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APPUNTI SULL'UTILITA' DI FISSARE UNA LINEA "COB" IN ALCUNE RAZZE ITALIANE
DI AVV. MARIO RENZULLI
L’impiego dei cavalli in campagna al di fuori dell’equitazione agonistica risente spesso del fatto che si confida più nella sperimentata capacità di adattamento dei singoli soggetti al lavoro che ad essi viene richiesto che nel risultato di una selezione mirata.
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Oggi poi il lavoro in campagna è fortemente condizionato dall’eccesso di urbanizzazione.
Gli odierni territori rurali sono lontani anni luce dal latifondo tosco-laziale ( quale quello legato al nome dei principi Corsini alla Marsiliana nel Grossetano o dei baroni Roselli in Ciociaria, solo per citare le culle delle razze autoctone maremmana e d’Esperia) o anche solo dalle proprietà borghesi della pianura padana che, ancora ai primi del novecento, registravano nei <<duemila ettari di famiglia>> una soglia non infrequente (1) . Gli attuali piccoli appezzamenti sono spesso recintati e privati della primitiva rete di cavedagne e strade vicinali, né si può confidare su una diffusa e stabile praticabilità delle aree boschive o di quelle golenali, per l’assenza di effettiva manutenzione dei sentieri e degli argini.
Uscendo a cavallo dai maneggi, la necessità di aggirare le occlusioni più svariate, sommata alla frequenza degli incontri con moto da cross o con trattrici agricole che possono rendere consigliabile lo scendere dalla sella, o anche solo, nei lunghi percorsi, l’esigenza di far rifiatare il cavallo, determinano una frequenza di pied à terre che, tanto meglio si affronta, quanto meno risulta impegnativa. Alla luce di ciò l’attuale tendenza alla selezione nella direzione dell’aumento dell’altezza al garrese, che si può spiegare nella logica del salto, non rappresenta l’ optimum.
Eppure, molto per moda (nelle caratteristiche delle varie razze si tende spesso a enfatizzare l’accrescimento dei soggetti attuali rispetto al passato) e un po’ perché l’altezza media degli cavalieri e amazzoni è sicuramente aumentata, tutti ammirano e ricercano il cavallo di staura elevata tanto che persino nell’allevamento austriaco di Lipizzani di Piber (tempio della tradizione) mi si dice che si sarebbe propensi a imboccare siffatta direzione.
Poter invece disporre, per l’equitazione ludica, di cavalcature più agevoli e fruibili già nell’atto del montare in sella, non rappresenta affatto uno scadimento della evoluzione morfologica e quindi è tuttaltro che sbagliata la selezione di soggetti con tale caratteristica.
Già esistono in Italia razze esteriormente assai riconoscibili, come l’avelignese e il bardigiano, con altezze al garrese inferiori ai cm.149, a cui si aggiungono, come veri e propri ponies, il già citato Esperia e il Monterufolino, ma l’offerta potrebbe essere ulteriormente ampliata e affinata partendo dalla comparazione con la Gran Bretagna.
La manualistica anche solo divulgativa da conto, a questo riguardo, di una varietà “oltremanica” di tipi, che non ha paragoni come, per limitarsi a quelli la cui altezza li rende interessanti nell’ottica del presente scritto, il pony delle Highland, il Dale, il Fell, il New Forest, il Connemara fino al cob del Galles.
Cob, dunque, che, come risaputo, non è una razza a sé stante ma, piuttosto, un tipo di cavalcatura che associa alla dimensioni contenute una corporatura robusta adatta a portare anche il peso di un adulto, cioè un modello trasversale individuante una fascia comprendente i pony “inquartati” di maggior altezza al garrese (doppi ponies) e taluni tipi di cavalli inferiori ai 153 cm. (2).
Stando al “detto”, il vero cob dovrebbe avere <<la testa di una signora e il posteriore di un cuoco>> e ciò spiega perché in questo scritto il termine viene convenzionalmente utilizzato solo con riferimento al dato biometrico dell’altezza e non alla distribuzione delle masse muscolari, atteso che nella fascia sopra indicata possono ricadere anche cavalli, come taluni arabi, che non sono certo dei cobs.
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Ora, senza la pretesa di estendere al fuori del Regno Unito tipi di cavalcatura ( che, lì, sono o erano, espressione di una varietà di impiego coerente con la storia ippica di quel Paese che rappresenta un unicum) (3) si può, intanto, far riferimento, ai fini del ragionamento che qui si sviluppa, al Connemara che notoriamente è un ottimo saltatore pur non disponendo delle “leve” di cavalli di più alta statura. Ciò si vuole che sia dovuto alle condizioni ambientali della sua terra di origine e, in seconda battuta, all’apporto migliorativo della selezione allevatoriale anche attraverso l’incrocio con il psi.
Altro riferimento, di diversa collocazione geografica e di diverso impiego, è il pony della Camargue (da 135 a 150 cm. al garrese) che, introdotto nel Parco del Delta del Po, è diventato Cavallo del Delta.
Seguendo questa narrazione, senza scadere nel ragionamento semplicistico e mantenendosi solo al livello di impostazione di un’ipotesi lavorativa, vi sono in Italia una o più razze di pony ( e loro miglioratori) scaturite da analoghe congerie.
Così, quanto al cavallino di Monterufoli, insediato, in val di Cecina nell’aspra riserva naturale di Monterufoli Caselli, il Tolfetano fu usato come “miglioratore” dai Conti della Gherardesca quando vi svilupparono la razza autoctona.
L’obiezione, invero seria, che oggi l’Associazione del Cavallino di Monterufoli muove all’idea di un ulteriore meticciamento, è che le razze vanno conservate nella loro tipicità operando, al più, una diversificazione di linee morfologiche fra i soggetti che presentano caratteristiche maggiormente in sintonia con un impiego piuttosto che con un altro.
Inoltre viene fatto osservare che lo stesso passaggio dall’allevamento brado all’allevamento semibrado e stabulizzato ha determinato un naturale accrescimento dell’altezza media dei soggetti in ragione del migliore apporto alimentare che ha fatto sì che dai 132 cm. dello standard iniziale si sia passati ai 137 cm. e, addirittura, ai 140 cm.
La giustezza di quella obiezione può dirsi confermata dall’Avelignese, oggi spesso fuori taglia in eccesso, così risultando avvalorato il pericolo dell’atipicizzazione.
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Concordando, di massima, sull’esigenza di mantenere nella loro tipicità razze e popolazioni equine senza alterarne le caratteristiche essenziali, si può spostare l’indagine sul percorso opposto e quindi, partendo da una razza di cavalli, operare all’interno della stessa la fissazione di un modello parallelo che, per comodità, potremo continuare a chiamare con il termine cob salvo si voglia in prospettiva futura denominarlo fin d’ora “di piccola taglia”.
Questo si può realizzare impiegando al fine indicato gli stalloni e le fattrici di altezza prossima al minimo dello standard di razza purché – naturalmente - il più modesto accrescimento non sia indicatore di altre problematiche.
Così facendo si amplierebbe la commercializzazione dei soggetti verso utilizzatori (ragazzi o anziani cavalieri) che hanno necessità di essere facilitati nell’atto del montare in sella e comunque verso quanti ambiscono alla massima godibilità della propria cavalcatura.
D’altronde, quanto a diversificazioni di modelli all’interno di razze importantissime, basterebbe ricordare – sebbene non nella misura qui suggerita- il PSI (4) e l’Hunter Irlandese (5).
Trasferendo, con le debite differenze, questo modello per esempio al Lipizzano, potrebbe affiancarsi alle linee che fanno riferimento alla misura ritenuta ottimale dei 158 cm al garrese per i maschi e 156 cm. per le femmine, una linea che utilizzi stabilmente i soggetti di taglia intorno ai 150 cm.
Il limite di questa ipotesi sarebbe costituito da una sorta di marginalità a cui, in vista di una siffatta selezione mirata (da iniziare eventualmente in via sperimentale) potrebbe sopperire solo un grande equile come l’Allevamento Statale del Cavallo Lipizzano, che ha le competenze necessarie e dispone di tutti i dati del soggetti che impiega atteso che, per definire l’attitudine di un stallone e di una fattrice a trasferire in via ereditaria un’altezza inferiore ad una data media, occorre conoscere anche l’altezza delle generazioni precedenti.
Evidenzio che, trattandosi di una selezione in purezza intra moenia, non risulterebbe violata la disposizione regolamentare che impone all’ASCAL di introdurre solamente soggetti la cui genealogia risalga ai riproduttori appartenenti alla linee classiche tenute a Lipica prima del 1905.
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Se poi si tornasse all’ incrocio di razze fra soggetti la cui taglia possa comunque consentire la “monta” da parte dello stallone e che oggi non può prescindere dal supporto della genetica (6), uno studio dell’Istituto di Zootecnia presso la Facoltà di Veterinaria di Milano riporta un dato indicante la <<massima distanza genetica>> fra il Lipizzano e il pony Esperia (7) pur riconoscendosi, nello stesso studio, che tale risultanza è da verificare meglio. Allora, per far salva l’italianità del progetto, si potrebbe optare per il Purosangue Orientale che ha un’altezza al garrese compresa fra i 145 e i 155 cm. (scegliendo fra i soggetti più contenuti, con l’occhio rivolto al colore del mantello e... scartando i soggetti a profilo camuso).
Questa razza autoctona (8) ha affinità con la linea di sangue non solo di uno dei capostipiti dei Lipizzani (Siglavy, nato nel 1810) ma anche con quella delle capostipiti di altrettante famiglie di fattrici riconosciute dal Libro Genealogico (Djebrin, Mercurio, Theodorasta) (9) .
A tal fine si potrebbe far ricorso al seme di cui dispone l’Istituto di Incremento Ippico per la Sicilia che, nella Tenuta Ambelia aveva in attività, per la campagna di fecondazione 2022, cinque stalloni di PSO. Sarebbero poi gli esperti a valutare se questa immissione al livello della ipotizzata linea “di piccola taglia”, non richiedibile all’ASCAL in ragione degli obblighi a cui soggiace, possa, e con quali successivi passaggi allevatoriali, rivelarsi utile per la variabilità genetica dei Lipizzani presenti in Italia.
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Se invece si prescindesse dal requisito dell’italianità verrebbe fatto di pensare, per taglia, indole e pigmentazione prevalente, al Connemara usando i maschi di maggior stazza che in Irlanda sono già stati impiegati per “abbassare” l’Hunter. Questo pony però ha un retroterra del tutto differente dal Lipizzano essendo un prodotto squisitamente britannico e la cui evoluzione si è svolta con percorsi diversi da quelli di un cavallo mittleuropeo come il secondo (10).
Tale opzione (la cui fattibilità andrebbe verificata in concreto sulla base dei riproduttori in attività presenti in Italia) potrebbe prospettarsi, dunque, come scelta del singolo proprietario/allevatore che dovrebbe consapevolmente assumersi il fardello di una siffatta cesura culturale. Non va infatti dimenticato, quanto al Lipizzano, che si è davanti ad un vero e proprio pezzo di storia del nostro continente il cui allevamento in purezza è stato recentemente riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità.
Note:
1) lo ricorda il prof. Barberis nella dedica del suo libro sulle campagne italiane;
2) sul limite massimo di altezza per le definizione di cob non vi unanimità di vedute;
3) per una elencazione delle varietà veggasi Volpini- Gianoli, Il Cavallo, Milano 1945, pag. 447 e seg.;
4) lo sprinter, più alto e allungato per le corse sui 10001400 metri; l’intermedo, per i 1500- 2000 metri e lo stayer, più raccolto, per la distanza dei 2100-3000 metri;
5) alle taglie pesante e media si affianca l’Hunter di taglia piccola ottenuto dall’incrocio con il pony Connemara;
6) fra gli altri: A.Giontella e M. Silvestrelli, Valutazioni genetiche ed indagini molecolari su cavalli sportivi in Italia;
7) cfr. Caratterizzazione genetica della razza pony di Esperia in E. Battista, Il pony di Esperia, 2009, pag.123;
8) I ventiquattro soggetti del cavallo Napoletano attualmente iscritti al LG non possono costituire (altezza al garrese a parte) una risorsa ;
9) cfr. J. Jurkovic, Quasi 400 anni di una ricca tradizione ecc. in Lipica, Kober, 1973;
10) Il Disciplinare del Libro Genealogico, nel paragrafo relativo al portamento, lo definisce <<barocco>>.