A mio fratello Leo
MARIO PINCHERLE
IL SEGRETO DI ROL L’Uomo - Gli Archetipi - Il Destino
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EIFIS EDITORE srl Mario Pincherle
IL SEGRETO DI ROL L’Uomo - Gli Archetipi - Il Destino Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in nessuna forma senza il permesso scritto dell’Editore. Le immagini sono di proprietà dell’Autore. Si ringrazia Franco Rol per la concessione delle foto di Gustavo Adolfo Rol.
Revisione: Giuliana Cristianini Volpi Progetto grafico: Davide Cortesi Impaginazione: Elena Benvenuti Stampa: Andersen spa ISBN 88-7517-022-6 © 2019 Febbraio – EIFIS EDITORE srl IV° Ristampa Viale Malva Nord, 28 48015 Cervia (RA) – Italia www.eifis.it - segreteria@eifis.it L’Editore non assume responsabilità per l’utilizzo improprio delle informazioni contenute in questo libro.
NOTA DELL’EDITORE è sempre un passo importante ed emozionante dare avvio ad una nuova collana. Quando Leonardo ed io abbiamo fondato EIFIS EDITORE era forte l’emozione ed anche la speranza di poter contribuire umilmente alla continuità della divulgazione degli inestimabili insegnamenti del Moderno Fondatore dell’Arhatic Yoga, Grand Master Choa Kok Sui, ed alla diffusione delle Idee dei nuovi Pensatori. è immutato l’impegno nell’offrire spazio agli Autori che dedicano la loro esistenza alla ricerca di nuovi modelli positivi e nuove filosofie di vita, agli Autori che offrono un’interpretazione ed una rilettura, in chiave moderna, degli antichi insegnamenti, ripristinandone la preziosità e l’importanza e tracciando un anello di congiunzione sul baratro spirituale fra passato e futuro, che l’epoca moderna ha inevitabilmente generato. Ai milioni di lettori che già conoscono questo insigne Autore ed ai nuovi: presentarvi questa nuova collana per noi non è solamente un grandissimo onore, ma è anche un modo di rendere anche voi partecipi alla incredibile esperienza che viviamo ogni volta che incontriamo Mario Pincherle. Se la sua biografia è un “romanzo” e la sua bibliografia un continuo viaggio nel tempo e nello spirito, incontrarlo è sicuramente una delle esperienze che più arricchiscono l’animo umano ed aprono la mente. Difficile descriverlo; difficile elencare tutte le sue “virtù”, senza rischiare di svilire la sua vera essenza. Forse un diamante potrebbe renderne l’idea: le facce, a rappresentare lo studioso, lo scienziato, lo scopritore, il poeta, lo scrittore, l’artista...; la trasparenza e lucentezza, a rappresentare l’illuminata intuizione che gli consente, PREFAZIONE • 15
con lo stupore e la semplicità del fanciullo, di manifestare prodigi e di muoversi attraverso il tempo. Un incredibile onore, aprire la collana Mario Pincherle con uno scritto su Gustavo Adolfo Rol, uno dei più grandi, importanti ed umili sensitivi del XX secolo. L’Editore
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NOTA INTRODUTTIVA Un bravo artista parla di se stesso. Un grande pittore, a nche se dipinge “nature morte” e bottiglie, fa degli autoritratti. Il vero protagonista di questo libro non è Clemente, Klemens Rej. E non è nemmeno Rol. Il vero protagonista è Mario Pincherle. Le parole di Rol, i fatti che si susseguono nel libro sono frutto della capacità di far rivivere il passato, dote che Mario possiede in larga misura e che, anche attraverso questa strada, si avvicina alla Verità. E Mario la fa rivivere giocando con gli Archetipi e con l’Anti-Tempo. Così facendo scopre in se stesso e in tutte le creature del Creato la capacità di fare destino. È un gioco stupendo. In realtà il vero Grande Giocatore, il Regista, è invisibile. “Anche se non lo vediamo, sentiremo degli scricchiolii, avremo dei segni. E gli riserviamo non una sedia comune, ma un fiorito Trono. Resterà vuoto, ma è come se il Grande Giocatore vi stesse seduto sempre e da sempre”. Giuliana Cristianini Volpi
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INTRODUZIONE CHI È MARIO PINCHERLE Mario Pincherle sembra in questo libro, e per l’ennesima volta, portare acqua ai suoi detrattori che lo dipingono come uno studioso sempre troppo sensibile al favoloso e all’immaginifico come gli comanda, a volte condizionandolo, la sua indiscutibile vena poetica. Al punto che i suoi più accesi sostenitori sono costretti a strologare sempre nuove ipotesi interpretative pur di continuare a giustificare i suoi vagabondaggi fra epoche, scoperte, teorie, uomini, esperienze ed aneddoti. Noi che ci vantiamo di collocarci fra questi siamo giunti alla conclusione, pur di salvare l’uomo e tutto ciò che di straordinario e di eccezionale ci ha mostrato, spesso rivoluzionando teorie consolidate delle quali ha saputo mostrare l’inconsistenza con considerazioni brillanti e non di rado geniali, che il limite espositivo del Pincherle sia il prodotto della Verità stessa, sempre avara verso la conoscenza a buon mercato. Da qui il compito arduo del lettore che deve scegliere – malgrado Mario Pincherle o più verosimilmente grazie a lui – fra ciò che vi è di geniale, rivoluzionario e illuminante e ciò che invece costituisce materiale immaginifico e onirico, basi di un modello di realtà verso la quale tendere perché la vita conservi intatto il suo carico indispensabile di mistero. Ma la cosa, se vista dalla prospettiva della Verità, allora si presenta come il gioco a far sì che il cercatore poco motivato si perda arrendendosi di fronte alle prime difficoltà che, in questo caso, si presentano come ostacoli che l’ego dell’autore dissemina nella forma di un “ludico” sempre in eterna combutta col vero. E viceversa. Fatta questa premessa è possibile comprendere come il soggetto del libro, Rol appunto, serva come ennesimo pretesto per parlare di sé, un sé intrecciato a teorie che diventano esperienze ed esperienze che risultano disvelatrici di interrogativi cruciali che hanno spesso
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attraversato le epoche prima di venir brillantemente risolti. Un tema risulta tuttavia fare da filigrana a tutto il racconto: l’Archetipo. La magia e i prodigi di Rol infatti - e quelli di M. Pincherle che per niente al mondo lascerebbe il centro del palcoscenico ad un altro - possono spiegarsi alla condizione di comprendere nel loro più profondo significato le funzioni di pensiero che vengono impiegate per realizzarli. Gli Archetipi, al plurale perché sono 22, sono una delle scoperte (riscoperte) più importanti di M. Pincherle. Ogni funzione di pensiero rappresenta un Archetipo corrispondente, che è insieme anche segno e suono e che potrebbe spiegare come abbia potuto procedere il geniale inventore del primo vero alfabeto, sintesi di fonetico e di ideografico. Il fatto di poter disporre di 22 segni, a descrivere altrettanti funzioni di pensiero, consente di aprire nuovi orizzonti conoscitivi. Come non vedere in essi la possibilità che la lacerazione che ha opposto la Materia allo Spirito e che ha interessato di volta in volta la filosofia, la teologia, l’arte, il sentire e il pensare stesso dell’uomo possa finalmente trovare una soluzione? Che cos’è infatti un Archetipo se non la cerniera fra lo Spirito e la Materia? Per contenere qualcosa – prendiamo ad esempio l’Archetipo del Contenere - devo infatti pensare ad un supporto materiale che possa come “incarnare” la funzione di pensiero che desidero utilizzare. Il mondo dello Spirito è stato opposto spesso, in modo addirittura conflittuale, come nell’antica Grecia, al mondo materiale. Come se essi fossero universi incompatibili. Quanti problemi tale separazione ha lasciato sul terreno. Ha condizionato il modo di vedere il mondo, ha reso l’uomo nemico a se stesso, ha inasprito il conflitto fra l’uomo e la donna con quest’ultima a rappresentare il polo del materiale e l’uomo ad arrogarsi il diritto di rappresentare il mondo spirituale, ha stravolto le religioni impegnate ad elaborare codici di condotta
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che escludessero dalla santità la vita materiale e a consegnare in cambio buoni da spendere in remoti universi spirituali. Ha portato alla figura scialba dell’intellettuale pronto a vantarsi della sua supposta distanza dalla vita quotidiana così come ha determinato il disprezzo per il lavoro manuale. L’Archetipo è la soluzione di questo antico problema. Esso è funzione che prende vita in una forma materiale ma che non si esaurisce in essa perché sono innumerevoli le forme che possono rappresentarlo. Un contenitore è un bicchiere ma anche il palmo incurvato della mano, un vaso ma anche il corpo umano, una tazza ma anche un libro. Non è materia ma consente alla materia che ci circonda di acquistare un senso assumendo una funzione o un’altra. L’Archetipo è il mattone di cui Dio si è servito per costruire il mondo. L’Archetipo fa sì che la mente di Dio e quella dell’uomo possano trovare un punto di incontro. C’è dell’altro nel libro ma, parlando di Archetipi, c’è da chiedersi se possa esistere un residuo “altro”. Se tutto può essere ricondotto a 22 funzioni non c’è “altro” che non sia già incluso nel tutto. Mario Pincherle non ha esitato a giocarsi un successo scontato in certi ambienti per scegliere la strada di una ricerca spesso ripagata con gli insulti e l’isolamento. Non voglio qui elencare i suoi meriti ufficiali, che peraltro, dopo il primo impatto, hanno smesso di stupirmi. Ciò che mi interessa è il suo modo di pensare. A nient’altro egli deve del resto le sue scoperte. Per spiegare come egli si serva del pensiero dovrei ricorrere ad un modo di dire che si usa nel mondo del calcio: “Si butta su tutte le palle”. Il pallone più grosso lo ha calciato quando, recentemente, ha voluto cambiare le parole all’inno di Mameli, togliendo le frasi incomprensibili agli Italiani:
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Capitolo 1 CHI FU IL PRIMO A PARLARMI DI ROL? Io non sapevo chi fosse Rol. Me ne parlò per primo il mio amico Giuseppe Dal Monte Casoni, direttore della Filiale Fiat di Ancona, la città dove io vivevo trent’anni fa, all’epoca del grande terremoto. Mi disse: - Mario, è successo un fatto incredibile. Vieni a casa stasera. Ti mostrerò qualcosa di impressionante! C’è da svenire! – Naturalmente andai. Non potrò dimenticare ciò che vidi. Ma prima mi volli documentare, leggendo su enciclopedie, libri, riviste e giornali tutto quello che trovai su Gustavo Adolfo Rol. Seppi molte cose. Era uno dei più grandi sensitivi del XX secolo. In quegli articoli non si parlava soltanto di straordinari esperimenti, sempre documentati, a cui Rol dava luogo, ma anche del suo pensiero, della sua affascinante esistenza. Seppi che abitava a Torino, in Via Silvio Pellico. Vidi anche, su una rivista specializzata, le fotografie di Rol. Mi fecero pensare a Napoleone. Si parlava di oggetti che attraversavano muri della casa, di altri oggetti che si smaterializzavano e scomparivano alla vista. Su un libro era riportata una lettera che Rol aveva scritto a suo fratello Carlo: “Mi può accadere in qualsiasi momento, anche quando sto parlando, mangiando o lavorando, di astrarmi improvvisamente. Allora gli altri mi riferiscono che io rimango ‘imbambolato’ e con lo sguardo fisso. Se qualcuno mi interroga, non rispondo. Se sto facendo qualcosa, continuo ad agire, ma con gesti molto rallentati. Una volta, mentre guidavo un’automobile e andavo a più di cento chilometri all’ora, i
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miei amici si accorsero, dall’espressione del mio viso, che qualche cosa di molto strano in me stava avvenendo. Non rispondevo più alle domande che loro, preoccupati, mi rivolgevano. Però, istintivamente, avevo staccato il piede dal pedale dell’acceleratore e poi lo avevo rimesso sul pedale stesso, ma appena appoggiato quel tanto che bastava a fare in modo che la macchina non si fermasse ma continuasse ad andare molto piano. La guida era perfetta, ma l’automobile procedeva lentissimamente. Io guidavo, ma ero divenuto quasi un automa lento”. Questo racconto mi colpì. Io pure, come Rol, cadevo ogni tanto in quello stato di intontimento. Mio fratello Lello (Leo Pincherle) mi diceva, allora: “Smettila di bere il brodo d’oca, re dei mammalucchi!” Ma parliamo di me. Perché mi sentivo tanto simile a Gustavo Rol? Perché anche io, fin da ragazzo, compivo strane azioni simili alle sue? Fin da ragazzo mi ero occupato di spiritismo. Studente di ginnasio passavo interi pomeriggi nella grande sala austera della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio. Leggevo tutto ciò che era stato scritto sullo spiritismo, le sedute medianiche e i tavolini parlanti. Dai libri di Allan Kardec passai alle opere di Morselli e di Lombroso. Trovai pure un antico volumetto che descriveva gli esperimenti fatti in Bologna sui condannati a morte. Lessi in questo libro che, nel tardo Medio Evo, i sapienti medici della Università di Bologna effettuavano esperienze sui condannati alla pena capitale. Uno di questi disgraziati fu preso, portato in ospedale e costretto a giacere in un letto con le lenzuola cosparse di macchie scure. “In questo letto” gli dissero “è morto, poche ore fa, un ammalato di peste nera”. Il poveraccio si contorceva e faceva di tutto per allontanarsi dalle luride coperte. I suoi aguzzini, tenendosi lontani e spingendolo con punte di lance, lo obbligarono a stendersi. Ebbene, dopo poche ore (si legge nel libro) il malcapitato fu assalito dai sintomi della terribile malattia fino al punto di morirne. L’autore del testo aggiunge, a conclusione: “Quelle coperte erano state macchiate ad arte con sostanze innocue. Nel letto non è mai giaciuto nessun uomo affetto da peste”. Dice poi il libro: due condannati a morte vengono posti in una stessa camera. Uno bendato e l’altro lasciato libero di vedere. Quello bendato è legato ad una seggiola. Le sue braccia sono denudate e 34 • IL SEGRETO DI ROL - L’UOMO - GLI ARCHETIPI - IL DESTINO
le vene dei polsi tagliate. Il sangue defluisce rapidamente in due mastelli ai lati della seggiola. Rumore del liquido che scende, urla sempre più deboli del condannato e quindi morte per dissanguamento. A sua volta il secondo condannato viene bendato. Gli vengono denudate le braccia. È posto anche lui sul sedile e legato allo stesso modo. Ai suoi polsi sono eseguiti due piccoli tagli, due semplici scalfitture superficiali dalle quali non sgorga sangue. Nelle due mastelle, avvicinate ai lati della seggiola, da vesciche sospese scende un duplice fiotto di “sangue”. Il rumore del liquido è il medesimo. Nella mente del malcapitato si accende una certezza così assoluta, narra il libro, che dopo poco, spentisi gli ultimi scossoni, muore “per dissanguamento senza perdere una goccia del suo sangue”. Infatti quel “sangue” non era suo. Volli passare dalla teoria alla pratica. Per tutto il periodo universitario partecipai a numerose sedute spiritiche. Presso il luogo di villeggiatura dove mi trovavo vi era una villa antica chiamata “la casa degli spiriti”. Piovevano “apporti” sotto forma di sassi, quando nei dintorni non c’era anima viva. Fui invitato, con un gruppo di amici, ad una seduta che svelasse il mistero di quei fenomeni. Le ragazze del gruppo, una alla volta, cadevano in trance e si mettevano a parlare con voce roca. Il messaggio continuava, mentre i medium si sostituivano l’uno all’altro. Ad un tratto una di queste ragazze si alzò, dirigendosi verso un balcone che si affacciava sulla oscura riva del mare: voleva gettarsi di sotto. Qualcuno di noi fece appena in tempo a trattenerla. Un’altra seduta impressionante avvenne in un paesello del Fabrianese, durante la guerra. Mi trovavo ospite del parroco. In assenza del padrone di casa, con la nipote e un’altra ragazza, il cui fidanzato era prigioniero, organizzammo una seduta spiritica in tre persone. Volevamo ottenere messaggi col sistema della “planchette”: una tavoletta di legno con un foro in cui era fissata la matita. Risultò che il fidanzato era morto. La povera ragazza svenne (o cadde in trance?). Rimase rigida, in stato catalettico. La nipote del parroco disse: “Portiamola in chiesa!” (avevamo provato a risvegliarla con schiaffi, ma inutilmente). La prendemmo per le spalle e per i piedi e la trascinammo come fosse una tavola di legno, ma non all’aperto. Capitolo 1 - CHI FU IL PRIMO A PARLARMI DI ROL? • 35
MARIO PINCHERLE: ALCUNE NOTIZIE BIO-BIBLIOGRAFICHE E DI CRITICA LETTERARIA
Mario Pincherle è nato a Bologna il 9 luglio 1919. È nipote di Salvatore Pincherle a cui si intitola l’Istituto Matematico dell’Università di Bologna. È figlio di Maurizio Pincherle, che era Clinico Pediatra nella stessa Università e finissimo poeta. È fratello di Leo Pincherle, Fisico Teorico al King’s College di Londra. Ebbe un’infanzia estremamente felice, circondato da avi e parenti affettuosi, a Siena ed anche a Palombina, che era allora un villaggio di pescatori presso Ancona, dove Pincherle andava durante le ferie estive. A nove anni, quando la famiglia, da Siena, si trasferì nella nebbiosa Pavia, soffrì per la lontananza dalla splendida e spirituale città toscana. Ha compiuto studi classici presso il Liceo “Galvani” di Bologna e ha effettuato molte e ordinate letture. Riguardo alla sua precoce vocazione poetica si racconta un episodio: dettò la sua prima poesia alla sua “bambinaia” quando aveva quattro anni di età e ancora non sapeva scrivere. “C’era una volta un giornale che girava in un canale. Il canale era troppo pieno e allora andava a Casalecchio di Reno.” L’abitudine di declamare versi improvvisati e di contarne le sillabe gli restò a lungo nell’infanzia e nell’adolescenza. Dopo le prime poesie, romantiche e leopardiane, da ragazzo scrisse una commedia comica, intitolata: “Evviva il suggeritore!”, che fu rappresentata da una filodrammatica e probabilmente è andata perduta. Di origine ebraica, si battezzò appena maggiorenne. I sei anni delle persecuzioni razziali da 1937 al 1943 furono i peggiori della sua esistenza. Ha scritto di quel periodo: “Il ricordo di quegli anni suscita in me ancor oggi un senso di orrore raggelante”.
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Pubblicò allora, sul giornale stampato a Bologna “La Voce del Popolo”, alcune novelle surrealiste, usando lo pseudonimo Morasco. Questo nome d’arte, preso a prestito da una novella di Pirandello, fu da Pincherle usato sia in letteratura che nella pittura, a cui si era dedicato in quegli anni oscuri. Caduto temporaneamente il fascismo, nel 1943 Mario Pincherle riprese la sua attività ma per poco tempo. Con l’arrivo dei Tedeschi dovette fuggire sui monti delle Marche, dove divenne partigiano e combattè nei dintorni di Fabriano e di Sassoferrato. Partecipò agli scontri di Vallina, Bastia e del Monte Cucco dove morirono molti suoi amici. Con l’avanzata degli eserciti alleati si stabilì a Jesi, come interprete della seconda armata americana. Potè infine tornare a Bologna, trasferendosi poi a Milano, dove, dal 1947 al 1950 è stato ingegnere del A.N.C.C. (Controllo Combustione). Ancora col nome di Morasco partecipò a molte mostre di pittura. Una sua personale, a Cortina d’Ampezzo, fu inaugurata da Curzio Malaparte. Da Bologna si è trasferito ad Ancona dove attualmente vive. Se ne allontana per i suoi viaggi archeologici in Egitto, nel vicino Oriente, in Grecia e in Turchia. Presente a molti dibattiti, fuori da ogni setta, aperto ad ogni corrente di pensiero, testimone di ogni fatto importante della nostra epoca travagliata, Mario Pincherle è un lavoratore instancabile, a modo suo metodico e tenace. Allo scrivere versi, racconti, romanzi e libri di storia e di archeologia dedica molte ore del giorno, ma non ad orari fissi. Le sue liriche nascono preferibilmente nell’ora del tramonto o al sorgere del sole, quando luce e tenebre si sposano. La sua eccezionale attività non si basa, secondo lui, su alcun segreto. A questo proposito ama affermare: “ Sono un bravo artigiano. So far funzionare gli archetipi e ne conosco le tecniche.” Così Pincherle si esprime, riguardo alla sua “ispirazione” poetica: “Spesso la mia poesia è arte nata dall’arte, ispirata
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dall’opera di altri. Il messaggio che il poeta riceve ha un’eco divina di universalità, di perfezione. Anche l’uomo più ispirato è sempre deformatore di pensieri divini. Alcune parole, nell’opera di altri poeti, mi colpiscono: sono invarianti, perfette. Fanno nascere in me il bisogno di cercare altre parole che mancano, o perchè non intese, oppure perchè deformate. La poesia è, dunque, restauro e ricostruzione di perfezioni perdute, perchè il pensiero Vivente, che crea, rimane avvolto 'In Sacra Matris Caligine', e occorre passarsi la fiaccola l’uno con l’altro per fendere il buio.” Il primo biografo di Pincherle, Raffaele Matarazzo, scrisse: “Pochi uomini possiedono la poliedrica personalità di Mario Pincherle. È ingegnere, progettista, titolare di brevetti, uomo di scuola, esperto di problemi didattici, docente di Telescuola, esperto di problemi del restauro di opere d’arte, studioso di paleotecnologie, di lingue orientali e di problemi archeologici. Questo suo spaziare da un campo all’altro dell’umano sapere lascerebbe pensare ad un certo eclettismo epidermico, dilettantesco. E si rimane invece stupiti nel constatare come, in ognuna delle sue intraprese culturali egli lasci il segno d’una personalità multiforme, segnata dal genio.” Scrive così, per l’Editore Cappelli, guide all’insegnamento delle Applicazioni Tecniche, che rappresentano l’orientamento più illuminato nella difficile didattica di quella disciplina: per l’Editore Calderini traccia una guida all’insegnamento delle Osservazioni Scientifiche, anch’essa anticipatrice e penetrante; nel 1970, quando si incomincia a dibattere la questione dell’educazione sessuale nella scuola, pubblica un testo, forse il primo del genere (“Alle origini della vita” Ed. D’Anna), nel quale, con trepidante delicatezza, pari solo alla competenza scientifica e didattica, affronta gli aspetti peculiari dello scottante problema. Nel 1964 comunica, all’Accademia Nazionale dei Lincei, una relazione su “Una strana parola etrusca” (calcante interpretazione della sigla SPUR da cui i Romani presero il loro S.P.Q.R.) con cui
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stupisce i più dotti etruscologi per la padronanza che manifesta sia d’una lingua tanto ancora misteriosa, sia della relativa bibliografia. Sempre all’Accademia dei Lincei presenta, nel 1969 un’altra relazione (pubblicata poi nei “Rendiconti” del sodalizio) su “La Costruzione della Piramide di Cheope: soluzione di un problema tecnico”: un modello esemplare di metodologia induttiva applicata ad un indagine scientifica su un problema di paleotecnica. É relativamente recente la clamorosa, pubblica sperimentazione in Osimo, degli specchi ustori di Archimede, ripresa dalla RAI TV. Ma di Pincherle dobbiamo scoprire ancora il meglio d’una ricca personalità: lo scrittore. Avremo così la sorpresa di saperlo alle prese con una vita “en artiste” di Michelangelo, riguardante soprattutto il periodo bolognese; di conoscerlo autore drammatico (e “L’Adrasto” è uscito nel 1970 pei tipi di TEATRO OGGI e, subito dopo, “Il treno fermo”) “L’Adrasto” è un forte dramma nel quale l’Autore, con vigore d’accento, rappresenta emblematicamente l’insondabile mistero d’una fatalità che investe taluni personaggi, intricati in una ragnatela di eventi, la cui ineluttabilità è inutilmente da loro contrastata. I protagonisti sono colti nel loro vano arrovellarsi e adoprarsi fino al limite allucinante dell’assurdo. Il richiamo alla tragedia classica, diretto o meditato attraverso la drammaturgia contemporanea (O’ Neil, Sartre, lo stesso D’Annunzio) è d’obbligo. Anche se, a parer nostro, si tratta di teatro lirico più che drammatico. E che, tutto sommato, tra le tante Muse di cui Mario Pincherle è sacerdote, la Musa maggiore sia quella della poesia lirica, ce lo conferma anche quel prezioso volume di versi che si intitola: “Cavallo Marino”. Nellapremessa, da scienziato e tecnico qual’è, ragiona non solo di motivi ideali ed esistenziali, ma anche degli aspetti tecnologici del suo poetare. “Il compito del poeta (egli scrive) è proprio quello di ristabilire il contatto sotterraneo (da mente a mente, da pensiero
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a pensiero), per questo cerco di tenermi lontano dall’oscurità del verso o della parola, dagli esoterismi, dalle reticenze, e cerco la semplicità e la chiarezza. Così ho fatto nello scrivere questi versi. Mi sono tenuto lontano da molte figure retoriche, da molte licenze poetiche e ho dovuto lavorare duramente per liberarmi da ogni imitazione, pur senza negare l’alta lezione leopardiana, pascoliana, e per trovare una strada distinta, anche se parallela, da quella di Saba, che pure mi è tanto congeniale”. Leopardi, Pascoli, Saba: tre suggestioni più ancora che tre modelli. Leopardi, per quelle ariose “ricordanze” (vedi “La vita anteriore”, particolarmente) o per quegli stringenti interrogativi metafisici (vedi anche “Non tornerà” con le sue immagini in dissolvenza e il suo tempo fugato); Pascoli, per un gusto nell’affrontare in purezza di cuore tuttavia, e senza le talvolta morbose prouderies del modello, temi (la mamma, la nonna, la fanciullezza, gli animali) che sembrerebbero di per se, e tante volte sono, per altri, irriscattabili dalla banalità e dall’infantilismo (vedi “L’uccellino”, “Dialogo”); Saba, per quella cordiale disposizione discorsiva, per quel rifiuto d’ogni bellurie stilistica, d’ogni artificio retorico (vedi “La vostra voce”). E, tuttavia, Pincherle è soprattutto se stesso: nel migliore Pincherle se l’eco d’un Pascoli c’è, è d’un Pascoli fatto adulto (Eravate gli Dei della mia infanzia); se Saba fa capolino, è più per visitare un’anima congeniale che per suggerire o imporre; e quella di Leopardi è davvero una alta, remota lezione fatta sangue del proprio sangue, vissuta e sofferta dal Pincherle con dignità d’uomo prima che di poeta. Si legga a prova (è appena quello che ci concede lo spazio tiranno) la castissima “Vertiginose stelle”: “Tempo, tempo, mia brevissima vita, vertiginose stelle,
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luna impazzita, potrò fermarvi un attimo soltanto, solo un respiro, forse con questo canto”. Nè lo spaventa l’arduo simbolismo d’un Rimbaud, d’un Valery, d’un Mallarmè. “Pesce volante” è un’avventura fantastica e intelletuale davvero stupenda. “Ricordo che fu un vento a sollevarmi: D’improvviso mi trovai su una nuvola. Certo sarei caduto nella morte se l’antica memoria non avesse mutato in ali le mie pinne”. E “Cavallo Marino”, la lirica che dà il titolo al volume è anch’essa d’una sconvolgente novità. Dolcissima è la lirica”Autunnata a Franca”: “Che dire, amore? che ogni chicco si disfa in dolcezza? che, a sera, soffia la dolce brezza sul crinale e si spenge ogni voce e scende l’anno fino alla sua foce, tra rive rosse di caduche foglie? Tienimi stretta la mano mentre anche noi scendiamo: lasciamo i nostri semi e dolci frutti daranno.
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Ci accoglierà la Madre - Ombra infinita, da Lei insieme ancora avremo Vita: Lei sa che amato ho tutte ma te amata ho più di tutte.” Aldo Capasso scrisse, riguardo all’opera poetica e letteraria del Pincherle poeta denso, chiaro, vogoroso. Eccone i versi: “Non ti meravigliare. Non ti stupire di niente Di Satana è questo il ricorrente gioco: trasformare in carnefice la vittima innocente, a poco a poco farla apparire feroce per inchiodarla ancora sulla croce.” Gli “Ipogrammi” (ne “La storia miope”) mi hanno molto colpito. Sono, tutte, belle e dense poesie, personalissime. Scrive Pincherle in una parafrasi del “Padre Nostro”: “Padre che di Te riempi l’infinito, Se non ti bestemmiamo il Tuo nome è Santo. Solo che lo vogliamo Sulla Terra Si compie il Tuo volere e ritorna il Tuo Regno. Sei Tu che spezzi le nostre catene quando spezziamo quelle dei fratelli e per noi Ti fai pane
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Se i fratelli sfamiamo. Nulla ci può tentare se tu ci sei vicino. E scompare il Maligno”... Per quanto riguarda l’opera letteraria Pincherle, iniziai con la lettura de “La cicuta e la croce”. È stata appagante e lietissima. Io, modesto artigiano che conosce bene il solo mestiere di critico letterario, so che il Socrate di Pincherle è un personaggio vivo, creato con mezzi non soltanto “filosofici” ma artistici; un personaggio che mi piace, mi interessa ed è entrato a far parte del mio mondo interiore. Mario Pincherle è, prima di tutto, un artista, ed ha creato il suo Socrate immaginandone i dialoghi e i monologhi, col lessico di oggi. Socrate vive e interessa come un personaggio di Goethe o di Ibsen. E passiamo al Quinto Vangelo di Tommaso. Il commento di Pincherle allo scritto di Tommaso Apostolo non è un “commento” né da teologo, né da storiografo: è la evocazione del linguaggio e del personaggio Tommaso. Io ammiro e godo: come so, senza preoccupazioni di questioni storiche. Amo i capolavori, dove li trovo. E Pincherle ha molte belle cose, in un mondo di ...stitici. E veniamo ai due volumi del “Sigillo sull’unghia” (“Il mago della pietra” Michelangelo): è, nella prima parte, la rievocazione dei fatti lontani, un pochino romanzata (poeticamente romanzata), e poi, nella seconda parte, la relazione obiettiva dei fatti recenti, cioè dell’indagine dell’autore su una statua. Non ho dubbio alcuno sulla conclusione: la statua è di Michelangelo. Tutto il racconto affascina, redatto in una prosa rapida e viva. Un’opera eccezzionale, piena di genialità. Nel libro: “I segni” tutta l’evocazione dell’infanzia è condotta con mano leggera e insieme magistrale. Un piccolo capolavoro.
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La lettura dei testi archeologici di Mario Pincherle è stata per me un’avventura vividissima, eccitante; in effetti io rintraccio in essi infiniti legami col mirabile mondo poetico (e religioso) dell’Autore, del quale, a volte, mi forniscono la spiegazione. Per il critico letterario un simile confronto è una festa. ...Infine due parole sul romanzo: “La strana morte di Katherine Mansfield”. Un personaggio secondario (l’amica che la Scrittrice incontra nel castello del Guaritore) è, a mio avviso, troppo vago, ma Katherine è viva. L’Autore ha fatto opera d’arte, ha creato un suo personaggio, che mi può tenere compagnia insieme con la Clitennestra di Eschilo, con il Bradimarte di Boiardo e col (romanzesco, inventato) Benvenuto di Benvenuto Cellini. Non vado a confrontare le lettere autentiche di Katherine Mansfield, con quelle inventate o modificate: questa non è, e non vuole essere, opera di biografo, ma “visione” (come direbbe D’Annunzio) di un poeta. Scrive Pietro Raimondi: “A chi sia “addetto ai lavori” come lettore-critico, capita a volte di avere piacevoli sorprese. E così abbiamo scelto, fra molti, un volume di Mario Pincherle che comprende liriche scritte dal 1947 al 1975, poesie che prospettano momenti di vita con toni, spesso, di virile fermezza, nell’ansia anche di una introspettiva comunicabilità con il passato e con persone che sono entrate nella sua vita. Né mancano vivacità epigrammatiche su aspetti di costume, mentre altre volte la lirica conosce modulazioni più suggestivamente evocatrici, o anche romantici recuperi del mito. Una notevole ricchezza di temi, sorretti da una ispirazione sincera e da varietà di metri, dai più tradizionali ai più moderni, in sintonia con l’esigenza stessa del dettato poetico. Scrisse il compianto poeta Gaetano Arcangeli all’amico Pincherle queste parole profetiche: “Ho riletto il tuo “Cavallo Marino”: sai che c’è molto di buono? Dovranno pur fare i conti con la tua poesia...”
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Ed ecco altri tre apprezzamenti: “Poesie meravigliose. A volte riescono a calmarmi, a volte a turbarmi. Molti versi possiedono una forza magica riequilibrante e ci ricordano che la vita, malgrado tutto, è meravigliosa. Ne leggerò e ne commenterò qualcuna all’Università, coi miei allievi dei semestri superiori, per vedere la loro reazione, per sentire il loro giudizio”. Josephine Petan “...Poesie bellisime. Si sente subito la penna esperta del poeta”. Valentino Bompiani “Immutabili Stelle” è un libro superbo. Entusiastico il mio consenso: e verso la qualità dell’ispirazione e verso i modi espressivi. Anselmo Turazza “I suoi versi già conquistano con la loro forma e avvincono con il loro ritmo bizzarro. L’Autore formula con incisività semplici verità, sicuramente accettabili. Le poesie sono nate in un periodo relativamente lungo (a partire dal 1949) e rispecchiano i diversi stadi di evoluzione dell’Autore: accentuazione sentimentale, nostalgia, grande passione in gioventù, poi conoscenza, speranza, dubbio, malinconia, ricerca e riconoscimento, negli anni più maturi, del destino dell’uomo, che si rinnova distillando elementi archetipici di eternità. Le poesie più brevi sono insuperabili nella loro concisione della forma, nella chiarezza delle espressioni; il grande scrupolo nell’uso delle parole e la precisione linguistica lasciano indovinare che dietro la forma definitiva, oltre la speranza, l’esperienza e la passionalità, spesso faticosamente dominante, si trova un capillare lavoro difficilmente immaginabile.
140 • IL SEGRETO DI ROL - L’UOMO - GLI ARCHETIPI - IL DESTINO
Con una certa ironica tristezza il poeta sembra descrivere sè stesso nella lirica: “Il Cantastorie”: “É arrivato di lontano per cantare malinconie. É venuto tra la gente, conosce tutte le vie. É stanco. Non ha un sorriso. Nulla sente. Nulla vuole. Canta solo antiche storie di un lontano paradiso.” “Mario Pincherle è un uomo prudente, un maestro della lingua, un interprete di ciò che gli altri non osano esprimere né formulare con parole. Ha rivelato in queste poesie quanto può essere indicibilmente bello il mondo e felice l’uomo che lo abita e quanto esiguo deve apparire il tempo e lo spazio che gli è concesso di fronte all’infinito delle sue aspirazioni e all’eternità dei “segni viventi”. Dunque: poesia che rispecchia il Cosmo. Felice il mondo in cui creazioni di qualità così toccante per forma e contenuto aprono uno spiraglio nell’infinito”. Professor Andreas Benninger titolare della cattedra di Letteratura Italiana e Spagnola dell’Università di Monaco di Baviera
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Indice Nota dell’Editore................................................................................15 Nota introduttiva ..............................................................................17 Prefazione: lettera a mio fratello......................................................19 Introduzione: chi è Mario Pincherle................................................27 Chi fu il primo a parlarmi di Rol?...................................................33 Il quadretto dipinto da Rol cambia dedica da solo!......................39 Tutto comincia con lo Zed.................................................................49 Messaggi dall’infinito........................................................................55 La colomba scrive le vocali...............................................................65 La brocca..............................................................................................77 Mi sentii felice.....................................................................................81 Il mio incontro con Rol......................................................................85 Chi è il grande giocatore che gioca con Rol?................................101 Rol e le due statuette........................................................................113 Libera gli “scettici”!..........................................................................117 Mario Pincherle:alcune notizie bio-bibliografiche e di critica letteraria.........................................................................129 Tavole.................................................................................................145