Uno Cookbook Fuori Orario - Manuel Marcuccio - EIFIS Editore

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collana

VEGGIE & VEGAN


manuel marcuccio

uno cookbook fuori orario Ricette 100% veg per: la colazione - il brunch - la merenda lo spuntino di mezzanotte

EIFIS Editore


©Copyright 2014 EIFIS EDITORE srl Uno Cookbook Fuori Orario - Manuel Marcuccio I Edizione Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in nessuna forma senza il permesso scritto dell’Editore. Fotografie: Manuel Marcuccio Post produzione fotografica: Skymax-DG Art Director: Davide Cortesi Direttore di collana: Manuel Marcuccio Impaginazione: Skymax-DG Stampa: MDM Forlì Il logo di “Uno Cookbook” è di Emanuela Fiorani ISBN 88-7517-105-6 ©2014 Dicembre – EIFIS EDITORE srl Viale Malva Nord, 28 48015 Cervia (RA) – Italia www.eifis.it info@eifis.it L’Editore non si assume responsabilità per l’utilizzo improprio delle informazioni contenute in questo libro. Ogni nome, marchio, o personaggio reale o di fantasia non di creazione dell’autore (o degli autori) in esso eventualmente citati sono di pubblico dominio e comunque laddove esistano dei diritti copyright essi sono di proprietà dei relativi autori, creatori, inventori ed editori e dove è stato possibile gli autori hanno inteso citarne esplicitamente le fonti.


Sommario 07:15

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-- Wurstel di tofu.............. 22 -- Tofu strapazzato............. 24 -- Baked beans.................. 26 -- Bacon tempeh................. 28 -- Muffin di patate dolci -- con muesli e cioccolato....... 32 -- Muffin al tè matcha con fragole e mirtilli....... 34 -- Muffin al doppio............. 36 -- cioccolato e pere............ 36 -- Muffin cuor di ciliegia...... 38 -- Waffles integrali all’avena e cioccolato....... 42 -- Crêpes di grano saraceno..... 44 -- Donuts al limone............. 46 -- Pancakes alla frutta......... 48

-- Barrette con goji e pistacchi.108 -- Biscotti con cioccolato -- al tè matcha................. 110 -- Cookies con cioccolato....... 112 -- Granola alla lavanda......... 114 -- Scones salati olive e noci... 118 -- Crackers sesamo e pepe rosso. 120 -- Piadine di farro con fichi caramellati........ 122 -- Pretzel...................... 124 -- Panini dolci alla cannella... 128 -- Crema spalmabile di mandorle e nocciole....... 130 -- Torta di carote viola........ 132 -- Cheesefake al lime........... 134

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-- Chips di tempeh.............. -- Mini rösti di patate -- e barbabietole............... -- Pizza pop corn............... -- Lupini speziati.............. -- Involtini phyllo............. -- Pakora onion rings........... -- Nachos....................... -- Vegan tacos.................. -- Kill the hag! Kill! Kill!.... -- Gommose alla liquirizia...... -- Biscotti di mais e semola al cioccolato....... -- Morfeo: i biscotti della buonanotte.............

-- Bagel con tofu grigliato..... -- Bagel con falafel burger e cetriolini.......... -- Bagel con panelle -- e melanzane.................. -- Bagel con tempeh affumicato.. -- Tartelletta brisée -- con asparagi................. -- Tartellette -- con pomodorini confit........ -- Tartellette con funghi e crema di anacardi.......... -- Tartellette brisée con zucca e scalogno......... -- Insalata di patate e pesche tabacchiere......... -- Insalata di rape -- al miso bianco............... -- Insalata capricciosa......... -- Insalata di quinoa e legumi..

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Fuori Orario

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-- Bagel........................ -- Maionese 100% veg............ -- Formaggio cremoso 100% veg... -- Pasta Brisée.................

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Introduzione di Fiorenza Menni

Questo è un libro per farci innamorare della scena musicale post punk sovietica degli anni ‘80. È un libro che ti prende per mano e ti porta nel paranormale, ti fa pensare agli ufo e agli alieni, notoriamente vegani. L’ho letto: è un libro di racconti fantastici. Parla di miscele esplosive. Secondo me è roba per hacker. Forse c’entra Unabomber. Tratta della reciproca influenza tra culture diverse. Sembra un soggetto per un film. Sembra un soggetto per un cartoon. È un libro di fotografia, di progettazione grafica, di design. Un manuale sul post digitale. È un ricettario! È il secondo ricettario di Manuel Marcuccio. Quando Manuel mi ha parlato di questo suo nuovo libro, quella che ha pronunciato più volte è stata la parola “plausibile”. Si stava certo riferendo alla sua inquietudine creativa, alla sua ricerca su come accostare gli ingredienti per questo nuovo progetto, alla sua tensione verso una compiutezza che potesse restituire in forma di ricette le sue tante visioni. Perché la caratteristica principale di Manuel è la capacità di accogliere ed elaborare i fenomeni della realtà. Manuel riesce a contenere una quantità d’informazioni incredibile: curioso di tutto ciò che gli capita d’incontrare, e appassionato ricercatore, è raramente sazio; lo trovi sempre in movimento tra viaggi, libri, musica, film, rete, genti. Ho sempre pensato a lui come a una antenna adatta a captare - nel contemporaneo come nel passato - quegli elementi del reale che, attraverso la sua ingegnosa qualità reagente, restituisce ricombinati armoniosamente in nuove formule, anche da mangiare! In questo stesso modo Manuel progetta, inventa e propone le sue ricette, che predilige abbinate a un film, a una band, a un genere musicale o letterario, a un personaggio del passato. Ricette che immagina consumate in contesti conviviali estremamente vitali. Il titolo “uno cookbook fuori orario” ci sintonizza da subito con il cibo gustato lontano dai pasti convenzionalmente detti principali, ma che forse per tanti di noi non esistono più. Questo modo di mangiare supera l’opposizione tra tradizione e cibo fast, orientandoci verso nuovi godimenti per i nostri palati e preferendo gusti e modi di vivere luminosi e più consapevoli. Vite che pretendono con i singoli gesti quotidiani di ognuno (UNO) di sostenere azioni d’attenzione verso il nostro pianeta e verso tutti i suoi abitanti. Le ricette qui presentate sono suddivise secondo quattro pasti “fuori orario”, ogni capitolo viene introdotto da un racconto che si sviluppa attorno a un personaggio,

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al suo essere già vegano o all’esserlo diventato. Quattro personaggi per quattro pasti fuori orario in relazione alla scelta vegana. Dalla decisione consapevole di una ottantatreenne, alla storia di un bimbo che ha mangiato vegano fin dalla nascita. Un incrocio di opposti estremi, come per la parola vegan, coniata nel 1944 da Donald Watson mantenendo solo gli estremi opposti della parola vegetarian. Il titolo ci rimanda alle avventure surreali di Paul Hackett nel film diretto da Scorsese nel 1985, che nel suo tempo libero, dopo il lavoro, ha la fortuna di essere coinvolto in vicissitudini fuori dal comune. Accadimenti preziosi per generare nuovi pensieri sulla vita, nuovi punti di vista. Una pediatra, incline a un approccio olistico, qualche tempo fa si raccomandò con me di modificare spesso la composizione della colazione e delle merende di mio figlio Marco. Mi spiegò che cambiare spesso cibo e abituarlo a cibi di nuova concezione lo avrebbe stimolato anche intellettualmente, lo avrebbe reso aperto di mente, lo avrebbe portato ad avere nuove idee. Che goloso e vitale consiglio! Dunque buona lettura, buone visioni, buon appetito, buone nuove idee, e fate attenzione alle porte socchiuse, ai vicini di casa, ai rumori in cantina, agli oggetti che volano, alla frutta e alla verdura sospese nel nulla. Fiorenza Menni è attrice, autrice di teatro e direttrice artistica di Ateliersi (www.ateliersi.it).

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Vanilde La Signora Vanilde stava sdraiata in perfetto equilibrio sul suo fianco sottile, ruvido e scricchiolante. Fissava la sveglia già da più di un’ora, aspettando che suonasse. Contava il tempo sussurrando, a ritmo con il movimento della lancetta, cui faceva da cassa armonica il comodino vuoto. Ogni secondo era così rumoroso che le sembrava il suono solenne di un timpano a cui, inevitabilmente, dover sincronizzare il respiro. Uno, due, tre... cinquantotto, cinquantanove, zero. Sessanta non lo diceva mai. Aveva rinunciato a pronunciare “quella parola”, qualche tempo prima, prendendo la decisione solenne che non avrebbe più compiuto gli anni. E così era stato: per la cronaca, a dispetto dell’anagrafe, la Signora Vanilde aveva cinquantanove anni da ben ventitré anni. Era decisa, ferma e rigida nei suoi propositi, proprio come i suoi ginocchi. Ogni decisione presa, ogni promessa fatta a se stessa o a un oggetto di casa, finanche a una delle rarissime persone alle quali rivolgeva la parola, era da sempre stata per lei una promessa da brava bambina, da annotare sul suo quaderno delle regole. Quell’abitudine era diventata poi un impegno imprescindibile, un patto di sangue e, finalmente, l’incaglio di un carattere ormai calcificato nel tempo, che lei chiamava “la mia arterio”. Così una mattina aveva deciso: da quel preciso momento avrebbe puntato la sveglia alle sette ogni giorno della settimana, e non si sarebbe mai più alzata dal letto prima di quell’ora, per nulla al mondo, fatta eccezione per le necessità fisiologiche più impellenti. Aveva preso il trentasettesimo quaderno delle regole e, dopo aver distinto quale delle sei dita sottili e appuntite, della mano sinistra, fosse la penna bic, aveva fatto rotolare la sfera sulla carta per scrivere: “REGOLA 386: Quando compi cinquantanove anni e non hai più nulla da fare, non hai più un lavoro né un nipote, né una vicina di casa che ti vada a genio, è inutile svegliarti alle cinque del mattino, tutti i giorni, per annoiarti e farti abbindolare dalla tv. È dunque vietato alzarsi dal letto prima delle sette del mattino per profittare del riposo nelle ore più silenziose. Fatta eccezione per le necessità fisiologiche più impellenti, allarmi bomba e coprifuoco o calamità naturali quali: terremoti, alluvioni, tsunami, tornado.”. Così, da allora, la Signora Vanilde spalancava gli occhi alle cinque del mattino, si metteva su un fianco, fissava la sveglia sul comodino e contava i secondi aspettando le sette. Uno, due, tre... cinquantotto, cinquantanove, zero. Quella mattina, però, la Signora Vanilde, decise di alzarsi dal letto fuori orario, senza una ragione precisa, ma con la stessa urgenza che ha un animale rinchiuso in gabbia di riacquistare il terreno sotto le zampe e mettersi a correre. Si affacciò da sopra il materasso per scorgere dove si fosse sfilata le

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pantofole la sera prima. Nessuna sorpresa: erano lì come sempre, in fondo al burrone che separava il letto dal pavimento, ben ordinate, al centro del perimetro formato dai quattro listoni del parquet. Lasciò precipitare a terra una valanga di lino bianco, croccante, con cui si copriva anche in quelle calde notti d’estate, e lentamente scese a valle fino a calzare le pantofole, che le accarezzarono il collo del piede con il loro morbido inserto di marabù tinto di rosso vivo. Indossò la vestaglia leggera con le maniche a kimono e lentamente si incamminò verso il bagno. Entrò, senza accendere la luce, compiendo un percorso che aveva collaudato per non trovarsi mai davanti a uno degli specchi e non dover fare i conti con la propria immagine riflessa. Si lavò il viso al buio, spazzolò i capelli arancione fluo con la ricrescita bianca, al buio, si accarezzò il volto con la crema idratante, al buio, infine passò un filo di rossetto rosso, al buio, seguendo a memoria la forma della bocca. La pasta del rossetto cominciò subito a scorrere tra le rughe delle labbra, impreziosendo con rami di corallo il suo naturale sorriso rovesciato. Il sole non si era ancora alzato e Vanilde, muovendosi nel lungo corridoio, non provò la solita fretta di correre ad abbassare tutte le tapparelle, come il boia indaffarato da una multi esecuzione con dodici ghigliottine da terminare prima dell’alba. Entrò in cucina, preparò un caffè, lo versò nella tazzina di porcellana bianca e si avvicinò alla finestra aperta, per sorseggiarlo osservando il giardino del condominio. Sì fermò a guardare le finestre degli appartamenti che si illuminavano, ad ascoltare gli scrosci delle docce di chi cominciava a prepararsi per andare al lavoro e la prima corsa dell’ascensore, ed ebbe la netta sensazione di rivedere un film che aveva visto l’ultima volta molti anni prima. L’aria cominciava a illuminarsi lentamente. Appoggiò la tazzina vuota sul davanzale, portò le mani alla corda della tapparella e cominciò a tirarla per abbassarla e ripiombare così nel buio rassicurante, quando si accorse di un bruco a pochi centimetri dalla tazzina, che la fissava. “Tu cosa vuoi, sei venuto a farti decapitare dalla mia tapparella?! Non rendermi partecipe del tuo suicidio, maleducato!” Poi, con un gesto repentino, inaspettato, lo raccolse in una mano e con l’altra lasciò andare la corda. La puleggia girò velocemente e la tapparella si abbassò di colpo, frantumando la tazzina in piccoli pezzi che, sporchi di rossetto, sembravano insanguinati. Il botto rimbombò tra le mura del palazzo e qualcuno al piano terrà, forse impaurito dal rumore improvviso, gridò un “aaaah” sottile e stridulo. Vanilde aprì la mano lentamente: il bruco era ancora lì, salvo, e si impennò sulle zampe posteriori continuando a fissarla. Aveva sempre avuto il terrore degli insetti e provava ribrezzo solo a vederli da lontano, ma ora se ne stava lì in piedi tenendo in una mano un bruco di cinque centimetri, che la guardava fissa negli occhi e pareva voler comunicare con lei. La sensazione fu così forte che dovette sedersi; poi, tenendo il palmo della mano aperto davanti al viso, nel modo più naturale disse: “Ciao! Sei molto bello... o molto bella, io non me ne intendo.”. Si ritrovò a osservare le geometrie e i colori di quel bruco leggermente peloso, che

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si muoveva con grazia tra le sue dita. Il corpo era di un verde Veronese con leggere striature turchesi che sfumavano nel giallo. A ogni segmento del torace e dell’addome aveva piccole macchie arancioni simili a pois che si mescolavano ad altre macchie nere, in un ritmo preciso, di un tipo che fino ad allora aveva apprezzato solo nei tessuti, di cui era una raffinata esperta. Gli occhi erano due piccole sfere nere, lucide, e teneva le mandibole seghettate rivolte verso l’alto, come se stesse sorridendo. Era perfetto, e Vanilde si commosse. Quell’esserino fragile si fidava di lei, che in quel momento si sentiva simile a lui: in bilico tra la vita e la morte sotto una ghigliottina/tapparella che può colpire da un momento all’altro. Le fu subito chiaro che, tra i due, l’animale più forte era lei, e che con un gesto semplice, magari con un cartoncino, avrebbe potuto lanciare quel bruco dal davanzale o addirittura schiacciarlo con una delle sue pantofole decorate di marabù. Certo, il marabù... Per la prima volta a venirle in mente non fu la lussuosa qualità rétro delle sue pantofole, ma quel suono, quella parola: marabù, che la fece pensare a un uccello africano gigante. Così a cinquantanove anni compiuti da ben ventitré, intuì di aver compreso quello che si intende per compassione. Normalmente avrebbe lasciato tutto da parte per annotarlo in uno dei suoi quaderni, perché da un accadimento del genere sarebbe sicuramente potuta scaturire una nuova regola, ma questa volta preferì continuare ad avere cura di quel bruco. Tornò davanti alla finestra e alzò di nuovo la tapparella: il sole che ormai si era levato le illuminò le mani e il volto, senza trasformarla in pietra come succede di solito ai vampiri e ai troll. Chiuse gli occhi e rimase alcuni secondi a farsi riscaldare dalla luce, poi aprì la mano e lasciò che il bruco tornasse sul davanzale e cominciasse a percorrerne l’orlo, con le zampe che si muovevano elegantemente creando un’onda colorata. Vanilde ne seguì il percorso fino a quando lo vide sparire e sussurrò: “Torna a trovarmi!”. In quel momento sentì una voce salire dal giardino: “Vanessa! Vanessa!”. Si affacciò e vide il piccolo Francesco, nipote della portinaia, rivolto alla finestra con le braccia aperte. “Vanessa, buttati, ti prendo io!”. La Signora Vanilde si affacciò del tutto e, completamente illuminata dal sole, cominciò a ridere fragorosamente, come mai nessuno nel condominio le aveva sentito fare: “Vuoi che mi butti? Magari fino a ieri l’avrei fatto volentieri, ma oggi non mi va. Sarebbe meglio che tu cercassi una principessa più giovane da liberare dalla prigione nella torre, e comunque mi chiamo Vanilde, non Vanessa.”. Continuando a ridere si diresse verso il frigorifero per prendere gli ingredienti della sua solita colazione, dopo il caffè: succo di frutta e toast al prosciutto. Certo, il prosciutto... Così come per le pantofole, nella sua mente anche quel suono prese per la prima volta forma e identità. Da fettine sottili di carne, raccolte in cartoccio, il prosciutto era diventato un maialino rosa, che stava grufolando dentro

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il frigorifero. Le fu chiaro in un attimo che continuando a pensare in quel modo non avrebbe più potuto cibarsi di alcun ingrediente di origine animale e che così facendo probabilmente si sarebbe spenta di lì a poco, malnutrita a base di sole insalatine. In un altro momento sarebbe corsa a scriverlo immediatamente sul quaderno, ma quel giorno pareva non importarle più nulla delle regole e si sentiva più viva che mai. Era curiosa di capire fino in fondo cosa le stesse accadendo, ma doveva pur mangiare qualcosa per profittare al meglio, vigile, con più energia, di tutte le sorprese che quella giornata iniziata fuori orario le stava regalando. Pensò di scendere al quarto piano e di chiedere consiglio al professore universitario di cui tanto le aveva pettegolato Nina, la portinaia. Le aveva detto che era un tipo un po’ strano (non lo aveva mai visto in compagnia di una ragazza) ma che, nonostante questo, era una brava persona: “… Perché lui gli animali non li mangia. Mai!”. Così com’era vestita prese le chiavi di casa, le infilò nella tasca della vestaglia e scese due piani a piedi, con un’energia da atleta che pensava di non avere più. Si trovò davanti alla porta dell’appartamento del professore e lesse per sicurezza il nome sulla placca del campanello: Vitali. Bussò tre colpi e attese qualche secondo. Bussò una seconda volta con più vigore ma nessuno rispose. Poggiò l’orecchio alla porta per sentire se qualcuno si stesse muovendo in casa e con l’indice della mano destra suonò il campanello. Sobbalzò al rumore sintetico di una sorta di astronave in fase di decollo; lo aveva sentito solo cinquantasette anni prima: al cinema, durante i titoli di testa di Forbidden Planet. La chiave girò nella toppa interna e la porta si aprì. Si affacciò un ragazzo sovrappeso, di circa trentacinque anni, con i capelli scuri, ricci e spettinati. Aveva gli occhi gonfi di chi è appena stato svegliato, dietro a un paio di occhiali spessi, indossati storti, con una montatura grossa tenuta assieme da un pezzo di scotch grigio telato. Indossava calzettoni neri, con dei piccoli alieni verdi ricamati, che gli stavano afflosciati alle caviglie, un paio di boxer in tessuto lucido con stampata la mappa stellare e una T-shirt nera con la scritta ROSWELL 1947, a carattere college americano. Guardò Vanilde con gli occhi socchiusi e trattenendo uno sbadiglio disse: “Sì?”. “Buongiorno Professore, sono la vicina del sesto piano, mi perdoni se l’ho svegliata ma ho bisogno assolutamente di chiederle un paio di informazioni, perché sa, alla mia età, faccio un po’ fatica a capire certe cose e siccome Nina, la portinaia, mi ha detto che lei non mangia nulla di origine animale e anche io, in pratica, da cinque minuti non ne mangio più, o per essere precisi da ieri sera, dopo cena, perché poi sono andata a dormire e ho preso solo le pasticche per la pressione, ma ho un po’ di fame e vorrei preparami qualcosa, ovviamente non so da dove cominciare, ad esempio: ho due melanzane in frigorifero, magari grigliate con un po’ d’olio, però le melanzane a colazione, lei capisce immagino, ecco io di solito mi preparo un toast ma forse con qualche ricettina “curiosa”, qualche consiglio, mi sono anche detta: è un professore

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chissà quanti libri avrà in casa, avrà anche un ricettario che faccia al caso mio, così qualcosa di semplice per principianti, perché non sono mai stata molto brava in cucina, sono giornalista, di moda, ho sempre mangiato fuori, ho vissuto a Londra, a New York, prendevo un caffè, me lo portavo in redazione, un caffè da mezzo litro che mi durava tutta la mattina, poi erano sandwich, qualche cineseria in quelle ciotoline di cartone che si vedono nei film, e poi certo anche le uova, il bacon, lei capirà, oddio il bacon... e il prosciutto mai più, per l’amor di dio, si figuri mi è sembrato di vedere il povero maialino nel frigorifero, non faccia caso alle pantofole, sì, è marabù ma le getto, anzi se preferisce me le tolgo...”. Il professore la interruppe: “Se non le dà fastidio il casino entri pure, così preparo la colazione, mangiamo qualcosa assieme e mi racconta tutto da capo, con calma.”. Poi voltandosi e dirigendosi verso la cucina continuò: “Preparo un caffè, del tofu strapazzato e scaldo due wurstel vegani, va bene per lei?”. “Oh, tofu strapazzato?! Io credo di sì, credo che probabilmente andrà bene...”. Vanilde tolse le pantofole, le lasciò sullo zerbino ed entrò in casa del professore chiudendosi la porta alle spalle. Quando, dopo colazione, ritornò in casa, aveva con sé un ricettario che il professore le aveva prestato. Era un ricettario fotografico ricco di immagini, che a prima vista sembravano tutte uguali: le ricette erano presentate sullo stesso piatto, e questo era sempre appoggiato su una cassetta della frutta rovesciata. A guardarle meglio, però, erano tutte differenti e non avevano certo l’aria di una punizione culinaria o di una cucina di sottrazione, e non sembravano soffrire affatto della totale mancanza di ingredienti animali. Al contrario, quel ricettario colorato, che aveva cominciato a sfogliare velocemente in ascensore, pagina dopo pagina stava facendo nascere in lei il desiderio di riaccendere i fornelli per cucinare, e non solo per scaldare piatti già pronti o preparare il caffè della colazione. Prese dal comodino della camera da letto l’ultimo quaderno delle regole e poi si sedette al tavolo della cucina per stilare una lista della spesa, ricca di ingredienti che non aveva mai sentito nominare e ispirata dai piatti in cui avrebbe voluto cimentarsi. Terminata la lista strappò la pagina dal quaderno, la piegò in quattro e la ripose nel portafogli. Cominciò di nuovo a ridere fragorosamente, godendo del senso liberatorio che le aveva procurato quel gesto “estremamente trasgressivo”: non solo aveva usato il quaderno delle regole per scrivere degli appunti ma ne aveva stracciata una pagina, senza curarsi del fatto che quella opposta si sarebbe staccata dalla rilegatura e sicuramente sarebbe andata persa. Poi aveva lasciato il quaderno sul tavolo della cucina, come si fa con un blocco note qualsiasi. Prima di andare a fare la spesa, cominciò a organizzare lo spazio della sua nuova dispensa partendo proprio dal frigorifero. Superato il timore che l’aveva colta solo qualche ora prima, lo aprì e cominciò a gettare in un sacchetto della spazzatura tutto il cibo di cui non voleva più nutrirsi, a cominciare proprio dal cartoccio

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di prosciutto. Annodò il sacchetto di plastica nera e lo pose davanti alla porta di casa, poi si voltò verso il grande soggiorno. L’opulenza di quel museo privato di ricordi, oggetti lussuosi, regali preziosi, soprammobili, cornici, cuscini, posacenere, miniature e scrigni le diede un netto senso di nausea, ma lei lo curò immediatamente dicendo ad alta voce: “Vanilde, oggi non puoi certo lamentarti di non avere niente da fare, forza!”. Individuò subito alcune delle borse di pelle, vuote, che lasciava in giro in qua e in là, e che cambiava sempre per accordarle perfettamente allo stile dell’abbigliamento impeccabile con cui ogni giorno dopo il tramonto si recava in uno dei negozietti di quartiere a fare la spesa. Cominciò a raccoglierle, infilandole col braccio sinistro, e man mano si stupiva di non avere mai prestato un’attenzione precisa a quegli accessori, se non per godere del design e dell’eleganza esclusiva che le donavano. Improvvisamente dal suo braccio pendevano: un tapiro, un coccodrillo, un cavallino, tre vacche e un pitone. Uno dopo l’altro prese in mano i suoi memorabilia e li classificò velocemente in quelli che avrebbe voluto conservare e quelli che avrebbe portato in cantina. Le borse si riempirono di statuine d’avorio, cornici in osso, scatoline decorate in madreperla, un set per la manicure i cui pezzi avevano il manico ricoperto di pelle, pettini per capelli realizzati in tartaruga, collane di perle, orecchini e tutto quello zoo muto che la circondava. Ripensò al portafogli dove aveva riposto la lista della spesa, lo prese di nuovo fra le mani, lo svuotò del denaro, dei documenti, delle tessere, di tutto quello che conteneva e lo gettò dentro una delle borse. Si diresse in camera e lo stesso fece con le camicie di seta, i twin-set in cachemire e le innumerevoli scarpe che aveva collezionato negli anni. Si tolse anche le pantofole decorate di marabù rosso vivo e, scalza, prese alcune borse, le chiavi della cantina e di nuovo uscì di casa; entrò nell’ascensore e premette il pulsante -1. La temperatura scese improvvisamente di almeno 8 gradi, la cinghia del motore smise di girare e un clack sbloccò il cancello di metallo. Vanilde si trovò all’estremità del lungo corridoio sotterraneo che collegava i tre condomini del complesso residenziale. Il pavimento di cemento grezzo, sotto i suoi piedi nudi, era gelido. Alla sua sinistra e alla sua destra, due schiere di piccole porte in metallo grigio numerate, illuminate solo dal riverbero della luce dell’ascensore, andavano via via dissolvendosi nel nero. Normalmente, una fotocellula accendeva una lampada per illuminare una piccola parte del lungo corridoio e, lampada dopo lampada, il cammino di chi si trovasse nelle cantine. Questo avveniva normalmente, non quel pomeriggio. Un boato simile a un risucchio metallico squarciò il silenzio alle spalle di Vanilde e l’ascensore precipitò verso l’alto, lasciandola nel buio. “No!”, gridò con la voce spezzata e allungando le braccia lunghe e sottili, cariche di borse, verso il pulsante di chiamata illuminato di rosso. Dopo averlo premuto più volte inutilmente, si girò di nuovo verso il corridoio e rimase lì immobile, in attesa che le pupille si allargassero lentamente alla ricerca di una qualsiasi

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wurstel di tofu tofu strapazzato baked beans bacon tempeh

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Wurstel di tofu preparazione: 10 minuti

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cottura: 40 minuti

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porzioni: 8 wurstel

ingredienti per la preparazione: ------------

200 grammi tofu morbido 100 grammi glutine di frumento 50 grammi cipolla ½ cucchiaino aglio in polvere 2 cucchiaini paprika dolce 4 cucchiai lievito alimentare in scaglie 75 grammi concentrato di pomodoro 1 cucchiaino sale integrale ½ cucchiaino macis in polvere ½ cucchiaino fieno greco in polvere 125 ml brodo vegetale

Versa in un robot da cucina tutti gli ingredienti secchi e frulla per pochi secondi. In una ciotola mescola tutti gli ingredienti liquidi con una frusta e versali nel robot. Frulla per 30 secondi fino a ottenere un composto morbido e spugnoso. Dividi il composto in otto parti e forma dei salsicciotti dall’aspetto grezzo, non preoccuparti della forma. Metti ogni salsicciotto in un rettangolo di alluminio da cucina, arrotolalo e chiudilo a caramella ben stretto e pressato. Cuoci al vapore i salsicciotti stretti nell’alluminio per circa 40 minuti. Lasciali raffreddare completamente. Srotola l’alluminio attorno ai salsicciotti. Ora i wurstel sono pronti per essere leggermente unti con olio extra vergine di oliva e scaldati in forno o saltati per pochi minuti in padella. Prova questi wurstel anche nel panino morbido con salsa senape e crauti.

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muffin muffin muffin muffin

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di patate dolci e muesli al tè matcha con fragole e mirtilli al doppio cioccolato con pere alla curcuma cuor di ciliegia



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Waffles integrali CrĂŞpes di grano saraceno Donuts al limone Pancakes alla frutta

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tartelletta tartelletta tartelletta tartelletta

con con con con

asparagi pomodori confit funghi e crema di anacardi zucca e scalogno


Tartelletta brisée con asparagi preparazione: 10 min

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riposo: 20 min

ingredienti per la crema di formaggio 100% veg: -- 400 grammi tofu cremoso -- 250 grammi panna da cucina vegetale -- 200 grammi formaggio cremoso (vedi ricetta pag. 188) -- 1 cucchiaio succo di limone -- 25 mandorle -- 2 cucchiai lievito alimentare in scaglie -- ½ cucchiaino pepe nero macinato -- ½ cucchiaino curcuma -- 2 cucchiai olio extra vergine di oliva -- 3 cucchiai rasi amido di mais

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cottura: 45 min

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porzioni: 8 tartellette

per completare la ricetta: -- pasta brisée (vedi ricetta a pag. 189) -- 24 asparagi -- 2 cucchiai olio extra vergine di oliva -- 1 pizzico di sale

Fuori orario prepara la pasta brisée con la ricetta che trovi a pagina 189. Frulla le mandorle nel macina spezie fino a renderle una polvere. Prepara la crema di formaggio versando tutti gli ingredienti in un robot da cucina, comprese le mandorle macinate, e frulla tutto per due minuti fino a ottenere una crema densa. Metti da parte. Priva gli asparagi della parte più dura del gambo e con un pela patate puliscili partendo dal centro, pelandoli verso il basso, per togliere la parte più fibrosa. Metti gli asparagi con l’olio e il sale in una piccola padella antiaderente e cuocili per circa 5/7 minuti. Devono ammorbidirsi leggermente ma restare al dente. Taglia tutte le punte e mettile da parte; taglia a rondelle tutti i gambi e versali nella crema di formaggio. Procedi con la prima cottura delle tartellette vuote poi farciscile con la crema di formaggio 100% veg e asparagi, seguendo le indicazioni che trovi a pagina 189. Metti su ogni tartelletta 3 punte di asparagi e procedi con la cottura. Servile tiepide con un’insalata fresca. Con questa ricetta puoi realizzare 8 tartellette o una grande torta salata.

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barrette di goji e pistacchi biscotti con cioccolato al tè matcha cookies con cioccolato e arance candite granola alla lavanda



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panini dolci alla cannella crema spalmabile di mandorle e nocciole al cacao torta di carote viola cheesefake semifreddo al lime





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chips di tempeh mini rösti di barbabietole e patate pizza pop corn lupini speziati


Chips di tempeh preparazione: 5 minuti

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cottura: 5 minuti

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porzioni: 4

ingredienti per la preparazione: -----

250 grammi tempeh 1 cucchiaino semi di coriandolo 1 cucchiaino paprika semi-piccante 1 cucchiaino sale integrale

per completare la ricetta: -- olio di arachidi per la frittura

Versa il sale, il coriandolo e la paprika in un macina spezie. Macinali finissimi fino a ottenere una polvere. Con una mandolina affetta il tempeh dello spessore di 2 o 3 mm. Friggi le chips di tempeh in olio bollente fino a quando non saranno dorate e croccanti. Scolale dall’olio e mettile su carta assorbente da cucina. Spolverizzale con le spezie macinate e scuotile leggermente sulla carta assorbente affinchÊ le spezie le ricoprano su entrambi i lati.

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Manuel Marcuccio

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Fuori Orario -

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uno cookbook fuori orario -

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Grazie a: Alex, Andrea, Anna, Baby Jane, Benedetta, Daniele, Davide, Dina, Donato, Elena, Emanuele, Fiorenza, Francesca, Gerardo, Klodette, Lars, Loretta, Lucia, Luisa, Marco C, Marco M, Michel, Niccolò, Nicoletta, Rebecca, Sarah, Silvia, Tihana, Tom, Valentina


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