristissimo –20% (dati Gfk Eurisko). Il matrimonio tra il consumatore eco-smart e smart technology sembra al momento un solido ménage: la nuova tecnologia è da un lato uno degli status symbol del millennio, dall’altro ha l’innegabile capacità di semplificare la vita, rendendola più comoda, ricca e divertente. E quella di non complicarsi inutilmente l’esistenza è un’attitudine molto smart, non a caso il nuovo consumatore è anche curioso di domotica, soprattutto se applicata al risparmio energetico. Ecco un mercato in costante crescita sin dal 2000: a giudizio di Assodomotica, il più rilevante tra i fattori che hanno determinato il grande balzo dell’au-

tomazione domestica è legato alla diffusione della cultura della domotica tra gli utenti finali, in gran parte eco-smart consumer. Non bisogna, infatti, dimenticare che gli impianti domotici sono in crescita nonostante gli alti costi perché procurano un risparmio energetico del 30-35%. Inoltre, se lo smartphone alimenta la sensazione-illusione di non essere soli, la domotica regala la percezione di poter controllare il caos esterno, un “dono” che in tempi d’incertezze non ha certo un valore trascurabile. LE RETI ECO-SMART Il consumatore eco-smart è molto connesso, lo abbiamo già detto: è connesso in una rete, ma non c’è un’unica rete a mediare il suo rapporto con l’oggetto del suo consumo. Innanzitutto c’è la Rete per eccellenza, internet: gli shop on-line coprono ormai tutte le categorie merceologiche e l’eCommerce italiano, dopo aver segnato un lusinghiero +17% tra 2009 e 2010, si consolida quest’anno con un ottimo +20%, secondo il Rapporto eCommerce B2c in Italia, redatto dal Dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano. Si moltiplicano del pari le versioni on-line di servizi tradizionali; la crescita costante dell’internet banking ne è un esempio: secondo il Report Nielsen eFinance 2011, i fruitori dei servizi di on-line banking sono oggi il 37%, il 6% in più rispetto al 2010. Internet non è l’unica rete. Ci sono le reti che Twitter e i social network contribuiscono a tessere, c’è la rete fra i membri di ogni community, il legame tra un blogger e i suoi

interlocutori… Ci sono le nuove reti di consumatori che si affiancano alle vecchie, cioè alle tradizionali associazioni di tutela; la rete dei GAS, i Gruppi di Acquisto Solidali, è un esempio del nuovo che avanza. Ci sono, infine, le reti e i network creati dai produttori di beni o servizi. Ognuna di queste reti può condizionare i consumi e motivare nuove attitudini di acquisto. Consumatori e produttori intelligenti non sono più isole nel movimentato mare commerciale, ma nodi appartenenti a più reti intrecciate fra loro. Il futuro? È nelle reti intelligenti di consumatori intelligenti, di produttori intelligenti o di servizi intelligenti. Ci sono, ad esempio, le reti di system integrator, messe a punto da aziende di domotica che producono sistemi di sicurezza e forniscono soluzioni di elevata automazione e con alti livelli di integrazione e comunicazione via internet. L’esempio migliore è però un altro. È quello della smart grid. È la rete intelligente in grado di accogliere flussi bidirezionali di energia elettrica, di far interagire produttori e consumatori, di determinare in anticipo le richieste di consumo, adattando con flessibilità la produzione energetica. La smart grid è in grado di convogliare il surplus di energia di alcune aree verso zone in temporaneo deficit e può aiutare i privati a regolare i propri consumi in tempo reale, contenendo sprechi e spese. Le reti intelligenti come la smart grid sono il passaggio fondamentale per un utilizzo di energia più economico e nel contempo più rispettoso dell’ambiente. Morale della favola: nel futuro vinceranno le reti eco-smart, non c’è dubbio.

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approfondimento

La secolarizzazione dell’Occidente e il consumatore contemporaneo articolo di Remo Lucchi fotografie di Philippe Gendreau - Corbis Images

Come cambiano le attese dei consumatori/cittadini? La marca – e il sistema di offerta in genere – ha senza dubbio rappresentato nei decenni scorsi la partner affidabile per il progetto benessere delle famiglie occidentali. Ma a partire dagli anni Ottanta in poi questa relazione è andata man mano indebolendosi.

LE DINAMICHE DI OFFERTA E DOMANDA FRA “IDENTIFICAZIONE” E “INDIVIDUAZIONE” Per raccontare in poche parole gli accadimenti ricorriamo a semplificazioni, certo schematiche, ma utili come schema di lettura delle dinamiche in atto fra domanda e offerta. Lo schema si basa su due vettori base che cercano di riassumere il comportamento sociale negli ultimi decenni: da un lato la pressione espressa dalle entità dominanti della società sull'individuo per favorire la sua identificazione (dunque le dinamiche di appartenenza, allineamento e integrazione). Sono tutte logiche di identificazione con identità terze, nelle quali l'individuo “crede” o desidera ispirarsi: un movimento politico, sindacale, religioso, culturale. Ma anche, nel mondo dei consumi, l'accettazione acritica dei modelli e concetti proposti dal mondo di marca;

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dall'altro lato abbiamo il vettore culturale dell'auto-espressione e autonomia dell'individuo (vettore dell'individuazione), con una forte centratura sulle proprie capacità critiche e sulla propria dotazione di strumenti. In forma schematica l’individuo agisce ed è soggetto al seguente campo vettoriale: società

(identificazione)

individuo

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L’adozione del concetto di sostenibilità come nuova filosofia di gestione del business implica un sistema di offerta in grado di mediare fra il breve termine e il lungo periodo

Sulla base di questo schema analizziamo quello che è accaduto negli ultimi lustri, distinguendo tre fasi.


LA PRIMA FASE (L’ALTROIERI): LA PREVALENZA DELL'IDENTIFICAZIONE Fino agli inizi degli anni Ottanta le logiche che governavano gli individui erano soprattutto di identificazione. C’era modesta autonomia e criticità, e di conseguenza un forte bisogno di avere riferimenti cui affidarsi. L’importanza della marca era molto elevata, la fedeltà era alta. In questa situazione l’offerta era molto centrata su se stessa e sulla propria capacità di costruire icone a cui affidarsi. Le imprese hanno imparato a fare offerta in questa logica; modalità che hanno mantenuto anche nei tempi successivi, indipendentemente dagli accadimenti.

società

(identificazione)

1a

fase individuo

(individuazione)

LA SECONDA FASE: LA RIVINCITA DELLA INDIVIDUAZIONE Negli ultimi 20-30 anni si è verificata una sorta di rivoluzione epocale nella domanda: la capacità critica della gente è esplosa, innescata certamente dalla repentina evoluzione dell’istruzione superiore, e anche alimentata da un forte aumento della disponibilità di nuovi media (internet, TV satellitare) con forti stimolazioni conoscitive. L’incremento dell’istruzione superiore ben rappresenta il tasso di crescita della capacità critica della gente; è solo l'epifenomeno di un mutamento sociale ben più ampio. Aumenta nella gente la capacità di entrare nel merito dell'offerta, a più livelli. Ne discende la legittima pretesa di ricevere offerte nuove, di qualità vera e sincera, sia sul piano concettuale che ingredientistico, a prezzi interessanti (perché frutto di processi industriali ripensati e co-creati con lo stesso individuo acquirente o consumatore). Questa nuova domanda non ha ricevuto risposte, con la conseguenza di una presa di distanza dal sistema dell’offerta. Risultato: perdita del valore dei marchi e aumento dell’infedeltà. La rappresentazione di questa seconda fase è proposta qui di seguito:

società

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2a

fase

individuo

(individuazione)

Tuttavia il processo di allontanamento dalle logiche di adesione rassicurante al mondo di marca tende a produrre progressive problematizzazioni per lo stesso individuo. Il nuovo quadro decreta una sorta di abbandono del singolo a se stesso, che rimane da solo ad affrontare le complessità e le difficoltà della vita, che peraltro sono in forte aumento: vita urbana, professione, relazioni, ecc. Così come nel suo agire di consumo: la difficoltà crescente nel prendere decisioni sui nuovi trade off, difficoltà di stare all'altezza di saperi di consumo sempre più esperti. Siamo forse dalle parti del punto di massima individuazione e l’eccesso di complessità comincia a dare segnali di rigetto.

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oxygen | 15 — 02.2012

I quattro ingredienti del modo di “fare offerta” di un’impresa: sostenibilità sociale (garantire le condizioni dello sviluppo del benessere umano), culturale (difesa della diversità), economica (produrre per sé e per il proprio territorio, sociale e fisico, il massimo valore aggiunto), ambientale (salvaguardia delle funzioni e risorse dell'ambiente).

LA TERZA FASE: UNA SINTESI FRA INDIVIDUAZIONE E IDENTIFICAZIONE? Si cominciano a percepire bisogni di rivalorizzazione del ruolo degli altri. La crisi – e in particolare questa ultima fase – sta accelerando il fenomeno. Si intravvedono in modo netto bisogni di nuove mediazioni fra i riferimenti individuali (irrinunciabili) e nuovi riferimenti, più collettivi, oggi altrettanto indispensabili. In questo quadro emerge una richiesta di avere grandi enti/aziende che sappiano assumersi la responsabilità di proporre progetti veri, all’insegna di una nuova e più vera qualità (che peraltro ora si è in grado di riconoscere e giudicare), e che diano risposta anche alle nuove consapevolezze sulla “interconnessione del vivere” cui si è giunti: economica, etica, di ecosistema. Uno spontaneo richiamo a un concetto di sostenibilità, inteso in senso olistico, di interconnessione di tutti i piani dell'agire sociale e di consumo.

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società

(identificazione) 3a

fase

individuo

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L’adozione del concetto di sostenibilità come nuova filosofia di gestione del business implica un sistema di offerta in grado di mediare fra il breve termine e il lungo periodo. In grado di sviluppare consensus fra tutti i suoi stakeholder nel trovare nuove sostenibilità fra profitto immediato e investimento.


la secolarizzazione dell’occidente e il consumatore contemporaneo

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COSTRUIRE QUALITÀ VERA: PER UN’IPOTESI DI RICONNESSIONE CON LA DOMANDA La qualità vera, che il sistema di offerta deve proporre, fa sempre più riferimento a un'ingredientistica ampia, di almeno otto ingredienti. Quattro di questi sono connessi al merito del prodotto e della relazione diretta con il consumatore. Altri quattro sono inerenti il contesto della sostenibilità cui si è fatto cenno, e alle sue declinazioni. I quattro ingredienti della ricetta inerenti il merito della relazione e il suo mercato (individui, famiglie, altre aziende) possono essere così riassunti: la capacità che l’azienda deve avere di rigenerarsi in continuazione (innovazione nei prodotti e negli approcci), anticipando i bisogni del mercato; la capacità di selezionare le “materie prime” garantendo l’elevata qualità intrinseca qualsiasi essa sia; la capacità di investire sui processi (innovazione nei processi), al fine di migliorare la qualità e contemporaneamente di contenere costi e prezzi;

la capacità di relazionarsi con il proprio cliente in modo impeccabile, attraverso la comunicazione e la relazione, sempre improntata a risolvere “tutti” i problemi (da complessità vera o presunta), sul piano della sostanza e della forma. Altri quattro ingredienti, come detto, riguardano il modo di “fare offerta”, ovvero sono relativi al rispetto – sul piano strategico e pratico – di tutto ciò che ci si aspetta da chi vuol fare una vera impresa sostenibile. Si tratta per l'impresa di appropriarsi, nella propria prassi aziendale, dei quattro codici basici della sostenibilità: la sostenibilità sociale: ovvero la pratica atta a garantire le condizioni basiche dello sviluppo del benessere umano, con massima attenzione alla sicurezza sociale. Su questo piano l'azienda opera anche a favore della coesione sociale e inclusione di eventuali fasce marginali della popolazione; la sostenibilità culturale: la difesa della diversità culturale, ad esempio.

La sostenibilità economica: la capacità di produrre per sé e per il proprio territorio, sociale e fisico, il massimo valore aggiunto, combinando in modo efficace le risorse, e trovando forme di composizione di interessi articolati. La sostenibilità ambientale: che opera sia nella salvaguardia delle funzioni e risorse dell'ambiente, sia sul piano della capacità di valorizzare del territorio stesso (fisico, sociale e culturale). Non c'è oggi settore che non sia sottoposto a questa domanda articolata. Certo la domanda prende le forme peculiari dei settori e dei contesti, ma per tutti si registra una pressante domanda di qualità e un forte bisogno che nuovi leader e garanti si candidino in modo credibile. La marca che saprà rispondere positivamente a questa nuova sensibilità e complessità tornerà a essere Marca e Leader, con le maiuscole, come si addice a una vera istituzione sociale, rispettata e amata.

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intervista a martin angioni

AMAZON: IL CATALOGO Ăˆ QUESTO articolo di Luca Morena fotografie di Dusko Despotovic - Massimo Listri


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BIBLIOTECHE ANTICHE Nella pagina precedente, la prima biblioteca universitaria in Europa, costruita nel 1254 a Salamanca, in Spagna. In questa pagina e nelle seguenti: le biblioteche di Chateau de Chantilly (Francia) e di Kremsmuenster (Austria).

C’è qualcosa di straordinariamente ambizioso in Amazon e di intimamente connesso alla natura del web. Se questo è essenzialmente “scrittura”, in un senso ampio, come ha sostenuto autorevolmente il filosofo Maurizio Ferraris (Anima e iPad, Guanda 2011), Amazon è l’azienda che più di ogni altra ha aderito a tale essenza, nella misura in cui commercia per lo più in scritture e in infrastrutture per scritture – che si tratti di cloud computing o di Kindle ed e-book. Tuttavia si ha l’impressione che il focus commerciale iniziale sui libri sia (stato) una sorta di caso di studio – probabilmente il più adeguato – per elaborare l’esperienza di e-commerce perfetta, con l’obiettivo a lungo termine di rendere Amazon il luogo online in cui chiunque possa acquistare qualsiasi cosa. Martin Angioni, country manager di Amazon Italia, economista con la passione per l’ermeneutica filosofica: è la persona destinata a guidare il primo forte impatto di una multinazionale online sulle abitudini di consumo degli italiani. Amazon è arrivata in Italia soltanto di recente. Quali sono le ragioni di tanta attesa? C’è uno specifico del mercato italiano a cui Amazon ha dovuto prepararsi con attenzione e se c’è qual è? Non c’è niente di particolare dietro alla 056

scelta di arrivare in Italia con queste tempistiche. Si è trattato di ragionamenti piuttosto standard in cui la definizione delle priorità di lancio in un Paese piuttosto che in un altro è semplice funzione della rispettiva dimensione dei mercati. Poi è vero che ci sono considerazioni di altro tipo che possono essere intervenute in aggiunta alla mera rilevanza economica di un dato mercato e alle quote di PIL mondiale: ad esempio l’Italia scontava fino a poco tempo fa una scarsa penetrazione di Internet e una conseguente esiguità numerica di utenti di e-commerce. Per rendere l’idea, basti dire che la Francia – Paese che per molti aspetti è paragonabile al nostro – ha il triplo di compratori online rispetto all’Italia (27 milioni contro 9). Inoltre il processo di espansione di una multinazionale prevede tempistiche fisiologiche che consentano di preparare al meglio il terreno, scegliere le persone giuste, non lasciare nulla al caso. Per dare una risposta breve: non c’era in effetti alcuna fretta. L’Italia non è un Paese di lettori. Secondo l’Istat solo il 46,8% della popolazione dice di aver letto un libro nell’anno precedente. Amazon potrebbe agire da volano nel rendere più accessibile economicamente la lettura agli italiani, anche se, con tutta probabilità, lo scarso

numero di lettori è più dovuto a problemi di natura culturale che economica. È possibile dunque che Amazon veda nel mercato italiano più un’opportunità per le sue attività di e-commerce a 360 gradi piuttosto che un mercato appetibile per l’e-commerce di libri? È vero che il modello di business non viene replicato pedissequamente in ogni Paese in cui Amazon è presente, ma non ci sono grandi differenze rispetto agli altri mercati. Anche in Italia le attività principali di Amazon riguardano la vendita di media e di elettronica di consumo. Quello che funziona per gli Stati Uniti, o per la Francia e la Germania, funziona piuttosto bene anche per l’Italia. La fotografia dello stato dell’e-commerce in Italia vede un dominio dell’elettronica di consumo e dell'abbigliamento e Amazon è già il più grande retailer online nei segmenti commerciali in cui è presente. Ad esempio, per quel che riguarda le vendite di libri ha già superato IBS, che è presente sul mercato italiano da diversi anni. Poi ci sono settori in costante crescita, come i casalinghi. Ma, salvo differenze marginali, il modello di business è davvero sempre lo stesso. Forse una certa specificità potrà averla il neonato Marketplace italiano di Amazon – ossia la possibilità per le PMI


amazon: il catalogo è questo

La partita dell’innovazione si giocherà tutta sui contenuti e sugli ecosistemi per fornirli, e da questo punto di vista Amazon è in una posizione eccellente. Apple ha avuto un grande successo costruendo macchine di ottima fattura, oggetti di culto come l’iPad. Ma per restare ai tablet, il Kindle Fire è già un successo di grandi dimensioni, tale da aver costretto Apple a tagliare la produzione di iPad nel mese di novembre

di vendere i propri prodotti sfruttandone non solo l’infrastruttura di e-commerce, ma anche la logistica – dato che sembra attagliarsi benissimo al tessuto produttivo e scarsamente esposto alle potenzialità commerciali della Rete tipico dell’Italia di questi anni. È un servizio cui presterete particolare attenzione nel mercato italiano? In questo caso sembra esserci in effetti una specificità tutta italiana in cui Amazon può e potrà svolgere un ruolo importante, soprattutto se si pensa al rapporto costo/prestazione che Amazon è in grado di offrire alle aziende terze. Si tratta di un abbattimento dei costi che ha del miracoloso ed è sicuramente senza precedenti nel mercato italiano. Un dato che passa spesso inosservato ma che è pubblico è che già adesso il 37% del totale delle attività commerciali su Amazon passano dal Marketplace e coinvolgono venditori terzi. Credi che Amazon sia sottovalutata nella sua capacità di innovare rispetto ad altri grandi player come Apple o Google? Non direi. Se si considera un semplice indicatore come l’andamento del titolo azionario si ha la percezione di un’alta considerazione nei confronti di Amazon. Se vogliamo fare riflessioni più generali, la partita dell’innovazione si giocherà tutta sui contenuti e

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sugli ecosistemi per fornirli, e da questo punto di vista Amazon è in una posizione eccellente. Apple ha avuto un grande successo costruendo macchine di ottima fattura, oggetti di culto come l’iPad. Ma per restare ai tablet, il Kindle Fire lanciato il 15 novembre scorso è già un successo di grandi dimensioni, tale da aver costretto Apple a tagliare la produzione di iPad nel mese di novembre. Il fatto è che chiunque adesso può produrre tablet ed è per questo che la partita si è spostata interamente sui contenuti. E Amazon ne ha accumulati molti, da molto tempo e di grande qualità. In questo senso, l’ambizione realistica di Amazon è quella di diventare la catalogue authority per eccellenza, realizzando negli anni a venire l’inventario completo di tutto ciò viene prodotto. In pratica, grazie al catalogo sterminato di Amazon, sarà possibile identificare oggetti di ogni genere, ottenere informazioni che li riguardano, provvedere immediatamente all’acquisto. L’app Price Check – dandoti la possibilità di acquistare prodotti online il cui codice a barre viene identificato in negozi reali – non è altro che la prima e più recente esemplificazione di questo futuro – remoto, ma non troppo. La visione è certamente questa: Amazon è destinata a diventare il catalogo esaustivo di gran parte dei prodotti che ci circondano. 057


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Il recente lancio dell’app Price Check sembra in effetti un’accelerazione del tentativo di superamento delle modalità di commercio tradizionali. I vantaggi per l’utente in termini di economia ed efficienza sono molto chiari. Ma lo scenario che si configura per i rivenditori, secondo i critici, è che questi rischiano di trasformarsi in una sorta di show-room diffuso di Amazon. Sono timori fondati? No, si tratta di timori infondati al momento. I dati sono piuttosto chiari: il 60% delle persone si informa su Internet prima di effettuare un qualsiasi acquisto, ma l’80% di queste persone va poi a comprare i prodotti desiderati nei negozi. Si tratta di un fenomeno a cui è stata anche data una definizione e relativo – brutto – acronimo: “effetto ROPO” – ossia Research Online, Purchase Offline. 058

Amazon con il suo vasto catalogo impone sicuramente un certo standard di trasparenza sui prezzi e offre dei vantaggi innegabili al consumatore. Tuttavia non siamo ancora al fenomeno paventato dai retailer offline. Inoltre, se guardiamo all’Italia, l’e-commerce è davvero alle battute iniziali e la situazione è ancora parecchio fluida. L’ingresso in un nuovo mercato ha imposto ad Amazon la realizzazione di politiche aggressive sui prezzi per l’acquisizione di nuovi clienti, ma c’è da dire che passa parola e convenienza sono l’unica leva che stiamo utilizzando per farci conoscere in Italia. In un contesto, spiace doverlo constatare, in cui la qualità dei servizi di e-commerce è spesso insoddisfacente e non alimenta certo la fiducia nei confronti di questo settore.

Pur vedendo i vantaggi di un frictionless commerce (perfetto analogo del frictionless sharing di Facebook – che va dagli acquisti 1-click alle offerte in tempo reale di Price Check), il trasferimento di ogni aspetto del commercio in una dimensione online non rischia di compromettere valori altrettanto desiderabili quanto ad esempio un rapporto diretto con un rivenditore “curatore” della propria merce o la possibilità di sostenere un’economia, il più delle volte, di quartiere? Gli acquisti su Amazon sono innegabilmente molto frictionless. È tutto molto rapido ed efficiente. Ma nonostante il design fluido del processo d’acquisto possa in una certa misura facilitare gli acquisti d’impulso, ciò non significa che non vi siano limiti e regole entro cui tale


amazon: il catalogo è questo

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Il 60% delle persone s’informa su Internet prima di effettuare un qualsiasi acquisto, ma l’80% di queste persone va poi a comprare i prodotti desiderati nei negozi. Amazon con il suo vasto catalogo impone sicuramente un certo standard di trasparenza sui prezzi e offre dei vantaggi innegabili al consumatore. Ma non siamo ancora al fenomeno paventato dai retailer offline

fluidità può esercitarsi. Banalmente, c’è il limite della disponibilità sulla propria carta di credito. Non si tratta di limiti diversi da quelli in cui ci si muove nei consumi del mondo offline. È solo tutto più semplice e conveniente, soprattutto in termini di tempo risparmiato: si trovano i prodotti più rapidamente, si evita di andare in un negozio, di fare la coda alla cassa, ecc. Naturalmente ci sono ancora negozi in cui si va volentieri, perché si va in cerca di qualcosa di più del semplice acquisto, ma sono innegabili i vantaggi di un e-commerce altamente efficiente. Si pensi, ad esempio, a quanto è diventato semplice comprare online i biglietti del treno o dell’aereo, o anche stipulare online polizze assicurative. Insomma, vedo più vantaggi che svantaggi in tutto questo. La mia opinione, infine,

è che non è affatto chiaro che il mestiere di libraio sia destinato a scomparire. La chiave è tutta nel valore aggiunto che le figure tradizionali del mercato editoriale saranno in grado di aggiungere al puro commercio di libri. Infine, sembra esserci una tendenza irrefrenabile – dettata dalle dinamiche del mercato – a rendere piuttosto uniformi i modelli di business delle grandi corporation online e a far sì che si rispecchino letteralmente l’una nell’altra. Che cosa distinguerà Amazon da Google, Apple, Microsoft e le altre nel prossimo futuro? Il futuro è sicuramente nelle tecnologie in mobilità, tablet e smartphone. Kindle Fire ha già fatto intravedere come è destinato a cambiare nel prossimo futuro

l’accesso ai contenuti. E le differenze tra i grandi player si giocheranno quasi esclusivamente nel modo in cui questi saranno in grado di distribuire e rendere fruibili i contenuti, oltre che sulla qualità di questi ultimi. Più in generale, il settore che sta subendo e subirà ancora grandi trasformazioni è quello dell’informazione. I giornali negli Stati Uniti stanno chiudendo uno dopo l’altro e chiudono anche nell’economia protetta di un Paese come la Francia. Anche gli operatori televisivi tradizionali – quelli generalisti – sono sotto pressione, perdono costantemente pubblicità e audience in favore della Rete e della televisione tematica. Se c’è dunque un settore dell’editoria tradizionale che corre il rischio reale di estinguersi è quello che produce informazione. 059


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rubriche

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Locast. Il turista diventa agenzia... articolo di Stefano Milano fotografie di White

Locast è un locative media espressamente pensato per il turismo urbano. Un medium partecipativo in cui la città viene mappata e vengono segnati percorsi turistici e località. Nella mappa virtuale appaiono poi landmark virtuali che aprono a foto, testi e audiovisivi di repertorio o direttamente immessi dagli utenti. Una sorta di costruzione partecipata dei luoghi e dei percorsi turistici.

Immaginate di scegliere Venezia per il vostro fine settimana turistico. Ora provate a immaginarvi di aver letto tutto su internet o su guide, libri, cataloghi. Ma adesso siete arrivati nella laguna veneta e volete camminare per la città d’arte più famosa del mondo, vedere il più possibile e magari portare a casa un album fotografico, un diario di impressioni, magari dei video. Locast è una risposta tecnologica a questa esigenza turistica: si tratta di un locative media dalla forma pressappoco di un iPod con cuffiette. Il sistema di funzionamento è semplice: una mappa virtuale della città con landmark

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virtuali che aprono a foto, testi e audiovisivi di repertorio o direttamente immessi dagli utenti. Vengono così segnalati luoghi turistici, traiettorie e percorsi geolocalizzati in grado di segnalare la propria posizione e quella dei luoghi che si vogliono raggiungere. Ma non è tutto, perché in questo modo il turista da consumatore diviene protagonista del proprio giro turistico, imposta le proprie direzioni e, attraverso la rete, può anche segnalare agli amici connessi dove si trova e commentare. Come se si stesse utilizzando un social network come Facebook o Twitter si

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2 ITALIA IN MINIATURA 1. Creato nel 1970 a Rimini, Italia in Miniatura è un parco costituito da oltre 270 meraviglie architettoniche italiane ed europee, minuziosamente riprodotte in scala, e che si estende all'aperto su una superficie di 85.000 metri quadrati. 2. Piazza del Campo, Siena. 3. Piazza del Duomo, Milano. 4. Trinità dei Monti, Roma.

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commenta e si posta, e naturalmente si possono trovare i commenti e i post di altri turisti che sono stati negli stessi luoghi e in aggiunta si hanno a disposizione una serie di link legati ai luoghi mappati che rimandano a testi, descrizioni, addirittura video (le Teche Rai hanno messo a disposizione parte del proprio catalogo). Locast è un progetto del MIT di Boston e di Rai New Media che risponde a una richiesta di partecipazione attiva da parte del consumatore e Venezia è la prima città mappata di questo nuovo medium. Locast è solo uno dei modi in cui il turismo reale s’ibrida con quello virtuale per offrire un surplus di informazioni all’utente, ma soprattutto per immetterlo in una realtà partecipata e partecipativa in cui il turista stesso da consumatore si trasforma in user e partecipa attivamente alla creazione di un database di informazioni. Chiunque abbia uno smartphone può testimoniare il numero elevato di applicazioni che uniscono un sistema di mappatura geolocalizzato e un puntatore che indica la propria posizione con la possibilità di inserire commenti, foto e video da condividere con “amici” attraverso i social network. E proprio i social network più famosi come Facebook o Flickr prevedono la possibilità di indicare i luoghi dove ci si trova o dove si sono effettuati i propri scatti. Mario Gerosa e Roberta Milano hanno curato un volume dal titolo Viaggi in Rete. Dal nuovo marketing turistico ai viaggi nei mondi virtuali (Franco Angeli) che testimonia come il turista venga posto ormai al centro del processo economico attraverso una partecipazione

attiva e un agire collettivo. Quello che più colpisce è notare come la connessione abbia ribaltato i ruoli di consumatore e produttore riconoscendo nella partecipazione il fattore fondamentale nella gestione del consumo turistico. Basti pensare al successo di siti come CouchSurfing.org o Trip Advisor. Sul primo, l’utente, attraverso la Rete, può costruire il proprio viaggio chiedendo ospitalità ad altri utenti che aprono le porte di casa propria e mettono a disposizione il divano per il pernottamento. La Rete crea così una comunità in grado di sostituirsi attivamente ai normali servizi di un’agenzia di viaggi. Connessione, partecipazione e condivisione mettono il turista al centro del proprio consumo. E così il famoso sito Trip Advisor permette agli utenti di scambiare commenti e recensioni per realizzare il proprio viaggio. Anche in questo caso l’affidabilità, caratteristica che definiva il lavoro dell’agenzia turistica (chi si ricorda la famosa pubblicità del «Turista fai da te? Ahi, ahi, ahi!»?) viene rimpiazzato da una collettività connessa e partecipe. Il marketing turistico fa ormai i conti con questa realtà e ha così trasferito su internet i propri servizi e soprattutto si sottopone in rete ai commenti e anche alle valutazioni degli utenti. La Rete si è ben presto trasformata non solo nel luogo privilegiato in cui trovare informazioni o prenotare aerei, treni, alberghi, noleggiare auto, ecc., ma anche per condividere viaggi, commenti, esperienze e ora per costruire la propria vacanza attraverso la copartecipazione degli altri turisti.

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contesti

DIGITALE MON AMOUR articolo di Daniela Mecenate fotografie di Miyako Odagiri

Dai pagamenti con il cellulare al commercio elettronico: è la sfida italiana ed europea per un mercato più digitale e un business tutto ancora da esplorare. Che s’intrecciano con i progetti ambiziosi di Neelie Kroes, Commissario europeo per l'agenda digitale.

Parola d’ordine: digitale. Da internet alla telefonia mobile, c’è tutto un mondo (e un business) che vive e prospera on air. È quello dell’e-commerce, del mobile payment, degli acquisti col telefonino, o addirittura un mix di tutto questo: lo shopping via internet pagato attraverso il cellulare. Senza entrare in alcun negozio o tirare fuori il portafoglio, ma stando a casa o in movimento per la città. Un giro d’affari, quello del mercato digitale, che nel 2010 ha raggiunto in Italia gli 11 miliardi di euro, con una crescita del 13% sul 2009. I dati, diffusi dall’Osservatorio SMAU in collaborazione col Politecnico di Milano, lasciano dunque intravedere ottimi spazi di crescita per il mondo del digitale. Che ci rende tutti ubiqui e virtuali, consumatori senza bisogno di un luogo fisico per l’acquisto, e che secondo gli esperti potrebbe arrivare a conquistare, nei prossimi cinque anni, ben 33 milioni di italiani. Pesando positivamente sul PIL. E c’è di più. Secondo un altro osservatorio di esperti, ossia quello di Netcomm (il consorzio del commercio elettronico in Italia), le previsioni per la fine del 2011 sono ancora più rosee: +20% la crescita attesa per il commercio elettronico italiano, con un aumento sia della ven062

dita di prodotti (+24%), sia di servizi (+18%). E va ancora meglio per il mobile commerce, quello più sofisticato e high-profile: nonostante pesi ancora solo per l’1% sul totale degli acquisti digitali, promette di crescere addirittura del 210%, fino a raggiungere un valore di circa 80 milioni di euro. Intanto, un italiano su tre possiede già uno smartphone ed è navigatore abituale su internet: è dunque un potenziale acquirente on-line o di servizi in mobilità. A darci un quadro della realtà del mobile payment è una recente ricerca del Politecnico di Milano, secondo cui la potenzialità del mercato è data dal fatto che in Italia l’85% della popolazione possiede un cellulare, dunque un possibile strumento di pagamento always on. Moneta virtuale sempre in tasca. Secondo gli esperti, poi, ad aiutare lo sviluppo di questa promettente fetta di clientela è la diffusione sempre maggiore degli smartphone, visto che già oggi è proprio da questi apparecchi di ultima generazione che si origina l’80% del commercio da cellulare. Ma a uno sguardo più attento, finora – ci spiegano gli esperti del Politecnico – il mobile payment non ha avuto lo sviluppo sperato: solo 107 i servizi di pagamento


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MOBILE PAYMENT IN ITALIA Un italiano su tre possiede già uno smartphone ed è navigatore abituale su internet: è dunque un potenziale acquirente on-line o di servizi in mobilità. La potenzialità del mercato è data dal fatto che in Italia l’85% della popolazione possiede un cellulare, dunque un possibile strumento di pagamento always on. Ma finora il mobile payment non ha avuto lo sviluppo sperato: solo 107 i servizi di pagamento in mobilità censiti nel 2010 in Italia con un giro d’affari molto ristretto.

in mobilità censiti nel 2010 in Italia (ma un anno prima erano appena 78) con un giro d’affari molto ristretto e un’applicazione che prevale su tutte: quella della ricarica telefonica. Vola basso, quindi, il mobile payment in Italia, che al momento, oltre alle ricariche del telefonino, ha avuto una pallida fortuna solo per il pagamento del parcheggio in alcune città e per l’acquisto di biglietti del treno. «Peccato, perché i nostri intervistati si dichiarano desiderosi di potersi semplificare la vita con gli acquisti dal cellulare», spiega Filippo Renga, responsabile della ricerca dell’Osservatorio NFC & Mobile Payment della School of Management del Politecnico di Milano. «Ad esempio nel 73% dei casi affermano che utilizzerebbero il servizio per acquistare biglietti del cinema o del teatro, per pagare le bollette o per il biglietto del bus e persino per il supermercato». Anche il commercio elettronico assistito dai pagamenti col cellulare non arriva molto lontano: «Il giro d’affari nel 2010 – continua ancora Renga – è stato di appena 12 milioni di euro. Siamo ai primi vagiti, ma pensiamo che ci siano enormi spazi di crescita». E quindi anche enormi opportunità per gli operatori: dai player tradizionali di telecomunicazione ai gestori dei servizi postali, fino ai “nuovi entranti” che si affacceranno in futuro su un mercato così promettente. Sul quale però c’è ancora molta strada da fare. Diverso il discorso per gli acquisti on-line (l’ecommerce tradizionale), che secondo l’istituto di ricerca Nielsen ha sfondato il tetto dei sei milioni di italiani che fanno acquisti sul web: circa il 30% 064

degli “internettiani”, soprattutto uomini e di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Sotto il profilo dei consumi, secondo il consorzio Netcomm sono abbigliamento ed editoria, musica e audiovisivi i comparti che fanno registrare la crescita più elevata con +38% e +35%. Crescono bene anche l’informatica, l’elettronica di consumo e le assicurazioni (+22% ciascuno), così come il turismo (+13%) che da solo vale quasi metà delle vendite online. I web shopper italiani, sempre secondo Netcomm, sono aumentati del 7% nel corso del 2011, mentre la spesa annua per acquirente sarebbe passata dai 960 euro del 2010 ai 1050 euro del 2011 (+9%). Ma lo scontrino medio cala del 6% e si attesta intorno ai 210 euro. Questo dunque il quadro italiano del mercato “a distanza”, dal prospero e-commerce al “piccolo” mobile payment. Ma se allarghiamo lo sguardo al Vecchio Continente, ci accorgiamo che almeno sul mobile payment l’Europa non è poi così distante. «Gli altri Paesi – conferma Renga – sono più o meno nella stessa situazione. Unica eccezione, alcuni casi di successo che potrebbero fornire ispirazione ai gestori italiani. Ad esempio, il caso dell’austriaca Paybox o della PingPing in Belgio per la sosta ai parcheggi, o della scandinava Plusdial che ha venduto dal 2002 a oggi oltre 53 milioni di biglietti del trasporto pubblico locale. Va meglio fuori dall’Europa, come in Giappone e Corea del Sud, dove l’uso di queste applicazioni è ormai corrente, o negli USA dove ad esempio Visa ha avviato il servizio Visa PayWave che consente di pagare taxi


digitale mon amour

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Il giro d’affari del mercato digitale nel 2010 ha raggiunto in Italia gli 11 miliardi di euro, con una crescita del 13% sul 2009. Un mercato di consumatori senza bisogno di un luogo fisico per l’acquisto che secondo gli esperti potrebbe arrivare a conquistare, nei prossimi cinque anni, ben 33 milioni di italiani.

NEELIE KROES Nel 2010 è diventata Commissario europeo per l'agenda digitale.

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E-COMMERCE IN ITALIA L’e-commerce tradizionale ha sfondato il tetto dei sei milioni di italiani che fanno acquisti sul web: circa il 30% degli “internettiani”, soprattutto uomini e di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Sotto il profilo dei consumi, sono abbigliamento ed editoria, musica e audiovisivi i comparti che fanno registrare la crescita più elevata con +38% e +35%. Crescono bene anche l’informatica, l’elettronica di consumo e le assicurazioni (+22%), così come il turismo (+13%), che da solo vale quasi metà delle vendite online. I web shopper italiani sono aumentati del 7% nel corso del 2011.

e biglietto della metro col telefonino». Ma spostando lo sguardo ancora più lontano, un’autentica sorpresa arriva dall’Africa: il “continente nero” diventa sempre più mobile e digitale. Insomma, sempre più smart. Qui i cellulari raggiungono ormai quota mezzo miliardo: un africano su due possiede un apparecchio mobile. Non solo: la metà di questi, non avendo un computer, scavalca il gap e naviga in internet direttamente col cellulare. Col risultato che è qui, in Africa, che il traffico internet registra la più veloce crescita del mondo. Ma il successo riguarda soprattutto il mobile banking, che in Kenya viene proposto dal gestore Safaricom, il primo operatore ad aver lanciato un servizio di mobile banking di massa utilizzando piattaforme copiate persino dagli operatori della California. Ma per correre ai ripari la risposta dell’Europa c’è. Ed è una risposta in otto mosse. È quella messa a punto dalla cosiddetta “agenda digit ale europea”, un piano d’azione elaborato dall’UE per far crescere il digitale nel Vecchio Continente, per far lievitare l’uso delle applicazioni “on air” da parte dei cittadini di oggi e di domani, per mettere a fattor comune le tecnologie dei 27. A guidare l’ambizioso piano di battaglia è il Commissario europeo per l'agenda digitale Neelie Kroes, che non manca di realismo: «Abbiamo tantissima strada da fare – ripete in ogni occasione – e dobbiamo farla per il nostro benessere: basti pensare che negli ultimi 15 anni la produttività in Europa è aumentata del 50% grazie alle tecnologie dell’informazione e delle comuni066

Le previsioni per la fine del 2011 sono rosee: +20% la crescita attesa per il commercio elettronico italiano, con un aumento sia della vendita di prodotti (+24%), sia di servizi (+18%). E va ancora meglio per il mobile commerce: nonostante pesi ancora solo per l’1% sul totale degli acquisti digitali, promette di crescere addirittura del 210%.


digitale mon amour

cazioni. Se ci confrontiamo con gli USA vediamo che sia in Europa sia oltreoceano c’è un terzo della popolazione non ha mai usato internet, eppure i benefici derivanti dalle tecnologie digitali sono più evidenti negli Stati Uniti. Ad oggi, il mercato della musica digitale a stelle e strisce è tre volte quello europeo, per i contenuti digitali spendiamo otto volte meno dei giapponesi e ogni anno circolano nei confini europei 30 miliardi di bollette, di cui il 90% sono ancora in formato cartaceo». Ed ecco allora le otto mosse per l’Europa, otto grandi campi d’intervento per uscire dal guado e dare scacco matto al “gap digitale”: ai primi posti, creare un Mercato Unico Digitale, garantire l'interoperabilità delle diverse tecnologie, investire nella sicurezza per avvicinare aziende e cittadini al digitale (armonizzando quindi le legislazioni nazionali e uniformando le piattaforme dei pagamenti). Altri pillar sono invece più strutturali, come ad esempio il potenziamento della velocità dell'infrastruttura di rete o l’accelerazione su ricerca e innovazione, visto che, come ricorda ancora il Commissario europeo Kroes, «la spesa destinata dalla UE alle attività di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie è pari solo al 40% di quella degli USA». E poi ancora: migliorare l’alfabetizzazione dei cittadini europei per farli avvicinare alle tecnologie digitali, portare all’uso corrente delle varie applicazioni digitali non solo per i pagamenti o gli acquisti, ma anche per scopi di tipo sociale, dalla telemedicina al risparmio energetico. L’obiettivo (ambizioso) è quello di fare dell’Europa

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una potenza digitale entro il 2020. Con qualche tappa di avvicinamento, come la banda larga per tutti entro il 2013 e internet ad alta velocità (sopra i 100 Mbps) ad almeno il 50% degli utenti europei. Si calcola che, se fossero raggiunti gli obiettivi, si attiverebbe un processo virtuoso che comprende la creazione di un milione di posti di lavoro. In un settore che già oggi, a livello europeo, produce il 4,8% del PIL e un giro d'affari di 660 miliardi di euro l'anno. Ma quali sono ancora le barriere più difficili da scavalcare? Una su tutte: l’unificazione. «L’Europa – spiega Kroes – è un mosaico di mercati on-line e di infrastrutture che spesso non sono compatibili tra loro, di metodi di pagamento diversi, di normative lontane tra loro, di servizi che funzionano in un Paese e non esistono in un altro». Una sfida non facile, forse la madre di tutte le battaglie, visto che nei 27 paesi membri spesso sono gli stessi operatori a non sostenere questa prova per il timore di dover ricominciare da capo e investire in infrastrutture e tecnologie, perdendo gli expertise (e gli asset) accumulati in decenni di attività entro i propri confini. Intanto, in attesa che si risolva il problema del “cyber far-west” e della babilonia dei servizi in mobilità, accontentiamoci di sapere che negli ultimi due anni, secondo quanto dichiarato dal Commissario europeo al Cebit di Hannover, l’Europa ha registrato un balzo miracoloso del numero di coloro che utilizzano abitualmente internet: dal 5% al 65%, dimostrando che il terreno per i servizi digitali e in mobilità è fertile, fertilissimo. Tutti in rete, dunque, aspettando il 2020. 067


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approfondimento

I nuovi voi, sempre al centro articolo di Nick Bilton

Stiamo assistendo a un processo di “ricollocazione dell’utente”: il consumatore, oggi, si pone al centro della rete. Narcisismo digitale? Non è detto, ma chi produce intrattenimento e contenuti dovrebbe tenerne conto. Come scrive Nick Bilton – autore di Io vivo nel futuro e design integration editor del “New York Times” – «in realtà, non paghiamo per il contenuto: paghiamo per l’esperienza». Se tirate fuori lo smartphone e premete il tasto “posizione attuale” nelle vostre applicazioni topografiche di Google o Yahoo!, vedrete un puntino apparire al centro del vostro schermo. Siete voi! Se cominciate a camminare per la strada in una direzione qualunque, l’intero schermo si muoverà con voi, ovunque siate diretti. È un cambiamento radicale, rispetto al mondo della carta stampata, dove mappe e posizioni richiamano come termini di riferimento i luoghi, non certo voi o il punto in cui vi trovate. […] Essere al centro cambia tutto: la vostra concezione dello spazio, del tempo e dei luoghi, il vostro senso della posizione e della comunità, il modo in cui guardate le informazioni, le notizie, i dati che vi arrivano per mezzo del computer o del cellulare. E cambia il vostro ruolo nelle transazioni, attribuendovi maggior potere nel decidere specificamente che tipo di contenuto comprare, come comprarlo e come usarlo, invece di accettare

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semplicemente il materiale tradizionale che delle aziende hanno impacchettato per vostro conto. Ora siete il punto di partenza. Ora il mondo digitale segue voi, non il contrario. […] Questa stessa ricollocazione, questo stesso mettere ciascuno di voi al centro della vostra stessa mappa, sta inoltre cambiando il concetto di media. […] Ai nostri giorni, però, se siete un’azienda che si occupa di media, potete tranquillamente eliminare la seconda sillaba della parola: “dia”. Per quanto riguarda i giovani consumatori moderni, quando si tratta di contenuto, esiste solo il “me”. Io. Oggi. Proprio adesso. […] Come studioso della tecnologia e dei nuovi consumi, quando decido se acquistare contenuti digitali, ricorro a una formula in quattro punti: prezzo, qualità, tempismo, esperienza. […] iPod e iTunes hanno dimostrato che siamo disposti a pagare se il prezzo è giusto e l’esperienza è speciale a sufficienza. La stessa regola si può applicare ad altri tipi di media. […]


La mia sensazione è che l’esperienza che vivo sul web non sia poi così speciale o diversa. Devo essere al mio computer, navigare richiede tempo, tutti quei link sono un po’ soffocanti e i contenuti non sembrano personalizzati o su misura quanto il metodo che applico per sfogliare l’edizione cartacea. Nei quotidiani e in altri media il pacchetto non si è molto evoluto; anche se le informazioni si trovano su una piattaforma nuova, l’esperienza non si è realmente trasformata. Non mi sembra una cosa per cui dovrei pagare molto, o pagare affatto. In realtà, non paghiamo per il contenuto: paghiamo per l’esperienza. E ci sono esperienze digitali per cui pagherei. Per quanto riguarda le notizie, per esempio, se mi offrissero una versione personalizzata, su misura, di un quotidiano digitale che incorporasse le mie preferenze personali, la mia posizione geografica e cerchia sociale, o se il software di registrazione rendesse la lettura particolarmente facile, rapida e scorrevole, mi abbonerei senza esitare. In questo momento, però, molti quotidiani e riviste online stanno appena iniziando a inserire la personalizzazione sociale, o me, all’interno dell’esperienza. […] Le persone che per vivere distribuiscono intrattenimento, parole e informazione devono capire che quel che offrono in realtà è molto di più. Devono adattarsi a vendere nuove esperienze digitali e dare alle persone incentivi per comprare il pacchetto intero, non solo le parole o i suoni. Devono convincere i giovani, cresciuti con l’abitudine di avere molte cose gratis, che per queste nuove esperienze vale la pena pagare. Stiamo vendendo a un pubblico nuovo, e dobbiamo parlargli in maniera diversa. […] Per avere un’idea di come

potrebbe apparire, percepirsi o suonare quella nuova esperienza per chi si trova al centro della mappa, non dovete guardare più in là del vostro telefono cellulare. […] Quell’apparecchio, un accrocchio di metallo e vetro delle dimensioni di un pacchetto di carte, è divenuto un’estensione delle nostre relazioni. Anche se i telefoni non hanno sostituito i rapporti umani, il vincolo così stretto che sentiamo nei loro confronti arriva a farne dei surrogati. […] Marshall McLuhan, il rinomato teorico dei media che ha spiegato l’importanza culturale della televisione, riteneva che gli oggetti di cui ci circondiamo si trasformino in estensioni di noi stessi. Riteneva anche che i media fossero un’estensione della nostra capacità e del nostro bisogno di comunicare. Dati gli straordinari progressi nelle funzioni che i telefoni possono svolgere, è possibile che nei prossimi cinque anni essi divengano il singolo apparecchio più importante delle nostre vite. Questi telefoni, nostri compagni fedeli, ci connettono a ogni scheggia di informazione, e, ancor più importante, ci connettono con le persone. Il cellulare, dunque, è un’estensione delle relazioni. Anche se non rimpiazza i nostri vincoli con le persone, li estende e perpetua. […] Il telefono sta diventando l’apparecchio che usiamo per leggere le ultime notizie e consultare le cose che troviamo interessanti. E siccome per queste attività utilizziamo un unico congegno, lo investiamo sempre più del nostro affidamento come principale punto di connessione con il mondo intorno a noi. [Estratto da Io vivo nel futuro (Codice Edizioni, 2011). Pubblicato per gentile concessione di Brockman, Inc.]

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rubriche

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iPad: come lo usiamo? a cura di Oxygen

L'iPad sta trasformando il modo di consumare contenuti editoriali e notizie: una ricerca del Pew Research Center's Project for Excellence in Journalism di Washington fornisce qualche stima e racconta come. Il tablet è uno strumento ergonomicamente diverso dal PC e si usa in modo differente. Ha due punti di forza: la mobilità e la leggerezza, quindi viene usato durante gli spostamenti e sul divano, situazioni in cui si è più disposti a passare del tempo dedicato all’approfondimento. Se le persone dedicano più tempo alle notizie e se sono più disposte a leggerci degli approfondimenti, saranno più condotte a riconoscere valore nelle informazioni che trovano sull'iPad. Nel nuovo scenario dell'editoria, nel quale la scarsità fondamentale non è lo spazio sul quale si scrive, ma il tempo di chi legge, il valore è definito dalla domanda, non dall'offerta. E se la domanda vede il valore nell'insieme di contenuto e strumento, allora quello è il valore che conta.

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WWW

67%

DEI POSSESSORI DI iPAD CONSULTA PAGINE WEB

11% ADULTI CON TABLET NEGLI USA

L'11% degli adulti che vivono negli Stati Uniti posseggono un tablet e la metà di loro lo usa ogni giorno per accedere alle notizie.

L'attività di gran lunga più diffusa tra i possessori di iPad è consultare il web (67%), seguita da leggere e mandare mail (54%), leggere le notizie (53%), social network (39%), giochi (30%), leggere libri (17%), vedere video (13%).


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MINUTI AL GIORNO DI UTILIZZO DEL TABLET Il 77% dei possessori di tablet lo usa tutti i giorni e vi passa in media 90 minuti.

77%

USA IL TABLET PER LEGGERE LE NOTIZIE ALMENO UNA VOLTA ALLA SETTIMANA Il 77% dei possessori di tablet lo usa per leggere le notizie almeno una volta alla settimana. Il 30% di loro dice di passare pi첫 tempo sulle notizie di quanto non facesse prima e il 42% dice di leggere regolarmente articoli di approfondimento.

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approfondimento

la risorsa più smart del XXI secolo articolo di Fulvio Conti fotografie di Philippe Levy-Stab - Corbis

Ogni epoca vive la sua rivoluzione. Quella del XXI secolo è senza dubbio la globalizzazione intesa come apertura dei mercati, dei confini e dei canali di comunicazione. Assistiamo al ribaltamento dei paradigmi a cui siamo stati abituati. L'elettricità vive questa rivoluzione in misura amplificata perché il meccanismo coinvolge la sua intera catena del valore. Ogni epoca vive una sua rivoluzione. Quella del XXI secolo è senza alcun dubbio la globalizzazione, fenomeno che rende obsoleto il concetto di “confine”: dai mercati alla comunicazione, tutto ormai si rapporta a una dimensione globale. È in atto un vero e proprio ribaltamento dei paradigmi tradizionali: le tecnologie sono oggi in grado di ridurre le distanze geografiche ridisegnando il ruolo del “cittadino-cliente”, merci di ogni tipo fanno il giro del mondo reale e virtuale a velocità esorbitanti e ognuno di noi può raggiungere ovunque il proprio interlocutore in pochi passaggi. Tutto ciò ha rivoluzionato la classica concezione della catena del valore economico proponendo un’innovativa ridistribuzione dei ruoli: i consumatori stessi diventano anche produttori di notizie, di opinioni, di beni e servizi e le aziende, le organizzazioni e i cittadini partecipano e interagiscono costantemente in maniera proattiva. L'elettricità vive questa rivoluzione in misura

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amplificata, come fattore abilitante per l’intera filiera produttiva, indispensabile vettore energetico in grado di sostenere lo sviluppo di ogni Paese. A partire dalle materie prime per la produzione dell’energia elettrica. Le istanze ambientaliste, gli equilibri geopolitici, la crescita della popolazione e la ricerca scientifica impattano sul mix energetico mondiale. In tempi recenti abbiamo assistito a un’escalation di eventi che hanno contribuito a modificare lo scenario energetico mondiale: lo tsunami che ha investito la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi che sembra frenare lo sviluppo di questa tecnologia, la primavera araba che ha portato alla ribalta l’importanza della sicurezza delle forniture di energia primaria, le nuove tecnologie di estrazione del gas naturale non convenzionale (shale gas) che stanno aumentando la disponibilità di questa materia prima, l’innovazione tecnologica a sostegno dello sviluppo delle fon-


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I clienti sono al centro di questo nuovo paradigma dell’energia, attori consapevoli della domanda di elettricità, promotori di un suo uso più razionale ed efficiente e attenti alla qualità del servizio che gli viene offerto

ti rinnovabili in continua crescita e sempre più accessibili al consumatore che diventa al tempo stesso produttore. Tutti fenomeni contrastanti che si rapportano a un costante incremento della richiesta di energia, derivante dalla crescita demografica e industriale dei Paesi emergenti e a una sfida sempre più impegnativa nella lotta per la riduzione delle emissioni climalteranti. In questo scenario l’energia elettrica rappresenta la soluzione più efficiente e facilmente fruibile che, grazie alle nuove tecnologie, viene distribuita in modo sempre più capillare ed economico ai consumatori. Anche la rete di distribuzione vive infatti una sua rivoluzione: si evolve. Le linee elettriche diventano delle smart grids, reti intelligenti in grado di gestire flussi di energia bi-direzionali e di trasmettere dati, oltre che elettricità. Su questa piattaforma innovativa, nuovi servizi e nuovi operatori si affiancano alle utilities. I consumatori producono elettricità, multinazionali del software e aziende di telecomunicazione disegnano nuove applicazioni e servizi evoluti dedicati al mondo dell’energia elettrica, i produttori di elettrodomestici investono su domotica e soluzioni innovative per l’efficienza energetica, le case automobilistiche fabbricano auto elettriche. L’energia elettrica amplia il proprio status diventando un servizio a valore aggiunto. I clienti sono al centro di questo nuovo paradigma dell’energia, attori consapevoli della domanda di elettricità, promotori di un suo uso più razionale ed efficiente e attenti alla qualità del 074

servizio che gli viene offerto. Il contatore elettronico, che consente di misurare in tempo reale i consumi, ha rappresentato il primo mattone per la realizzazione delle smart grids con cui produttori e consumatori possono dialogare interattivamente promuovendo loro stessi il migliore e più efficiente utilizzo dell’energia elettrica. Un’architettura che consente inoltre un’ottimale integrazione della generazione distribuita, delle fonti rinnovabili e della mobilità elettrica. In un tale contesto di cambiamenti, un aspetto che è certamente rimasto costante è il ruolo propulsivo dell’elettricità per lo sviluppo sociale, economico e industriale. Ripercorrendo il Novecento, in particolar modo durante il periodo post-bellico, possiamo notare come la crescita dell’Occidente sia stata sostenuta dalla progressiva diffusione dell’energia elettrica. Anche oggi l’elettricità rappresenta un fattore fondamentale di sviluppo economico. La crescente espansione del settore elettrico comporta il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di stakeholder: cittadini, enti locali e istituzioni chiedono di conoscere e intervenire attivamente su progetti infrastrutturali che vedono coinvolte le comunità in cui essi vivono o operano. Cambia infatti il rapporto con il territorio. Le grandi aziende, fornitrici di servizi, hanno sempre più il dovere di informare in maniera trasparente e puntuale i cittadini. La crisi finanziaria, che continua a destabilizzare le economie mature, impone una ripresa che passa anche per il settore energetico. Nei siste-


la risorsa più smart del xxi secolo

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LA MAPPA SOLARE DI NEW YORK New York fa parte delle città degli Stati Uniti che hanno sviluppato la propria “mappa solare” online, che permette a qualsiasi residente, semplicemente inserendo il suo indirizzo, di verificare le potenzialità in termini di energia solare fotovoltaica del suo edificio. Il progetto è guidato dal Dipartimento dell'Energia e si propone di accelerare l'adozione generalizzata di energia solare per i consumi elettrici nella città di New York.

mi economici questo rappresenta il motore per contrastare la perdurante fase di recessione dei mercati. Un settore energetico efficiente può costituire infatti il fattore chiave per la ripresa economica, per il bene dei cittadini e per lo sviluppo dei Paesi. Il costo dell’energia costituisce infatti una quota rilevante dei conti economici e incide sulla competitività dei Paesi, nelle economie emergenti diventa il motore per la manifattura e consente l’accesso a beni e servizi anche alla fetta più povera della popolazione. Questo è confermato dal fatto che ancora oggi 1,3 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità e 2,7 miliardi usano le biomasse, come legna e altri materiali di scarto, per cucinare. La cosiddetta “povertà energetica” è diventata un tema all’attenzione di istituzioni, media e imprese in tutto il mondo. Per questo il 2012 sarà l’anno internazionale dell’energia sostenibile per tutti e al prossimo appuntamento Rio+20 a Rio de Janeiro – che festeggia i 20 anni dalla prima conferenza mondiale sul clima – l’obiettivo dovrà essere necessariamente condiviso da tutti i Paesi: un’energia abbondante, sostenibile, economica e accessibile a tutti. A tal proposito Enel si è impegnata sottoscrivendo un patto con l’ONU per portare avanti ENabling ELectricity, un programma che mette insieme progetti in corso e nuove idee per favorire l’accesso all’energia elettrica attraverso tre aree d’intervento. Sostenere innanzitutto la ricerca e l’innovazione tecnologica per consentire la diffusione dell’energia elettrica attraverso la generazione

distribuita e il potenziamento delle reti di distribuzione, portando l’elettricità fin nelle aree più isolate. Integrando ad esempio pannelli fotovoltaici a meno rudimentali sistemi per cucinare, alimentando impianti di potabilizzazione per portare l’acqua in zone desertiche, assicurando il fabbisogno elettrico di piccole comunità isolate attraverso innovativi piccoli impianti di generazione da fonti rinnovabili, trasportabili e abbinati a delle batterie per stoccare l’energia e riutilizzarla in assenza di sole o vento. In secondo luogo, ci impegneremo finanziando iniziative destinate a rimuovere le barriere economiche all’accesso di elettricità in alcuni territori come l’America Latina. In Brasile abbiamo ad esempio avviato un programma che “paga” i rifiuti portati dalla popolazione in centri di riciclo dedicati, attraverso sconti sulle bollette elettriche. Il meccanismo innesca così un processo virtuoso di responsabilità ambientale e di sostegno economico alle popolazioni più povere. Infine operiamo con le comunità locali per costruire insieme una cultura della conoscenza, mettendo a disposizione le nostre competenze tecniche e la nostra esperienza a supporto dello sviluppo delle popolazioni disagiate, attraverso incontri di scambio e la realizzazione di scuole tecniche. Tutto questo fa parte della nostra visione del futuro: l’elettricità come risorsa intelligente, tecnologicamente all’avanguardia, accessibile e ambientalmente sostenibile, in grado di supportare lo sviluppo delle economie dei Paesi, fornendo una concreta opportunità anche in periodi di crisi. 075


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contesti

Consumi elettrici: il futuro è già iniziato articolo di Gianf ilippo Mancini e Livio Gallo fotografie di Riccardo Ghilardi

L’elettricità è il vettore di energia più efficiente e sostenibile che si possa utilizzare su larga scala e di conseguenza l’industria sta investendo moltissimo nel massimizzarne gli utilizzi e le potenzialità. Efficienza energetica e mobilità elettrica sono due finestre importanti sul domani del mercato elettrico e le smart grids modificano il ruolo dei consumatori, che diventano parte attiva nel mercato dell’energia e protagonisti della tutela dell’ambiente. L’opinione di Gianfilippo Mancini (Direttore Divisione Generazione ed Energy Management) e Livio Gallo (Direttore della Divisione Infrastrutture e Reti) di Enel.

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Il futuro è un cliente sempre piĂš smart che ha bisogno di un fornitore altrettanto attento all’evolversi della tecnologia e che sia lui stesso promotore di questa innovazione

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Il nuovo mercato elettrico di Gianfilippo Mancini

L’elettricità è una proprietà fondamentale della materia, presente nella vita dell’uomo fin dalle origini e osservabile sotto forma di numerosi fenomeni. La capacità dell’uomo di comprenderla e governarla è andata di pari passo con la sua evoluzione. Fu Talete nel 600 a.C. a iniziare lo studio dello straordinario fenomeno dell’elettricità (parola derivata dal greco electron, che significa “ambra”, proprio perché il filosofo approfondì le proprietà di questa resina fossile che, caricata per sfregamento, attrae altri piccoli pezzi di materia) e ancora oggi, dopo oltre 2600 anni, i più illustri centri di ricerca del mondo considerano l’elettricità un fenomeno fondamentale per spingere il progresso umano ancora più avanti. La generazione, l’accumulo, ma anche l’utilizzo dell’elettricità sono in continua evoluzione e hanno il potere di cambiare radicalmente lo stile di vita di

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miliardi di esseri umani in uno spazio temporale ridottissimo. Dalla scoperta della lampadina alla nascita di sistemi di accumulo di energia in grado di essere utilizzati in un computer portatile, un telefonino o un iPad, le nostre abitudini in meno di 100 anni si sono trasformate oltre l’immaginabile. Più il progresso fa passi in avanti nel dominare l’energia elettrica, maggiori sono le aspettative da parte di noi utilizzatori. Frigoriferi giganti, condizionatori d’aria, TV a schermo piatto, PC e reti wi-fi, home theatre: non c’è un elettrodomestico che abbiamo in casa al quale ci sentiremmo di rinunciare, eppure la maggior parte di essi quando siamo nati non esisteva neanche. L’elettricità è la colonna portante di tutti i nostri comfort e l’aspetto più straordinario è che, nonostante le classiche lamentele all’arrivo della bolletta, è uno strumento di trasporto dell’energia stori-

camente poco costoso. È probabilmente per questo che in tutti questi anni non le abbiamo dedicato il rispetto e la cura che meriterebbe. Facendo qualche conto scopriremmo, ad esempio, che guardare la televisione ci costa 35 €/ anno, stare on-line con il nostro PC circa 7 €/anno, ascoltare la radio circa 2,5 €/anno e anche se nessuno di noi ha idea di quanto ci costi l’energia necessaria per avere l’acqua corrente in casa, sono pronto a scommettere che non vorremmo a nessun costo andarla a prendere dal pozzo come facevano tutti i nostri nonni solo 100 anni fa. Negli anni, ci siamo in effetti abituati a considerare l’energia elettrica come un bene di pronto utilizzo e a buon mercato. Talmente a buon mercato che i concetti di risparmio ed efficienza si sono fatti largo solo negli ultimi tempi. Queste abitudini, questa mentalità e questo


consumi elettrici: il futuro è già iniziato

modo di approcciare l’elettricità hanno conseguentemente influenzato anche il mercato dell’energia elettrica. Se all’inizio della sua liberalizzazione (avvenuta con il Decreto Bersani nel marzo 1999), quando erano solo le industrie a poter scegliere un fornitore, è stato il prezzo a costituire l’unica importante variabile per decidere da chi approvvigionarsi, con il progressivo allargamento agli utilizzatori domestici, gli elementi su cui fare leva sono diventati più articolati. Quando ci rivolgiamo al cittadino-consumatore, infatti, non possiamo limitarci a offrire un prodotto più conveniente di quelli presenti sul mercato perché, come ci siamo detti, l’elettricità è già un bene che per i benefici che porta ha un prezzo ridottissimo. Provare a entrare nella casa degli italiani assicurando sconti di 50 o 100 euro, nonostante le difficilissime congiunture in cui ci troviamo, non è oggi un lasciapassare istantaneo per avere la fiducia e la conseguente firma su un contratto. Servono molti altri ingredienti per convincere il cliente medio ad ascoltare una proposta commerciale. Per cominciare è necessario che il cliente ti conosca e abbia fiducia in te, e questo ovviamente non è un problema per Enel. Poi serve presentarsi con un’offerta in grado di unire al risparmio anche la possibilità di migliorare la qualità della vita del cliente. Il livello del servizio è perciò determinante nella scelta di un fornitore di energia. Non c’è uno studio di mercato che non dica che i 50 o 100 euro di risparmio

non sono nulla se paragonati alla paura di restare ore al telefono con un operatore di call center nel caso di bisogno o se messi a confronto con il timore di ricevere bollette incomprensibili e magari sbagliate. Per anni le grandi multinazionali hanno pensato di poter imporre i loro prodotti ai clienti e in alcuni settori ci sono anche riuscite, ma ciò è impensabile nel mercato dell’energia. La difficoltà, ma anche la fortuna del nostro mondo è che noi abbiamo dovuto fin da subito fare i conti con un consumatore esigente, attento e soprattutto consapevole del fatto che l’energia elettrica in casa lui l'ha già e funziona bene, quindi per cambiare dobbiamo davvero proporgli qualcosa di molto soddisfacente. Vendere energia elettrica è di conseguenza un lavoro molto complesso che nasce da mesi di studio di quanto possiamo migliorare nella quotidianità dei nostri clienti, cosa possiamo semplificare nel rapporto con il fornitore, come possiamo rassicurarli. Nell’era di internet il processo di acquisto è multi-canale. Il cosiddetto funnel di acquisto prevede che il nostro potenziale cliente prima di scegliere prenda il maggior numero di informazioni disponibili su di noi e sui nostri prodotti. È fondamentale essere in grado di comunicare in modo chiaro e diretto attraverso gli strumenti classici, ma anche avere un’ottima reputazione per sfruttare al massimo il cosiddetto word of mouth o passaparola. Non c’è infatti miglior testimonial di un cliente soddisfatto ed

è per questa ragione che abbiamo sviluppato negli anni una serie di prodotti che andassero a massimizzare la soddisfazione dei nostri clienti in una sfera molto più ampia di quella del solo contenimento dei costi della bolletta. Avevamo in mente questo quando abbiamo pensato di sfruttare il nostro potere di acquisto per dare ai nostri clienti, con Enel Mia, la possibilità di risparmiare anche in settori diversi dall’energia elettrica e abbiamo stretto una serie di partnership con grandi nomi dei mercati della grande distribuzione, dell’elettronica, della benzina o dell’editoria. Accordi che oggi consentono a chi sceglie Enel Energia e i suoi prodotti di poter risparmiare con facilità 500 euro ogni anno semplicemente affidandosi a noi e ai partner che noi presentiamo. E avevamo ben chiaro anche il concetto che la qualità del nostro servizio avrebbe dovuto battere quella già sperimentata dai nostri potenziali clienti e così abbiamo investito in informatica, formazione, studio di processi per arrivare a proporre un prodotto che sapesse coniugare risparmi a customer satisfaction. Abbiamo scelto la strada della semplicità, offrendo al mercato prodotti facili da capire per rassicurare i clienti nel momento della scelta, ma anche in quello della valutazione successiva, così come abbiamo capito in anticipo la necessità del cliente di avere un negozio di riferimento al quale potersi rivolgere per ogni necessità. Formiamo i nostri venditori per settimane, per avere la certezza che sappiano comunicare tutti gli aspetti e i vantaggi dei nostri prodotti in modo chiaro e inequivocabile. Investiamo nella qualità dei nostri call center per essere sicuri che tutte le chiamate che riceviamo vadano a buon fine e sappiano soddisfare un cliente che ha un problema e ha bisogno di una soluzione rapida e certa. E il futuro? Il futuro è già iniziato. L’elettricità è il vettore di energia più efficiente e ambientalmente sostenibile che si possa utilizzare su larga scala e di conseguen-

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Più il progresso fa passi in avanti nel dominare l’energia elettrica, maggiori sono le aspettative da parte di noi utilizzatori za l’industria sta investendo moltissimo nel massimizzarne gli utilizzi e le potenzialità, ma con un occhio al contenimento dei consumi specifici. Efficienza energetica e mobilità elettrica sono due finestre importanti sul domani del mercato elettrico. Imparare a risparmiare sui consumi è un aspetto trascurato per anni ma che ora più che mai diventa nevralgico nel sostenere la nostra economia. Studiare offerte che incentivino gli investimenti nell’efficientamento degli impianti, che affianchino cliente e fornitore in una partnership con il comune intento di sviluppare una relazione proficua e duratura nel tempo per entrambi; sviluppare una forzavendita in grado di fare una vera e propria consulenza al cliente andando a identificare con lui tutti i possibili miglioramenti lungo la catena produttiva. Sono questi i principali aspetti su cui vogliamo incentrare la nostra offerta nei prossimi mesi. E nel mercato della mobilità elettrica siamo già operativi, a fianco dei principali produttori di veicoli elettrici, con un’offerta “chiavi in mano” e totalmente green che dia modo a chi sceglie un veicolo alimentato a batterie di poterle comodamente ricaricare nel garage di casa. Il futuro è un cliente sempre più smart che ha bisogno di un fornitore altrettanto attento all’evolversi della tecnologia e che sia lui stesso promotore di questa innovazione. Un continuo fluire di idee nuove che possano proseguire questo cammino di miglioramento della qualità della vita dell’uomo con la consapevolezza però che l’energia è un bene prezioso e che bisogna saperla utilizzare responsabilmente e con massima efficienza.

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Il nuovo consumatore elettrico di Livio Gallo

Se, come ci racconta la sociologia dei consumi da diversi anni, c’è un’importante relazione tra i consumatori e le caratteristiche d’intangibilità di prodotti e servizi, per quanto attiene l’energia il rapporto è piuttosto implicito: essa è una commodity che consideriamo take for granted. Ne percepiamo l’esistenza solo quando viene a mancare o in coincidenza del saldo della bolletta. L’energia è i tra i beni esemplarmente intangibili (per la complessità della sua origine, la complicata calcolabilità del suo valore economico, nonché la sua stessa immaterialità) con il quale il consumatore non ha una relazione emotiva. Ciò che si comprende dell’energia è la potenza d’uso a cui abilita,

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come il quantitativo di device o di altri strumenti elettrici che rende disponibili. Con l’introduzione della produzione di energia delocalizzata questo rapporto tradizionale tra consumatore ed energia però sta cambiando e si modificherà ancora di più con l’abilitazione permessa dalle reti intelligenti. Guardiamo intanto alla profonda trasformazione dei consumatori in consumer+producer, cioè i cosiddetti prosumer: ad oggi sono 140.000 le connessioni alla rete elettrica di questa nuova tipologia di clienti. Si tratta di una vera rivoluzione: una volta l’elettricità arrivava soltanto dalle grandi centrali, oggi sono tanti i produttori che immettono energia proveniente da fonti

quali il fotovoltaico, l’eolico, le biomasse. Quest’abito nuovo del consumatore, che è al tempo stesso produttore, modifica la sua relazione con l’energia: essa diviene più friendly, si fa più vicina. L’energia entra nelle scelte quotidiane acquisendo esistenza nel planning della giornata: si decide quando produrla, consumarla o addirittura venderla o comprarla. Ma questo rapporto è destinato a un’ulteriore evoluzione quando l’introduzione delle smart grids consentirà al consumatore di avere un ruolo pienamente attivo nel mercato dell’energia. Con le smart grids, infatti, la rete, da una struttura progettata per essere monodirezionale (dal produttore al consumatore),


consumi elettrici: il futuro è già iniziato

prende come modello internet, cosicché elettronica, informatica e comunicazione integrate portano a un’interazione tra chi eroga e chi riceve energia, che arriva fino ad anticipare le richieste di consumo. Il nuovo consumatore, attento e maggiormente consapevole dei propri consumi, utilizza a pieno le nuove tecnologie di “partecipazione energetica” che vanno dalla casa alla città, messe a punto da un distributore visionario e concreto quale è Enel . Si possono distinguere due tipologie di azioni: una definibile pull, determinata dal rispondere e interpretare una parte di mercato e che porta allo sviluppo di prodotti e servizi legati all’energia; e un’azione push, di stimolo verso il mercato e il consumatore, che nel caso di Enel porta all’abilitazione della domanda attiva realizzabile grazie all’insieme di tecnologie e dispositivi che trasformano l’architettura elettrica in un sistema intelligente. Guardiamo al consumatore domestico: esistono dei dispositivi in grado di fornire una serie di informazioni tali da determinare e orientare le scelte di consumo personali, quali ad esempio la potenza, il prezzo e il volume dell’energia. Sono realizzati da Enel e chiamati “Smart Info”. S’inseriscono nelle prese di casa e possono dialogare con il contatore elettronico che insieme al Telegestore, il sistema di gestione dei contatori, costituisce la pietra miliare delle reti intelligenti. Lo Smart Info ci consente di dialogare in modo diretto col contatore e di visualizzare e monitorare l’andamento dei consumi sui display a noi più familiari come il PC o la TV; questo nuovo dispositivo è inoltre in grado di dare informazioni ai white goods intelligenti, consentendo loro di regolare il loro funzionamento in base ai segnali di consumo e di prezzo. Questa sperimentazione è il cuore del progetto che Enel porta avanti con altre aziende Energy@home. Un progetto che sviluppa una piattaforma di comunicazione tra elettrodomestici, regolando i consumi di energia dell’intera casa. Con la

casa intelligente, il consumatore diventa parte attiva nel mercato dell’energia: consuma e produce in risposta a opportuni segnali di prezzo. Ma non è solo il consumatore domestico che diventa protagonista con le smart grids, ma anche il cittadino consumatore. Le smart cities sono infatti l’applicazione al tessuto urbano delle smart grids e in esse le tecnologie rendono interpreti delle proprie scelte di consumo elettrico in chiave sostenibile. La nuova rete elettrica è infatti il tassello fondamentale di un insediamento urbano progettato per una maggiore efficienza

Prosumer: ad oggi sono 140.000 le connessioni alla rete elettrica di questa nuova tipologia di clienti energetica e sostenibilità economica. Un luogo dove infrastrutture, servizi e tecnologia si uniscono per offrire un centro abitato a misura d’uomo, in cui il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni e il controllo dei consumi entrano a far parte della vita quotidiana dei cittadini, delle amministrazioni e delle aziende. La città intelligente è un concentrato di tutte le tecnologie delle reti di nuova generazione. Contatori elettronici, automazione delle rete, illuminazione pubblica efficiente, mobilità elettrica, integrazione delle fonti rinnovabili, sistemi di stoccaggio dell’energia, dispositivi che aumentano la consapevolezza dei consumi sono gli strumenti che permetteranno alle persone di vivere in un nuovo contesto urbano, un luogo in cui la sostenibilità ambientale è centrale, le persone abitano in edifici energeticamente efficienti, hanno a disposizione un sistema di mobilità ecosostenibile, respirano aria pulita e dove quindi migliora la qualità della vita.

Enel è impegnata in progetti di smart cities che richiedono un grande impegno e la collaborazione di numerosi attori come aziende energetiche, istituzioni pubbliche, università, amministrazioni locali, industrie all’avanguardia tecnologica. I primi esempi concreti sono nelle città di Malaga in Spagna e di Buzios in Brasile, mentre sono in fase di programmazione le attività a Barcellona e a Genova, Bari e altre città italiane. I principali interventi che sono stati messi in opera in queste città riguardano l’evoluzione della rete elettrica, l’illuminazione pubblica e gli edifici intelligenti, la gestione della domanda attiva, l’integrazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, la mobilità elettrica e l’elettrificazione dei porti. Le smart grids costituiscono una delle frontiere per il futuro dei sistemi elettrici. Un futuro verso il quale si sta indirizzando un forte impegno internazionale, nella consapevolezza che la strada da percorrere è ancora lunga. Occorre modificare radicalmente infrastrutture che hanno dimensioni enormi. Il rinnovamento della rete tradizionale è in graduale evoluzione e deve tener conto di vincoli tecnici stringenti per mantenere il controllo sull’intero sistema elettrico in modo efficiente, affidabile e sicuro. Le sperimentazioni e i progetti-pilota si moltiplicano: sicuramente è ancora necessaria molta ricerca, oltre a ingenti investimenti, per giungere alle nuove reti intelligenti.

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Tuttavia le smart grids sono un futuro a portata di mano: importanti passi in questa direzione sono stati fatti proprio da Enel, riconosciuta come leader indiscusso a livello mondiale in questo processo di rinnovamento, soprattutto grazie all’istallazione di 32 milioni di contatori elettronici in Italia: esperienza senza precedenti al mondo per dimensioni, capillarità e miglioramento dei risultati. Con le smart grids ci troviamo di fronte a una grande rivoluzione che a livello mondiale toccherà l’intera catena del valore, dalla produzione di nuove tecnologie per arrivare all’installazione di queste all’interno della rete elettrica. Si tratta quindi di un’irrinunciabile opportunità di sviluppo di un indotto industriale collegato sia ai prodotti, sia ai servizi, con notevoli impatti anche a livello occupazionale (quelli che a livello internazionale vengono spesso indicati come green jobs). Quali scenari si apriranno davanti ai nostri occhi quando le smart grids saranno appieno abilitate nel nostro Paese e ci restituiranno un patrimonio immenso di dati è difficile anticiparlo oggi. Di certo c’è qualcosa che già ora ci auguriamo e di cui in gran parte siamo convinti: quell’insieme di informazioni ci dovrà aiutare a progettare un modo più sostenibile di produrre e consumare energia. E questo vale non solo per le aziende elettriche, ma soprattutto per chi deve essere posto al centro del sistema: il consumatore.

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scenari

Verso i nuovi servizi per l'energia articolo di Arturo Lorenzoni fotografie di Corbis Images

La riduzione dei costi della gestione commerciale di un consumatore di energia ha reso possibile l'evoluzione della vendita verso la fornitura di servizi evoluti, come la riduzione dei consumi o la vendita dell'informazione relativa al prelievo di energia.

La necessità di grandi investimenti e il forte ruolo pubblico introdotto nella seconda metà del secolo scorso hanno reso il settore dell’energia poco incline alle innovazioni e molto concentrato. Ma, a partire dall’inizio di questo secolo, la riduzione delle economie di scala e la possibilità di elaborare le informazioni con costi e tempi sempre minori hanno cambiato in modo irreversibile il paradigma del settore: ai consumatori non è più proposta solo e tanto la vendita di energia finale sotto forma di combustibili fossili ed energia elettrica, quanto piuttosto la fornitura di un servizio energetico pensato per soddisfare la domanda di energia utile sotto forma di illuminazione, calore, operatività degli elettrodomestici… Il cambio di prospettiva è di grande impatto: il fornitore si avvicina al bisogno del proprio cliente e lo gestisce nel modo più efficiente possibile, considerando opzioni diverse, dall’investimento in tecnologie per l’efficienza, alla produzione locale di energia termica ed elettrica, all’interazione per poter sfruttare le condizioni più favorevoli del mercato. 082

Se in passato comunicare con il cliente, o con i suoi apparecchi utilizzatori di energia, era impossibile o molto costoso, oggi è possibile in tempo reale e con costi davvero contenuti. Questo consente di cambiare la relazione contrattuale, offrendo prestazioni migliori a costi inferiori. Così il costruttore che inserisca l'efficienza energetica al cuore della propria offerta immobiliare tenderà a vendere il suo edificio comprensivo della fornitura di energia per un certo numero di anni, consapevole che i bassi consumi gli consentiranno di ripagare gli impianti con oneri di gestione inferiori alla media e senza dover ricaricare il prezzo di vendita iniziale dell'immobile, assicurando minori costi di gestione al proprio cliente e un margine maggiore alla propria attività. Il cuore di questo nuovo approccio commerciale è la disponibilità dell’informazione sui consumi: il monitoraggio dei prelievi è un’informazione che ha grande valore commerciale, sia per chi acquista, sia per chi vende. I consumatori possono modificare i propri prelievi e cercare le offerte migliori. Ad esempio, si è mostrato come solo sapere il pro-

Il cambio di prospettiva è di grande impatto: il fornitore si avvicina al bisogno del proprio cliente e lo gestisce nel modo più efficiente possibile, considerando opzioni diverse, dall’investimento in tecnologie per l’efficienza, alla produzione locale di energia termica ed elettrica, all’interazione per poter sfruttare le condizioni più favorevoli del mercato


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Il mercato dell’energia risulta più contendibile, con nuovi ruoli possibili per coloro che sapranno declinare le nuove opportunità sul piano tecnologico in termini di nuovi servizi

prio consumo rispetto a quello di altri consumatori simili porti a risparmi misurabili! Per i fornitori poter comprendere in profondità le necessità dei consumatori consente di offrire loro ciò di cui hanno bisogno: conoscere i consumi di gas in relazione alla dimensione dell’immobile offre la possibilità di proporre in modo mirato investimenti di sostituzione delle caldaie o di coibentazione degli involucri edilizi; così pure disporre della curva di prelievo dell’energia elettrica permette di stimare in modo puntuale i consumi, identificando apparecchi inefficienti e aprendo a proposte commerciali mirate potenzialmente molto efficaci. Quando il consumatore abbia anche degli impianti di produzione di energia elettrica o calore gestiti dal proprio fornitore, l’interazione può essere ancora più stretta, con l’utilizzo degli impianti in una logica di rete che si apre a tutte le applicazioni smart che hanno potenzialità davvero affascinanti per i gestori delle reti, grazie anche con l’utilizzo di accumuli distribuiti, sotto forma di banchi di batterie connessi alla rete o di auto elettriche in carica presso le utenze. La fornitura di energia diviene così la gestione di un servizio decisamente evoluto, certamente diverso dalla mera attività di vendita del kWh o del combustibile, potenzialmente accessibile a molti soggetti, anche diversi dai fornitori tradizionali, ma capaci di gestire in modo efficace le informazioni che oggi possono essere disponibili. E così ci sono giovani imprese che guardano con interesse e stanno crescendo nella vendita di servizi informativi legati alla gestione delle utenze energetiche, creando valore per i consumatori e per i loro fornitori. 084

Il caso di Google Power Meter è solo uno tra i tanti. In questo nuovo contesto, il mercato dell’energia risulta più contendibile, con nuovi ruoli possibili per coloro che sapranno declinare le nuove opportunità sul piano tecnologico in termini di nuovi servizi. Particolarmente interessante per le implicazioni positive sull’intera economia è la vendita dell’efficienza energetica che, se da un lato è problematica perché comporta una non vendita, e dunque ha difficoltà a vederne apprezzato il valore, dall’altro può portare a riduzioni di costo permanenti e significative, anche in ambiti critici come il settore pubblico e quello domestico. È l’ambito di attività delle Energy Service Company (ESCO), imprese che fanno del conseguimento dell’efficienza energetica il proprio fattore critico di successo. Il loro approccio, che consente di investire in nuovi impianti tecnologici senza spese da parte del cliente e con un risparmio fin dal primo anno di vigenza contrattuale, è decisamente remunerativo e tutto sommato poco rischioso quando le analisi tecniche siano ben fatte, ma richiede una grossa capacità finanziaria, propria soltanto degli istituti di credito e delle imprese di grandi dimensioni. Così, in qualche modo, chi dispone dell’hardware mantiene un vantaggio competitivo nel settore della vendita dell’energia, anche se l’innovazione sta riducendo in modo progressivo le barriere all’ingresso, con un ruolo sempre maggiore del software nella competitività delle offerte commerciali e uno spazio tutto nuovo per chi sappia interpretare con creatività le nuove possibilità di relazione tra gli operatori del mercato dell’energia.


verso i nuovi servizi per l'energia

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GOOGLE POWER METER Ăˆ un sistema per monitorare online i consumi degli apparecchi elettrici in casa. Ăˆ un software di monitoraggio in grado di elaborare i dati provenienti dagli elettrodomestici e costruire un'analisi grafica del consumo. I dati sono poi condivisi con gli altri utenti, in una sorta di sfida al risparmio energetico.

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rubriche

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Energy manager, questo sconosciuto articolo di Davide Coero Borga

In Italia la figura del responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia è legge dal 1982, ma solo per le grandi imprese. Abbiamo dovuto aspettare il 1991 perché gli energy manager entrassero nel civile, nel terziario e nei trasporti. Oggi sono molte le aziende che vogliono un consulente preparato per misurare gli sprechi, riorganizzare la produzione, diminuire le spese.

1973 nel mondo anglosassone nasce la figura dell' energy manager

1982 il responsabile per la conservazione e l'uso

razionale dell'energia è previsto dalla legge

Al giorno d’oggi passando in rassegna le scrivanie di un’azienda capita frequentemente d’imbattersi in nuove figure professionali. In tema di energia c’è bisogno di profili “borderline”: tecnici che si occupino di gestire le problematiche energetiche nel loro complesso, specialisti del settore elettromeccanico e termico, capaci di aiutare la dirigenza nelle scelte e negli investimenti di riqualificazione energetica, riorganizzazione dei processi produttivi, logistica. In gergo tecnico si chiamano energy manager e si tratta di una categoria di liberi professionisti nata formalmente nel 1991 con una direttiva della Comunità Europea che ha imposto alle grandi aziende di inserire in organico esperti del comparto energetico in grado di riconvertire le imprese a consumi meno elevati. Di base gli energy manager hanno una formazione tecnica

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in ambito energetico, che va implementata con competenze giuridiche utili a destreggiarsi nella non sempre facile normativa su energie rinnovabili & Co. Buone abilità economiche e finanziarie sono necessarie per valutare l’entità degli investimenti; una sensibilità per la comunicazione non è da sottovalutare quando ci si trova a far dialogare le macchine di una catena produttiva con la coscienza prettamente economica dei dirigenti aziendali. Sebbene sia prevista da vent’anni, la figura dell’energy manager è finita sotto i riflettori solo negli ultimi anni, perché è diventata chiave di volta dei bilanci di grandi multinazionali che hanno saputo crescere in periodi di crisi guardando al risparmio. Economia ed ecologia si sono trovate improvvisamente complici e amanti in un mercato complesso di risorse e bollette.

italiana

1991

la nomina dell'energy manager viene estesa anche al settore civile, al terziario e ai trasporti


SALVARE ENERGIA In Italia la figura del responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia è entrata in vigore con una legge del 1982. Si parlava allora di imprese con più di 1000 dipendenti e con un consumo superiore a 10.000 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP). Con la legge del 1991 la nomina degli energy manager è stata estesa anche al settore civile, al terziario e ai trasporti, abbassando la soglia di riferimento a 1000 TEP. Se il ruolo degli energy manager sembrava essere confinato a quello di controparte negli incarichi che l’azienda assegna a ESCO (Energy Service Companies) e altre società che si occupano di efficienza energetica, o nuove opportunità di risparmio

ottenibili con l’impiego di nuove – e il più delle volte semplicissime – tecnologie, con il passare degli anni il compito di un esperto energetico è diventato anzitutto promuovere una cultura di misurazione dei cicli produttivi, capace di individuare consumi, sprechi, perdite. La pressoché totale assenza di statistiche di riferimento ha reso difficile valutare i risparmi derivati da un’operazione di analisi dei costi energetici, ma vero è che la semplice rilevazione dei consumi in un impianto ha fatto risparmiare ragguardevoli somme di denaro ad aziende pubbliche e private senza che fosse richiesto intervento alcuno. Registrare le macchine regolarmente ha voluto dire guadagnare.

PMI Questa cultura della misura è per nulla diffusa in Italia. Anche perché le piccole e medie imprese, che costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto produttivo nazionale, difficilmente riescono ad accedere alle competenze necessarie per una qualsiasi operazione di ristrutturazione energetica. Ma chi non può permettersi di inserire in organico un energy manager, oggi a differenza di ieri ha un mercato di consulenti cui fare riferimento. Trovare un esperto che opera in questo settore è facile:

basta rivolgersi a realtà simili alla propria o che si è visto affrontare lo stesso tipo di intervento. Le associazioni di categoria sono interlocutori importanti e comunque, in extremis, si può sempre fare riferimento a una ESCO. Individuato l’energy manager si può poi studiare l’intervento più adatto ragionando sull’acquisto di energia elettrica, gas e altri combustibili, per poi passare a interventi gestionali o di tipo strutturale con eventuale impiego di nuove tecnologie ad alta efficienza.

Economia ed ecologia si sono trovate improvvisamente complici e amanti in un mercato complesso di risorse e bollette 087


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intervista a bunker roy

RINNOVABILI: LA RIVOLUZIONE A PIEDI NUDI articolo di Alessandra Viola fotografie di Craig Aurness

«Dov’è scritto che solo perché non sai leggere e scrivere o non conosci la lingua che si parla in un certo posto non puoi diventare un ingegnere elettrico?». La rivoluzione rurale “dal basso” del Barefoot College, dove le donne, meglio se analfabete e “nonne”, imparano a risolvere i problemi energetici del proprio villaggio. E cambiano la propria vita e quella di chi sta loro intorno.

Venti donne povere, analfabete e tutte rigorosamente “nonne”. Saranno loro, secondo il Barefoot College, l’ONG indiana che da quarant’anni si occupa di educazione delle popolazioni rurali, a innescare una nuova rivoluzione energetica in Sud America. Merito dell’accordo appena siglato con Enel Green Power, che finanzierà una campagna di elettrificazione per 1000 abitazioni sparse tra Brasile, Colombia, Cile, Perù e Guatemala. Le case, tutte situate in villaggi non elettrificati e spesso di difficile accesso, verranno dotate di pannelli fotovoltaici che saranno istallati (e in seguito anche manutenuti e riparati) da 20 ingegneri solari… Totalmente fuori dagli schemi. «Saranno tutte donne – assicura Bunker Roy, fondatore del Barefoot Colle088

ge – e le sceglierò personalmente. Saranno povere, così capiranno il valore di quello che impareranno e potranno elevare la loro condizione e quella del loro villaggio. Saranno illetterate, perché vogliamo dare una speranza anche a chi non ha studiato ed è rimasto ai margini del sistema produttivo. E poi saranno “nonne”, cioè di età compresa mediamente tra i 35 e i 50 anni, perché questo garantisce radicamento nella comunità ma minori impegni familiari. Secondo la nostra esperienza le donne imparano prima degli uomini, sono più umili e soprattutto assicurano continuità con il territorio, garantendo l’utilità dell’azione formativa». E gli uomini? «Anni fa insegnavamo anche agli uomini, ma poi abbiamo smesso perché abbiamo capito che era

inutile: gli uomini non fanno altro che spostarsi da un posto all’altro, sono arroganti e studiano solo per ottenere un certificato che attesti le loro competenze. Appena ce l’hanno, si spostano in un grande centro abitato per cercare un lavoro, così i villaggi anziché arricchirsi si impoveriscono. In questo senso, tutti i soldi spesi dalla Banca Mondiale, dalle Nazioni Unite e dai progetti di cooperazione dei vari Paesi, tra cui anche l’Italia, sono spesi male perché mirano al target sbagliato, cioè agli uomini. Per migliorare la qualità della vita nelle comunità rurali, bisogna invece puntare sulle donne. Quelle che abbiamo formato in Africa sono praticamente gli unici ingegneri solari disponibili, perché chi ha studiato ingegneria ed è riuscito a laurearsi non


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torna mai a vivere nel villaggio, anzi spesso si trasferisce addirittura all’estero. Il nostro college non rilascia alcun titolo. Nessun pezzo di carta che si possa appendere alla parete, anche se i nostri ingegneri solari sono i migliori al mondo: nessun laureato sa fare quello che sanno fare loro». Con il suo titolo di studio, del resto, anche Roy (ormai acclamato guru dell’educazione mondiale) non ha fatto granché: laureato in un prestigioso college indiano, poco più che ventenne ha deciso di trasferirsi a vivere nel piccolissimo villaggio di Tilonia, in Rajastan, e di costruire lì una scuola per poveri e analfabeti: il Barefoot College, o college dei “piedi nudi”. «Il college funziona seguendo lo stile e le indicazioni del Mahatma Gandhi», spiega Roy. «Si mangia per terra, si lavora per terra, si dorme per terra. È aperto solo ai poveri ed è l’unico posto in cui avere un master o un dottorato di ricerca non solo non è un titolo preferenziale, ma persino ti dequalifica. Non ci sono contratti scritti: puoi stare con noi vent’anni o andare via domani. E nessuno guadagna più di 100 dollari al mese: se vieni per i soldi, non 090

vieni da noi. Se invece vieni per il lavoro e la sfida, allora sì: il Barefoot è il posto ideale per provare idee pazzesche. Qualunque idea tu abbia, vieni e la proviamo. Da noi il maestro impara e il discepolo insegna e questo prepara le persone che formiamo a essere a loro volta degli insegnanti».

«Ci vuole pazienza per tutte le cose. Come diceva il Mahatma Gandhi: “Prima ti ignorano. Poi ridono di te. Poi ti combattono. E alla fine vinci tu”. Questa è anche la mia esperienza» È grazie a questa “catena” che le 20 donne sudamericane (futuri ingegneri solari proprio come le già numerose “colleghe” indiane, africane e afgane che le hanno precedute nel college) una volta tornate nei loro Paesi di origine potranno insegnare a molte altre, dando il via a una vera e

propria rivoluzione “dal basso verso l’alto”. L’unica direzione, secondo Roy, in cui lo sviluppo può realmente attecchire nelle comunità rurali: «Per ogni problema del villaggio esiste una soluzione, e questa soluzione è già nel villaggio, anche se spesso non sei preparato o allenato per vederla. Per ogni problema che c’è, esiste già una “soluzione rurale”: ci vogliono solo il tempo, la pazienza e l’umiltà necessarie per trovarle e implementarle. Parlo di problemi grossi, come l’acqua potabile, l’agricoltura, l’edilizia. Per risolverli non c’è bisogno di prendere un titolo di studio, anzi a volte è addirittura controproducente. Noi non offriamo un sistema preconfezionato di regole o pratiche da imparare, ma siamo aperti agli antichi saperi che queste persone portano con loro. In tutti i piccoli e remoti villaggi del mondo esistono altissime professionalità, che però nessuno riconosce. Ci sono medici, ostetriche, rabdomanti, architetti che mettono in pratica conoscenze millenarie, ma non hanno un diploma e quasi nessuno gli riconosce queste capacità. I Paesi industrializzati sono totalmen-


rinnovabili: la rivoluzione a piedi nudi

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«I Paesi industrializzati sono totalmente paranoici rispetto al possesso di un titolo di studio, ma personalmente sono convinto che questo sia uno dei modi meno efficaci per valutare le capacità di una persona. Io sono in grado di capire se una donna è in grado di diventare un ingegnere elettrico o una dentista in pochi minuti, e senza parlare la sua lingua»

te paranoici rispetto al possesso di un titolo di studio, ma personalmente sono convinto che questo sia uno dei modi meno efficaci per valutare le capacità di una persona. Io sono in grado di capire se una donna è in grado di diventare un ingegnere elettrico o una dentista in pochi minuti, e senza parlare la sua lingua». Il grande miracolo del Barefoot College sta anche qui: il training delle future ingegnere solari non solo non si servirà di libri (dato che non sanno leggere), ma sarà basato interamente sulla comunicazione non verbale. «Per insegnare non c’è bisogno delle parole», assicura Roy. «L’esempio è più che sufficiente anche per le tecnologie più sofisticate. Per richiedere i pezzi di ricambio che eventualmente dovessero servire per gli impianti, le donne in seguito avranno a disposizione un libro con delle figure e potranno semplicemente indicare su quel libro i pezzi che gli servono. Dov’è scritto che solo perché non sai leggere e scrivere o non conosci la lingua che si parla in un certo posto non puoi diventare un ingegnere?». Le nonne del Barefoot dimostrano assolutamente

il contrario, e non è tutto: quando tornano nei villaggi di origine dopo i sei mesi trascorsi nel “campus” del college, insieme alla nuova professione iniziano spesso anche una nuova vita. La professionalità acquisita s’accompagna infatti in genere a un completo stravolgimento dei loro ruoli sociali e familiari: donne sottomesse, a volte vessate, ai margini della catena produttiva del villaggio e della famiglia rientrano da questo periodo di formazione più consapevoli delle loro capacità e della loro indipendenza. «In questo modo riusciamo a intervenire anche sulle relazioni uomo-donna, dando una speranza a chi non ce l’ha e dimostrando che un ruolo più attivo delle donne nelle comunità migliora la vita del villaggio», continua Roy. «Non sono concetti astratti: queste persone lo dimostrano ogni giorno nella loro vita, anche se ci vuole un po’ per superare le diffidenze iniziali e ridefinire i ruoli nelle comunità. Del resto, ci vuole pazienza per tutte le cose: come diceva il Mahatma Gandhi: “Prima ti ignorano. Poi ridono di te. Poi ti combattono. E alla fine vinci tu”. Questa è anche la mia esperienza». 091


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intervista a paolo martinello

Consumatori intelligenti, unitevi articolo di Beatrice Mautino

Tecnologie a basso impatto ambientale, filiere produttive, attenzione per l’equo e il solidale, liberalizzazioni del mercato, concorrenza spietata, scelte da compiere: il consumatore di oggi è davvero smart? Abbiamo chiesto a Paolo Martinello, avvocato e presidente di Altroconsumo e del BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs) di aiutarci a fare chiarezza. Le parole chiave sono “consumo consapevole”. Paolo Martinello ci spiega che l’unico modo per essere davvero consumatori smart, in grado di muoversi nel groviglio di offerte senza cadere nelle trappole del mercato è quello di non abbassare mai la guardia, essere sempre attenti e analizzare con spirito critico i prodotti e le affermazioni di chi li vende. Benissimo, ma come si fa? «Dal numero di segnalazioni e richieste di consulenza che riceve Altroconsumo ogni giorno (1200 per un totale di quasi 400.000 chiamate all’anno) capiamo subito che non è semplice. Ma non è facile nemmeno per le associazioni di consumatori che si sono trovate a dover avere a che fare con nuove problematiche. Infatti, l’evoluzione del mercato si rispecchia in qualche modo anche nelle richieste fatte all’associazione». «Abbiamo fatto un’indagine su 12.400 chiamate nei 12 mesi a cavallo fra 2009 e 2010 relative al settore dell’energia elettrica. Fino a qualche anno fa, nel mercato monopolista, il problema classico era quello

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della bolletta (pagamenti, incomprensioni, ecc.). Quei problemi rimangono, ma se ne fanno strada altri come, per esempio, quelli relativi alle offerte commerciali». L’avvocato Martinello ci spiega che il 21% delle chiamate era relativo alla scarsa chiarezza delle offerte e delle tariffe proposte, o a casi di marketing aggressivo. Il consumatore si è trovato in una nuova veste di “consum-attore” che può fare delle scelte, ma che proprio per questo diventa il target di una molteplicità di offerte, spesso volutamente, poco chiare. «Molti dei nostri test mirano sempre di più a mettere in evidenza aspetti legati a prodotti e servizi che fino a non molti anni fa erano totalmente trascurati», prosegue Martinello. «Abbiamo affiancato alle indagini classiche sulla sicurezza dei prodotti o sulle truffe ai consumatori anche valutazioni dell’impatto ambientale o sociale». «Il rischio è proprio quello dell’eccessiva semplificazione. In questo tendenzialmente c’è molta superficialità. Il marketing tende a far


ALTROCONSUMO —

1.200 telefonate al giorno, quasi 400.000 all'anno: il 21% è relativo alla scarsa chiarezza delle offerte e delle tariffe.

leva sul bisogno del consumatore di avere la possibilità di far scelte, magari un po’ banali, ma che apparentemente lo tranquillizzano», puntualizza Martinello. «Noi svolgiamo una funzione un po’ antipatica, ma necessaria, perché i marchi e i bollini non sono sufficienti a garantire il cittadino nei confronti del mercato. Pensare che un prodotto sia migliore solo perché fatto in un determinato territorio piuttosto che in un altro è scorretto. Per esempio, una delle semplificazioni più diffuse è quella che invita al preferire il Made in Italy ai prodotti importati. Questa è una tendenza profonda, un po’ primitiva: nell’incapacità di scegliere bene ci si protegge, si torna vicino a casa pensando che questo sia di per sé una garanzia». Per uscire dall’approccio quasi religioso del dualismo buono/cattivo, vicino/lontano, ecologico/inquinante è necessario fare indagini che con il passare del tempo diventano sempre più complesse e quindi costose. «Altroconsumo è la più grande associazione di consumatori italiana», prosegue Martinello. «Da quasi 40 anni difendiamo gli interessi e i diritti fondamentali dei cittadini: la protezione della salute e della sicurezza, la tutela degli interessi economici, il diritto a essere informati, a conoscere i propri diritti e a far valere le proprie ragioni, il diritto a essere rappresentati e ascoltati presso le istituzioni nazionali e internazionali, il diritto a vivere in un ambiente sano e a compiere scelte di consumo etiche e responsabili. Grazie ai nostri 350.000 soci, alle loro donazioni e ai servizi a pagamento, riusciamo a essere indipendenti dal punto di vista economico». Ma non basta. Parametri come l’impatto ambientale, l’analisi della filiera produttiva o la valutazione dell’eticità di un prodotto necessitano di an-

dare al di là del semplice test di laboratorio: «Per alcuni settori riusciamo a muoverci da soli. In ambito alimentare abbiamo svolto indagini sul biologico o sui prodotti che vantano determinate qualità “socio-ambientali”, ma siamo stati facilitati dal fatto che in Italia abbiamo la fortuna di avere un mercato alimentare di livello medioalto. Il consumatore italiano ha più armi di autodifesa rispetto a quello di altri Paesi». In altri settori o per prodotti che arrivando da lontano o che necessitano di analisi particolari, è tutto molto meno roseo. Bisogna seguire a ritroso la storia dei prodotti, andare all’origine del processo produttivo e misurare tutto scrupolosamente e scientificamente. Per farlo è nata una rete internazionale di associazioni di consumatori che dividono i costi e condividono i contenuti. «Il lavoro più complicato di verifica si ha in quei settori dove la complessità del prodotto è più elevata: le nuove tecnologie (l’informatica, l’energia e in tutti quei settori in cui è evidente l’innovazione continua), ma anche ambiti apparentemente meno innovativi come l’abbigliamento, dove si rischia di cadere nei luoghi comuni e di venire ingannati. Anche in questi casi, l’unica arma di difesa che abbiamo sono le misure. Grazie al lavoro del pool internazionale riusciamo a calcolare l’impronta ecologica dei prodotti, valutandone ciclo di vita e filiera produttiva. Cerchiamo di arrivare fin dove è possibile arrivare con criteri che abbiano un valore oggettivo». Insomma: per andare incontro all’evoluzione del mercato e ai bisogni degli smart consumer le associazioni dei consumatori si sono organizzate in una sorta di smart grid, una rete intelligente che ha come unico obiettivo quello della difesa dei diritti del consumatore.

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MANGIARE LOCALE —

Per raggiungere l’accessibilità totale di un cibo sostenibile sotto tutti gli aspetti, è necessario un unico prerequisito: serve che le persone inizino a “mangiare locale”. 094


Ap

approfondimento

Eat Local, Think Global articolo di Carlo Petrini fotografie di Diego Diaz

Perché è meglio parlare di “mangiare locale” piuttosto che di “chilometro zero” e “filiera corta”, perché i consumatori dovrebbero diventare coproduttori, perché cibo, energia e informazione viaggiano sullo stesso binario: la “rivoluzione guidata” del fondatore di Slow Food.

In tema di “chilometro zero” e di “filiera corta” sgomberiamo subito il campo: queste definizioni sono poco adatte, o non sufficienti, a descrivere ciò che davvero potrebbe rivoluzionare il sistema del cibo nel nostro secolo. Una rivoluzione guidata dalla condivisa e diffusa ricerca di qualità, che sia complessa e piena di sostanza, che preveda quindi un giudizio più ampio possibile – sotto gli aspetti organolettico, ambientale e sociale – che ben si può riassumere nella formula che coniai in un libro del 2005: un cibo “buono, pulito e giusto”. Per raggiungere l’accessibilità totale (sia dal punto di vista fisico, che da quello economico e culturale) di un cibo sostenibile sotto tutti gli aspetti, è necessario un unico prerequisito (che potrebbe rivelarsi molto semplice): serve che le persone inizino, per quanto possibile, a “mangiare locale”. Usiamo quindi questa definizione mutuata dall’efficace inglese eat local, che, a mio avviso, è altrettanto eloquente in italiano. Non mi piace parlare in termini di chilometro zero e auspico che a questa espressione non si ricorra più (benché sia già abbondantemente utilizzata): la trovo fuorviante e riduttiva. Di fatto, gli alimenti a chilometro zero non esistono, a meno che non li si coltivi nel proprio cortile, o sul balcone, un'azione certamente utile e meritevole d'essere

promossa a tutti i livelli (soprattutto in città), ma che non può sopperire a una dieta personale completa, né tantomeno soddisfare il fabbisogno di miliardi di persone che, nel mondo, non stanno coltivando nulla e che non sono agricoltori. Il chilometro zero presta il fianco ai detrattori del mangiare locale, rischia di non costruire nulla e di diventare una moda che, per quanto utile per i processi che può innescare, è pur sempre passeggera. “Filiera corta” è un’espressione più azzeccata in tema di mangiare locale, ma sconta il difetto di suonare troppo tecnicistica, di adattarsi meglio al mondo della produzione e della distribuzione, rischiando così di escludere un elemento fondamentale: la responsabilità di chi compra e mangia il cibo, chi è comunemente definito “consumatore”. Visto che le parole sono importanti, mi si permetta un'altra considerazione lessicale. Anche il termine “consumatore”, se parliamo di cibo, andrebbe abolito. Se vogliamo realmente costruire un sistema agroalimentare sostenibile, e quindi duraturo, è necessario smettere di considerare il cibo come una qualsiasi merce del sistema consumistico, bensì come un aggregato di valori utili a giudicarlo (e pagarlo): per l’insieme di relazioni che innesca e da cui nasce, per tutte le ricadute che può avere sulla vita

Se il cibo diventa (e purtroppo lo è già) una merce come tante della società dei consumi, si tende a giudicarlo per il suo prezzo e non per il suo valore reale.

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Sentendosi semplici “consumatori”, le persone si allontanano sempre più dalla reale conoscenza di ciò che mangiano. Allora, se si parla di cibo, forse è meglio utilizzare il termine “co-produttore”

di chi produce, chi commercia, chi mangia, nonché sull’ambiente e sulle risorse che questo può offrire – che sono limitate, è bene ricordarlo. Se il cibo diventa (e purtroppo, lo è già) una merce come tante della società dei consumi, si tende a giudicarlo per il suo prezzo e non per il suo valore reale. Nella società dell’usa-egetta, poi, non ci si fanno troppi scrupoli a sprecarlo: i dati parlano di una quantità di cibo che finisce nella spazzatura che va dal 30 al 40%, tanto nei Paesi ricchi quanto in quelli poveri. Sentendosi semplici “consumatori”, le persone si allontanano sempre più dalla reale conoscenza di ciò che mangiano. Il contadino e poeta Wendell Berry, ha scritto mirabilmente che «mangiare è un atto agricolo». Dunque, mangiare non è semplice consumo, azione passiva. Scegliendo cosa mangiare possiamo orientare la produzione, sposare un certo tipo di agricoltura, sostenibile o no, supportare gli agricoltori di quell’angolo di mondo che ha prodotto gli alimenti. Allora, se si parla di cibo, forse è meglio utilizzare, al posto di “consumatore”, il termine “co-produttore”. Perché se questi è consapevole di aver scelto attivamente un alimento “buono, pulito e giusto”, allora ha instaurato, anche a distanza (ma che sia la più breve possibile!) una sorta di alleanza con chi l’ha prodotto. L’atto del mangiare diventerà così l’ultima azione del processo produttivo, non più sconnesso ma inserito in esso. Un processo cognitivo che risulta sempre consapevole, responsabile e quindi sostenibile, in tutti i suoi passaggi. L’urgenza di tornare a mangiare locale è dunque dettata da tutti questi fattori: 096

conoscenza, qualità, sostenibilità ecologica, giusta remunerazione del lavoro agricolo, salvaguardia della biodiversità e della diversità di culture locali legate al cibo. Ci sono tre elementi che, nel nuovo millennio, non possono essere assimilati a semplice merce, perché coinvolgono un gran numero di beni comuni e una responsabilità diffusa (nei confronti delle terre che abitiamo e delle future generazioni): sono l’informazione, l’energia e il cibo. Sono tre elementi che non possono essere vissuti in forma centralizzata, lineare e monodirezionale, non condivisa. Hanno bisogno di essere diffusi sui territori e di creare un rapporto biunivoco tra produttori e co-produttori, di essere condivisi e dunque facilmente accessibili a tutte le fasce di popolazione. Per quanto riguarda l’informazione, internet ha già fatto la rivoluzione. Se prima era monodirezionale e si configurava da produttori a consumatori, oggi, con le nuove tecnologie, tutti possono informare e condividere in tempo reale ciò che hanno prodotto. Al contempo, l’informazione “liberata” è più accessibile a chi voglia costruirsi autonomamente i propri percorsi di conoscenza. Per quanto riguarda l’energia, non sono certo io l’esperto che sta pre-configurando un sistema dove gli stessi utenti diventino produttori. Con la diffusione delle fonti rinnovabili su piccola scala, con piccoli impianti fotovoltaici sui tetti, le biomasse per l’agricoltura, con l’idroelettricità generata da minimi sbalzi d’acqua o con generatori eolici di dimensioni ridotte, ogni “consumatore” potrà diventare produttore e condividere la propria energia. Ciò che


eat local, think global

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Km ZERO —

Gli alimenti a chilometro zero non esistono, a meno che non li si coltivi nel proprio cortile, o sul balcone

MILLE ORTI IN AFRICA Le comunità di Terra Madre hanno un progetto ambizioso: creare mille orti nelle scuole, nei villaggi e nelle periferie delle città di 25 Paesi africani. I Mille orti in Africa sono modelli concreti di agricoltura sostenibile, attenti alle diverse realtà ambientali, sociali e culturali, basati sul recupero delle sementi locali e delle varietà tradizionali, sulla condivisione delle esperienze agricole e didattiche fra le comunità coinvolte. In Africa, i coordinatori locali del progetto hanno già coinvolto 396 comunità, mentre nel resto del mondo la rete internazionale di Slow Food si sta mobilitando per raccogliere fondi necessari alla realizzazione degli orti. A oggi ne sono stati adottati 400. Sostieni anche tu il progetto: adotta un orto! http://fondazioneslowfood.com/ Oxygen ha adottato un orto in Africa e sostiene il progetto della Fondazione Slow Food

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OVER-PACKAGING Nella maggior parte dei Paesi europei la produzione di imballaggi per gli alimenti (in acciaio, alluminio, vetro, legno, carta, plastica) è in continua crescita. Il Regno Unito, secondo un rapporto EEA (European Environment Agency) del 2009, ha prodotto ben 174 chilogrammi di rifiuti da imballaggio procapite, mantenendo una media piuttosto stabile. L’Italia ha una situazione peggiore: non solo i rifiuti da imballaggio procapite sono maggiori (212 kg), ma nell’arco di 10 anni sono aumentati del 27,7%.

ancora manca, forse, sono le grandi reti in grado di gestire al meglio questa produzione diffusa, con la dovuta efficienza e senza sprechi. È quasi certo che si passerà, vista l'evoluzione tecnologica, da un modello centralizzato a uno diffuso. La stessa cosa dovrebbe avvenire per il cibo: questo non significa tornare a fare gli agricoltori (non tutti, almeno), ma diventare co-produttori. La produzione monocolturale intensiva su vasta scala, la brevettabilità dei semi, la distribuzione in mano a pochi soggetti, il consumo non consapevole, si sono ormai rivelati un unico, immenso, sistema insostenibile. E lo dico non soltanto dal punto di vista ecologico (il che sembra palese, considerando il risparmio di CO2 legato al locale), perché le monocolture riducono la biodiversità (per di più inquinando) e la distribuzione centralizzata crea omologazione, sfruttamento dei contadini e ignoranza nei “consumatori”. Il sistema sta diventando insostenibile anche dal punto di vista economico: mentre i prezzi finali del cibo aumentano, gli agricoltori, su media e grande scala, attraversano difficoltà senza precedenti. Il tutto di fronte a una crisi finanziaria 098

che colpisce tutti, anche quei potentati economici che sul cibo hanno speculato per interi decenni, nell’illusione di controllare l’interno sistema. Ecco, un cibo prodotto prima di tutto per il consumo locale, un nuovo rapporto di prossimità tra città e campagne, nuovi sistemi distributivi a “filiera corta” (dal mercato contadino, a internet, al gruppo d’acquisto), la predilezione per alimenti freschi e stagionali (e quindi, per forza di cose, locali) da parte di chi mangia: tutte queste cose potrebbero contribuire a riequilibrare il sistema. Mangiare locale dovrebbe essere lo slogan tanto dei cittadini co-produttori quanto dei produttori stessi, in una realtà in cui il cibo (per quanto possibile: non dimentichiamo il buon senso, non stiamo parlando di autarchia) viene coltivato, allevato, trasformato, distribuito e scelto, non tanto per il prezzo che può avere, ma per i valori di cui è portatore. Il tutto in maniera diffusa, sistemica (olistica, direi), servendosi di nuove reti tramite le quali sia possibile far circolare tanto il cibo quanto l’informazione che lo riguarda, con le sue storie e le sue “narrazioni”.


Fo

focus on

I consumi ai tempi della crisi Baratti, occasioni, gruppi d’acquisto, consumo collaborativo: la rete risponde alla recessione con mille modi per risparmiare e non sprecare. E a volte nascono vere e proprie filosofie di vita…

Il boom di Groupon 152

115,7 milioni di utenti

83 milioni di utenti

35 milioni di utenti

mila utenti

giugno 2009

ottobre 2010

marzo 2011

Un soldo risparmiato è un soldo guadagnato, soprattutto in tempi di crisi. Da qualche anno internet propone baratti, prezzi stracciati e strategie per spendere meno, e gli utenti aderiscono in massa. Celebre è l’esempio di Groupon, il portale USA nato nel 2008 e oggi presente in 36 Paesi del mondo. Alla base del suo successo vi è l’idea dei gruppi d’acquisto: le offerte si attivano soltanto se un numero minimo di utenti è interessato alla proposta del giorno. Questo meccanismo garantisce i prezzi bassi. Groupon propone attività per il tempo libero – divertimento, vacanze, sport e relax –, ma anche ristoranti e trattamenti di bellezza. Se invece di risparmiare non si vuole spendere neanche un soldo, ci sono siti come Reoose, dov’è possibile barattare una sedia con un cappotto vintage. Ancora più convenienti FreeCycle e l’italiano

Persoperperso, che propongono oggetti esclusivamente gratis. Utili e numerosi, poi, i siti che dispensano consigli su come spendere meno e non sprecare denaro, acqua, tempo ed energia (uno fra tutti: Nonsprecare.it). Sono nate vere e proprie filosofie di vita, alimentate dal periodo di crisi. Per quanto riguarda il cibo, i Freegans (crasi delle parole free e vegan) incoraggiano il consumo di ciò che gli altri buttano via (freegan.info). Tristram Stuart, uno dei teorici del movimento, denuncia l’immenso spreco alimentare che avviene ogni giorno. Anche in Italia, dove la regolamentazione in materia d’igiene è rigida, cresce il numero di associazioni come Last Minute Market, che si occupano di ridistribuire gli alimenti avanzati dalla grande distribuzione. C’è poi chi non si limita al cibo, ma ha deciso di fare

della semplicità il proprio stile di vita: è il caso del downshifting. L’equazione è facile: ridurre lavoro, guadagni e consumi, per aumentare la qualità della vita e il tempo per produrre ciò di cui si ha davvero bisogno. Con collaborative consumption, invece, s’intende un nuovo tipo di consumo: concetti come condivisione, baratto, noleggio, donazione e prestito vengono rielaborati alla luce delle possibilità offerte dalla rete e dalla socialità. Lauren Anderson, della direzione innovativa, parla di «un cambiamento epocale paragonabile alla Rivoluzione industriale. È impensabile mantenere questi ritmi di produzione, le risorse stanno per finire. Il consumo collaborativo è proprio questo: riconsiderare la modalità d’accesso ai beni e il bisogno che ne abbiamo» (collaborativeconsumption.com). (F.B.)

giugno 2011

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Ap

approfondimento

Il glossario del nuovo marketing articolo di Alberto Pastore illustrazioni di Tai Pera

Negli ultimi anni abbiamo assistito a profondi cambiamenti dello scenario economico e competitivo (globalizzazione, liberalizzazioni, crisi, ecc.), tecnologico (rivoluzione digitale, ecc.), sociale (struttura socio-demografica, ruolo dei consumatori, ecc.), istituzionale (ruolo degli stakeholders, responsabilità sociale, ecc.), che hanno determinato una conseguente evoluzione nell’approccio di marketing e di comunicazione delle imprese.

Il marketing vive una vera è propria rivoluzione paradigmatica, lasciando dietro di sé i principi che lo hanno a lungo guidato. A livello generale, tende ad affermarsi il paradigma del marketing olistico o del market driven management, secondo il quale la cultura del marketing va a permeare l’intera organizzazione, andando a ricoprire un ruolo fondamentale nel governo dell’impresa e nello sviluppo della sua strategia relazionale complessiva. Sul mercato di sbocco, l’obiettivo della soddisfazione del cliente viene perseguito anche attraverso il suo massimo coinvolgimento (consum-attore), che parte dai processi di concezione dell’offerta (cliente pro-sumer) per passare alle esperienze di acquisto e di consumo. La comunicazione a sua volta evolve, superando i limiti di una logica broadcasting e unidirezionale rivolta a un’audience passiva e abbracciando sempre più un approccio narrowcasting, personalizzato, interattivo, sociale, esperienziale. Sulla scia di tali tendenze, si osservano alcune forme emergenti del marketing e della comunicazione che descriviamo di seguito nei loro tratti principali. 100

Il marketing vive una vera è propria rivoluzione paradigmatica, lasciando dietro di sé i principi che lo hanno a lungo guidato



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1 Digital marketing

2 Mobile marketing

Social marketing

4 Viral marketing

Il viral marketing (o buzz marketing, o word of mouth marketing) è una forma di marketing non convenzionale che reinterpreta in forma moderna una delle più antiche forme di comunicazione: il passaparola. Si tratta dunque di una forma di comunicazione, realizzata prevalentemente sul web, che fa leva sulla partecipazione attiva dei destinatari alla successiva diffusione del messaggio, generando le condizioni per una crescita esponenziale della sua notorietà e influenza. Quando il messaggio (“idea virus”) è efficace, la diffusione dello stesso avviene autonomamente (in modo incentivato o non) senza ulteriori interventi da parte dell’emittente, grazie alle interazioni che intervengono tra gli utenti stessi.

Il digital marketing comprende tutti gli approcci al mercato che prevedono l’utilizzo degli strumenti e dei canali digitali, anche in sinergia con gli strumenti e i canali tradizionali. La diffusione delle tecnologie digitali apre a enormi opportunità di sviluppo delle relazioni con il mercato. Ne sono esempio le nuove modalità per realizzare la segmentazione e il targeting on-line, le nuove opportunità per la definizione del sistema d’offerta e di gestione del cliente, lo sviluppo di nuovi modelli di commercializzazione e di comunicazione (e-commerce, mobile marketing, social marketing, ecc.) realizzati attraverso l’impiego, anche combinato, di strumenti quali internet, i dispositivi mobili, la TV digitale.

Il mobile marketing concerne tutte le attività di marketing, comunicazione e vendita (M-commerce) realizzate attraverso un canale mobile (applicazioni wireless, mobile phones e smartphones). Una particolare applicazione del mobile marketing è quella del proximity marketing che, identificando la localizzazione del destinatario (ad es. grazie alla tecnologia bluetooth), attiva una comunicazione contestuale e geolocalizzata, con informazioni o contenuti multimediali che sono associati al luogo o al punto d’interesse in cui si trova il destinatario e che pertanto sono di elevato interesse e garantiscono livelli di redemption eccezionali.

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L’attività di marketing svolta nei vari contesti sociali digitali si può distinguere in due principali tipologie: il social media marketing e il social commerce. Il primo è la branca del marketing digitale che si occupa della pianificazione, realizzazione e controllo delle attività di comunicazione di marketing sui media sociali, come blog, forum, community, social network, siti di sharing di contenuti (foto, video, presentazioni). Attraverso l’attivazione e la gestione delle conversazioni con gli utenti/consumatori si può perseguire l’obiettivo di incrementare la notorietà, la familiarità, il riconoscimento, la fiducia e la reputazione del brand. Nell’ambito del social marketing si colloca poi il social commerce (o social shopping), ovvero l’attività di e-commerce realizzata nell’ambito dei social media.


il glossario del nuovo marketing

5 Direct marketing

Il direct marketing (o database marketing) è un sistema di comunicazione volto a interagire con il target definito in modo interattivo, diretto e personalizzato, ottenendo risposte misurabili. Avvalendosi di un opportuno database commerciale, il direct marketing è in grado di impostare delle campagne di tipo narrowcasting (fino ad arrivare al one-to-one marketing), in quanto basate su un customer profiling molto avanzato. Esso si prospetta dunque come un eccellente approccio per strategie sia di acquisition che di up-selling, cross-selling e retention. I principali strumenti del direct marketing sono: direct mail, e-mail marketing, telemarketing, mobile marketing. Dato il potenziale di intrusività di taluni di questi strumenti, sovente si procede alla richiesta preventiva al destinatario del “permesso” di attivare una relazione. Questo particolare approccio di direct marketing viene definito permission marketing.

6 Marketing esperienziale

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Tribal marketing

Neuromarketing

Sulla scorta delle tendenze culturali del consumatore postmoderno (recupero dei legami, ricerca di socialità autentica, ecc.), il marketing tribale consiste in una serie di azioni realizzate dall’impresa per supportare la costituzione e lo sviluppo di gruppi di persone (tribù) non necessariamente omogenee per caratteristiche socio-demografiche, ma accomunate tra di loro dalla condivisione di una forte passione per un prodotto, una marca, un’attività specifica. L’impresa, individuata la tribù e comprese le sue caratteristiche (valori, relazioni, rituali, codici), può operare al fine di rafforzare i legami al suo interno, estenderne le dimensioni ed estrarre valore dalla tribù stessa (branding, passaparola, vendite).

Il neuromarketing applica le metodiche proprie delle neuroscienze per comprendere le risposte dei consumatori agli stimoli di marketing e di comunicazione delle imprese. A questo scopo vengono utilizzate tecniche quali l’eyetracking, il neuro-imaging, l’analisi di parametri biometrici (attività elettrica del cervello, flusso sanguigno, ecc.). I risultati di queste analisi consentono alle imprese di migliorare l’efficienza e l’efficacia delle loro soluzioni di marketing e comunicazione (ad es. packaging, pubblicità, sito web, ecc.).

Il marketing esperienziale, basandosi sulle più recenti indicazioni provenienti dagli studi sul comportamento dei consumatori, fonda l’approccio al mercato dell’impresa sulla centralità e multidimensionalità dell’esperienza di consumo, focalizzando sugli aspetti situazionali. Tale approccio, attribuendo particolare rilevanza ai driver emozionali del consumo, definisce il sistema d’offerta a partire dall’esperienza, la quale viene costruita su diverse dimensioni: sense (percezione sensoriale), feel (affetti ed emozioni), think (processi cognitivi di apprendimento), act (comportamenti e stili di vita), relate (interazione).

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9 Guerrilla marketing

Il guerrilla marketing (o guerrilla communication) è una strategia di comunicazione non convenzionale che, in virtù della forza di un’idea creativa originale, sorprendente e veicolata in maniera sensazionale, si pone l’obiettivo di superare le barriere percettive dei destinatari e di ottenere un’elevata visibilità con mezzi contenuti. Date le peculiarità dell’idea creativa, esso si configura come un approccio di comunicazione a elevato contenuto d’intrattenimento (advertainment). Il buon rapporto tra investimenti e risultati della comunicazione è dovuto al fatto che il guerrilla marketing non prevede l’acquisto di mezzi di comunicazione, ma fa leva da una parte sul passaparola e dall’altra sul media hunting, ovvero sul coinvolgimento dei media per ottenere l’amplificazione del messaggio.

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Product placement

Cause related marketing

Green marketing

Il green marketing (o environmental marketing) consiste nel complesso delle attività volte a generare e favorire lo scambio di qualsiasi bene che soddisfi un desiderio o bisogno umano, secondo modalità che abbiano il minimo impatto sull’ambiente. Nell’ottica dell’impresa, il green marketing si pone l’obiettivo di indurre il cambiamento degli stili di vita e la riqualificazione dei consumi facendoli percepire come normali e, conseguentemente, la propria product offering “verde” come attraente e preferibile. È un approccio da non confondere con il green washing, che consiste all’opposto di voler far sembrare “verdi” le attività normali dell’impresa.

Il product placement è una forma di comunicazione in cui prodotti, packaging, brand name, logo, corporate name sono intenzionalmente posizionati in contesti narrativi (ad es. film o programmi televisivi) in cambio di un corrispettivo monetario (production fee) o extra-monetario (ad es. fornitura di attrezzature, servizi gratuiti, ecc.), secondo un accordo tra società di produzione e impresa inserzionista. Il product placement ha un’elevata efficacia comunicazionale in quanto l’inserzionista si avvantaggia delle associazioni tra il suo messaggio (prodotto, brand, ecc.) e gli elementi del contesto narrativo (trama, protagonista, attore, ecc.) e si rivolge a un destinatario che è maggiormente disposto a ricevere un input comunicazionale (purché garbato).

Il cause related marketing comprende le attività di marketing collegate a una causa sociale e realizzate in collaborazione tra un’impresa profit e un’organizzazione non profit. Tale collaborazione può prevedere diverse forme: l’impresa trasferisce alla non profit una quota dei vantaggi economici derivanti dal progetto congiunto (ad es. una promozione); l’impresa veicola il messaggio della non profit attraverso i suoi prodotti o le sue attività; l’impresa riconosce delle royalties in relazione all’utilizzo del marchio della non profit; l’impresa collabora nella raccolta di fondi per la causa della non profit. Si tratta di un approccio cui le imprese pongono crescente attenzione per dare contenuto alla Responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsibility – CSR).


Fo

focus on

I consum-attori Il consumatore passivo non esiste: sempre più spesso le aziende si affidano alla sua esperienza per ideare prodotti e servizi. In cambio della creatività, chi consuma ottiene parità e gratificazione personale

Dal consumatore al produttore

azienda

prodotto

C’era una volta un mercato in cui i produttori producevano e i consumatori consumavano. C’era una volta, ora non più. Sempre più spesso, infatti, le aziende aprono il reparto creativo alla collaborazione con i clienti: è il fenomeno della “cocreazione”. L’idea è semplice ed efficace: chi meglio dell’utente conosce il prodotto? Chi vorrebbe migliorarlo? S’innesca così un processo di collaborazione orizzontale, in cui il cliente partecipa allo sviluppo di idee proposte dall’azienda stessa. E internet, ancora una volta, si dimostra, essere il medium privilegiato. Se NIKEiD è il portale della nota azienda sportiva su cui è possibile progettare e mettere in commercio scarpe e capi d’abbigliamento, “Nel Mulino che vorrei” è l’iniziativa promossa da Mulino Bianco/Barilla per raccogliere e valutare le idee dei clienti. I progetti realizzati sono diversi: dai biscotti integrali a ridotto contenuto di grassi alle

consumatori

confezioni luminose dei Pan di Stelle. La Glaceau Vitamin Water, azienda specializzata in acque aromatizzate, ha lanciato invece su Facebook un contest per creare il nuovo aroma: amarena e lime è risultata essere la combinazione vincente, e anche il packaging e il nome della bevanda (Connect) sono stati proposti dagli utenti. Se quindi, da una parte, i clienti traggono diretto vantaggio dal miglioramento del prodotto, le aziende beneficiano della collaborazione sia in termini di fidelizzazione, sia di ritorno d’immagine. Sembra addirittura che gran parte degli utenti siano pronti a mettere gratuitamente a disposizione la propria creatività, a patto che nutrano stima per l’azienda in questione. Addio quindi al consumatore passivo, è ora di parlare di “consum-attori”: soggetti capaci di veicolare all’interno dell’azienda alcune idee provenienti dalle fasce

sondaggi

l'azienda ritira i dati dei sondaggi

prodotto selezionato dai consumatori

periferiche. Persino Lego ha da tempo inaugurato la collaborazione con i propri clienti. È possibile progettare, servendosi di un software virtuale, nuove costruzioni composte dai famosi mattoncini colorati: i migliori saranno poi prodotti e immessi sul mercato. (F.B.)

Chi meglio dell’utente conosce il prodotto? Chi vorrebbe migliorarlo? S’innesca così un processo di collaborazione orizzontale, in cui il cliente partecipa allo sviluppo di idee proposte dall’azienda stessa 105


Co

contesti

Ikea e Zara. Quando il CEO sei tu articolo di Gennaro De Michele

Due imprese che hanno dimostrato che percorrere una strada ardita e sconosciuta può portare a risultati inimmaginabili e a un successo che si misura, oltre che con un fatturato miliardario, con la creazione di uno stile inimitabile.

Quando chiedevano al grande fisico Niels Bohr lumi sull’intuizione che lo aveva portato al suo famoso modello atomico, egli rispondeva laconico: «È difficile spiegarlo; ci vorrebbe una poesia». Anche nel mondo degli affari accadono cose simili e non appaia strano che per parlare di aziende, anche se eccezionali, si citi una frase di un antico poeta, anzi di un santo poeta, San Giovanni della Croce: «Per raggiungere il punto che non conosci, devi percorrere la strada che non conosci». La prima impresa di cui si parlerà è Zara, che, con un fatturato di nove miliardi di euro, è una delle aziende di abbigliamento più grandi del mondo. Il percorso che ha portato questa impresa al successo è difficile da descrivere e s’intreccia con le vicende umane del fondatore delle società: lo spagnolo Amancio Ortega Gaona. Per capire l’importanza del personaggio è utile richiamare il concetto giuridico di impresa che nell’Art. 2555 del Codice civile italiano è definita in modo perfetto come «il

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complesso dei beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio della sua attività». Si tratta in pratica dell’utilizzo di una pluralità di beni non per trarne l’utilità diretta che ciascuno di essi è in grado di offrire, ma del conseguimento di un vantaggio ulteriore e unitario, attraverso il loro sfruttamento coordinato secondo un programma organizzativo delineato proprio dall’imprenditore. Tale definizione sottolinea la rilevanza del vincolo funzionale che unisce i vari elementi costitutivi dell’azienda e il ruolo superiore dell’imprenditore. Quindi per capire Zara è essenziale partire da Amancio Ortega e dal suo rapporto con il mondo degli affari, un rapporto che si forma nel negozio, cioè nel contatto diretto e continuo con il pubblico, soprattutto femminile. Da questa esperienza Amancio trasse una geniale intuizione: la moda e la durata dei capi di abbigliamento non vanno di pari passo e ciò determina armadi pieni di vestiti sempre più obsoleti che, per la qualità dei tessuti, conservano lo stesso aspetto


e le stesse virtù che avevano al momento dell’acquisto, ma sono ormai vecchi e un po’ tristi. Da qui nasce la prima intuizione di Zara: il ciclo di vita dei capi d’abbigliamento deve adattarsi al mutevole capriccio della moda. Dunque, se non è necessario e magari neppure conveniente che i vestiti durino troppo, essi potranno essere prodotti a costi inferiori, così che a parità di spesa una persona possa permettersi di cambiare frequentemente il suo abbigliamento. Per realizzare quest’idea occorre che tutta la catena produttiva sia molto veloce; per renderla tale, Zara sceglie una via antica che si differenzia nettamente da quella percorsa dai suoi principali concorrenti. Infatti, mentre tutti dislocano la produzione, Zara decide di rimanere in Spagna integrando verticalmente la sua azienda. In questo modo l’azienda spagnola è in grado di effettuare il ricambio della merce nei suoi 5000 negozi ogni due settimane praticando la cosiddetta “gestione della rarità”. In altre parole, in un negozio Zara il rinnovamento delle collezioni è così rapido e il prezzo dei capi così conveniente che ognuno di essi appare unico e il suo acquisto un’occasione da non perdere. Un‘altra idea di Zara è stata quella di mettere in primo piano i suggerimenti dei compratori e invece di orientare le persone a indossare i capi proposti dalle “firme”, fa in modo che le sue fabbriche producano ciò che i clienti desiderano indossare. Gli stilisti di Zara infatti ricevono ogni giorno dai negozi le informazioni sui gusti e le aspirazioni di acquisto dei clienti, che i commessi acquisiscono parlando con loro proprio come faceva Ortega nel negozio dove aveva lavorato per 15 anni. Un approccio simile, con

qualche rilevante variante, è stato introdotto nel campo dell’arredamento da Ikea che, con un fatturato di 25 miliardi di euro e un organico che supera le 150.000 unità, è una delle più grandi aziende del mondo. Fin dal 1943, anno in cui è stata fondata, la ricerca dell’ottimizzazione è stato il filo conduttore voluto da Ingvar Kamprad che ha caratterizzato la crescita dell’azienda svedese. Il risultato più evidente di questo approccio si ottenne quando un dipendente Ikea ebbe l’intuizione di smontare le gambe a un tavolo per riuscire a caricarlo sulla propria auto. Era nato il “trasporto e montaggio fai-da-te” e da quel giorno Ikea cominciò a progettare gli elementi di arredo in modo diverso. Da allora ogni prodotto viene praticamente creato con un processo inverso, partendo dal montaggio, che non deve essere un peso per i clienti ma la maniera con cui aderiscono all’acquisto con un contributo personale che comporta fatica, a volte divertimento, e un sostanzioso risparmio. Oltre che con il montaggio i compratori collaborano all’impresa con i loro feedback, che arrivano ai designer con un meccanismo analogo a quello di Zara. Ottimizzazione vuol dire che passare dall’albero al mobile per Ikea non è scontato e ci deve essere un perché per tutto, non solo per la forma e il colore dei pezzi di arredamento proposti, ma anche per la loro posizione nel catalogo e nell’esposizione nel negozio. Zara e Ikea, Amancio e Ingvar due imprese e due imprenditori che hanno dimostrato che percorrere una strada ardita e sconosciuta può portare a risultati inimmaginabili e a un successo che si misura, oltre che con un fatturato miliardario, con la creazione di uno stile inimitabile e irresistibile.

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Co

contesti

Il superfluo necessario articolo di Renata Molho fotografie di Stephane Cardinale

«Ancora oggi, al di là di tutte le speculazioni e le analisi filosofiche, al di là delle considerazioni elevate, per le quali la conoscenza e la cultura, la sensibilità e l’inclinazione al bello, l’autentica eccentricità, la disponibilità di tempo rappresentano il vero lusso, oggi per lusso s’intende prodotti da vendere, perché restano caricati di tali e tanti significati simbolici, da diventare il veicolo primo e più importante del sogno. Un marchio che sappia comunicare, rappresenta la via che conduce alla luce».

È evidente il cambiamento radicale in atto. Siamo nel mezzo di un guado impegnativo: il letto del fiume che stiamo attraversando riserva sorprese continue. La consistenza stessa del terreno su cui ci si muove è insidiosa, paludosa. Sabbie mobili improvvise trasformano quella che a volte appare come una piccola isola sulla quale riprendere fiato, in una melma subdola e pronta a inghiottirci. La riva opposta è talmente lontana che non la vediamo e il vento agita le acque creando vortici improvvisi che sembrano vanificare tutti gli sforzi precedenti. Qualsiasi riferimento, parametro o paletto che un tempo rappresentava una traccia, si è sgretolato. Impossibile quindi anche agli economisti più avveduti fare previsioni credibili. Detto questo, cresce la nostra ammirazione per i Maya, che leggendo le stelle videro giusto, pur dandone un’interpretazione adeguata ai loro tempi: l’imminente fine del mondo 108

che preannunciarono non sarà lo spegnimento del Sole, ma un certo sistema di valori e di economia che deve fare i conti con i propri limiti e i propri errori. Questo comporta un ribaltamento di tutto e la ricostruzione su basi ancora sconosciute. Ma, si sa, lo tsunami finisce con il distruggere le case più fragili, gli agglomerati sorti spontaneamente troppo in riva al mare e su terreni geologicamente disinvolti. Chi sta più in alto e in costruzioni solide il problema lo ha vissuto spesso più da spettatore che da protagonista. E, direi, il senso di morte e distruzione fin qui era talmente faticoso da accettare che spesso si interpretava il proprio privilegio come una necessaria esorcizzazione. Da qualche tempo però c’è una forte inversione di tendenza: la posizione acquisita con il proprio lavoro, l’eventuale notorietà, se supportati da una buona educazione e un forte senso civile, possono contribuire a

Il lusso è sopravvissuto a guerre, pestilenze, crisi, rivoluzioni e quant’altri flagelli l’umanità ha conosciuto. Il lusso non è mai scomparso, e pensare che sia finito equivale a pensare che l’umanità ritorni a un concetto primitivo della sua esistenza.


dare un orientamento intelligente alla società, anche usando gli strumenti del consumo. Così quel che all’apparenza sembra rappresentare il superfluo diventa sempre più necessario. La nuova frontiera del lusso è nella coscienza, nella consapevolezza. «Lo slogan quest’anno è “Giving back is the new luxury”», ci ricorda Franca Sozzani, editorial director di Condé Nast, direttrice di “Vogue Italia”, nominata Goodwill Ambassador ONU per la moda. «Credo che lusso sia la condivisione, il ragionare “We” e non più “I”. Questo è il mio primo pensiero. Si possono aggiungere i valori applicati al vivere e i risultati positivi che riesco a raggiungere. Sono certo lussi immateriali, ai quali affiancherei “cose” che hanno in sé un valore intrinseco: per come sono fatte, per la loro unicità». Ed ecco che la sostenibilità di un prodotto, e la garanzia del rispetto etico che stanno dietro a un qualsiasi og-

getto del quotidiano, diventano fattori prioritari nella scelta. I marchi e le aziende più sensibili, insieme al principio di unicità, di edizione limitata, sono sempre più attenti alle norme del politically correct. «Nel definire il lusso oggi – prosegue Sozzani – occorre passare dal concetto di “costo” a quello di “valore” di un oggetto: il valore in sé è l'elemento che qualifica il lusso di oggi e lo differenzia da quello che è considerato in momenti di economia agiata, ovvero come semplicemente “caro”, quindi di lusso. E in questo senso senza dubbio la reazione del mercato è buona. E ci sono possibili aperture». Il mercato del lusso, infatti, a dispetto di altre voci dell’economia, continua ad apparire fiorente. Le ragioni sono da ricercare, per Franca Sozzani, nella logica di ogni periodo di ristrettezze: «Si acquista meno, riflettendo e seguendo il criterio dell'oggetto di qualità, anche dure-

vole. Il che, nella moda, non significa forzatamente un classico o qualcosa che rimanga anche dopo molte stagioni, ma un capo che abbia intrinseca qualità di fattura tanto quanto di creatività». Ripenso a una conversazione avuta tempo fa con Patrizio Bertelli – amministratore delegato del gruppo Prada –, che mi sembra più che mai acuta e pertinente: «Il lusso – mi diceva – è sopravvissuto a guerre, pestilenze, crisi, rivoluzioni e quant’altri flagelli l’umanità ha conosciuto. Nelle varie epoche il lusso si è espresso in forme diverse e ha conosciuto un’evoluzione che è andata di pari passo con quella culturale dei popoli. Il lusso quindi non è mai scomparso, e pensare che sia finito equivale a pensare che l’umanità ritorni a un concetto primitivo della sua esistenza». Il lusso infatti assume i caratteri di un’ideologia, di una religione. Ha i suoi idoli, i suoi officianti e una serie 109


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di adepti fedeli. È esclusione e separazione. Con tutto ciò che ne consegue, le sue endemiche incongruenze, chiare a quelli che ne stanno al di fuori, agli atei, ai laici, ma sconosciute a tutti quelli che scelgono la dorata sordità, in nome di un’appartenenza. Ed è proprio su questi principi che si fonda l’industria del lusso. Quell’universo parallelo che racconta di benessere interiore, di bellezza che influenza i pensieri ed eleva lo spirito. Non è casuale che, ancor più delle beauty farm, oggi siano affollati i centri yoga e le mete che raccontano di mistica, che promettono massaggi all’anima. Ma, più realisticamente, qui intendiamo per lusso proprio le merci, i prodotti materiali che continuano a rappresentare il vero distinguo nella quotidianità: i vestiti, le borse, le scarpe, gli occhiali, i gioielli, le automobili, le case e l’arredamento, gli alberghi. E, sempre più consapevoli della contraddizione semantica nella quale tut110

ti sono incorsi, in quell’inseguimento ai grandi consensi, ai grandi numeri, parlando di un’esclusività che perdeva forza man mano che si andava diffondendo, ecco che ogni marchio produce un’edizione limitata.

Quel che all’apparenza sembra rappresentare il superfluo diventa sempre più necessario. La nuova frontiera del lusso è nella coscienza, nella consapevolezza. Crea una nicchia all’interno della propria galassia di prodotti, per alimentare il desiderio dei più esigenti. Inoltre, se l’Occidente ha già compiuto l’intera parabola culturale e risulta praticamente saturo, una

schiera di nuovi ricchi, affamati di quegli status symbol che una parte di mondo ha già consumato e che quasi snobba, è ancora nella parte ascendente della stessa parabola che noi abbiamo percorso avidamente e sulla quale abbiamo costruito imperi. Perché spesso la logica non ha niente a che fare con il lusso. Fino a poco tempo fa – mi raccontava un giovane rampollo di una dinastia africana – girare per il suo assolato Paese con un cappotto in cashmere di una nota marca italiana, sul braccio, significava molto: con un gesto si raccontava della propria condizione sociale elevata, della consuetudine ai viaggi in Paesi lontani e freddi, creando un’immediata distanza tra sé e gli altri. Sappiamo che l’Asia rappresenta una certezza e una speranza per il futuro, così come i Paesi del BRICS e in qualche modo l’Argentina. Cambiano gli scenari, l’asse si è spostato, ma il “Re-


il superfluo necessario

Lusso 2012: la Cina conquista la vetta? Secondo il rapporto 2011 della World Luxury Association, il valore del mercato del lusso in Cina potrebbe arrivare a 14,6 miliardi di dollari nel 2012 e il Paese asiatico potrebbe superare il Giappone e diventare il più grande mercato al mondo dove si consumano prodotti di lusso. Nel 2011, la quota di mercato della Cina è stata del 27%, di poco inferiore al Giappone (29%), ma superiore al 14% degli Stati Uniti e al 18% dell'Europa.

gno del Lusso” (voce importantissima del patrimonio nazionale) che si fonda proprio sul capriccio, sul desiderio di ribadire il proprio stato sociale superiore, non è cambiato. Ma che cosa significa oggi distinguersi? Siamo lontani dai modi e dalle atmosfere descritte da Roger Peyrefitte in L’esule di Capri, quando raccontava dell’arrivo sulla piazzetta di Marina Grande, nell’estate del 1920, della Marchesa Luisa Casati (1881-1957): «La Marchesa indossava un cappello da astrologo dal quale partivano lunghi veli che avvolgevano la sua persona. […] Indossava campanelli alle orecchie. […] Avanzava con una sfera di cristallo tra le mani per raffreddarle. Una delle sue cameriere reggeva un cespuglio di ferro battuto che sosteneva melograni dipinti di un rosso acceso, e un’etichetta annunciava essere un regalo di Gabriele D’Annunzio. Un moro si occupava dei due levrieri al guinzaglio incipriati color mauve, e di un leopar-

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do. Un granduca teneva d’occhio tre gabbie contenenti, rispettivamente, un boa constrictor, alcuni pappagalli e un gufo. Innumerevoli bagagli e suitcase erano impilati e completavano la processione di carrozzelle». Ma, pur cambiando modalità comportamentali e lessicali, la sostanza non è diversa. Ancora oggi, al di là di tutte le speculazioni e le analisi filosofiche, al di là delle considerazioni elevate, per le quali la conoscenza e la cultura, la sensibilità e l’inclinazione al bello, l’autentica eccentricità, la disponibilità di tempo rappresentano il vero lusso, oggi, dicevamo, per lusso si intende prodotti da vendere, perché restano caricati di tali e tanti significati simbolici, da diventare il veicolo primo e più importante del sogno. Un marchio che sappia comunicare rappresenta la via che conduce alla luce: in quel luogo ovattato e sicuro, garantito, dal quale si combattono il male e il dolore del mondo. 111


Rb

rubriche

| future tech

Da spettatore a produttore articolo di Simone Arcagni

“Fandome” (cinematografico e televisivo) è il “regno del fan”, luoghi dove i fan di un film o di una serie possono scambiarsi idee, commenti, anteprime, ma anche provare a remixare il proprio film del cuore o pensare a finali alternativi, sequel e prequel. Un mondo in cui lo spettatore diventa utente attivo, spesso persino ascoltato dalla stessa produzione (il caso più evidente è quello del rapporto tra George Lucas e i fan del “suo” Guerre stellari).

Fandome è il “regno del fan”, cioè dove i fan di un film o di una serie televisiva possono scambiarsi idee, commenti, anteprime, ma anche provare a remixare il proprio film del cuore o pensare a finali alternativi, sequel e prequel. Un mondo in cui lo spettatore diventa utente attivo, spesso persino ascoltato dalla stessa produzione. Pratiche di commento, appropriazione e rielaborazione che Henry Jenkins ha posto al centro di quella modalità di produzione e marketing contemporaneo che ha definito “convergenza mediale”. Esemplari per Jenkins sono i casi di trasmissioni televisive come Survivor, che ha visto nascere una comunità di fan in grado di organizzarsi attraverso

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competenze e che ha mutato la natura stessa del consumo televisivo. O ancora American Idol (qualcosa di simile a X Factor) in cui il pubblico è protagonista, anzi è chiamato a esprimere la propria partecipazione emotiva e, d’altro canto, proprio in questo suo trasporto emotivo la pubblicità trova un potenziale di seduzione e attrattiva. Il programma stesso non ha confini netti tra pubblicità e spettacolo. Ma il caso maggiormente emblematico, anche della problematicità di questo nuovo protagonismo dei fan sui media, è quello di Guerre stellari, con George Lucas impegnato da una parte a incoraggiare l’entusiasmo dei fan chiamandoli in causa, rispondendo direttamente

Life in a Day —

È un documentario di Ridley Scott e Kevin MacDonald ed è il risultato del montaggio di riprese autobiografiche effettuate il 24 luglio 2010 da 80.000 utenti


alle loro sollecitazioni e addirittura dando spazio a loro interventi creativi (come nel caso di Star Wars Galaxies in cui i consumatori sono stati chiamati a creare contenuti aggiuntivi); e dall’altra la produzione di Guerre stellari è bene attenta a definire paletti rigidi a difesa dei contenuti e dei diritti. Una delle parole d’ordine in cui ci s’imbatte spesso è crowdsourcing per i contenuti mediali tramite Rete, cioè la partecipazione attiva del pubblico che da spettatore si fa produttore (almeno in parte) dei contenuti che consuma. Spesso i prodotti realizzati in crowdsourcing sono opere partecipate (la piattaforma può essere un sito o un social network) e crossmediali, cioè aperte alla collaborazione degli utenti e che prendono forma in diversi testi per media differenti. Pratiche che spiazzano non solo la classica definizione di opera e di autore, ma ridefiniscono anche le figure di user, consumer e prosumer. Life in a Day, per esempio, è un documentario di Ridley Scott e Kevin MacDonald ed è il risultato del montaggio di riprese autobiografiche effettuate il 24 luglio 2010 da 80.000 utenti di YouTube. Presentato al Sundance Festival 2011 e successivamente alla Berlinale 2011, è forse il primo lungometraggio hollywoodiano realizzato (con l’appoggio di Google) in crowdsourcing. In Italia esiste CINEAMA, una piattaforma per produrre film tramite crowdsourcing: gli utenti leggono l’idea e decidono se partecipare o meno alla produzione del film, mettendo soldi ma anche idee e commenti. Diverso è invece il significato delle pratiche di remix e mash-up: in quel

caso l’utente utilizza un’opera preesistente per rimontarla, ricrearla, magari parodiarla. Il testo diviene un materiale smontabile e citabile a volontà (leggi sul copyright permettendo). A Roma è nato addirittura un festival che mostra e premia queste opere: si chiama MAshRome Film Fest ed è dedicato alla pratiche di mash-up e remix con cui gli utenti possono realizzare i loro film a partire da quelli che più amano. Il pubblico cinematografico e televisivo chiede di diventare protagonista, di poter partecipare attivamente al proprio intrattenimento, ma anche alla diffusione del proprio programma o film di culto. Partecipe proprio come lo è online tramite i social network o i siti interattivi. Una partecipazione che sposta l’asse del proprio interesse dalla fruizione alla produzione, creando una sorta di dimensione ibrida in cui lo spettatore sempre più definisce la propria programmazione, come nel caso delle smart o web TV. Ma entra anche nella fase produttiva, commentando e sostenendo una produzione o aiutando a realizzarla, o ancora vuole mettere il suo segno sulla propagazione della fama del suo video preferito, commentandolo, citandolo, parodiandolo o remixandolo. Insomma, lo spettatore è artefice del testo più che semplice fruitore passivo. Un passaggio reso possibile non solo dall’informatizzazione dei testi e dalla loro messa in circolazione operata dalla Rete, ma anche dalla diffusione di device (video fonini, notebook, tablet, ecc.) e dalla disponibilità di software user friendly che fanno di ogni spettatore un potenziale regista, sceneggiatore, autore.

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Febbraio 2012

Marzo 2012 Andrea Lavazza e Luca Sammicheli Il delitto del cervello La mente tra scienza e diritto

David Brooks L’animale sociale pp. 480 circa, euro 28,00

pp. 300 circa, euro 15,00

Neuroscienze e diritto a confronto sui temi delicati della colpa, del libero arbitrio e della punizione.

Michio Kaku Fisica del futuro

Philippe Kourilsky Il manifesto dell’altruismo

pp. 500 circa, euro 29,00

pp. 160 circa, euro 19,00

Un viaggio coinvolgente attraverso i prossimi cento anni di rivoluzioni scientifiche.

Radunare una moltitudine attorno a valori morali costruttivi: ecco una bella impresa politica. E non è fuori dalla nostra portata.

Sherry Turkle Insieme ma soli Perché ci aspettiamo più dalla tecnologia e meno l’uno dall’altro

David J. Linden La bussola del piacere

pp. 400 circa, euro 27,00

«La bussola del piacere è un libro superbo. La vostra mente non sarà più la stessa dopo averlo letto» (The Guardian).

«Sherry Turkle è la nostra techno-Freud» (Kevin Kelly).

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Un libro potente e suggestivo: il manifesto del nuovo umanesimo che ci sta regalando una visione più profonda della natura umana.

pp. 240 circa, euro 23,00


15 02.2012 Science for everyone Co cover

SMART CONSUMERS “I am not one thing, and my expenditure another. My expenditure is me. That our expenditure and our character are twain, is the vice of society.”

Ralph Waldo Emerson, 1860

“We use the electronic shopping cart but do not give up making a visit to the local store, just as we use the iPad, but we have not stopped reading paperbacks, or going to the movies. The consumer wants everything and knows what he wants. He's looking for something that makes him happier, now. Each of us looks at the price, makes comparisons, but then when it's time for the purchase, it will be guided by the heart and not by the brain. Those who understand the changes taking place know that there are great opportunities. Oldfashioned marketing is over and the objective of our advertising is no longer to pump up the markets, but to create movements, groups, come up with new ideas and that creativity that leads people to make their purchases not based on the price or the brand, but on the emotions that the products can give.”

Kevin Roberts, 2011

Ed editorial

THE SMARTER CUSTOMER by Kevin Roberts

The “smart” customer is not so new. She was driving bargains when spears were technology, when campfires were markets, and when stone was currency. As ad maestro David Ogilvy said: “the consumer is not a moron, she’s your wife.”

The 21st century is the time of the smarter customer. The gods of technology, connectivity and mobility have invested her with super powers. She has a choice set beyond belief. To get what she wants, and at best price, she has a super computer in her handbag. It has more computing power than NASA had in 1969. For marketers, the fundamentals of winning loyalty haven’t changed in millennia. Loyalty starts with the answer, and it works back. The answer is people, and the heart that drives us, that moves us, that compels us to share. Reason leads to conclusions, emotion leads to action. Brands failed to understand this, and have become empty shells. For half a century they

clubbed captive audiences over the head remorselessly with ER word claims like “whiter”, “brighter” and “cheaper”. It took real emotion to cut through the noise. Italy’s Carosello was an early inspiration. People are getting smarter because things are, and it’s going to the core of everything. The Industrial Internet is sensing in advanced ways to help humanity, from energy conservation to health care. Today, customers are ‘smarter’ because they are freer, free to avoid, engage and interact with a commercial offering – and free to participate in the idea, to be part of it, and to improve it. If an idea feels like a beautiful conversation, people don’t care if it comes from hard commerce, radical culture or

soft cause – nor how it arrives. The conversation beyond brands goes: “let me make your life better, help me know you better, and lets make the world a better place together.” Some enterprises are on it. Converse is aiming for people to design and sell their own Converse shoes. Radiohead lets musicians and fans remix its tracks. T-Mobile with “Life’s for sharing” has let people become part of the advertising through song, dance and fun together. Create a shared emotional experience, and you create Loyalty Beyond Reason. Today we live in a global Participation Economy, where marketing is as dead as brands. Here are the five interlacing keys to turn brands into Lovemarks:

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1. Pulse the Now

3. Make Value Priceless

People are connected 24/7. We are ‘always on’, but more than that, living in the moment, a place more joyful than the regrets of yesterday and fears of tomorrow. Around 80% of people’s happiness is in the Now. Nothing is ever finished. We are in permanent beta mode. People are driven by primary impulses to go where the brightest light flashes. Speed and rapid fire innovation is critical. Tomorrow is too late. Act today, because expectation is instant. Audiences respond immediately, and expect an immediate response. The moment is where emotion rules. The premiums on original ideas that connect emotionally will keep rising. People decide what counts in the flash of a moment, and shared decision-making is built in into life by technology. Now is the only operational framework. Welcome to the Age of Now. The Now is passion-delivered and it is emerging all around us. Spot something you love while watching the History Channel? Click buy. Need an instant personalized banner to wave at the airport? Done. An app to steer your grocery cart, with coupons? It’s happening. Pay now, queue not? Go mobile phone.

4. Stand up the Storytellers

5. Share Three Secrets

The old consumer question is “how cheap are you?” For the smarter consumer, the best price is a starter. Her burning question is: “how will you improve my life?!” How can I be the hero of the experience, not the brand? The killer answers are Purposeinspired, Benefit-driven. Purpose-inspired switches “pricefocused” product to “priceless” experience, satisfaction to exhilaration. In Gen Y America, the Great Recession has created one purchase criteria despite large differences in income. It’s not about “cheap” or “basic.” The question is: does the product reflect my beliefs and offer solutions for how I live? The priceless experience lets the customer be part of a dream that’s bigger than she is, one she can share, and at a price she can believe in. Charles Dickens applies: “A penny saved, is a penny got.” Procter & Gamble is a leader in providing priceless value: “Touching lives, improving life”. Apple became priceless with “Think Different”, letting people project themselves into a tribal feeling.

We live in a “Lifestream” (as Yale Professor David Gelenter calls it), riveted to the Now in a story streaming our lives from past to future through multiple channels. The more platforms we invent, the more content we share, the more stories we need. Stories deliver meaning and magic in the avalanche of digital information. As Futurist Rolf Jensen has said: “The highest-paid person in the first half of this century will be the story-teller.” There are up to 30 different types of screen devices in our lives, from TVs to PCs to tablets, from mobiles to ATMs to billboards and kiosks. We are all “screenagers”, influenced fastest by sight, sound and motion. Great content wrapped in story, not ‘digital’, is the communications business model. Smarter customers have only three questions: 1. Do I want to experience it again? 2. Do I want to share it? 3. Do I want to improve it? Great stories say ‘yes’, special effects optional. They create a bigger meaning, delivering a consistent equity through lives, across screens, across borders, across retail, creating buying momentum end to end. They locate our fears, hopes and dreams – vampires and werewolves included! They deliver compelling truth. They introduce us to great characters we want to spend time with. And great stories make us laugh. Humor is the short cut to the heart.

All the allure, touch and empathy that brands stripped out of advertising have to return. ‘Communicators’ typically bore people to death with information, emails, demos, benefits, and all the ER words. Connectors create fields of love bigger than any brand, with mystery, sensuality and intimacy. Mystery is inspirations, dreams, icons, symbols, stories, and sharing the unknown. Gamification is pure mystery. For engaging Millennials, MTV underlines playing fair, constant feedback on the leaderboard, smart-cuts like back stairs to the next level, adrenaline fixes (a gum that changes flavour mid chew!), and handing over the joystick. Vision, sound, scent, touch, and taste can mix loyalty beyond reason in infinite ways and plays. Smarter retail is infinite selection, instant price transparency, friends’ recommendations, sensory gratification now and cool social events. Intimacy brings it all together with empathy, commitment and passion. It’s the brand in the audience’s heart, not the audience at the brand’s heart. It’s the biggest market out there – what women want. It’s mobile phone as life navigator. It’s acting local, not just going global. It’s the perfect gesture for the ageing shopper. Intimacy is the future beyond brands. Welcome to Lovemarks.

2. Be a Creative Leader Success in the Now demands creative leadership because only creativity cuts through the tsunami of Internet noise. Only creativity has unreasonable power. How to inspire the smarter customer? Have lots of small ideas, continuously. Big ideas are scarce, strung out over time, investment hungry. The big idea is usually stumbled on, found one degree away, or is made for you by your audience. Creative leaders constantly reframe, they surprise with the obvious, and they eliminate mercilessly. Steve Jobs was a serial eliminator, from the floppy drive to the physical keyboard.

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english version

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Sc scenarios

SMART CONSUMPTION AND COLLABORATIVE GENES In America, a lot of attention was focused on measuring the return of ‘classic’ consumption (with the triumph of low-cost consumption) as an indicator of an economic recovery. Is this the beginning of the end of the crisis? Or is it just a confirmation that the families with tighter and tighter budgets have to be at each other’s throats to get the products on sale? […] If ‘frugal consumption’ can undermine even the most commercial of all holidays, the crisis has actually been good for something: the entrance into our daily lives of the idea that we live in an ‘Age of Access,’ in which the important thing is to be able to use things, not accumulate them. by Federico Rampini

To speak of post-consumerism, “smart” consumption, may seem like an elitist escape to the future in a world dominated by a much more fundamental, ancient and dramatic problem: where to find purchasing power; how to revive consumption to avoid a relapse into recession. It is an appropriate reflection, evoking the atmosphere that I experienced in America during the Christmas festivities: when a lot of attention was focused on measuring the return of “classic” consumption as an indicator of an economic recovery. Regarding the media coverage of the last months of 2011 and the beginning of 2012, the dominant theme was the triumph of low-cost shopping, thanks to the most frenzied advertising for discounts in history. Or is it, instead, a confirmation that families with tighter and tighter budgets have to – literally – be at each other's throats to get the products on sale? And the question that the experts have asked themselves is also very traditional. Is this the beginning of the end of the crisis? As soon as they finished their

Thanksgiving turkey, 82 million shoppers rushed to the big chain stores: from Wal-Mart hypermarkets to Target department stores, from the Best Buy electronics chain to the Apple Stores. The sales skyrocketed, magically reaching pre-crisis levels: we returned to a turnover similar to 2007, wiping out four terrible years. On the following Monday, sales did even better with on-line shopping: that so-called “Cyber Monday” recorded an all-time high in the volume of sales on the Internet. All this thanks to wisely directed marketing, which for years has turned the day after Thanksgiving into an orgy of sales. Both the traditional retailers and big digital stores such as Amazon attract consumers with very special offers. The buying fever, that reaches hysterical peaks and degenerates into episodes of violence, is artfully fostered. These excesses are not new, what is new, instead, is the extreme politicization for which it is used. The revival of consumerism, especially in the low-cost version, has become a new starting point for ideological battle, in

the polarization of the American debate. The television talk shows have competed for different interpretations, depending on the geo-politics of the network. On the right, the first impulse was to “appropriate” the return of consumerism, reading into it a defeat of the Occupy Wall Street movement. In some American cities – very few, in fact – the indignant had hinted at taking their protest in front of the big department stores. “America deeply loves its capitalism, here's the proof: the Black Friday onslaught” was a leitmotif of Rupert Murdoch's Fox News. The rightwing commentators themselves, however, were assailed by doubts. If this revival of consumerism were to mark the beginning of recovery, then the chances of Barack Obama’s re-election in November 2012 could rise again. Thus, the need to underline “lowcost” and to correct the slant toward a negative reading of Black Friday and Cyber Monday: the shoppers' impetuosity is a sign of desperation, with their buying power exhausted by the crisis, so American families have had to pounce on special offers or else

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risk not being able to afford the presents under their Christmas tree. The “left-wing” interpretation had the same fluctuations and swerves. There was initial euphoria, precisely because the election campaign of 2012 will be entirely played out in the arena of the economy and we must hope for a reversal of the last three years. Then, however, repentance surfaced even among the progressives. Can you cheer for the Occupy Wall Street movement and for the return of consumption at the same time? Is it politically correct to entrust the re-election of Obama to a return to the old model of development? After all, we must not forget that the very logic of low cost was at the origin of the disaster. The subprime loans were also low cost, in the proper sense: a ploy to give credit to those who had the means. Easy credit and incentives for consumerism had been drugging the U.S. growth until 2007, inducing families to live above their means. Of course, low cost is also democratic: at Wal-Mart, a family just above the poverty line can fill up a shopping cart and their fridge. But how many Americans are unemployed because the only merchandise that is truly lost cost is now made in China, Vietnam, Cambodia or Bangladesh? The rest of the world is prey to the same contradictory impulses, at the sight of Black Friday and Cyber Monday. There are those who admire the flexibility of American capitalism that is always able to regenerate itself. There are those who entrust their hopes of recovery to the “locomotive” of all time: the U.S. consumer. From China to Germany, everyone is suffering from a slowdown in their exports, and the need to go back to selling in America is imperative. Yet this is the road that led us to perdition. On the one hand, the logic of “buy three and pay for two” and the excitement manipulated by discounts has filled the homes of Americans with useless stuff, exacerbating a consumption model that is destructive to the

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environment (and certainly not replicable on a Chinese or Indian scale). On the other hand, low cost consumption has generated macro-imbalances in the global economy: American deficits, excessive foreign exchange reserves in China, the recycling of these imbalances entrusted to toxic finance. Amidst these signs of a return to the past, there are also powerful counter-trends. One of these was established right during the 2011 Christmas season, with a simple idea of an antidote to the accumulation of the useless objects in children's rooms, and it has spread outside the U.S. It was first launched by Babyplays. com, a small online trading company: founded, incidentally, by a group of entrepreneurs who are mothers. People who understand, are endowed with practical sense and able to revolutionize consumer society starting from the two strongholds that seem unshakable: the custom of Christmas and the fickleness of children. The founder of Babyplays.com, Stephanie Weber, says the company has celebrated its fourth Christmas season and business has never been better (it just so happens that since the company was founded in 2007, the genesis of Babyplays.com coincides with “the end of the old world” and the arrival of the great economic crisis). Ms. Weber designed the website accessing the company, which

couldn’t be friendlier. “Our commitment is to have fun! No to mess!” are two of the slogans that appear on the home page of the website, which obviously operates all year round, except that at Christmas its visibility soars. Very colorful, there are offers of three low cost formulas: the simplest, which can serve as a test, is the single rental of a baby toy, from a minimum of three dollars to a maximum of nine, including home delivery. Then there is the $20 subscription fee, which entitles you to the right to change the toys regularly, returning those that have been used: up to four toys every two months. Finally, there is the luxury formula providing for a rotation of four toys per month, $33 all inclusive. The catalog has everything in it, the offer is full of those toys that children in infancy and early childhood like the best. “The range of customers that has given us the most satisfaction so far is from newborn to four years of age,” the founder explains. The first barrier of resistance to being “used,” that of hygienic concerns, was successfully overcome with the warning that appears on the website’s login page: “All our products are disinfected with the use of biological detergents.” And what happens if our child breaks the toy in just a few hours? “We are all mothers,” assures Ms. Weber, “so it will be replaced at no

charge.” Surprisingly, however, the “accident rate” is minimal. The flexibility is total: if the baby then falls in love with the toy to the point of no longer wanting to part with it, you can always buy it at the used price (with a discount of 30% to 50%). The success of this initiative speaks volumes about how much America is changing. At Christmas, several newspapers published Babyplays.com at the head a long list of similar initiatives in other fields: flourishing in every corner of the United States are nurseries that rent Christmas trees (you give them back after the holidays and they will be returned to their natural habitat), or “techno-libraries” that will loan you the tools for the do-it-yourself jobs at home during the holidays. If “frugal consumption” can undermine even the most commercial of all holidays, the crisis has actually been good for something: the exit from the sociology-fiction and the entrance into our daily lives of the idea that we live in an “Age of Access,” in which the important thing is to be able to use things, not to accumulate them. Children have that value at birth: “It's only around four years of age that they start to want the toy to belong to them,” they explain at Babyplays.com. So, smart consumption is not a counter-trend; actually, our “collective gene” is active and strong from early childhood.


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Id in-depth

THE NEW YOUS, ALWAYS AT THE CENTER We are witnessing a process of “user relocation”: the consumer today is at the core of the Internet. Digital narcissism? Maybe not, but those who produce entertainment and information will have to take this into account. As Nick Bilton – the author of I live in the future and the design integration editor of the “New York Times” – has written, “In reality, we don't pay for the content; we pay for the experience.” by Nick Bilton

If you pull out your smartphone and click the button that says “locate me” on your Google or Yahoo! map application, you will see a small dot appear in the middle of your screen. That’s you! If you start walking down the street in any direction,

the whole screen will move right along with you no matter where you go. This is a dramatic change from the print-on-paper world, where maps and locations are based around places and landmarks, certainly not on you or your location. […] Being at the center – instead of somewhere off to the side or off the page altogether – changes everything. It changes your conception of space, time, and location. It changes your sense of place and community. It changes the way you view the information, news, and data coming in over your computer and your phone. And it changes your role in a transaction, empowering you to decide quite specifically what content to buy and how to buy it and use it, rather than simply accepting the traditional material that companies have packaged on your behalf. Now you are the starting point. Now the digital world follows you, not the other way around. […] This same relocation, this same

centering of each of you in the middle of your own map, is also changing the concept of media. [...] But nowadays, if you’re a media company, you might as well leave out the “dia” from the end of the word. As far as the modern young consumer is concerned, when it comes to content, there is only “me.” Today. Right now. […] As a scholar of the new technology and consumption, I use a four-point formula when deciding whether to purchase digital content: price, quality, timeliness, experience. […] The iPod and iTunes have proven that we will pay if the price is right and the experience is special enough. The same can be applied to other kinds of media. […] My perception is that I’m not getting much of a special or different experience on the Internet. I have to be at my computer, navigating takes time, all those links are somewhat overwhelming, and the content doesn’t feel as personal or customized as the way I can work through the printed edition. In newspapers and in other media, the packages haven’t evolved much, even though the information is on a new platform, the experience hasn’t really been transformed. It doesn’t feel to me like something for which I should pay very much – or anything at all. In reality, we don’t pay for the content; we pay for the experience. And there are digital experiences I would pay for. With news, for example, if I were offered a personalized and customized version of a digital newspaper that incorporated my personal preferences, location, and social circle or if the subscription software made reading especially easy, fast and smooth, I would sign up for it right away. But right now, many on-line newspapers and magazines are only starting to insert social customization, or “me,” into the experience. […] The people who sell entertainment, words and information for a living need to understand that they are selling much more than that. They need to adapt to selling new digital ex-

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periences and give people incentives to buy the whole package, not just the words or sounds. They need to convince young people who have grown accustomed to getting so much for free that these new experiences are truly worth paying for. We’re selling to a new audience, and we need to talk to them differently. […] To get a handle on what that special kind of experience might look, feel, or sound like for those at the center of the map, you don't need to look any further than your mobile phone. […] This device, a small chunk of metal and glass the size of pack of cards, has become an extension of our relationships. Although they have not replaced them, we can feel such an incredible bond with our mobiles that they can become a surrogate for those relationships. […] Marshall McLuhan, the renowned media theorist who explained the cultural importance of television, believed the objects we surround ourselves with become an extension of ourselves. Given the extraordinary developments in what phones can do, it’s possible that over the next five years, the mobile phone will become the single most important device in our lives. These phones, our constant companions, connect us to any bit of information and, of even more importance, connect us to people. In turn, the mobile phone has become an extension of relationships. Although the mobile phone does not replace our bonds with people, it extends and perpetuates them. The newspaper, radio, television and even the standard telephone all allowed conversation and communication, but our mobile phones are highly personalized and instantaneous. […] The mobile phone is becoming the device that we use to read the news and check up on the things we find interesting. And since we use a single device for these activities, we are becoming increasingly reliant on it as a main connection point to the world around us. […]

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Id in-depth

THE TERMITE REVOLUTION “Like termites, silently, microscopically but continuously, people are changing the way they choose merchandise, of how it is produced, designed and, above all, used. They are transforming (gnawing from within) the eco-system that we call ‘consumption.’” New business models and trends based on collaboration, sustainability and the sharing of intelligence, the knowledge and efficient use of things, are changing the consumers and their relationship with the manufacturer and product. by Gianluca Diegoli

“The earth seen from space is a ball / Blue and silent / But if you live there you realize / It's something else altogether.” (Safari, Lorenzo Jovanotti, 2008) Imagine looking at the world (trade, advertising, marketing, consumption) from on high, like a Hollywood movie camera, going above the shopping malls full of people with their carts full of food and gifts for the holidays. Do you notice anything different compared to a few years ago? Come on, make an effort! No, huh? Nothing. You're right. Now imagine that you are a hundred-year-old tree, having survived changes in the climate, two world wars, DDT and genetically modified organisms: a plant that is apparently indestructible. But if we suddenly zoom in – like in C.S.I. when the shot enters the body of the crime under Grissom's microscope – going beyond the bark, we will find it riddled with tunnels, dug by termites. What I would like to show you in this article is that, like termites, silently, microscopically but continuously, people are changing the way they choose merchandise, of how it is produced, designed, and above all, used. They are transforming (gnawing from within) the eco-system that we call “consumption.” Each of the examples that follows is a

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sign of this: sometimes small, but significant, helping to understand what is often not visible to the naked eye. Termites are individually insignificant, but there are billions and billions of them, and they are exchanging bursts of information about the best way to get to the tree and on the quality of the wood. The collective intelligence and fast exchange of information are what allow the termites to organize, to flourish undisturbed and, in the end, eat the tree, without anyone noticing. By now, you have understood that we ourselves are the termites, right? Small (seemingly) unimportant signs Let us zoom into the tavern “Fuori Porta” in Padua, the shot framing a group of people who, amid chatting and glasses of red wine, are dividing up jars of honey. How did they meet? Why haven't they bought honey at the supermarket, as they always have? What we do not see is the network of relationships, shared values and “organizational” technology that has led them to being there to receive their supply of honey produced by Stefano of Mellarius Beekeeping, who is explaining to them why it costs a little more, how it is produced biologically and why he could not sell it to the large retailers. The Biorekk association is a community – online and offline – of people who share the same values, and who have altered the traditional standard sequence: shelves, looking, checking the price, purchasing, consumption. “Hey, but it's just a small and insignificant thing,” you will say. “Remember the termites,” I would say, for the time being. Why you are the media, the copy, the publisher, the advertising campaign Let’s become microscopic once again, so we can get into one of those cables that connect the equipment of telecommunications companies, those that are in huge data centers thousands of square meters in size. Every

minute we would see millions of bits of all types go by (text messages, e-mails, photos, videos, Facebook updates, comments, blog posts and forums, instant text messages on Facebook, Skype, MSN, WhatsApp, gTalk). If we could connect them to a text-to-speech (the kind of software that reads the writing) and a concert- level amplifier we would really get a sense of what is happening. Every second, thousands of units of conversation (what should we call them? Dialogs containing unbiased information, reliable reviews, tips from friends?) that transmit feelings about products, brands, prices and stores would quickly exceed the legal limits of noise pollution. These units of conversation are responding to the same questions that used to be (self-) answered by the old advertising: “What new products are right for me?,” “How much is this product really worth?,” “How much is it in line with my values?” (or ours, we should say), “I have to buy it, what do you think, friends, should I?” Can you manage to hear the clamor of 500 million messages such as these, written on Facebook every day? Signs of the presence of termites in the tree of business as we know it In a shop in Hong Kong, something is going on that looks like a flashmob: suddenly an organized group of people collectively ask the manager of the store for a discount. Take it or leave it? The coalesced community has prevailed over the seller. Isn't that the same thing that happens every day in Groupon, the website of the superdiscount coupons for group purchases? The restaurant owner, more or less aware, gives in to the pressure of the organized mass. In a small town in the province of Mantua, a company is in trouble: the Chinese product is cheaper, their own shoes seem to be unmarketable. It decides to change its sales model, selling directly online and dealing directly with the buying groups,

In Brazil, Paulo knew that Halls was not going to make his favorite flavor, green grape, any more. Together with thousands of other people, organized online, after a few months, he managed to change the manufacturer's mind


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making sure they understand the difference in materials and methods of producing the shoes. Today, Astorflex sells most of its production directly; the “wholesaler” is made up of selforganized consumers. Karin, in London, is doing her shopping. Or, at least that is what the big retailers think. Karin has already done her shopping at home, comparing the reviews of products and what her friends have bought recently: she uses her smartphone simply to check off purchases that have already been decided elsewhere. She has a doubt, though: so she photographs the bar code of a chocolate bar and reads that yes, the cocoa is certified organic and fair trade. And that another 20 people have said yes, is also good. Remember? The tree doesn't notice anything, but inside the termites are already digging. And they are all looking together for the most efficient way: during the Olympics, Giovanni will have to rent a car. It’s too bad that all the companies are sold out. Except one: The Car Club, which in reality does not possess a car, it only connects people who have vehicles that aren't being used with others who need a rental car for a few days. The car will be the one that belongs to John who, with that money, will pay his insurance for one month. In those same days, Yannick is organizing a trip with friends to Paris: he does it on Facebook, via an app of the French railways. No text messages back and forth and criss-crossing phone calls: everyone directly participates in the travel plans, including the purchase of tickets. Bernard is Bavarian and he is a mustard fan. So far, fairly normal. Bernard, however, along with 10,000 other people, has just helped to create the new mustard flavors of the Mari Senf brand. He received a kit at home to actually try out the flavors he could only imagine: then, online, he sent in his variations on the product. Now the new product is being sold. Here the tree has decided to become an ally, to make a deal with the termites. Chiara and Justine are Italian

and have a blog, the Funkymamas, with whom they share experiences and actively participate in the movement of online blogger moms. Following the proposal of Fair Trade, Chiara and Justine have involved other blogger moms in customizing children's shoes made of fair trade cotton: they have turned into designers, involving their own network of relationships, their own audience. Justine has also opened a shop on Etsy.com, which sells handmade items and apparel. Justine, like many others, sometimes buys and sometimes sells: Etsy is a community-market, where buyers and sellers often exchange roles, and where the product is often only a means, and not an end, to maintain and strengthen relationships. Among the readers of Funkymamas, there is also another mother, Donatella, who recently opened an online store (different from the others) of children's clothing, The Kidsboutik: she will sell shoes designed by the bloggers themselves. From a distance, it is difficult to see the swarm of objects and relationships. But if you approach the base of the tree trunk, you will notice an endless swarm of termites holding bits of wood between their legs. Zoe, in London, is a fan of Asos, one of the most important online clothing stores. Asos has created something unimaginable for most stores: it allows its customers to exchange their clothes or re-sell them at the same store selling its own merchandise. Zoe sells clothes that she no longer uses, and then buys new or used clothing. Zoe finds it isn't very useful to own a lot of clothes, but only to always have new ones to wear. In Brazil, Paulo knew that Halls was not going to make his favorite flavor, green grape, any more. Together with thousands of other people, organized online, after a few months, he managed to change the manufacturer's mind. You cannot escape from the blackmail of the swarm, but you can collaborate. Anders is 41, has an advertising

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agency in Stockholm and lives in the countryside, where he runs a small farm. This week he is Sweden, at least on Twitter: the Swedish account is not managed by an agency, but by individual citizens who volunteer, one per week. Thousands of miles further south, Mr. Wyss is the mayor of Obermutten, a tiny unknown Swiss town. He has promised to paste a real photo, printed on paper, for every person who had clicked Like on his page, on Facebook. Never would he have thought that, from the bulletin board in the city center, he would go on to affixing portraits on every free wall of his little village. Inspiration for the future Of course, the tree is still solid, apparently. The change is often invisible but none the less powerful, and not any less serious for those who will not be able to adapt. But the termites are digging away, bit by bit, without ever stopping, storing more and more precise information, organizing themselves in an increasingly perfect way. The crisis that will continue in the coming years will be the final push, the storm singled out to be blamed for the fall, but which has not been the real cause. So the real target on which to focus is not the defense of the tree, which is by now condemned. It is best to begin to imagine a new business model based on collaboration, to build a sustainable eco-system based on the sharing of intelligence, the knowledge and efficient use of things. In the small gathering in the tavern of Padua, everything is already right there inside, that is, if you want to see it: the accelerated word of mouth, the technology that allows you to consolidate the relationships and efficiency, the trust – between producer and buyer, among buyers themselves – which makes the system work, with information exchanged on equal terms, the collective purchase and a new balance of power – and of collaboration – between production and consumption.

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Sc scenarios

GLOBAL MARKETING AND THE NEW MARKETS AFTER THE GREAT CRISIS In the last twenty years, the world has experienced a gradual homogenization of consumption: the new markets of emerging economies have adopted tastes and preferences that are very similar to those of the Western world. Will this trend continue even after the “great crisis” and the profound economic changes of recent years, or will the international demand begin to take new paths of differentiation that companies will have to necessarily take into account? by Stefano Micelli

At the beginning of the ’80s, the first scholars of globalization imagined a world in which a new generation of products designed and distributed on a global scale would have made the fortune of those companies that were able to interpret the needs of consumers without borders. It is true that the jeans and cars that Theodore Levitt, the prophet of global products, then spoke of are no longer necessarily leaders in the market, but it is a sure fact that in the last twenty years the world has experienced a gradual homogenization of consumption. The new markets of emerging economies have adopted tastes and preferences that are very similar to those of the Western world. Cereals, vitamins and fruit juices have appeared on the tables of the Chinese middle class. Furniture from Ikea is occupying more and more space in middle-class homes around the world. The luxury market has seen the rise of global brands that have managed to create a shared vision able to influence the planet's newly rich. The question we need to deal with is whether or not this trend will continue after the great crisis of these years. In other words, it is legitimate to ask if the profound economic changes of recent years will leave the trajectory of convergence that has marked the last decade unchanged or if it is likely to think that the international

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demand will begin to take new paths of differentiation that businesses will have to necessarily take into account. To answer these questions, it is useful to think in terms of scenarios. For example, an attempt has been made by the British Forum for The Future with a report on the profile of the consumer in 2020, (Consumer Futures 2020, Scenarios for Tomorrow’s Consumers, 2011, www.forumforthefuture.org). The scenarios that the report focuses on are based on certain key variables that summarize the results of the path leading out of the crisis. The first scenario hypothesizes the possibility of continuing along the known tracks. The economy starts to grow, albeit at slower pace than in the past; large multinational corporations show they are capable of giving solutions to the big issues of the planet, most notably those relating to environmental sustainability. The consumption models remain largely unchanged. In this scenario, the big brands consolidate their position in society and the market, even though they are challenged to develop greater attention toward matters of corporate social responsibility than in the past. This is the scenario that the Forum for the Future labels “I’m in your hands” to underline the persistence of a substantial delegation that the consumer continues to attach to the large Corporation as a hub of economic growth and of the established models of consumption. There are, of course, alternative scenarios. In a context where the economy stops growing and the markets are saturated, things could go differently. According to analysts, a more uncertain economy, marked by the rising cost of energy and raw materials and an increasingly costly management of the consequences of climate change, could lead the public opinion to consider alternative models of consumption. In this second scenario, labeled by the forum as “From Me to You,” consumers will attach new value to goods and services produced at the local level, in particular with regard to food. The strength

of the community emerges once again as a space to facilitate peer to peer exchanges, at the expense of the offers promoted by the large established brands. The issue of sustainability becomes crucial and leads to considering alternative solutions for transport and the logistics of the merchandise. It is plausible to think that these scenarios are not imposed in a uniform way worldwide, but go to characterize specific areas at the international level. In many emerging economies, the consumer is still firmly tied to the offer by big businesses and continues to value the brands of the national and international market leaders. The logic of mass production is the basis of the growth in living standards: which is what makes the companies and their brands a positive reference point, especially for those of the middle class who are now beginning to enjoy a Western lifestyle. In China, the middle class – composed of merchants and producers who have benefited from the liberalization of the '80s as well as the new professionals working in large firms in the major Chinese cities – is constantly growing. According to estimates by the Bo-

ston Consulting Group, the new mass of the Chinese middle-class society will increase from the current 150 million people to 400 million in 2020, mainly settling around major urban conglomerates of the first, second and third level. This considerable mass of new consumers is a great opportunity for companies operating in major sectors of consumer goods, from washing machines to cars, from food to mobile telephones. Who is eligible to make use of a market with these features? It is not only the big corporations that are now looking to the Chinese market as a great opportunity for growth. According to many analysts, the consolidation of the demand of the Chinese middle class provides a great opportunity to rebalance the supply in the country for the benefit of a new generation of large Chinese companies geared to meet the new internal demand. Similar considerations apply to other markets characterized by a strong growth dynamic. In Brazil, the consumer sector has been supported by a demographic and socio-economic structure of the country that has greatly benefited from the conditions of


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In Brazil, between 2003 and 2008, about 20 million people were lifted out of poverty itself and more than 30 million people achieved middle-class income levels

stability under the new political cycle. The economically active population has grown at a rate of 2.3% per year since the beginning of the decade, allowing for a steady increase in the number of consumers. According to an analysis by Credit Suisse, between 2003 and 2008, about 20 million people were lifted out of poverty itself and more than 30 million people achieved middleclass income levels. The growth in the consumption of goods and services provides a great opportunity for multinational companies around the world, although it is very likely that the Brazilian political class will aim at raising the competitiveness of some national standards to prevent the appreciation of the Real currency from resulting in a displacement of the national offer for the sole benefit of foreign trade. Even in Africa, the recent consolidation of the middle class prompts taking a look at the market opportunities in this continent. In a book published in 2009, Vijay Mahajan was among the first to bring international attention to the numbers of an economic growth that is a little known due to stereotypes deeply rooted

in Western public opinion. Africa has 900 million consumers, among whom already today 400 million constitute an emerging middle class that can drive economic growth. In the recent past, many of the structural limits of the African market have stimulated local entrepreneurship, that has shown vitality and adaptability in many different sectors, from cosmetics to mobile phones, from sustainable tourism to film productions. Obviously, there are great opportunities for European and American multinational companies, provided that they prove to be capable of interpreting these markets in an original way, without thinking of replicating commercial formulas already established in other contexts. If in most emerging economies it is legitimate to imagine a rapid consolidation of the role of big business as the main interlocutor of the rising middle class (as envisaged in the “I’m in your hands” scenario), some mature markets may know how to develop differently. The hypothesis of a “From me to you” scenario, more attentive to the quality of the experience of consumption, the dynamics of the local communities and respect for the environment, could be the evolution of many European markets, not only for purely economic reasons – first of all, a macro-economic framework that is often not very favorable – but especially for cultural reasons. The overcoming of a consumerist approach and the demand for goods and services that are able to provide authentic experiences appear to be the hallmark of societies and economies characterized by a “post-growth” logic. In this scenario, the mature consumers no longer endow big business with a proxy for the fulfillment of their needs; they ask for an active role in defining the product (good or service), requesting a genuine dialog with the offer and are willing to pay for customized experiences. How can companies operating in global markets today deal with a process of differentiation of the preferences that these scenarios bring with them? The answer to these questions is not easy, be-

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cause the instances promoted by the two types of demand are objectively different. A first area of innovation concerns strategy and communication. The companies that are the most sensitive to these issues have reacted by profoundly renewing their communication campaigns, betting on new watchwords able to cut across very different cultural contexts in an original manner. Examples such as Patagonia (the protagonist of an extraordinary effort to respect the environment) or such as Gucci and Bottega Veneta (engaged in redefining the value of their products through a revaluation of their craftsmanship) indicate the rise of new values of the brand-names and original forms of communication to the consumer. Another area in which it is possible to develop new forms of relationship with the market and of competitive differentiation, is the personalization of the offer. Even the most standardized products are now open to customization: Ikea furniture has recently been revised by the Taiwan Craft Research Institute to experiment with a contamination between Nordic design and the traditional Chinese culture. In general, the crisis we are experiencing indicates a need to rapidly develop competitive strategies that take into account the profound changes that are affecting consolidated economies and emerging countries. The process of globalization that we have known over the past twenty years, since the fall of the Berlin Wall until today, has largely been a process of the homogenization and consolidation of Western consumption models. The events of the last two years have brought this trajectory into question. The world is starting to be heterogeneous and differentiated again. Companies that want to operate effectively on a global scale must develop new skills for dialoging with the demand in order to meet the requests of consumers with different cultures and expectations. This is the level on which an important part of the competitiveness of multinational companies of the future will be played.

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Co contexts

THE HARSH LAW OF MARKETING The flop of the Nano car and the rise of the Jaguar and Land Rover luxury brands. In recent years the right or incorrect choices in marketing strategy has determined has the successes and failures of the Indian group Tata, in a moment of epochal change at its top ranks: Ratan Tata, the charismatic patriarch, has decided to retire and has chosen his successor ... by Pino Buongiorno

These have been hectic weeks at Bombay House, the colonial mansion that has served as the headquarters of the Tata Group since 1924. Here, in the fourstory building of basalt stone, typical of Mumbai, a momentous change has taken place for the first Indian industrial group, with a turnover of $83 billion and which has 425,000 employees around the world. In charge since 1991, Ratan Tata, 74 years of age, the charismatic patriarch, one of the few entrepreneurs in the world who is a follower of the prophet Zarathustra, and who, with his conglomerate, has accompanied the development of the giant India – a bit like Fiat did in the Italy of the economic miracle in the Sixties – has decided to retire. After a difficult decision that absorbed him in lengthy discussions, the representative of the fifth generation of the family that has led the Tata group for 143 years was forced to make a painful choice, since he does not have any children. Rather than his half-brother Noel, he preferred an outsider, Cyrus Mistry, 43

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years of age, the shadow-man of the past few years, the heir of a family of builders that owns 18% of the Tata holding company. The handover will take place in December 2012 and in the meantime, Cyrus will be vice president in his own right, with a voice in all major decisions. As if that were not enough, another strategic position suddenly became free, creating more than a little turmoil in Mumbai and the rest of the world. Carl-Peter Foster, 57, the CEO of Tata Motors, the company that has contributed more than any other to the internationalization of the group, including its alliance with Fiat, resigned for “unavoidable personal circumstances.” Along with Ratan Tata, Foster, the former boss of General Motors Europe, has created the conditions for an unprecedented revolution in cars (for the time being, bankrupt) and at the same time, has given a hard push to the accelerator in the globalization of the company car not only in developed markets, but especially in emerging ones (a successful undertaking). His leadership is associated with two contrasting phenomena that are becoming matters of university courses in both the AngloSaxon world and in management schools in India. And which says a lot about how marketing, if properly applied, can lead to great successes. But which, if fundamentally wrong, can become a source of business disasters. When Tata announced the creation of the Nano, “the people's car” that cost only 2,000 dollars, with great fanfare in January 2008, everybody (businessmen, politicians, analysts) applauded because “the least expensive car in the world” was intended to upset the automotive industry. A few months later, in June 2008, when the same Indian tycoon bought the Jaguar and Land Rover brands from Ford for $2.3 billion, those same people who had raved about the Nano, every last one of them, booed; in part because it seemed that colonized India was taking revenge on the British colonizer; in part because they believed that Tata had bitten off more than he could

chew. The most famous experts of the leading investment banks, led by Morgan Stanley, bet that hundreds of thousands of Nano cars costing $2,000 would have been sold and few, very few, Jaguars, which cost $65,000. “The acquisition destroys value because of the lack of synergies and the high-cost operations,” declared Indian analyst Balaji Jayaraman of Morgan Stanley. This is not what happened at all. The automotive company headed by Foster, which has a market value of around 15 billion dollars, made profits almost exclusively with the cars that are the symbol of luxury. The Jaguar, which costs 25-30 times more than the Nano, sold 53,000 cars compared to the 70,000 low-cost Nanos. It was the marketing that made the difference. Let us take the flop of the ultra-cheap car. Ratan Tata dreamed of thousands of Indians in rural areas traveling on four wheels, where previously they had only used motorcycles. And he also contemplated distributing the kits of the Nano to the remotest villages, to turn the mechanics of those areas into entrepreneurs. Beautiful visions that, however, clashed with reality. From the moment of its launch until the first car was built, the Nano went through one crisis after another. Meanwhile, the first factory that should have been in impoverished West Bengal was never built due to the opposition from the local farmers. At the last moment, the project was transferred to Sananda, Gujarat. Hence, lengthy delays in deliveries resulted, up to 18 months, that discouraged even the most optimistic buyers. To make sales even more complicated was the fact that some Nanos caught fire. It was easy for the detractors, the group led by Maruti, to accuse Tata, and especially Foster, of having neglected safety in favor of the price. Third marketing failure: a model for national distribution had never been elaborated, advertising had been very poor and no one had thought about the financing plan with the most remote Indian banks. The absence of sales strategies reached the point where most


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An entirely different kind of marketing (“Big is beautiful”) has, instead, decreed the success of the Jaguar and Land Rover brands, which made astounding profits in 2010-2011. Sales have increased by 30%

of the Indians in the rural villages had never even heard about the Nano, nor had they had the chance to see the car that would have changed their lives. Its placement was also a disaster. As explained by Matt Eyring in the “Harvard Business Review,” there are three phases of a successful marketing campaign. The first is to think of something that is really wanted and sought after by consumers. The second is to identify those who want that product and the third is to study the details of how and under what circumstances this product will be used. “In short,” concludes Eyring, who is president of a consulting firm with offices in Boston, Singapore and India, “you must find a way to produce something that is reliable and that makes a profit at the price those people are interested in paying. And you have to communicate a clear message, one that is welltargeted and differentiated from the competitors' offerings.” Well, Tata Motors failed in all three phases and, moreover, did so in the public eye. Result? Foster himself had to announce his resignation just before the disruption of the business model of the Nano, with a new car ready in 2012 which will be available in various colors, will have less spartan interiors, a more powerful engine (38 horsepower and not 30), and be more fuel efficient and also less noisy. The price will remain the same. On the other hand, Tata Motors has developed a new funding scheme with 29 local banks. The warranty has been extended. And above all, it is planning a television advertising campaign on the national and local level to spread the word of the Nano even to remote villages far from Mumbai. The new message is to sell the car not as one that is cheap, but as one that is easy to buy. An entirely different kind of marketing (“Big is beautiful”) has, instead, decreed the success of the Jaguar and Land Rover brands, which made astounding profits in 2010-2011. Sales have increased by 30%. And, at the end of October 2011, Tata hired a thousand new workers and technicians at the factory in Solihull,

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where 5,000 people currently work in the assembly of the Range Rover. The very recent Evoque model is contributing to a boom in sales and the expansion of the factory. Finally, to strengthen its expansion project in the Chinese and Russian markets, in view of the expected downturn of the European economies, Tata has hired German engineers and marketing wizards from competing companies. The benefits have been enormous, thanks to the well-aimed marketing campaign. Tata Motors has indeed demonstrated the ability to preserve and develop the historical value of the luxury car brands, has managed to reduce its dependence on the Indian market, which until recently accounted for 90% of sales, and has been able to spread its business model across different geographical areas and to different customer segments. Although until only recently, the Tata brand was associated with commercial vehicles and cars with low technology, today it is synonymous with luxury vehicles, which perhaps one day will be exported all over India to counteract the competition from Mercedes and BMW. Now it is up to the “wizard Cyrus,” as he is called in Mumbai, to find the right man to be the CEO of Tata Motors, able to sell both Nanos and Jaguars with the same magic wand and respecting the tradition established by Ratan Tata in these past 20 years: “We are operating globally in more than 80 countries through a hundred companies in seven business sectors,” the patriarch said in a lengthy interview I had with him in Mumbai in 2007. “Each company is governed independently by its own board of directors and has its own strategy. In any case, each company is connected to the group, in that it adheres to certain values and decision-making procedures. The first value is that we do not have owners, but administrators. The second is that of the founder, Jamsertji Nusserwanji Tata: whatever emanates from society must return to society in one form or another. That is why Tata has a different type of culture or, if you prefer, business philosophy.

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Id in-depth

ECO-SMART: THE CONSUMER OF TOMORROW Critical consumption, conscious, responsible, sustainable, “green,” fair, inclusive, ecological, ethical, organic... New forms of consumption in sight? A consumer who is less naive and more jaded, less gullible and more informed, more demanding and less needy, less malleable and more determined. And more intelligent. Smarter, in fact. And who has already begun to influence the trends of consumption. by Renato Mannheimer

Smart: the consumer of today Have you ever wondered why the smart consumer is smart, and why the intelligent consumer is intelligent? It's simple. The motto of traditional consumers is “I consume, therefore, I am,” an expression that means “I feel I exist if and only if I consume certain goods and not others,” while the smart consumer's motto is “I am, therefore, I consume,” namely that “I consume certain goods and not others, depending on what they are and what I believe.” The first makes them – and their social mask – dependent on their consumption; the second makes their consumption depend on themselves and what they believe to be. The first is what their consumption makes them become or gives them the feeling of being able to become; the second makes their consumption a relevant expression of self. “I am not one thing and my expense another thing. I am my expenses,” wrote Ralph Waldo Emerson (150 years ago: what a genius!). Therefore, the smart consumer is not intelligent in vain. As a result, companies producing goods or services,

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marketing and communications companies and advertising agencies must avoid making the mistake of certain bosses from the dinosaur age who made their readers-listeners-consumers out to be more stupid, more ignorant, less informed and less innovative than they really are. Eco-smart: the consumer of tomorrow The smart consumer has a “green” awareness: he/she is attentive to the issue of the eco-sustainable production of goods or services and appreciates companies that commit a portion of their revenues to the field of social solidarity and environmental protection. For this reason, the smart consumer is already in danger of extinction and has been replaced by a new version, the 2.0 consumer or rather, the eco-smart consumer. We can define it like this: an ecosmart consumer is one who, with his/her decision to purchase, rewards companies able to produce goods with an explicit commitment to producing goods or services without causing damage to the environment, without un-

dermining the health of citizens and without exploiting children or creating “new slaves.” Are you thinking that this ecosmart consumer is quantitatively a grain of sand in the immense beach of Italian consumers? In September 2009, the ISPO (Institute for Studies on Public Opinion) conducted a national survey for Green Value, interviewing a representative sample of the adult Italian population. When asked “To what extent have you ever tried to learn to understand which companies are the ones that produce without respect for the environment and rights?,” 52% of the respondents answered “often/sometimes.” When asked “To what extent have you ever avoided buying food products from companies that are not attentive to the environment and society?,” 49% of respondents answered “often/ sometimes,” as they also did in answering “To what extent have you wanted to buy products from companies that are attentive socially and to the environment, but weren't able to find any?” When asked “To what extent have

you ever wanted to avoid buying clothing from companies that are not attentive to the environment and society?,” 48% of the respondents answered “often/sometimes,” the same percentage as for the question “To what extent have you ever want to buy products from companies that are attentive to the environment and society, but haven't because they cost too much?” Therefore, already in 2009, one Italian consumer in two seemed to have developed the ability to reward companies able to produce goods or services with a reduced environmental impact and sensitive to issues of social solidarity. Do you still think that the ecosmart consumer is just a grain of sand in the immense beach of Italian consumers? “4 Rs and an S”: 5 eco-smart passwords The “4 Rs and an S” are the passwords that guide eco-smart consumer choices: save, reduce, re-use, re-cycle, repair. “Reduce the amount and toxicity of the waste we produce, re-use containers and products, repair what


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is broken or give it to someone who is able to repair it, re-cycle as much as possible and plan for the purchase of goods produced with recycled materials”: here is a good list of virtuous “Rs and an S,” all eco-smart. And do you know who wrote this? Barack Obama. Save There are many ways to save because there are so many things that a consumer can save on. You can save money and you can save on the consumption of a nonrenewable resource. Buying a steak instead of veal filet is a form of savings of the first type; saving on the cost of electricity or water is a form of savings of the second type, which also saves money. Eco-smart consumers like this second form of savings and the more eco-smart tomorrow's consumers become, the more the propensity for this kind of savings will increase. The future, in part, has already begun. The constant trend of the last decade has been the increased consumption of tap water and the related drop in the consumption of mineral water, as evidenced by ISTAT

surveys and Aqua Italy. On the one hand, increasingly fewer families have a poor assessment of tap water (the hostile judgment which characterized 16.2% of households in 2001 had dropped to 10.8% in 2010); on the other, the consumption of mineral water has decreased (in 2000, 67.6% of households bought it, down to 63.4% in 2009). Effect of the crisis? This is not only a matter of cost savings: there is a growing awareness among consumers that a bottle not only must travel many miles before arriving at the table, thus consuming energy, but also poses environmental problems if not properly disposed of. According to Istat, saving money motivates only 16.3% of the consumers who switch from mineral water to tap water, whereas the majority do so for a set of several reasons, among which the protection of the environment stands out. This finding has also been confirmed by the qualitative study conducted by ISPO for Assobibe on the issues of recycling and virtuous behavior: already in 2009, the absolute majority of “evolved” and “environmen-

tally sensitive” adult consumers claimed to have renounced the purchase of mineral water definitively and permanently . Reduce Eco-smart consumers first of all reduce the wasting of money, energy, water, and even food: they request the use of timed lights in condominiums, put in double-glazed windows, retrieve “grandma's recipe” to turn leftover pieces of bread into a cake and give away the clothes that their children have outgrown. Ecosmart consumers particularly try to reduce waste and consumption and their environmental impact is evident from the qualitative study conducted by ISPO for Assobibe, which shows that the absolute majority of “evolved” and “environmentally sensitive” adult consumers choose Class A washing-machines and dishwashers and use them only when there is a full load, buy low-consumption light bulbs even though they are more expensive than traditional ones, turn off all electrical devices at night to avoid even the slight consumption when on standby,

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systematically use products they have purchased and avoid wasting them by letting them pass the expiry date, and avoid buying products with plastic containers and dishes whenever possible. In recent years, eco-smart consumers have acquired a “critical mass” that has been enough to drive up the consumption of recycled paper and wood from sustainable forests and, as a result, also helps companies in the paper-wood sector working with eco-certified materials to grow; FSC certification, for example, grew by 53% between 2009 and 2010. In every Italian city, the citizens moving around by bike instead of by car in order to reduce fuel consumption and exhaust fumes have also increased; in 2010, 132 cities had created public bikesharing or bike rental services. The tendency to rationalize and reduce consumption responsibly is so strong that some companies have designed their advertising campaigns with words that would have seemed crazy, or foolish, just a few years ago. “We ask our customers to help in reducing the environmental footprint of clothing purchased at Pxxxx. Otherwise, don't buy them,” says the very recent Italian campaign of the American Pxxxx label. “Even though we design and sell for a living, we are committed to our products being made to last and we ask you not to buy what you do not need.” Incredible, isn't it? These are the “right” words to touch the “heart” of the eco-smart consumer. Re-use The qualitative study of the ISPO for Assobibe in 2009 shows in the sample of “evolved” and “environmentally sensitive” consumers, that the ability to throw something away is no longer a sign of modernity and wealth, but is an indication of self-destructive blindness, especially since the management of non-recycled waste inevitably leads to the need both for incinerators, causing dangerous side effects from combustion, and the landfills responsible for the emanation of harmful gases and liquids that trickle down to the aquifers.

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The eco-smart consumer, therefore, is not afraid to re-use nor to buy second-hand goods, provided, of course, that their former use has not been an abuse and has not altered the quality. In recent years, the number of markets, real or virtual, of used school books and university textbooks has more than doubled, while the communities and the on-line platforms of sales continue to have an increased volume of business. According to the 2011 Report, in 2010, sales, profits and the number of e-Bay customers increased. Recycle According to data from the ISPRA (Institute for Environmental Protection and Research), published in the 2011 Urban Waste Report, in Italy, the production of municipal waste has decreased by 1% and recycling has increased. Despite the wide variations between some regions, it seems that there is now a widespread awareness of how the adoption of the proper disposal of refuse is important for environmental protection and the health of citizens. The qualitative, oft-quoted study of the ISPO for Assobibe in 2009, showed that “evolved” and “environmentally sensitive” consumers had the strong and well-rooted conviction that the recycling of waste, if handled with extreme rigor, would significantly reduce pollution, save resources, create new jobs and provide an economic return. The ISPO study revealed that the vast majority of respondents support the idea that recycling is culturally, strategically and politically correct, even if it is not always considered economically affordable. The eco-smart consumer of the future not only abides by the rules laid down by the municipality regarding the collection of recycled refuse, but seeks to adopt an ethic of recycling that goes well beyond the regulations imposed. The future has already begun. On the island of Ischia, the owner of a park with hundreds of cacti has recycled glass bottles to produce colorful pebbles for mulch; in Milan, an artist recycles the packaging of coffee capsules by using

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them in art works; throughout the country, dozens of young home designers have recycled different materials for tasteful decoration. This is the Italian way of recycling: creativity and imagination at the service of an increasingly intelligent user-consumer. Repair Eco-smart consumers repair whatever they can and avoid throwing away that which can be repaired by others: if repairing an umbrella no longer makes any sense – umbrella-menders became extinct when umbrellas that are “Made in China” started to cost less than four euros – re-adjusting an old-fashioned dress or rejuvenating a highquality pair of pants is “virtuous” behavior that is supplanting the “vice” of compulsive shopping. Otherwise, how else do you explain the boom in all the small and very small tailor shops, often run by non-EU people, which have been characterizing the business landscape of large metropolitan areas for a few years now? Win-win consumption and happiness Is the era of over-consumption, bulimic shopping and waste over? Is it the fault of the crisis? If the effect of stagflation were only that of depressing consumption, it would be difficult to explain the success of the sales of organic food products that cost 10-12% more than last year but which have recorded an average growth of 11.6%, with peaks of more than 101% (fresh cheese and spreads). According to ISMEA surveys, today 52% of Italians buy organic. Are we supposed to think that one Italian in two is not feeling the crisis? Of course not. The crisis alone has not changed consumption, it has only made a very eco-smart awareness more acute: over-consumption does not bring happiness. Trite? Only on the surface. Precisely because they are intelligent, eco-smart consumers know just as well that not being able to consume leads to sadness, unhappiness and bad moods. So where does happiness, or more prosaically, the well-being of the


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The crisis alone has not changed consumption, it has only made a very eco-smart awareness more acute: overconsumption does not bring happiness

consumer lie? Smart consumers are sober but not ascetic in their consumption, and while not driven by the immediate gratification of ownership, this does not mean that they consume without any emotions (“smart” is not equivalent to “rational”). What makes you feel good is “winwin” consumption. Examples of such consumption are purchases of fair trade products, organic products generated by small craftsmen committed to saving the local traditions, of products manufactured by companies engaged in projects of environmental protection or social solidarity, etc. Consumers who buy one of these products are not simply buying something they need or like: they are doing good to someone or something, rewarding a worthy manufacturer and therefore feel that they are on “right side” (like the payoff of the fair-trade sector says). All the actors involved in the consumption “win” something: this is why it is “win-win” consumption and this feature makes it capable of generating consumer satisfaction that is much less volatile and superficial than a traditional purchase. A lot of “win-win consumption” is constantly increasing. To buy something feeling that “you're doing the right thing” and “of being on the right side” is very attractive to the human psyche, as well as very eco-smart, and the more eco-intelligence becomes a dominant feature of the consumer, the more this type of consumption will increase. The turnover of the organic sector has grown by 300% in 10 years and another interesting fact is the growth of the market for fair trade products: according to the 2011 National Report of the AGICES (Italian General Association of Fair Trade), fair trade recorded an increase in international sales of 15% between 2008 and 2009 alone. Eco-smart consumer and smart technology Smart consumers read the labels, the list of ingredients, the technical specifications of a product and understand what they are reading. These consumers are informed and able to find the infor-

mation they need in the vast basin of the Internet: they are also assiduous users of smart technology: the sales of smartphones has registered +3.4%, even at the end of 2011, while the entire consumer electronics sector has been suffering a sad -20% (Gfk Eurisko data). The union of the eco-smart consumer and smart technology currently seems to be solid: on one hand, the new technology is one of the status symbols of the millennium; on the other, it has the undeniable ability to make life easier, making it more comfortable, richer and more fun. Not unnecessarily complicating life is a very smart attitude and, not surprisingly, the new consumer is also curious about home automation, especially when applied to energy savings. Here is a market in constant growth since 2000: in the opinion of “Assodomotica,” the most important factor that has led to the big leap of home automation is linked to the spreading of culture among the end users of automation, most of whom are eco-smart consumers. In fact, we must not forget that home automation systems are growing despite high costs because they confer an energy savings of 30-35%. Also, if your smartphone feeds the feelingillusion of not being alone, home automation gives one the perception of being able to control the chaos outside, a “gift” which, in times of uncertainty, is surely not a negligible value. The eco-smart networks Eco-smart consumers are very connected, as we have already mentioned: they are connected in a network, but there is no single network to mediate their relationship with the object of their consumption. First, there is the Network for Excellence, the Internet: online shops cover every category of products by now and Italian e-Commerce, after scoring a flattering +17% between 2009 and 2010, has been consolidated with an excellent +20% this year, according to the B2C e-Commerce Report in Italy, prepared by the Department of Engineering Management of the Polytechnic of Milan. Likewise, online versions

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of traditional services have multiplied: the continued growth in Internet banking is an example: according to the 2011 eFinance Nielsen Report, the users of online banking services now make up 37%, 6% more than in 2010. The Internet is not the only network. There are networks such as Twitter and social networks that contribute to weaving them together, there is the network among the members of each community, the link between a blogger and his/her readers... There are new networks of consumers alongside the older ones, i.e., the traditional associations of protection; the network of Purchase Solidarity Groups is an example of the new advancing. Finally, there are the networks created by the producers of goods or services. Each of these networks can influence consumption and motivate new attitudes toward purchasing. Smart consumers and producers are no longer islands in the turbulent sea of commerce, but nodes belonging to many intertwined smart networks. The future? It lies with the smart networks of smart consumers, smart producers and smart services. For example, there are system integration networks, developed by companies producing home automation that provide highly-automated security system solutions with high levels of integration and communication via the Internet. The best example, however, is a different one, and that is the smart grid. This is the intelligent network that can accommodate two-way flows of electricity, making producers and consumers interact to determine the demands of consumption in advance, flexibly adapting energy production. The smart grid is able to deliver excess energy of some areas to other areas with temporary deficits and can help individuals regulate their consumption in real time, limiting waste and costs. Smart networks like the smart grid are the key step for energy use that is more economical and, at the same time, more environmentally friendly. Moral of the story: in the future, the eco-smart networks will win, no doubt about it.

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In interview

AMAZON: THIS IS THE CATALOG An interview with Martin Angioni, country manager of Amazon Italy, an economist with a passion for philosophical hermeneutics: he is the person destined to lead the first strong impact of an online multi-national firm regarding the consumption habits of Italians. “The realistic ambition is to become the ultimate catalog authority, making a complete inventory in the coming years of everything that is produced. Amazon will become the most exhaustive catalog of most of the products that surround us.” by Luca Morena

There is something extraordinarily ambitious about Amazon and it is intimately related to the nature of the Internet. If this is essentially “writing” in a broad sense, as the philosopher Maurizio Ferraris authoritatively argued (Soul and iPad, Guanda 2011), Amazon is the company that, more than any other, has adhered to this essence, to the extent that it deals mostly with writing and infrastructures for writing – whether it be cloud computing or Kindle e-books. But one gets the impression that the initial business focus on books is (and has been) a kind of case study – probably the most relevant – to develop the perfect e-commerce experience, with the long-term goal of making Amazon the online place where anyone can purchase anything. Amazon has come to Italy only recently. What are the reasons for the long wait? Is there a specific Italian market that Ama-

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zon has had to carefully prepare for and if there is, what is it? There is nothing in particular behind the timing of the choice to arrive in Italy. It was a matter of pretty standard reasoning, in which the definition of priorities to launch in one country rather than another simply functions according to the relative size of the markets. Then, it is true that there are also other considerations that can be added to the mere economic significance of a given market and the shares of global GDP. For example, until just a short time ago, Italy was penalized by a poor penetration of the Internet and, consequently, a small number of users of ecommerce. To give you an idea, suffice it to say that France - the country that in many respects is comparable to Italy – has three times more online buyers (27 million versus 9). In addition, the expansion process of a multinational corporation provides physiological timing to allow for laying the groundwork better, to choose the right people, to leave nothing to chance. In short, there was actually no hurry. Italy is not a country of readers. According to Istat, only 46.8% of the population claims to have read a book in the previous year. Amazon could act as a driving force in making reading more accessible financially to the Italians, although in all probability, the small number of readers is due to cultural and economic problems. Therefore, can it be that Amazon sees the Italian market more as an opportunity for its all-around e-commerce business rather than as an attractive market for e-commerce books? It is true that the business model is not replicated exactly in every country in which Amazon is present, but there are no major differences compared to the other markets. In Italy, too, the main concern of Amazon is the selling of media and consumer electronics. What works for the United States, or France and Germany, also works pretty well for Italy. The picture of the state of e-commerce in Italy shows a predominance of consumer electro-

nics and clothing, and Amazon is already the largest online retailer in the business sectors in which it operates. For example, regarding the sales of books, it has already exceeded IBS, which has been present on the Italian market for several years. Then, there are the constantly growing sectors, such as household goods. But, except for marginal differences, the business model is really always the same. Perhaps Amazon's brand-new Italian Marketplace will be able to have a certain specificity – i.e., the possibility for SMEs to sell their products by not only exploiting the infrastructure of e-commerce, but also the logistics – since it seems to fit into the productive fabric very well and is scarcely exposed to the commercial potential of the typical network in Italy in recent years. Is it a service that will pay particular attention to the Italian market? In this case there seems, in fact,

to be an all-Italian specificity in which Amazon can and will play an important role, especially when you consider the cost/ performance that Amazon is able to offer third-party companies. This is a reduction in costs that is quite miraculous and is certainly without precedent in the Italian market. One fact that often goes unnoticed but which has been made public, is that right now, 37% of the total business activities on Amazon occur through the Marketplace and involve third party vendors. Do you think Amazon has been underestimated in its ability to innovate, in comparison to other big players like Apple or Google? I wouldn't say so. If we consider a simple indicator such as the trend of its stock, you have the perception of a high regard for Amazon. If we want to make more general considerations, the innovation game will be played concerning the contents and


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“The future is definitely in mobile technology, smartphones and tablets. Kindle Fire has already had a glimpse of how it will change in the near future, shifting from access to contents. And the differences between the big players will be played out almost exclusively in the way they will be able to distribute and make content available, as well as in the quality of the latter.”

the eco-systems to supply them, and from this point of view, Amazon is in an excellent position. Apple has had great success in creating devices of excellent workmanship, cult objects like the iPad. But going back to the tablet, the Kindle Fire that was launched last November 15th is already a huge success, to the extent that Apple was forced to cut down on the production of iPads in the month of November. The fact is that now anyone can produce tablets and that is why the game has shifted entirely to their contents. And, for a long time now, Amazon has accumulated many, high quality contents. In this sense, the realistic ambition of Amazon is to become the catalog authority par excellence, making a complete inventory in the coming years of everything that is produced. In practice, thanks to Amazon's immense catalog, it will be possible to identify all kinds of objects, get information about them and

immediately arrange to make a purchase. The Price Check app – giving you the chance to buy products online, whose barcode is identified in real shops – is just the first and most recent example of this future – distant, but not very. The vision is surely this: Amazon will become the most exhaustive catalog of most of the products that surround us. The recent launch of the Price Check app, in fact, seems to be an acceleration of the attempt to overcome the traditional modes of marketing. The benefits for the user in terms of economy and efficiency are very clear. But the scenario that is taking shape for the retailers, according to critics, is that they may risk becoming a kind of widespread showroom for Amazon. Is this fear well- founded? No, this fear is unfounded for the time being. The data is quite clear: 60% of consumers get information from the Internet before

making any purchase, but 80% of these people then go to buy the products they want in stores. This is a phenomenon that has also been given a definition and a relatively ugly acronym: the “ROPO effect” – or that is to say, Research Online, Purchase Offline. With its vast catalog, Amazon definitely requires a certain standard of transparency on prices and offers clear advantages to the consumer. However, we are not yet at the point of the phenomenon feared by offline retailers. Moreover, if we look at Italy, e-commerce is really just at the beginning stage and the situation is still quite fluid. Entering a new market has forced Amazon to develop aggressive pricing policies for the acquisition of new customers, but it must be said that word of mouth and convenience are the only leverage that we are using to become known in Italy. In a context, I am sorry to say, in which the quality of ecommerce is often unsatisfactory and which certainly does not instill confidence in this sector. While seeing the advantages of frictionless commerce (a perfect analogy of the frictionless sharing of Facebook – ranging from 1-click purchasing to the Price Check offerings in real-time), doesn't the transfer of all aspects of marketing to an online dimension jeopardize values that are likewise desirable, such as, for example, a direct relationship with a vendor/”curator” of their own goods or the possibility of sustaining, most of the time, an economy of the neighborhood? Purchases on Amazon are undeniably very frictionless. It is all very quick and efficient. But even though the fluid design of the purchasing process can, to some extent, facilitate impulse buying, this does not mean that there are no limits and rules within which such fluidity can be exercised. Quite simply, there is a limit on the availability of your credit card. These limitations are not very different from those in which one moves in the offline world of consumption. It is just that everything is simpler and more convenient, especial-

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ly in terms of time saved: the products are found faster, you avoid going to a shop, waiting in the checkout line, etc. Naturally, there are still shops you visit willingly, because you go there in search of something more than the simple purchase, but there are undeniable advantages of a highly efficient e-commerce. Just think, for example, how easy it has become to buy train or airplane tickets online, or even to take out insurance policies online. In short, I see more advantages than disadvantages in this. So, in my opinion, it is not at all clear that the job of the bookseller is going to disappear. The key lies in the added value that the traditional figures of the publishing market will be able to add to the pure book trade. Finally, there seems to be an irrepressible tendency – driven by market forces – to make the business models of large online corporation quite uniform, thus ensuring that they literally do look like one another. What will distinguish Amazon from Google, Apple, Microsoft and the others in the near future? The future is definitely in mobile technology, smartphones and tablets. Kindle Fire has already had a glimpse of how it will change in the near future, shifting from access to contents. And the differences between the big players will be played out almost exclusively in the way they will be able to distribute and make content available, as well as in the quality of the latter. More generally, the sector is undergoing and will continue to undergo major changes concerning information. Newspapers in the United States are closing down, one after the other, as are those in a closely protected economy of a country like France. Even traditional television operators – those who are generalist – are under pressure, constantly losing advertising and audience in favor of the Internet and stream TV. Therefore, if there is a traditional publishing industry that runs the real risk of extinction it is the one that produces information. 131


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Co contexts

DIGITAL MON AMOUR From payments by mobile phone to e-commerce: the Italian and European challenge for a market and businesses that are more digital has yet to be explored. And is interwoven with the ambitious projects of Neelie Kroes, the European Commissioner for the Digital Agenda. by Daniela Mecenate

Neelie Kroes European Commissioner for the Digital Agenda

Password: digital. From the Internet to mobile phones, there is a whole world (and a business) that lives and thrives on air. It is that of e-commerce, mobile payment, purchases made by mobile phone, or even a mix of all these: shopping via the Internet paid through the mobile phone. Without going into any shop or pulling out your wallet, but while staying at home or moving around the city. The digital market is a lucrative business which in Italy, in 2010, reached 11 billion euros, an increase of 13% with respect to 2009. The data, released by the SMAU Observatory in collaboration with the Polytechnic Institute of Milan, allows us to perceive excellent growth opportunities for the digital world. Which makes us all ubiquitous and virtual, consumers without the need for a physical place at which to buy and which experts believe could even conquer as many as 33

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million Italians in the next five years. Weighing positively upon the GDP. And there is more. According to another observation of experts, such as Netcomm (the consortium of e-commerce in Italy), the predictions for the end of 2011 are even more optimistic: +20% expected growth for Italian e-commerce, with an increase in both the sale of products (+24%) and services (+18%). It is even better for mobile commerce, more sophisticated and high-profile: even though it accounts for only 1% of total digital purchases, it shows promise of growing by as much as 210%, reaching a value of about 80 million euros. Meanwhile, one Italian in three already has a Smartphone and a regular Internet browser: and therefore is a potential on-line or mobile services buyer. Giving us a picture of the realities of mobile payment is a recent study by the Polytechnic of Milan, according to which, the market potential is due to the fact that in Italy, 85% of the population owns a mobile phone, thus they have an instrument of payment that is always on. Virtual money in your pocket. So, according to experts, what is helping the development of this promising slice of customers is the increasingly widespread use of Smartphones, seeing that, already today, 80% of the mobile phone market is derived precisely from these devices of the latest generation. But on closer look – the experts at the Polytechnic explain to us – so far, mobile payment has not achieved the hoped-for development: there were only 107 mobile payment services registered in 2010 in Italy (but a year before, there were just 78), with a very small turnover and one application taking precedence over all the others: the one for charging the phone. So, mobile payment in Italy is flying low; for now, in addition to phone re-charges, it has only had some luck paying for parking in some cities and for purchasing train tickets. “That's too bad, because our respondents say that they want to be able to make their life easier with purchases by phone,”

declares Filippo Renga, head of the NFC & Mobile Payments Observatory at the School of Management of the Polytechnic of Milan. “For example, in 73% of the cases, they say they would use the service for buying movie or theater tickets, to pay their bills or buy bus tickets, and even to pay at the supermarket.” Even e-commerce, assisted by payments with mobile phones, does not go very far: “The turnover in 2010,” continues Renga, “was just 12 million euros. We are seeing the first stirrings, but we think there is enormous room for growth.” Likewise, there are also huge opportunities for operators: from the traditional telecom players to postal services operators, up to the “new entrants” who will appear in such a promising market in the future. Regarding which, however, there is still a long way to go. Unlike the matter of online shopping (traditional e-commerce), which, according to the Nielsen Research Institute, has shot up to number six million Italians who shop on the web: about 30% of all the “Internetians,” especially men, and between 25 and 34 years of age. In terms of consumption, according to the Netcomm consortium, fashion and publishing, music and audiovisuals are the sectors that have registered the highest growth, with +38% and +35%. Also thriving are computers, consumer electronics and insurance (+22% each), as well as tourism (+13%), which alone is worth almost half of all online sales. Italian web shoppers, again according to Netcomm, have increased by 7% during 2011, while the annual spending per buyer has increased from 960 euros in 2010 to 1,050 euros in 2011 (+9%). But the average saleslip has dropped 6% and is around 210 euros. This, then, is the framework of the Italian “by distance” market, from the thriving e-commerce to the “small” mobile payments. But if we widen our gaze to the Old Continent, we find that, at least regarding mobile payment, Europe is not so very far behind. “The other countries,” confirms Renga, “are more or less in the

The digital market is a lucrative business which in Italy, in 2010, reached 11 billion euros, an increase of 13% with respect to 2009. A market of consumers without the need for a physical place at which to buy and which experts believe could even conquer as many as 33 million Italians in the next five years


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same situation. The only exceptions are some success stories that might provide inspiration to the Italian operators. For example, the case of the Austrian Paybox or Pingping in Belgium to pay for parking in parking lots, or the Scandinavian Plusdial which, since 2002, has sold over 53 million tickets for local public transportation. It gets even better outside Europe, such as in Japan and South Korea, where the use of these applications is now commonplace, or in the U.S. where, for example, Visa has launched its Visa payWave service that lets you pay for taxis and metro tickets with a mobile phone.” But shifting our gaze even further, a real surprise comes from Africa: the “dark continent” is becoming increasingly mobile and digital. In short, smarter and smarter. Here, mobile phones have now reached half a billion in number: one African in two has a mobile device. Not only that: half of them, not having a computer, cross the gap and surf the Internet directly on their cell phone. With the result that, in Africa, Internet traffic is registering the fastest growth in the world. But the success has been particularly important for mobile banking, which in Kenya is proposed by the operator Safaricom, the first operator to have launched a mass mobile banking service using platforms that are even copied by operators in California. But for seeking shelter, Europe is the answer. And it is an answer in eight moves. This is what has been developed by the so-called “Digital Agenda for Europe,” an EU action plan to help digital growth in the Old Continent, to augment the use of on air applications by the citizens of today and tomorrow and for pooling the 27 technologies. Leading this ambitious battle plan is the European Commissioner for the Digital Agenda, Neelie Kroes, who is not lacking in realism: “We have a long way to go,” she repeats at every opportunity, “and we have to do it for our own well-being: just think that in the last 15 years, produc-

tivity in Europe has increased by 50% due to information and communication technology. If we make a comparison with the U.S., we notice that in both Europe and overseas, one third of the population has never used the Internet, yet the benefits of digital technology are most evident in the United States. To date, the American market for digital music is three times that of Europe’s; for digital contents we spend eight times less than the Japanese and circulating within the European borders every year there are 30 billion bills, 90% of which are still in paper form.” So here are the eight moves for Europe, eight major areas of assistance to carry us forward and to checkmate the “digital gap”: at the top, the creation of a single digital market, ensuring the interoperability of different technologies, investing in security to bring citizens and companies closer to digital technology (thus harmonizing national legislations and standardizing payment platforms). Other pillars, instead, are more structural; for example, enhancing the speed of the network infrastructures or the

acceleration of research and innovation, since, as Commissioner Kroes reminds us, “Spending by the EU on research and development in technology is equal to only 40% of that of the U.S.A.” And then again: to improve the literacy of citizens to help them approach the digital technologies, to apply the current use of various digital applications not only for payments or purchases, but also for purposes of a social nature, from tele-medicine to energy savings. The (ambitious) objective is to make Europe a digital power by 2020. With some stages of approach, such as broadband for all by 2013 and high speed Internet (over 100 Mbps) for at least 50% of European users. It has been estimated that if the objectives were achieved, they would trigger a virtuous cycle that would include the creation of one million jobs. In an industry that, on the European level, already today produces 4.8% of the GDP and has a turnover of 660 billion euros per year. But what are some of the most difficult barriers that must still be cleared? One, above all the rest: unification. “Europe,”

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explains Kroes, “is a mosaic of online markets and infrastructures that often are not compatible with each other, with different methods of payment, very different regulations, and services that work in one country but don't exist in another.” It is not an easy challenge, perhaps the mother of all battles, seeing as how, in the 27 member countries, it is often the very operators who do not support this attempt, for fear of having to start all over again and invest in infrastructures and technology, losing the expertise (and assets) accumulated over decades of activity within their borders. Meanwhile, as we await a solution to the problem of the “cyber Far West” and the Babylon of mobile phone services, let us be content to know that over the past two years, as specified by the Commissioner at the CeBIT in Hanover, Europe has recorded a miraculous surge in the number of those who use the Internet regularly: from 5% to 65%, showing that the ground for digital and mobile services is fertile, extremely fertile. Therefore, everybody, get on the Internet, while we await 2020.

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The customers are the focus of this new paradigm of energy, aware actors of the demand for electricity, promoters of a more rational and efficient use of it and attentive to the quality of the service that is offered.

Id in-depth

ELECTRICITY: THE SMARTEST RESOURCE OF THE 21ST CENTURY Every era has its revolution. The revolution of the twenty-first century is undoubtedly that of globalization, meaning the openness of markets, geographies and channels of communication. We are witnessing the overturning of the paradigms that we have been accustomed to. The extent to which electricity is experiencing this revolution is amplified because the mechanism involves its entire value chain. by Fulvio Conti

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Every era has its revolution. The revolution of the twenty-first century is undoubtedly that of globalization, a phenomenon that makes the concept of “borders” obsolete: from the markets to communication, by now everything is related to a global dimension. A real overturning of the traditional paradigms is underway: technologies and transportation are now able to reduce the geographical distances, redesigning the role of the “citizen-customer,” goods of all kinds are traveling around the real and the virtual world at exorbitant speed and each of us can reach one another anywhere in a few steps. All this has revolutionized the traditional concept

of the economic value chain by offering an innovative redistribution of roles: the consumers themselves also become the producers of news, opinions, goods and services and the companies, organizations and citizens constantly participate and interact in a proactive manner. The extent to which electricity is experiencing this revolution is amplified, since it is an enabling factor for the entire production chain, an essential carrier of energy able to support the development of each country. Starting from the raw materials up to the production of electricity. Environmental concerns, the geopolitical balance, population growth and scientific research

have an impact on the global energy mix. In recent times, we have witnessed an escalation of events that has helped to change the global energy scenario: the tsunami that devastated the Fukushima Dai-ichi nuclear plant which seems to have curbed the development of this technology, the Arab Spring that has brought to the fore the importance of the security of the supply of primary energy, the new technologies for extracting unconventional natural gas (shale gas) that are increasing the availability of this raw material, and technological innovation to support the development of renewable energy that is constantly growing and more and more accessible to the


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consumer, who simultaneously becomes a producer. All these conflicting phenomena are related to a steady increase in the demand for energy, resulting from the population and industrial growth of the emerging countries and an increasingly difficult challenge in the fight to reduce climate-changing emissions. In this scenario, electricity is the most efficient and easily accessible solution which, thanks to new technology, is distributed in a way that is ever more widespread and inexpensive to consumers. The distribution network is also experiencing its own revolution: it is evolving. Power lines are becoming smart grids, smart networks that can handle bi-directional flows of energy and transmit data as well as electricity. This innovative platform employs new services and new operators alongside the utilities. The consumers produce electricity, the multinational companies produce the software and telecommunications companies design new applications and advanced services dedicated to the world of energy, the appliance manufacturers invest in innovative solutions for home automation and energy efficiency and the automakers produce electric cars. Electricity is expanding its status by becoming an added-value service. The customers are the focus of this new paradigm of energy, aware actors of the demand for electricity, promoters of a more rational and efficient use of it and attentive to the quality of the service that is being offered. The electronic meter that measures power consumption in real time has been the first step for the implementation of the smart grids with which producers and consumers can communicate interactively, personally promoting the best and most efficient use of electricity. An architecture that also allows for an optimal integration of the distributed generation, renewable sources and electric mobility. In this context of change, an aspect that has certainly remained constant is the driving force of electricity for social, economi-

cal and industrial development. Looking back upon the twentieth century, especially during the post-war period, we can see that the growth of the Western world was supported by the progressive spreading of electricity. Even today, electricity is a key factor of economic development. The increasing expansion of the electricity sector entails the involvement of an increasing number of stakeholders: citizens, local authorities and institutions want to know about and actively work on the infrastructure projects that relate to the communities where they live or work. In fact, the rapport with the territory changes. More and more, it is the duty of the large companies, of the service providers, to inform citizens in a transparent and timely manner. The financial crisis, that continues to destabilize the mature economies, requires a recovery that also needs to take place in the energy sector. In economic systems, this is the driving force to counteract the continuing downturn in the markets. An energy-efficient sector may indeed be the key factor for economic recovery, for the good of the citizens and for the development of countries. The cost of energy, in fact, constitutes a significant proportion of the economic accounts and affects the competitiveness of countries, and in the emerging economies it becomes the driving force for manufacturing and provides access to goods and services to even the poorest portion of the population. This is confirmed by the fact that 1.3 billion people still lack access to electricity and 2.7 billion people use biomass, such as wood and other waste materials, for cooking. The so-called “energy poverty” has become an issue requiring the attention of institutions, media and businesses all over the world. For this reason, 2012 will be the International Year of Sustainable Energy for everyone and at the upcoming meeting of Rio+20 in Rio de Janeiro – celebrating the 20 years since the first World Climate Conference – the objective must necessarily be shared by

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all the countries: energy that is abundant, sustainable, affordable and accessible to everyone. In this regard, Enel is committed to signing a pact with the UN to carry out ENabling ELectricity, a program that brings together ongoing projects and new ideas for promoting access to electricity through three areas of intervention. First of all, to support research and technological innovation to enable the spreading of electricity through the distributed generation and the strengthening of distribution networks to bring electricity even to the remotest areas. For example, by integrating solar panels with more rudimentary systems for cooking, fueling water treatment plants to provide water in desert areas, ensuring the electrical needs of small isolated communities through innovative small generation plants from renewable sources that are portable and can be combined with batteries to store energy and re-use it in the absence of sun or wind. Secondly, we are committed to financing initiatives aimed at removing the economic barriers to the access of electricity in some regions such as Latin America. In Brazil, for example, we have initiated a program that “pays” for waste brought by the population to the recycling centers through discounts on their electricity bills. The mechanism sets in motion a virtuous cycle of environmental responsibility and economic support to the poorest populations. Finally, we are working with local communities to build a culture of knowledge together, by providing our expertise and our experience to support the development of the disadvantaged populations, through exchange meetings and the creation of technical schools. All this is part of our vision of the future: electricity as an intelligent, technologically advanced, affordable and environmentally sustainable resource, able to support the development of the economies of countries, and providing a concrete opportunity even in times of crisis.

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The new electricity market by Gianfilippo Mancini

ELECTRICITY CONSUMPTION: THE FUTURE HAS ALREADY BEGUN Electricity is the most efficient and sustainable carrier of energy that can be used on a large scale and consequently, industry is investing heavily in maximizing its uses and potentiality, but with an eye on the containment of the specific consumption. Energy efficiency and electric mobility are two important windows onto the future of the energy market and smart grids are changing the role of the consumers, who become an active part of the energy market and protagonists of environmental protection. The opinions of Gianfilippo Mancini (Director of the Generation and Energy Management Division) and Livio Gallo (Director of the Infrastructures and Networks Division) of Enel. by Gianfilippo Mancini and Livio Gallo

The future is an increasingly smart customer who needs a supplier that is equally attentive to the evolving technology, and who is a promoter of this innovation himself

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Electricity is a fundamental property of matter, present in human life since its origins and observable in the form of numerous phenomena. Mankind's ability to understand it and control it has gone hand in hand with its evolution. It was Thales, in 600 B.C., who began the study of the extraordinary phenomenon of electricity (derived from the Greek word electron, which means “amber,” precisely because the philosopher thoroughly investigated the properties of this resin fossil that becomes charged when rubbed and attracts other tiny pieces of matter) and still today, more than 2,600 years later, the most prominent research centers around the world consider electricity to be a fundamental phenomenon for pushing human progress even further. The generation, accumulation and also the use of electricity are constantly evolving and have the power to radically change the

lifestyle of billions of human beings in a very short time. From the discovery of the light bulb to the emergence of energy storage systems that can be used in a laptop, a mobile phone or an iPad, our habits have been transformed beyond belief in less than 100 years. The more progress moves forward in dominating the energy supply, the greater the expectations from us users. Giant refrigerators, air conditioners, flat-screen TVs, PCs and Wi-Fi networks, home theaters: there is not an appliance we have at home that we feel we could give up, but most of them did not even exist when we were born. Electricity is the backbone of all our comfort and the most extraordinary aspect is that, despite the usual complaints when the bill comes, it is a means of transporting energy that is historically inexpensive. That is probably why, for all these years, we have not given it the respect and care it deserves. By making some calculations, for example, we discover that

watching television costs us 35 €/year, being online with a PC costs about 7 €/year, listening to the radio, about 2.5 €/year, and although none of us has any idea how much the energy costs that supplies us with running water at home, I am willing to bet that by no means would we ever want to have to go and get it from the well like our grandparents did only 100 years ago. Over the years, we have actually become used to considering electricity as an affordable, ready-to-use good: so inexpensive that the concepts of savings and efficiency have only recently made any headway. These habits, this mentality and this kind of approach to electricity have, therefore, influenced the electricity market. If, at the beginning of its liberalization (which occurred with the Bersani Decree in March 1999), when only industries were able to choose a supplier and the price was the single most important variable in deciding who would be the supplier, with the progressive enlargement to household


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users, the elements for leverage have increased. When we turn to the citizen-consumer, in fact, we cannot just offer a product that is cheaper than the ones on the market since, as we said, electricity is already a good thing because of the benefits it brings at a very low price. Trying to enter the Italian homes by guaranteeing discounts of 50 or 100 euros, despite the difficult economic situation we are in, is not an instant pass today for gaining people's trust and their subsequent signing of a contract. It takes many ingredients to convince the average customer to listen to a business proposal. To begin with, the customer must know who you are and have confidence in you, and obviously, this is not a problem for Enel. Then, they need to be presented with an offer capable of uniting savings with the possibility of improving the quality of life of the customer. The level of service is, therefore, crucial when choosing an energy supplier. There isn't a market study today that doesn't say that a savings of 50 or 100 euros is nothing compared to the fear of remaining on the phone for hours with a call center operator, in case of need, or if compared to the fear of receiving bills that are incomprehensible and perhaps even wrong. For years, large corporations have thought they could impose their products on customers and they have also been successful in some sectors, but this is unthinkable in the energy market. The difficulty, but also the good fortune, of our world is that we have immediately had to deal with a demanding consumer, careful and above all, aware of the fact that they already have electricity in their house that works well. Thus, in order to change, we really have to propose something very satisfying to them. Consequently, selling electricity is a very complex job that results from months of studying what we can improve in the daily lives of our customers, what we can simplify in their relationship with the supplier and how we can reassure them.

In the Internet era, purchasing is a multi-channel process. The so-called “purchase funnel” expects that, before choosing, our potential customers obtain the greatest amount of available information about us and our products. It is essential to be able to communicate clearly and directly through the classic means, but to also have an excellent reputation for exploiting “word of mouth” to the utmost. In fact, there is no better testimonial than that given by a satisfied customer and it is for this reason that, over the years, we have developed a number of products for maximizing the satisfaction of our customers with a much wider scope than just the cost containment of their bill. We had this in mind when we decided to take advantage of our purchasing power by giving our customers, through Enel Mia (My Enel), the possibility of saving on electric energy also in different sectors and we have entered into a series of partnerships with big names in the retail, electronics, gasoline and publishing markets. Agreements that now enable those who choose Enel Energy and its products to easily save 500 per year simply by relying on us and the partners that we present. And we also had a clear notion that the quality of our service would have to beat that already experienced by our potential customers and, therefore, we have invested in computer science and training, studying the processes in order to offer a product that combines savings with customer satisfaction. We have chosen the path of simplicity, offering the market products that are easy to understand in order to reassure customers in their moment of choice, but also in their subsequent evaluation, just as we knew in advance of the customer's need to have a store of reference to which they can come for their every need. We train our sales staff for weeks, to be sure they can communicate all the aspects and advantages of our products in a way that is clear and unequivocal. We invest in the quality of our call centers

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to make sure that all the calls we receive will reach a successful conclusion, able to satisfy a customer who has a problem and needs with a swift and sure solution. And the future? The future has already begun. Electricity is the most efficient and sustainable carrier of energy that can be used on a large scale and consequently, industry is investing heavily in maximizing its uses and potentiality, but with an eye on the containment of specific consumption. Energy efficiency and electric mobility are two important windows onto the future of the energy market. To learn how to save on fuel consumption is an aspect that has been neglected for years but which has now become more pivotal than ever for supporting our economy. To conceive offers that encourage investments in the efficiency of the plants, that accompany the customer and supplier in a partnership with the common aim of developing a successful and long-lasting relationship for both of them; to develop a sales staff that is truly able to conduct a real consultation with the client by identifying together all the possible improvements in the supply chain. These are the main aspects we wish to focus on for our offering in the coming months. And we are already operating in the electric vehicles market, alongside the major manufacturers of electric vehicles, with a “key in hand” and totally green offer, which gives those who choose a vehicle powered by batteries a way to conveniently charge them in their garage at home. The future is an increasingly smart customer who needs a supplier that is equally attentive to the evolving technology, and who is a promoter of this innovation himself. A continuous flow of new ideas that can continue on this path of improving the quality of human life, with the understanding, however, that energy is a precious commodity and that we must know how to use it responsibly and with maximum efficiency.

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The new consumer of electricity by Livio Gallo

If, as the sociology of consumption has been telling us for several years, there is an important relationship between consumers and the characteristics of the intangibility of products and services, with regard to the energy ratio, it is quite implicit that it is a commodity that we take for granted. We only perceive it when it is lacking or because we have to pay the bill. Energy is among the exemplary intangible assets (for the complexity of its origin, the complicated computability of its economic value, and for its very immateriality) with which the consumer does not have an emotional bond. What we understand about energy is the power of its use, such as the number of electrical devices or other electrical instruments making it available. With the introduction of outsourced energy production, however, this traditional relationship between consumers and energy has been changing and it will change even more with the qualification permitted by smart grids. Meanwhile, let us take a look at the profound transformation that is turning the consumer into consumer + producer, i.e., the socalled prosumer: to date, there are 140,000 connections to the electricity networks by this new type of customer. This is a real revolution: whereas once electricity only came from large power plants, today there are many producers providing electricity from sources such as solar, wind and biomass. This new role of the consumers, who at the same time also become producers, modifies their relationship with the energy: it becomes more friendly and more familiar. Energy is included in the choices made daily, taking on life in the planning for the day: you decide when to produce it, eat it or even sell or buy it. But this relationship is bound to undergo a further evolution when the introduction of smart grids will allow the consumer to have a fully active role in the energy market. With smart grids,

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in fact, the network, a structure designed to be one-way (from producer to consumer) has taken the Internet as its model, so that electronics, computers and integrated communication lead to an interaction between the providers and those who receive energy, even coming to anticipate the demands of consumption. The new consumers, more careful and aware of their consumption, use the new technologies of “energy participation” that go from the household to the city, developed by the visionary and practical distributor, Enel. There are two types of actions: a definable pull, determined by responding to and interpreting a part of the market leading to the development of energy-related products and services; and a push action of stimulus toward the market and the consumer which, in the case of Enel, leads to the qualification of the active demand, made possible thanks to the set of feasible technologies and devices that transform electrical architecture into an intelligent system.

We look to the household consumer: there are devices capable of providing a range of information in order to determine and guide personal choices of consumption, such as the power, price and volume of energy. They are made by Enel and are called “Smart Info.” They are inserted into the sockets of the house and can interact with the electronic meter which, together with the Telegestore – the remote management system of the meter – is the cornerstone of the smart grid. Smart Info allows us to communicate directly with the meter and to view and monitor the evolution of consumption on the displays with which we are most familiar, such as the PC or TV; this new device is also capable of giving information to the smart white goods, allowing them to adjust their operations according to the signals of consumption and price. This experimentation is at the heart of the project that Enel is carrying out with other Energy @ home companies. A project that is developing a communications platform for appliances, re-


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gulating the power consumption of the entire house. With a smart house, the consumer plays an active role in the energy market: he/ she consumes and produces in response to the appropriate price signals. But it is not just the household consumer who becomes a protagonist with smart grids, there is also the citizen consumer. In fact, smart cities are those with the application of smart grids within the urban area, where technologies enable them to make their own choices of sustainable electricity consumption. The new electricity network is, in fact, the fundamental building block of an urban settlement designed for greater energy efficiency and economic sustainability. A place where infrastructures, services and technology combine to offer a town or city on a human scale, where energy saving, emission reduction and control of consumption become part of everyday life for its citizens, administrations and companies. The smart city is full of all the

technologies of next generation networks. Electronic meters, network automation, efficient lighting, electric mobility, integration of renewable energy, energy storage systems and devices that increase consumer awareness are the tools that allow people to live in a new urban context, a place where environmental sustainability is central, where people live in energy efficient buildings, have access to a system of eco-sustainable mobility, breathe clean air, and therefore, where the quality of life is better. Enel is involved in smart cities projects that require a great commitment and the cooperation of many actors, such as energy companies, public institutions, universities, local governments, and advanced technology industries. The first examples can be found in the cities of Malaga in Spain and Buzios in Brazil, while activities in Barcelona and Genoa, Bari and other Italian cities are in the planning phase. The main interventions that have been put in place in these towns concern the evolution of the electrici-

ty network, street lighting and smart buildings, management of the active demand, integration of energy production from renewable sources, electric mobility and the electrification of ports. Smart grids are one of the frontiers for the future of electrical systems. A future toward which we are addressing a strong international commitment, knowing that there is still a long road ahead. Infrastructures of enormous size must be radically changed. The renewal of the traditional network is gradually evolving and we must deal with technical constraints to maintain strict control over the entire electrical system in a way that is efficient, reliable and safe. Experiments and pilot projects are multiplying: definitely, a lot of research as well as major investments are still needed to accomplish the new smart grids. Nevertheless, a future made of smart grids is at hand: important steps in this direction have been made by Enel, recognized as the undisputed leader worldwide in this process of renewal, largely due to the installation of 32 mil-

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lion electronic meters in Italy: unprecedented experience in the world as to size, extension and improved outcomes. With smart grids, we are facing a great revolution that globally affects the entire value chain, from the production of new technologies to their installation within the electricity grid. It is, therefore, an indispensable opportunity to develop industrial inducement related to both the products and the services, with significant impacts also regarding employment (often referred to internationally as green jobs). It is hard to predict today what scenarios we will see when the smart grids will have been fully implemented in Italy and will return an enormous wealth of data to us. Certainly, there is something that we already hope and which most of us believe: all of that information should help us design a more sustainable way of producing and consuming energy. This is true not only for the electricity companies, but especially for those who must be at the very center of the system: the consumer.

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In interview

RENEWABLES: THE BAREFOOT REVOLUTION “Where is it written that just because one can't read and write or doesn't know the language spoken in a certain place that they can't become an electrical engineer?” The “grassroots” rural revolution of the Barefoot College, where women, better if illiterate and “grandmothers,” can learn to resolve the energy problems of their village. And change their own lives and that of those around them. by Alessandra Viola

All the money spent by the World Bank, the United Nations and the co-operation projects of various countries, including Italy, is poorly spent because it has been aimed at the wrong target, that is to say, at the men. To improve the quality of life in rural communities, we must focus instead on the women

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Twenty poor, illiterate women who are all strictly “grandmothers.” These will be the people, according to the Barefoot College, the Indian NGO that for forty years has dealt with the education of rural people, who will create a new energy revolution in South America. This is thanks to the agreement just signed with Enel Green Power, which will finance a campaign of electrification for 1,000 dwellings scattered throughout Brazil, Colombia, Chile, Peru and Guatemala. The houses, all located in non-electrified villages that are often difficult to access, will be equipped with photovoltaic panels that will be installed (and later also maintained and repaired) by 20 solar engineers… Totally outside the box. “They are all women,” ensures Bunker Roy, founder of the Barefoot College, “and they are choosing for themselves. They are poor, so they will understand the value of what they learn and they can elevate their own status and that of their village. They are illiterate, because we want to give hope to those who have not studied and have remained on the margins of the production system. And so they also will be the grandmothers, that is, on average between 35 and 50 years of age, because this ensures their rootedness in the community, but with fewer family commitments. In our experience,

women learn sooner than men, are more humble and, above all, they ensure a continuity with the territory, ensuring the usefulness of the training.” And the men? “Years ago, we also taught men, but then we stopped because we realized it was futile: the men do nothing more than move from one place to another, are arrogant and study just to get a certificate attesting to their competence. As soon as they have it, they move to a large town to look for work, so the villages, instead of becoming enriched, become impoverished. In this sense, all the money spent by the World Bank, the United Nations and the cooperation projects of various countries, including Italy, is poorly spent, because it has been aimed at the wrong target, that is to say, at the men. To improve the quality of life in rural communities, we must focus instead on the women. Those we have trained in Africa are virtually the only solar engineers available, because those who studied engineering and were able to graduate, never returned to live in their village and have often even moved abroad. Our college does not issue any degrees. There is no piece of paper to hang on the wall, even though our engineers are the best in the world: nobody with a degree knows how to do what they know what to do.” For that matter, Roy (now a world-acclaimed education guru) was not able to do much with his own degree: after graduating from a prestigious Indian college, in his early twenties, he decided to move to live in the tiny village of Tilon, in Rajasthan, and there he built a school for the poor and illiterate: the Barefoot College. “The college works following the style and the indications of Mahatma Gandhi,” explains Roy. “We eat on the ground, work on the ground and sleep on the ground. It is open only to the poor and is the only place where having a Master’s or a PhD not only is not an asset, but even disqualifies you. There are no written contracts: you can stay with us for twenty years or go away tomorrow. And

no one earns more than $100 a month: if you are coming for the money, do not come to us. But if you come for the work and the challenge, then yes: Barefoot is the ideal place to try out crazy ideas. Whatever idea you may have, come and try it. With us, the master learns and the disciple teaches and this prepares the people we train to then, in turn, become the teachers.” It is through this “chain” that the 20 South American women (future solar engineers, just like their many “colleagues” in India, Africa and Afghanistan who have preceded them in the college), once they have returned to their countries of origin, can teach many others, leading to a real re-


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volution “from the bottom up.” The only direction, according to Roy, in which development can really take root in rural communities: “For every problem of the village, there is a solution, and this solution can already be found within the village, even if you are not prepared or trained to see it. For every problem that exists there is a “rural solution”: you just need the time, patience and humility necessary to find it and put it into practice. I am talking about big problems, such as drinkable water, agriculture and construction. To resolve them, there is no need to have a degree: in fact, sometimes it is even counter-productive. We do not offer a pre-packaged system

of rules or practices to learn, but are open to the ancient wisdom that these people bring with them. In all the small and remote villages there is an extremely high professionalism, which, however, goes unrecognized. There are doctors, obstetricians, diviners and architects who are putting ancient knowledge into practice, but they have no diploma and there is hardly anyone who recognizes these capabilities. Industrialized countries are totally paranoid about having a degree, but personally I am convinced that this is one of the least effective ways of evaluating the capabilities of a person. I am able to understand within a few minutes if a woman is capable of

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becoming an electrical engineer or a dentist, and without speaking her language.” The great miracle of Barefoot College also lies here: the training of the future solar engineers not only does not involve the use of books (seeing as the students do not know how to read), but is based entirely on non-verbal communication. “To teach, there is no need for words,” assures Roy. “The example is more than enough, even for the most sophisticated technologies. To request the spare parts that may be needed for the plant equipment, the women are given a book that has pictures and they can simply indicate in the book which pieces they need. Where is it written that just because one can't read and write or doesn't know the language spoken in a certain place that they can't become an electrical engineer?” The grandmothers of Barefoot College have absolutely shown the contrary, and that is not all: when they return to their villages after the six months spent on the college “campus,” along with their new profession they also often start a new life. The professionalism acquired, in fact, is generally accompanied by a complete upheaval of their social and family roles: submissive and, sometimes, harassed women on the outer edge of the productive chain of the village and the family, who after this period of training return with a greater awareness of their capabilities and their independence. “In this way, we are also managing to intervene upon the man-woman relationship, giving hope to those who have none and demonstrating that a more active role of the women in the community improves the life of the village,” continues Roy. “These are not abstract concepts: these people demonstrate it every day in their lives, even though it is not easy to overcome the initial diffidence and redefine the roles in the community. For that matter, you need patience for everything: as Mahatma Gandhi said: ‘First they ignore you. Then they laugh at you. Then they fight you. And in the end, you win.’ This has also been my own experience.

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oxygen | 15 — 02.2012

Id in-depth

EAT LOCAL, THINK GLOBAL Why it is better to speak of “local eating” rather than to use the terms “zero kilometer” and “short-chain,” why consumers should become co-producers because food, energy and information travel along the same track: the “guided revolution” of the founder of Slow Food. by Carlo Petrini

On the subject of “zero kilometers” and the “short-chain,” let us clear the field immediately: these definitions are unsuitable or insufficient to describe what really could revolutionize the food system in our century. A revolution led by the commonly shared pursuit of quality which is complex and full of substance, thus providing as wide an opinion as possible – as to the sensory, environmental and social aspects – that may well be summed up in the formula that I coined in a book written in 2005: food that is “good, clean and fair.” To achieve full access (both from a physical point of view, and from the economic and cultural ones) to sustainable food in all respects, there is a single prerequisite (which could be very simple), which is that people start, as far as possible, to “eat local.” The effective English term, in my opinion, is just as eloquent when expressed in Italian. I do not like to talk in zero kilometer terms, and I hope that this expression will no longer be used (although it is widely used now): I find it misleading and reductive. In fact, zero kilometer foods do not exist, unless you cultivate them in your backyard or on your

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balcony, an action certainly useful and worthy of being promoted at all levels (especially in cities), but which cannot supply a complete personal diet, let alone meet the needs of billions of people around the world who are not growing anything, and who are not farmers. Zero kilometer opens the way for detractors of eating local, and runs the risk of not constructing anything and of becoming a fashion which, although useful for the processes it triggers, is still just a passing trend. “Short-chain” is a more apt term regarding the matter of eating local but has the defect of sounding too technical, better adapted to the production and distribution field, thus running the risk of excluding a key element: the responsibility of those who buy and eat the food, who are commonly defined as the “consumer.” Seeing that the words are important, let me take another one into consideration. Also the term “consumer,” when it comes to food, should be abolished. If we really want to create a sustainable and therefore long-term food system, we must stop viewing food as just any commodity of a consumption system, but rather as an aggregate of values useful for judging (and paying for) it: for the set of relationships it triggers and from which it has arisen, for all the consequences it may have on the lives of those who produce the food, for those who trade it and those who eat it, as well as for the environment and the resources that this can offer – which, it is worth remembering, are limited. If food becomes (and unfortunately, it already is) a commodity like many others of our consumer society, we tend to judge it according to its price and not for its real value. In our use-and-throw-out society, then, we do not have too many qualms about wastage: the figures that speak of the quantity of food ending up in the garbage range from 30 to 40%, both in rich countries and in poor ones. Feeling themselves to be just “consumers,” more and more people are turning away from any real knowledge of what they eat. The farmer and poet Wendell

Berry has admirably written that “eating is an agricultural act.” Therefore, eating is not merely consuming, a passive action. By choosing what to eat, we can direct the production, embracing a certain type of agriculture, sustainable or not, supporting farmers in that corner of the world that has produced the food. So, when it comes to food, instead of “consumer,” perhaps it is better to use the term “coproducer.” Because if one is aware of having actively chosen “good, clean and fair” food, then one has established, even if at a distance (but one that is as short as possible!), a sort of alliance with those who have produced it. The act of eating will become the last action of the production process, no longer bumpy, but an inclusive part of it. A cognitive process which is always conscious, responsible and, therefore, sustainable, in all of its steps. The urge to go back to local eating is, thus, dictated by these factors: knowledge, quality, environmental sustainability, fair remuneration for the agricultural work, the preservation of biodiversity and the diversity of local cultures related to the food. There are three elements that, in the new millennium, cannot be treated as a mere commodity because they involve a large number of common goods and widespread responsibility (with regard to the land we inhabit and the future generations): information, energy and food. These are three elements that cannot be lived in a centralized, linear and unidirectional way that is not shared. They need to be spread over the territories and to establish twoway relationships between producers and co-producers, to be shared and, hence, easily accessible to all population groups. Concerning information, the Internet has already created the revolution. If before it was oneway, going from the producers to the consumers, with the new technology, today everyone can share real-time information regarding what they have produced. At the same time, this “free” information is more accessible to those wishing to construct

Feeling themselves to be just “consumers,” more and more people are turning away from any real knowledge of what they eat. So, when it comes to food, instead of “consumer,” perhaps it is better to use the term “co-producer.”


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their own paths of knowledge. Regarding energy, I am certainly not the expert who is pre-configuring a system where users themselves would become producers. With the spreading of small-scale renewable sources, with smaller PV systems on roofs, biomass for agriculture, hydropower generated by the minimal changes of water or small wind generators, every “consumer” will become a producer and share his or her energy. Perhaps what is still missing are the large networks that are able to manage this widespread production better, with due efficiency and without waste. It is almost certain that, given the technological evolution, it will pass from a centralized model to a widespread one. The same thing should happen for food: this does not mean going back to being farmers (at least, not everyone), but to becoming co-producers. The largescale intensive monoculture pro-

duction, the patenting of seeds, the distribution in the hands of a few subjects, the consumer who is not aware, have by now proven to be a single, huge, unsustainable system. And I am saying this not only from the ecological point of view (which seems obvious, considering the savings in CO2 emissions linked to being local), because monocultures reduce biodiversity (and are even polluting) and centralized distribution creates standardization, exploitation of the land-workers and ignorance in the “consumers.” The system is becoming untenable from an economic standpoint: while the final prices of food are increasing, medium- and large-scale farmers are going through unprecedented difficulties. All this while facing a financial crisis that affects everyone, even those economic powers that have speculated on the food for decades, with their illusion of controlling the internal system.

So, food produced primarily for local consumption, a new relationship of proximity between city and countryside, new “shortchain” distribution systems (from the farmer's market, to the Internet, to the buyer group), the preference for fresh, seasonal food (and thus, inevitably, local) of the eater: all these things could help rebalance the system. “Eat local” should be the slogan of both the citizen co-producers and of the producers themselves, in a situation in which the food (as far as possible: let us not forget common sense, we are not talking about self-sufficiency) is grown, raised, processed, distributed and chosen, not so much for the price it may have, but for the values it embodies. All this in a widespread, systemic (I would say holistic) way, using new networks through which it is possible to circulate both the food and the information concerning it, with its histories and “stories.”

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If food becomes (and unfortunately, it already is) a commodity like many others of our consumer society, we tend to judge it according to its price and not for its real value

A thousand vegetable gardens in Africa The Terra Madre (Mother Earth) communities have an ambitious project: to create a thousand vegetable gardens in the schools, villages and city suburbs of 25 African countries. The Thousand Vegetable Gardens in Africa are concrete models of sustainable agriculture, attentive to the different environmental, social and cultural aspects, based on the recovery of local seeds and traditional varieties and the sharing of agricultural and educational experiences among the communities involved. In Africa, the local coordinators of the project have already involved 396 communities, while in the rest of the world, the international Slow Food network is mobilizing to raise the funds needed to create the gardens. To date, 400 gardens have been adopted. Support the project, too: adopt a vegetable garden! http://fondazioneslowfood.com/ Oxygen has adopted a vegetable garden in Africa and supports the Slow Food Foundation

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Oxygen 2007/2012 Andrio Abero Giuseppe Accorinti Zhores Alferov Enrico Alleva Colin Anderson Ignacio A. Antoñanzas Paola Antonelli Antonio Badini Roberto Bagnoli Andrea Bajani Pablo Balbontin Philip Ball Ugo Bardi Paolo Barelli Vincenzo Balzani Roberto Battiston Enrico Bellone Carlo Bernardini Tobias Bernhard Michael Bevan Piero Bevilacqua Andrew Blum Borja Prado Eulate Albino Claudio Bosio Stewart Brand Luigino Bruni Giuseppe Bruzzaniti Massimiano Bucchi Pino Buongiorno Tania Cagnotto Michele Calcaterra Paola Capatano Maurizio Caprara Carlo Carraro Federico Casalegno Stefano Caserini Valerio Castronovo Ilaria Catastini Marco Cattaneo Silvia Ceriani Corrado Clini Co+Life/Stine Norden & Søren Rud Elena Comelli Ashley Cooper Paolo Costa Manlio F. Coviello George Coyne Paul Crutzen Brunello Cucinelli Partha Dasgupta Mario De Caro Giulio De Leo Michele De Lucchi Ron Dembo Gennaro De Michele Peter Droege

Freeman Dyson Magdalena Echeverría Daniel Egnéus John Elkington Richard Ernst Daniel Esty Monica Fabris Carlo Falciola Alessandro Farruggia Francesco Ferrari Paolo Ferri Tim Flach Stephen Frink Antonio Galdo Attilio Geroni Enrico Giovannini Marcos Gonzàlez David Gross Julia Guther Søren Hermansen Thomas P. Hughes Jeffrey Inaba Christian Kaiser George Kell Parag Khanna Sir David King Mervyn E. King Hans Jurgen Köch Charles Landry David Lane Manuela Lehnus Johan Lehrer Giovanni Lelli François Lenoir Jean Marc Lévy-Leblond Ignazio Licata Armin Linke Giuseppe Longo L. Hunter Lovins Mindy Lubber Tommaso Maccararo Giovanni Malagò Vittorio Marchis Jeremy M. Martin Massimiliano Mascolo Mark Maslin Ian McEwan John McNeill Daniela Mecenate Lorena Medel Joel Meyerowitz Paddy Mills Giovanni Minoli Marcella Miriello Antonio Moccaldi Carmen Monforte Patrick Moore

Luis Alberto Moreno Richard A. Muller Teresina Muñoz-Nájar Ugo Nespolo Nicola Nosengo Helga Nowotny Alexander Ochs Robert Oerter Alberto Oliverio Sheila Olmstead Vanessa Orco James Osborne Rajendra K. Pachauri Mario Pagliaro Francesco Paresce Claudio Pasqualetto Federica Pellegrini Matteo Pericoli Emanuele Perugini Telmo Pievani Tommaso Pincio Michelangelo Pistoletto Viviana Poletti Stefania Prestigiacomo Giovanni Previdi Filippo Preziosi Marco Rainò Jorgen Randers Carlo Ratti Henri Revol Marco Ricotti Sergio Risaliti Kevin Roberts Lew Robertson Kim Stanley Robinson Alexis Rosenfeld John Ross Marina Rossi Jeffrey D. Sachs Gerge Saliba Juan Manuel Santos Tomàs Saraceno Saskia Sassen Steven Shapin Clay Shirky Uberto Siola Craig N. Smith Antonio Sofi Leena Srivastava Francesco Starace Robert Stavins Bruce Sterling Stephen Tindale Chicco Testa Chiara Tonelli Mario Tozzi Ilaria Turba

Luis Alberto Urrea Andrea Vaccari Nick Veasey Jules Verne Umberto Veronesi Marta Vincenzi Alessandra Viola Mathis Wackernagel Gabrielle Walker Elin Williams Changhua Wu Kandeh K. Yumkella Edoardo Zanchini Carl Zimmer

Testata registrata presso il tribunale di Torino Autorizzazione n. 76 del 16 luglio 2007 Iscrizione al Roc n. 16116


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