Contro l'automobile. È più facile immaginare la fine del mondo che un mondo senza automobili?

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ANDREA COCCIA

CONTRO L’AUTOMOBILE È PIÙ FACILE IMMAGINARE LA FINE DEL MONDO CHE UN MONDO SENZA AUTOMOBILI?


Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: "Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0" consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l’editore rimane a disposizione.

Collana BookBlock Collana diretta da: Rachele Cinerari Cover design e grafica: Gabriele Munafò Redazione: Anna Matilde Sali, Sonny Partipilo © Copyright 2020, Eris (Ass. cult. Eris) © Andrea Coccia Eris (Ass. cult. Eris) Piazza Crispi 60, 10155 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Febbraio 2020 ISBN 9788898644728 Stampato presso Geca Industrie Grafiche Via Monferrato 54, S. Giuliano Milanese (MI)


a Emma, ai miei genitori e ai miei amici, per la pazienza

«Vedremo automobili ferme per via, senza più carburante, e le abbandoneremo ai giochi dei bambini, ai quali però nessuno dovrà dire che cosa erano, a che cosa servivano quelle cose un tempo.» Luciano Bianciardi, La vita agra



1. Inception

Un paesaggio naturale, la maggior parte delle volte sconfinato, selvaggio, sperduto, lontano. Una strada che serpeggia in quel panorama mozzafiato accoccolata come una biscia, sinuosa, liscia come un filo d’olio, deserta. Intorno il silenzio e, sulla strada, un’automobile. È elegante, titanica, potente. La carrozzeria lucida, quasi sempre nera come i vetri che oscurano l’interno, la rende di una bellezza altera e irresistibile. Che sfrecci in mezzo a una valle, tra le colline, sui monti, nella neve, accanto a un oceano o nel deserto, importa poco, quello che è importante è solo il suo essere totalmente libera. È un’immagine che ti è familiare, non è vero? Normale. Stampate in inchiostro su carta patinata, composte dai pixel colorati di un computer o di uno smartphone, proiettate su uno schermo cinematografico, e perfino, chissà, raccontate da una qualche voce baritonale alla radio. Immagini come queste ti sono passate davanti agli occhi un numero incalcolabile di volte. È un messaggio che ti insegue ogni giorno, declinato in ogni formato, con le più diverse tecniche retoriche, ma i cui valori sotterranei sono sempre gli stessi: velocità, avventura, privilegio, libertà. Sono i valori che l’industria dell’automobile instilla da decenni nel 5


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nostro immaginario attraverso una campagna di marketing che dura da quasi cent’anni e che costa miliardi di dollari ogni anno: la più grande operazione di intrusione strategica nell’immaginario globale della storia dell’Umanità. Ti ricordi il film Inception, di Christopher Nolan? Quello in cui Leonardo DiCaprio interpreta una specie di hacker di sogni la cui missione è entrare nella mente dell’erede di un grande industriale, interpretato da Cillian Murphy, e orientare le sue decisioni future impiantandogli un’idea nel cervello? Per farlo, DiCaprio e la sua banda sono costretti a immergersi nell’abisso di un metasogno fantascientifico che dura quanto un viaggio aereo intercontinentale, saltando da un livello all’altro dei sogni di Murphy e rischiando la vita nei modi più rocamboleschi. Bene, per fare lo stesso effetto nell’immaginario globale, all’industria automobilistica è servito molto meno: sono bastati fiumi di soldi, decine e decine di miliardi all’anno investiti direttamente o meno in pubblicità, product placement, sponsorizzazioni, lobbying, marketing, comunicazione. I soldi bastano e avanzano quando sai già qual è il punto dove scavare. Secondo Colin Ward, autore di Dopo le automobili – uno dei più bei saggi radicali sul tema che si trovano in circolazione – la X dove scavare è stata la stimolazione del «sogno infantile di 6


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una libertà individuale assoluta da cui facciamo fatica ad emanciparci». Insomma, ci hanno convinti che la nostra libertà e la nostra possibilità di essere felici siano legate a qualcosa che, in realtà, è più simile a una prigione che a un vettore di libertà, ed è stato facilissimo: è bastato battere sul tasto della presunta libertà totale, quella del “fare il cazzo che mi pare” che sognano i bambini e i tiranni. È la stessa vertigine totale che provarono i pionieri dell’automobile quando le macchine che costruivano erano appannaggio di loro stessi e dei pochissimi membri delle élite. L’occupazione del nostro immaginario da parte delle automobili è stata semplice. È stato come convincere un mondo di bambini che potevano mangiare soltanto caramelle. Il problema è che al posto di un gran mal di pancia, ora ci troviamo a essere schiavi di una gabbia di acciaio che ci isola dagli altri, che ci cambia l’umore in peggio, che causa ogni anno tra automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni circa un milione e mezzo di morti – più di 3 mila al giorno, secondo l’oms – e che costa a ogni automobilista dai 2 ai 4 mesi all’anno di lavoro. Praticamente dappertutto l’industria automobilistica figura tra i primi investitori pubblicitari. Nel solo 2017, l’industria automobilistica ha investito negli Stati Uniti e in Canada circa 20 miliardi di dollari, in Cina quasi 7, altrettan7


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ti solo tra Francia, Germania, uk e Italia, circa altri 3 nel resto d’Europa. In Giappone quasi un altro miliardo e mezzo, un miliardo in Australia, un altro in India. In tutto si arriva a circa 40 miliardi di dollari. Questo solo restando al solo settore delle automobili, ma ci sarebbero da contare anche gli investimenti delle aziende petrolifere e delle assicurazioni. Produttori di auto o di pneumatici, assicurazioni, aziende petrolifere. Ci sono sempre loro tra i più importanti sponsor di un sacco di cose che con l’auto sembrerebbero entrarci poco o nulla. I mondiali di calcio del Qatar? Li sponsorizza Hyundai. I giochi olimpici di Tokio? Toyota e Bridgestone. L’nba? Tocca a Kia. La Major League di baseball? Chevrolet. Il Tour de France? Skoda e Continental. Il Giro d’Italia? Ancora Toyota. E poi le squadre di calcio, che ormai hanno quasi tutte un “car sponsor”. Soltanto nei campionati europei, su 98 squadre che giocano nei campionati principali 56 hanno accordi con un marchio di automobili. E ancora, il tennis, dove solo restando al Grande Slam Wimbledon è sostenuto da Jaguar, il Rolland Garros da Peugeot, gli us Open da Mercedes e gli Australian Open da Kia. I produttori di automobili mettono soldi, forniscono mezzi o servizi, anche per realizzare manifestazioni culturali di ogni tipo: cinema, scienza, letteratura, musica, quasi nulla resta fuori. Se 8


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il Festival di Cannes è sponsorizzato da Renault, Venezia prende soldi da Toyota e Berlino da Audi. I festival musicali super cool a cui gli hipster di tutto il mondo ambiscono? Nemmeno loro si salvano: il Primavera Sound di Barcellona lo finanzia Seat; lo Sziget di Budapest ha tra i suoi sponsor Mercedes Benz e il Coachella la bmw. Una pioggia di soldi che non arriva soltanto dall’alto. La prossima volta che ti ritrovi a una qualsiasi sagra, fiera o festa di paese, facci caso e prova a guardare tra i loghi dei sostenitori, scommettiamo che ci troverai anche l’autorimessa del paese? La comunicazione è una guerra, e in questa guerra i produttori di auto hanno una potenza di fuoco pazzesca. Se provi a sfogliare qualsiasi quotidiano, settimanale o mensile, in qualsiasi parte del mondo, quelle che più di frequente ti troverai a osservare saranno pubblicità di automobili, di aziende petrolifere, di assicurazioni. È normale, gli investimenti dell’automotive nel giornalismo e nella comunicazione sono tanto immensi da rappresentare per molti la fetta maggiore di tutta la torta dei propri introiti pubblicitari. È difficile stimare quanto, ma la dipendenza è pressoché totale. Non ci badiamo nemmeno più, ma non è per niente raro imbattersi nel grottesco paradosso di vedere, subito dietro a una copertina dedicata a temi ambientalisti – crisi energetica, futuro 9


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senza macchine, movimento Friday for Future o chissà che altro – una seconda di copertina occupata da una pubblicità di un’auto. Non si scappa. Le auto sono tutto. Le auto sono sempre. Le auto sono ovunque. Si mangiano il nostro spazio. Occupano il nostro tempo. Spesso lavoriamo per loro anche senza saperlo. Forse non ci fai più caso, ma le automobili sono di gran lunga l’elemento della realtà più ricorrente nella nostra epoca. Ne siamo letteralmente sommersi. Sono dovunque. Il momento migliore per rendersene conto è la notte, quando quasi tutte le auto che hai intorno sono ferme, parcheggiate, praticamente ammassate le une sulle altre, persino sui marciapiedi. Con i 95.706.29 di nuovi veicoli prodotti nel solo 2018 (dato oica - Organizzazione internazionale di costruttori di veicoli a motore), che si sommano al miliardo e 300 milioni circa che già c’erano, le automobili, anche da ferme, occupano uno spazio immenso. Un’automobile di media grandezza occupa circa 10 metri quadrati. Significa che quel miliardo e 300 milioni di macchine che già circolano nel mondo in questo preciso momento stanno occupando circa 13 miliardi di metri quadrati. Se contiamo che in un metro quadrato ci possano stare largamente due persone, ciò significa che in questo momento le automobili stanno 10


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occupando sul pianeta Terra uno spazio equivalente almeno al doppio degli esseri umani che ci vivono. Non ci mettiamo a contare lo spazio a loro dedicato quando sono ferme, ma fa ancora più paura. Solo in usa ci sono circa 4 parcheggi per ognuno dei 276 milioni di veicoli in circolazione. E contando che negli Stati Uniti i parcheggi arrivano ad occupare anche 25 metri quadrati, ci ritroviamo, solo negli Stati Uniti, con 25 miliardi di metri quadrati riservati a automobili e affini: poco meno della superficie del Massachusetts. Le auto non occupano solo il nostro spazio. Occupano anche il tempo e lo fanno sia attivamente – mentre le guidi non puoi fare praticamente null’altro – sia passivamente. Secondo i calcoli della aaa Foundation for Traffic Safety, un americano medio, ogni anno, passa 17600 minuti nella propria automobile: circa 300 ore all’anno. Vuol dire circa 24 ore al mese passate in auto, quasi sempre da soli, imbottigliati nel traffico o cercando parcheggio, consumando il 95% della benzina che ci buttiamo dentro per non realizzare nessuna delle sue promesse: andare lontano, andare veloce, andarci in tanti, trasportare cose, essere liberi, scoprire il mondo. L’automobilista medio non fa nessuna di queste cose: la macchina la usa per andare vicino a casa, lentamente, quasi sempre da solo e portando, oltre a se stesso, al massimo la borsa col computer. 11


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