Tango un ballo che dura tutta una vita

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TANGO di Pasquale Larotonda Š 2014 Pasquale Larotonda ISBN: 978-1-304-83596-3 Prima edizione enbook Enrico Massetti Publishing


Libri, ebook, DVD, CD - mp3 rari di Tango: http://tango-dancers.com edizione di: Enrico Massetti Plublishing


1939 Era un turbinio di odori. Caffè, alcolici, succo di arancia, sigarette al mentolo, pipa profumata e spruzzi di mistero al passaggio delle donne, nella sala Pichetti, a due passi da San Lorenzo. Il suo naso aquilino si aggirava nel locale, un ex garage adattato a sala da ballo, frequentato il giovedì dalle ragazze a servizio nelle famiglie dei quartieri alti. Venivano a frotte nel loro giorno libero; i militari, puntuali, erano lì ad aspettarle, ma anche operai e ragazzi di bottega con qualche attempato signore in cerca di avventure. La bottega era a poche centinaia di metri; conosceva di vista alcune ragazze che frequentavano il locale per averle incrociate al vicino mercato di San Lorenzo. Ma lei, era la prima volta che la vedeva. Il bel naso aquilino si volse immediatamente verso il bancone del bar della sala Pichetti dove, guardate a vista dal barista, impettito, giacca crema, mani svelte, baffo setoso e voce di fata, due ragazze erano in piedi, intimidite dal frastuono della musica sudamericana, guardando il centro della sala dove due ballerini si producevano in un enfatico tango figurato. La qualità del fonografo e l’eccessiva risonanza delle note sulle pareti e sui banconi della grande sala, produceva uno strano effetto; gli strumenti che accompagnavano il cantante suonavano ognuno per suo conto, ognuno una sua canzone, il suono della tromba andava a rimbalzare sul grande finestrone che dava sulla strada soprastante, la batteria scomposta nei suoi pezzi si sfasciava sulle pareti e la voce, sola, imprigionata all’interno della scatola del fonografo, urlava per farsi ascoltare. In tutto questo, la presenza di voci nella sala, del barman che ripeteva forte le ordinazioni e le risate delle donne che tagliavano ogni suono attraversando la sala da una parte all’altra. -

Permettete questo ballo?

-

Si, grazie.

Tango. Era la sua specialità. Quante volte l’aveva provato col manico della scopa nel negozio, al suono della radio sempre accesa. Ed ora, che stava ballando con una meravigliosa creatura, forse la più bella della sala, poteva finalmente esibirsi nel suo ballo preferito. La ragazza non era molto esperta e si lasciava guidare con leggerezza; questo permetteva al cavaliere di usare quelle piccole violenze, come spingere e tirare la dama per raggiungere la posizione più adatta e cingerle più a fondo e con maggiore presa i fianchi per trascinarla con sé. La canzone andava avanti e i passi intrecciati e non perfettamente corretti dei ballerini formavano un intrigo di gambe che, ansiose di mettersi nella giusta posizione, continuavano a toccarsi e a sfiorarsi in mille abbracci non voluti. Nel vederla da lontano, qualche minuto prima, egli ne aveva ammirato il sorriso che illuminava il volto suo e quello della sua amica, per la verità meno attraente. Tutte le ragazze vanno a coppie, una bella e una no, ma più intraprendente; si aiutano così. I capelli neri, lunghi, di cui aveva immaginato il profumo, l’arco delle sopracciglia ampio a incorniciare quegli occhi curiosi e sensibili, le spalle diritte, il seno alto e fiero, i fianchi fermi e le gambe di granito, lunghe, morbidamente fasciate da calze scure. Era una di quelle canzoni argentine di grande passione; nella voce del cantante si percepiva l’ansia e il desiderio di impietosire l’innamorata e farle accettare il suo amore. Le parole, a tratti incomprensibili, descrivevano un tragico amore non corrisposto, con un filo di speranza, sottolineata dalla delicatezza dei violini e ammorbidita dalla pienezza


della fisarmonica, regina del tango argentino. La canzone proseguiva nel suo inciso più impetuoso e compassionevole mentre i due ballerini si annusavano ad ogni incontro dei loro volti che, a scatti, cambiavano direzione, sempre concentrati, seri, a guardare senza vedere le pareti della sala, i conoscenti seduti intorno, gli altri ballerini, il bar. Quando i loro occhi si incontravano, un lieve tremore, un tuffo l’uno nell’altro, una vita in un’altra vita, per quei pochi interminabili secondi. E le parole della mente, che non possono uscire all’esterno - Come sei bella, se mai potessi accostare il mio viso alle tue guance, sentirne il profumo, che già percepisco lieve da così lontano, camminare con te, mano nella mano, sul lungotevere, amarti ed essere amato, avere una figlia bella come te, e far l’amore per due giorni di seguito, senza bere, senza mangiare. E lei - Elegante e serio, con uno sguardo responsabile di chi ti dà sicurezza, ti fa sentire tranquilla, al riparo, sei un ragazzo attraente, cosa fai nella vita? Lavori, non sei fidanzato? Chissà, se potesse nascere una storia d’amore, anche se è solo un ballo con uno sconosciuto. Hai delle mani molto belle. Vedo la tua mano sinistra che tiene la mia con delicatezza e, ad ogni giro, mi fermo ad osservarla. E’ secca, non umida come tante, piacevole al tatto, calda. Vorrei accarezzarla, sentirne ancor di più il calore, appoggiarla al mio viso, darle un piccolo bacio. Sei alto. Vorrei essere abbracciata e sentire il tuo corpo per tutta la sua lunghezza contro il mio La canzone era terminata e i ballerini aprirono le mani per lasciare libero ognuno di allontanarsi dichiarando così che la magia era finita, che il diritto di stare abbracciati era scaduto, che era necessario tornare alla realtà, rimettere in ordine i propri pensieri, dimenticare le piccole illusioni e le sensazioni provate in quei pochi minuti. Dopo la musica solo i resti di due anime felici in un pietoso campo di battaglia: si udivano voci sommesse, un grazie, una risata delusa, suoni di bicchieri, colpi di tosse e l’odore di fumo, una coltre di nebbia che copriva i danzatori e la sala intera. L’incantesimo è finito. Cosa fare? Cosa si può dire in un clima di triste sconfitta, ad una ragazza? Si può dirle - Sono molto colpito dalla tua bellezza e dal tuo aspetto così gradevole che chiedo soltanto di stare ancora vicino a te per il resto della serata, magari conversare di quello che ti piace di più, fare ancora molti balli e poi riaccompagnarti a casa - Ma lei risponderebbe - Non mi sembra il caso di fare tutte queste richieste, io neppure ti conosco, accontentiamoci del ballo che abbiamo fatto, ti auguro di passare una bella serata - Infatti tutto si risolse in un inchino ed ognuno dei due tornò al proprio posto che, sfortunatamente, era lontanissimo dall’altro, ai due angoli opposti della sala. Ma il pensiero di lui era ormai preda dell’incantesimo dell’amore. La osservò per tutta la sera; ogni movimento, quando ballava con un altro avvertiva un profondo dolore, quasi gli veniva da piangere per la gelosia. Come puoi essere geloso di una donna che vedi per la prima volta? Ma l’amore non tiene conto di questi ragionamenti. Era geloso, pazzo di lei - Possibile che non ti sei accorta del mio amore? Non devi farti stringere così da uno sconosciuto. Qui dentro ci provano tutti. E se quello lì ci riuscisse? Se avesse più coraggio e ti chiedesse di riaccompagnarti a casa? E se tu accettassi? E se davanti al portone di casa lui si avvicinasse per salutarti e tu ti facessi baciare? E se vi date un appuntamento per il giorno dopo? E se quello mi rubasse la mia donna? Maledetto, non ci riuscirai! Dio, come lo odio! -


Si era fatto tardi e le ragazze, a frotte, cominciavano a raggiungere l’uscita, bisognava tornare a casa, il giorno dopo, di buon ora, le attendeva una giornata faticosa, preparare la colazione, rifare i letti, spazzare, lavare riordinare e spolverare, uscire al mercatino rionale per comprare il pane, la carne, se era disponibile, tornare, mettere su l’acqua e la pentola con l’olio e l’aglio, versare i pomodori, aggiungere il sale e, nell’attesa che l’acqua cominci a bollire, stendere i panni e speriamo che sia una bella giornata di sole, buttare la pasta, scolare, dopo aver apparecchiato per tutta la famiglia, condire e servire a tavola. E fino a giovedì prossimo niente di interessante. La pioggia, non ci voleva proprio. Ma fu provvidenziale. Egli, che era accanto alla sconosciuta, guardando con meraviglia quello scroscione d’acqua che all’improvviso si era rovesciato sulla città, ne incrociò il sorriso rassegnato e indovinò ciò che stava pensando - Mannaggia, non ho portato l’ombrello, ma chi se lo immaginava, e adesso come faccio a tornare a casa? Le rispose, come se quella domanda della mente fosse rivolta a lui. “Signorina, se permettete posso accompagnarvi io” “Ce l’avete un ombrello?” “No, purtroppo” “E allora come fate ad accompagnarmi?” “A piedi o col tram” “Già, è una buona idea, io devo prendere la circolare” “Ecco, passiamo sotto i cornicioni, la fermata è a due passi”. La fermata era a due passi e il tram in arrivo. Salirono, con i vestiti e capelli bagnati. “Permettete che mi presenti, io mi chiamo Ludovico, e voi?” “Viviana” “Viviana, che bel nome? E’ un nome italiano?” “Io sono italiana, il nome non lo so. Mi dispiace di non saper ballare bene, devo avervi pestato i piedi più di una volta” “Ma no, cioè si, però non mi ha fatto male, anzi, mi ha fatto piacere” “Piacere? Io scendo a Porta Maggiore, tra due fermate” “Anch’io, poi faccio una passeggiata fino a San Lorenzo, è ancora presto e ha smesso di piovere” “Qualche volta vengo a fare la spesa al mercato di San Lorenzo ma non vi ho mai visto” “Io lavoro in un laboratorio di falegnameria, qui vicino, in via dei Lucani ” “E voi, siete lucano?” “Veramente si, ma è solo una combinazione” “Che buffo. Mi piacerebbe vedere una falegnameria, magari una volta mi fermo un momento al negozio, se possibile”


“Ma come no, mi farebbe piacere, anche se c’è molto disordine, segatura, odore di legno, trucioli a terra e colla. E’ bello quando c’è la lucidatura dei mobili, allora per qualche giorno tutto deve restare pulito e si sente solo il profumo dell’alcool. La bottega è proprio alla fine del mercato, sulla discesa” “Bene, sono arrivata” “Ecco, scendo anch’io” “Arrivederci” “Arrivederci” A febbraio, a Roma, la mimosa, fiorita da un pezzo, restituiva tutt’intorno, generosamente la sua fragranza, nell’aria umida di pioggia.


Teresa Nel fare quel tratto di strada verso casa, da solo, pensando alla bella persona appena conosciuta, gli vennero in mente le signorine che aveva conosciuto in colonia, al mare, quando era bambino, a pensarci bene solo qualche anno prima. Aveva dodici anni quando suo padre, in una accorata lettera inviata dall’Eritrea alla moglie e ai figli, Ludovico e Mariuccia, comunicava loro che era ormai venuto il tempo di lasciare la patria e di raggiungerlo. Solo pochi mesi dopo l’ingresso delle truppe, a molti italiani fu offerto di recarsi all’Asmara per adempiere alle più diverse funzioni per la gloria dell’Impero. Il papà di Ludovico era guardia municipale, sovrintendente alle funzioni di traffico ed ordine pubblico. Così partirono. Il viaggio in nave fu molto divertente per Ludovico e la piccola Maria che per la prima volta videro una distesa d’acqua immensa. Si facevano degli scherzi sul ponte insieme a una masnada di ragazzini. All’arrivo si accorsero che il mondo era completamente cambiato: tutti quei negri e quelle donne col viso coperto che trascinavano bambini sporchi e mal vestiti. Altre portavano un vaso pieno d’acqua sulla testa; Ludo notò che avevano una strana eleganza nel camminare, forse per l’equilibrio che erano costrette a tenere. Vivevano in una grande casa; sull’uscio si incrociava la strada polverosa sempre piena di negri ma dietro la casa c’era un piccolo giardino dove Ludo e Mariuccia giocavano col cane Buck, un pastore tedesco che il papà aveva fatto trovare ai bambini, appena giunti ad Asmara. Avevano un boy, un ragazzo negro che si occupava delle pulizie, di tenere in ordine il giardino e fare le commissioni in città. Il papà andava in ufficio di buon ora, poi girava la città per controllare il traffico e i mercati insieme ad un suo collega. Lui e Mariuccia frequentavano regolarmente la scuola italiana che aveva una sezione al centro dell’Asmara, raggiungibile a piedi in pochi minuti. Come figlio di Italiano all’estero, Ludo ricevette una cartolina con l’invito a passare l’estate in una colonia estiva in Italia. Si inaugurava la prima colonia, in Romagna, a Cattolica, per i figli degli italiani all’estero. I giornali diedero un grande risalto all’avvenimento - Il Duce, che ama i bambini e soprattutto quelli che vivono all’estero, ha concesso le provvidenze del regime a migliaia di figli degli italiani per dire come oggi la patria si possa estendere pel mondo senza perderci e senza morire. La nuova colonia marina si intitola XXVIII ottobre ed è costruita nel più stretto razionalismo architettonico; ispirata ad una fantasia navale di suggestivo ardimento. Acconsentendo di visitarla per primo, Egli ne ha suggellato la Santità. Questa realtà fascista, come diceva la propaganda - creata per il sogno di tanti fanciulli e per il conforto di tanti genitori - era davvero il tempio dell’architettura futurista. Quattro enormi padiglioni a forma di nave in formazione militare con al centro la nave ammiraglia e le sue forme in elevazione, torrette, ponti, sovrastate dalle bandiere al vento. Ognuna delle costruzioni, con le forme arrotondare e gli oblò in perfetto stile marinaro, conteneva le camerate per i bambini, ma anche gli alloggi per gli ufficiali; la grande mensa era disposta nella nave ammiraglia, per accogliere centinaia di bambini per la colazione del mattino e i pasti della giornata. Novecento ragazzi, in un complesso sistema di cuccette-lettini su due piani con l’apparenza di veri ponti di navi. Il tutto,


interno ed esterno in celeste, grigio ed alluminio, come le torpediniere e le corazzate del regime. Ogni nave aveva il proprio nome in caratteri marinari: Gabriele D’Annunzio, Nazario Sauro, Costanzo Ciano.


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