Palazzo Giglia_Bottega di tradizione, sapori e cultura

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Scuola di Architettura Corso di Laurea Magistrale in Architettura quinquennale a ciclo unico a.a 2015_2016

Palazzo Giglia Bottega di tradizione, sapori e cultura Ipotesi di restauro per un’accademia d’arte culinaria nel cuore di Favara

Relatore Pietro Matracchi Candidato Erika Bruccoleri



Alla mia Grande Famiglia



INDICE

INTRODUZIONE PRIMA PARTE _ FAVARA Favara prima di Favara_ a Muntagnè

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Dagli Arabi ai Borbone_ Storia della campagna sicula, storia di Favara

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Tra baroni e borghesia

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La via dello zolfo

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Favara oggi

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Farm Cultural Park_ Qualcosa sta cambiando

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PARTE SECONDA _ I GIGLIA Alcune caratteristiche dell’architettura borghese

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La Famiglia Giglia e i loro palazzi

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Il palazzo di Gaetano Giglia

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Gli interventi degli anni Novanta

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PARTE TERZA _ ANALISI DELLO STATO DI FATTO Il rilievo

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L’analisi dei materiali

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La struttura in calcestruzzo armato

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Il quadro fessurativo e le vulnerabilità

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PARTE QUARTA _ IL PROGETTO DI RESTAURO I principi d’intervento

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Il quadro degli interventi Le demolizioni I solai Il consolidamento di archi e volte Le ricostruzioni

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PARTE QUINTA _ L’ACCADEMIA D’ARTE CULINARIA Bottega di cosa?

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Perché non basta dire Sicilia Le tradizioni favaresi

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Una bottega di tradizioni, sapori e cultura

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CONCLUSIONI

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APPENDICE

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BIBLIOGRAFIA

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REGESTO TAVOLE



INTRODUZIONE

L’elaborato di tesi ha come oggetto il restauro di Palazzo Giglia, ediicio della seconda metà dell’800’, collocato nel centro storico di Favara, cittadina siciliana della provincia di Agrigento. La sua scelta è stata dettata da due considerazioni di partenza: _ La prima è la condizione in cui versa l’ediicio. Emblematico dei caratteri dei palazzi borghesi dell’Ottocento siciliano, Palazzo Giglia è stato interessato nei passati anni ‘90, oltre che da un inesorabile abbandono, da un violento sventramento interno per far spazio ad un telaio in calcestruzzo armato, lasciato poi incompiuto, che ne ha modiicato pesantemente le volumetrie e le spazialità interna. Condizione questa di stimolo per una progettazione che può dare all’esistente l’attenzione venuta meno in passato e allo stesso tempo impiegare soluzioni progettuali meno vincolate, rispetto a spazi così compromessi. _ La seconda è l’interessante contesto storico e culturale nel quale è inserito. Siamo in pieno centro storico e nelle immediate vicinanze di Farm Cultural Park, un centro culturale di nuova generazione, che si insedia nell’antico aggregato di case dei Sette Cortile. Fondata nel 2010 da una coppia di appassionati d’arte, Farm è oggi l’epicentro di attività e iniziative artistiche, culturali, educative, letterarie e gastronomiche, che ha attivato una macchina fatta di giovani e imprenditori locali, che investono oggi nel centro storico energie e risorse. Quindi il progetto è frutto di questo dinamico contesto, di questa nuova consapevolezza della città e di un orgoglio ritrovato. Vuole cogliere il senso della bellezza e della cura che si deve al patrimonio architettonico e ofrire inoltre una nuova possibilità alla città, con un progetto che fa forza su un importante aspetto della sua tradizione, il cibo. L’obbiettivo dell’elaborato è dunque, dopo un’attenta analisi dello stato di fatto, quello di proporre un progetto di restauro che mira al recupero dell’ediicio, in alcuni casi ripristinando fedelmente le sue parti, mentre in altri reinterpretando, con nuovi materiali e texture, spazi e tecniche costruttive originarie, per un dialogo tra passato e presente che si modella per meglio supportare la nuova destinazione d’uso. Le indagini sulla storia e le vicende che hanno interessato il Palazzo non sono state supportate da cospicuo materiale documentario, in quanto irreperibile o inesistente, ma ci si è avvalsi di indagini condotte da personalità locali, testimonianze orali e interpretazioni per assonanza del tessuto storico cittadino. La fase di rilievo è stata condotta avvalendosi sia del rilievo diretto, in larga



misura, sia del rilievo digitale, attraverso laser scanner, che è stato un importante strumento di veriica e acquisizione di dati non accessibili direttamente. L’analisi dello stato di fatto si è concentrata sulla natura dei materiali impiegati e sullo stato fessurativo dell’ediicio. Ritenendo che in questa fase non fosse determinante un’analisi puntuale dei singoli fenomeni di degrado, vista la preponderanza di fattori di una scala superiore rispetto ad episodi localizzati, si è proceduto con l’analisi della geometria della struttura in calcestruzzo armato, nella sua conformazione attuale e, interpretando le tracce e le perforazioni di solai e pareti, anche di quella che sarebbe dovuta essere la sua conformazione inale. Dopodiché è stata condotta un’analisi dello stato fessurativo, per individuare le vulnerabilità dell’ediicio e i meccanismi statici e dinamici che insistono sulle diverse parti, allo scopo di proporre soluzioni di intervento puntali, nel rispetto del quadro normativo vigente e in termini di miglioramento sismico. Per quanto riguarda la nuova destinazione d’uso, è stato determinante considerare Palazzo Giglia all’interno del nuovo sistema messo in moto da Farm Cultural Park, in un contesto di valorizzazione del centro storico. Da qui l’idea di una grande bottega che potesse promuovere la tradizione meglio tramandata e apprezzata di Favara, quella del cibo. Un’accademia d’arte culinaria che reinterpreta il concetto di bottega in tutti i suoi aspetti: il fare secondo la regola dell’arte, il sapere che viene tramandato agli allievi e la vendita dei prodotti. Le stanze di Palazzo Giglia si convertono così in cucine didattiche, aule, laboratori per la produzione di dolci e paniicati; una grande cucina che serve il ristorante e la sua terrazza; una cafetteria e un cortile al piano terra per il tempo dello svago; una “putia” come luogo della vendita dei prodotti realizzati nell’ambito dell’accademia, nel rispetto della più autentica tradizione culinaria favarese e siciliana. In questo modo l’intero progetto vuole ofrire uno spunto di rilessione, un primo punto di partenza, per ripensare palazzo Giglia, i suoi spazi e le sue potenzialità, all’interno di un rinnovato circuito cittadino con al centro cultura, tradizione e bellezza.



PRIMA PARTE_FAVARA



FAVARA

Cittadina della provincia di Agrigento, Favara si snoda lungo i ianchi di un sistema collinare, il Monte Caltafaraci, che da nord-ovest degrada verso il mare a sud, accogliendo a est l’aggregato del centro storico, attorno al quale si è allungata negli ultimi decenni l’attuale città. Probabilmente nata a cominciare dallo scorcio del sec. XIII come borgata agricola attorno al castello Chiaramonte, favorita soprattutto dalla presenza della fonte Canali e dalla vicina fonte Giarritella, Favara ebbe un passato segnato da una forte vocazione agricola, strettamente legata al sistema feudale, i cui efetti tarderanno ad estinguersi se non agli albori del Novecento. Volendo mettere l’accento su quest’ultimo aspetto, visto la natura del palazzo oggetto della tesi, appartenuto alla classe borghese terriera, sembra necessario ripercorrere quelle che sono stata le tappe fondamentali della storia e dei luoghi di Favara, lungo un ilo che corre parallelo alla storia e ai luoghi della Sicilia. Favara prima di Favara_ a Muntagnè Non si hanno notizie certe e documentate sulle precise origini della città di Favara. Le più antiche testimonianze umane risalgono all’età del rame e del bronzo, ritrovate sul Monte Caltafaraci. Volgarmente chiamato Muntagneddra -piccola montagna- o Muntagnè, è un colle di 531 m. s. l. m., diviso in quattro parti: Caltafaraci, Montagna Grande, Riicia e Saraceno. E’ questo il luogo nel quale i primi abitanti della futura Favara si insediarono, favoriti dalla posizione di rilievo, dalle terre fertili e dalle sorgenti d’acqua. La zona presenta ancora oggi tracce di abitazioni trogloditiche e soprattutto sepolture sicule e preelleniche1 ed stato dedotto che Caltafaraci fu abitato dalle civiltà sicule dal Neolitico (2000-1500 sec. a.c.) ino all’Età del bronzo (XV-X sec. a.c.) e del ferro (X-V sec. a.c.). Al periodo greco-romano (VI-III sec a.c.) risalgono le tracce di una fortiicazione sul punto più alto di Caltafaraci, a dominio del bacino in cui scorre il iume Akragas. Furono rinvenute attorno alla fortezza insediamenti sparsi a carattere familiare, per lo sfruttamento agricolo. Sembra accertato che nel corso del VI sec. il colle di Caltafaraci sia diventato sede di un phrourion, avamposto militare di Akragas, che doveva proteggere l’antica città dei templi lungo quella via interna che in età romana collegava Agrigento a Catania. Distrutto durante l’assedio cartaginese che si abbatté su Akragante nel 406 a. C., costi1 C. ANTINORO, L’insediamento di Caltafaraci, http://www.favara.biz/memorie_storiche/civilta.htm, 2008.

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Vista del quartiere di Giarritella durante il mercato settimanale. In fondo “a muntagnè”. foto della seconda metà del Novecento.

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tuì in seguito il piede per la successiva fortiicazione dionigiana (IV sec. a.c.). L’utilizzazione del suolo favarese divenne sistematica nel periodo romano-bizantino (III sec. a.c.– IX sec. d.c.), quando per intensiicare la coltura del grano, il territorio venne suddiviso in grandi tenute agricole messe in relazione con delle ville rustiche, come quelle ancora oggi parzialmente sopravvissute di contrada Saraceno e Stefano. Si arriva così al 827 d.c., gli arabi conquistano la Sicilia e notizie frammentarie fanno sapere che sulle pendici del monte Caltafaraci sorgeva un RehalFewwâr o Rojalfabar (casale Favara), una grossa borgata saracena, di cui rimangono oggi i ruderi di alcune torri. È a questo periodo che si fanno risalire numerosi toponimi di matrice araba che permangono ancora oggi nella parlato favarese. Uno di questi è proprio Favara, da Favvârah, con il signiicato di polla d’acqua che sgorga con impeto, essendone il territorio abbondante, poi latinizzato in Fabaria. Favara quindi sin dall’inizio ha uno stretto legame con le sorgenti d’acqua: quella dei Canali e della Giarritella a sud-est, che oggi risultano inglobate nel centro storico, e quella di contrada Bargilamone, a sud-ovest del paese. Dopo l’anno mille Caltafaraci continuò ad essere abitato e alla ine del XIII sec. lo troviamo in possesso della contessa agrigentina Marchisia Prefolio, madre di Federico II Chiaramonte, primo feudatario della terra di Favara. La nobildonna nel 1299 donò Caltafaraci al monastero di S. Spirito di Agrigento.2 Dal XIV sec. la contrada dovette essere abbandonata ed è probabile che i suoi abitanti siano scesi a formare il primo nucleo nel feudo di Favara, già in possesso di Federico II Chiaramonte. Non è diicile capire come questo colle sia stato scelto, dai molti popoli passati per queste campagne, come luogo prediletto in cui vivere e coltivare. Il territorio di Caltafaraci, con le sue “piane” fertili e le sue sorgenti d’acqua a sud-est era il luogo ideale, considerata anche la posizione elevata, strategica per il controllo del territorio e garanzia di sicurezza.

2 A . ARNONE, Mito, storia e toponomastica nel territorio di Favara, Favara, Medinova, 1997, p.64.

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Mappa della Sicilia islamica di Piri ReĂŹs

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Dagli Arabi ai Borbone_ Storia della campagna sicula, storia di Favara Con una lunga guerra durata dal 827 al 902 d.c., la Sicilia passa sotto il dominio arabo, dopo quello bizantino. L’isola, liberata dal iscalismo e dal deprimente peso delle milizie bizantine, viviica la sua vita economica e sociale. Trae dalla sua posizione mediterranea i vantaggi dei commerci con le ricche città dell’immenso mondo arabo e rinnova la fonte prima della sua ricchezza, l’agricoltura. Questa risorge con un nuovo assetto: i latifondi vengono frazionati e alla culture estensive si sostituisce quella intensiva della piccola proprietà individuale. Il tenore di vita della popolazione cresce notevolmente. E al periodo arabo che risalgono alcuni casali nelle contrade favaresi. Ne sono riscontrabili delle tracce in contrada Saraceno, Stefano e Burraiti, i quali vennero utilizzati anche durante le successive dominazioni per poi essere abbandonati o inglobati in altre costruzioni nel corso dell’800’. Politicamente la Sicilia è soggetta ad un emiro, che solo nominalmente, dipende dal califo dell’Africa del nord, ma in realtà regna con poteri sovrani. Questa struttura entra in crisi nel sec. XI con il costituirsi dei vari poteri locali di principi arabi ribelli. Di lì a poco, nel 1061 i Normanni inizieranno la conquista dell’isola. Con profondo acume politico, i monarchi normanni non spezzano la continuità storica dell’isola ma vi si inseriscono e ne guidano il lusso. Rinnovando la fonte unitaria del potere e usando tolleranza etnica, religiosa e civile, viviicano la vita sociale ed economica. La civiltà siciliana nell’età normanna è la più aperta che mai abbia avuto l’isola, ma tuttavia è a questa medesima età che risale il germe della decadenza e del futuro regresso civile della Sicilia: il feudalismo laico ed ecclesiastico. In nuovo ordine della proprietà terriera, accentrata e tolta dalle mani di chi la lavora, l’indebolirsi del potere monarchico a vantaggio dei singoli feudatari, volgeranno la Sicilia ad un lento processo di decadimento. 3 Con la morte di Guglielmo II (1189) ha inizio per la Sicilia un lungo periodo di crisi e di conlitti. Quando Federico II di Svevia, dopo la sua incoronazione nel 1220, può prendere il reale controllo dell’isola, questa è in pieno decadimento. Comuni e nobili laici ed ecclesiastici hanno usurpato i beni della corona. Le loro lotte di prevalenza paralizzano la vita economica. A partire dal 1198, l’opera di Federico II di Svevia, re di Sicilia, mira ad instaurare un ferreo potere personale. Tale politica, se da un lato ha il beneico 3 G. BELLAFIORE, La civiltà artistica della Sicilia: dalla preistoria ad oggi, Firenze : Le Monnier, 1963, p. 11.

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Portale d’ingresso della cappella del castello Chiaramonte di Favara

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efetto di deprimere il potere feudale, dall’altro inaridisce la vitalità dei comuni e dei ceti produttivi, con il burocratico controllo della vita economica e dei commerci. Ma la politica interna dell’imperatore è condizionata da quella esterna, militare ed imperialista e dalle incessanti lotte che lo occupano ino alla morte nel 1250. Alle esigenze della sua politica militare, Federico piega l’architettura nella espressione più nuova e funzionale delle correnti gotiche. Questa nuova architettura conluisce saldamente in quelle che sono le costruzioni emblematiche federiciane: i castelli. Essa presiede alla natura modulata e rigorosa allo sviluppo planimetrico e d’alzato, al taglio asciutto e vigoroso della sostanza lapidea. Sono costruiti così un serie di castelli siciliani, concepiti secondo un piano organico che li distribuisce nei punti strategici dell’isola per sofocare ofese esterne e rivolte interne. 4 Appartiene a questo schema logico il castello Chiaramonte di Favara, secondo gli storici ediicato nel 1270 da Federico II Chiaramonte 5, primo suo feudatario, anche se alcuni studiosi lo farebbero risalire ad un periodo precedente, voluto direttamente da Federico II di Svevia, che vi avrebbe stabilito una residenza legata alla riserva di caccia di Burraiti, poco più a sud del paese.6 Ad ogni modo presenta lo schema tipico dei castelli militari svevi ed è alle sue spalle che prende forma il primo impianto urbanistico di Favara con i primi agglomerati assegnati ai coloni. Il tessuto urbano è irregolare e di impianto tipicamente medievale, con piccole cellule abitative in una itta maglia che segue l’andamento del terreno. Dalla ine del regno svevo, per molti secoli la feudalità diventa la protagonista della storia dell’isola, in contrasto o in equilibrio con il potere regio. Tutto ciò nel tempo stesso in cui nell’Italia settentrionale il regime feudale veniva liquidato. La nobiltà dell’isola, insidiata da quella francese, importata da Carlo I d’Angiò, muove la guerra del Vespro (1282-1302) e regge l’autonomismo dei Federico II d’Aragona. Ma alla morte di questo re, durante il regno di deboli successori, lo strapotere nobiliare tiene l’isola nell’anarchia, con feudatari latini in lotta tra di loro e contro la nobiltà catalana. Suddetto potere trova sempre più spazio in quanto i sovrani, avendo bisogno di eserciti feudali locali, erano costretti ad essere più accomodanti verso i sudditi più potenti. 4 G. BELLAFIORE, op. cit., p. 13. 5 V. AMICO, G. DI MARZO, Dizionario topograico della Sicilia, Palermo, S. Di Marzo Editore, 1859, Reprint, Sala Bolognese, Forni, 2006, 2 v, p. 438. 6 F. SCIARA, Favara guida storica e artistica, Favara, 1997, p. 9.

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In questa fase la terra acquista il tradizionale assetto con feudi incolti o a cultura estensiva; i contadini lasciano i villaggi e le fattorie e si raccolgono nei grossi borghi spesso all’ombra dei castelli feudali. Le famiglie feudatarie più inluenti in Sicilia sono i Ventimiglia, i Polizzi e i Chiaramonte.7 Per poco più di un secolo il casale di Favara fu sotto questi ultimi, i quali esercitarono il “mixtum et merum imperium”, una sorta di potere assoluto comprendente il potere amministrativo e quello giudiziario. Attorno al castello dei Chiaramonte, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, però non vi fu un grande alusso di coloni delle contrade vicine. Il paese stenta a crescere forse a causa del temperamento di questa famiglia, temuta ed odiata. Si sa che nel 1375 il casale di Favara contava appena cinquanta famiglie, numero rimasto quasi invariato per circa un secolo. Questo dato testimonia dunque che i contadini dei casali delle vicine contrade si mantennero lontani dal castello.8 All’anarchia feudale del sec. XIV pone freno, sullo scorcio di quel secolo, l’intervento diretto dei re aragonesi lanciati in una politica di espansione mediterranea. A partire dal 1392 i diversi re si impongono contro la nobiltà dell’isola e ogni velleità autonomista dei baroni siciliani. È del 1398 la revoca dei privilegi ai Chiaramonte, e la storia del castello e di Favara non si lega più a questa famiglia. In una primo momento il Re Martino conisca i loro beni, dando l’investitura e il castello chiaramontano al nobile Guglielmo Raimondo Moncada, e successivamente quando il Re si vede tradito da questi, concede la baronia di Favara a don Emilio Perapertusa, che è anche il primo barone del paese. Nel corso del 1400, il titolo nobiliare è più volte ceduto, ma ritorna inine al Perapertusa. Nel 1415 viene inviato in Sicilia il primo viceré, facendo dell’isola una provincia aragonese. Durante questo secolo di dominio diretto (sec. XV) l’isola partecipa all’impetuosa espansione dei commerci catalani e le sue città marittime sviluppano notevoli correnti di traico. In ristagno è l’economia agricola del retroterra spopolato e depresso.9 Favara nel 1439 conta ancora poche famiglie, quaranta, ed è uno dei centri abi7 D.M. Smith, Storia della Sicilia, Bari, 1973, vol. I, p. 98. 8 A. ARNONE, op. cit., p. 97. 9 G. BELLAFIORE, op. cit., p. 15.

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tati più piccoli del circondario di Girgenti.10 Questo calo demograico si frenerà soltanto tra il 1478 e il 1497. Il 28 gennaio 1494 Guglielmo Perapertusa concede la baronia in dote alla iglia Lucrezia dandola in sposa a Giosuè De Marinis, barone di Muxaro. I De Marinis conservano il titolo per circa 70 anni, sebbene con qualche breve interruzione, e successivamente lo cederanno a Ettore Pignatelli, duca di Monteleone. Nella prima metà del 500’ l’assetto economico e sociale dell’isola, basato sul commercio via mare, subisce una profonda crisi. L’apertura delle vie oceaniche e la deinitiva perdita dei mercati dell’oriente mediterraneo allontanano dalla Sicilia i commerci marittimi iorenti del secolo precedente. Va in decadimento il ceto artigianale e la ricca classe mercantile. Nel tempo del lungo regno di Carlo V, i rapporti tra il potere regio e il baronaggio siciliano seguono un nuovo corso. Sono rapporti di equilibrio che aprono un nuovo capitolo della storia siciliana, “modus vivendi” che si protrarrà ino alla metà del sec. XVIII. È l’età d’oro del baronaggio siciliano. 11 Dallo scorcio del sec. XVI e per tutto il sec. XVII si veriica nell’isola interna un’imponente trasformazione economica: la fonte prima di ricchezza torna ad essere quella tradizionale, cioè la campagna. Questa viene ripopolata da decine di borghi fondati, con privilegio sovrano, dalla nobiltà. Molti dei grandi feudi vengono messi a coltura ed in parte concessi in eniteusi a piccoli contadini. Il baronaggio supera così l’impasse della crisi.12 L’eniteusi era un contratto agricolo vantaggioso per il colono, perché aveva una durata di 29 anni, dietro pagamento di un canone isso annuale, con la possibilità di rinnovo per i igli. Permetteva così di poter investire sul terreno apportando migliorie e realizzando colture di pregio.13 Favara vive nel ‘500 il suo primo importante momento di sviluppo sociale e demograico. Nel 1548 si contano 500 abitanti, 1726 nel 1572 e ancora 2095 nel 1583. Si tratta di un aumento demograico enorme, che viene a quadruplicare la popolazione nell’arco di appena 35 anni. Una prima motivazione puntuale di questo grande alusso di coloni a Favara, potrebbe essere costituito dal fatto che nel 1548 il paese diventa Ente Morale, retto da un Sindaco, da un inquisitore di delitti, da un Prefetto e da un Vicario del Vescovo, anche se di fatto per 10 C. ANTINORO, Il centro storico, Sull’origine di Favara http://www.favara.biz/memorie_storiche/centro_storico.htm, 2008. 11 G. BELLAFIORE, op. cit., p.16. 12 G. BELLAFIORE, op. cit., p.17. 13 A. ARNONE, op. cit., p.104.

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Fonte Giarritella, foto degli anni Venti del XX.

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almeno altri due secoli il potere comunale sarà sempre nelle mani dei feudatari. Un’altra spiegazione potrebbe essere il probabile insediamento di una colonia di albanesi, provenienti da S. Angelo Muxaro, feudo appartenente ai De Marinis che detenevano pure Favara dal 1494 14, e che qui importarono il culto della Madonna dell’Itria. Prima del 1548 le novanta famiglie che il paese contava erano sistemate in buona parte intorno al castello, creando le premesse per lo sviluppo dei quartieri di S. Nicola e Matrice. Ma nel trentennio successivo saranno i quartieri a nord-ovest e nord-est del palazzo medievale a svilupparsi maggiormente, con agglomerati di abitazioni disposti attorno alla sorgente di Giarritella, che favorirà anche la nascita del mulino, del macello e delle concerie delle pelli nelle sue immediate vicinanze. Una seconda spiegazione allo spostamento del centro di Favara verso nord è la presenza di una confraternita, sorta in seno alla chiesa dell’Itria (1570), che proprietaria di numerosi fondi agricoli, agiva fortemente nel sociale, distribuendo ai braccianti nullatenenti terreni in eniteusi. Il castello Chiaramonte quindi perde la sua centralità, rispetto ai quartieri più sviluppati del Carmine a nord e dell’Itria e di San Francesco a nord-est, che fanno da corona all’importante fonte d’acqua di Giarritella. Soltanto nell’Ottocento il palazzo medievale ritornerà al centro dello sviluppo e delle attività cittadine.

14 A. ARNONE, op. cit., p.102.

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0327. Archivio di Stato di Agrigento, Miscellanea, Piante topografiche, geometriche e progetti, Comune di Agrigento, Comune Favara (Periodo preunitario), Pianta n. 327 Pianta topograica del territorio di Favara. Disegno a penna e acquerello.

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Il barone Antonio Mendola.

Vista di Piazza Cavour 1885 ca.

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Tra baroni e borghesia La classe baronale, pienamente vitale ancora nei primi decenni del 700’, guida la grande rinascita urbanistica della Sicilia e le si aiancano il ceto dei piccoli proprietari che sperimentano sulla terra nuove e più proicue colture. Larghe porzioni di quella parte della Sicilia traggono tuttora, da quel motivo di rinascita, il vantaggio di civiltà sulle altre zone. Il ritorno dell’isola alla tradizione economica agricola comporta un profondo rinvigorimento urbanistico di vaste campagne dell’isola interna. Il moto colonizzatore è guidato autoritariamente dal barone, piccolo sovrano che regola a suo proitto la vita del contadiname soggetto. La sua preminenza si mostra con la grandezza della sua dimora. Il palazzo sovrasta e guida l’assetto urbanistico di questi borghi feudali, concepiti dalla stessa mente del barone con rigida ortogonalità viaria di ascendenza rinascimentale. I centri agricoli dell’agrigentino, del nisseno e del palermitano, sono quelli che tuttora presentano i caratteri originari. Il breve regno sabaudo del 1713-18, la fugace dominazione austriaca del 1720-34, sono stati avvenimenti che non hanno inciso profondamente nella vita dell’isola. Fino alla metà del sec. XVIII l’economia siciliana, pur nell’ambito e nei limiti del regime feudale, è rimasta prospera. Ma la ricchezza fondiaria, non possedendo un’illuminata carica di sviluppo, non può tenere il passo delle esigenze dei feudatari e della splendida vita delle loro piccole corti: né sovviene il commercio e l’industria pressoché assenti nell’isola. L’unica fonte di ricchezza va insensibilmente sfuggendo al dominio dei nobili e passa nelle esose mani dei gabellotti. 15 Infatti l’eniteusi a lungo andare non piacque più alla feudalità, dedita in molti casi allo sfarzo delle grandi città siciliane. I canoni issi, che non tenevano conto dell’inlazione e lo spezzettamento delle terre operate dai contadini in favore degli eredi, rendeva diicile la riscossione del canone. Si difuse così la Gabella, aitto di un latifondo per la durata limitata di uno, tre, sei, nove anni. Unico responsabile della gabella era il gabellotto il quale, a sua volta, subaittava il feudo suddividendolo in lotti. Egli pagava la gabella ai nobili in anticipo e “li sollevava dal fastidio di trattare con i contadini, cosa che essi consideravano poco dignitosa” 16. Il gabellotto si sostituì così al feudatario e si stabilì nel feudo. Il baronaggio in questo modo si riduce, nel corso della seconda metà del 700’, a difendere passivamente il suo privilegio. Gli efetti negativi della gabella si ripercorsero in tutta la Sicilia e a Favara non fecero eccezione. Quando agli inizi dell’Ottocento la monarchia borbonica tenta di mettere 15 G. BELLAFIORE, op. cit., p.20. 16 D.M. Smith, op. cit., vol. II, p.358.

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Vista del centro storico e della chiesa madre dall’orologio del Castello Chiaramonte.

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ordine nel caos e di arginare la corruzione, la nobiltà reagisce e spezza il “modus vivendi” che ha retto per secoli i suoi rapporti col potere regio. Il conlitto tra monarchia e baronaggio è aperto. La lotta antimonarchica attraversa le sue fasi acute con le rivoluzioni del 1820, del ’48 e del ’60, nelle quali appare timidamente anche un terzo personaggio, il popolo.17 Nonostante il clima di disordine ottocentesco, con la Costituzione del 1812, che i Borbone furono “sollecitati” a concedere, si ha l’abolizione dei privilegi feudali, da cui i baroni riescono ad acquisire alcuni vantaggi: il feudo, prima bene inalienabile della Corona Reale, diviene proprietà del nobile che lo ha ricevuto in beneicio. In Sicilia, a diferenza di Napoli, anche iumi e sorgenti si convertono in proprietà privata. Il grande afare però della nobiltà è stato quello di essere entrata in possesso dei giacimenti di zolfo, presenti nelle proprie terre, rispolverando nel 1826 il diritto romano per cui “la proprietà del sottosuolo è congiunta usque ad inferas, con la proprietà della supericie”.18 Nel corso del 700’ Favara è sotto i marchesi Aragona-Pignatelli. Ultimi signori del paese, conservano il potere sino al 1812 quando, dopo l’abolizione dei privilegi feudali, venderanno tutti i loro beni ai signori locali. È questo il periodo in cui il numero dei baroni favaresi aumenta di colpo, in quanto divenuti proprietari delle terre dei feudi acquisiscono anche il titolo nobiliare. Sarà questa nuova e giovane classe di nobili che più di tutti lascerà un marcato segno sul tessuto storico favarese visibile ancora oggi, con i loro palazzi che si dispongono intorno al castello e alla sua piazza. Sono i Baroni Mendola, Caisi, Riccia, Licata, Miccichè, Piscopo. Queste famiglie furono grandi proprietarie di terre e miniere, e le loro ricchezze si accresceranno per tutto l’800.

17 G. BELLAFIORE, op. cit., P.21. 18 L. VALENTI, Le miniere di zolfo in Sicilia, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1925, p.12.

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Mappa del bacino zolfiero siciliano, tratta da Arti, mestieri e tradizioni locali.

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La via dello zolfo Dai primi decenni dell’800 ino ai primi del ‘900 si apre alla Sicilia, terra a vocazione agricola per eccellenza, la prima vera esperienza industriale, quella legata allo zolfo. Questo sarà la principale risorsa delle province di Girgenti, Caltanissetta e Catania. Ma la mancanza di disciplina ha determinato, in circa 90 anni di attività, l’alternarsi di numerose crisi e fasi di benessere, che cesseranno deinitivamente negli anni Venti del 900’, quando fa la sua entrata nel mercato dello zolfo l’America, con prezzi più competitivi. La causa principale delle diicoltà dell’industria dello zolfo fu il difettoso regime della proprietà. Le miniere, proprio come le campagne, vengono aidate ai gabellotti. Quindi la proprietà è suddivisa in un gran numero di piccole proprietà, che sono spesso di ostacolo al buon andamento dell’industria, delle condizioni lavorative dei minatori e dei rapporti commerciali con l’estero. Il sottosuolo favarese è ricchissimo di giacimenti di zolfo, secondo centro minerario della Sicilia, dopo Caltanissetta, per quantità di zolfo estratto. E’ proprio in questi due territori che, nel corso dell’800, si registra un notevole aumento della popolazione, più che in altre provincie siciliane in cui si estraeva zolfo. A Favara si passa infatti dai 6809 abitanti nel 1826 ai 21697 nel 1911.19 Lasciati i quartieri della Giarritella, dell’Itria e di S. Francesco, ci si sposta nei quartieri intorno alla piazza del Castello - nella quale nascono e aumentano i numerosi palazzi dei baroni Mendola, Caisi, Fanara, Piscopo ecc.- alla Fonte Canali e nel quartiere di San Vito ed altri. La nuova classe borghese, insignita spesso del titolo nobiliare, fa delle miniere di zolfo, dei vigneti e delle coltivazioni di mandorle, pistacchi, grano e ulivi la propria ricchezza. L’attuale centro storico è iglio di quest’epoca e questi signori. I principali quartieri che si delineeranno furono quello della Matrice a sud e di S. Antonio a nord, divisi dall’ortogonale “via lunga”, oggi via Umberto che, partendo a valle dalle spalle del Conzo, si incrociava nella zona media con la strada Nuova, oggi corso V. Emanuele, costeggiava la Badia (collegio di Maria, antica residenza dei De Marinis), ino ad arrivare al Calvario. Questi due principali quartieri erano, a loro volta, suddivisi in altri quartieri, i cui toponimi non sopravvissero tutti ino ai nostri giorni. Quelli arrivati a noi sono: _ per la Matrice i quartieri dei Canali, di San Vito, San Calogero e del Calvario; _ per Sant’Antonio i quartieri della Croce,del Carmine e della Giarritella; Fuori dal centro storico si hanno quello di San Francesco, della Guardia e della Grazia lontana.

19 L. VALENTI, op. cit., p.199.

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0272. Archivio di Stato di Agrigento, Miscellanea, Piante topografiche, geometriche e progetti, Comune di Agrigento, Comune Favara (Periodo unitario), Pianta n. 272 Illustrazione delle miniere di Favara. Disegno ad acquerello e penna.

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Mappa di Favara oggi

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Favara oggi Dall’inizio del XX secolo le forme della città moderna risentono delle espressioni più riduttive della cultura razionalista. Abitazioni a schiera o in linea si addossano alla struttura urbana dalla parte antica di Favara, per lo più allineate in isolati composti da lunghe stecche. Negli anni dopo la guerra e soprattutto in quelli delle speculazioni edilizie e del “caso Agrigento”, Favara cresce disordinatamente a diverse velocità e senza molte regole, intorno al centro storico. Le sue minute case di pietra e gesso, vengono abbandonate in favore dei nuovi più grandi e alti palazzi moderni. I cognomi delle ricche famiglie dei palazzi ottocenteschi, o si estinguono o in molti casi lascano Favara per trasferirsi nelle grandi città. Gli ultimi quarant’anni sono segnati dall’abbandono totale delle attività zolifere e in modo parziale anche dell’agricoltura e si ha avuto un forte rilancio dell’economia legata all’impresa edilizia e all’artigianato. La forte spinta dell’edilizia spontanea, in generale non regolamentata, fa crescere la città, senza un preciso disegno urbano, con una ridotta misura dei servizi primari, priva di tracciati regolatori, consegnandogli una forma disordinata, priva di gerarchia viaria e poco funzionale.1 La città registra una sorta di collasso interno, abbandonato il centro storico, tanti nuovi palazzi gli fanno da corona, aumentando progressivamente. Si ha così un cuore che muore sotto il peso dei suoi margini che si accrescono sempre di più e che, nel corso degli ultimi cinquant’anni, hanno preso il posto dei campi coltivati e dei vigneti. Oggi però, ancora una parte della popolazione rimane nei vecchi quartieri. Si utilizza il “però” perché, nella maggior parte dei casi sono famiglie che non godono di alti tenori di vita e restano perciò nelle vecchie case fatiscenti. Quindi se da una parte si auspica che il centro non venga abbandonato completamente, dall’altra è impossibile pensare di ritornarvi o rimanerci se non si provvede ad una sua ristrutturazione, pulizia e messa in sicurezza. Le strette vie del centro, lontane dai palazzi signorili, sono spesso luoghi di piccoli trafici illeciti, sporchi e degradati. Un tragico evento nel 2010 pone l’accento sulla questione delle condizioni di sicurezza del centro storico. Il crollo di una vecchia palazzina di tre piani nel quartiere del Carmine provoca la morte di due bambine. Inizia da quel momento una campagna di demolizione delle vecchie abitazioni (edilizia minore) del centro antico. I proprietari di questi immobili, messi difronte 1 Relazione generale al Piano Regolatore (L.R. n. 71 del 27/12/1978 e successive odiiche e i tegrazio i), . 23


Scorcio del rudere di un’abitazione su via Zanella.

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all’ordinanza di sgombero da parte del comune, dovettero scegliere se intervenire con opere di messa in sicurezza e ristrutturazione o con demolizioni. Nella maggior parte dei casi si procedette con la seconda, ritenendo che non valesse la pena investire del denaro nei lavori. Così oggi il tessuto popolare del centro storico è costellato di vuoti, che hanno smembrato la itta maglia di case che lo componeva. Negli ultimi cinque anni però si sta registrando un cambio di tendenza, il centro sta vivendo oggi una nuova fase, fatta di attenzione, valorizzazione e vitalità. Il merito è dell’inaspettata e fresca rivoluzione FARM, che ha contagiato cittadini ed imprenditori locali, che presa consapevolezza del patrimonio architettonico, stanno acquistando gli antichi palazzi ottocenteschi per restaurarli e dare loro nuova vitalità. Sono nate così realtà con ini culturali ma anche bar, ristoranti e attività commerciali. È un processo ancora lungo e che non si è ancora allargato a tutto il centro, ma sicuramente ha portato tra le strette vie del centro un’attenzione mai vista prima. Unico neo di questa situazione è che rispetto al nuovo corso, l’amministrazione locale si inserisce molto marginalmente, non provvedendo ad una pianiicazione organica che possa, da una parte stimolare una maggiore partecipazione dei privati e dall’altra svolgere un ruolo di controllo delle trasformazioni. Tutto questo, sotto l’onda dell’interesse economico, potrebbe danneggiare la genuinità e l’autenticità del centro storico, fatto di piccole case di pietra che aiancano i bei palazzi ottocenteschi.

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Favara ha un cortile al cui interno ha sette cortili sparsi, in passato ci trovavi i fichi, i bei giardinetti sistemati. C’era molto rispetto tra i vicini, e ancora più rispetto tra i compari, per le feste si ammazzavano le galline era un dovere appunto invitare. Noi bambini avevamo il divertimento giocando a nascondino quand’era sera, dalle cose cattive stavamo sempre lontani buttati sempre lì in giro. Ogni mattina c’era il chiama chiama quand’era pronta la ricotta a brodo, partivano di buon ora gli zolfatari, tanti contadini con l’aratro a chiodo. In questi cortili c’era un vero spasso, chitarre la sera...di notte serenate, qui non c’è più nessuno, non ci credo nemmeno, tante casette chiuse e abbandonate. Da qui molte famiglie se ne sono andate, all’estero o a stare nei condomini, io penso e forse forse non mi sbaglio che non hanno più sole ne vicini. In questo cortile, si, sempre ci entro e vedo appesa la targhetta, una scritta c’è: “ Cortile Bentivegna” dove abitava Croce e Marinella. Dov’è zio Benedetto e zio Paolino, dov’è zio Già con accanto zia Luzza, non scende più Giuseppina, bon’anima... e nemmeno Ida: “Glorie e Paradiso!”

Nella pagina precedente scorcio del Riad/Farm

Dico questi nomi e un nodo stringe in gola a chi li conosce e pure me, io sono del parere dell’antico che è la verità: il passato si desidera”.

A fianco, scorcio sui sette cortili prima dell’intervento Farm

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U curtigliu di setti curtiglia

Favara avi un curtigliu ca ddra intra ci su setti curtiglia sparpagliati, a tempi tu truvavatu li ficu, `i beddri jardineddra arrizzittati.

Di cca assà famigli si nni jeru all’esteru o a stari ni quartini, iu pensu e forsi forsi nun mi sbagliu ca `un hannu cchiù nè suli nè vicini.

C’era rispettu assà tra li vicini, c’era rispettu e cchiù tra li cumpari, ni festi s’ammazzavanu `i gaddrini era duviri appuntu lu `mmitari.

Ni stu curtigliu, si, sempri cci trasu e vidu `mpiccicata `a balateddra, na scritta c’è: “Cortile Bentivegna’’ unni abitava Cruci e Marineddra.

Nantri carusi haviamu lu spassu jucannu ammucciarè quann’era sira, di tanti cosi tinti sempri arrassu ittati sempri ddra, gira e rigira.

Unnè `u zi Binidittu e `u zi Pauliddru, unn’è `u zi Jà cu allatu a zia Luzza, `u scinni cchiù Pippina, bonarmuzza... e mmancu Ida: “Gloria e Paradisu!’’

Ogni matina c’era `u chiama chiama quann’era pronti `a ricotta a brodu, partivanu da ura `i surfarara tanti viddrani cu l’aratru acchiovu.

Dicu sti nnomi e un nodu stringi `a gula a ccu li canuscì e puru a mia, iu sugnu du pariri di l’anticu ca è `a vrità: “U passatu si disìa.’’

Ni sti curtiglia c’era `u veru sbiu, chitarri a sira... `a notti sirinati, ca `un c’è chiù nuddru no, mancu ci cridu, tanti casuzzi chiusi e abbannunati.

Salvatore Sciortino Poeta dialettale favarese

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“Farm Cultural Park non è un museo e non è una galleria d’arte. È un centro culturale di nuova generazione. Qui quello che conta non è la collezione permanente. Non importa il prodotto ma il processo; non il valore delle opere ma quello delle persone. Farm è un museo delle persone.” Andrea Bartoli co-fondatore di Farm Cultural Park

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Farm Cultural Park _ Qualcosa sta cambiando Farm Cultural Park è un centro culturale di nuova generazione, nato nel giugno del 2010 all’interno dell’antico Cortile Bentivegna, meglio conosciuto come “i setti curtiglia”. Questo pezzo di centro storico è formato infatti da sette piccole corti deinite da uno stretto tessuto di case di pietra e gesso, un tempo cuore vivace del quartiere. Farm Cultural Park nasce dall’intuizione di Florinda ed Andrea Bartoli, una giovane coppia di professionisti che ha deciso di restare in Sicilia, piuttosto che andare all’estero, per non lamentarsi di quello che non accade e diventare protagonisti di un piccolo ma signiicativo cambiamento, per ofrire alle loro iglie un mondo migliore di quello che hanno ricevuto. Abbandonato per trasferirsi in banali condomini moderni, questo pezzo del Centro Storico di Favara vive nel gennaio del 2010 una tragedia: il crollo di una palazzina fatiscente che determina la morte di due sorelline. I Sette Cortili, anche essi dimenticati, trascurati nelle manutenzioni e pulizie sono la sede di piccoli traici illegali e sembrano destinati per ragioni di sicurezza ad essere spazzati via con qualche settimana di ruspe o ghettizzati con delle mura alte fatte con blocchi di tufo. A resistere all’interno del cortile soltanto alcune signore, che lì sono nate e che non hanno intenzione di lasciarlo. Tutto cambia quando la coppia, appassionata d’arte contemporanea, acquista alcune abitazioni de “i Sette Cortili” e danno inizio alla trasformazione. Una rigenerazione urbana che passa attraverso le varie forme dell’arte. Le vecchie case, ristrutturate e dipinte di bianco, ospitano oggi luoghi di esposizione di arte contemporanea, spazi d’incontro, cucine a vista per workshop e pranzi, cocktail bar, shop vintage, spazi per coworking, spettacoli, concerti, presentazioni libri e altro ancora. Una rigenerazione questa che non si esaurisce mai. I muri bianchi delle case sono tele per artisti da tutto il mondo, che si tingono per alcuni periodi e poi di nuovo puliti, pronti per nuovi progetti. Nuove abitazioni negli anni sono state acquistate, le sale espositive sono diventate più grandi e nuovi spazi sono stati messi a disposizione di tutti. È stato aggiunto ai sette cortili anche un vecchio giardino murato che recuperato è oggi uno spazio piacevolissimo nel verde in pieno centro storico. Farm promuove ogni mese eventi ed occasioni culturali di notevole spessore. Hanno accolto workshop di design e architettura in partnership con grandi università italiane ed internazionali (Milano, Tokyo ecc.), architetti, scrittori e ricercatori. Diversi sono stati i gemellaggi con organizzazioni italiane per lo scambio di esperienze e competenze. È una realtà dinamica che ofre alla città possibilità di crescita e confronto preziosissime. 31


Vista di una casa del cortile Bentivegna prima di Farm. Vista Farm, nell’installazione dell’estate 2015

Vista Farm, nell’installazione dell’estate 2014

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Ma Farm oggi è andata oltre i sette cortili, perché la sua freschezza e il suo dinamismo hanno contagiato molti giovani e imprenditori locali, che stanno investendo moltissime risorse ed energie nel centro storico. Cuore della città di Favara è la grande piazza Cavour cinta sui suoi quattro lati dal castello medievale e da palazzi ottocenteschi. Mentre ino a qualche anno fa era luogo di ritrovo per pensionati e vecchi minatori, silenziosa e priva di vita, oggi Piazza Cavour è diventato un luogo vivace, fresco e pieno di energia. Giovani, bambini ed adulti, anche dei vicini centri, trascorrono qui serate tra i diversi locali che hanno aperto i battenti, bar, pizzerie, osterie e anche un alberghetto. Farm è quindi oggi per Favara una grande risorsa. È motivo di orgoglio per i suoi cittadini e soprattutto per i giovani. Sembra possibile desiderare tornare a casa dopo aver studiato per tanti anni nelle grandi città. Questo è un contesto stimolante, un sistema inclusivo. È il punto di convergenza di molte energie che hanno come inalità la rivalorizzazione del territorio, le sue tradizioni, e le sue risorse. Attorno a Farm orbitano giovani laureati che parlano, discutono e mettono in campo piani per il rilancio del castello, della piazza, dei quartieri. Farm accoglie nelle sue residenze artisti da tutto il mondo. Alcuni di loro, per cifre irrisorie, hanno acquistato case nel centro storico e le stanno ristrutturando. Non solo, anche altri privati hanno deciso di investire nel binomio centro storico/cultura, creando altre realtà molto interessanti nel non lontano palazzo Caisi, che mette a disposizione i suoi grandi spazi per manifestazioni culturali, letterarie e di design. Però i piani di Farm per Favara non si sono ancora esauriti perché ci sono in cantiere altri progetti. Uno è quello per il più antico dei palazzi Giglia, che sarà destinato a spazi per eventi interni ed esterni, spazi di coworking, agricoltura urbana ed ostello. Un altro, ancora più ambizioso, è quello che riguarda Palazzo Miccichè, e che accoglierà il Children Museum, una sorta di accademia delle arti dove i bambini giocando potranno accostarsi a tutte le forme di espressione della Cultura. Così l’arte, la cultura, l’educazione al bello a Favara non sono ine a se stesse, ma sono diventate uno strumento nobile per dare identità e futuro al paese e rigenerare il Centro Storico. Ecco il perché di questa tesi, ecco perché proprio Favara, ecco perché Palazzo Giglia

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SECONDA PARTE_I GIGLIA


Nella pagina precedente cronologia della Fam. Giglia. Interno di Palazzo Cafisi-Majorca.

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I GIGLIA

Alcune caratteristiche dell’architettura borghese L’architettura dei palazzi borghesi è espressione della posizione di privilegio nella gerarchia sociale della comunità, di una ristretta cerchia della popolazione, che vive prevalentemente delle rendite derivanti dai propri possedimenti terrieri. La nuova classe emergente che si sviluppa in Sicilia nel corso del XVIII e XIX secolo, adotta ben presto un modus vivendi proprio, uno stile di vita borghese con norme e valori comuni. L’abitazione borghese, anche se contraddistinta da agi e comodità, rispetto alla più povera edilizia rurale e contadina, era signiicativamente diversa dalle dimore gentilizie e delle classi nobiliari tradizionali. I grandi palazzi dell’aristocrazia erano infatti proiettati verso l’esterno con un trattamento estetico delle facciate, quasi sempre arricchite da sontuose balconate e da superbi portali sormontati dallo stemma araldico; mentre il palazzo borghese era generalmente più proiettata verso l’interno, organizzato spesso attorno ad uno spazio a cielo aperto e con un trattamento dei suoi fronti più asciutto e meno appariscente. Questo palazzo era dotato al piano terreno di una serie di ambienti di natura produttiva, come magazzini per la trasformazione dei prodotti agricoli e botteghe e i mezzanini di pertinenza della servitù. Si accedeva al piano padronale attraverso bei scaloni, che venivano spesso collocati lungo le mura perimetrali per godere della luce naturale, e ai piani superiori trovavano ubicazione i salotti, riccamente decorati, e le stanze dei signori. I materiali impiegati per la costruzione della casa borghese erano qualitativamente migliori rispetto a quelli adottati nella casa contadina, fatto questo che ne ha garantito le migliori condizioni di conservazione attraverso il tempo. I bei palazzi del centro storico di Favara, databili pressoché tutti intorno al XIX secolo, non fanno eccezione rispetto a quanto descritto, e saranno quelli delle famiglie dei baroni Mendola e Caisi, dei Licata, dei Miccichè e della Famiglia Giglia.

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Palazzo di Filippo Giglia.

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La famiglia Giglia e i loro palazzi Presenti a Favara sin dalla seconda metà ‘500, con Giacomo Giglia amministratore per conto dei marchesi De Marinis, la famiglia Giglia è una delle più importanti famiglie di proprietari terrieri di Favara nel corso dell’Ottocento. Con un feudo di 780 salme siciliane, i Giglia stabiliscono la loro residenza in paese nel quartiere di San Vito, a partire dal 1813, anno in cui vengono celebrate le nozze tra Filippo Giglia e Margherita Mendola, iglia del barone Andrea Mendola. Queste nozze faranno assumere alla famiglia Giglia una nuova e maggiore importanza, in quanto i Mendola erano un’importante famiglia favarese, insignita del titolo baronale e ricca proprietaria terriera. Saranno i genitori di Margherita a regalare agli sposi “due grandi case terrane del valore di onze 100 nel quartiere di San Vito...”1. È questo il primo nucleo delle tre residenze Giglia che si realizzeranno nel corso dell’800 e inizi del ‘900, all’incrocio di via Zanella e Via Sott. Ten. Giglia. Dal matrimonio tra Margherita e Filippo nacque nel 1819 Gaetano, che fu il proprietario del palazzo oggetto di studio di questa tesi. Diversi componenti della famiglia si distinsero nell’ambito della politica favarese per aver ricoperto il ruolo di sindaco del paese. Il primo fu proprio Gaetano dal 1853 al 1855, seguito nel 1897 dal iglio Angelo che ricoprì la carica ino al 1911 e i cui igli faranno tutti parte degli organi comunali. L’impegno politico si tramanderà ancora con Antonino Giglia sindaco dal 1920 al 1921 e Giulio dal 1932 al 1936. Queste personalità risiederanno con le loro famiglie nei palazzi di via Zanella, lasciando in ognuno una traccia della loro permanenza, con aggiunte, modiiche e demolizioni. Non si ha a disposizione cospicuo materiale documentario che possa testimoniare una precisa datazione degli ediici, le diverse fasi costruttive o stabilire chi sia stato il costruttore o l’architetto. Si è però in grado di collocarli in fasce temporali, facendo riferimento a testimonianze orali, alle datazioni di matrimoni, interpretando i diversi caratteri costruttivi delle sue parti e procedendo per assonanza con altri ediici del centro storico. Afacciandosi su questo stretto e articolato asse viario, che collega il quartiere della Matrice con quello del Calvario, il palazzo più antico su via Zanella risulta proprio quello di Filippo e Margherita, risalente ai primi dell’Ottocento, che si dispone nella parte più alta della strada ad ovest e occupante un ampio isolato. Di un’architettura asciutta ma rainata si articola su tre livelli ed intorno a ampi cortili interni. Fa ricorso in facciata di neostili classici con cornici e balconi di pietra calcarea e un grande portale di ingresso sulla perpendicolare via Sott. Ten. Giglia. 1 F. SCIARA, Favara guida storica e artistica, Favara, 1997.

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Palazzo di Paolo Giglia.

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Ad angolo con quest’ultima venne ediicato in ordine temporale il secondo palazzo della famiglia, quello di Gaetano, iglio di Filippo, oggetto dello studio di tesi. Dalle importanti dimensioni, anche questo ediicio ha il suo ingresso principale sulla laterale via Sott. Ten. Giglia e, seguendo l’andamento in salita di via Zanella, termina ad una quota più bassa su cortile Sgarito. Ultimo e terzo palazzo Giglia è quello voluto dal iglio di Gaetano, Angelo, per il iglio Paolo, che si colloca di fronte al precedente, stretto lateralmente da piccole case minori. Risalente al 1909, si presenta con un fronte semplice ma abbellito da un portale d’ingresso in pietra. Dei tre palazzi questo è il meglio conservato e l’unico ancora oggi abitato. Abbandono e degrado fanno oggi da padroni ai due palazzi più antichi, quello di Filippo e di Gaetano, che risultano pesantemente danneggiati dall’azione del tempo e degli agenti atmosferici. Per il primo si prospettano in futuro interventi di ristrutturazione e rifunzionalizzazione. Acquistato dai proprietari di Farm Cultural Park vuole diventare un ulteriore spazio dedicato all’arte e alla cultura. A questo scopo, nel maggio del 2015 il palazzo è stato il tema della diciassettesima edizione del Compasso Volante, competizione indetta dal Politecnico di Milano che, insieme all’University of Tokyo e la Japan Women’s University, ha proposto una serie di idee di intervento inalizzate al riutilizzo delle sue parti esterne per poter ospitare eventi culturali e musicali e alla ristrutturazione dei locali interni per spazi di coworking, di incubazione per start up e altre funzioni ricettive. Il secondo invece, l’oggetto dello studio di tesi, è oggi di proprietà della società “Sette Cortili s.r.l.”, che lo ha acquistato nel 2009 allo scopo di creare una struttura turistica ricettiva. Questa intenzione non trova oggi compimento e non si conoscono quali saranno le sorti dell’ediicio nell’immediato futuro. Quello che oggi risulta però necessario è un tempestivo intervento di messa in sicurezza e protezione dei suoi ambienti dagli agenti atmosferici, che non trovando ostacoli in coperture o inissi integri, danneggiano pesantemente le superici e le strutture interne

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Palazzo di Gaetano Giglia.

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Il palazzo di Gaetano Giglia Nelle immediate vicinanze della residenza del padre, Gaetano Giglia fa costruire il suo palazzo probabilmente a cavallo o successivamente al 1852, anno delle sue nozze con Giulia Lombardo. Proprietario terriero come il resto dei componenti della famiglia, la sua residenza presenta i tratti tipici delle abitazioni della piccola borghesia dell’ottocento siciliano. Non è noto chi sia stato il mastro costruttore, ma una serie di considerazioni porterebbero a pensare che sia opera dei fratelli Castellana. Si sa infatti che i due erano attivi sul territorio favarese a cavallo della metà dell’Ottocento e che la loro bottega si trovasse proprio nel quartiere di San vito, nelle immediate vicinanze dei palazzi Giglia. Si sono osservate inoltre delle similitudini con un altro palazzo del centro storico, da loro realizzato. Si tratta del palazzo di Michele Caisi, sito nelle prossimità di piazza Cavour, risalente al 1840 e presenta alcuni elementi e tecniche costruttive che richiamano palazzo Giglia: _Il primo ed il più evidente è il trattamento della parte basamentale, in conci di pietra calcarea ben squadrati, che presenta lo stesso tipo di aperture con archi ribassati. Anche questi sono percorsi da una scanalatura e si poggiano su delle piccole cornici per parte dello spessore, proprio come in palazzo Giglia. _Il secondo elemento di comunanza sono le volte a crociera del piano terra e quelle sullo scalone. Con larghi porzioni d’appoggio, sono costituite, non da una tessitura di piccoli elementi spingenti, ma piuttosto da una gettata di cemento su centine. _Il terzo aspetto che accomuna i due palazzi è la stessa tessitura della muratura portante, in pietrame misto intervallato da ricorsi orizzontali di ripartizione. Probabilmente questa dev’essere stata una tecnica comune a molti altri ediici del centro storico, ma ad ogni modo è sembrato importante citarla tra gli elementi di assonanza con palazzo Giglia.

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Piante Palazzo Giglia

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L’IMPIANTO L’impianto planimetrico di quest’ediicio è singolare, in quanto presenta due assialità. Afacciandosi su due strade, disposte secondo un angolo leggermente acuto, colloca il proprio ingresso principale sulla più piccola via Sott. Ten. Giglia, sulla quale si trova anche l’ingresso al palazzo del padre, mentre il trattamento dei fronti alluderebbe ad un ingresso padronale sulla principale arteria di via Zanella. È infatti lungo quest’asse che si ha un maggiore sviluppo planimetrico del palazzo, che viene valorizzato da un’interessante loggia colonnata al primo piano, in asse con un portone centinato del piano terra che sembra quasi denunciare un ingresso importante. Ma in realtà è solo un’illusione, questo portone introduce a degli ambienti di deposito e di servizio, che si aiancano ad altri due locali ammezzati, probabilmente già botteghe. Gli ambienti interni così si dispongono secondo l’asse ortogonale a via Sott. Ten. Giglia, per poi risolvere l’innesto con via Zanella, con degli spazi di connessione triangolari, che celano così l’irregolarità del lotto. Seguendo il dislivello di via Zanella, il palazzo termina al livello del retrostante cortile Sgarito, nel quale si collocano altri due ingressi, uno più grande probabilmente per i cavalli o i carri, mentre uno più piccolo che immetteva agli spazi che si afacciavano al cortile interno . Fonti orali riferiscono che su cortile Sgarito il palazzo aveva una maggiore estensione planimetrica, con spazi di servizio o deposito, oggi occupati dal rudere in calcestruzzo armato di una costruzione moderna. Una porzione del cortile interno, disposto nella parte nord-est dell’ediicio, era occupata dal volume delle cucine e degli ambienti di servizio, che sono crollati gradualmente negli ultimi anni. I FRONTI Di gusto neoclassico, i due fronti sulla strada si caratterizzano per un paramento murario in pietra calcarea ben tagliata che percorre tutta la fascia basamentale, ino ad arrivare alla quota più bassa di via Zanella. Delle aperture centinate o ad archi ribassati scandiscono il piano terra, molte delle quali risultano tutte o in parte tamponate con pietrame e cemento. Il principale portale d’ingresso presenta un arco policentrico, incorniciato da due colonne dal capitello corinzio, addossate al paramento murario, che reggono una trabeazione terminante con un balconcino al primo piano. Anche questi elementi decorativi risultano essere di pietra calcarea. Il secondo livello dei fronti è invece trattato diversamente. La muratura in 45


Vista del loggiato su via Zanella.

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bozze di pietra arenaria è a vista, e non si sa con certezza se un tempo abbia avuto un qualche tipo di trattamento cromatico. Si può ipotizzare però, considerando il trattamento dei fronti retrostanti e osservando l’aspetto di altri palazzi dello stesso periodo, che sicuramente vi era uno strato di malta cementizia a base di gesso che uniformava la supericie. Diverse porte inestre denunciano gli ambienti padronali interni e si afacciano su piccoli balconi di pietra, retti da delle mensole in ferro. Il ricorso al ferro per reggere le balconate è una soluzione molto difusa in tutto il territorio agrigentino ma di fattura posteriore rispetto agli anni della costruzione di palazzo Giglia. Osservando con attenzione le porzioni di muratura attorno alle inestre, si può notare come sia le cornici sul basamento sottostante che la muratura intorno, sono state interessate da interventi successivi. Quindi si potrebbero avanzare alcune ipotesi, e cioè o che in origine in quelle posizioni ci fossero delle normali inestre o che altrimenti ci fossero ugualmente, forse con dimensioni diferenti, delle porte inestre, con balconate rette da mensole in pietra, per qualche motivo poi rimosse e rimpiazzate da quelle in ferro. Come accennato, lungo il fronte più esteso, una loggia con balcone scandisce la parte centrale del secondo livello, retta da delle colonne di pietra calcarea, dal capitello dorico. La sua pianta è di forma triangolare, in quanto risulta essere l’elemento di normalizzazione degli ambiente centrale interno che è orientato secondo l’asse dell’ingresso principale. Una terrazza chiude inine il secondo livello, cinta sul lato retrostante da un basso volume in muratura. Il terzo livello del palazzo, secondo testimonianze tramandate oralmente, è il risultato di un parziale ampliamento operato dal iglio di Gaetano Giglia, Angelo, che probabilmente sul inire dell’Ottocento vi andò ad abitare. Più precisamente, gli ambienti che si afacciano su via Sott. Ten. Giglia si presumono facciano parte dell’originario complesso, mentre parte di quelli che guardano via Zanella furono realizzati successivamente. Ciò lo si deduce sia dal trattamento e dalla costituzione delle superici, sia da alcuni materiali più moderni adoperati all’interno. I fronti che si afacciano sul retrostante cortile Sgarito, sono invece privi di paramento murario. Un semplice arco di pietra abbellisce l’ingresso più ampio e uno strato di malta cementizia e gesso ricopre parzialmente le superici, lasciando intravedere spesso, a causa del deterioramento, il pietrame di arenaria che costituisce la tessitura portante.

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GLI INTERNI Una volta superato il portale d’ingresso ci si trova in uno spazio di accoglienza che smista i diferenti lussi del palazzo. Andando avanti si accede alla scala che conduce al piano padronale, mentre sulla destra vi è l’ingresso agli ambienti di deposito e magazziono, tipici dei palazzi borghesi. Mentre la prima stanza, disposta ad una quota inferiore e parallelamente a via Sott. Ten. Giglia, aveva probabilmente un solaio ligneo, a questo livello vi erano due ambienti voltati a crociera. Una collocato lungo un lato della corte, mentre l’altro, in posizione centrale rispetto all’intero impianto, aveva l’accesso anche da via Zanella, attraverso quella porzione triangolare che sottende la loggia del piano superiore. Delle due volte a crociera soltanto la prima è sopravvissuta agli interventi di rimaneggiamento del decennio passato. Sfruttando il dislivello della strada, vengono ricavati al piano terra degli ambienti, muniti di piano ammezzato, ad una quota diversa rispetto quella d’ingresso. Sono le stanze che si collocano nella parte inale del fronte di via Zanella, sotto la terrazza e che girano su cortile Sgarito. Anche in corrispondenza della corte si dovevano collocare degli altri ambienti voltati a crociera. Questo lo si deduce osservando le tracce sulle murature superstiti. Lasciato il piano terra, si giunge al piano padronale attraverso una scala, le cui rampe e pianerottoli sono voltati a crociera ed illuminati da grandi inestre centinate, che guardano la corte. Immessi in una prima stanza che doveva servire da disimpegno, possiamo ipotizzare con ragionevole certezza che questo primo piano dovesse essere l’ambiente di rappresentanza per eccellenza del palazzo, in quanto osservando i solai superstiti si vedono ancora le tracce di decorazioni pittoriche. Inoltre la stanza centrale immetteva nella graziosa loggia colonnata. Quindi salotti e sale da pranzo trovavano sicuramente qui posto, serviti da quello spazio di servizio che si afacciava un tempo sulla corte, e che attraverso delle minute scala interne, raggiungeva gli spazi dei due piani superiori. Per quanto riguarda la collocazione delle stanze da letto, si potrebbero avanzare due ipotesi: la prima è che si trovassero inizialmente tutte al piano superiore, lungo quella porzione di piano che dovevano afacciarsi su via Sott. Ten. Giglia; la seconda è che invece parte di questi si trovassero anche al primo piano, nelle stanze a destra del disimpegno. Infatti ipotizzando che le stanze di rappresentanza, già numerose, fossero orientati verso la parte del palazzo che termina nella terrazza su via Zanella, le camera si dividevano tra il primo e il secondo piano che dà su via Sott. Ten. Giglia, considerando che 48


probabilmente il numero dei componenti della famiglia fosse numeroso. Quello che è certo è che, a partire da una data imprecisata della seconda metà dell’Ottocento, il secondo piano fu ampliato da Angelo Giglia, iglio di Gaetano. Questo lo si nota anche dal tipo di materiali impiegati. Per gli intradossi dei solai al piano superiore vengono adoperate delle fascette di legno, tutte uguali e ben tagliate, che denunciano il cambiamento delle tecniche di produzione dei materiali da costruzione, che si iniziano ad impiegare a cavallo dei due secoli. I CAMBI DI DESTINAZIONE Nel corso del Novecento le destinazioni d’uso degli ambienti interni di palazzo Giglia mutano diverse volte. Mentre le stanze del piano terra conservano la loro funzione di magazzino e deposito ancora per molti anni, il primo piano diventa la sede di una banca privata, appartenuta al nuovo proprietario del palazzo, il iglio di Gaetano, Angelo. Probabilmente ereditato alla morte del padre nel 1882, Angelo come già detto apporterà delle modiiche al piano superiore, trasferendo lì la propria abitazione probabilmente proprio per far posto ai nuovi ambienti della banca. Successivamente, con il matrimonio di uno dei igli, anche il primo piano ritornerà ad essere un’abitazione e il palazzo ospiterà negli anni le famiglie dei diversi discendenti della famiglia Giglia. L’ediicio fu abitato così per quasi tutto il Novecento, per essere poi abbandonato deinitivamente circa un trentennio fa, in favore di nuove e più moderne case, fuori il centro storico, sorte comune anche agli altri palazzi vicini.

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Vista di una stanza del secondo piano.

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Gli interventi degli anni Novanta Inizia da questo momento la tragica sorte dell’ediicio. Acquistato da due privati, viene interessato negli anni novanta da pesanti interventi interni che ne danneggiano la struttura e ne mutano profondamente la spazialità interna. Allo scopo di ricavare un ulteriore piano, recuperando parte dei sottotetti, inizia un’opera di progressiva demolizione dei solai in legno e delle volte per realizzare una nuova struttura portante in calcestruzzo armato in adiacenza alle murature originarie. Questo nuovo telaio viene pensato non considerando il grave danno arrecato ad un ediicio storico, tanto meno tenendo presente questioni di mera fruizione. Infatti il primo livello dell’impalcato era previsto alla stessa quota dell’originario solaio. Gli ambienti del secondo livello invece impostandosi su una quota più bassa del precedente, avrebbero avuto un solaio superiore passante all’altezza mediana delle porte inestre, impedendone quindi anche l’accesso. Inoltre per gli stessi motivi, non è chiaro in che modo la seconda rampa di scale avrebbe dovuto raggiunge il solaio del secondo livello, essendo questa attestata ad una quota più alta. Realizzata solo in parte, grazie all’intervento della soprintendenza di Agrigento che, denunciando i proprietari e il costruttore, pone ine ai lavori, a testimoniare il programma appena descritto vi sono le tracce praticate sulle murature perimetrali per il passaggio dei cordoli, i fori nelle murature interne per le travi e nei solai per i pilastri. Oggi il palazzo risulta gravemente danneggiato. Una delle volte a crociera del piano terra venne demolita, l’altra perforata agli angoli per il passaggio dei pilastri in calcestruzzo armato. Vengono realizzati due nuovi solai in laterocemento in corrispondenza degli ambienti del primo e del secondo piano che si afacciano su via Sott. Ten. Giglia. I solai degli ambienti ammezzati del piano terra vengono parzialmente smontati e non vi è più traccia in nessun ambiente del palazzo di pavimentazioni. La stanza al piano terra che si afaccia su cortile Sgarito e la corte retrostante diventano una sorta di discarica per i materiali di demolizione, che si aggiungono alle macerie del volume delle cucine crollato. Diverse superici verticali e orizzontali risultano perforate per il passaggio di cordoli e travi. Pilastri incompleti e ferri che fuoriescono dal pavimentano sono disseminati per tutto il palazzo. Il pianerottolo della scala al primo piano risulta crollato e le volte, che coprono le rampe, gravemente fessurate. I manti di copertura, anche se non demoliti hanno subito dei danneggiamenti, e così gli ambienti interni sono continuamente soggetti all’azione degli agenti atmosferici, anche a causa degli inissi in legno spalancati e poco integri. Il palazzo versa in queste condizioni da una decina d’anni. Abbandonato del 51


tutto, necessita urgentemente di interventi che ne mettano almeno in sicurezza le murature, soprattutto quelle sulla corte, e ripristino le coperture, per impedire che le continue iniltrazioni d’acqua continuino a danneggiare le superici.

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Vista ambiente privo di volta a crociera del piano terra.

Vista della successione delle perforazioni dei solai.

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TERZA PARTE_ ANALISI DELLO STATO DI FATTO


Nella pagina precedente, scorcio del volume scala dal livello inferiore.

Elaborato del laser scanner, impiegato per il rilievo digitale.

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ANALISI DELLO STATO DI FATTO

Il rilievo Le operazioni di rilievo di Palazzo Giglia sono state condotte inizialmente avvalendosi del metodo diretto, con l’ausilio di strumenti di misurazione manuale. Solo in un secondo momento si ha avuto la possibilità di condurre un rilievo digitale attraverso laser scanner, messo a diposizione da una società che si occupa di restauro e conservazione (MIMARC), la quale è stata anche di supportato nell’impiego dello strumento e nella restituzione dei suoi elaborati. Soltanto pochi ambienti di palazzo Giglia non sono stati sottoposti a rilievo diretto. Questo è stato determinato dalle condizioni in cui versa l’ediicio. Infatti gli interventi di rimaneggiamento avvenuti negli anni novanta hanno profondamento danneggiato molte strutture, per cui in alcuni ambienti è stata preclusa la possibilità di accesso per la mancanza dei solai, ed è il caso di alcune stanze del primo piano, della terrazza e della loggia su via Zanella; mentre per altri ambienti, come le stanze del secondo piano che si afacciano su via Sott. Ten. Giglia, non vi sono state suicienti condizioni di sicurezza per cui svolgere le operazioni suddette, poiché il solaio ligneo di copertura si presentava pesantemente danneggiato e prossimo al collasso. Il rilievo diretto si è svolto secondo le canoniche fasi di campagna e di restituzione. La fase di campagna è stata così strutturata: _ deinizione di un progetto; _ elaborazione di eidotipi, sulla base del rilievo a vista e di rilievi di massima, messi a disposizione dal proprietario dell’ediicio; _ tracciamento della fondamentale orizzontale; _ acquisizione misurazioni in pianta; _ acquisizione misurazioni in alzato. Gli strumenti di cui si è fatto uso sono stati la rotella metrica, il metro a stecca, metro a nastro, ilo a piombo, disto e livella laser. La metodologia operativa adoperata è stata quella delle trilaterazioni, per il rilievo delle piante e quella delle coordinate ortogonali, in dove è stato possibile, per il rilievo degli alzati. La deinizione del piano orizzontale di riferimento ha tenuto conto del fatto che gli ambienti del piano inferiore, che prospettano su via Zanella, via Sott. Ten. Giglia e cortile Sgarito, hanno tutti quote diverse. Si è cercato di limitare il più possibile la variazione del piano di riferimento. Pertanto adoperando la livella laser, a partire dallo spazio d’ingresso principale, si è tracciato un piano inizialmente molto basso, che una volta entrati nella seconda stanza, ha as57


sunto una quota più alta e che è riuscito a passare anche negli altri ambienti di quota diferente, collegati ad essa. Dopodiché si è proceduto rilevando le singole stanze, partendo dalle aperture che le mettevano in comunicazione, con il metodo delle trilaterazioni. Sono state anche efettuate delle misurazioni di veriica, attraverso diagonali passanti da una stanza ad un’altra. Terminato il rilievo del piano terra si è passati a quello della scala per arrivare al primo e al secondo piano. Sulle scale si è tracciando un piano orizzontale che permettesse di misurare il dislivello tra un pianerottolo e un altro, dopodiché sono state prese le misure del vano, il numero e le dimensioni delle alzate e delle pedate, le misure dei pianerottoli e la lunghezza delle rampe. Le prime due rampe di scale sono voltate con voltine a crociera, mentre superato il primo piano si prosegue con delle volte a botte. Quindi dal punto di vista altimetrico, il rilievo è stato afrontato per coltellazioni, avendo avuto cura, con l’ausilio della livella laser, di efettuarle sia in mezzeria che sui lati. Anche la parte basamentale dei prospetti esterni è stata rilevata con il metodo diretto, adoperando le misurazioni parziali e progressive per il posizionamento delle diverse aperture, e le coltellazioni per la deinizione dei loro proili. Per la restituzione delle parti più alte dei fronti si è dimostrato fondamentale l’uso del laser scanner. Per quanto riguarda il rilievo digitale, è stato fondamentale il supporto tecnico dell’addetto al laser scanner, sia nella fase operativa sul campo, che in quella di restituzione dei suoi elaborati digitali. È importante speciicare che i rilievi così efettuati non hanno sostituito il rilievo manuale, in quanto quello è stato efettuato per tutti gli ambienti dei diversi livelli in cui è stato possibile accedere. È meglio dire che il rilievo digitale si è posto come strumento complementare a quello manuale: da una parte è stato utile per la veriica delle misurazioni già efettuate e dall’altra ha fornito tutti quei dati che non sono stati accessibili al rilievo diretto. Si tratta delle misurazioni relative ai livelli più alti dei fronti esterni, agli spazi interni più complessi in cui non è stato possibile efettuare coltellazioni, come l’ambiente al piano terra, privo di solaio, in cui il piano di calpestio risulta occupato da molti detriti e la corte interna, anche questa colma di materiale di demolizione e macerie. Le fasi di rilievo diretto e digitale sono state accompagnate da un cospicuo rilievo fotograico, che ha consentito di memorizzare un gran numero di dettagli e particolari. Questo si è rivelato importantissimo per la comprensione del manufatto, nella successiva fase di analisi, quando non si era più sul campo. 58


La fase di restituzione è stata efettuata digitalmente mediante programma CAD ed è avvenuta parallelamente ai lavori di rilievo, man mano che la quantità di dati acquisiti permetteva la deinizione dei diversi ambienti. Attraverso le immagini acquisite dal laser scanner, dal rilievo fotograico e avendo come supporto il rilievo restituito è stato possibile ottenere i fotopiani sia degli interni che degli esterni, sui quali sono state condotte le successive analisi del progetto.

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L’analisi dei materiali Osservando il tessuto dei palazzi signorili del centro storico, emerge come certi materiali, trame e cromatismi siano ricorrenti nel trattamento dei fronti. Pietra tufacea, calcarenite bianca, gessi e malte grigie sono i materiali più diffusi, a testimonianza del fatto che il territorio di Favara fosse ricco di minerali e cave di gesso, calcari e arenarie. Palazzo Giglia entra a pieno titolo in questa caratterizzazione, con il suo basamento in pietra, le murature in bozze di arenaria e le sue superici di malta cementizia a base di gesso. Ma oltre a questi materiali immediatamente visibili sin dall’esterno, l’analisi materica ha messo in evidenza altri elementi di natura diferente, che hanno oferto lo spunto per nuove rilessioni circa lo sviluppo e l’uso di palazzo Giglia nel tempo. L’analisi materica è stata condotta analizzando e documentando fotograicamente i materiali e le superici osservate in loco, facendo in seguito una classiicazione in base alla loro tipologia e impiego. Si ha così la seguente diferenziazione: _ apparecchi murari; _ intonaci, malte e tinteggiature; _ elementi metallici; _ elementi lignei; _ elementi decorativi _ altro.

A sinistra, analisi materica di una sezione.

GLI APPARECCHI MURARI_Dall’osservazione di alcune parti dell’ediicio, sprovviste di rivestimento supericiale, è emerso che l’apparato portante di palazzo Giglia è costituito da muratura in bozze di pietra arenaria, intervallata da ilari orizzontali di ripartizione. La parte basamentale del palazzo, che prospetta su via Sott. Ten. Giglia e via Zanella, è rimarcata da un rivestimento in blocchi di pietra calcarea chiara, ben tagliata, che con conci sagomati si modella in corrispondenza delle aperture in archi ribassati e architravi. La stessa pietra è stata impiegata per le cornici marca piano, le due grandi colonne doriche che segnano la loggia del piano nobile e l’apparato decorativo del portale d’ingresso di via Sott. Ten. Giglia. Una particolarità da osservare nell’apparecchiatura del basamento è l’inserimento di una fascia di pietra calcarea tenera, detta dalle maestranze locali più anziane “trubazzu”, che si dispone come fascia di ripartizione dei carichi, in corrispondenza della variazione di quota che si registra negli ambienti del piano terra. Di questo stesso materiale sono stati anche stati rintracciati dive61


si diatoni lungo tutta la fascia basamentale. A causa di interventi che si sono succeduti nel tempo, le superici murarie risultano intramezzate da porzioni di muratura diferente, come in alcuni punti dei fronti stradali, dove si osserva una tessitura in mattoni di laterizio pieni, utilizzata come rattoppo in seguito all’apertura di inestrelle di servizio. Internamente le ripartizioni verticali si diferenziano in murature portanti e non portanti. Quelle portanti sono realizzate con la stessa trama di quelle esterne, pietra arenaria e malta cementizia, ed in corrispondenza delle aperture, sia delle inestre che delle porte, si osservano degli architravi in legno, spesso doppi. Le murature non portanti, che igurano soprattutto negli ambienti di servizio che si afaccia sul cortile interno, sono invece costituiti da uno strato di malta cementizia supportato da un telaio ligneo con cannicciato. Come già anticipato, al piano terra si osservano i resti superstiti di due volte a crociera. Una completamente demolita e quella perforata agli angoli, quasi integra. La loro condizione ha permesso comunque di capire la tecnica costruttiva impiegata. Gli archi lungo il perimetro sono in pietra arenaria, e le vele in cemento gettato su centine. Osservando infatti i fori di quella ancora esistente, si nota come, contrariamente a quanto ci si aspettasse, non vi siano elementi come mattoni o blocchi spingenti, ma si tratta piuttosto di una struttura più leggera. Dalle le tracce sulle superici dell’ambiente privo di solaio, si nota anche come gli angoli delle volta non fossero pieni, ma occupati da voltine cilindriche che assolvevano alla funzione di sostegno dell’impalcato superiore, senza appesantire la struttura. GLI INTONACI, LE MALTE E LE TINTEGGIATURE_In merito all’utilizzo di malte ed intonaci è interessante porre l’attenzione sul tipo di malta impiegata. Declinata nelle diverse parti dell’ediicio, con consistenze e luidità diferenti, presenta una particolare componente gessosa. Contrariamente a quanto ci si aspettasse questo minerale non è stato ridotto in polvere, ma è stato lasciato in forma di cristalli, ben evidenti ad occhi nudo. L’impiego di una malta così composta la si osserva in tutti gli ediici del centro storico, a partire dalle piccole case minori ino ai palazzi nobili e borghesi, ed è impiegata sia come componente da costruzione che come substrato inferiore per la stesura degli intonaci esterni e delle tinteggiature interne. L’aspetto che conferisce alle superici risulta così tendere ad un grigio con rilessi brillanti, che vengono accentuati dall’incidenza dei raggi solari. Essendo il gesso un minerale molto sensibile all’acqua, questo tende ad as62


Apparecchiatura muraria del basamento su via Zanella, con portone e finestrella. si osserva la presnza di diatono

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Frammento di malta rinvenuta nella corte. sono evidenti i cristalli di gesso

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sorbirla, goniarsi e perdere coesione ed è quindi molto probabile che tale componente abbia giocato un ruolo rilevante nella cattiva conservazione delle superici, non certamente aiutate dal fatto che molti ambienti interni sono quasi perennemente soggetti agli agenti atmosferici. Infatti si osserva come le superici più vicine alle aperture o i resti dei crolli e delle demolizione in corrispondenza della corte, presentino uno sviluppo molto marcato dei suddetti cristalli. Per tali motivi è importante che per il restauro e il consolidamento delle diverse parti del palazzo, si impieghino dei materiali la cui composizione venga studiata ad hoc, per avere una maggiore integrazione degli interventi e rispettare comunque la natura del fabbricato, evitando così di utilizzare prodotti generici presenti sul mercato. Il trattamento supericiale degli interni è costituito da diverse stratiicazioni di colori che si sono succedute nel corso di quest’ultimo secolo, e che oggi si presentano esfoliate o polverizzate. E’ da sottolineare anche, sia all’interno che all’esterno, la presenza di larghe porzioni di muratura sulle quali sono state impiegate malte cementizie di fattura recente, seguiti ad interventi localizzati come rattoppi e aperture di piccole inestre.

Malta cementizia dell’apparato murario del piano primo. E’ evidente la componente di gesso in cristalli

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GLI ELEMENTI LIGNEI_In palazzo Giglia il legno compare sia nell’apparato strutturale dei solai che come elemento di tamponamento delle aperture. In merito alla parte strutturale, la manomissione dei solai dei mezzanini del livello inferiore e dei piani superiori unitamente alle perforazioni agli angoli del piano nobile, ha fornito la possibilità di indagare nel dettaglio la composizione degli impalcati. Si è osservato l’impiego di travi lignee in forma di tronchi, che negli ambienti del piano terra e del piano nobile hanno fattezze più grezze e meno regolari, e anche nello stesso solaio, presentano sezioni diverse; invece in alcuni ambienti dell’ultimo piano, sia nelle strutture delle coperture che in quelle dei controsoitti, le dimensioni si fanno più omogenee e le sezioni dal taglio più regolare. Questa a riprova del fatto che parte del secondo livello è stato realizzato in un secondo momento, quando ormai le tecniche di produzione degli elementi da costruzione si erano industrializzate, ottenendo così pezzi standardizzati. Le suddette travi, incastrate nella muratura portante, sostengono la pavimentazione con un tavolato dello spessore di circa 2,5/3 cm e uno strato di malta cementizia. Altri elementi di legno sono le inestre, le porteinestre e le persiane dei piani superiori, gravemente danneggiate e degradate, ed i portali del piano terra. Di questi degno di nota è quello principale su via Sott. Ten. Giglia. A due ante presenta delle decorazioni in forma di cornici e triglii. GLI ELEMENTI METALLICI_Collegandoci al portale d’ingresso, questo è sormontato da una bella rostra in ferro battuto, che riporta al centro della sua trama le due G, iniziali del proprietari del palazzo, Gaetano Giglia. Altri elementi metallici si trovano in corrispondenza delle altre aperture del piano terra, in forma di griglie di chiusura o come sottile strato di rivestimento chiodato sui portali lignei che si afacciano su via Zanella. Passando ai piani superiori si osservano i piccoli balconcini, che riportano parapetti in ferro battuto, più lavorato in corrispondenza del piano nobile, mentre semplice e lineare al piano superiore. Si osserva inoltre come parte del piano di calpestio dei balconi, taluni in marmo e altri in pietra, siano sostenuti da mensole in ferro dalla forma di una pseudo IPE retta da ferri diagonali incastrati nella muratura. Come già accennato queste sembrerebbero essere state inserite in un periodo successivo alla prima realizzazione di palazzo Giglia, in sostituzione di quelle in pietra. Per inire, sia sui fronti stradali che sulle superici dei volumi retrostanti della scala, si osservano capochiave metallici di catene inserite nella muratura, disposte a quote diferenti. Non è certa la loro datazione, ma visto l’impiego 66


Vista dell’apparato strutturale ligneo dei solai , sottotetti e coperture, evidentemente danneggiati.

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Particolare dei travetti e mensole in ferro del balcone del loggiato di via Zanella

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di bullonature esagonali, e quindi di produzione industriale, risalgono probabilmente ad interventi novecenteschi. GLI ELEMENTI DECORATIVI_Gli elementi decorativi presenti sui fronti sono gli elementi in pietra calcarea già citati, le cornici marca piano, le due grandi colonne doriche della loggia triangolare del piano nobile e il sistema lapideo di pietra calcarea che incornicia il portale d’ingresso di via Sott. Ten. Giglia, costituito da un’importante trabeazione con cornici e balconcino superiore, retta da due semicolonne dal capitello corinzio. A questi si aggiungono i piani d’appoggio in marmo dei balconi del secondo livello, retti da mensole presumibilmente costituite da materiale cementizio e non di pietra. Modellati secondo una curva che gira in corrispondenza della parte d’incastro, questi elementi li si osservano in moltissimi degli altri palazzi del centro storico. Probabilmente in origine presenti in ogni stanza del piano padronale, all’interno oggi si osserva un unico solaio afrescato, quello di una delle stanze che si afaccia su cortile Sgarito, sopravvissuto agli interventi di rimaneggiamento. La logica della struttura che supporta questa decorazione è la stessa che si ritrova negli altri ambienti del primo e del secondo piano, ed è costituita da strutturine lignee che reggono l’intonaco e che lungo il perimetro delle stanze si sagomano in alte cornici mediante l’impiego di proili curvi. E’ da osservare come sia però diverso il supporto dell’apparato decorativo tra primo e secondo piano. Al primo livello si osserva che la malta cementizia e l’intonaco si aggrappano a quella che dovrebbe essere la seconda orditura dell’intradosso, che si presenta con scansioni più ampie, mentre al secondo livello, sono stati impiegati due diferenti tipi di supporto. In quelle che sembrano essere le stanze appartenenti all’originario impianto (quello di Gaetano) è stato impiegato l’incannicciato, mentre per le stanze aggiunte in seguito dal iglio Angelo, sono state utilizzate fasciette ligne, testimonianza della datazione postuma di queste stanze. In merito agli intradossi del primo piano, si suppone che la presa delle malte al sistema ligneo fosse garantita da ibre organiche inserite nell’impasto, come ad esempio della paglia, che oggi non risultano più visibili probabilmente per il loro deterioramento nel tempo. Altri elementi decorativi degli interni sono le carte da parati, osservati in frammenti nelle stanze che si afacciano su via Sott. Ten. Giglia, sia al primo che al secondo piano. Per quanto riguarda le pavimentazioni, queste sono state tutte quasi completamente rimosse. Di dimensione 20x20 cm, alcune mattonelle sono sta69


te ritrovate tra le macerie della corte. Si tratta di cementine e una maiolica decorata. Alcune delle prime presentano decorazione loreale altre decorazione geometrica; mentre la seconda è decorata con un motivo che imita le venature del legno. Un altro frammento di maiolica decorata a mano invece è stato rinvenuto negli ambienti ammezzati del piano terra e qui, riposte nelle nicchie superiori, è possibili osservare altre mattonelle impilate le une sulle altre e che, a causa della mancanza dei solai e dell’elevata altezza rispetto al piano inferiore, non è stato possibile raggiungere. Ma si è comunque potuto notare che si tratta di cementine quadrate ed esagonali ed altre maioliche dalla decorazione non visibile. Un’altra tipo di maiolica, con decorazione diferente, è stata osservata ancora in posa, in corrispondenza del vano di accesso alla piccionaia. Fino a qualche mese fa, era ancora presente sulla corte una porzione di muratura sulla quale si osservava la traccia della canna fumaria di un forno a legno. In quegli spazi infatti vi erano le cucine che avevano un rivestimento ceramico con azzurra fantasia loreale. Osservando foto di antiche abitazioni del centro storico, si è notato come questo tipo di mattonelle, con motivo e colorazione simile, siano state abbondantemente impiegate negli spazi di servizio delle abitazioni.Per inire la pavimentazione della scala che porta al primo piano è costituita da gradoni monolitici di pietra grigia; mentre le rampe successive hanno un rivestimento marmoreo dalla colorazione rossastra con frammenti bianchi.

A destra cementine, mattonelle e frammenti di maioliche rinvenute all’interno del palazzo. Particolare dell’apparato decorativo del portale d’ingresso principale.

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Perforazione di uno degli angoli della volta a crociera del piano terra.

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La struttura in calcestruzzo armato Le indagini dello stato di fatto di palazzo Giglia proseguono con l’analizzare la geometria della struttura in calcestruzzo armato, realizzata negli anni Novanta, allo scopo di comprendere anche quella che sarebbe dovuta essere la sua conformazione inale, attraverso l’interpretazione delle tracce e delle perforazioni praticate in pareti e solai per il passaggio di travi e pilastri. Come già anticipato i suddetti lavori avevano lo scopo di ricavare un ulteriore piano, recuperando parte dei sottotetti, e pertanto si procedette ad un progressiva demolizione degli impalcati. Nessuna supericie verticale o orizzontale è risultata incolume all’intervento, anche se questo non fu portato a termine. L’analisi svolta si articola procedendo per livelli. IL PIANO TERRA_Questo è il livello che più di tutti ha soferto il rovinoso intervento. A partire dal vano d’ingresso verso le due stanze alla sua destra, si osservano subito i nuovi solai in latero cemento, retti da pilastri in calcestruzzo armato, che hanno sostituito gli originari solai lignei. Al centro della seconda lunga stanza è ancora presente una arco composto da pietrame e malta cementizia, i cui ianchi laterali sono stati danneggiati dal passaggio di due grandi travi, e che originariamente fungeva da intramezzo di ripartizione per le lunghe travi lignee del solaio. I due primi ambienti in successione a partire dall’ingresso, unitamente a quelli del primo piano, saranno quelli in cui il rifacimento ha inciso di più. Infatti qui si hanno gli unici solai realizzati. In adiacenza al lungo ambiente prima descritto vi sono le due stanze che originariamente presentavano grandi volte a crociera. La prima è quella che si afaccia sulla corte interna e la cui volta non è stata demolita, ma danneggiata in tre dei sui quattro angoli d’appoggio con perforazioni per il passaggio dei pilastri in calcestruzzo. In questo ambiente tale struttura parte in realtà da una quota ancora più bassa, in corrispondenza della quale è stata realizzata una vasca idrica, di cui non si conosce però la profondità. I quattro pilastri quindi partono da tale livello, ma soltanto due di essi giungono ino alla quota del primo piano, mentre degli altri si attestano, con la fuoriuscita dei ferri, alla quota di -0.85 m del piano terra. Nella stanza invece che si afaccia su via Zanella attraverso il portale centrale, è stata completamente demolita la volta a crociera e si osservano quattro pilastri agli angoli, realizzati soltanto ino al primo livello, di cui uno viene fatto passare in corrispondenza di un angolo del loggiato triangolare del primo 73


piano, danneggiando profondamente quella porzione di volta a crociera che lì si trova. Inoltre un altro pilastro era previsto in corrispondenza dell’altro angolo del triangolo, testimoniato dai ferri che si trovano al livello della pavimentazione. Quindi secondo quanto è possibile osservare, il programma d’intervento prevedeva un telaio visibile anche dall’esterno, visto che travi e pilastri dovevano passare alle spalle delle due colonne. Proseguendo verso gli ambienti alla quota di -2.90 m di cortile Sgarito e via Zanella, si osserva come gli impalcati sull’orditura lignea siano stati completamente demoliti, e superstite rimangono parte delle travi danneggiate dall’umidita, tarli e cariche batteriche. In questi spazi la distribuzione dei pilastri è disomogenea. Nelle due stanze che si afacciano su via Zanella sono stati predisposti soltanto i ferri al livello della pavimentazione. È interessante osservare inoltre che nella prima stanza, in corrispondenza della parete su cui si registra il cambio di quota rispetto all’ambiente senza volta a crociera, dei ferri sporgono orizzontalmente dalla supericie, ad indicare l’intenzione di realizzare un solaio che si allineasse alla quota della strada. Questa ipotesi è supportata anche dal fatto che nella seconda stanza, sono state disposte al centro, a mo’ di platea, una gran quantità di macerie cementate, che dovevano costituire lo spessore di riempimento sul quale si sarebbe impostato il nuovo solaio. Nell’ambiente che presumibilmente doveva essere la stalla o deposito per i carri, e che oggi fa da deposito per le macerie, sono stai realizzati due pilastri, uno in adiacenza alla parete che dà su cortile Sgarito, l’altro all’angolo opposto di quest’ultimo. Entrambi sono rimasti incompleti e arrivano ino alla quota del primo livello, che si attesta all’altezza degli ambienti prima descritti (le stanze con le volte a crociera). IL PRIMO PIANO _ Al primo piano si ricalca quanto presente al piano inferiore. La prima stanza nella quale si accede è quella sopra la volta a crociera superstite, e quindi sono visibili i tre fori agli angoli, dai quali sporgono i ferri ad aderenza migliorata dei pilastri. Alla destra di questo primo ambiente si hanno le stanze nelle quali sono stati realizzati i nuovi solai, dopo la demolizione degli originari (il primo livello presumibilmente con orditura lignea a vista mentre il secondo con intradosso in malta e cornici curvilinee, con decorazioni pittoriche). Qui si osserva come la nuova struttura si inserisce all’interno dell’ediicio: in adiacenza alle murature lungo i fronti esterni, mentre staccata di qualche centimetro lungo le murature interne. 74


Vista di uno dei pilastri incompiuti nella stanza privata della volta a crociera.

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Vista di uno dei pilastri incompiauti del secondo piano, nelle stanze su via Sott. Ten. Giglia.

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L’ispezione del primo piano si limita a questi due soli ambienti, poiché oltre la porta che si pone in asse con l’entrata vi è il vuoto. È quello l’ambiente del quale è stata demolita la volta a crociera che reggeva la sua pavimentazione. Tale demolizione ha determinato l’inaccessibilità della loggietta colonnata di via Zanella e delle due stanze che si trovano sopra i mezzanini del piano terra. Di queste ultime comunque, si è osservato dal livello inferiore che sono stati privati anch’essi dei loro solai, di cui rimangono soltanto le travi lignee, non poco danneggiate. Il vuoto centrale ad ogni modo permette una visione d’insieme dei rovinosi interventi. È da qui che è possibile osservare meglio ciò che rimane degli appoggi della volta ed inoltre si è alla stessa quota dei ferri che fuoriescono orizzontalmente dalla muratura di destra che, al livello del secondo impalcato, avrebbero formato il prolungamento delle larghe travi in spessore presenti nella stanza adiacente. IL SECONDO PIANO _ E’ al secondo piano che è denunciata con più forza l’assurdità dell’opera. Volgendo lo sguardo verso gli ambienti alla destra dell’entrata, si vede come l’impalcato del secondo livello si imposti ad una quota inferiore rispetto a quello di accesso (-1,26 m). I pilastri proseguono oltre il solaio e si interrompono all’altezza della parte mediana delle porteinestre, e la porzione di muratura corrispondente a questa quote è percorsa da una profonda traccia per il passaggio di un cordolo perimetrale. Infatti a quest’altezza si sarebbe dovuto impostare il terzo solaio della struttura, determinando una situazione paradossale, da una parte di enorme danno estetico per il palazzo e dall’altra di inconveniente pratico, in quanto il nuovo impalcato avrebbe impedito l’accesso ai balconcini esterni. Quindi questa stanza costituisce la chiave di lettura per l’intero intervento, in quanto è il luogo nel quale i lavori si sono maggiormente portati avanti. Qui si osservano ancora i resti delle cornici degli ambienti del primo piano e le travi lignee non ancora rimosse sia del solaio inferiore che di quello superiore, che risultano pesantemente danneggiate. La mancanza di un manto di copertura integro, ha determinato delle gravi iniltrazioni d’acqua. Infatti, costituito da coppi poggianti direttamente su travetti, è in una condizione di grave precarietà per cui l’acqua piovana fa il suo corso senza molti ostacoli, non solo attaccando gli elementi lignei ma anche iniltrandosi nel solaio di latero cemento sottostante. Il resto degli ambienti di questo piano non hanno più solai superiori integri, rimangono solamente le travi lignee. 77


Parete del secondo piano, perforata per il passaggio di un cordolo.

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In corrispondenza dell’angolo sinistro della stanza che centralmente si afaccia su via Zanella si nota che è stata rimossa parte di una porzione di pavimentazione, accenno probabilmente del fatto che stava per essere praticato un altro foro. Grazie a questa mancanza comunque è stato possibile rilevare le dimensioni della trave lignea e del tavolato della pavimentazione. Sempre in questa stanza, sulla parete che la separa da quella sopra descritta, si osserva un’ulteriore foro, dal quale sarebbe passata un’ennesima trave in calcestruzzo armato. La stanza adiacente alla seconda, sulla sinistra, riporta il solaio perforato in due punti, corrispondenti ai due pilastri realizzati al piano terra nell’ambiente della stalla. L’ultimo ambiente del piano, non reca danni al solaio della pavimentazione. Come negli altri ambienti, anche qui l’intradosso superiore risulta essere stato smontato e rimangono quindi a vista le sue travi lignee e la struttura della copertura. Quindi in conclusione, da quest’analisi si evince che: _ una nuova struttura di quattro livelli sarebbe dovuta nascere all’interno di palazzo Giglia; _ l’ultimo livello avrebbe recuperato parte dell’altezza dei sottotetti; _ un terzo livello, di quota abbondantemente inferiore all’originale, avrebbe dovuto attraversare tutto il piano, passando trasversalmente davanti le porteinestre; _ la struttura sarebbe stata visibile anche all’esterno, poiché sarebbe passata per la loggia del primo piano e il balcone centrale del secondo; _ non è chiaro in che modo si sarebbe avuto accesso al terzo livello dalla scala esistente, poiché attestata ad una quota superiore; si potrebbe ipotizzare una sua demolizione per realizzarne una nuova. _ rimane aperta la questione dell’accesso ai balconcini del secondo piano.

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“La strada da percorrere è presto indicata: bisogna innanzi tutto conoscere cosa conservare, e da tale conoscenza far scaturire il come conservare con sicurezza” Antonino Giufrè 1993

Elaborazione digitale che evidenza lo spanciamento fuori piano di una porzione del fronte su via Zanella.

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Il quadro fessurativo e le vulnerabilità Con la Delibera n. 408 del 19 Dicembre 2003, conseguente all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, la Regione siciliana ha classiicato sismicamente il Comune di Favara in zona 4, altresì aggiungendo che per suddetta zona è esteso l’obbligo della progettazione antisismica, sia per le nuove costruzioni che per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente. Quindi per quanto riguardo l’analisi dello stato fessurativo di palazzo Giglia si è voluto intraprendere un percorso che tenesse conto dell’attuale contesto normativo riferito ai beni culturali, nell’ambito del restauro e della valutazione e riduzione del rischio sismico. Sono state prese in considerazione così diverse normative e trattati di riferimento, sia per la valutazione e l’interpretazione del quadro fessurativo e del danno presente, che per la proposizione di soluzioni puntuali d’intervento. È comunque importante premettere che lo studio portato avanti non è una vera e propria progettazione antisismica che si è avvalsa di calcoli e veriiche strutturali, ma piuttosto il risultato di scelte che hanno tenuto conto dei criteri di intervento e miglioramento sismico esposti dalle normative di riferimento. Pertanto fondamentali sono stati i seguenti testi: _ Linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale allineate alle nuove Norme tecniche per le costruzioni (NTC 2008); _ Codice dei beni culturali e del paesaggio; _ Allegato 2 dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli ediici; _ Codice di pratica per la progettazione degli interventi di riparazione, miglioramento sismico e restauro dei beni architettonici danneggiati dal terremoto umbro-marchigiano del 1997. Volendo quindi tenere in considerazione le questioni di carattere sismico, non si è solo valutato il quadro fessurativo e deformativo, ma lo si è integrato anche con quello delle vulnerabilità. In merito a quest’ultimo è stato preso come riferimento il Codice di pratica per la progettazione degli interventi di riparazione, miglioramento sismico e restauro dei beni architettonici danneggiati dal terremoto umbro-marchigiano del 1997, nel quale sono riportati degli abachi e schematizzazioni di meccanismi esempliicativi che interessano gli ediici, tenendo conto di vul81


Particolare della condizione di precarietà di una porzione di fronte sulla corte. Vista della porzione di murara espulsa in corrispondenza dell’apertura sul vano scala.

Vista della fessurazione della parte sommitale dell’arco del piano terra.

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nerabilità tipica (relativa alla conigurazione planivolumetrica della fabbrica) e speciica (relativa a fattori di debolezza locale). Quindi, per facilità di rappresentazione, l’analisi è stata condotta indicando i fenomeni in base all’elemento architettonico/strutturale interessato. Si hanno così i tre seguenti “codici”: _ A per indicare i fenomeni fessurativi che interessano archi, architravi e più in generale le aperture. _ S per indicare i fenomeni fessuratici che interessano i solai; _ M per indicare i fenomeni fessurativi che interessano le murature. Dopo di che si è proceduto con la distinzione e descrizioni delle diverse fessurazioni come distacchi, rotazioni, scorrimenti, spostamenti fuori del piano, speciicando al contempo il tipo di vulnerabilità che interessa quel settore; si sono deinite le cause che le hanno determinato; sono state proposte inine delle soluzioni d’intervento puntuali per ogni fenomeno, nel rispetto del quadro normativo vigente. Quello che è emerso dallo studio, in parte già evidente anche ad occhi meno esperti, è che l’ediicio presenta un grave stato fessurativo con alcune porzioni interessate da meccanismi globali rilevanti. I principali sono: _ Lo spanciamento fuori piano verso l’esterno, in presenza di vincolo alla sommità, che interessa la porzione di muratura esterna che si afaccia su via Zanella, in corrispondenza degli ambienti ammezzati (M1). _ Lo spanciamento fuori piano verso l’esterno di due diversi livelli del fronte, in corrispondenza del volume delle scale retrostante (M3); _ La rotazione verso l’esterno dell‘angolata libera di un volume che prospetta sulla corte interna (M7); _ Collasso di un’estesa porzione di supericie di uno dei fronti della corte (M8). Per una trattazione più esaustiva e completa di questi e degli altri fenomeni fessurativi, in rifermento ai codici riportati sulle tavola 13, si rimanda all’APPENDICE A.

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QUARTA PARTE_IL PROGETTO DI RESTAURO


Nella pagina precedente vista dell’intradosso danneggiato del solaio del secondo livello e sporgenza dei ferri di un nuovo cordolo.

Porzione di volta a crociera superstite.

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IL PROGETTO DI RESTAURO

I principi d’intervento Il progetto di restauro redatto è il frutto di una serie di considerazioni e scelte che hanno tenuto conto di questioni di natura diversa: il quadro normativo vigente, i principi del restauro, considerazioni di natura strutturale, la nuova destinazione d’uso ma una su tutte è stato il come poter ridare vita e dignità ad un ediicio abbandonato da anni, oggetto di così poco spregiudicato rispetto, in un nuovo e stimolante contesto culturale. Ciò che ne è scaturito è stato un progetto che ha posto come cardini alla base della sua redazione tre principi fondamentali di intervento: _ La “cristallizzazione” di quegli ambienti emblematici della rovinosa storia immediatamente trascorsa; _ Il ripristino delle volumetrie esistenti, reinterpretando le originarie tecniche costruttive, con nuovi materiali e texture. _ L’utilizzo dei materiali di recupero per la realizzazione di nuove e originarie superici. _ La scelte di lasciare alcuni ambienti nel loro stato attuale, non escludendo comunque gli opportuni interventi di consolidamento e messa in sicurezza, è dipesa dal fatto che si vorrebbe che rovinosi interventi come quelli subiti dall’ediicio non possano più ripetersi in altri palazzi e in altri ambienti del contesto storico del paese. Il mostrare e mettere in evidenza “le ferite” vuole avere perciò, senza alcuna pretesa, uno scopo educativo. Spesso infatti a Favara in passato si è assistito ad episodi di cui essere poco orgogliosi, che hanno interessato il centro storico ed altri ediici antichi, anche con il benestare degli enti comunali e addetti alla sovrintendenza dei beni culturali1. Per cui si crede che sia necessaria una sorta di rieducazione alla bellezza e alla memoria storica. Questo progetto, inserito nel fortunato contesto di Farm Cultural Park, potrebbe risultare utile a tale scopo. Pertanto gli ambienti del piano terra, che sono stati quelli in cui sono più evidenti gli interventi di demolizione e rifacimento degli anni Novanta, vengono “sigillati” con i resti dell’originaria volta a crociera, la trama di pietra dei suoi archi e le murature in bozze di arenaria, preservati e lasciati a vista. _ Per quanto riguarda il secondo principio, è la modalità d’intervento che è stata applicata per il ripristino dei solai del piano nobile e dei volumi della terrazza e della corte. In questi due casi la tecnica che viene reinterpretata è quella che si osserva per la realizzazione degli intradossi dei solai dei piani superiori: incannicciato 1 Si rimanda all’APPENDICE B

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e malta che si sagomano, lungo il perimetro delle stanze, su proili in legno ricurvi. Si prende in prestito da qui il principio della superice che si modella su una sagoma e viene declinato in due versioni: opaca e trasparente.La prima, quasi identica all’originale, impiega fascette di legno e intonaco per ripristinare gli intradossi, ma in questo caso issandosi a sagome di legno il cui proilo inferiore viene lasciato lievemente a vista. Questo allo scopo di rendere riconoscibile l’intervento di ripristino, evidenziare la scansione e denunciare l’assunzione di tale principio come di riferimento per altri interventi. La seconda versione, fa uso invece di una supericie trasparente che si sagoma su dei proili in legno lamellare, che ricalcano le originarie volumetrie presenti sulla terrazza e nella corte. Quindi anche qui si ripete il tema delle sagome e delle scansioni. _ Il terzo principio pone attenzione alla questione delle demolizioni. Risultanti in alcune limitate parti necessarie, si sceglie di recuperare parte del pietrame che ne risulta per la realizzazione di nuove superici e la ricostruzione di vecchie. Per quanto concerne la ricostruzione, è il caso della parete che si afaccia sulla corte, in corrispondenza della quale originariamente si trovava il volume delle cucine. Oggi prossima al crollo, si sceglie di demolirla. Si ricostruisce così impiegando un telaio in acciaio, tamponato con il suddetto pietrame, che viene issato alla struttura grazie ad un sistema di reti e malta. Il tutto viene poi celato dagli strati di rivestimento esterno, che uniformeranno la supericie con le altre prospicenti sulla corte. Per la realizzazione di nuove superici invece, l’impiego del materiale di risulta lo si osserva nel sistema di tamponamento degli ambienti della cucina ristorante, presenti al livello inferiore della corte. Questo nuovo spazio, realizzato lì dove erano accumulate le grandi quantità di detriti e macerie, risulta avere una struttura portante in acciaio (travi e pilastri IPE O 330), tamponata da una fascia vetrata lungo la parte superiore, ed un sistema di gabbie di contenimento in pietra e pacchetto isolante, lungo la parte inferiore. Tali gabbie adoperano il pietrame di risulta, garantendo quindi da una parte l’economicità delle risorse e dall’altro una testimonianza del recente passato.

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Particolare della struttura lignea dei solai e di ciò che rimane del suo intradosso.

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Vista di ciò che rimane di uno dei fronti sulla corte interna

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Il quadro degli interventi Dopo aver chiarito i principi che hanno guidato la progettazione, si procede con l’illustrare un indicativo piano di interventi per il restauro e la messa in sicurezza di Palazzo Giglia. LE DEMOLIZIONI Il primo intervento che si rende necessario sono le demolizioni di alcune parti dell’ediicio. Il telaio in calcestruzzo armato e i suoi solai in latero cemento rientrano in questo programma. Le motivazioni sono diverse. Oltre che per motivi “estetici” e d’inadeguatezza rispetto ad un ediicio storico, si fa tale scelta anche per motivi di sicurezza rispetto ad eventi sismici. Si è osservato infatti che i pilastri e i cordoli della struttura, lungo il perimetro, si trovano addossati alle murature portanti. Questa condizione determinerebbe un comportamento rigido della struttura in risposta a sollecitazioni sismiche e pertanto si ritiene di ovviare a questo problema con la sua demolizione. Essendo quello degli interni un ambiente delicato sul quale intervenire, appare chiaro che le operazioni di demolizione debbano procedere senza recare danno alla muratura portante originaria. Per tale motivo si opta per una demolizione controllata con il metodo del taglio. Procedendo per sezioni, a partire dai piani superiori e previa messa in sicurezza e puntellazione della struttura, si adoperano troncatrici manuali a disco per il taglio dei pilastri e seghe da pavimento a disco diamantato per il taglio dei solai. Il vantaggio di questi strumenti sono l’assenza di vibrazioni dannose e una maggiore precisione rispetto ai metodi di demolizione tradizionali con martelli automatici o manuali. Un altro elemento di cui si prevede la demolizione, come già accennato sopra, è uno dei fronti che si afaccia alla corte interna. Si tratta dì quella parete alla quale un tempo si addossava il volume delle cucine e che oggi è in uno stato di grave precarietà, prossima al crollo. Questa porzione di muratura è stata pesantemente danneggiata durante gli interventi di rimaneggiamento, in quanto vi sono state praticate delle grandi e rovinose aperture per consentire lo scarico, al livello della corte, delle macerie delle demolizioni. Queste hanno indebolito la tessitura muraria, per cui vi è una larga porzione della parte centrale che risulta “appesa”, indebolita oltretutto da altre inestrelle sparse per tutta la supericie. Così la parte sommitale non può fare aidamento su ampi e stabili maschi murari. Inoltre gli stretti solai, di legno e incannicciato, che insistono dietro questa muratura risultano gravemente danneggiati ed imbarcati. Quindi vista la condizione in cui versa e conside91


rato che non vi sia un alto valore architettonico da preservare, si procede con la sua demolizione. Di questa sezione però si lasciano gli archi del livello inferiore che verranno consolidati. L’ultimo intervento di demolizione è quello che riguarda il solaio della terrazza che si afaccia all’angolo di via Zanella e cortile Sgarito, e conseguentemente anche del volume che vi sta sopra. Questa demolizione si rende necessaria per via delle condizioni di elevato degrado delle componenti del solaio, costituito da travetti a T in ferro e laterizi. Dovuto probabilmente ad iniltrazioni derivanti dal manto superiore ed essendo quest’ambiente privo di chiusure eicienti, i travetti risultano essere gravemente attaccati dalla ruggine, mentre i laterizi interessati dall’umidità. Si sceglie quindi di demolire e poi sostituire il solaio con uno di legno e acciaio. I SOLAI Per quanto riguarda i solai, sono state fatte scelte progettuali diverse con due diferenti modalità d’intervento, in base alla condizione in cui versano oggi gli ambienti: in alcuni si rende necessario realizzare gli impalcati da zero, mentre in altri si può valutare un consolidamento e integrazione dell’apparato strutturale ligneo esistente, dopo averne valutato lo stato di conservazione.

Vista dei recenti solai in latero cemento e travi in c.a. che perforano gli angoli dell’arco mediano

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Compaiono nel primo caso gli ambienti nei quali è stata demolita la struttura in calcestruzzo armato mentre nel secondo tutti gli altri, con la precisazione che per i solaio con intradosso in incannicciato non si conosce afatto la condizione delle travi portanti. O meglio si suppone che molte debbano essere sostituite ma non si esclude che alcune possano essere recuperate e consolidate. Quindi si rende necessaria un’ispezione delle sezioni, previa messa in sicurezza e opportuna puntellazione degli impalcati. Ad ogni modo saranno tre le tipologie di solaio previste dal progetto, che hanno tenuto conto delle tecniche costruttive originarie, dei tipi di carichi presenti e delle funzioni che gli spazi dovranno assolvere. Sono quindi: _ Impalcati lignei con apparato portante in travi di legno a vista; _ Impalcati lignei con apparato portante in travi di legno e acciaio a vista; _ Impalcati lignei con apparato portante in travi di legno ed intradosso sagomato con fascette lignee e malta su proili curvi. _ Passerella leggera con sagomati d’acciaio ad L e travetti in legno. _ Il primo tipo di solai viene realizzato in quegli spazi dalla forma regolare e con luci non elevate, recuperando le sezioni d’incastro delle travi originarie. Sono gli ambienti del piano terra e del piano ammezzato, dove vi era il deposito per i carri, che si afacciano su cortile Sgarito. _ Il secondo tipo di solaio viene realizzato in due parti diverse dell’ediicio. Una è l’ambiente al piano terra in cui vi era la struttura in c.a., che ricorre alle travi IPE per tener conto del carico da sostenere (7 postazioni cucina) e della luce da coprire, in relazione allo spessore da rispettare, se si vuole mantenere la quota degli impalcati superiori e l’arco di ripartizione sottostante. L’altra parte è quella degli ambienti sotto la terrazza (incrocio via Zanella e cortile Sgarito). Qui si recuperano e consolidano le sezioni d’incastro delle travi originarie per l’inserimento di quelle nuove e si ricorre alle travi di acciaio per le aperture del solaio del primo livello e del mezzanino per il passaggio delle rampe di scale. _ Il terzo tipo di solaio, già accennato sopra, si costituisce di una parte strutturale in travi di legno, che regge un tavolato dello spessore di 2 cm e un massetto in calcestruzzo alleggerito con rete elettrosaldata, rinforzato con fasce di acciaio incrociate, spesse 5 mm, che si saldano alle cerchiature perimetrali. Queste, realizzate con proilati di acciaio ad L, si issano alla parete mediante barre ilettate, che nel caso di pareti perimetrali si piegano verso il basso, mentre nel caso di stanze contigue, si issano mediante bullonatura 93


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alle cerchiature dei loro solai. La parte intradossale come detto si costituisce di un sistema fatto di proili lignei curvi ai quali si issano delle fascette lignee che reggono l’intonaco. I suddetti proili sporgono rispetto l’intonaco di qualche centimetro, per rimarcare il principio d’intervento e la scansione degli elementi. _ La passerella è un tipo di intervento estraneo alle logiche costruttive di palazzo Giglia. Questo per rimarcare la presenza di nuove volumetrie e nuove funzioni. Si tratta di una struttura molto leggera ed è composta da un’orditura principale di proilati d’acciaio ad L, sui quali si appoggia trasversalmente l’orditura secondaria, fatta di assi lignee disposte di costa. Su questo sistema poi si issa una pavimentazione lignea con incastro maschio femmina dello spessore di 3 cm. Tale struttura percorre su tre lati lo spazio a doppia altezza centrale, permettendo così l’accesso alla loggia di via Zanella ed inoltre la si trova anche come solaio all’interno dei volumi vetrati della terrazza e della corte.

A sinistra particolari costruttivi degli interventi sulla stanza a doppia altezza.

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Particolare dello stato fessurativo del piede dei tre archi ivi convergenti.

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IL CONSOLIDAMENTO DI ARCHI E VOLTE Come già trattato nell’analisi fessurativa2, tutti gli archi del piano terra sono interessati da fenomeni di fessurazione e schiacciamento che ne compromettono la stabilità in misura più o meno grave. Il progetto di restauro prevede una serie di interventi mirati che rispondono puntualmente alle diverse problematiche. Interessante per il danno e la soluzione proposta risulta essere la condizione dei tre archi presenti negli ambienti che si afacciano su via Zanella e Via Sott. Ten. Giglia. È chiaro che il loro danneggiamento è da attribuire in buona parte ai lavori di rimaneggiamento dei solai sovrastanti, oltre che a un naturale deterioramento dei materiali nel tempo. Tutti e tre gli archi presentano la sezione di volta lesionata, ma la parte che desta maggiore preoccupazione è la loro sezione d’appoggio. Insistendo contemporaneamente sulla stessa porzione di muratura, questa riporta i segni di schiacciamento con conseguente espulsione di malta e ingranamento dei blocchi di pietra arenaria lungo la fascia sollecitata. Ciò che viene proposto è una spillatura incrociata della chiave dell’arco e un incatenamento/cerchiatura della base degli archi, attraverso l’inserimento di coppie di barre in vetro resina ortogonalmente alle facce dei piedritto e sfalsate in altezza le une rispetto le altre. Queste vengono issate attraverso dei piatti metallici dello spessore di 1 cm sagomato attorno allo spigolo del piedritto, al ine di incrementare l’azione di cerchiatura. Altro importante intervento di consolidamento previsto è quello che riguarda la volta a crociera superstite. Come già detto, questa ha i tre angoli d’appoggio perforati. Dall’osservazione del suo spessore, attraverso tali perforazioni, si nota come questa non sia costituita da piccoli elementi che lavorano a compressione (mattoni o pietrame), ma da una soletta di malta cementizia gettata su centine. Lesioni di piccole dimensioni, ravvicinate e ramiicate si osservano sulla supericie delle vele, agli angoli di connessione tra pareti perimetrali della stanza e gli archi generatori della volta. Pertanto ciò che si propone è il ripristino della volumetria degli appoggi mediante l’impiego di elementi in laterizio modellati secondo la forma originale e issati alla parete mediante bullonature. L’intenzione in questo caso è quella di rendere riconoscibile quest’intervento non stuccandolo come il resto della volta a testimonianza dei rovinosi interventi compiuti. Per il consolidamento dell’impalcato superiore si realizza una soletta di cal2 Vedi APPENDICE A

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cestruzzo alleggerito armato con rete elettrosaldata. Con le stesse modalità si interviene in corrispondenza della porzione di volta sotto il loggiato del primo piano. Un’altra parte dell’ediicio che necessita di un interventi di consolidamento è la scala, le cui volte a crociera e a botte sulle rampe sono percorse da profonde fessurazioni, mentre la parete esterna presenta diverse parti in espulsione. Quindi qui sono necessari degli interventi che riguardano il vano scala nella sua interezza, consolidando le pareti esterne, interne e le volte. Si procede per prima con una puntellazione di tutto il vano scala, e partendo dall’alto si consolida la supericie esterna attraverso il metodo del cuci e scuci sull’intera supericie muraria. Dopodiché si inseriscono delle putrelle di acciaio all’interno del vano tra imposta superiore delle rampe e l’intradosso delle volte, mediante smontaggio della pavimentazione e successiva ricollocazione. Inine si procede con il consolidamento e risarcitura delle fessurazioni interne con iniezioni di leganti naturali. LE RICOSTRUZIONI Eseguite le necessarie demolizioni e gli opportuni consolidamenti si procede con le ricostruzioni. Oltre a quelle dei solai già esposte, si prevede la realizzazioni di parti prima non esistenti e di parti in sostituzione di quelle demolite o precedentemente crollate. I VOLUMI DI VETRO _ Si tratta di quei volumi che si hanno in corrispondenza della terrazza e della corte retrostante, che vanno a sostituire volumetrie già esistenti. Nel caso della terrazza la demolizione del volume viene prevista dal progetto di restauro, mentre per quello in corrispondenza della corte, è venuto a mancare in un periodo imprecisato dei decenni passati ed era costituito da una struttura leggera in legno che sosteneva una copertura in policarbonato. Come precedentemente accennato il principio adottato per tali ricostruzioni è quello della reinterpretazione della tradizionale tecnica degli intradossi in incannicciato. Si adopera qui una supericie trasparente con un sistema di inisso il cui telaio non è a vista e che viene issato esternamente a dei proili in legno lamellare che ricalcano le sagome delle precedenti volumetrie. Questo sistema viene associato alla pavimentazione, descritta sopra, composta da proili d’acciaio 98

A destra particolari costruttivi degli interventi del nuovo ambiente della “putia”.


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ad L e traversi lignei. Rispetto a quanto previsto per la passerella della stanza centrale a doppia altezza, si fa una variazione. Per il volume della terrazza, il sistema dei traversi viene issato in coppie che si issano, mediante viti passanti, ai proili in legno lamellare. Questo sistema fa da sostegno alla pavimentazione di legno. Per entrambi i volumi di vetro, allo scopo di creare efetti di luce ai piani sottostanti, vista la grande luminosità che determinano, le assi della pavimentazione vengono qui issate, distanti le une dalle altre 1,5 cm. LE SCALE_ Due rampe di scale vengono inserite in corrispondenza del primo livello e del mezzanino degli ambienti sotto la terrazza. Queste vengono realizzate utilizzando gli stessi materiali delle passerelle. La parte portante è data da un proilo d’acciaio che segue l’andamento dei gradini e a questo si saldano dei piatti, anch’essi d’acciaio, che sostengono le pedate in legno, lasciando libera l’alzata. Quindi anche qui si fa una scelta che guarda alla leggerezza e alla maggiore permeabilità della luce negli ambienti sottostanti. IL NUOVO AMBIENTE_ Al livello più basso della corte, in collegamento allo spazio che si afaccia su cortile Sgarito, viene realizzato un nuovo ambiente con struttura in acciaio che, come verrà spiegato meglio in seguito, accoglierà la cucina del ristorante. L’illuminazione, vista la presenza dell’ediicio adiacente, viene garantita da un taglio del solaio della corte. La struttura portante è costituita da pilastri e travi IPE O 330, che in corrispondenza del taglio perimetrale, vengono annegati in pilastri di calcestruzzo alleggerito, mentre all’interno vengono tamponate da una supericie con lo stesso materiale lavabile ed impermeabile che riveste le pareti della cucina. La copertura di quest’ambiente è costituita da un solaio realizzato con lamiera grecata, issata alle travi sottostanti mediante saldatura e avente massetto armato con rete elettrosaldata. Visto che si tratta di un solaio che fa da copertura rispetto ad un ambiente esterno viene predisposto uno strato di isolamento termico, uno strato delle pendenze e guaina impermeabilizzante. L’allontanamento delle acque è garantito da un canale di raccolta centrale, che la convoglia verso un pluviale collocato nel taglio laterale. Il tamponamento esterno viene realizzato, come già accennato, con vetrate a nastro che poggiano su un tamponamento composto da “gabbie” realizzate con la pietra di recupero delle demolizioni, sulla parte esterna, e un pacchetto isolante retto da proilati ad U, sulla parte interna.

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A destra particolari costruttivi degli interventi del nuovo ambiente della cucina ristorante.


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QUINTA PARTE_ L’ACCADEMIA D’ARTE CULINARIA


Bottega / bot’tegeza/ [lat. apothēca(m), dal gr. apothēékē ‘deposito’, dal v. apotithénai ‘porre (tithénai) lontano, in disparte (apó)’ sec. XII]

s. f. 1 locale gener. a pian terreno e accessibile dalla strada, dove si vendono merci al dettaglio: la bottega del fruttivendolo, del panettiere, del macellaio. 2 laboratorio, oicina dell’artigiano. 3 studio, laboratorio di artista afermato, frequentato da allievi e aiuti, durante il Medioevo ino al XVII sec. Lo Zingarelli 2016

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L’ACCADEMIA D’ARTE CULINARIA

Il tema del progetto di riconversione, mira ad aprire le porte di un Palazzo Giglia, originario ed autentico nella restituzione dei suoi ambienti e nuovo nelle possibilità e opportunità che ha da ofrire. Sulla scia del rinnovamento e della valorizzazione del territorio profusa da Farm Cultural Park, si è pensato ad una funzione che mettesse l’accento sul legame che deve tornare ad esserci tra le giovani generazioni e la tradizione. L’idea di partenza dalla quale si è poi sviluppato il progetto è quella della bottega. Un posto nel quale per deinizione la tradizione non smette di essere tramandata e la qualità artigianale perseguita con grande maestria.

Nella pagina precedente gli spingioni di San Giuseppe. Foto gentilmente concessa dalla pasticceria Patti di Favara

Bottega di cosa? Favara, come molte realtà del Mezzogiorno, vede molti giovani e meno giovani lasciare le proprie famiglie per studiare o lavorare fuori. La Sicilia, e in particolar modo l’agrigentino, non è stata ancora in grado di potenziare al massimo le grandi risorse che possiede, come architettura, territorio, mare e cibo. Tra le provincie dell’isola, quella di Agrigento è la meno sviluppa sia nel settore agricolo che in quello industriale. I tanti prodotti di eccellenza locali non sono conosciuti ai più, per la mancanza di serie politiche di valorizzazione e l’incapacità di fare sistema. E in generale spesso la maia ha fatto la sua parte. Sul territorio favarese e limitrofo, negli ultimi cinquant’anni si è sviluppato enormemente il settore edilizio, che ha dato lavoro a moltissime famiglie, con un progressivo abbandono delle campagne. Ma oggi, vista la grande crisi che aligge il settore, il numero dei disoccupati è cresciuto enormemente. Se da una lato non si è stati più in grado di trarre ricchezza economica dalla terra, come avviene nel trapanese e nel ragusano, o come avveniva un tempo in queste terre, dall’altro non si è mai smesso di occuparsi di essa. Le terre dei grandi feudi, frazionati in tante piccole proprietà, oggi sono condotte da privati ai ini del consumo familiare e per ricavarne qualche proitto nei periodi della raccolta delle olive e delle mandorle e pistacchi. Il territorio agrigentino e quindi favarese ha tanto da ofrire, bisogna soltanto attendere che le giuste politiche regionali e provinciali, unitamente a ravveduti privati, mettano a sistema queste risorse per trarne nuovamente ricchezza. Si ha l’impressione che questa terra abbia smesso di pensare in grande e adagiata sulla consapevolezza della “crisi, della Sicilia, della maia e della corruzione…” e del “sempre così è andata e sempre così deve rimanere”, nulla cambia e tutto tace. 105


Il territorio favarese ha molte potenzialità. Le sue campagne sono ricche di ulivi e la qualità delle sue mandorle e pistacchi non ha nulla da invidiare a quella di Avola e Bronte. Inoltre una lunga e antica tradizione dolciaria è legata a queste preziose materie prime, che insieme a quella gastronomica e del pane, rendono questo territorio una piccola pietra grezza, all’interno del più grande quadro gastronomico siciliano. Pertanto prendendo atto di queste questioni, delle tradizioni del cibo che la Sicilia tutta ha da ofrire, di quella gastronomica e dolciaria favarese, unite alla considerazione che stiamo vivendo l’era del food, del bio, dei talent show culinari, dei food blogger e di tutta quella macchina economica che gira intorno al cibo, il progetto di riuso di Palazzo Giglia è un’accademia d’arte culinaria, una bottega di tradizione, sapori e cultura.

La tradizzione dell’arte dolciaria che si tramanda di padre in figlio. Foto gentilmente concessa dalla pasticceria Patti di Favara.

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Perché non basta dire Sicilia _ Le tradizioni favaraesi Una cucina che sa di mare, di terra e di monti. Un miscuglio irripetibile di sapori, frutto di una storia plurimillenaria che ha visto sommarsi, senza mai annullarsi, gli apporti culturali delle molte civiltà, rendendo la Sicilia il punto d’incontro tra la tradizione culinaria occidentale e quella araba. Il tutto basato su materie prime di eccezionale qualità che danno vita a piatti diversi, una cucina nobile e popolana, d’élite e di strada. Non è possibile parlare di cucina siciliana come di un’unica entità. Le diversità originate dalle diferenti inluenze culturali si sono incrociate con quelle determinate dalla diversità tra cucina della costa e dell’interno; due mondi ancora lontani, ma tra i quali, a causa delle diicoltà di spostamento, esisteva un tempo un solco profondo. Nonostante nell’insieme il carattere alimentare di tale cucina risulti uniicato, una sua caratteristica è quella di avere per ciascun territorio, se pur di ridotto perimetro o di vicinanza ad un altro, delle pietanze culinarie circoscritte a quella determinata area, per cui la stessa ricetta diventa quasi introvabile spostandosi in un’altra zona dell’isola. Tale caratteristica ha portato spesso ad una divisione culinaria tra “Sicilia occidentale”, “Sicilia centrale” e “Sicilia orientale”. La cucina favarese e del circondario risente delle inluenze di una e dell’altra parte dell’isola, vantando però anche piatti esclusi, diferenti o inesistenti nelle cittadine limitrofe. Favara può essere orgogliosa di una lunga tradizione dolciaria e gastronomica che maestri pasticceri e panettieri si tramandano da padre in iglio da generazioni. Dolci e piatti classici siciliani si accompagnano a ricette uniche locali. I piatti tradizionali sono strettamente legati ai prodotti della terra, soprattutto mandorle, pistacchi, ricotta, sarde e olive, oltre alla frutta e agli ortaggi. Il pane e i prodotti da forno hanno poi una tradizione lunghissima. Tutti piatti poveri ma ricchissimi di sapore. Sono soprattutto i dolci ad essere vanto e orgoglio di ogni favarese. Le tante pasticcerie del paese, si sidano genuinamente a chi fa il miglior cannolo, pasta Elena o cassata. Molti di questi dolci sono soprattutto di produzione casalinga, parte dei ricettari di famiglia e, molto spesso legati a festività religiose di santi e madonne, vengono fatti in casa e consumati in famiglia.

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Tra i dolci: L’AGNELLO PASQUALE_Ricetta orgogliosamente favarese, è un dolce pasquale fatto di pasta di mandorle, detta reale, e pasta di pistacchio. La tradizione narra che le prime a preparare questo dolce furono le suore del Collegio di Maria del quartiere «Batia”. La ricetta veniva tramandata oralmente, dalle suore più anziane a quelle più giovani. Una delle prime ricette dell’agnello pasquale porta la data del 1898 ed è appartenuta ad una ricca famiglia della borghesia agraria e solifera dell’Ottocento favarese 1. Di produzione strettamente familiare, è oggi un dolce che non può mancare sulle tavole dei favaresi durante la pasqua ed è apprezzato in tutta la provincia. LA PASTA ELENA_Si tratta di un dolce delicatissimo fatto di pan di spagna, ricotta e mandorle tostate. Il dolce venne inventato dai pasticcieri Francesco Butticè e Vincenzo Albergamo, in occasione della visita nell’Agrigentino della regina d’Italia Elena di Savoia, consorte del re Vittorio Emanuele III, la quale assaggiandolo gradì molto sia il sapore che la dedica. Negli anni sessanta, veniva usato durante i banchetti dei matrimoni2 e oggi è il tipico dolce della domenica insieme ai cannoli, i “gucciarduna” e la cassata.

Pasta elena e “Gucciarduni”, tipici dolci favaresi 1 Vedi APPENDICE C 2 Pasta elena, https://it.wikipedia.org/wiki/Pasta_Elena, 2016.

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L’agnello pascquale di Favara, non ancora decorato

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I GUCCIARDUNA_Cialdoni in italiano, sono una sorta di cannoli realizzati con una sodo pandispagna cosparso di mandorla tostata e caramellata con un morbido ripieno di ricotta. I RICCI DI MARDORLE E DI PISTACCHIO_Fragranti biscotti fatti con zucchero, mandorle e pistacchi tritati. I MASTAZZOLI_Biscotti a base di mosto, semplici o con ripieno di ichi. I DOLCI DI MARTORANA_Tipici della festività dei morti, sono dolci di pasta reale che assumono la forma di frutti ed ortaggi. Sono la sorpresa che si fa ai bambini la mattina della festività, che credono siano stati portati in dono dai cari defunti. GLI SPINGIONI DI SAN GIUSEPPE_Grandissime frittelle ripieni di ricotta, fatti per la festa del papà e di San Giuseppe. LA CUCCÌA_Piatto dolce a base di grano e zucchero, viene preparato in onore di Santa Lucia, nel giorno della sua festa. Della tradizione dei prodotti da forno: I MUFFULETTI_Tonde pagnotte di pane di grano duro aromatizzati con i semi di anice e consumati ancora caldi il giorno dell’immacolata con olio e pepe. Il PANE CUNZATO_Appena sfornato dagli antichi forni a legna, ancora tanti in paese, viene “cunzatu” cioè condito, intriso d’olio fresco, sale e pepe nella versione base e con ricotta, formaggi, sarde, pomodori secchi, olive e tutte quelle conserve sott’olio presenti in casa, nella versione più elaborata. IL CHICHIREDDRU_E’ il tipico pane favarese, introvabile fuori dal paese. Di grano duro e cosparso di semi di sesamo come tutto il pane siciliano, è la forma a ferro di cavallo a conferirgli un gusto e una fragranza tutta particolare. LE ‘MMISCATE _ Sottile strato di pasta di pane, stesa con tanto olio e arrotolata con salsiccia olive e cipolle, appena fuori dal forno è un boccone croccante fuori e morbido dentro.

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U CUDDRIRUNI _ Diverso dagli altri cuddriruni siciliani, quello favarese e una pizzetta irregolare condita con pomodoro, sarde, pecorino e aglio, cotta rigorosamente a legna. I ricchi piatti caldi, pieni, nutrienti e dal sapore forte come la pasta con il sugo al inocchietto e sarde, il macco di fave e la minestrata di San Giuseppe. Tutti questi piatti tipici favaresi si accompagnano costantemente ai classici siciliani: cassate, cannoli, arancini, stigliole, sarde alla beccaico, caponata, pasta alla norma, parmigiana di melanzane, i piatti di mare, il panino ca meusa, le panelle, l’insalata d’arance e inocchi e tanti e tanti altri ancora.

Il chichireddru favarese.

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Una bottega di tradizione, sapori e cultura Un’accademia d’arte culinaria quindi sarà il tema del progetto di palazzo Giglia. Si parla di bottega, in quanto al suo interno gli spazi e le attività vogliono interpretare i diversi signiicati di questa parola: _ il fare secondo la regola dell’arte; _ il tramandare la tradizione all’allievo; _ la vendita dei prodotti. Quindi un’accademia, un ristorante ed una “putia”, lo shop siciliano dei tanti prodotti del territorio e della scuola. Al centro di tutto questo, la tradizione favarese e siciliana della gastronomia e della pasticceria. Il cibo quindi come cultura, risorsa e occasione di riscatto. Ricalcando le diverse funzioni e dovendo accogliere lussi di tipo diverso, la nuova destinazione d’uso si adatta agli spazi di Palazzo Giglia senza troppe diicoltà. I dislivelli del piano terra, un diverso numero di ingressi e lo spazio della corte retrostante, danno la possibilità di compartimentare le funzioni nei diversi ambienti, con accessi anche indipendenti e con al centro, perno di tutto, la stanza a doppia altezza, che diventerà una cafetteria. Ispirandosi alle grandi scuole di cucina presenti in Italia, prendendo spunto dai loro spazi e attrezzature, l’accademia occupa la maggior parte della supericie di palazzo Giglia, lasciando spazio però al piano terra al ristorante e alla putia, funzioni queste che si sposano felicemente con gli obbiettivi della scuola, entrambi banco di prova e di esperienza per gli allievi. Quello che ne risulta è quindi uno spazio ibrido, fatto di ambienti aperti al pubblico e semi-pubblici, che superano i diversi dislivelli del piano terra mediante scale e rampe per l’abbattimento delle barriere architettoniche, comuni alle tre funzioni. Queste sono così distribuite: _alla quota più bassa del piano terra, si hanno la cucina del ristorante, i laboratori di produzione dolci e paniicati e il primo ambiente della putia, che fa anche da ingresso alle sale ristorante superiore; _ al piano ammezzato si hanno il secondo ambiente della putia e la prima sala ristorante, nonché l’accesso alla corte retrostante; _ alla quota più alta del piano terra vi è la cafetteria, l’ingresso all’accademia con adiacente biblioteca e gli elementi di collegamento verticale per le cucine del livello inferiore e l’ambiente didattico del livello superiore. 112

A destra pianta di progetto del piano terra.


_ al primo piano si hanno le aule dell’accademia, l’ultima sala ristorante e la terrazza collegata ad essa. _ Il secondo ed ultimo piano è occupato interamente dagli ambienti didattici. Al ine di evitare il moltiplicarsi di piccole rampe di scale per tutto il piano terra si è deciso di concentrare tutti questi passaggi di quota in un unico ambiente, quello della volta a crociera, che fa così da perno di collegamento e smistamento dei lussi. Da qui è possibile subito accedere all’ascensore che è stato collocato in corrispondenza del fronte demolito e poi ricostruito della corte. Questa porzione di ediicio, che da una parte guarda alla corte interna, mentre dall’altra si afaccia su cortile Sgarito, assolverà ai diverse livelli, alle funzioni più pratiche. Vi sono infatti qui collocati i servizi igienici, i monta vivande, l’ascensore ed un locale tecnico, con accesso esterno dalla corte, che si sviluppa in altezza ed accoglierà le caldaie e le canne fumarie dei forni e delle attrezzature dei piani inferiori, così da non essere visibili all’esterno.

“a Putia”_ 1 sala ristorante _ 6 caffetteria _ 7 biblioteca _ 8 receptio _ 9 servizi igienici _10 disimpegno _11 locale tecnico _12 cortile interno _13

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L’ACCADEMIA_ Con accesso dall’antico portale principale di via Sott. Ten. Giglia, l’accademia si apre al pubblico con il primo ambiente d’ingresso che è la reception, connesso all’ambiente delle scale, il cui asse visivo termina con l’apertura vetrata che dà accesso alla corte. Questo piccolo ambiente di passaggio verrà scandito dai giochi di luce del solaio superiore, che è quello del volume vetrato, realizzato con assi di legno distanziate di 1,5 cm. A destra dell’ingresso si trova la biblioteca. Ad una quota inferiore rispetto alla reception, questo è un ambiente molto grande, con superici in pietra lasciate a vista percorse da mensole di legno e un lungo tavolo centrale. L’illuminazione è garantita dall’apertura dei vani dei fronti di via Zanella e via Sott. Ten. Giglia. Il passaggio di quota per la biblioteca avviene grazie alle rampe e all’elevatore per disabili nell’ambiente voltato a crociera, da cui è anche possibile, alla stessa quota, accedere alla cafetteria, oppure proseguendo con un’altra rampa, giungere all’ambiente di servizio, che fa anche da disimpegno alla prima sala del ristorante, presente a questa stessa quota. Da questo spazio si può anche uscire in cortile, attraverso uno degli archi originari, che diventa uno spazio di ricreazione a servizio della scuola. Giunti al piano superiore, attraverso l’originaria scala del palazzo, alla sinistra dell’ultimo pianerottolo, vi è il volume vetrato che si afaccia sulla corte e che accoglie al suo interno gli spogliatoi per gli allievi. La prima stanza a questo piano è un area relax per gli studenti e fa da disimpegno alle prime due aule collocate sulla destra; la prima è quella per le lezioni frontali mentre la seconda è una cucina didattica, composta di sei postazioni cucina individuali per gli allievi e una principale per l’insegnante. In asse con l’accesso alla stanza relax vi è l’apertura per la nuova passerella che conduce alla loggia di via Zanella, mentre a sinistra vi è l’ambiente dei servizi che fa da disimpegno alla seconda sala ristorante. Al piano superiore lo schema delle aule ricalca quello inferiore, ma a questo livello, la prima è un’aula sommelier, attrezzata con otto postazioni computerizzate, mentre la cucine è una cucina dimostrativa, con un’unica grande postazione centrale circondata da un lungo bancone con sgabelli per gli allievi. Sopra il grande spazio a doppia altezza vi è una sala docenti mentre, dall’ambiente di disimpegno dei bagni si accede ad un’altra aula didattica. Gli spazi dell’accademia sono stati pensati per accogliere dai dodici ai diciotto studenti, oltre che a corsi di cucina estemporanei. La scuola sarà anche fornita di un laboratorio di pasticceria e uno per la produzione del pane e altri paniicati, attrezzato con un vero forno a legna. 114

A destra pianta di progetto del piano primo.


Collocandosi al piano terra, in collegamento con la cucina del ristorante, al primo laboratorio si accede da uno dei portoni di via Zanella, mentre al secondo dal grande arco su cortile Sgarito. La funzione di questi due laboratori non si limiterà ad essere di supporto alla scuola ma saranno anche i prodotti aperti alla vendita. Il laboratorio dei paniicati è fornito anche di alcuni posti a sedere per il consumo veloce dei prodotti, mentre quello di pasticceria si collega alla putia. LA PUTIA_Dal signiicato in siciliano di bottega o negozio, la putia è il l’ambiente di palazzo Giglia in cui saranno messi in vendita prodotti locali, siciliani e quelli realizzati nei laboratori. Si colloca al livello più basso del piano terra, quello all’angolo tra via Zanella e cortile Sgarito, occupando anche il mezzanino superiore. Questo primo ambiente presenta una scala realizzata in acciaio e legno, che poggia su un lungo mobile realizzato in muratura, che ha preso spunto dalle tipiche cucine in muratura delle case siciliane del passato. Inoltre il colore delle pareti è stata suggerite da alcune tracce di vernice azzurra rinvenuta sul luogo. Il mezzani-

spogliatoio _ 5 sala ristorante _ 6 servizi igienici _10 disimpegno _11 terrazza _14 spazio relax _15 cucina didattica _16 aula didattica _17

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no superiore si conigura invece come uno spazio per la degustazione di vino e oli, che si inspira alla versione antenata dei pub moderni, “la putia du vino”. arredata con lo stesso mobile in muratura lungo un lato, che fa da appoggio alla scala che porta al piano superiore, e un bancone centrale con sgabelli, che accoglie i clienti degustatori. La putia inoltre la putia fa da ingresso al ristorante, le cui sale si collocano al piano mezzanino, adiacente al locale delle degustazioni e al piano superiore, grazie alla scala prima descritta. IL RISTORANTE_Il ristorante, come già accennato, è concepito come banco di prova per gli allievi dell’accademia ma rimanendo comunque un esercizio che funziona anche indipendentemente da essa. La cucina si colloca al piano inferiore della corte ed ha due ingressi per il personale, uno dalle scale al piano superiore, adiacenti l’originario scalone del palazzo e direttamente collegato alla scuola, mentre l’altra, più pratica per ricevere le forniture alla stessa quota, si trova su cortile Sgarito. Questo grande ambiente riceve luce dal taglio praticato nel solaio della corte supe-

Sezione di progetto. Vista reception, biblioteca, aule didattiche cunina didattica e dimostrativa.

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riore ed è munito di spogliatoi per il personale, servizi igienici, ascensore e locale dispensa, che è anche il passaggio di collegamento con il laboratorio dei paniicati, nel quale sono collocati i due monta vivande che arrivano alle sale da pranzo dei piani superiori. Quindi questa parte del piano terra, alla quota di cortile Sgarito, è concepita come un grande ambiente produttivo con i suoi spazi interconnessi. Le sale da pranzo si trovano al piano superiore e come detto hanno l’ingresso dalla putia. Una occupa la seconda stanza del piano ammezzato, illuminata dalla inestra centrale e dalle due aperture ripristinate. La seconda al primo piano, si raggiunge attraverso la scala della stanza degustazione della putia. Il volume d’accesso a questo ambiente è quello di vetro che si afaccia alla terrazza, e che per favorire una maggiore penetrazione della luce al piano inferiore, ha il solaio realizzato con la tecnica descritta sopra, con il tavolato della pavimentazione distanziato di 1,5 cm. Entrambe le sale sono messe in comunicazione con la scuola da quegli ambienti di disimpegno nel quale si trovano i monta vivande, l’ascensore e i servizi igienici. Inoltre l’ultima accede anche alla passerella della stanza a doppia altezza, attraverso un’apertura già presente in passato. LA CAFFETTERIA Perno di tutti gli ambienti sopra descritti è la cafetteria al piano terra, che si colloca nello spazio a doppia altezza privato della volta a crociera. Con un ingresso autonomo su via Zanella, quello che si trova sotto la logg centrale, la cafetteria è anche accessibile dall’interno della scuola, attraverso la grande vetrata della stanza della volta a crociera. È percorsa superiormente dalla passerelle di legno e acciaio che porta alla loggia e riceve luce dalla sua portainestra e dalle lampade che scendono dall’alto. Il suo bancone si dispone sulla destra rispetto l’ingresso e una lunga panca, tavolini e sgabelli trovano posto sotto il grande arco sulla sinistra. Questo viene tamponato con una vetrata per separare l’ambiente del bar da quello della biblioteca. In una nicchia ritagliata sulla muratura, al di sotto della loggia si trova una piccola porticina che in passato faceva da collegamento con gli ambienti della quota inferiore, attraverso probabilmente una scaletta in legno. Diventa per la cafetteria il punto di passaggio dei prodotti del laboratorio della pasticceria, attraverso un piccolo monta vivande, installato al suo interno.

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CONCLUSIONI

Al termine di questo studio è apparso ancor più chiaro che Palazzo Giglia è per la città di Favara un bene emblematico della felice storia passata e testimonianza da preservare per gli anni avvenire. Privato per molto tempo della dovuta attenzione, e sottoposto alla più insensata impronta umana nel recente passato, oggi la residenza di Gaetano Giglia rivendica il suo restauro. Il tema ha fornito la possibilità di approfondire le conoscenze circa la sua storia costruttiva, la sua geometria, i suoi materiali e il suo stato di conservazione. Quest’ultimo, così preoccupante, dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione, per impedire che una così bella architettura, collassi su se stessa e vada perduta per sempre. La stesura del progetto di restauro e di rifunzionalizzazione per Palazzo Giglia è stato afrontato, da una parte come un importante esercizio accademico, con un serio confronto con tematiche tecniche, costruttive e storiche, dall’altra come una sorta di dovere verso il luogo di appartenenza. Un senso di orgoglio e riscatto ha accompagnato le diverse fasi del tema, a partire dalla presa di coscienza dell’architettura, delle fasi di rilievo e indagine sul campo, ino alla consapevolezza e ferma convinzione delle sue grandi possibilità, rispetto al nuovo contesto culturale in cui è inserito, della fase progettuale. Quello dell’accademia d’arte culinaria si è posto come una delle tante possibilità per le quali gli spazi del palazzo potrebbero essere declinati. Ma quello del cibo è parso essere il tema che più di tutti potesse conciliare la valorizzazione dell’architettura con la valorizzazione del territorio. La tradizione è stata posta al centro sia del progetto di restauro che del progetto architettonico: se da una parte si recupera e si valorizza la tecnica costruttiva, dall’altro si vuole valorizzare la tecnica gastronomica. L’augurio è che questo progetto possa essere un piccolo punto di partenza, di stimolo per una seria valutazione di intervento e una dei tanti progetti di recupero per il centro storico di Favara. Ci si augura che i beni architettonici del paese possano, oggi come all’ora, tornare nuovamente ad essere centro vivo ed energico della città. Non sembra manchino le possibilità e gli stimoli giusti, per cui si spera che in un futuro non molto lontano, le voci di NOI GIOVANI, che chiediamo maggior rispetto e attenzione per Favara, possano essere ascoltate, e che anzi noi stessi possiamo diventare gli arteici di un fresco cambiamento per la città.

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RINGRAZIAMENTI

Questa tesi di restauro ha avuto molti padri, per cui un grazie prima di tutto va alla persona che, nel corso di questi lunghi mesi, mi ha accompagnata pazientemente al traguardo: un sentitissimo grazie al Professor Pietro Matracchi, ha fatto di quest’esperienza la migliore del mio intero corso di studio, la sua professionalità e curiosità sono state indispensabili e preziosissime. Un secondo grazie ad Antonio Mignemi. Quella domenica pomeriggio, davanti ad un bicchiere di vino mi hai aperto le porte di questa splendida disciplina. Ti sarò sempre riconoscente per quelle parole e per la tua presenza, anche se invisibile, che mi ha sempre supportato. Il terzo grazie è un grazie di gruppo, verso quelle persone che oggi stanno facendo di Favara un luogo diverso, migliore. Quindi Andrea e Florinda, voi siete il motore di questa strepitosa macchina, mi avete dato la possibilità di ritornare ad essere orgogliosa del mio paese; Michele Bennardo, tu che mi hai fatto conoscere Palazzo Giglia, con le tue foto hai sempre stimolato la mia curiosità e con le tue passeggiate fai riscoprire a molti una Favara dimenticata; i ragazzi che ruotano intorno a Farm Cultural Park, anche se lontana ho sempre seguito e continuo a seguire le vostre grandi imprese, siete stati per me un modo per non arrendermi alla realtà e continuare a sperare il meglio per il nostro paese; Calogero Giglia, con tanta iducia mi hai consegnato le chiavi del palazzo, grazie per avermi permesso di immergermi in questi spazi d’altri tempi. Papà, Mamma, Già e Giò! Siete la famiglia più pazza, frizzante, rumorosa, sanguigna, sicilianissima e unica che si possa avere! Grazie, perché tra le diicoltà e i sacriici di tutti, mi avete regalato gli anni migliori della mia vita e mi avete oferto la straordinaria possibilità di studiare in una delle città più belle del mondo. Senza te non sarei stata in grado di superare incolume questi anni di università. Sei stato la parola di conforto, quella di incoraggiamento, quella di sostegno e di ammirazione. Sei stato la razionalità e l’obbiettività che spesso mi è mancata e la dolcezza di cui ho avuto giornalmente bisogno. Grazie Adriano, spero di essere per te anche solo una piccola parte di quello che tu sei per me, una boccata d’aria fresca! Adesso il mio ringraziamento va ad una grandissima, immensa, spettacolare e sorprendente Firenze. Dopo i primi anni di amore e odio, tra noi due adesso si è instaurato un legame speciale. Grazie di avermi accolta, divertita e soprattutto avermi dato la possibilità di conoscere persone straordinarie, tutte diverse e uniche, persone che solo tu potevi tenere unite. Eloisa, magniica presenza in quel del Viuzzo, sei stata per me il miglior esem121


pio di donna, nella vita e nello studio. Anche se lontana ti sento sempre vicina e pensare a te e alla tua forza mi ha spinto sempre a far meglio. Irene, grandissima compagna di avventura, insieme abbiamo superato l’impensabile, siamo state l’una la spalla dell’altra e la tua tavola della domeniche spesso è stata anche la mia. Grazie senza te…non voglio nemmeno pensarci. Davide, Davido, Davidonzolo, non basta dirlo una volta sola, perché tu sei tanto. Tanto di allegria, tanto di bravura, tanto di cuore. Grazie per le tue strizzate di guance, collante per la nostra inaspettata amicizia, iniziata qualche anno fa e senza la quale adesso non saprei come fare. Laura, dolcissima Lauretta, i tuoi abbracci mi hanno sempre riportata tra le mura di casa. La tua sensibilità e le tue fragranti risate ti hanno reso una persona impossibile da non voler bene. Grazie. Il magniico gruppo di Fabri, Carlo, Fede, Rosa, Angela, Valerio e altri…ho sempre detto che avrei voluto conoscervi molto prima, siete straordinari e avete fatto di aperitivi, cene, pranzi, bevute, cinebox, biennali e serate dei momenti unici, pieni di risate ed afetto. Grazie ragazzuoli! Benedetta, Davide e Livia. Conosciutici da meno di un anno, credo di esservi amica da una vita. Siete stati i protagonisti con me di una bellissima avventura tra Canvas, business model e birrette bavaresi. Grazie della vostra amicizia. Spero di andare lontano insieme a voi. Marci, mia coinquilina mancata, non mi sono scordata di te. C’eri anche tu quella domenica pomeriggio e ci sei sempre stata le altre domeniche mattina. Ci siamo spesso fatte forza a vicenda, e le tue risate e i tuoi sospiri hanno reso questa città ancora più casa, ancora più famiglia. Grazie! Claudia, a me piace chiamarti Clappina, ed Elena, tenere, fantastiche, esplosive amiche, che gioia avervi conosciuto, le ore passate insieme a voi sono state sempre piene di risate, abbracci e baci (soprattutto i tuoi ele, grossi e morbidi). Un afettuoso grazie va anche agli amici di casa, quelli dei banchi di scuola, che tra le distanze, in questi anni allungatesi e accorciatesi, poi alla ine eravamo sempre noi. Stesse risate, stessi posti, stesse mangiate, stesse giocate, stessa grande e bella amicizia. in particolare Angelica, Jessica, Federica, Carmelo e Pietro. Gli amici di Parma. Conosciutici nel corso di questi anni, siete stati spesso per me una seconda famiglia durante le feste e i ine settimana. Grazie Annarita, Yara, Gianluca, Stefano, Gianfranco e Francesco. E una volta passati per Parma, magniica città entratami nel cuore, non posso non ringraziare lo studio Bordi Rossi Zarotti. Grazie Alberto, Marco, Sauro, 122


Silvia e Giovanni. Spero che le mie esperienze lavorative possano avvicinarsi almeno un po’ a quella che ho vissuto insieme a voi. Siete stati per me fonte di conoscenza, esperienza e anche risate. Grazie di cuore. Non posso chiudere questi ringraziamenti senza citare ciò che in questi lunghi anni è stata la costante delle mie giornate. Le ore passate davanti al computer, le corse, le passeggiate, le pedalate prima degli esami sempre con voi alle orecchie. Grazie amici di Radio Deejay! Un grazie soprattutto al trio Medusa che ogni mattina ha fatto sì che aprissi gli occhi con un enorme sorriso. Grazie ragazzi! Grazie Firenze! E un piccolo grazie anche a me stessa…chi l’avrebbe mai detto!

P.S. Angela della copisteria Universale AZ, sei stata un’angelo custode. Grazie. 123



APPENDICE



APPENDICE A

Analisi del quadro fessurativo e vulnerabilità in riferimento alla tav. 13

A1 Fessurazione intradosso dell’arco Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Lesione longitudinale che percorre circa i due terzi dell’intradosso dell’arco. CAUSE Vulnerabilità dovuta ai carichi gravanti dei piani superiori e dai probabili movimenti causati dagli interventi di demolizione dei solai degli ambienti attigui. SOLUZIONE Rinforzo e consolidamento dell’arco mediante spillatura con barre di vetro resina, inserite ortogonali alla fessura.

A1.3 Fessurazione chiave dell’arco e schiacciamento dei piedritti Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia e degrado strutturale DESCRIZIONE Fessurazione della chiave di volta degli archi del piano terra, i cui piedritti insistono sulla stessa porzione di muratura. Questa presenta lesioni da schiacciamento su tutte le facce, con conseguente espulsione di malta e ingranamento delle bozze di pietra arenaria lungo la fascia sollecitata. CAUSE Danneggiamento dovuto ai lavori di rimaneggiamento dei solai, a cui è stato sottoposto l’ediicio negli anni novanta. Questi hanno indebolito le strutture degli archi che spingono eccessivamente sui piedritti. Essendo gli archi poggianti, da una parte a solida e spessa muratura e dall’altro ad una più esile sezione muraria comune, questa risulta essere il centro convergente di tutte e tre le spinte e per tale motivo, non potendo ruotare verso l’esterno, si fessura. SOLUZIONE Spillatura incrociata della chiave dell’arco. Incatenamento/cerchiatura della base degli archi, attraverso l’inserimento di coppie di barre in vetro resina ortogonalmente alle facce dei piedritto e sfalsate in altezza le une rispetto le altre. Queste vengono issate attraverso dei piatti metallici dello spessore di 1 cm sagomato attorno allo spigolo del piedritto, al ine di incrementare l’azione di compressione.

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A1.4 Fessurazione chiave dell’arco e schiacciamento dei piedritti Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Fessurazione che percorre la chiave dell’arco, eccentricamente verso sinistra. Ampia mancanza di una porzione della muratura dal ianco. Piedritti schiacciati con fessurazioni verticali alla base e espulsione degli strati di malta in corrispondenza della cerniera di rotazione. CAUSE L’arco, generatore di una volta a crociera demolita, è stato danneggiato dai disastrosi interventi di rimaneggiamento risalenti agli anni 90’. La demolizione dell’originaria volta a crociera, l’esportazione di un’ampia porzione del ianco, per far spazio ad un pilastro in c.a., e la perforazione della porzione di volta adiacente (sotto loggia superiore), ha fatto sì che alla sommità dell’arco venisse a mancare l’azione di spinta del lato destro. Pertanto si è sviluppata la fessura sommitale e lo schiacciamento dei piedritti. SOLUZIONE Vista l’adiacenza di questo arco con la porzione di volta sotto la loggia superiore, che risulta lesionata (vedi S1.2) è necessario che i lavori di consolidamento dei due elementi si svolgano in un’unica operazione e che le modalità di intervento siano organicamente collegate. A seguito di adeguata puntellatura della volta e dell’arco, si procede con il consolidamento della porzione di volta attraverso la realizzazione di un massetto armato. Ripristino delle volumetrie sigillando la fessurazione e chiudendo i fori. Spillatura incrociata della chiave dell’arco e ripristino piedritto dell’arco con malta e pietrame.

A1.5 Fessurazione chiave dell’arco Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia e degrado strutturale DESCRIZIONE Fessurazione della parte sommitale con eccentricità su un lato dell’arco comune alle due stanze originariamente entrambe voltate a crociera, di cui era generatore. La fessurazione percorre tutto lo spessore dell’arco, passando quindi da una stanza all’altra. Probabilmente le due stanze in origine non erano separate dal muro che oggi si osserva. CAUSE Danneggiamento dovuto agli interventi di rimaneggiamento degli impalcati, avvenuti negli anni Novanta. SOLUZIONE Demolizione muro tra le due stanze, previa puntellazione dell’arco. Inserimento di zeppa lignea nella fessura, al ine di ricostruire la continuità volumetrica.

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A2.1 Fessurazioni architrave e davanzale Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia e a degrado strutturale DESCRIZIONE Fessurazioni tra i diversi conci della trabeazione e del davanzale superiore. Inclinazione delle estremità di quest’ultimo, verso l’esterno. Volumetria dei capitelli danneggiata e inglobata in parte (capitello destro) o totalmente (capitello sinistro) in una massa cementizia. CAUSE Fessurazioni causate probabilmente dalla presenza di una barra metallica, posta longitudinalmente a sostegno del proilo inferiore della trabeazione, incastrata e cementata in corrispondenza dei capitelli laterali. Installata presumibilmente in un precedente intervento per evitare lo silamento della chiave di volta in pietra, le sue dilatazioni e contrazioni hanno determinato azioni spingenti e destabilizzanti verso l’esterno. SOLUZIONE Rimozione elemento metallico. Smontaggio degli elementi dell’architrave, asportazione delle parti cementizie applicate in precedenti interventi. Pulitura degli elementi. Montaggio dei conci attraverso grappe e collegamenti in acciaio inox.

S1.1 Lesione volta a crociera Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Lesioni e fessurazioni che insistono ortogonalmente agli angoli di connessione tra pareti perimetrali della stanza e gli archi generatori della volta (uno di questi è quello comune alla stanza che dà su via Zanella vedi A 1.4). Foratura di tre delle quattro imposte per il passaggio di pilastri in c.a. di cui solo due sono stati realizzati. Si osservano sulle vele lesioni di piccole dimensioni, ravvicinate e ramiicate. CAUSE Danneggiamento frutto dei lavori di rimaneggiamento degli impalcati risalenti agli anni 90’, che ha privato la volta delle porzioni murarie nelle quali convergevano le spinte di compressione. Ad ogni modo la volta rimane in piedi e dall’osservazione del suo spessore, attraverso le perforazioni, si nota come questa non sia costituita da piccoli elementi che lavorano a compressione (mattoni o pietrame), ma da una soletta di malta cementizia gettata su centine. Gli angoli dell’intradosso risultano vuoti, in quanto delle voltine cilindriche assolvono alle funzioni di sostegno. SOLUZIONE Ricostruzione della volumetria degli appoggi mediante l’impiego di elementi in laterizio modellati secondo la forma originale e issati alla parete mediante bullonature. Consolidamento dell’impalcato superiore attraverso la realizzazione di una soletta di calcestruzzo alleggerito armato con rete elettrosaldata.

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S1.2 Lesione di una porzione di volta Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Estesa e profonda lesione che si estende sul margine perimetrale della vela, per poi propagarsi nella parte centrale. La lesione si ramiica avvicinandosi ad uno dei due fori praticati per il passaggio dei pilastri in calcestruzzo armato. CAUSE Lesione dovuta agli interventi di rimaneggiamento degli impalcati avvenuti negli anni 90’, che hanno visto praticare due fori degli angoli della volta, con relative vibrazioni e movimenti destabilizzanti (vedi anche A1.4). SOLUZIONE Ripristino dell’intradosso con iniezione a pressione di legante, per risarcire la fessura. Consolidamento dell’impalcato superiore attraverso la realizzazione di una soletta di calcestruzzo armato alleggerito.

S1.3 Fessurazione difusa sulle volte della scala Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia e degrado strutturale DESCRIZIONE Profonde e ramiicate lesioni sulle volte e lungo le fasce perimetrali. CAUSE Scarso ammorsamento delle superici murarie. Perdita di coesione della trama muraria. Azione stringente delle murature della proprietà attigua del piano terra. SOLUZIONE Consolidamento e risarcimento delle lesioni. Intervento sulla muratura (M3).

S2.1 Fessurazione ed instabilità intradosso solai Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia e a degrado strutturale DESCRIZIONE Esteso quadro lesionativo e inlessione della supericie dell’intradosso. Mancanza di parte degli intonaci ed esposizione dell’apparato strutturale ligneo all’azione di fenomeni di marcescenza. Fessurazione presenti anche all’imposta delle cornici. CAUSE Danneggiamento dovuto agli interventi di rimaneggiamento degli impalcati avvenuti negli anni 90’, che hanno visto la perforazione dei solai e determinato anche uno stato di cose per cui non vi è nessuno ostacolo all’azione degli agenti atmosferici. Il manto di copertura dell’ultimo livello infatti risulta pesantemente danneggiato e gli inissi poco integri. Si è determinato quindi anche lo sviluppo di vegetazione sparsa e degrado di tipo biologico. 130


SOLUZIONE Sarà necessaria un’ispezione più approfondita degli impalcati per conoscere lo stato di degrado degli elementi strutturali lignei. Quindi si procederà con la rimozione dei diversi strati a partire dall’estradosso. Pulitura, essiccazione e consolidamento delle travi recuperabili; sostituzione di quelle più danneggiate; ripristino della volumetria delle cornici; stuccatura e nuova intonacatura.

M1 Spanciamento fuori piano verso l’esterno del fronte Vulnerabilità legata alle modalità costruttive iniziali e a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Schiacciamento della muratura con spanciamento verso l’esterno, accompagnato da fessurazioni lungo le connessure verticali del paramento murario. Lesione passante tra la parete perimetrale e quella di spina e mancanza degli strati supericiali di intonaco e danneggiamento della massa muraria (intervento anni 90’). Lesioni a taglio lungo la supericie interna del fronte su via Zanella, concentrate in prossimità dell’innesto del muro di spina e in corrispondenza delle parti sommitali le aperture. Lesioni a taglio della parete laterale esterna (cortile Sgarito). CAUSE Distribuzione di aperture e nicchie non opportunamente distanziate, che determina il gravare del peso delle superici sovrastanti su maschi murari ridotti. Scarso ammorsamento tra supericie esterna e parete di spina interna, aggravato dall’attestazione di quest’ultima in corrispondenza di una nicchia, probabilmente già apertura in passato. Assenza collegamento eicace della parete con solaio interno (demolito). SOLUZIONE Previo preconsolidamento della muratura fessurata, perforazione armata dell’innesto a T tra la parete perimetrale (via Zanella) e quella di spina interna. Le perforazioni sono praticate con resine epossidiche bicomponenti e barre di acciaio inox ilettate inserite ad una distanza di circa 1 m dagli angoli di innesto, per una profondità di circa 1,70 m. Saranno inoltre disposte in maniera incrociata e distanti verticalmente 50 cm e con un’inclinazione di 5°. Sostituzione degli architravi lignei delle aperture (nicchie e portoni). Realizzazione di nuovi solai lignei, opportunamente collegati alle murature perimetrali con cerchiature dal proilo ad L, e irrigiditi da fasce d’acciaio nel massetto. Le cerchiature delle stanze attigue sono poi legate con barre metalliche inserite nella muratura.

M2 Schiacciamento localizzato della muratura Vulnerabilità legata a modalità costruttive e degrado strutturale DESCRIZIONE Lesione verticale passante sulla muratura a partire dall’incastro di due travi, una lignea e l’altra d’acciaio, molto ravvicinate. Lesioni verticali interne al vano dell’apertura sottostante e indebolimento del ianco dell’arco sottostante il loggiato. È in corrispondenza di quest’angolo che si ha l’altra estremità della lesione passante. 131


CAUSE Azione localizzata data dalla presenza di due travi ravvicinate che si incastrano nella muratura già indebolita da una nicchia sottostante e da una perforazione dello spessore murario, dal quale si diramano sulla faccia opposta della parete, altre fessure. Lo schiacciamento della muratura potrebbe anche dipendere dall’invecchiamento delle malte. SOLUZIONE Ripartizione dei carichi superiori mediante realizzazione di nuovo solaio ligneo. Riparazione dell’architrave dell’apertura. Consolidamento della muratura attraverso il risarcimento delle lesioni, con coli a pressione naturale di leganti. Apposizione di fascia di acciaio (S =8mm) nell’intradosso dell’apertura che piega sugli spigoli. Il issaggio avverrà attraverso barre di acciaio inox (perforazioni armate) che sul lato verso la parte perimetrale saranno lunghe circa 1 m, allo scopo di intercettare la lesione passante. La saturazione dei fori avverrà con resine epossidiche bicomponenti. Realizzazione di nuovi solai lignei, opportunamente collegati alle murature perimetrali con cerchiature dal proilo ad L, e irrigiditi da fasce d’acciaio nel massetto. Le cerchiature delle stanze attigue sono poi legate con barre metalliche inserite nella muratura.

M3 Spanciamento fuori piano verso l’esterno di due diversi livelli del fronte ed espulsione dell’angolata Vulnerabilità legata a degrado strutturale e difetti dei presidi DESCRIZIONE Espulsione di due diversi livelli della muratura esterna del vano scala, in corrispondenza delle inestre sui pianerottoli. Lesioni orizzontali che ricalcano il passaggio di catene metalliche interne alla muratura. Lesioni oblique che partono dalla inestra al livello più basso. Lesioni ad arco in prossimità di uno spigolo del vano scala, in corrispondenza di un pianerottolo intermedio. CAUSE Perdita di coesione delle componenti la trama muraria, che sottoposta al peso della sopraelevazione della piccionaia, reagisce e si lette. Inoltre il muro perimetrale della proprietà adiacente, al livello del piano terra, esercita un’azione stringente sul livello più basso del vano. Questa determina l’insorgenza di fessure di taglio a partire dall’apertura inferiore. Questo sistema di azioni determina internamente un notevole quadro fessurativo degli intradossi voltati. Si osserva inoltre la formazione di “efetto arco” in corrispondenza dell’altro spigolo libero del vano scala, determinato dal trattenimento della muratura, superiormente da parte di una catena, inferiormente dal muro perimetrale della proprietà attigua. SOLUZIONE Si procede con la puntellazione di tutto il vano scala, e partendo dall’alto si consolida la supericie esterna attraverso il metodo del cuci e scuci sull’intera supericie muraria, interna ed esterna. Dopodiché si inseriscono delle putrelle di acciaio all’interno del vano tra imposta superiore delle rampe e l’intradosso delle volte, mediante smontaggio della pavimentazione e suc132


cessiva ricollocazione. Queste faranno da sostegno alle rampe sovrastanti e svolgeranno il compito di nuova “catena” trasversale. Inine si procede con il consolidamento e risarcitura delle fessurazioni interne con iniezioni di leganti naturali.

M4 Ribaltamento fuori piano verso l’esterno della porzione superiore della supericie Vulnerabilità legata a degrado strutturale e debito manutentivo DESCRIZIONE Ribaltamento dovuto a una fessurazione che si propaga orizzontalmente sulla sommità della porta inestra. Questa risulta più evidente sulla supericie interna. CAUSE Perdita di consistenza della trama muraria. Scarso ammorsamento laterale. Probabile contributo fornito dall’alta fascia muraria superiore. SOLUZIONE Iniezioni di riparazione e consolidamento delle fessure. Realizzazione di cordolo sommitale per la ripartizione dei carichi, mediante piastra di acciaio issata alla testa della murature con barre dilettate inclinate e saldata alle cuie metalliche delle travi della copertura.

M5 Fessurazione muraria Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Fessurazione della parte superiore e circostante le porte inestre sul fronte di via Zanella e di via Sott. Ten. Giglia. Vi è anche una lesione passante lungo l’innesto con la parete laterale. CAUSE Probabile sostituzione degli inissi con probabili variazioni delle loro dimensioni e morfologia. Modiiche e/o aggiunta dei balconi. SOLUZIONE Consolidamento della muratura mediante cuci e scuci.

M6 Rotazione parziale fuori piano verso l’esterno della parete Vulnerabilità legata a carenza di connessioni DESCRIZIONE Lesione passante che percorre verticalmente lo spigolo del volume superiore.

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CAUSE Scarso ammorsamento delle superici murarie. Variazione andamento copertura che risulta spingente sull’angolo. SOLUZIONE Riammorsatura dell’angolo attraverso cuci e scuci della supericie interna.

M7 Rotazione verso l’esterno dell‘angolata libera Vulnerabilità legata a carenza di connessioni e degrado strutturale DESCRIZIONE Fessure che si propagano sulle superici ortogonali del volume che si afacciano sul cortile, a partire dalla muratura sottostante le due aperture presenti. CAUSE Fessure determinate dall’indebolimento delle superici ortogonali da parte delle due aperture presenti, una delle quali ampliata rovinosamente durante i lavori degli anni 90. Scarso ammorsamento. SOLUZIONE Iniezioni di riparazione e consolidamento delle fessure. Cerchiatura del volume, in corrispondenza del primo e del secondo livello, con membrana in ibra di carbonio.

M8 Collasso della superice Vulnerabilità legata a processi di trasformazione edilizia DESCRIZIONE Numerose fessurazioni inclinate si propagano dalle due aperture presenti sulla supericie a livelli diversi, che sono state rovinosamente ampliate durante gli interventi edilizi degli anni 90’. La supericie risulta sospesa in un delicato equilibrio. CAUSE Maldestro intervento edilizio inconcluso e prolungata esposizione delle superici agli agenti atmosferici. SOLUZIONE Demolizione dell’intera supericie muraria, ad esclusione dei due archi del livello inferiore. Ricostruzione della volumetria utilizzando il pietrame di risulta della demolizione, in una struttura intelaiata di metallo e poi celata dal rivestimento di malta ed intonaco.

M9 Ribaltamento e parziale rotazione fuori piano verso l’esterno della parte sommitale del fronte Vulnerabilità legata a difetti degli elementi di presidio esistenti

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DESCRIZIONE Lunga lesione curva ad asse orizzontale che si estende nella parte sommitale della parete, a partire da un angolo ammorsato verso il capochiave della catena metallica che attraversa la parete ortogonale interna. A partire da questa, la porzione di muratura restante ruota nella direzione della muratura collassata recentemente sul cortile. CAUSE Scarso ammorsamento con la muratura ortogonale interna e ineicace presenza di catena metallica. Squilibrio dovuto al crollo del muro adiacente. SOLUZIONE Realizzazione di cordolo sommitale per la ripartizione dei carichi, mediante piastra di acciaio issata alla testa della murature con barre ilettate inclinate e saldata alle cuie metalliche delle travi della copertura. Quest’ultima sarà consolidata attraverso la posa di un doppio tavolato ligneo.

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APPENDICE B Demolita la torre del barone Mendola del 1897 di Carmelo Antinoro L’Uicio tecnico comunale fa demolire una torre dell’800 Alla ine del mese di marzo 2010, tra le tante scriteriate demolizioni efettuate nel centro storico, com’era da prevedersi l’ennesimo scempio si è consumato a Favara. Alea iacta est; la torretta sulla collina S. Francesco, a seguire le strutture del Boccone del povero (v. foto), è stata spazzata via assieme all›antico ediicio a cui era collegata per far posto a un bel palazzo. La guardiola era stata fatta costruire nel 1897 dal barone Antonio Mendola, riutilizzando residui di muri della distrutta chiesa cinquecentesca di S. Francesco d’Assisi, utilizzata come cimitero nel 1837 e 1867, durante l’epidemia di colera. La torretta doveva garantire e sorvegliare l’orfanotroio del Boccone del povero, preso di mira da piccoli delinquenti che avevano perpetrato alcuni furti e, nello stesso tempo, salvaguardare anche il palazzo a nord della torretta, allora loculus popularis sapiantiae del barone, che conteneva una biblioteca di circa 14.000 volumi, un museo, un osservatorio meteorologico, una legatoria dei libri e un laboratorio di falegnameria a piano terra. Il barone, che tanto sperava nei posteri, avrà da rivoltarsi nella tomba nel constatare, dopo più di cento anni dalla sua morte, tanta disonestà intellettuale e morale e tanta povertà culturale. Fanno bene tanti giovani ad abbandonare questa disgraziata città per non tornarci mai più. Crimine culturale e violazione del codice dei Beni Culturali Il 2-3-2009, la Soprintendenza di Agrigento così si è espressa in riscontro alla richiesta sulla esistenza vincoli da parte del privato proprietario della torre e degli antichi ediici a cui era collegata (perfettamente integri dal punto di vista statico):In riscontro alla Vs. richiesta pervenuta a Codesto Servizio Beni Architettonici in data --/--/--, prot. N° ---, si attesta, per quanto di competenza, che dall’esame degli atti presenti in Uicio, l’immobile di che trattasi, non risulta sottoposto a vincolo ai sensi del D. L. 42/04. Detto provvedimento, redatto senza istruttoria, senza sopralluogo, senza cognizione e consapevolezza del valore storico del manufatto oggetto della richiesta, ha decretato la demolizione dello stesso. La cosa grave, anzi gravissima è che questo è avvenuto ad opera di chi doveva tutelare il bene. Questa azione criminosa (di cui hanno dato informazione quotidiani regionali e nazionali, TV locali, notiziari web, etc.) ha suscitato sgomento, incredulità, profondo imbarazzo e vergogna nella Comunità favarese e l’interrogativo comune è stato e continua ad essere: Come è potuto accadere questo scempio? Il valore storico della torre è indiscutibile, perché, oltre che legata alle vicissitudini di un personaggio del passato di chiara fama internazionale, era collegata anche a due adiacenti manufatti (vincolati ope legis) dallo stesso barone fatti costruire nella seconda metà del 1800 ed ancora esistenti: il complesso del boccone del povero ed inabili al lavoro (oggi delle suore bocconiste) ed il loculus popularis sapientiae del barone (oggi in possesso del Comune di Favara e alla ine del 1800 comprendente una biblioteca antiquaria di circa 14.000 volumi, stampe, foto, un museo ornitologico ed oggetti antichi di varia fattura - segnalato come bene d’interesse nell’atlante dei beni culturali redatto dall’Ass.to Reg.le BB. CC. – un osservatorio meteorologico, un laboratorio di tassidermia, una rilegatoria, etc.), a guardia dei quali stava, appunto, la demolita torre dotata di feritoie d’osservazione. 136


Il Codice dei Beni Culturali (D.Lgs. 42/04), all’art. 20, recita che gli stessi non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. Lo stesso, inoltre, obbliga la tutela di detti Beni e che la stessa consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per ini di pubblica fruizione (art. 3, comma 1). L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale (art. 3, comma 2). Vero è che l’art. 10 stabilisce che per i beni culturali di proprietà privata il riconoscimento giuridico avviene (comma 3) quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’articolo 13 (il cosiddetto vincolo), ma questo attiene ai compiti speciici della Soprintendenza, la quale (art. 12) veriica la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etno-antropologico …. Detta veriica dell’interesse culturale di cui all’art. 12, nel caso speciico, per il fatto che c’era una richiesta di esistenza vincoli da parte di un privato, si rendeva urgente, inderogabile e puntuale e, invece, non solo è stata omessa, ma si è limitata al semplice esame degli atti presenti in Uicio, come già detto inesistenti, come se l’Uicio possedesse tutti gli atti necessari per stabilire se un bene è d’interesse. Una richiesta di esistenza vincoli formulata soprattutto da un privato, in molti casi è motivata da un intervento di manomissione o demolizione del bene. In tale caso occorreva efettuare la veriica (cosa non fatta) ed immediatamente avviare (art. 14) il Procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale. Fra le altre cose (art. 28, comma 2) al soprintendente spetta altresì la facoltà di ordinare l’inibizione o la sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell’articolo 10, anche quando per esse non siano ancora intervenute la veriica di cui all’articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all’articolo 13. La cosa grave, anzi gravissima, è che la demolizione è avvenuta nell’indiferenza della gente, ma soprattutto di chi doveva attenzionare la questione e prevenire la demolizione, primo fra tutti l’Uicio tecnico del Comune di Favara. Tanti sono gli interrogativi: perché il Sindaco, l’Assessore ai lavori pubblici e tanti altri amministratori erano all’oscuro di quanto avvenuto? La realtà è che un altro bene d’interesse storico, un’altra memoria storica scompare e questa volta con un provvedimento dato dalla Soprintendenza in palese violazione del D.Lgs. 42/04. Carmelo Antinoro © 2008 http://www.favara.biz/che_citta_e/demolizione_torre.htm

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APPENDICE C Estratto da AGNELLO PASQUALE di Carmelo Antinoro Questo dolce è stato assaggiato il 12 maggio 1923, da mons. Giuseppe Roncalli (1881-1963 - eletto Papa Giovanni XXIII il 28-10-1858), quando, essendo in visita ad Agrigento, do-vendo rientrare a Roma, il canonico Antonio Sutera volle accompagnarlo fino a Caltanissetta e, passando per Favara, insieme si fermarono nella sua residenza di via Umberto per pren-dere un caffè e per l’occasione, assaggiare questo dolce favarese preparato da suor Concetta Lombardo del collegio di Maria. Il dolce venne talmente apprezzato da Mons. Roncalli, al punto tale che a 40 anni esatti dalla visita ad Agrigento-Favara, precisamente l’11 maggio 1963, ricevendo il nuovo Vescovo ausiliare di Agrigento, Mons. Calogero Lauricella, Papa Giovanni XXIII volle ricordare due co-se in particolare: la visita effettuata ai templi di Agrigento e il gusto particolare dell’agnello pasquale, consumato a Favara. Il canonico Sutera, quando era direttore diocesano delle pontificie opere missionarie e rettore del seminario di Agrigento più volte ha omaggiato Mons. Roncalli di questo squisito dolce favarese e successivamente, riprendendo una vecchia e nobile tradizione, anche il Movimento Giovanile Studentesco di Favara, il cui promotore era il sac. Antonio Sutera (ni-pote del suddetto canonico), a quell’epoca rettore della chiesa del Rosario di Favara. Di quanto detto ne è riprova una lettera della Segreteria di Stato del 18 aprile 1966, con la qua-le l’eletto cardinale sostituto Mons. Angelo Dell’Acqua comunicava a Mons. Sutera che Papa Paolo VI voleva ringraziarlo per l’invio dell’agnello pasquale. Nel novembre 2004, in occasione di un incontro di Papa Giovanni Paolo II con alcuni di-sabili sono stati portati alcuni doni e, fra questi, anche un agnello pasquale di Favara. Carmelo Antinoro © 2008 http://www.favara.biz/memorie_storiche/agnello.htm

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BIBLIOGRAFIA AA.VV., Arti mestieri e tradizioni locali, Favara, Industria graica T. Sarcuto, 1997. AMICO V., DI MARZO G., Dizionario topograico della Sicilia, Palermo, S. Di Marzo Editore, 1859, Reprint, Sala Bolognese, Forni, 2006, 2 v. ARNONE A ., Mito, storia e toponomastica nel territorio di Favara, Favara, Medinova, 1997. BALLANDI R., Consolidamento e recupero strutturale, Alinea Editrice, Firenze, 1992. BELLAFIORE G., La civiltà artistica della Sicilia: dalla preistoria ad oggi, Firenze : Le Monnier, 1963. BERTOCCI S., BINI M., Manuale di rilievo architettonico e urbano, Città Studi, Novara, 2012 CARBONARA G., Restauro dei monumenti, Liguori Editore, Napoli, 1990 CARBONARA G., Atlante del Restauro, tomo 2,UTET, Torino, 2004. CARBONARA G., Trattato di restauro architettonico, Tomo 2, UTET, Torino, 2007. CEDRINI R., Spazi abitativi e vita quotidiana nelle dimore nobili e notabili nella Sicilia del XVIII secolo ,Ed. Scientiic book, Palermo, 2000. DOCCI M., MAESTRI D., Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Gius,.Laterza, Bari, 2009. GIURIANI E., Consolidamento degli ediici storici, UTET, Torino, 2011. MARIANI M., Trattato sul consolidamento e restauro degli ediici in muratura, Tipograia del Genio Civile, 2012. SCIARA F., Favara guida storica e artistica, Favara, 1997. SCHIORTINO S., Favara : u me paisi è sempri u me paisi, Favara : Comune, stampa 1997. SMITH D.M., Storia della Sicilia, Bari, 1973, vol. I. VALENTI E., Notizie su Favara, Caltafaraci presso Favara, rivista “La Siciliana”, anno IV, n. 9, sett. 1915; anno V, N. 12, genn.-febbr. 1920 e anno VII, n. 1, genn. 1924; Rivista Sicania, genn. 1914 e dic. 1917, anno II e anno V, n. 1 e 12; VALENTI L., Le miniere di zolfo in Sicilia, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1925.

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SITOGRAFIA www.favara.biz www.farm-culturalpark.com www.promozioneacciaio.it www.oppo.it www.studiok.it www.beniculturali.it www.legxv.camera.it www.zonesismiche.mi.ingv.it www.siciliaturismo.it www.scanoarredamenti.it www.mastercucinaitaliana.it www.alma.scuolacucina.it www.mastercucinaitaliana.it

In copertina Vista di Palazzo Giglia da una terrazza di Farm Cultural Park foto di Nadia Castronovo, gentilmente concessa. 143



REGESTO TAVOLE











































Erika Bruccoleri erika.bruccoleri@gmail.com

Sono riconosciuti tutti i diritti d’autore sul materiale fotografico non appartenente all’archivio personale dell’autore.


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