11 minute read

INTRODUZIONE, LA SELVA

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’ è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai, tant’ era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.”1

1 La Divina Commedia, primo canto, Dante Alighieri 1300.

Advertisement

È Così che Dante inizia il suo più grande capolavoro, storia di un lungo cammino cominciato nella Selva, una selva oscura. L’autore, tramite l’immagine della Selva, conduce un parallelismo: la “Sýlva”2 viene introdotta con un’accezione metafisica di bosco inospitale, difficile ed angosciante quasi quanto la morte. L’angoscia metafisica prodotta da questo luogo genera un cambiamento interiore nell’autore che, al solo pensiero, “rinova la paura”. Vediamo come Dante riesce ad associare un’angoscia intangibile ad un’immagine solida e concreta come quella della Selva. Questo termine evoca, in primis, un “luogo dove sono piantati alberi di grosso fusto”3, fornendo, quindi, una versione incompleta del termine. Ad oggi possiamo associare a questo termine molti altri significati, mantenendone però inalterata l’accezione fisica di assemblamento, folla, massa e quella metafisica di ansia, disordine, smarrimento.

“sélva s. f. [lat. sylva]. – 1. Associazione vegetale di alberi spontanei su un’estensione notevole di terreno, e il terreno da questa occupato: s. d’abeti, di betulle; una s. folta, grande, tenebrosa…È in genere sinon. (più letter.) di bosco, talora anche di foresta; nell’uso tosc., usato assol., indica il bosco di castagni. Prov., portare legne (o legna) alla s., portare una cosa dove ce n’è già grande abbondanza, dire cose ovvie e superflue (cfr. il prov. più com. portare vasi a Samo)….3. fig. a. Moltitudine di cose o persone molto fitta, e talora intricata e confusa: una s. di capelli; una s. di lance; “Da strana circondato e fiera selva D’aste e di spade e di volanti dardi” (Ariosto); “Perché ci stanno addosso Selve di baionette ...?” (Giusti); una s. di errori, di cifre, di appunti; “Ma passavam la s. tuttavia, La s., dico, di spiriti spessi” (Dante). b. letter. Raccolta di appunti e di annotazioni; libro miscellaneo di erudizione varia; raccolta di poesie di argomento e genere vario o composta in forma non organica e non definitiva.”4

Il vocabolo sopra citato, al giorno d’oggi ha assunto nuovi

2 “Sélva: dal latino Silva o Sýlva che cfr. col gr. Ýle, che sta per il più ant Sýle = SýlFe, ove in luogo della s sta lo spirito aspro ed è caduto il digamma |F|, che nel latino è rappresentato dalla v. [Nella Calabria è tuttora vigente la forma Sila, che disegna un vasto terreno boscoso].” Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, Francesco Bonomi. 3 Vocabolario della Lingua Italiana di MGGC, Felice Le Monnier, Firenze 1953. ⁴ Vocabolario della Lingua Italiana, Treccani

significati, non dimenticando peró le proprie origini ossia “un’associazione vegetale”, un bosco5. Se ci si sofferma sul significato numero 3, cioè “moltitudine di cose o persone molto fitta, e talora intricata e confusa”, si nota come in questa breve asserzione sia racchiuso tutto il progetto di ricerca, il quale verrà affrontato nelle prossime pagine, e come venga definito il significato di “Selva” in tutte le sue sfaccettature, ovvero una moltitudine di cose intricate e confuse. Dove si può trovare una Selva che non ne riprenda il significato “classico”? Considerare sempre e solo il termine Selva nella sua accezione naturalistica, ci ricondurrebbe sempre all’immagine concreta di ammassamento vegetale al quale si riferisce anche Dante. Se, d’altro canto, pensassimo per un attimo alla selva come ad una giungla6 urbana, ci accorgeremmo subito che questo termine, soprattutto al giorno d’oggi, non è più un mero elemento naturale ma ha assunto un’importantissima sfaccettatura antropologica. Fatta questa considerazione è molto semplice

⁵ ”Bòsco s. m. [dal germ. occid. busk o bosk; cfr. lat. mediev. buscus o boscus] (pl. -chi). – 1. a.Associazione vegetale di alberi selvatici di alto fusto (e inoltre di arbusti, suffrutici ed erbe, che più propr. costituiscono il «sottobosco») su una notevole estensione di terreno: b. di querce, d’abeti, ecc., a seconda della natura delle piante; b. puri, misti, secondo che siano costituiti di una sola o di più specie; b. naturali, artificiali, secondo che derivino da disseminazione naturale oppure da semine o piantamenti operati dall’uomo; boschi d’alto fusto (o fustaie), in cui gli alberi si lasciano crescere fino alla maturità, contrapposti ai b. cedui, che vengono tagliati periodicamente. Nel linguaggio com., anche il terreno su cui l’associazione arborea si estende: fare legna nel b.; internarsi, perdersi nel bosco. Frasi proverbiali: uccel di b., libero, per lo più fig., in espressioni come essere ancora uccel di b. (di persona che sfugga la giustizia o si renda comunque irreperibile) e nel prov. è meglio essere uccel di bosco che uccel di gabbia; uomo da b. e da riviera, adatto alla vita più diversa, a differenti mestieri; portare legna al b., fare una cosa inutile. b. fig. Complesso di cose folto e intricato: un b. di capelli; un b. d’alabarde, d’uomini e di cavalli (Carducci). 2. poet., non com. Legna, legname: Ardi del b., e qui le fiamme accresci (Chiabrera). Con sign. sim. anche nella locuz. scherz. sugo di b., legnate, bastonate: va curato con sugo di bosco. 3. L’insieme dei fascetti di erica o d’altri ramoscelli secchi che si dispongono sopra graticci perché i bachi vi si rechino a tessere il bozzolo: mandare i bachi al b., e, riferito ai bachi, andare al bosco.” Vocabolario della Lingua Italiana, Treccani ⁶ “Giungla (meno corretto iungla) s. f. [dall’ingl. jungle, che è dall’indost. jangal, sanscr. jangala «deserto», con mutamento di sign.]. – 1. Nome che indica, propriam., le varie forme di foreste della regione indomalese, caratterizzate dalla presenza di una vegetazione ricca e talora intricata, con alta percentuale di piante caducifoglie (in relazione con il regime monsonico delle piogge che determina l’alternarsi di una stagione piovosa con un periodo di aridità di almeno due mesi l’anno), e dove specie arboree dominanti sono il teck, il sandalo, i ficus, e inoltre acacie, mimose insieme con liane e piante epifite; la fauna è rappresentata da un gran numero di specie animali, alcune delle quali pericolose per l’uomo. Il termine, diffusosi originariamente con i romanzi di W. Scott nei primi decennî dell’Ottocento, e più largamente con i romanzi d’avventura della fine del sec. 19°, le cui vicende si svolgono in tali ambienti inospitali, è poi passato a indicare foreste tropicali ed equatoriali anche di altre parti del mondo. 2. fig. a. Luogo o ambiente in cui dominano la violenza e la lotta spietata per il predominio degli uni sugli altri; in partic., legge della g., concezione di vita in cui i rapporti sociali sono fondati non sulla legalità e la ragione ma sulla forza, sull’egoismo, sulla volontà di sopraffazione. ” Vocabolario della Lingua Italiana, Treccani

chiedersi: l’uomo può costruire una selva? Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal significato di città. Che cos’è la città?

“città (ant. cittade) s. f. [lat. civitas -atis «condizione di civis» e «insieme di cives»; al sign. di «aggregato di abitazioni» la parola giunse per metonimia, sostituendo urbs]. – 1. a. Centro abitato di notevole estensione, con edifici disposti più o meno regolarmente, in modo da formare vie di comoda transitabilità, selciate o lastricate o asfaltate, fornite di servizî pubblici e di quanto altro sia necessario per offrire condizioni favorevoli alla vita sociale (il concetto di città è legato a quello di una molteplicità di funzioni di varia origine e indole, economiche, sociali, culturali, religiose, amministrative, sanitarie, ecc., riunite in un solo luogo e per tale ragione non è condizionato dal numero degli abitanti) […] b. Con varie determinazioni, indica una parte dell’intero agglomerato urbano, contraddistinto da caratteristiche proprie sotto l’aspetto storico, costruttivo, urbanistico, o di destinazione e fruizione, ecc.”7

La città viene costruita per soddisfare le esigenze e le necessità della popolazione, avendo cura, almeno in teoria, di valorizzare gli spazi per l’interazione sociale, tutelare il patrimonio artisticoculturale, ottimizzare gli spazi verdi e rispettare l’identità geografica dell’area. Ma se tutto ciò venisse meno cosa potrebbe accadere? Si genererebbe il caos, il caos più totale. Purtroppo c’è la tendenza, diventata prassi comune, di agire in modo egoistico, forse per ignoranza; così facendo si è perso di vista il vero concetto di città. La società contemporanea ormai è avvolta da un’oscurità che ci ha resi ciechi: pensiamo di agire come comunità ma alla fine la spinta, lo slancio creativo sono sempre volti all’interesse dell’individuo e non della collettività.

“Oggi conosciamo a malapena i nostri vicini, evitiamo quasi ogni forma di coinvolgimento civico e lasciamo allegramente che a gestire la società sia una casta di tecnocrati politici. La gente trova tutta l’intimità di cui ha bisogno nella sala d’imbarco dell’aeroporto e nell’ascensore di un grande magazzino. A parole sono tutti a favore

⁷ Ibid.

dei valori comunitari, poi però preferiscono stare soli.”8

È proprio questo atteggiamento indifferente che ci ha portato ad agire in modo sconsiderato, la noncuranza del proprio vicino ha comportato all’autodistruzione della città. Questa disinteresse ci ha predisposto ad assumere atteggiamenti incuranti e caotici che col tempo hanno prodotto una nuova città, la città anarchica9 . La città anarchica, se da una parte promuove una certa libertà, dall’altra ne preannuncia la fine. Ogni individuo cercherà di imporre la propria libertà opprimendo quella dell'altro, instaurando quindi un circolo vizioso che porterà all’autodistruzione. Possiamo dunque assumere che una città anarchica non è una città. Si pensi, ad esempio, che interi quartieri cittadini sono frutto di questa tendenza a costruire intere porzioni senza un piano logico e teorico. Negli anni cinquanta, con il boom economico, l'espansione delle città di piccole e medie dimensioni, a “macchia d’olio”, divenne incontrollabile tanto che le amministrazioni si fecero testimoni inermi di questo accrescimento incontrollato. Da un’espansione aprogettuale all’abusivismo vero e proprio il passo fu breve, anzi brevissimo. L’abusivismo, nato originariamente con l’intento di sopperire alle mancanze della popolazione, è divenuto un fenomeno di profitto. In questa dimensione la Selva matrigna fatta di un ammasso vegetale di alberi diventa, nel nostro periodo storico, costruzione incessante e senza regole che l’uomo ha portato avanti fino al 1985 dopo l’entrata in vigore della legge 4710 . Quello che possiamo vedere ora altro non sono che i residui dei nostri sbagli.

⁸ J.G. Ballard, Super Cannes ⁹ “Anarchìa s. f. – 1. Mancanza di governo, come stato di fatto, sia per assenza di un valido potere a causa di rivoluzioni, sia per inefficienza dell’esercizio del potere da parte di coloro che ne sono investiti: instaurare, far cessare, reprimere l’a.; periodo di anarchia. Per estens., disordine, confusione, stato di un luogo dove ciascuno agisce a suo arbitrio e senza ordine o regola: che a. in quell’ufficio!; in quella casa c’è la più completa a.; tutto il trecento parve, e fu veramente, a. (Carducci). 2. In senso storico-politico, dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e, soprattutto, l’abolizione dello stato, da attuare eliminando o riducendo al minimo il potere centrale dell’autorità; sviluppatosi nella 2ª metà del sec. 19°, il movimento anarchico (che fu soprattutto guidato da M. Bakunin e da P. Kropotkin) sostiene un estremo decentramento dei poteri amministrativi della società, affinché i lavoratori possano organizzare da sé la proprietà e l’amministrazione dei mezzi di produzione.” Vocabolario della Lingua Italiana, Treccani 1⁰ Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive, nota come “legge sul condono edilizio”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana

“Due milioni di alloggi costruiti solo nel corso degli anni ‘70; articoli, convegni, numeri speciali, riconoscimenti, meglio dire, improvvise agnizioni, da parte della cultura urbanistica. È il boom dell’autocostruzione… Cos’è? una nuova moda, una tigre da cavalcare per parlamentari e ministri in cerca di facile demagogia, l’atto di costruzione degli urbanisti “pentiti”, l’ultima spiaggia del neoliberismo in tempi di stretta creditizia e appalti difficili? Eppure sarebbe bastato chiedere a qualsiasi Comune medio-piccolo (il taglio dimensionale dove vive la maggior parte degli italiani) e a sviluppo edilizio sotto controllo, per sapere che oltre la metà del realizzato è costruito da abitazioni uni-bifamiliari costruite per conto del proprietario. Autopromosse, per dirla in gergo.”11

Per il nostro progetto verrà presa come esempio Vittoria, città siciliana in cui abita Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, i cui progetti si confrontano ogni giorno con il prodotto di tale tendenza costruttiva e si insediano nell’esistente. Vittoria sorge su un altopiano abbracciato dai fiumi Ippari e Dirillo, è una città a Sud-Est dell’isola Siciliana e fa parte del libero consorzio comunale di Ragusa. Molto importante proprio per il suo sviluppo incontrollato dagli anni ‘50 in poi, questa città siciliana diventerà la chiave di lettura per comprendere a pieno il concetto di Selva, avulso dal contesto classico di bosco, giungla ed inserito invece in un quadro architettonico di edificazione sregolata, selvaggia, ansiogena e, talvolta, incosciente. Questa tipologia di edificazione aprogettuale caratterizza principalmente l’area vittoriese ma allo stesso tempo preannuncia lo svuotamento e l'abbandono del centro storico, rendendolo Selva spettrale. In questa ricerca quindi si osserveranno due realtà diverse di Selva che convivono nella stessa città: la Selva abusiva ma vissuta ed abitata verrà analizzata e vista da vicino, d’altro canto, quella spettrale, silenziosa, necessita invece di un progetto di recupero degli edifici stessi in una logica di riqualificazione degli spazi decaduti ed abbandonati.

11 Fabio Maria Ciuffini, “L’ultimo boom”, Urbanistica Informazioni, nn. 63-64, dossier, p. 104

SABATO 12 OTTOBRE 2019 - 16:58

VITTORIA

This article is from: