collana
PERCORSI
JOSHUA M. GREENE
COME KRISHNA ARRIVÃ’ IN OCCIDENTE
Original publication: Swami in a Strange Land by Joshua M. Greene ISBN 978 1 68383 174 7 Text copyright © 2017 Joshua M. Greene All rights reserved. First published in hardcover by Mandala Publishing, San Rafael, California, in 2016. No part of this book may be reproduced in any form without written permission from the publisher. For more information about the author, visit www.atma.org.
© Copyright 2019 EIFIS Editore srl Uno Swami in Terra Straniera - Joshua M. Greene I Edizione Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in nessuna forma senza il permesso scritto dell’Editore. Testi: Joshua Greene Traduzione: Marina Anselmi - Annalisa De Stasi Editing: Paola Lorenzi - Annamaria Sansone Linda Meneghin - Laura Cigolini Gulesu Art Director: Davide Cortesi Impaginazione: Golden.Brand Communication Fotografie di pagina: 2, 18, 76, 105, 106, 125, 128, 166, 198, 233, 234, 264, 266, 293, 296, 336, 361 copyright © 2016 The Bhaktivedanta Book Trust International. Fotografie di pagina: 6, 34, 125, 293, 296, 305, 333, 362, 370 © Mandala Publishing. Fotografie di pagina: 22, 181 © Joshua M. Greene Stampa: La Pieve Poligrafica (RN) ISBN 978 88 7517 143 8 © 2019 Luglio – EIFIS Editore srl Viale Malva Nord, 28 48015 Cervia (RA) – Italia www.eifis.it - segreteria@eifis.it L’Editore non si assume alcuna responsabilità per l’utilizzo delle informazioni contenute in questo libro.
INDICE Elogi per Uno Swami in Terra Straniera............................................ 9 Note di apprezzamento per A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada......................................... 15 Prefazione....................................................................................... 20 Introduzione................................................................................... 23 Prologo........................................................................................... 25 PARTE PRIMA: L'INDIA Capitolo uno................................................................................... 35 Capitolo due................................................................................... 77 Capitolo tre................................................................................... 107 PARTE SECONDA: L'AMERICA Capitolo quattro........................................................................... 129 Capitolo cinque............................................................................ 167 Capitolo sei................................................................................... 199 Capitolo sette................................................................................ 235 Capitolo otto................................................................................ 267 PARTE TERZA: IL MONDO Capitolo nove............................................................................... 297 Capitolo dieci............................................................................... 337 Epilogo......................................................................................... 363 Conclusione.................................................................................. 371 Ringraziamenti............................................................................. 373 Statistiche dell'Iskcon................................................................... 376 Breve biografia di Bhaktisiddhanta Saraswati............................... 377 Glossario....................................................................................... 382 Note.............................................................................................. 390 Bibliografia................................................................................... 410
A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada arrivò a New York nel 1965, senza alcun riferimento o contatto. Nei successivi dodici anni, fondò un’istituzione che si sarebbe espansa in tutti i paesi del mondo.
Ai Bhakti Yogi
ELOGI PER UNO SWAMI IN TERRA STRANIERA “Uno Swami in Terra Straniera è un libro provvidenziale, che arriva al momento propizio, per celebrare il 50esimo anniversario dell’arrivo di A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada in Occidente. Propone una descrizione incantevole di questo interessante e sorprendente pellegrino e pioniere, il devoto e maestro che ha portato Krishna all’Occidente. Questo libro spiegherà agli adepti la tradizione dell’ISKCON, e fornirà informazioni a coloro che lo conoscono solo da lontano; sarà, inoltre, un solido contributo alla nostra comprensione di questo insigne movimento religioso e dell’assurgere dell’Induismo a religione globale.” —Dr. Francis X. Clooney, SJ Direttore del Centro Studi Religioni Mondiali, Università di Harvard
“Nel 1965 Prabhupada sbarcò da una nave mercantile nel porto di New York dopo un viaggio in mare durato trentotto giorni. Era un santo venuto dall’India da solo, dell’età di settantanni, squattrinato e senza conoscenze; gironzolava per le strade di Manhattan con indosso i suoi vestiti color giallo zafferano. Eppure, dal suo cuore sgorgava un tesoro di amore spirituale che bramava di condividere con il mondo. E, miracolosamente, così avvenne; nel giro di pochi anni, Prabhupada diede vita ad un movimento che si diffuse in tutto il pianeta. Spalanchiamo i nostri cuori al racconto di Joshua Greene, storia di un amore senza tempo.” —Radhanath Swami Autore di “Ritorno a Casa” e “Ritorno all’Anima
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“Uno Swami in Terra Straniera è un resoconto dinamico della coraggiosa sfida di Prabhupada alle tendenze dominanti del nostro tempo. Joshua Greene è un narratore coi fiocchi, uno storico colto e un devoto bhakta. La sua biografia di Prabhupada presta particolare attenzione al contesto storico, e contemporaneamente onora il potere trascendente della Bhakti.” —Dr. Ravi M. Gupta Titolare della cattedra di Studi Religiosi Charles Redd chair, Utah State University
“Greene... ci fa dare un’occhiata all’interno del viaggio del suo maestro e dei risultati della sua impresa, pur mantenendo la distanza necessaria perché la narrazione possa spiegarsi con inaspettata obiettività... Greene condivide in modo mirabile con i suoi lettori le prove e i successi, le sconfitte e le vittorie, di un santo dei tempi moderni. Un libro scritto con maestria e attenzione, adatto a chiunque.” —Steven J. Rosen (Satyaraja Das) Caporedattore del Journal of Vaishnava Studies
“Questo piacevolissimo libro ci porta dentro alla vita di uno dei più grandi santi e leader spirituali dell’epoca moderna... In Uno Swami in Terra Straniera, Joshua Greene narra l’intreccio magico di una storia vera che deve essere letta per poterla afferrare.” —Satsvarupa Das Goswami Autore di Srila Prabhupada-Lilamrita
“Un libro scritto in modo mirabile, avvincente, basato su scrupolose ricerche, atte a descrivere una personalità straordinaria. Ricco di dettagli e di sonorità spirituali. Un must per coloro che non sanno nulla del fondatore e precettore del movimento Hare Krishna, e per coloro che presumono di conoscerlo.” —Alfred B. Ford Amministratore fiduciario della fondazione Ford Family
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“Unico nella schiera di biografie sulla vita di Srila Prabhupada, Uno Swami in Terra Straniera guida i lettori attraverso una profonda e penetrante indagine del vero spirito del Fondatore Acharya dell’ISKCON. Mirabile, elegante, chiaro, incantevole, uno di quei libri che non riesci a smettere di leggere.” —Romapada Swami “L’entusiasmo dell’autore, lo stile trasparente, le osservazioni traboccanti di passione sono un invito alla lettura. Eccezionale.” —Narendra Desai Presidente Industrie Apar
“Prabhupada non è stato solo un santo che ha vissuto il livello più alto della devozione, ma anche un organizzatore, un manager e l’ispiratore di un movimento mondiale. Ha incarnato la rara combinazione di due doti: il senso pratico e un incredibile amore per Dio. Uno Swami in Terra Straniera sarà una rivelazione per tutti coloro che cercano di favorire il risveglio spirituale del mondo.” —Hrishikesh Mafatlal Presidente Industrie Mafatlal LTD
“Joshua Greene amplia in modo incantevole la nostra comprensione storica dei primi giorni del movimento Hare Krishna e del suo Fondatore, Srila Prabhupada. Se state cercando una biografia edificante, oppure un approfondimento sui movimenti religiosi, o un’analisi delle esperienze interculturali, o magari l’elisir della spiritualità, lo troverete in questo libro.” —Dr. Edith Best Professore di sociologia della religione
“In Uno Swami in Terra Straniera, Joshua Greene riporta l’inedita e straordinaria storia della vita di Prabhupada e la sua missione attraverso dettagli vividi, con intelligenza, spirito, compassione e amore.” —Giriraj Swami 11
“Com’è possibile che un ometto indiano di settantanni, squattrinato, vestito unicamente con un semplice pezzo di stoffa di cotone color arancio, tutto solo, riesca a imbarcarsi su una nave mercantile, compiendo un viaggio da Calcutta a New York nel 1965, senza nessuno ad accoglierlo al suo arrivo, senza avere con sé nulla tranne l’umiltà, la passione e un’incrollabile fiducia nel santo nome di Dio, e riesca a dar vita ad una rivoluzione in grado di diffondersi come un incendio in pochi anni, e di attrarre milioni di devoti alla coscienza di Krishna? Il maestro della narrazione Joshua Greene svela la vera, emozionante e avventurosa storia di Bhaktivedanta Prabhupada, un gigante moderno della Spiritualità.” —Sharon Gannon Co-fondatrice del Jivamukti Yoga, autrice di Yoga and vegetarianism, Jivamukti Yoga, e Ricette per la Gioia
“Lo stile narrativo bonario, ma allo stesso tempo magistrale, fa di Uno Swami in Terra Straniera un libro invitante. Leggerlo non solo ha instillato in me una magica sensazione di unione con Srila Prabhupada, ma mi ha anche equipaggiato di una serie di lezioni preziose che mi aiuteranno a migliorare la mia vita.” —Vaisesika Dasa “Uno Swami in Terra Straniera, di Joshua Greene, è un grande contributo alla nostra comprensione di Prabhupada. L’autore bilancia in modo sapiente il suo ruolo di devoto partecipante e di osservatore imparziale, riuscendo in tal modo a equilibrare la natura umana e divina di Prabhupada. Tale equilibrio rende il libro unico e di grande importanza. L’autore non propone mistificazioni ma nemmeno demistificazioni. Egli, piuttosto, presenta Prabhupada in modo saggio e con grande sensibilità, come lo avrebbero presentato i milioni di persone che lo hanno conosciuto in questa sua vita. Innumerevoli generazioni del futuro ringrazieranno l’autore per il suo contributo, proprio come facciamo noi oggi.” —Hridayananda Goswami 12
“Il fantastico libro di Joshua Greene, Uno Swami in Terra Straniera, offre una visione di Prabhupada più intima e piacevole. Poter osservare da vicino le sue battaglie, i suoi impegni, la sua profonda devozione e compassione, la sua assoluta noncuranza per la propria agiatezza e per il proprio benessere, il suo totale servizio alla coscienza di Krishna costituiscono una forte ispirazione e risvegliano la nostra chiamata ad aspiranti bhakta. A volte il cammino può sembrare difficile e la nostra passione sbiadirsi, ma la storia della vita di Swami ci ammonisce a non sprecare un solo attimo, un singolo respiro, nel nostro ritorno a casa. L’ho letto con passione e sono sicura che lo leggerò ancora, e poi ancora.” —Jai Uttal Musicista, nomination al Grammy Award
“Benvenuti nell’era della globalizzazione spirituale.Bhaktivedanta Swami Prabhupada ha saputo rendere trasnazionale un gruppo altrimenti settario, locale e provinciale, trasformandolo in un movimento globale, dotato di pubblicazioni stabili e di un’orditura di servizi sociali di beneficenza. Questa biografia moderna di Joshua Greene rivela come un semplice asceta indù sia riuscito a creare una gigantesca impresa e come la sua eredità continui, sostenendo il lavoro dell’ISKON in tutto il mondo.” —Dr. Purushottama Bilimoria Facoltà centrale, Graduate Theological Union; professore ospite, Università della California, Berkeley
“Chi l’avrebbe mai detto? Un farmacista pensionato sessantenne, ridotto in miseria, compie un viaggio dall’India agli Stati Uniti, apre un’attività nel 1966 nel Lower East Side di New York, e comincia a insegnare ai giovani hippie a cantare i nomi di Krishna. Gli hippie diventano bramini, e la coscienza di Krishna si diffonde dall’America in tutto il mondo, e di nuovo fino all’India. Joshua Greene racconta questa splendida storia da una prospettiva interiore, arricchendola di aneddoti e memorie di coloro che si trovavano con lui agli inizi. Uno Swami in Terra Straniera è una lettura davvero piacevole.” —Richard H. Davis Autore di Bhagavad gita: a biography; professore di religione, Direttore del programma di religione, Direttore del programma di studi orientali, Bard College
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“Il grande talento che Greene, nel suo modo di rendere lode, si commenta da solo; l’opera parla più forte di qualsiasi gran elogio di seconda mano. Narratore magistrale, oratore raffinato, artista di per sé completo, Joshua ci trasmette un resoconto trasparente e un ritratto vivido di questo gigante spirituale, Srila Prabhupada.” —Baradraj Marek Buchwald Fondatore di Art Center for Trascendence
“Uno Swami in Terra Straniera di Joshua Greene non sarà semplicemente un’altra interessante biografia su Bhaktivedanta Swami Prabhupada, fondatore del movimento ISKCON; verrà - invece - riconosciuta come la più accurata e degna di fiducia. Il materiale utilizzato da Greene per la sua biografia deriva da ricerche storiche, da consultazioni di precedenti resoconti biografici, di articoli di quotidiani, e testimonianze dirette del tempo e, principalmente, attinge alla sua esperienza come discepolo del maestro. Oltre a documentare gli albori della nascita del movimento religioso ISKCON, Uno Swami in Terra Straniera fa rivivere al lettore gli straordinari cambiamenti che Prabhupada ha apportato nella vita di così tante persone.” —Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa) Fondatore e presidente dell’Accademia di Scienze Tradizionali Indiane, Italia
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NOTE DI APPREZZAMENTO PER A.C. BHAKTIVEDANTA SWAMI PRABHUPADA “La frase che ripeteva continuamente era: ‘Io sono il servo del servo del servo’. E questo io lo apprezzavo. Un sacco di gente dice, ‘Io sono Lui. Sono l’incarnazione divina. Sono qui, lascia che ti aiuti’. Capisci cosa intendo? Prabhupada, invece, non era mai così. Mi piaceva la modestia di Prabhupada; adoravo davvero la sua umiltà e la sua semplicità. Il servo del servo del servo non è altro che ciò che è in realtà, lo sai, no? Mi faceva sentire così a mio agio. Accanto a lui mi rilassavo, per me era come un amico, un buon amico. Nonostante fosse sulla soglia dei settantanove anni, e lavorasse praticamente tutta la notte, giorno dopo giorno, riposando il minimo indispensabile, non veniva da me a vantarsi di essere istruito o intelligente; lui possedeva la semplicità di un bambino. E io lo trovo straordinario, fantastico. Sebbene fosse un grande conoscitore del sanscrito e un santo, non mi faceva mai sentire a disagio, e io lo apprezzavo per questo. Ho sempre pensato a lui come ad un caro amico, davvero, e lo è tuttora... Srila Prabhupada ha avuto un’enorme influenza sul mondo, non si può misurarla. Quando l'ho capito, ho detto: ‘Mio Dio, questo uomo è straordinario! Trascorre l’intera notte a tradurre il sanscrito in inglese, aggiungendo le note per assicurarsi che chiunque possa comprenderlo, eppure non ti fa sentire inferiore a lui.” —George Harrison (1943–2001)
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“Swami Bhaktivedanta arrivò negli USA, si insediò senza indugi nel Lower East Side, l’archetipo spirituale di New York, e lì ricreò un pezzo d’India, con una perfezione tale che sembrava di trovarsi in una strada antica rimasta intatta. Aveva decorato la facciata del suo ashram e adorava Krishna, e con pazienza e buon umore cantando i mantra e diffondendo la terminologia sanscrita giorno dopo giorno, divulgò la Coscienza di Krishna nel cuore psichedelico (mentale) dell’America orientale... Scegliere di frequentare il Lower East Side, quale amorevolezza, umiltà e intelligenza! Il mantra Hare Krishna è oggi conosciuto ovunque in America... La vibrazione che il canto del mantra Hare Krishna fa risuonare in ogni persona è un piacere universale: influenza inevitabilmente qualsiasi persona, svestita o in uniforme... Questa rara fortuna (come i nostri padri dal cuore grande profetizzarono) è la nostra eredità, il nostro vero Sè, la nostra stessa comunità di Sé, la nostra vera America.” —Allen Ginsberg (1926–1997) Dalla sua introduzione a The Bhaghavad Gita as it is
“Ai cristiani insegnano a rispettare e ammirare coloro che si sacrificano, pagando il caro prezzo di lasciare gli agi e la sicurezza per dirigersi altrove a portare un messaggio di liberazione. Ad un’età considerata generalmente più che avanzata, in un momento della vita in cui la maggior parte delle persone si siede sugli allori, egli - invece - obbedì al mandato del suo maestro spirituale e intraprese l’arduo e impegnativo viaggio alla volta degli Stati Uniti. Srila Prabhupada era, è vero, solo uno fra i tanti maestri. Ma, in realtà, egli è il maestro come ce n’è uno su mille, forse su un milione.” —Harvey Cox Professore emerito di teologia, Harvard Divinity School
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“Swami Bhaktivedanta porta all’Occidente un monito salutare, a ricordarci che la nostra cultura iperattivista e unilaterale è destinata ad affrontare una crisi che potrebbe finire con l’autodistruzione, poiché priva della profondità interiore che solo un’autentica coscienza metafisica può dare. Senza tale ricchezza interiore, le nostre proteste morali e politiche soltanto parole vuote.” —Thomas Merton (1915–1968) Teologo cattolico, monaco, autore
“Senza dubbio onoro Srila Prabhupada per essere stato uno dei preminenti studiosi dell’India. Come traduttore di numerosi e importanti scritti religiosi indiani, egli prestò particolare attenzione allo spirito e alla bellezza dei testi... Srila Prabhupada nelle sue traduzioni riuscì veramente a catturare l’essenza della spiritualità. Una traduzione letterale priva di simpatetica riverenza verso il testo stesso, può finire per oscurare, piuttosto che rischiarare, il suo profondo significato intrinseco. Trovo che le traduzioni di Srila Prabhupada diano vita a queste opere... Grazie al suo copioso e diligente lavoro, il mondo intero oggi è consapevole dell’essenza devozionale della tradizione spirituale indiana, così come di uno dei più grandi santi indiani, Sri Chaitanya, e del Vaishnavismo Gaudiya, i quali, fino a poco tempo fa, erano quasi del tutto sconosciuti al di fuori dell’India, tranne che dagli esperti della tradizione religiosa induista.” —J. Stillson Judah (1911–2000) Professore di Storia delle Religioni, Seminario teologico di laurea specialistica, Berkeley, California
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Seguaci di Swami, Achyutananda (a sinistra) e Brahmananda (1943-2015) (a destra), danzano in Tompkins Square Park, sotto lo sguardo di Swami che guida il canto. Questi kirtan all’aria aperta entrarono a far parte della vita di New York negli anni Sessanta.
“Swami Bhaktivedanta arrivò negli USA, si insediò senza indugi nel Lower East Side, l’archetipo spirituale di New York, e lì ricreò un pezzo d’India, con una perfezione tale che sembrava di trovarsi in una strada antica rimasta intatta. Aveva decorato la facciata del suo ashram e adorava Krishna, e con pazienza e buon umore cantando i mantra e diffondendo la terminologia sanscrita giorno dopo giorno, divulgò la Coscienza di Krishna nel cuore psichedelico (mentale) dell’America orientale... Scegliere di frequentare il Lower East Side; quale amorevolezza, umiltà e intelligenza! Il mantra Hare Krishna è oggi conosciuto ovunque in America... La vibrazione che il canto del mantra Hare Krishna fa risuonare in ogni persona è un piacere universale: influenza inevitabilmente qualsiasi persona, svestita o in uniforme... Questa rara fortuna (come i nostri padri dal cuore grande profetizzarono) è la nostra eredità, il nostro vero Sè, la nostra stessa comunità di Sé, la nostra vera America.” —A llen G insberg
Dalla sua introduzione a The Bhaghavad Gita as it is
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PREFAZIONE
U
no Swami in Terra Straniera di Joshua M. Greene narra la vera e mirabile storia di Swami Bhaktivedanta, il quale - all’età di sessant'anni e senza un soldo in tasca, - arrivò in America dall’India per dare vita a un movimento internazionale, contando esclusivamente sulla sua fede nella missione che aveva ricevuto dal suo guru decenni prima. È una di quelle storie alle quali non crederesti se non fosse realmente accaduta. Personalmente, ho incontrato Swami Bhaktivedanta parecchie volte a Vrindavan fra il 1962 e il 1964, ma al tempo non avevo alcuna idea riguardo alla sua futura missione nel mondo e, senza dubbio, non avrei mai pensato che un giorno qualcuno mi avrebbe chiesto di scrivere la prefazione per una sua biografia. Swami Bhaktivedanta visitava regolarmente l’Istituto di Filosofie Orientali, fondato e diretto dal suo guru-bhai Swami Bon Maharaj, con il quale collaboravo in qualità di “Research Guide in Filosofia Cristiana.” Lo consideravo uno dei tanti pii anziani che trascorrevano gli ultimi anni della loro vita in questo posto sacro, e rimasi oltremodo stupito quando venni a sapere che aveva fondato l’ISKCON, e che, trionfante, tornava in India nel 1975 per aprire una sede a Mumbai (esattamente dove mi trovavo in quel momento), con un gruppo di entusiasti devoti americani. Uno Swami in Terra Straniera è la narrazione dello sviluppo dell’ISKCON dagli umili albori a New York, fino alla sua odierna diffusione mondiale. Non aveva un penny in tasca e nessun punto di riferimento al suo arrivo a New York nel 1965, ma Swami Bhaktivedanta si spense negli onori di venerabilissimo Prabhupada nel 1977, circondato da un’assemblea di discepoli provenienti da tutto il mondo che avevano costruito un tempio 20
a Vrindavan, dove avrebbe trovato il suo samadhi. Quello che maggiormente mi colpisce della biografia di Greene è l’enfasi che pone sul carattere universale degli insegnamenti di Swami Bhaktivedanta. L’intento di Swami non fu quello di convertire l’America all’Induismo o di fondare un nuovo culto esoterico, ma di portare la Coscienza Divina nella vita di una generazione perduta, risvegliando in ogni persona la più profonda Verità. Questo libro è da considerarsi un contributo che arriva a proposito in occasione della celebrazione del 50esimo anniversario dell’ISKCON. La narrazione è scorrevole e la lettura si rivelerà di grande interesse non solanto per i membri dell’ISKCON, ma per tutti gli studenti di religione contemporanea. Klaus K. Klostermaier, Distinto Professore Emerito Università di Manitoba
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L’autore e il suo insegnante, Prabhupada, a Parigi, nel 1973.
INTRODUZIONE
U
na delle sfide che ho dovuto affrontare nella stesura di una biografia di Prabhupada rivolta a un pubblico generico, è stata quella di riuscire a ritrarre il maestro nella sua umanità, senza correre il rischio di farlo apparire una persona ordinaria che diventa straordinaria. Tale impressione sarebbe stata in disaccordo con il suo rispetto nei confronti della comunità devozionale. I devoti di Krishna (nome sanscrito di Dio in forma personale) venerano Prabhupada come un nityasiddha, un essere “eternamente libero”, inviato da Dio per salvare l’umanità, un’anima che non ha mai conosciuto la vita materiale, come invece facciamo noi. Alcuni studiosi utilizzano il termine “doubling” per descrivere la doppia cittadinanza nel mondo eterno e temporale. Questo mio compito è stato facilitato da un fatto molto semplice: Prabhupada ha amato Krishna in ogni attimo della sua vita. Non si è dovuto convertire al culto di Krishna, e nemmeno la sua fede ha mai vacillato. Da questo punto di vista, non è importante se lo vediamo come un inviato di Dio nel mondo oppure come una persona che, passando attraverso il mondo, diventa un venerabile maestro. La sua vita stessa è testimone del suo valore. Se, talvolta la narrazione dovesse virare eccessivamente verso la sua umanità, me ne assumo personalmente la responsabilità: era necessario per poter rendere la storia della sua vita accessibile al pubblico, e ringrazio i miei colleghi devoti per la pazienza che useranno nei confronti di tale licenza letteraria. La tradizione vaishnava onora i devoti anziani con titoli onorifici quali Sri, Srila, Sua Divina Grazia, o Sua Santità. Durante la sua vita Prabhupada veniva spesso chiamato “Sua Divina Grazia” oppure “Srila Prabhupada”. Per semplificare la lettura, ho scelto di utilizzare solo il semplice titolo Prabhupada, 23
evitando le forme piÚ lunghe. Anche il maestro spirituale di Prabhupada aveva lunghi titoli onorifici, quali Sri Srimad Bhaktisiddhanta Saraswati Goswami Maharaj o, talvolta, Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakur Prabhupada. In questa sede, viene citato con il titolo di Bhaktisiddhanta o Bhaktisiddhanta Saraswati. L’abbreviazione dei titoli non deve essere intesa come mancanza di rispetto. Per lo stesso motivo, il suffisso Das (che viene attribuito agli iniziati di sesso maschile) e Dasi o Devi (attribuito agli iniziati di sesso femminile) vengono tralasciati1.
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PROLOGO
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BHUBANESHWAR, INDIA, GENNAIO 1977. RANO LE QUATTRO IN PUNTO DI UN FRESCO MATTINO quando scesi dal treno che arrivava da Calcutta. Il piano unico della stazione di mattoni era deserto e una brezza si infilava lungo corridoi polverosi, in mezzo a file di panchine consumate dalle intemperie. Fuori, una dozzina di guidatori di risciò in magliette di cotone logoro e pantaloncini macchiati fumavano con noncuranza sigarette beedi, quelle a buon mercato. “ISKCON”, dissi io, montando sopra al triciclo più vicino. Nel 1977, quasi tutti in India conoscevano l’acronimo che indicava l’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna. Da oltre dieci anni i seguaci dell’ISKCON, giovani come me vestiti con abiti indiani che intonavano l’antica preghiera “Hare Krishna” in pubblico, apparivano su quotidiani e riviste di tutto il mondo. Il guidatore di risciò annuì in modo fiducioso, e partimmo mezz’ora più tardi ci fermammo vicino ad un campo aperto. Il tassista puntò verso il vuoto, poi se ne andò via, pedalando e lasciandomi lì al buio. Su un lato della strada, una spoglia lampadina a bulbo penzolava da un albero ed emanava una luce fioca, come se fosse alimentata da un flusso irregolare di energia. Accanto alla lampadina, un’insegna di legno della lunghezza di trenta centimetri circa, inchiodata all’albero, riportava la scritta ISKCON, al di sotto della quale una freccia puntava in lontananza. Mi incamminai, attraversando l’erba e gli arbusti selvatici, sollevando il bordo dei vestiti e sperando di non incappare in serpenti o buche. Il mattino faceva capolino dietro la cresta di colline lontane. Una leggera nebbiolina incorniciava, avvolgendole, una serie di capanne dal tetto di paglia. A lato di una delle prime capanne, un indiano sorridente 25
dalla corporatura robusta stava mescolando qualcosa di denso e torbido in una pentola larga, messa a cuocere sopra una fiamma aperta. Il suo dhoti, indumento costituito da un pezzo di stoffa di cotone color arancio, era avvolto in vita e legato nella parte superiore del corpo per proteggerlo dal fuoco, e il vapore che usciva dalla pentola si stendeva su di lui come un velo luminoso. Entrai nella capanna di Prabhupada. Il mio maestro alzò la testa da una bassa scrivania di bambù e guardò verso di me. “Ah, Yogesvara, sei arrivato”, disse, chiamandomi con il mio nome di iniziato, che significa “servitore di Krishna, maestro di tutti i poteri mistici.” Nel 1969, all’età di diciannove anni, avevo abbandonato gli studi universitari a Parigi per diventare suo discepolo iniziato. Ci metterei troppo a spiegarvi perché. In breve, mi ero accorto che l’esistenzialismo francese non mi stava portando da nessuna parte, mentre Prabhupada mi stava portando dappertutto. Cominciai a viaggiare con lui come suo interprete nei paesi francofoni. Mi prostrai ai suoi piedi, poi mi rialzai e cominciai ad esaminare la sua umile dimora. La stanza era spoglia. Tappeti di rattan ricoprivano il duro e compatto pavimento di sterco di mucca. Le pareti erano fatte di mattoni a vista e il soffitto di paglia intrecciata. Attraverso una finestrella, ricavata nel muro dietro la sua scrivania, potevo vedere i campi d’erba. Stava albeggiando ormai. Sulla scrivania si trovavano vari oggetti, a me divenuti familiari durante i viaggi in Europa. Grossi volumi di commentari di sacre scritture in bengali e sanscrito. Un registratore vocale con microfono portatile. Mucchi di posta aerea in attesa di essere evasa. Un contenitore in legno dove alloggiava la penna ad inchiostro che egli utilizzava sempre per firmarsi - A.C. Bhaktivedanta Swami - con un movimento continuo, senza mai staccare la punta dal foglio. Una brocca e una tazza in acciaio inossidabile, accanto ad un quadretto con una foto che ritraeva il suo maestro spirituale, risalente più o meno all’anno 1930. Una stufetta, il cui cassetto era vuoto, provvedeva a riscaldare la stanza lunga e larga circa 4,50 metri. Trovai Prabhupada più magro di quanto ricordassi. Ogni giorno, dal suo arrivo in America dodici anni prima, la sua routine quotidiana includeva una camminata a passo sostenuto e un massaggio vigoroso, ma 26
ora stava attraversando un periodo di repulsione nei confronti dell’esercizio fisico, e alcune voci sostenevano che il suo stato di salute fosse peggiorato. Aver fatto il giro del mondo quattordici volte in una dozzina d’anni, alla fine, stava inficiando lo stato di salute del suo corpo fisico. Si girò verso di me e guardò le pareti e il soffitto di paglia, come per accertarsi che reggessero come avrebbero dovuto. “A volte, i miei discepoli mi ospitano in appartamenti di lusso” disse, “e, a volte, in capanne di fango.” Fece spallucce, alzando le esili spalle scure. “Che differenza fa? Le sensazioni sono le stesse ovunque.” Prima di lasciare l’India alla volta di New York, nel 1965, aveva vissuto nella stessa identica semplicità: una piccola stanza di mattoni, all’interno di un tempio medievale malandato a Vrindavan, un villaggio a due ore di strada a sud-est di Delhi. Vrindavan è considerato il luogo più sacro tra i luoghi sacri per i vaishnava, i devoti di Krishna. Prabhupada aveva fatto, da giovane, una discreta fortuna come farmacista, ma negli anni Cinquanta aveva rinunciato a tutte le fonti di reddito, trasferendosi a Vrindavan e lavorando durante i decenni successivi come compilatore di commentari alle sacre scritture, vivendo da povero e nutrendosi di qualsiasi cibo i locali gli offrissero. Ci vollero parecchi anni per riuscire a ottenere i documenti ufficiali e le autorizzazioni governative per l’espatrio. Quando, finalmente, lasciò l’India e arrivò in America, era un perfetto sconosciuto e senza contatti. Quale incredibile contrasto con la sua vita di quel momento, dodici anni dopo... Nel 1977 egli contava migliaia di seguaci e più di cento centri sparsi in tutto il mondo. Ero arrivato lì da Parigi per chiedere il suo permesso di scrivere libri per bambini su Krishna. Le storie di Krishna ritrovate nelle antiche scritture, come lo Srimad Bhagavatam, redatto in sanscrito, non erano dirette ai giovani, bensì ai praticanti avanzati di Bhakti o di yoga devozionale. Tuttavia, i bambini indiani crescevano ascoltando le storie di Krishna, così come i giovani occidentali vivevano immersi nelle favole dei fratelli Grimm o di Hans Christian Andersen, e ora che molti dei discepoli di Prabhupada cominciavano ad avere figli, questi libri 27
si rendevano necessari. Correvamo rischi nell’adattare i lila o i passatempi di Krishna per le giovani menti? La sua identità di Essere Supremo avrebbe potuto essere svilita o ridotta a favoletta, se la sua vita fosse stata riscritta in una forma adatta ai bambini? La nostra tradizione vaishnava avrebbe approvato tale semplificazione? Per mia fortuna, Prabhupada pensava che i libri per bambini fossero una buona idea. “Ciò che si impara da piccoli, non si dimentica più” disse, annuendo. Non aveva mai scritto libri per bambini, ma era comunque un autore prolifico. Spinto dalla richiesta del suo maestro di diffondere i libri devozionali in tutto il mondo, Prabhupada aveva prodotto dozzine di scritti. I libri rimanevano ancora una fonte di informazione diffusa negli anni Settanta (la televisione e gli internet cafè si sarebbero diffusi soltanto una decina d’anni più tardi), e i discepoli divulgavano i suoi lavori con zelo missionario. Nel 1976 l’Ufficio per le Pubblicazioni dell’ISKCON aveva ordinato quella che sarebbe passata alla storia come la più grande tiratura di un libro: un milione di copie di Bhagavad Gita as it is, la sua edizione del testo che contiene l’essenza della saggezza indiana. Furono necessarie novantacinque automotrici con pianale per trasportare la carta nel Kentucky e consegnarla al tipografo. La processione di motrici si stendeva per quasi tre chilometri. Poco prima della mia visita a Bhubaneshwar, l’Ufficio Pubblicazioni annunciava che il numero dei suoi libri e delle sue riviste distribuite in tutto il mondo aveva superato i 100 milioni. Ricordo ancora che strizzai gli occhi quando lessi quel numero e cercai di immaginare 100 milioni di una qualsiasi altra cosa che non fossero i libri di Krishna. Nonostante il successo delle sue pubblicazioni, Prabhupada desiderava che anche i suoi studenti scrivessero, e per questo fui lieto di apprendere che approvava la creazione di una serie di libri per bambini. UN’ALTRA RAGIONE, INOLTRE, mi aveva portato lì da Parigi: poterlo rivedere prima che fosse troppo tardi. Volevo imprimere nella mia memoria un ultimo ricordo di questo 28
straordinario leader spirituale, che aveva dedicato la vita a diffondere nel mondo il messaggio che la coscienza esiste indipendentemente dalla materia. La visione vedica2 asserisce che la coscienza non è il prodotto di una combinazione chimica o di leggi fisiche, come la maggior parte delle scienze sperimentali sostiene, ed egli spronava i suoi studenti a essere fortemente assertivi su questo punto. Non mi sembra ci abbia mai incoraggiato ad essere pacifici o tranquilli. Al contrario, erano frequenti i riferimenti alla lotta contro maya, che consisteva nel lavorare diligentemente per smascherare la fallacia della convinzione che la coscienza ha un inizio o una fine. La vita, insisteva, è eterna. Prabhupada portò a termine la sua missione durante gli anni Sessanta e Settanta, quando ci si aspettava che i maestri spirituali fossero pacifisti. Egli ribaltò tale credenza. Ad esempio, non si schierò contro la scienza, ma definì gli scienziati, che presumevano di togliere Dio dalla creazione, “diabolici”. Sono anche noti i suoi apprezzamenti nei confronti degli hippie riguardo la scelta di manifestare la loro insoddisfazione verso il consumismo. Condannava, inoltre, il governo statunitense per il fatto di inviare i giovani a morire sui campi di battaglia e di non riuscire a fornire loro una direzione spirituale. Una delle sue azioni più controverse fu quella di premiare i suoi studenti con l’Iniziazione Braminica, che fondamentalmente innalzava un’occidentale laico della “casta bassa” a sacerdote della “casta alta”, un’innovazione che fece adirare la gerarchia religiosa. Attraverso questo attivismo spirituale, pose le basi per una nuova generazione di uomini santi. Prabhupada utilizzava una tecnica innovativa, ma nell’insegnamento del Bhakti Yoga rappresentava fedelmente un lignaggio che risaliva a Chaitanya Mahaprabhu, avatar di Krishna del sedicesimo secolo. Il termine avatar, come viene usato nei testi della Bhakti, si riferisce alle incarnazioni dell’Essere Supremo profetizzate nelle sacre scritture, che vengono nel mondo con una missione particolare. Secondo i testi della Bhakti, Chaitanya Mahaprabhu era Krishna stesso, l’avatari o sorgente di tutti gli avatar, il cui compito era quello di diffondere il canto dei nomi di Dio. Prima di Mahaprabhu, 29
il lignaggio di Prabhupada si estendeva attraverso il tempo cosmico fino al primo essere, Brahma, e, ancor prima di Brahma, a Krishna stesso. Come avevano fatto i suoi precettori, Prabhupada creò un linguaggio che servisse a trasmettere insegnamenti millenari ad un pubblico contemporaneo. La pratica della Bhakti comincia e finisce con il canto del mantra: “Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare” che, tradotto, recita: “O Hare (Radha, il divino femminile), o Krishna (il divino maschile), o Rama (altro nome di Krishna, che significa sorgente della massima beatitudine), ti prego, impegnami al tuo servizio.” Nessuno ha fatto tutto quello che ha fatto Prabhupada per divulgare il canto di questo mantra. Poteva guardare fuori dall’oblò di un aereo, verso Parigi o Nairobi, Mosca o Hong Kong, sicuro che le persone in quasi tutti i paesi avevano udito i nomi di Krishna grazie al suo operato. Paradossalmente, erano poche le persone che non sapevano nulla di lui. IL BREVE INCONTRO A BHUBANESHWAR fu l’ultima volta in cui vidi Prabhupada. Dieci mesi più tardi lasciò il corpo fisico. Negli ultimi momenti trascorsi insieme il sole stava sorgendo e prorompeva attraverso la finestrella della sua capanna come se volesse dare un segno. Le ultime parole che mi disse risuonano tuttora nelle mie orecchie. “Questi libri sono importanti” asserì. Stavamo discutendo dei libri per bambini, ma ebbi l’impressione che si stesse riferendo più in generale a tutti i libri su Krishna. “Quando la gente leggerà questi libri, capirà che la Coscienza di Krishna è qui per restare.” Il sottinteso del suo messaggio era chiaro: egli se ne sarebbe andato prima o poi, ma la conoscenza contenuta nelle scritture sarebbe sopravvissuta nelle epoche a venire, così come era già avvenuto per migliaia di anni. Attualmente siamo nella quarta generazione di devoti di Krishna nati in Occidente. Questi libri segnano un punto di svolta storico: prima che Prabhupada giungesse negli Stati Uniti, quasi nessun occidentale sapeva chi fosse Krishna. Inoltre, solo da pochi anni i suoi seguaci hanno iniziato a esplorare le 30
connessioni fra gli insegnamenti di Krishna e i problemi globali. Noi esseri umani desideriamo la felicità per noi stessi e per gli altri, ma solamente se inseriremo la coscienza nelle nostre equazioni riusciremo a preparare un terreno fertile su cui far crescere la felicità. La coscienza, forza vitale che anima il corpo, è fondamentale per creare la realtà, allo stesso modo in cui lo sono il tempo, lo spazio e la gravità. La sfida che Prabhupada lasciò ai suoi discepoli fu di definire il ruolo della coscienza nell’attuale società progressista e di fatto, dalla sua dipartita, avvenuta nel 1977, si sta continuando a lavorare su questo3. I testi vedici rivelano che la coscienza è insita in ogni dettaglio della creazione. La missione di Prabhupada fu di rendere tale visione, oscurata per secoli dalla complessità del sanscrito e dai pregiudizi della scienza, accessibile a tutti. Quello che state per leggere quindi, è un tentativo di descrivere la vita di una persona i cui insegnamenti vanno dall’alba al tramonto dei tempi, dall’Infinitamente Piccolo all’Infinitamente Grande. Una vita epica, una leggenda. Nel caso di Prabhupada, però, si tratta di un’epica che possiede la bellezza di essere completamente vera.
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PA RT E P R I M A
L'INDIA
Sua Divina Grazia, A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada (1896-1977), Fondatore-Acharya dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna.
Capitolo uno In qualunque momento e in qualsiasi luogo si manifesti un declino del dharma e un aumento dell’a-dharma, in quel momento Io scendo sulla Terra. -SRI KRISHNA NELLA BHAGAVAD GITA, 4.7
C
ALCUTTA, 1912. Il ponteggio di barre metalliche e pali di bambù si ergeva formando una spirale alta 60 metri, che si protendeva verso il cielo rischiarato dalla luna. Presto il Victoria Memorial, la struttura architettonica britannica che avrebbe rappresentato la Dichiarazione della Dominazione sull’India, sarebbe stata rifinita con il marmo bianco, e le impalcature sarebbero state smontate. Prima però che ciò avvenisse, l’allora sedicenne Abhay Charan non poté resistere dall’arrampicarsi fino alla cima. Le strade erano calme a quell’ora tarda. I cartelli di divieto d’ingresso circondavano il cantiere, ma nessun divieto sarebbe riuscito ad ostacolare Abhay nel suo intento. Scivolò sotto le barricate e, scalando una dopo l’altra le travi che formavano la struttura, raggiunse la vetta ricoperta di tavole di legno; da lì puntò lo sguardo verso la città, in corrispondenza del fiume Hooghly, un affluente del grande Gange. La corrente dell’Hooghly defluiva rapida, causando in certi punti alte onde capaci di ribaltare le imbarcazioni minori. Abhay si voltò in direzione del Bengala. Durante le lezioni alla scuola superiore locale aveva imparato che, 150 anni prima e 13 chilometri circa a monte del fiume, aveva avuto luogo una storica battaglia che avrebbe determinato il futuro dell’India. Là, presso la città di Plassey, l’ultimo nababbo (N.d.T.: In 35
originale Nawab) del Bengala, Siraj Ud Daulah, aveva sferrato un attacco all’esercito britannico comandato da Robert Clive. All’insaputa degli uomini del nababbo, Clive aveva corrotto il loro comandante-capo, e gli inglesi avevano vinto la battaglia. La vittoria di Clive a Plassey fu seguita da una rapida espansione del potere britannico e, verso la metà del diciannovesimo secolo, la Gran Bretagna dominava l’India. Per favorire il controllo su una nazione così estesa, gli inglesi decisero di fomentare l’ostilità fra gli Indù e i musulmani, costringendoli a vivere separati. Il 16 ottobre 1905 la regione natale di Abhay, il Bengala, venne divisa in province segregate. Il governo britannico nominò dei governatori musulmani a capo delle province indù, e magistrati indù per i distretti musulmani, e assegnò alla Corona inglese il ruolo di Governo centrale. Tale separazione ebbe l’auspicato esito di scatenare tensione fra le province, ma contribuì anche a far esplodere la rabbia contro la dominazione britannica. I giovani Indiani, fra cui Abhay, vennero reclutati dai nazionalisti per combattere a favore della liberazione dell’India. Scoppiavano risse anti-britanniche quasi ogni giorno durante gli anni dell’adolescenza di Abhay. La sua militanza nell’instabile movimento per l’indipendenza aveva finito per preoccupare suo padre, Gour Mohan De, in modo particolare dal momento in cui la madre di Abhay aveva lasciato il corpo fisico e la presenza del ragazzo a casa era quindi più che mai necessaria. Dalla cima del Victoria Memorial Abhay seguiva con lo sguardo le acque dell’Hooghly scendere rapide e uscire dalla città in direzione del Golfo del Bengala, fino ad arrivare all’Europa e dell’America. La sua immagine degli Stati Uniti era stata plasmata dalle foto trovate fra le pagine delle edizioni indiane delle riviste Look e National Geographic, nelle quali svettavano grattacieli in costruzione alti come montagne, auto Ford Model Ts che sfrecciavano su autostrade asfaltate, aeroplani da record di velocità e percorrenza, aspirapolveri e lavatrici, e altri cosiddetti miracoli della tecnologia, tutti stipati in quella che i sacerdoti bramini avevano chiamato Maya, l’illusione del materialismo. Questa era per lui l’America, la capitale di Maya, che stava al di là dell’oceano, dall’altra parte del globo. Sarebbero 36
dovuti passare più di cinquant’anni prima che Abhay potesse attraversare quelle acque. Ma sapeva aspettare. In quel momento, l’India si trovava nei guai e i suoi connazionali avevano bisogno di lui. Ridiscese l’impalcatura. In lontananza si udivano le onde infrangersi sulla spiaggia. I suoi pensieri tornarono alla casa, alla scuola e alla famiglia, e al tumulto di una nazione che al suo risveglio si sarebbe trovata ad affrontare un futuro incerto. AGLI INIZI DEL VENTESIMO SECOLO l’impero britannico controllava l’India con mano ferma, e la separazione fra governanti e governati venne duramente rinforzata. Gli unici indiani che godevano del libero accesso ai ristoranti britannici o ai club degli ufficiali, a quei tempi, erano gli inservienti, i quali venivano fatti entrare dalle porte secondarie, vestivano divise bianche, versavano la zuppa in antichi piatti d’argento ed erano tenuti a farsi gli affari propri. La famiglia di Abhay, i Des, accettava le regole dei britannici. Viveva in Harrison Road, nella periferia a nord di Calcutta, lontano dal centro della città, dove gli amministratori gestivano gli affari dell’India. Il distretto nord era dimora dei Vaishnava Chaitanya4 - devoti di Krishna che seguivano l’esempio di Chaitanya di cantare costantemente i nomi di Krishna, gruppo a cui apparteneva anche la famiglia di Abhay - e confinava con diversi distretti Musulmani. Nonostante l’imbarazzo che inizialmente la segregazione aveva prodotto, a quel tempo si era instaurata una convivenza accettabile. Indù e musulmani facevano affari insieme e i loro figli erano compagni di giochi. Harrison Road includeva un blocco di edifici appartenenti alla famiglia aristocratica dei Mullik, un clan del settore mercantile che commercializzava oro e sale con i britannici da più di duecento anni. In una generazione precedente, un uomo dei Mullik aveva sposato una donna De, e i loro discendenti avevano costruito case in Harrison Road. Abhay e la sua famiglia abitavano di fronte al tempio della comunità dei Mullik, e proprio il tempio con le sue Divinità, furono ciò che vide per la prima volta quando venne al mondo. Subito dopo la sua nascita, suo padre, Gour Mohan (18491930), e sua madre, Rajani (c. 1866-1912), recitarono mantra 37
per il suo corpo e la sua anima. Gli fecero colare sulla lingua una goccia di sciroppo di datteri e lo accompagnarono al tempio, affinché potesse posare il suo sguardo sulle immagini divine [N.d.T.: statue] in ottone di Radha e Krishna, Dio nella forma rispettivamente femminile e maschile. Dolci sensazioni unite a dolci visioni: un buon auspicio per il futuro di Abhay. L’astrologo di famiglia compilò la carta natale: secondo la predizione, Abhay sarebbe diventato un leader spirituale e avrebbe costruito 108 templi in tutto il mondo. Non abbiamo fonti che ci narrino quale fu la reazione della famiglia a questa profezia, ma senza dubbio deve aver impressionato positivamente Gour Mohan, un vaishnava ortodosso, determinato a vedere il figlio coltivare le abitudini e il carattere di un devoto di Krishna. Gour Mohan era un gran lavoratore, il cui negozio di stoffe garantiva reddito sufficiente per nutrire la sua famiglia di classe media con ghee, riso e patate e per ricolmare di doni le sue quattro figlie. La madre di Abhay si occupava dei sei figli e la sua cucina tradizionale era un effluvio di aromi e spezie che inondava la loro casa. Quando le verdure al curry, i dolci a base di latte e altri piatti erano pronti, sistemava le porzioni su un vassoio d’ottone e attraversava la strada per portarlo al tempio Mullik, dove si inchinava e offriva il cibo accompagnato dalle preghiere. All’età di tre anni, Abhay recitava preghiere insieme a sua madre, e il suo pensiero era rivolto a Krishna e ai suoi occhi a mandorla. Se un chicco di riso cadeva a terra, subito lo raccoglieva e lo portava alla fronte, in segno di rispetto per il prasadam, la misericordia di Dio che prende forma nel cibo5. Abhay aveva la fronte alta, occhi da cerbiatto, grandi orecchie e larghe narici. Quando veniva provocato, corrugava le sopracciglia e contraeva le labbra carnose, e Rajani allora supplicava questa o quella Divinità di tenerlo lontano dal male. A volte il carattere arrogante del giovane ragazzo prendeva il sopravvento. Per controbattere a un rimprovero della sua maestra, Abhay, all’età di cinque anni, prese la lampada al kerosene dalla sua scrivania e la gettò per terra. Se adocchiava un fucile giocattolo al mercato portava all’esasperazione suo padre per farselo comprare. Gour Mohan, alla fine, cedeva alle sue insistenti richieste, e allora Abhay ricominciava chiedendogliene un altro, “uno per ogni 38
mano”, e si buttava per terra in strada pestando i piedi, finché Gour Mohan non lo accontentava. I suoi genitori erano attenti ai suoi stati d’animo. Avevano scelto per lui il nome Abhay Charan poiché desideravano che fosse sia abhay, che significa impavido, che charan, ovvero prostrato a charan, ai piedi di Dio. Il coraggio non gli mancava, era spontaneo per lui, come se, fin da piccolo, capisse che nel mondo materiale era necessario per superare gli ostacoli. Per nutrire la devozione di Abhay, Gour Mohan affidò a un musicista il compito di insegnargli a suonare la mridanga, un tamburo a doppia testa utilizzato durante le cerimonie nei templi. Il musicista, dopo aver appeso al collo il cilindro di argilla lungo circa novanta centimetri tramite una spessa corda, batteva la grande testa e la piccola testa con rapidi movimenti delle mani. Abhay a malapena arrivava a toccare le due estremità contemporaneamente, ma si dedicava alle lezioni come un vero professionista. “A cosa serve?”, chiedeva Rajani al marito. “È soltanto un bambino, dopotutto”. Ma Gour Mohan guardava al futuro, a quel tempo in cui Abhay avrebbe portato a compimento la profezia dell’astrologo e avrebbe suonato una melodia che il mondo intero avrebbe udito. GOUR MOHAN SEGUIVA UN RIGIDO PROGRAMMA GIORNALIERO. Si svegliava prima delle 7 del mattino, si lavava, portava a termine le attività mattutine e tornava a casa alle 10. Nelle tre ore successive recitava preghiere, leggeva le scritture e adorava le Divinità familiari con incenso, fiori e preghiere. La puja, o adorazione, era il vero business di suo padre, disse Abhay un giorno. Dopo un pranzo leggero, Gour Mohan raggiungeva a piedi il suo negozio per un pomeriggio con i clienti. Ogni sera verso le dieci, sistemava una ciotola di riso sul pavimento per i ratti, per evitare che rosicchiassero le stoffe, chiudeva a chiave la porta principale del negozio, e tornava a casa per continuare le sue preghiere. Il mormorio gentile dei mantra e il tintinnio di una campanella a mano svegliava Abhay. Scendeva al piano inferiore in punta di piedi per non disturbare sua madre, e poco dopo padre e figlio si ritrovavano in cucina a prepararsi uno spuntino di riso soffiato prima di andare a dormire. 39
Ovunque si recasse in visita, la salutare passeggiata che Prabhupada faceva nelle prime ore del mattino diveniva un dibattito, in cui venivano discusse le questioni filosofiche poste dai discepoli.
Conclusione
N
ELL’INTRODUZIONE al primo volume dello Srimad Bhagavatam, pubblicato nel 1962, Prabhupada scrisse: “Anche negli alti circoli viene riconosciuto che le radici e il background della cultura indiana sono racchiusi nella lingua sanscrita. E noi sappiamo che i colonizzatori dell’India possono anche distruggere alcune delle opere architettoniche monumentali, ma non riusciranno mai a distruggere i perfetti ideali della saggezza vedica, riguardanti la civilizzazione umana, finora tenuti nascosti all’interno della lingua sanscrita... Lo Srimad Bhagavatam è il frutto maturo dell’albero della letteratura vedica... Abbiamo appena iniziato a tradurlo in lingua inglese con grandi prospettive...”. Egli stampò 1100 copie di quella prima edizione. Nel 2015, l’anno del cinquantesimo anniversario dell’arrivo di Prabhupada in Occidente, la Bhaktivedanta Book Trust ha calcolato il numero totale dei suoi libri distribuiti fino a quel momento: il risultato superava le 500.000.000 copie (mezzo miliardo...). PER DUE RAGIONI questa biografia si concentra sugli anni della formazione di Prabhupada in India e sui primi giorni della sua missione in Occidente. Prima di tutto, perché è stato in India, sotto la guida del suo guru, Bhaktisiddhanta Saraswati, che Prabhupada ha sviluppato la struttura e gli obiettivi della sua missione in Occidente. In secondo luogo, perché la mia vita da devoto è cominciata nel 1969, e ho avuto il privilegio di partecipare a molti degli eventi qui descritti. Più di cinquanta discepoli hanno acconsentito ad essere intervistati per la realizzazione di questo libro. Quando ho 371
cercato di mettermi in contatto con loro, è stato per me sbalorditivo scoprire quanti devoti di Krishna della prima generazione avessero già lasciato il corpo fisico. Gour Govinda Swami, la persona descritta nell’introduzione, che mescolava il kitchuri a Bhubaneshwar, era uno dei principali sannyasi (monaci che hanno accettato l’ordine di rinuncia) di Prabhupada. La sua dipartita è avvenuta nel 1996. Bhakti Tirtha Swami, un altro discepolo di spicco e amico che ha dedicato la sua vita al servizio delle comunità africane e afroamericane, è morto nel 2005. Il mio compagno di stanza dei primi anni Settanta, Tamal Krishna Goswami, che negli ultimi anni era diventato uno stimato studioso della cultura vaishnava, ci ha lasciati nel 2010. Con noi a Londra si trovava la nostra consorella Yamuna Devi, autrice del pluripremiato libro di cucina La cucina degli Hare Krishna, che ci ha lasciato nel 2011. Mentre correggevo le bozze del manoscritto di questo libro, ho ricevuto notizia che Brahmananda Das, un’altra colonna del movimento di Prabhupada, era mancato a Vrindavan, seguito poche settimane dopo da Saurabha Das, l’architetto dei templi di Prabhupada a Vrindavan e a Juhu. Per me è stata una gioia poter servire insieme a questa prima generazione di devoti, e fortunatamente molti di loro hanno lasciato le loro memorie. Per questo non è stato necessario immaginarmi le conversazioni che il lettore ha trovato in questo libro: le ho potute attingere dalle fonti originarie. Occasionalmente ho abbreviato, apportato modifiche e combinato questi dialoghi per renderli maggiormente comprensibili al lettore. Un importante riferimento per questo lavoro è stata la Srila Prabhupada Lilamrita, la biografia ufficiale altamente dettagliata di Satsvarupa Das Goswami. Un numero incredibile di informazioni relative ai primi anni di Prabhupada sarebbero andate perse se non fosse stato grazie alla sua impresa erculea condensata in sei volumi. Altre fonti quali Our Srila Prabhupad: A Friend to All, e altre raccolte simili di aneddoti, sono state compilate da seguaci animati da un buon intento, che non sempre hanno aderito alle pratiche standard delle interviste e degli archivi. Si è fatto il possibile affinché le citazioni dei loro lavori venissero fatte in modo giudizioso e facendo le dovute ricerche. 372
Ringraziamenti
D
EVO I MIEI RINGRAZIAMENTI a numerose persone che mi hanno fornito aiuto nella preparazione di questo libro. Per la lettura ravvicinata del manoscritto e per aver dato un rilevante contributo alla progettazione editoriale, ringrazio Giriraj Swami, che ha condotto una trionfante battaglia per costruire il complesso di templi a Juhu di Prabhupada. Ringrazio anche Achyutananda Das, uno dei primi discepoli che hanno ricevere un training formale in India, e autore delle indimenticabili memorie Blazing Sadhus; Daivishakti Dasi, faro della missione di Prabhupada a Vrindavan; Gurudas, uno dei miei primi amici in coscienza di Krishna, ex-presidente del tempio di Vrindavan, e devoto dal cuore grande come il mondo; l’intellettuale Jayadvaita Swami, collega dei tempi piÚ recenti; Satsvarupa Das Goswami, stimato autore della biografia ufficiale di Prabhupada; Jadurani (Shyamarani) Dasi, altra cara amica di lunga data e una delle prime persone ad illustrare i libri di Prabhupada; Satyaraj Das (Steven Rosen), un simpatico amico e caporedattore del Journal of Vaishnava Studies; Swarup Das, membro fidato dei templi di Boston e New York; e Umapati Das, che mi ha mostrato come intravedere Dio in una tazza di latte. Questi discepoli anziani mi hanno offerto importanti suggerimenti che hanno enormemente migliorato la presentazione. E poi gli altri che hanno letto il manoscritto del tutto o in parte e hanno dato i loro consigli e incoraggiamento, tra i quali: Brahmananda Das (che ricordo caramente), Devamrita Dasi, Krishna-lila Dasi, Vraja-Vihari Das, Hari-sauri Das, Prishni Dasi, Ravindra Svarup Das, Sthitadhi Muni Das, e Tamraparni Das. Per aver accettato di essere intervistati e per aver prestato le loro memorie personali e le loro prospettive su vari argomenti, 373
ringrazio, fra gli altri, Abhirama Das ( John Sims), Adi Keshava Das (prof. Angus Murphy), Ambarish Das (Alfred Ford), Baladev Vidyabhusan Das, Baradraj Das (Marek Buchwald), Bhakti Marga Swami, Bhakti Vijnana Swami, Srila Bhakti Bibudha Bodhayan Maharaj, Dinanath Das, Haripuja Dasi, Hridayananda Goswami, Kalindi Dasi, Kirtiraj Das, Peter Leggiere, Ramesvara Das (Robert Grant), Saunaka Rsi Das, Sri Nathji Das (Narendra Desai), Subhananda Das (Steven J. Gelberg), Sujtendriya Das, Tejiyas Das, Tosan Krishna Das, Vaisesikha Das, e il figlio di Prabhupada Vrindavan Chandra. Una menzione speciale merita Jyotirmayi Dasi, che ha dedicato la vita ad eseguire le traduzioni francesi di Prabhupada, e a prendersi cura dei giovani devoti, e con la quale ho condiviso diversi bellissimi anni di servizio devozionale. Sono in debito con Arya Dasi, per aver generosamente condiviso la sua personale ricerca e le interviste. Sono grato al professor David Haberman, per le sue memorie di Vrindavan e le sue intuizioni riguardo la correlazione fra Bhakti e ambiente. Un grazie particolare va a Devi Deva (Dave Dobson), il quale non solo ha intravisto il valore di questo progetto fin dalla sua genesi, e ha fornito supporto critico e incoraggiamento, ma mi ha anche ispirato attraverso i suoi molteplici e rilevanti progetti di servizio alla comunità. Prabhupada sarebbe orgoglioso di vedere un discepolo offrire una compassione simile ai senzatetto e agli indigenti. Vorrei ringraziare i discepoli e i seguaci di Bhaktisiddhanta Saraswati, quelli ancora fra noi e quelli che non lo sono più, per il loro contributo al movimento di Chaitanya Mahaprabhu. Prabhupada ha insegnato ai suoi discepoli a onorare tutti i vaishnava, sia che facessero o che non facessero formalmente parte dell’ISKCON. Abbiamo il privilegio di essere tutti membri della stessa famiglia devozionale. Questo libro non avrebbe potuto essere realizzato senza l’amicizia e l’entusiasmo del fondatore della Mandala Publishing, Raoul Goff (Ramdas). La sua visione di una nuova generazione di pubblicazioni devozionali è stata per me fonte d’ispirazione. Ho il piacere di lavorare con lui a una varietà di libri, fra i quali una serie dedicata ai ragazzi. Inoltre, ho un debito di gratitudine 374
nei confronti di Pandita Wong e Courtney Andersson della Mandala Publishing: il loro impegno su un manoscritto complesso è stato per me una fonte di costante ispirazione. Uno Swami in Terra Straniera e tanti dei miei libri non sarebbero leggibili senza la radicale revisione, la profonda ristrutturazione e i dolorosi esorcismi che la mia editrice, Kyra Ryan, porta avanti da quasi vent’anni. Lei è una professionista del mestiere. Poiché tutti gli scritti sono in definitiva autobiografici, sarebbe negligente da parte mia non ringraziare Adele Greene, Cara Greene, Emmanuel Greene, Sundari Greene, Radhika Greene, Brian Greene, Susan Greene, Wendy Greene, Rita Greene e il mio defunto papà Alan Greene. Ho avuto l’immensa fortuna di poter godere sempre del loro amore e sostegno. Di tanto in tanto, mi sono permesso di entrare nella narrazione come attore all’interno della storia. Spero che i lettori possano apprezzare queste “intrusioni”, ma mi rendo conto che potrebbero dare un’impressione esagerata del ruolo da me svolto nella missione di Prabhupada. Ha dato iniziazione a più di 6.000 discepoli in dodici anni e, dalla sua dipartita, altre decine di migliaia hanno aderito alla Coscienza di Krishna. Ci sono tantissime grandi anime fra loro che meritano di essere menzionate, in modo particolare le discepole, che qui sono poco rappresentate. Il mio unico rammarico, e per questo me ne scuso, è quello di non avere avuto sufficiente spazio per tutti, dovendo limitarmi ad una breve biografia. Infine, dal profondo del cuore, ringrazio mia moglie, Esther Fortunoff-Greene, per la sua infinita pazienza, il suo pungente umorismo e l’amore incrollabile. C’è chi ha tutte le fortune di questo mondo.
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Statistiche dell’Iskcon 13 AGOSTO 1965 A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada lascia Calcutta, all’età di settant’anni. Possedimenti totali netti: 40 rupie (7 dollari U.S.) e 200 set da tre volumi del primo canto dello Srimad Bhagavatam. 18 AGOSTO 2015177 Cinquant’anni più tardi, il suo movimento, la Società Internazionale per la Coscienza di Krishna, conta: 602 templi 65 fattorie ed ecovillaggi 54 istituti educativi fra cui, scuole primarie, scuole secondarie e college. 110 ristoranti Hare Krishna 75.000 devoti iniziati 7.000.000 di ospiti e fedeli che frequentano i centri ISKCON ogni anno 2.000 gruppi di studio che si incontrano settimanalmente nelle case (30.000 studenti iscritti) 516.000.000 di libri e riviste distribuite 3.000.000000 (3 miliardi) di pasti vegetariani offerti al Signore (prasadam) distribuiti 1.200.000 pasti serviti con il programma di distribuzione di cibo in carità 6.000 festival vaishnava (ad es. Rathayatra) Possedimenti totali netti: superano i 1.000.000.000 dollari U.S. 376
Breve biografia di Bhaktisiddhanta Saraswati “LE PERSONE O AMAVANO BHAKTISIDDHANTA [1874-1937] per le sue sante qualità e per la sua forza di carattere”, scrive uno dei suoi biografi, “o lo odiavano per la sua critica intransigente al monismo vedantico... e all’arcaica struttura delle caste178”. Durante la sua breve vita, l’alto e austero studioso bengalese creò la prima istituzione del vaishnavismo gaudiya e preparò la strada all’espansione globale della Bhakti di Krishna. Intimoriti dal suo stile vigoroso, non disponibile a compromessi, gli oppositori lo soprannominarono “Il Guru Leone”. Bhaktisiddhanta deve la sua reputazione alla necessità: nulla, se non una leadership severa, avrebbe potuto risollevare la cultura gaudiya, quella che Prabhupada chiamava Coscienza di Krishna, da trecento anni di calunniose e false interpretazioni. Nel giro di una generazione dalla scomparsa di Chaitanya Mahaprabhu, avvenuta nel 1533, gli opportunisti tantrici avevano cominciato a diffondere pratiche sessuali deviate in nome dell’adorazione di Radha-Krishna. L’accettazione ecumenica delle caste più basse (spesso persone sincere ma prive di istruzione) nella comunità gaudiya finì per peggiorarne ulteriormente la reputazione. Suo padre Bhaktivinode Thakur, capo della comunità gaudiya vaishnava, lo istruì fin da bambino nel tentativo di cambiare quell’immagine, e lo iscrisse alle scuole più prestigiose del Bengala introducendolo a modelli di pensiero progressista. Bhaktisiddhanta ammirò la visione di diffusione del vaishnavismo di Chaitanya che aveva suo padre e negli anni dell’adolescenza, prestò servizio in qualità di suo assistente e organizzatore. La Visva Vaisnava Raj Sabha di Bhaktivinode, 377
la Regia Associazione Vaishnava Mondiale, che egli fondò nel 1885, unì gli intellettuali del tempo, fra i quali l’editore riformista Sisir Kumar Ghosh e lo studioso di sanscrito Bipin Bihari Goswami; all’età di dodici anni Bhaktisiddhanta prendeva parte alle loro discussioni. All’età di tredici anni egli revisionava la rivista mensile di suo padre Sajjana-tosani e coltivava abilità editoriali, che avrebbero giocato un ruolo fondamentale per l’espansione internazionale della Coscienza di Krishna. All’età di diciassette anni, dopo solo alcuni anni di studi in matematica e astrologia, Bhaktisiddhanta affrontò l’ardua impresa di fondare la sua personale scuola di astronomia, la Sarasvata Chatushpati, che teneva le sessioni di studio in casa del padre a Calcutta. La scuola preparava gli studenti per poter proporre la propria candidatura presso il prestigioso Sanskrit College della città e operò per quasi dieci anni, fino a quando i disaccordi con il College riguardo alle tecniche di calcolo astronomico spinsero Bhaktisiddhanta a chiudere. Gli amministratori del College semplicemente non riuscivano a tenere il passo con questa mente prodigiosa. Da quella esperienza emerse la sua propensione al dibattito, che divenne una caratteristica della pedagogia di Bhaktisiddhanta. La reputazione del giovane studioso attirò l’attenzione della famiglia reale di Tripura, e dal 1895 al 1905 fu alle dipendenze del re, come compilatore della storia della famiglia reale e insegnante di bengalese e sanscrito dei figli del re. Tale impiego gli consentì l’accesso alla biblioteca di corte, dove poté fare ricerche per il suo primo libro, Bonge Samajikata, “La struttura della Società in Bengala”, pubblicato nel 1900: un’analisi della storia bengalese, che con successo confutava le accuse europee secondo cui il vaishnavismo era privo di storia, di etica e di struttura filosofica. Analizzando la storia della tradizione, sia da un punto di vista indigeno che europeo, Bhaktisiddhanta rivelò l’etica implicita in una vita di devozione, e pose le basi della struttura universale della filosofia dell’amore divino di Chaitanya. Questo fu il primo di una serie infinita di libri e articoli, che lo studioso celibe avrebbe redatto nel corso della vita. Come successore del padre presso la comunità gaudiya, 378
Bhaktisiddhanta ebbe l’opportunità di godere di una relazione più intima con Bhaktivinode rispetto ai suoi dodici fratelli. Fino alla dipartita di Bhaktivinode, nel 1914, padre e figlio pianificarono e produssero pubblicazioni, organizzarono raduni di studiosi, tennero lezioni congiunte, e visitarono luoghi di pellegrinaggio. A volte drammatici, a volte prosaici, i loro sforzi costanti per portare la devozione nel ventesimo secolo presero occasionalmente forme inaspettate. A circa 100 metri dal Radhakund, un ghat [N.d.T.: laghetto] balneabile di Vrindavan, dove si dice che Radha e Krishna si siano incontrati per trascorrere una notte di giochi, Bhaktivinode acquistò una piccola residenza in mattoni da poter sfruttare quando lui e il figlio si recavano lì in pellegrinaggio. In quella casa, nel più santo fra i luoghi santi vaishnava, circondata da templi medievali e angoli sacri, eco di remote antichità, Bhaktisiddhanta installò il primo wc con scarico: un gabinetto in ceramica con seduta in legno, lo sciacquone con galleggiante in gomma e catenella di metallo. Nessuna targhetta ricorda l’evento. I libri di storia non ne fanno menzione. Eppure, come indicatore della mentalità di un innovatore della comunità devozionale più antica dell’India, tale efficiente comodità fornisce un’immagine vivida e concreta tra i raggiungimenti più eruditi della vita di Bhaktisiddhanta. Padre e figlio devono aver condiviso un senso di imperativo storico. La profezia di Chaitanya secondo la quale “in tutte le città e paesi sulla faccia della terra, verrà udito il Santo Nome179” era ben nota nelle agiografie esistenti. Per prepararsi a tale missione storica, nel 1905, all’età di trentun anni, intraprese la pratica austera di cantare 300.000 nomi di Krishna al giorno: in pratica, dodici ore di preghiera quotidiana. Dormiva per terra, senza mai usare cuscini, e osservava severe restrizioni alimentari. Persino il suo maestro iniziatore, Gaura Kishore Das Babaji, anche lui rinomato asceta, si stupì del comportamento determinato del giovane. Verso il 1906 Bhaktisiddhanta diede l’iniziazione ai primi discepoli e, fedele all’esempio di Chaitanya, accolse candidati qualificati provenienti sia da famiglie braminiche che da famiglie non braminiche. Poiché si sentivano colpiti da questa minaccia al controllo che era una prerogativa della loro autorità religiosa, 379
i capi dell’ortodossia indù, nell’agosto del 1911, organizzarono una conferenza con lo scopo di ristabilire la superiorità della successione ereditaria. Come capo della comunità vaishnava, Bhaktivinode avrebbe dovuto dare il responso, ma forti reumatismi lo stavano costringendo a letto. Fuori di sé per la propria incapacità di controbattere le false pretese della casta braminica, venne sopraffatto dalla frustrazione: “Non c’è nessuno nel mondo vaishnava in grado di far conoscere la logica delle scritture, e porre fine alle loro attività di bassa classe?”. Questo sfogo spinse Bhaktisiddhanta a dedicarsi a scrivere un saggio dal titolo “Brahmana e Vaishnava” (“Bramini e Vaishnava”) nel quale condannava il diritto di nascita dei bramini e forniva prove, contenute nelle scritture, relative al fatto che lo status braminico si basava sulle qualità personali e sul comportamento. Lo scritto apportava argomentazioni avvincenti sull’importanza del daiva varnashrama (struttura sociale di ordine divino), che incoraggia l’autorità sociale fondata sulle capacità e il carattere personali e delegittima le richieste arbitrarie delle caste. Bhaktisiddhanta lesse il saggio al padre, e al termine della lettura l’anziano devoto si alzò dal letto. “Saraswati”, disse in lacrime, “caro, caro Saraswati180: tu sei il sole acharya [l’incarnazione fulgente degli insegnamenti sacri] venuto ad illuminare il mondo vaishnava.” Due settimane dopo, l’11 settembre 1911, Bhaktisiddhanta presentò il suo saggio davanti a numerose centinaia di leader religiosi, venuti da tutta l’India per partecipare alla conferenza. Dopo due giorni di discorsi e dibattiti, le sue osservazioni conclusive furono seguite da un silenzio sbalordito. La presentazione fu magistrale, ma anche imbarazzante per gli organizzatori 181. Ad ogni affermazione di nuove posizioni su argomenti scottanti, quali l’ecumenismo religioso e il diritto dei non-bramini di accedere a templi riservati, cresceva la reputazione della Gaudiya Math in merito alla capacità di affrontare situazioni controverse. Come conseguenza, fu principalmente nei centri urbani progressisti come Calcutta che la missione incontrò un’accoglienza favorevole e raccolse la maggior quantità di 380
donazioni per le pubblicazioni e la costruzione dei templi. Fu nelle città che l’organizzazione di Bhaktisiddhanta fondò la sua leadership: venti uomini celibi, che Bhaktisiddhanta inviò in tutta l’India e in Europa, incaricati di trovare dei modi per portare gli insegnamenti di Chaitanya alle masse. Sembra ragionevole credere che l’imperativo di portare a compimento la profezia “in ogni città e in ogni villaggio” sia stata la molla che spinse Bhaktisiddhanta a decidere di ricevere un’iniziazione formale, e in seguito entrare nell’ordine di rinuncia (sannyasa), dal momento che il prestigio che ne derivava sarebbe servito a promuovere la sua autorità, per poter presentare una matura comprensione dell’ideologia di Chaitanya. Bhaktisiddhanta era l’unico discepolo iniziato del defunto asceta Gaura Kishore Das Babaji, e di conseguenza non esisteva nessuno fisicamente presente che fosse qualificato per conferirgli lo status di sannyasa. Il 29 marzo del 1918 compì il gesto controverso di autoassegnarsi lo stato di sannyasa di fronte ad una foto del suo defunto maestro. Da quel momento si fece chiamare Sri Bhaktisiddhanta Saraswati Goswami Maharaja. Verso i cinquant’anni, pubblicò le edizioni in bengali di classici quali Chaitanya Charitamrita, Bhagavata Purana e Chaitanya Bhagavata. A quel tempo aveva anche acquistato delle macchine per la stampa, aveva fondato un quotidiano, una rivista settimanale in bengali, una rivista mensile in inglese e sanscrito, e un certo numero di riviste minori in lingue locali. In aggiunta a questa folta agenda di scritti e pubblicazioni, spesso teneva lezioni e organizzava numerose esposizioni, sul modello delle fiere internazionali e dei famosi expo scientifici. Non c’è da stupirsi, quindi, se Abhay Charan trovò il suo futuro maestro spirituale così magnetico quando si incontrarono per la prima volta nel 1922.
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Glossario Qui sotto sono riportati alcuni dei termini più importanti utilizzati in questo libro, con le definizioni atte a fornire un approfondimento al loro significato secondo la tradizione Gaudiya Vaishnava (Coscienza di Krishna). •••
ACHARYA Letteralmente, “colui che insegna con l’esempio”. Qualcosa di più di un professore, un acharya incarna gli insegnamenti delle scritture nelle proprie abitudini personali, nelle relazioni e nella vita sociale. Uomini e donne sono ugualmente idonei a diventare acharya, poiché i criteri elencati nelle Upanishad non specificano il sesso d’appartenenza, ma l’autenticità dell’istruzione e un’impeccabile carattere. Gli acharya qualificati sono così devoti a Krishna, che egli dichiara nello Srimad Bhagavatam: “In qualità di mio rappresentante ideale, l’acharya deve essere accettato proprio come me stesso” (11.17.27). Questo spiega, in parte, le formalità (tra cui gli inchini, l’offerta di ghirlande di fiori, o altre forme di rispetto) di cui i visitatori sono testimoni quando i discepoli nei templi ISKCON ricevono i loro guru. ATMA (spesso atman) Nella maggior parte dei casi, atma si riferisce all’anima, jiva, l’entità individuale eterna, fonte della coscienza che guida il corpo fisico e la mente. Siccome le parole in sanscrito hanno più significati, a seconda del contesto, atma può anche riferirsi al corpo, ai sensi, alla mente, all’Essere Supremo, all’umanità, o all’essenza di una cosa. Lo Srimad Bhagavatam spiega che il servizio disinteressato e amorevole a Krishna appaga tutti gli atma (1.2.6-7). 382
AVATAR La definizione comune è “incarnazione”, che sarebbe come descrivere una poesia come una “raccolta di parole”. Nella maggior parte dei casi, per “incarnazione” si intende dire che, poiché l’Essere Supremo è energia priva di forma, quando desidera venire nel mondo si incarna, assumendo la forma fisica. Questa comprensione antropomorfa degli avatar è fuorviante. Gli avatar appartenenti alla categoria dell’Essere Supremo non assumono una forma fisica. Piuttosto, appaiono nella loro forma originale, eterna e priva di forma materiale. Nella Bhagavad Gita, Krishna mette in guardia dal confondere la sua forma eterna con quelle temporanee e materiali (9.11). La parola avatar si traduce in maniera più accurata con “discesa nel mondo”. C’è una particolare categoria di avatar che non costituisce una discesa dell’Essere Supremo. Sono gli avatar shaktyavesha, anime jiva potenziate allo scopo di favorire i piani divini nel mondo. Secondo il parere dei Gaudiya Vaishnava, Gesù Cristo deve essere onorato come un avatar di questo tipo. I seguaci di Prabhupada onorano anche Prabhupada come appartenente a questa categoria. Per una descrizione più dettagliata sugli avatar, si possono consultare gli insegnamenti di Chaitanya Mahaprabhu a Sanatan Goswami nella Chaitanya Charitamrita, Madhya Lila, volume 8. BHAKTI Dalla radice bhaj, che significa “condividere”, la Bhakti è il più alto obiettivo di tutte le pratiche yoga, come spiegato nella Bhagavad Gita: “E tra tutti gli yogi, colui che con grande fede dimora sempre in Me, adora Me, pensa a Me e Mi offre il suo servizio con amore e devozione, è il più intimamente unito a Me nello yoga ed è il più elevato di tutti”. (6.47). Nel corso della storia, la cultura della Bhakti ha avuto una roccaforte in India, ma conobbe un declino durante i secoli in cui il buddismo divenne molto praticato, e anche più tardi quando la dottrina mayavada di Shankara attirò un ampio seguito. Alcuni studiosi sostengono che la cultura della Bhakti sia sorta come conseguenza della gerarchia dei bramini che dominò il periodo medievale. Pare che l’India soffrisse di un 383
malessere dovuto alla stratificazione sociale, e una religione del popolo – la Bhakti di Krishna – fosse necessaria per bilanciare le classi sociali. Questa lettura storica della Bhakti, però, non considera il suo ruolo di autentica natura di tutte le anime, al di là della dimensione storica. BRAHMAN Il Brahman è l’energia di cui è composto tutto il creato, l’elemento che sta dietro a tutto ciò che esiste. Nelle scuole moniste, Brahman è identico all’atman. In sostanza, queste scuole sostengono, che noi stessi, singoli esseri viventi individuali, siamo l’energia Brahman di tutto il creato, o semplicemente, noi siamo Dio. Questa percezione del sé come nirguna (privo di forma e personalità) ha dominato per secoli l’idea della religione indiana nel resto del mondo. Bhatkisiddhanta, suo padre Bhaktivinode, e il suo discepolo Bhaktivedanta Swami Prabhupada cercarono di rimediare al malinteso sottolineando la dimensione saguna del Brahman (con forma e personalità). Lo hanno fatto esplorando degli elementi della saggezza vedica che erano stati accantonati dagli insegnanti del monismo. BRAMINO (detto anche Brahmana) Secondo la Bhagavad Gita, un Bramino è qualcuno che impersona il carattere ideale e che comprende la vera natura del Brahman (l’Essere Supremo). “Tranquillità, controllo di sé, austerità, purezza, tolleranza, onestà, conoscenza, saggezza e religiosità sono le qualità che caratterizzano le attività del bramino.” (18.42). Non c’è nessuna prova nelle scritture sanscrite a sostegno del concetto di casta secondo cui solo qualcuno che è nato in una famiglia di bramini è qualificato per essere un Bramino. DARSHAN Generalmente, l’uso di “darshan” è riferito a “una visione della verità”, quando si vede il guru o le Divinità del tempio, come in “Oggi ho avuto un darshan del mio guru”, o “Stamattina ho avuto un darshan delle Divinità”. L’altro frequente utilizzo è sad-darshan, che si riferisce alle sei principali scuole di filosofia 384
indiana. Queste sono nyaya, la filosofia della logica e del ragionamento; vaisesika, teoria atomistica; sankhya, dualismo non teistico; yoga, auto-disciplina per l’autorealizzazione; karma-mimansa, elevazione attraverso l’adempimento del dovere; e vedanta, la conclusione della rivelazione vedica. DHARMA La radice dhr, significa “tenere o mantenere”. Il dizionario “Sanscrito-Inglese Monier-Williams” definisce dharma come ciò che è stato stabilito o è stabile: un decreto, uno statuto, una legge, una pratica, un’abitudine, un dovere, un diritto, immutabili; ed è anche la giustizia, la virtù, la moralità, l’etica, la religione, i meriti religiosi, le opere pie, la natura, il carattere, la qualità o la proprietà. Il significato comune è “azione giusta”, nel senso di comportamento che preserva il benessere della società. DIKSHA La parola è derivata dal verbo diks, che significa “consacrare”. Diksha si riferisce a un impegno formale tra il guru e i suoi discepoli. La relazione dura tutta la vita (o anche di più, nel caso in cui il discepolo non raggiunga la piena liberazione dalle altre nascite). In alcuni casi, come quando un guru non rispetta gli adeguati standard comportamentali, un discepolo ha il permesso di accettare un nuovo guru e, da questi, essere re-iniziato. L’iniziazione viene solitamente formalizzata dal guru, il quale assegna un mantra al discepolo insieme ad un nome sanscrito. Per i membri ISKCON, la prima iniziazione è chiamata iniziazione harinam e include la cerimonia del fuoco. Cereali, frutta e ghee sono posizionati su un fuoco, che rappresenta la bocca di Vishnu, che riceve le offerte e in cambio benedice l’iniziazione. HINDU La parola Hindu non si trova in nessun testo della letteratura sanscrita. Verso l’inizio del quindicesimo secolo, la parola apparve come nome degli indigeni d’India: i non-musulmani che vivevano sulle rive del fiume Indo. “Hindu” non ebbe alcuna rilevanza religiosa fino al tardo diciannovesimo secolo, quando 385
gli addetti inglesi al censimento richiesero alle popolazioni locali di dichiarare la loro religione. Prabhupada sottolineava il fatto che lui non era venuto dall’India per convertire le persone “all’Induismo”, ma per stabilire l’identità eterna di tutti gli esseri viventi come particelle infinitesimali di Krishna, Dio, la Persona Suprema. ISKCON International Society for Krishna Consciousness, (Associazione Internazionale per la coscienza di Krishna), costituitasi a New York nel 1966. Anche se le centinaia di templi, fattorie e ristoranti dell’ISKCON presenti nel mondo sono stati costituiti individualmente, tutti seguono gli standard religiosi e amministrativi originariamente redatti da Prabhupada e implementati dalla sua Commissione Governativa (GBC). JAGANNATH Nel periodo vedico della storia dell’India, il re devoto Indradyumna desiderò adorare le Divinità di Krishna e i suoi fratelli. Il re chiamò il famoso scultore Vishwakarma per scolpire le Divinità in massicci blocchi di legno. Vishwakarma accettò, a condizione che nessuno lo interrompesse finché non avesse finito. Incominciò il suo lavoro a porte chiuse. Due settimane più tardi, non essendo più in grado di controllare la propria impazienza, il re Indradyumna aprì la porta della stanza dove Vishwakarma lavorava. Il mastro scultore fuggì dalla stanza disgustato, abbandonando le Divinità incomplete: ancora abbozzate, con grossi occhi tondi, senza mani né piedi. Sbigottito, il re rivolse le proprie preghiere all’architetto cosmico, Brahma, per avere consiglio. Nel suo cuore, il re udì Brahma rispondere: il mondo accetterà le immagini così come sono, nella loro forma incompleta. JNANA E KARMA Per migliaia di anni, prima di Chaitanya, l’India ha riconosciuto tre principali percorsi che promettevano a coloro che li seguivano la conoscenza della realtà ultima: karma-kanda, il sentiero dell’azione, come espresso nei Veda originali; jnana386
kanda, il sentiero della conoscenza, come descritto nelle Upanishad supplementari; e upasana-kanda, o Bhakti, il sentiero della devozione, come promosso negli Itihasa (i poemi epici del Ramayana e del Mahabharata) e nelle Purana (le storie). Chaitanya ha corretto ed espanso la precedente visione della devozione, differenziandola da jnana e karma, e includendo entrambi nella nuova definizione di Bhakti. Tutta la conoscenza e l’azione trovano il loro compimento quando vengono intraprese con spirito di devozione, come sottolineato nella Bhagavad Gita: “Qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi cosa tu mangi, qualsiasi cosa tu offri o doni, come pure le austerità che compi – offri tutto a Me, o figlio di Kunti. In questo modo sarai libero dai legami dell’azione e dai suoi risultati, propizi e non propizi” (9.27-28). SADHANA Per risvegliare l’amore per Dio, Chaitanya indicava cinque attività come le più importanti del sadhana, o pratiche devozionali giornaliere: 1) stare in compagnia dei devoti di Krishna, 2) recitare i nomi di Krishna, 3) ascoltare racconti sui passatempi di Krishna (come descritto in testi, quali lo Srimad Bhagavatam), 4) risiedere a Vrindavan o in qualche altro posto sacro, e 5) adorare le Divinità di Krishna quotidianamente. È significativo che la comunità di Chaitanya non indichi alcuna restrizione su chi possa praticare queste funzioni e assegni ruoli uguali a uomini e donne: “Tutti gli esseri viventi sono per natura eterni e amorevoli servitori di Krishna, e intonando il suo nome, l’amore per Krishna tornerà a splendere”. (Chaitanya Charitamrita, Madhya, 22.107) VAISHNAVISMO La maggior parte dei testi accademici sul Vaishnavismo descrive quattro scuole principali (sampradaya). Queste sono: la Sri sampradaya (fondatore: Ramanuja, 1017-1137), la Madhva sampradaya (fondatore: Madhva, 1197-1276), la Kumara sampradaya (fondatore: Nimbarka, 1125-1162) e la Rudra sampradaya (fondatore: Vishnu Swami, 1200-1250; chiamata anche in seguito Vallabha sampradaya, da un più recente santo, 387
Vallabha, 1479-1533). La scuola Chaitanya, che ha preso il nome del suo fondatore (1486-1533), è spesso associata con la Madhva sampradaya, ma è diventata talmente importante da essere spesso classificata separatamente. La pratica Vaishnava è chiamata Bhakti o servizio devozionale a Krishna. LETTERATURA VEDICA Gli accademici suddividono i testi Sanscriti in due principali categorie. La prima, srhuti, si riferisce a “ciò che viene udito”, o direttamente rivelato all’umanità dall’Essere Supremo. Queste scritture sono la fonte primaria dell’autorità del dharma, o retta vita. I testi srhuti cominciano con i Veda. Il saggio Vyasadev è riconosciuto come colui che ha suddiviso i Veda in quattro parti: Rig-, Sama-, Yajur-, e Atharva Veda. Soltanto una piccola parte dei loro contenuti si riferisce al mondo contemporaneo, a parte un principio fondamentale secondo cui tutte le azioni dovrebbero essere compiute come offerta o sacrificio (yajna) al Divino. Questi quattro testi contengono inni che andrebbero recitati durante i riti del fuoco, formule per propiziare i vari dei, canti per specifiche necessità, mantra, canzoni e formule magiche. Si ritiene che Vyasadev sia anche autore del racconto epico Mahabharata (100.000 versi), chiamato “il quinto Veda”, in quanto offre una rappresentazione storica del codice sociale e della filosofia vedica. Nella sezione intitolata “Libro di Bhishma” troviamo il dialogo conosciuto come Bhagavad Gita, che condensa la saggezza vedica in 700 versi. Altri testi considerati srhuti sono: i Brahmana, codici per “i conoscitori di Brahman”, che discutono i dettagli e i significati dei rituali di sacrificio; le Aranyaka, o “testi della natura selvaggia”, composti per eremiti e meditanti; e 108 Upanishad, testi di “avvicinamento al Divino”, che riassumono la filosofia vedica in brevi versi. Le scuole di filosofia indiana hanno assunto diverse posizioni rispetto ai Veda. Quelle che citano i Veda come scritture di riferimento, come i vaishnava (devoti di Vishnu/Krishna, la comunità religiosa più grande dell’India), gli shaiviti (devoti di Shiva), e gli shakta (devoti di Durga o della Dea) sono classificati come ortodossi. Altre tradizioni, in particolare buddismo e jainismo, non riconoscono i Veda come 388
autorità e sono considerate scuole eterodosse o non-ortodosse. Smriti è la seconda categoria di letteratura vedica. Gli studiosi generalmente traducono smriti con “tradizione.” In un certo senso, i testi smriti consistono negli scritti che i saggi hanno tramandato ai loro discepoli. Questi includono antichi scritti, come per esempio la Manu Samhita (“Le leggi di Manu”), il racconto epico Ramayana, e i più recenti commentari di rinomati insegnanti di filosofia indiana, quali Ramanuja, Madhvacharya e Shankara. La tradizione attribuisce a Vyasadev anche la compilazione dei Purana, racconti storici dell’universo dalla creazione alla distruzione, che i Vaishnava Gaudiya considerano di pari importanza rispetto ai testi shruti. I Purana includono genealogie di sovrani, eroi, saggi e semidei e descrizioni di astronomia, filosofia e geografia. Comunque, la più recente versione scritta risale ai tempi dell’impero Gupta (terzo – quinto secolo dopo Cristo) e alcuni studiosi collocano i Purana in questo periodo più tardo, identificandole come testi smriti.
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