marco gastoni
Nicola Gobbi
prefazione di pino cacucci
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Collana Kina Collana diretta da: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Grafica: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Redazione: Anna Matilde Sali
© Copyright 2015, Eris (Ass. cult. Eris) Immagine p. 116 di © Paolo Cossi via Reggio 15, 10153 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Aprile 2015 ISBN 9788898644155
Prefazione
La “splendida civiltà” dei maya continua ad attrarre studiosi e ricercatori, antropologi e archeologi, oltre a stuoli di visitatori nei siti dove si possono ammirare le loro sontuose città-stato, e si è perso il conto di quanti libri esistano sul mistero di una cultura millenaria che si esprimeva in una lingua solo in parte decifrata. Architetti e artisti di rara raffinatezza, i maya furono anche astronomi e matematici straordinari, al punto che soltanto tra il XIX e il XX secolo siamo riusciti a superarne in precisione i calcoli sui movimenti degli astri e il calendario. Affascinante, il mondo dei maya. Quello che va dal 2300 avanti Cristo fino all’arrivo dei Conquistadores, si intende. Poi... Cinque secoli di saccheggio e sterminio, durante i quali i maya sono diventati indios da dominare e sfruttare, fino ai giorni nostri, nei quali molte etnie di ceppo maya pretendono, anacronisticamente, di mantenere sistemi di vita comunitaria superati dall’inesorabile avanzata del “progresso”. Eppure, quando sentiamo parlare degli evoluti edificatori delle città sacre di Chichén Itzá, Palenque o Tikal, dovremmo avere ben chiaro che i maya sono attualmente circa cinque milioni, e sopravvivono, nonostante tutto, negli stati messicani di Chiapas, Yucatán, Campeche, Quintana Roo e Tabasco, nel Guatemala, in Belize, e persino in Honduras e Salvador. I discendenti odierni non possono più darci preziose informazioni sul movimento degli astri e sul modo di edificare una piramide affinché il Sole, in un preciso giorno dell’anno, formi l’ombra di un serpente che ne discende la scalinata, ma hanno ancora molto da insegnarci: potrebbero, per esempio, insinuare in noi il dubbio che vivere non significa soltanto produrre, accumulare profitto, comprare e vendere. Il 1° gennaio del 1994 i maya del Chiapas, non tutti ma molti di loro, si sono presentati al mondo armati di vecchi fucili. Indossavano passamontagna e fazzoletti sul volto anziché piume variopinte e perizoma, quindi nei telegiornali sono stati definiti “guerriglieri”, non avendo rinvenuto elementi pittoreschi che avrebbero invece fatto accorrere una rockstar a girarci un videoclip. Non hanno inneggiato a re e sacerdoti di Tulum o Uxmal, ma si sono definiti zapatisti, chiedendo, oltre a tierra y libertad, anche giustizia
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e democrazia. Non sono “guerriglieri”, ma l’esercito di autodifesa dei maya del Sud Est che ha deciso di passare all’offensiva per ricordarci che, comunque, già muoiono di stenti, dissenteria, morbillo o polmonite. Annichilito, il mondo ha scoperto che i maya esistono ancora, e pretendono di continuare a esistere. È l’ultima, in ordine di tempo, di una serie infinita di rivolte, di sanguinosi tentativi di riconquistare una libertà negata, da parte di un popolo che non ha mai rinunciato alla dignità. «Siamo del colore della terra», dicono di se stessi i maya zapatisti, rivendicando origini di cui essere orgogliosi ma, al tempo stesso, facendo una netta distinzione tra usanze retrograde e tradizioni da difendere, e soprattutto affermando il rapporto con la madre terra che è protagonista di questa storia narrata e delicatamente illustrata da Marco Gastoni e Nicola Gobbi, in cui la ricostruzione degli eventi dall’inizio dell’insurrezione a oggi, avviene attraverso gli occhi e le vicende quotidiane di José e Juana, fratello e sorella, calandoci nella vita delle comunità della selva, fino ad assumere i toni di una fiaba – secondo la tradizione degli indios e la loro percezione della realtà agreste – dove il rapporto tra la volpe e il corvo simboleggia la profonda differenza tra quanti saccheggiano la terra e gli indios che la rispettano e amano come una madre. Con sensibilità e coinvolgimento appassionato, Come il colore della terra ci porta nella vita genuina e illuminante di donne e uomini degni, ai quali per troppo tempo era stato negato non solo il futuro ma persino il presente, mentre oggi, nelle terre dove una volpe e un corvo discutono sui comportamenti degli esseri umani, lottare per una realidad fatta di solidarietà e comunanza, comprende anche il diritto di sognare. Pino Cacucci
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A Eliseo, Luce e Teresa
Siamo qui, l’orgoglio di essere il colore che siamo, il colore della terra.[…] Fratello, sorella, indigeno e non indigeno: Siamo uno specchio. Siamo qui per vederci e mostrarci, affinché tu ci guardi, affinché tu ti guardi, affinché l’altro si veda nel nostro sguardo. Siamo qui, come uno specchio. Non la realtà, ma solamente il suo riflesso. Non la luce, ma appena un raggio. Non il cammino, ma solo qualche passo. Non la guida, ma soltanto una delle tante strade che al domani conducono.[…] Dallo Zócalo di Città del Messico Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno - Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale Messico, Marzo 2001
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