Lo yoga nelle scuole primarie ivana brigliadori

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YOGA 
nelle 
Scuole 
Primarie 
Attraverso 
la 
Danza (dagli asini agli Asana) Ivana Brigliadori


YOGA 
nelle 
Scuole 
Primarie 
Attraverso 
la 
Danza Ivana Brigliadori Copyright Ivana Brigliadori 2013 Published by Enrico Massetti at Smashwords All Rights Reserved


Libri, 
ebook, 
DVD, 
CD-mp3 
e 
Gioielli 
di 
tango http://tango-dancers.com http://tango-adornos.com ISBN: 978-1-304-86100-9 Enrico Massetti Publisher

“We don’t need no education we don’t need no thought control. No dark sarcasm in the classroom! Teachers leave them kids alone!” Pink Floyd, Another brick on the wall A mia figlia Caterina


Prefazione Nel luglio 2007, grazie al protocollo d’intesa tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la Confederazione Nazionale Yoga, l’antica arte meditativa e ascetica basata sulla combinazione sequenziale di posizioni (ASANA) e di riflessione spirituale legata all’ascolto del proprio respiro e ad una maggiore coscienza del proprio esistere nel “qui ed ora” come corpo e anima, entra ufficialmente nelle scuole, determinando lo sviluppo di nuovi progetti pedagogici ed educativi in grado di aiutare bambini, ragazzi ma anche adulti a ritrovare se stessi attraverso lo yoga. Una necessità tanto più impellente quanto più virtuale sta divenendo lo spazio in cui agiscono e vivono i nostri ragazzi (non solo loro ahimè...), una società protesa verso l’immagine che scorre, la sedimentazione incontrollata degli istanti che non ci accorgiamo di vivere, una società che presta poca attenzione ai bambini in quanto bambini ma come destinatari di beni di consumo il cui advertising bombarda le loro madri. La sempre più diffusa attività informatica e l’utilizzo di modernissime strumentazioni tecnologiche necessitano di nuove chiavi interpretative per una corretta prassi nel momento di apprendimento. L’autrice enuclea in profondità il suo progetto di inserire lo yoga nelle scuole con esempi di esercizi e pratiche che riuniscono musica, movimento, parola, insegnamento, alla scoperta di un linguaggio alternativo che emerge anche dalle numerose citazioni letterarie che hanno per oggetto il bambino, il suo sviluppo, il rapporto con insegnanti e genitori, di cui l’autrice intesse il testo più propriamente discorsivo. In ultimo, la parte più complessa e probabilmente più delicata da mettere in pratica per l’insegnante, il momento dell’improvvisazione, della creatività infantile. Il saggio è quindi “multifunzionale” e ricco di spunti anche per riflessioni intorno alle possibili declinazioni pedagogiche dello yoga. L’autrice mette in luce i diversi nodi del binomio yoga-scuola analizzando casi concreti e progetti da realizzare in strutture educative, con alcuni semplici esercizi individuali e collettivi in grado di catturare l’attenzione dei ragazzi non verso oggetti esterni ma soprattutto verso la loro interiorità, vissuta in termini di espressione e libertà: lo yoga diviene “strumento”, “materia”, “esperienza” ludica e autentica. I parallelismi tra le sequenze di ASANA e le figure di una coreografia divengono, a questo punto, necessari: una danza comporta il movimento, la coordinazione di tutto il gruppo per eseguire delle composizioni e delle immagini con il corpo e talvolta le parole. In questo senso, si esplica anche la funzione degli ASANA come strumenti direttamente collegati alla fisiologia indiana: attraverso l’assunzione di diverse posizioni del corpo (pensiamo ad esempio al Saluto al sole, il SUrYA NAMASKArA) – su sottofondo musicale e con modalità di volta in volta consigliate dall’autrice – il bambino diviene in grado di purificare i canali energetici (NADI) e di incanalare l’energia verso specifici punti del corpo ed ottenere così un notevole beneficio psicofisico. Gli ASANA sono inoltre arricchiti con MUDrA (gesti simbolici delle mani), PrANAYAMA (tecniche respiratorie) e


MANTrA (suoni),

allo scopo di modificarne o potenziarne gli effetti.

Un saggio utile ed esauriente per coloro che intendono avvicinare i propri bambini o allievi allo yoga e che vogliono scoprire le mille possibilitĂ di una proposta culturale fortemente legata al corpo e alla mente del bambino. Valentina Corsino


L’educazione 
e 
il 
bambino 
oggi Oggi i meriti o le colpe nel mondo dell’educazione vengono imputati alla tecnica e il bambino è al centro della discussione in ambito educativo tra sostenitori e detrattori dei nuovi strumenti a base digitale, è al centro di una descrizione fenomenologica delle potenzialità offerte dai nuovi mezzi, operata secondo chiavi di lettura che sembrano imputare tutti i pregi e tutti i limiti alle macchine stesse, come se esse si muovessero nel vuoto, come se non avessero padri e figli, produttori e utilizzatori. A ben vedere, questo deresponsabilizzazione.

stesso

atteggiamento

diventa

teoria

e

pratica

di

Si prevedono catastrofi, per prevenire le quali non ci si sforza comunque di individuare terapie. Per esse, in sintesi, i computer uccidono i libri, meccanizzano la creatività, banalizzano l’intelligenza; ma si potrebbe rispondere che il disamore per la lettura e il fallimento della scuola nella promozione presso tutti gli allievi di strumenti adeguati di criticità culturale e di originalità espressiva sono fenomeni che hanno preceduto di gran lunga il computer. Le colpe sono state addossate di volta in volta allo sport, ai fumetti, alla televisione, alla troppa bambagia per i bambini del benessere, ma sembra anche che chi usa il computer legga sempre più libri e chi non l’ha o non l’usa, legga meno. Sono finiti i tempi del libro da prendere in prestito in biblioteca e aspettare con ansia che venga restituito al più presto possibile il libro del cuore, per poterlo avere finalmente per un mese nelle proprie mani e magari fargli la copertina con la carta da giornale. Si profetizzano anche paradisi formativi nei quali le nuove macchine rendano possibile al singolo individuo accedere facilmente a modalità di informazione e comunicazione di potenza formidabile, ma si può anche controbattere che non basta poter navigare, occorre anche averne motivazione e competenza, non basta poter comunicare, occorre anche aver qualcosa da dire. Inoltre, quanto più diventa vero che il medium è il messaggio, tanto più la cultura e il potere si accentrano nelle mani dei veri padroni del medium, che non sono mai, nonostante le apparenze, i semplici utilizzatori. Meno discusso appare il tema fondamentale del trattamento dei contenuti, come se il problema non esistesse. Il risultato rischia di essere quello di riproporre, sostenuti da uno splendido e profondamente innovativo apparato tecnico, i peggiori modelli didattici della scuola tradizionale: quelli più nozionistici e meno partecipativi, quelli più selettivi nelle procedure e meno convincenti sul piano delle competenze perseguite. Complessivamente, si tratta di rivendicare la superiorità del modello educativo rispetto al modello tecnologico, il secondo dovrebbe essere ricondotto al servizio del primo attraverso la riaffermazione della necessaria subalternità dei mezzi rispetto ai fini. occorre, in altri termini, rimpadronirsi del modello interpretativo che viene


inconsapevolmente acquistato assieme a macchine e a programmi che non a caso oggi definiamo tecnologie, mentre dovrebbero essere solo strumenti e tecniche. È probabilmente un disegno ingenuo, come quello della formica che sulla testa dell’elefante pretende di guidarlo; d’altra parte, l’idea stessa di educazione è inevitabilmente ingenua e trova in questo la sua vera forza positivamente rivoluzionaria.


A 
Dream! “There should be somewhere upon earth a place that children would be able to grow and develop integrally without losing contact with their souls. Education would be given, not with the view to passing examinations and getting certificates and posts, but for enriching the existing faculties and bringing forth new ones. Education will be based on what we hope to receive from the future, not, on what we know about the past. What we want to teach is not only a mental idea, it is a new idea of life and a realization of consciousness.” (The Mother)1

Un sogno, una scuola dove i bambini non sono costretti a stare seduti cinque o sei ore al giorno su sedie che non rispettano l’anatomia del loro corpo, schiene che per sopravvivere sbandano da tutte le parti: chi sta di traverso, chi appoggiato su un gomito, chi sull’intero braccio, chi su un solo gluteo, con lo sguardo rivolto all’orologio o alla porta o alla finestra a significare il desiderio di fuggire. Corpo pranico ed emozionale soppresso, come se fosse un tentativo (ma da parte di chi?) di bloccare il mondo immaginativo, psichico e fisico del bambino a favore di una educazione forse un po’ desueta: troppe informazioni, troppe nozioni. Un sogno, una scuola dove la tecnica non uccida il bambino interiore, la sua aspirazione alla autorealizzazione, la sua creatività e soprattutto le sue idee. Una tecnica dove il bambino non diventi un obeso davanti al computer e la TV. Una scuola che permetta all’insegnante (tempo, soldi e nuove materie: lo yoga) di preoccuparsi di formare coscienze. Viene da dire che il cambiamento culturale dovrebbe partire dai politici che rappresentano la cultura, prima di fare dei danni, poi si pensa che questo non sia il luogo per argomentare su questo problema, ma poi viene anche da pensare che essi sono stati bambini in quei banchi. Una scuola che permetta all’insegnante, grazie al tempo e a uno stipendio degno, di essere anche bravo. Per bravo non si intendono certificati, lauree e conoscenze, ma interiorità, spessore, mente aperta, sguardo lungo, perché se non capiamo quello che abbiamo dentro e non desideriamo capire quello che è oltre l’orizzonte, sui libri e fuori, non c’è niente da capire e tanto meno da insegnare. Per questo, un insegnante dovrebbe, forse, essere meno oberato, meno pressato e stressato dal sistema. un sogno, una scuola dove il corpo fisico venga considerato e disciplinato come quello mentale, pranico, emozionale, spirituale, immaginativo. Non sarebbe male proporre lo yoga come prima mezz’ora di lezione con un “saluto al sole” ogni mattina, come almeno mezz’ora di sequenze di ASANA a metà mattina e come ultima ora, relax, prima di tornare a casa carichi di zaini e di conoscenze e nozioni.


Una scuola, dove vengano rispettati soprattutto i valori e i saperi che nascono dentro, dove non sei costretto a fare l’alunno coccodè coi quiz “si” e “no” o le “Multiple choices”. Il quiz non dura per la sua natura, svanisce nella memoria, non crea interiorità e spessore, ma soprattutto non arriva al corpo intelligente e al cuore. Una volta uscito dalla scuola, il bambino dove deve attaccare la spina per andare avanti? Come farà ad argomentare con le parole se lo si abitua a non formulare un pensiero, un’idea, un’opinione? Come si spiegherà? Come farà a far capire il suo disagio, le sue emozioni, le sue aspirazioni, i suoi sogni, la sua rabbia, la sua paura, l’impazzire dei primi ormoni se non sa collegare il suo pensiero al suo sentire? Se non sa collegare la mente al corpo, al cuore? Ma soprattutto come farà a dover avere a che fare con il mondo a volte falso e manipolatore fuori e l’incedere vero della sua coscienza? L’insegnante di yoga non gli spianerà la strada, né gli darà delle risposte perché per quanto riguarda l’educazione siamo tutti immersi nella domanda di senso, ma almeno gli insegnerà a domandarsi. Domandarsi, per ritrovarsi nella propria onda e non in quella degli altri, per riconoscere che, sotto il vortice dell’apparenza, del materialismo e del consumismo, almeno c’è l’esistenza dei mondi sottesi dentro, che spesso finiscono sul lettino dello psicoanalista. oggi la scuola dà conoscenze che durano poco, telegrafiche, abbreviate, perché sono tante e in fretta, dunque, forse degne di non attenzione, veloci come gli s.m.s., che non lasciano il segno, intercalate da frasi degli insegnanti, spesso gridate: “State zitti!” “Fate silenzio!” “State fermi!” “Insomma non riesco a spiegare” Come fa un insegnante a entrare nella coscienza di tutti in classi di venti o trenta bambini? classi così numerose come polli in batteria, classi come greggi di pecore. È il lezionificio con lo scopo di arrivare all’esamificio, del resto i bambini ne sono abituati: nelle ore più fitte davanti la TV si parla appunto di telequiz (molto meglio comunque dei telefilm americani, che li hanno abituati a pensare alla cultura “cinema” come pistole, sangue, violenza, per non parlare delle altre trasmissioni idiote). Sono i quiz che preparano il bambino che sarà adulto a pensare solo per statistiche, per percentuali, spread; poco lontani dalle relazioni di comodo, dalle relazioni di opportunismo e manipolatrici perché si tratta poi di tirare avanti, di sopravvivere non di vivere e di essere. Il malessere di questa scuola malata è il microcosmo della società, è la perdita del desiderio di stare in contatto con le emozioni, i sentimenti, le aspirazioni, le religioni, i riti, i simboli, l’abbandono e l’umiltà a favore di una rincorsa come topi impazziti a un benessere fisico che paradossalmente porta alla malattia dell’anima. Un sogno, una scuola che permetta al bambino di entrare in contatto con il sé profondo,


di familiarizzare con se stesso, di organizzare una propria disciplina, pregustando la gioia di un evento e sviluppando contemporaneamente fantasia e creatività. “il bambino conosce la realtà in modo così profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell’abisso della verità come il poeta [...]” (Giovanni Pascoli)2

“Guarda, guarda, mamma! Un pollo fuori dal forno! Crudo! Ma che ci fa un coniglio ancora vivo in giro! Guarda mamma un maiale intero!” Pierino rossi, otto anni, vive da quando è nato a Monte Donato sulle prime colline di Bologna. Suo padre fa l’ingegnere, sua madre fa l’attrice. Entrambi hanno la passione per il tango, ma non vanno alle stesse lezioni e non frequentano le stesse milonghe altrimenti litigano. La casa è quasi sempre vuota di giorno perché papà è sempre in giro cercando di guadagnare sempre di più per non fare mancare nulla alla famiglia, specialmente tutta la nuova tecnologia del mercato. Depressione bipolare: lui vive sempre con la sensazione che improvvisamente lo licenzino da tutte le parti. Mamma è sempre in giro per l’Italia cercando disperatamente di realizzare se stessa. Lei vive sempre come se fosse alla vigilia di un grande debutto. Depressione cronica: lei vive sempre con la sensazione che improvvisamente non la chiamino più al lavoro. Pierino è sempre in giro per Bologna, attorno alla sua casa come una centrifuga, lui non vive. Parte alle sette e mezza di mattina per andare a scuola, alle quattordici lo va a prendere una moldava per portarlo a lezione di latino, alle quindici e trenta lo va a prendere una rumena per portarlo a lezione di ricamo, alle sedici e trenta lo va a prendere la nonna per portarlo alla lezione di arpa, alle diciotto lo va a prendere una polacca per portarlo dallo psicologo (il lunedì: un freudiano, il martedì: uno junghiano, il mercoledì: uno staineriano, il giovedì: training autogeno, il venerdì: logopedista). Il sabato, tutti e tre, blitz ai supermercati e fast foods. La domenica, a teatro a vedere la mamma che recita. A casa, dopo il teatro, spesso mamma e papà un po’ stressati litigano; purtroppo, a volte, loro malgrado, se la prendono con lui. “eh sì, Pierino ha qualche problemino”: così dice la mamma alle sue amiche: “Dà segni di rigidità, è sempre nervoso, non ride mai, si muove come un robot, dorme sempre in macchina, va male a scuola, spendo un sacco di soldi per i corsi con scarsi


risultati e durante le mie recite si addormenta, non conosce neppure l’italiano, inoltre dà dei gran cazzotti ai compagni e mangia sempre”. “Guarda mamma! una farfalla di carta che vola! Un uccellino scappato dalla gabbia!” “adesso basta Pierino, non vedi che si è sgonfiata una gomma e siamo bloccati in aperta campagna?” A un bambino di una famiglia standard occidentale sembra che non manchi proprio nulla oggi. In realtà gli si dà talmente troppo materialmente e culturalmente che viene soffocato dal cibo, oberato dai compiti e dalle attività extrascolastiche ma spesso non si ha il tempo di stargli vicino. Qualche volta il bel risultato è il bambino obeso o anoressico, nevrotico e denaturalizzato fino al punto che sono sempre di più i bambini che hanno disturbi alimentari, psichici, emozionali. Il bambino oggi è quella persona inserita in una società organizzata per il consumo, dove nel microcosmo della famiglia è un elemento importante in quanto può far scattare il meccanismo della suddetta ma spesso ne rimane vittima. Il padre e, ora più che mai, la madre, spesso operano nel mondo circostante in funzione del suo sostentamento, del suo super benessere, in giro e lontano da lui tutto il giorno in funzione di un qualche cosa che non solo non gli fa mancare nulla, ma che gli dà anche di più del necessario in una nevrotica e stressante competizione in funzione del mondo circostante. Un meccanismo che gira attorno a lui, un circolo vizioso, una corsa all’impazzata dove al centro c’è lui, che non capisce quello che gli sta accadendo attorno, che è costretto a fare finta di fare l’asino perché per la sua sopravvivenza ha bisogno degli adulti. Si trova gettato in questo vortice che è un’epidemia in una società senza solidi amici o nemici, ma solo nemici solidali, lui è il primo a capirlo con la sua mente pulita e lucida ma immerso anche lui nell’onda, non può fare nulla, da qui il suo sguardo malinconico, spesso perso, perché è in mezzo a queste due forze: da una parte la sua saggezza interiore, dall’altra il non senso da cui deve dipendere perché non è autosufficiente. Far parte di una società come questa in cui lui si sente una cosa ed è costretto a essere altro, spesso lo porta a chiudersi, a diventare rigido o aggressivo e finisce per fare quello che serve per ridurre la sua vulnerabilità, buona grazia che riesca a difendersi come può. Fra una marea di compiti e fra una marea di attività extrascolastiche non ha spazio di indipendenza e di autonomia, vive come un pollo in una batteria tutto programmato. oggi paradossalmente non c’è niente di meno libero del tempo libero, non c’è il tempo del silenzio per pensare, per riflettere, per inventare, per creare. L’eccesso di compiti e di attività danneggia la qualità dell’apprendimento e della concentrazione che richiedono processi di assimilazione e di accomodamento delle nuove nozioni nel casellario delle conoscenze. I bambini hanno diritto a tempi e spazi riservati alla creatività, alla fantasia, a quell’apparente far niente che potenzia il pensiero creativo e non solo esecutivo, inoltre hanno anche bisogno di sbagliare e di imparare dai propri errori.


Forse sarebbe necessario sgombrare la loro vita da un eccesso di richieste e di offerte come sta accadendo per i consumi, a loro basta l’essenziale perché se non vengono artificialmente stimolati hanno pochi fondamentali bisogni tra cui margini di libertà e di autogestione. Forse i genitori oggi – presi dal tanto lavoro, tanti impegni – non hanno tempo di occuparsi dell’educazione a tempo pieno del bambino e spesso quando ce l’hanno sono talmente abituati alla frenesia e alla fretta che non hanno la pazienza di affinare l’arte dell’ascolto, del silenzio, dell’osservazione, della “presenza”. buona grazia che siano alla fine concentrati sul controllo e le regole per far funzionare tutto l’ingranaggio. oggi si vive in paradisi formativi nei quali le nuove macchine, le nuove offerte rendono possibile al bambino di accedere facilmente a modalità di informazione e comunicazione di potenza formidabile, ma non basta poter navigare, frequentare, possedere, occorre anche averne motivazione, non basta poter comunicare, occorre anche aver qualcosa da dire. La scuola dovrebbe essere di soccorso, ma con le sue circolari ministeriali appare sempre di più caratterizzata da una sorta di “fare” informatico, da un riempire il bambino di nozioni e informazioni come se fosse un barile vuoto. Come ce la può fare un bambino a scuola, costretto a stare 5 ore seduto come un lumacone incastrato fra una sedia e un banco di legno? “Pierino! Stai attento!” “Pierino, fai silenzio!” Un’insegnante ha gli strumenti per insegnare il silenzio se, giustamente, lo esige? Come si fa a richiedere concentrazione a un bambino in queste condizioni? Ma che importa? Tanto poi lo si porta a fare ginnastica posturale e dallo psicologo. La scuola si è aggiornata, ma è oberata da un attivismo digitale senza progetto culturale: quella di un idiota specializzato. 1 The Mother, Mirra Alfassa (1878- 1973) filosofa francese: “In qualche parte della terra dovrebbe esserci un posto dove i bambini dovrebbero crescere e svilupparsi integralmente senza perdere il contatto con le loro anime. L’educazione dovrebbe essere fatta non in funzione di un esame da sostenere o ottenere certificati o diplomi, ma per arricchire le facoltà già esistenti e tirarne fuori delle nuove. L’educazione si fonderà su quello che noi speriamo di ricevere dal futuro, e non, da quello che sappiamo del passato. Quello che vogliamo insegnare non è solo un’idea mentale, ma una nuova idea di vita e la realizzazione della coscienza”. 2

Giovanni Pascoli (1855-1912) poeta italiano.


Lo 
zio 
Pasquale Tutte le volte che cerco di fare la popò, la mia mamma e il mio papà incominciano a gridare che, se stanno ancora insieme, è per il mio bene. Si dicono parole a me non consentite, a me proibite poi quando esco e non sanno più che cosa dire, se la prendono con me. Io devo fare finta di non capire, di non sentire, perché se solo chiedo spiegazioni, volano ceffoni. Così ritorno in bagno e riprovo ancora a fare la popò. Un momento di calma ieri sera: mia madre guardava la televisione, mio padre aggiustava il termosifone, io mangiavo il melone, ma non avevo ancora finito l’ultimo boccone che mio padre mi ha detto: “La sera è meglio una pera!”. E giù uno schiaffone. E mia madre: “La sera è meglio una mela!”. E giù uno spintone. Poi come ogni sera si sono messi a litigare. Io, per distrarli, per catturare la loro attenzione, ho fatto il buffone ma loro urlavano sempre di più, così sono andato ancora in bagno e ho cercato di fare la popò. Tutti e due hanno gridato dopo un po’: “Vieni fuori di là!”. Così sono andato a dormire, mio padre mi è venuto a trovare: “Lo vedi ci fai sempre arrabbiare, se fai così chissà dove andremo a finire, sto per scoppiare, adesso il tango, voglio andare a ballare, a tua madre dico che vado dallo zio Pasquale”. Poi è venuta mia madre: “Lo vedi ci fai sempre litigare, domani non andremo al mare! Sto per scoppiare, adesso il tango, voglio andare a ballare, a tuo padre dico che vado dallo zio Pasquale”. Potrei sfuggire alla lavatrice perché si è rotta l’affettatrice ma potrei far finire queste rogne come quel tipo a Cogne o bollito come quell’altro negli Stati Uniti. Ci vado io dallo zio Pasquale, ma ad abitare, almeno là c’è


sempre qualcosa da mangiare. E come ho infilato una gamba dietro l’altra nell’androne finalmente l’ho fatta, ma davanti al portone. “The first principles of true teaching is that nothing can be taught, the teacher is not an instructor or taskmaster, he is a helper and a guide. His business is to suggest and not to impose. He does not actually train the pupil’s mind, he only shows him how to perfect his instruments of knowledge and helps and encourages him in process. He does not impart knowledge to him, he shows him how to acquire knowledge for himself. The child must learn that there is only one true guide, that is the inner guide [...] It is not a question, of course, of giving a child philosophical explanations, but he could very well be giving the feeling of this kind of inner comfort of satisfaction, and sometimes of an intense joy when he obeys this little very silent thing within him which will prevent him from doing what is contrary to it.” (Sri Aurobindo)3 3 Sri Aurobindo (1872-195) filosofo indiano. “Il primo principio di un vero insegnamento è che niente può essere insegnato, l’insegnante non è un istruttore o un “task master”, ma qualcuno che aiuta, una guida. Il suo lavoro è quello di suggerire e non di imporre. Non allena la mente del bambino, ma gli mostra solo come perfezionare i suoi strumenti di conoscenza e lo aiuta e incoraggia nel percorso. Non gli impartisce conoscenza, ma gli mostra come acquisirla. Il bambino deve imparare che c’è solo una sola guida, quella sua interiore [...] non è una questione, certamente, di dargli delle spiegazioni filosofiche, ma gli si può dare, molto bene, la sensazione del suo modo di sentire interiore, di sentirsi a proprio agio e in modo confortevole, e se impara ad ascoltare questa cosa silenziosa dentro di sé può sentire una gioia intensa che lo aiuterà a non fare il contrario”.


La 
Società 
di 
oggi 
e 
il 
bambino All’inizio del Terzo Millennio la società dei consumi dopo aver condizionato tutta la popolazione del pianeta facendo danni su danni a destra e a manca, danni sulla salute fisica e mentale cambiando tutti i valori, le priorità, il modo di pensare, di agire, ora sta attraversando una forte crisi economica, ideologica ed esistenziale; e meno male! Non è forse il consumismo e la mancanza di valori e di etica la radice della depressione, dello smarrimento e della disperazione? oggi si vive fra il mercato e il mediatico da far west che ingoia tutto, in cui al centro ci sono la persona e soprattutto il bambino. Il bambino in questo vortice di non senso avrebbe bisogno alla sua guida di menti lucide, protettive, rassicuranti ed intuitive, come guida dotate di grande capacità di comprensione e che sappiano orientarsi verso un miglioramento e una trasformazione. Ma come si fa se ormai l’onda è quella e come si fa ad uscirne? Come si fa a demolire la televisione, la marea di informazioni che non fanno altro che creare al bambino il bisogno di cose, non solo non necessarie, ma distruttive. Lui è lì, fra le immagini che piombano da tutte le parti, ovunque si giri e il frigorifero, con un reale attorno che dà l’idea che si faccia e si viva tutto in funzione dell’immagine: un enorme abito senza il monaco dentro. “L’immagine non può più immaginare il reale perché coincide con esso” “La televisione ha ucciso la realtà” (Jean Baudrillard)4

Forse attraverso la tecnica è il mondo a prendersi gioco di noi, è l’oggetto a sedurci con l’illusione del potere che abbiamo su di esso. Un circolo vizioso, una corsa all’impazzata dove al centro c’è lui, il bambino, che non capisce quello che gli sta accadendo attorno, che è costretto a fare finta di fare l’asino perché per la sua sopravvivenza ha bisogno degli adulti. Come fa un bambino a cercare il proprio sé se è in balia degli altri inseriti in questo sistema? Spianare loro la strada per non farli soffrire, convincendosi che così li si ama di più, non è una soluzione. come se la sofferenza, il sacrificio, lo zelo, fossero una cosa di altro mondo, perché in questo, deve per forza esistere solo benessere fisico e il piacere. che cosa farà da adulto se avrà a che fare con le difficoltà? Lo yoga non solo come pratica fisica ma come filosofia di vita ogni giorno a scuola come materia importante, forse può aiutare il bambino almeno a capire cosa gli sta succedendo attorno, almeno a poter scegliere se guardare un programma stupido alla televisione con popcorn e patatine in mano o andare nella sua cameretta a leggersi un libro.


Ci vorrebbe un cambiamento forte che partisse da chissà dove, ma attorno alla paura di un cambiamento che forse ha le sue radici nella paura di se stessi, forse, c’è la paura dell’ignoto e dello sconosciuto a favore di un tenore di vita che è il bambino stesso a chiedere con i suoi segnali, il suo modo di esprimersi di venirne fuori. Che non sia un chiaro segnale quello del bambino che immerso in tremila giochi costosissimi alla fine scelga di giocare con un tegame rotto e lo faccia diventare un tamburo? Del resto, per il signor Consumismo, a che serve la natura? a che serve un fiore? A che serve un albero se non si può abbattere o un pesce se non si può mangiare? Il bambino, per sua natura, puro e buono come vede tutto questo? 4

Jean Baudrillard (1929-2007) filosofo francese.


Modalità 
di 
un 
progetto 
di 
yoga 
nelle 
scuole Poiché lo yoga non è ancora una disciplina ufficiale, si ritiene opportuno presentare un progetto nella scuola elementare. Una proposta con un carattere di “leggerezza” che si addice ai bambini per sdrammatizzare la severità della materia, ma che ha una fondatezza di significato e un intento evolutivo sul piano dinamico, psichico-emozionale e relazionale del bambino. Il progetto può avere diverse modalità di svolgimento con cicli più o meno lunghi e più o meno intensi da concordare con l’insegnante in funzione dell’obbiettivo che si ha nei confronti dell’attività. Le lezioni avranno la durata non meno di mezz’ora a seconda della scelta del progetto. I contenuti possono essere concordati e discussi insieme agli insegnanti, sulla base dei progetti didattici proposti o suggeriti specificatamente da chi richiede il progetto. I percorsi possono essere autonomi, trasversali e interdisciplinari con la programmazione didattica della scuola. La presentazione dettagliata degli strumenti verrà arricchita da descrizioni narrate, da schede operative teoriche ed esperienziali, da schemi riassuntivi corredati di simboli di scrittura delle diverse qualità di movimento, dei ritmi, delle forme corporee associate alla loro età. Completa l’opera la presentazione di lavori in gruppo: un saggio che chiameremo “rappresentazione di ASANA”, una sequenza di ASANA guidate da musiche classiche, suoni dei mantra emessi da un CD o da loro stessi. Obiettivo Con lo yoga, il primo obiettivo è cercare di riequilibrare nel bambino corpo-menteemozioni-psiche-immaginazione- senso della realtà, ciò che, pare, oggi con il ritmo di una vita sempre più frenetico, forse viene a mancare; è il tentativo di riappropriarsi delle proprie funzioni umane. Il secondo è la trasmissione: rivelare l’esperienza di un’altra dimensione di conoscenza per arrivare all’attivazione di un processo di crescita che conduce il bambino a saper conoscere se stesso “sentendo” e “facendo”. Un “fare” compenetrato dal “pensare”, dal “sentire”, dal partecipare fisico mentale e spirituale. Un’attivazione di un processo di crescita che equilibri lo sviluppo del bambino nella sua unità in continuo dialogo interno ed esterno affinché affini la percezione del mondo attraverso i sensi fisici, il senso delle cose e il senso artistico creativo. Si tratta di cercare di dargli strumenti per eliminare tensioni e stress, per prevenirli, per convivere in un modo più sereno con il cambiamento dell’infanzia e dell’adolescenza, per aiutarlo ad affrontare le inevitabili paure e aggressività, per crearsi un’identità stabile attraverso le sue percezioni dei suoi vissuti, per recuperare il valore della sua interiorità, per aiutarlo a valutare il suo benessere personale, per strutturare e integrare la sua personalità, per controllare i suoi stati emotivi e recuperare il suo senso di autostima e di sicurezza. L’obiettivo, oggi, più che mai, è quello di rinunciare a tutti gli orpelli, al superfluo,


all’inutile, al finto, all’inautentico per ritrovare se stessi: territorio di lavoro in cui il bambino ha un grande punto di riferimento in un momento storico in cui forse si sente smarrito. Incontro 
con 
i 
genitori Prima di interagire col bambino sarebbe utile fare qualche incontro con i genitori e insegnanti separatamente per prepararli a questo viaggio che i figli e gli alunni stanno per intraprendere, non per renderli partecipi o convincerli se non hanno quel tipo di sensibilità e di interesse, ma per conoscenza affinché, almeno, non li contrastino nel cammino con giudizi e pregiudizi. non è superfluo dirlo, a volte sembra che non sia così scontato. Non credo sia opportuno invitare i genitori a praticare con i bambini o con i loro insegnanti insieme, forse è meglio che le due cose siano separate perché comunque è sempre un viaggio alla ricerca di se stessi anche da piccoli. Ai genitori si potrebbe leggere il seguente documento di C. G. Jung 5, visto che molti bambini vanno dallo psicologo: “La saggezza indiana è la più profonda che esista e la ricerca della psicologia conferma passo dopo passo le affermazioni in essa contenute. L’antica scienza dell’anima degli indiani è espressa dallo yoga che appare come il percorso verso l’auto perfezione”. Jung ha aperto, grazie alla sua esperienza personale e alla sua ricerca, una possibilità di analisi comparata fra psicoanalisi e yoga e ha dichiarato che il suo simbolismo arriva ad interpretare la sintomatologia dei pazienti, inoltre aiuta a localizzare i sintomi della patologia: “non parlo del significato dello yoga per l’india, non potendolo sperimentare come se fossi nato in India e possessore della cultura Indiana. Posso comunque parlare del suo significato per l’occidente: la nostra mancanza di confini mentali ci porta all’anarchia psichica. Per ritrovare un ordine mentale possiamo utilizzare lo yoga che era in origine un processo di introversione e conduceva a processi di elaborazione della personalità. Nel corso di migliaia di anni questa ricerca si è gradualmente organizzata in un metodo e diffusa in vari modi”. Ciò che interessava Jung era questo processo. Egli vedeva in esso il processo universale e ne deduceva che lo yoga ha un valore incalcolabile per l’interpretazione dell’inconscio collettivo. Egli afferma che: “La filosofia indiana richiede la precisa condizione di ‘non ego’ che influenza la nostra psiche, per quanto indipendente questa possa essere e porta ad una luce di consapevolezza super personale. L’area psichica dei fenomeni è fondamentale per gli indiani e questi fenomeni sono ritenuti molto più reali di quelli fisici”. 5

C. G. Jung (1875-1961) neurologo e psicoanalista.

Scoprirà e saprà gestire le sue potenzialità, troverà lo spazio con le sue specifiche


potenzialità per l’espressione del suo sentire, riconoscerà e accetterà i propri limiti che possono trovare ascolto, ed essere riconosciuti e restituiti come energia vitale attraverso la creatività. Si apriranno così profonde correnti di scambio e dialogo non verbale che lo aiuteranno a sentirsi, a percepirsi, a migliorarsi. certo, gli strumenti non vanno proposti subito, così come sono, perché lo yoga è ancora un concetto lontano per gli adulti, figuriamoci per i bambini, ma con la danza e il suo gioco, si cerca di “sedurre” il bambino fino a portarlo nel luogo dello yoga, dal quale sarà lui stesso a non volerne più uscire perché troverà piacere e risposte al suo domandare: calma (relax per le sue tensioni) beneficio (respiro pieno e corretto per le sue ansie) bellezza (la perfezione degli ASANA) ma soprattutto la direzione giusta per la sua energia, consapevolezza e contatto con la coscienza. In sintesi si vogliono dare al bambino gli strumenti per esplorarsi, perché ha bisogno di aiuto per prendersi la responsabilità del suo percorso, del suo cammino, che è suo, suo soltanto, individuale per essere unito agli altri, al mondo, ma col suo centro, il suo diritto di essere al mondo, il diritto alla sua autorealizzazione con la capacità di superare tutti gli ostacoli fisici, psichici e sociali che la vita gli impone, senza paura, al fine di vivere una vita di senso e condividerla con gli altri, con altro, perché quello che accomuna agli altri ha diritto a ricevere risposte di dignità. 6

Carolyn Carlson (1943) danzatrice e coreografa statunitense.


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