Extra Magazine: Enzo De Giorgi

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Enzo De Giorgi

La bellezza, il web e i pezzi di puzzle

Ha ragione lui, artista a tutto tondo: «Quando la tendenza al brutto cambierà e l’interesse non sarà più solo economico o di audience, allora sì, forse, la bellezza avrà la possibilità di salvare il mondo. Per fortuna le maglie della rete Internet sono abbastanza larghe per lasciar passare tutta la bellezza che si vuole. Basta cercarla e cliccare “mi piace”» di Cosima Borrelli

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l risultato visivo nelle sue opere è quello di un puzzle metalinguistico capace di raccontare storie pittoriche che trascinano in un magico incanto. Creazioni che misurano la cronaca dell’esistere attraverso un registro stilistico vario e popolare, carico di simbologie, storie, romanticismi, emozioni raccontate attraverso un nuovo ed eccelso neoromanticismo e un surrealismo sognante colmo di stupore e meraviglia. Opere con un linguaggio immediato, un connubio figurativo-informale che rende il lavoro artistico degno di notevole attenzione. Enzo De Giorgi, da anni impegnato in un percorso artistico singolare, si racconta. Enzo de Giorgi, insegnante di discipline pittoriche presso il liceo artistico di Lecce e artista a tutto tondo. Come nasce il suo rapporto con l’arte e come si è evoluto nel tempo? «Tutte le strade che ho percorso finora, mi hanno sempre portato nella medesima direzione, anche quando queste sembravano curvare verso orizzonti differenti. Sono sempre stato attratto da ogni forma di arte figurativa. Ho frequentato l’Istituto d’Arte (l’attuale liceo di Lecce in cui ora insegno) nella sezione di “Arte dei Metalli e dell’oreficeria”. All’Accademia di Belle Arti di Lecce ho frequentato la sezione “Decorazione”,

preferendola nuovamente a quella di “Pittura” ma l’illustrazione, il fumetto e la pittura hanno sempre fatto parte di me, pur non avendo avuto mai un vero maestro in queste arti. Sarà per questo che non mi riconosco in nessuna delle personalità artistiche fortemente presenti nel mio territorio: ho dovuto fare sempre da solo, sicuramente sbagliando, ma trovando forse soluzioni personali originali. Tra le “strade secondarie” che ho percorso, ma che mi hanno portato in questa direzione, ci sono stagioni in villaggi turistici e nelle televisioni locali per realizzare scenografie; esperienze estenuanti di murales e trompe-l’oeil per le pareti di locali, mesi a lavorare sulle impalcature per decorare le alte volte di palazzi storici; campagne grafico-pubblicitarie malpagate per tutte le agenzie di Lecce; copertine e illustrazioni per le case editrici e poi anni di insegnamento al nord Italia in “Pittura” e in materie più o meno “parallele” (Oreficeria, Storia dell’Arte, Educazione Artistica, Sostegno…), corsi e concorsi abilitanti per l’insegnamento, intervallati ogni tanto da una mostra personale e da dipinti su commissione. Il mio rapporto con l’arte è stato quindi continuo e variegato ed è, tuttora, sempre in evoluzione. Esattamente vent’anni fa esponevo una dozzina di dipinti nella mia prima mostra personale: era il 1996. Uno dei miei desideri, per quest’anno, è quello di realizzare, in occasione del

“ventennale”, una mostra personale in cui rivisito “vent’anni dopo” quegli stessi dipinti, attualizzandoli nel mio modo di fare odierno». Il suo percorso artistico abbraccia pittura, illustrazione, fumetto, digital art, decorazione, scultura e questo denota la sua grande versatilità, vitalità espressiva e voglia di sperimentare nuove forme e stili. Quanto conta la ricerca su vari tipi di materia e tecniche? «Non ho mai avuto un vero maestro da seguire o imitare, quindi ho sempre tentato di “captare”segnali artistici dalle più svariate fonti, cercando, oltre ad un segno in cui riconoscermi, anche una tecnica che potesse in qualche modo contraddistinguermi. Ne ho provate tante, e cerco sempre nuovi stimoli espressivi, senza però allontanarmi troppo da quello che è diventato nel tempo, ormai, il mio segno di riconoscimento. Quel modo di “stilizzare” la figura e gli spazi, il mio “marchio di fabbrica”. Non sono mai sicuro di quello che sto facendo, ho sempre mille dubbi sul risultato, ma alla fine ogni esperimento/esperienza mi arricchisce e mi aiuta a costruire nuovi ponti verso qualcosa che ancora non so, ma che di sicuro mi appartiene prima ancora di raggiungerlo».

Nelle sue opere è evidente la realtà visionaria della cultura neofigurativa dell’arte contemporanea. I suoi dipinti sono caratterizzati da un certo surrealismo, ma quale corrente artistica descrive meglio le sue opere? «Non lo so. So cosa mi piace, e sicuramente quello che mi piace influenza ciò che faccio, senza (spero) assomigliare a nessuno, non mi definisco esplicitamente “surrealista”. Mi piacciono Modigliani e Chagall, ma anche Rousseau e Gauguin. I colori di Klee mi fanno impazzire, ma ammiro anche la purezza delle forme di Brancusi. Andrea Pazienza è un mio peccato di gioventù. Mi stimolano le contaminazioni stilistiche ed “ingabbiarmi” in una sola corrente artistica mi sembra vincolante e limitativo, però il lato “sognante” ed evocativo del surrealismo è uno degli aspetti che più mi affascina, tanto che nel 2013, insieme al mio amico Raffaele Vacca proponevo “IronicOnirico”, una doppia personale di pittura e scultura dove l’ironia e il sogno convivevano, per tema e stile, nelle opere di entrambi». Come prendono vita le sue “storie per immagini”? Le opere nascono da un virtuosismo nato da ispirazioni improvvise e visioni istintive oppure da scelte studiate e precise?


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23 sabili, ma, come dico ai miei studenti: “Suonate pure gratis, se vi fa piacere, ma non pagate mai per farvi ascoltare”».

«Mi viene in mente un puzzle appena abbozzato, con tutti i pezzi sparsi in modo casuale che lasciano pensare a scene diverse da quella che formeranno una volta combinati correttamente: è davvero affascinante vedere pezzi di cielo che si mischiano in modo inatteso a tessere con volti umani o a pezzi di prati verdi, assomiglia al caos della vita a cui cerchiamo di dare una interpretazione e un ordine logico anche quando non c’è. Siamo circondati e condizionati da bombardamenti mediatici, musica, cinema, pubblicità che ci trasformano continuamente come vuole il mercato, ma nella nostra metamorfosi progressiva, a volte, captiamo frequenze inaspettate, ma tanto forti da indurci a soffermarci, a pensarci sopra e a tirarci fuori qualcosa di personale, da quelle frequenze, contro ogni legge di mercato. Il territorio in cui viviamo, la nostra cultura popolare, se vogliamo, diventa un ingrediente indispensabile che si amalgama volentieri a tutto il resto. I dipinti della mia prima mostra personale di pittura nascevano da alcune frasi, molto evocative, estrapolate dai testi delle canzoni di Claudio Lolli; i quadri di “IronicOnirico”, invece erano le più note storie della mitologia classica, ma ambientate in un idealizzato mondo contadino del nostro sud, tra ulivi, muretti a secco e masserie. In molti altri dipinti, la realtà, drammatica o festosa, personale o collettiva ha preso il sopravvento inondando le mie tele di barchette di carta capovolte, ma anche di musica, danze e paesaggi senza tempo. Cerco di non essere mai troppo diretto e cruento, uso filtri favolistici, almeno cromaticamente, anche quando il contenuto di un mio trittico è legato a tragedie come la Shoah». Sculture in pietra, terracotta e legno dall’anima poliedrica e dal fer-

vido estro creativo. Lei è capace di donare sinuosità e leggerezza, plasticità ed armonia alla materia che plasma. Preferisce lavorare un determinato materiale? «Accidenti che belle domande! Non amo la falsa modestia e spero di non fare questo effetto a chi legge, ma devo dire che sono veramente lusingato da un’attenzione così benevola nei confronti dei miei lavori. Mi piacerebbe trovare una risposta altrettanto bella, ma mi limiterò col dire che considero la materia stessa, al pari della sua forma, parte del significato dell’opera: una stessa scultura, a seconda che essa sia stata realizzata in pietra o in terracotta ha già un valore espressivo e simbolico implicito e differente. Mi piace molto plasmare la creta, poiché la forma si materializza in tempo reale, nello stesso momento in cui si sta immaginando, ma prevedo sempre di combinarla con altri elementi/materiali che possono essere elaborati artificialmente (pietra, metallo…) oppure naturali (legni trascinati dal mare…)». Arte e comunicazione. Dalle gallerie d’arte a Internet. Può raccontarci il suo approccio con la rete? «Sembrano lontanissimi quei tempi in cui, per mostrare i miei dipinti, dovevo confezionare “a mano” goffi album fotografici artigianali (usando stampe analogiche), con grande dispendio di energia e di denaro, sperando poi di riaverli indietro per evitare di dover rifare ogni volta tutto il lavoro daccapo. Le prime mostre le ho allestite a Lecce, grazie a persone che credevano nelle mie possibilità di “giovane artista”, associazioni che mi avevano invitato a esporre i miei “veleni” nei loro spazi. Poi, altri contatti, mi hanno portato ad esporre i miei quadri anche al di fuori dei confini regionali. I miei artigianali “album fotografici” viaggiavano su e giù per l’Italia.

Poi, anche a casa mia arrivò il computer e succesivamente Internet e le fotocamere digitali, strumenti utili a rendere, apparentemente, tutto più semplice, con la possibilità di pubblicare intere gallerie fotografiche sul proprio sito web. Sì, dico “apparentemente”, perché spesso, pur avendo un sito web personale, si rischiava di essere una goccia nell’oceano e di rimanere per mesi l’unico visitatore di sé stessi. Il social network, infine, ha rappresentato la vera svolta, grazie al tamtam continuo di contatti tra reti di “amici” che condividono in tempo reale immagini, video, commenti. Quella della “Galleria” per me è una nota dolente, ma la colpa è mia. Non ho mai cercato personalmente un mercante d’arte, forse per diffidenza. Non ho mai investito in questa direzione. Però neanch’io ho mai ricevuto le attenzioni di un vero gallerista, nessuno mi ha mai cercato, corteggiato, avvicinato per delle proposte serie. Ciò mi fa pensare che evidentemente il mio “prodotto” non merita l’interesse di una vera galleria d’arte, cosa che non ho ancora accettato pienamente ma non mi lamento, e coltivo la mia passione nella mia piccolissima “nicchia” in cui vivo l’arte serenamente tra la scuola e le “mie cose”, quelle che mi piacciono fare senza tante manie di grandezza. In fondo non ho nemmeno un vero studio, continuo a dipingere a casa, tra la veranda, il terrazzo e il soggiorno. Il discorso è diverso se, anziché di gallerie, parliamo di mostre sporadiche organizzate da pseudo-associazioni “culturali”. Noto con tristezza che molti pittori (…e alcuni alunni di “Pittura” me lo confermano) sono contattati da “affitta-muri” che propongono grande visibilità a pagamento, oppure sono invitati da chi, in cambio di denaro, è disposto a pubblicare le foto delle loro opere accompagnandole con bellissime critiche come se si trattasse di attività redditizie. Il mio non è (e non pretende di esserlo) un business. Chi mi conosce sa che accetto volentieri l’invito ad esporre “le mie cose” anche nei buchi più impen-

Arte e critica. Chi decide davvero il valore estetico di un’opera?Qual è la sua opinione in merito. «Anche sull’importanza del critico ho i miei dubbi, specie se parliamo di piccole provincie. Nella mia città ogni settimana si inaugurano tantissime mostre, ma sono curate sempre dai soliti noti. Ai vari vernissage si incontrano ogni sera le stesse persone che spesso, a parte i parenti e le autorità, sono gli addetti ai lavori oppure altri artisti. Ovviamente le osservazioni critiche di queste mostre sono sempre positive perché commissionate. Chi decide davvero il valore estetico di un’opera? Il critico, il popolo, il mercato? Cerchiamo sempre una conferma, ma questa sarà sempre e solo soggettiva, anche quando scaturisce “democraticamente”. Mi ha sempre fatto paura l’idea che “la maggioranza vince”. Mi riferisco alla decisione di promuovere o no un qualsiasi “prodotto” culturale, dal libro al film al quadro. D’altra parte (decontestualizzando in ambito artistico ciò che diceva Franklin), “La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a colazione”. Io, nel mio piccolo, armato di quel po’ di creatività che ho cercato di coltivare negli anni, provo a dire la mia, così, senza l’ambizione oppure la presunzione di essere un artista, esercito (finché mi sarà concessa), la mia libertà d’espressione». La bellezza potrebbe salvare il mondo sviluppando una progettualità armoniosa sul piano culturale e artistico proiettata verso il futuro, in che modo secondo lei l’arte può educare alla bellezza e migliorare la società? «Ognuno di noi ha una predisposizione percettiva per l’arte che ci permette di apprezzare un dipinto, un brano musicale o un film. Se così non fosse l’arte, non avrebbe motivo di esistere. La bellezza fine a se stessa non esiste: ciò che può apparirci “bello” è sempre e solo un’opinione soggettiva. Ci sarà sempre qualcuno pronto a considerare “brutta” anche la Gioconda, fa parte del gioco e poi non c’è niente di peggio dell’indifferenza, del silenzio. Ed è proprio il silenzio, a volte, il più grande nemico di chi prova a esprimersi con l’arte senza un’organizzazione alle spalle. Gli stessi media, rispondono alle richieste di una società morbosa, attratta più dal gossip e dalla notizia shock che dal valore culturale di un avvenimento: stormi di giornalisti accorrono immediatamente, senza essere stati chiamati, come avvoltoi, a documentare tutte le sfumature del più piccolo incidente appena accaduto, ma quando si tratta di dare spazio a un evento culturale (mostra, progetto scolastico…) non interviene mai nessuno spontaneamente, bisogna sempre elemosinare per ottenere un trafiletto sul giornale o un servizio televisivo. Quando questa tendenza cambierà e l’interesse non sarà più solo economico o di audience, allora sì, forse, la bellezza avrà la possibilità di salvare il mondo. Per fortuna le maglie della rete Internet sono abbastanza larghe per lasciar passare tutta la bellezza che si vuole. Basta cercarla e cliccare “mi piace”».


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