La fotografia

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Ermanno Nicoletti A.S. 2017/18 Classe VE


PREMESSA L’idea di sviluppare il mio percorso pluridisciplinare sul tema della fotografia nasce dal desiderio di manifestare la mia passione per l’arte grafica moderna, che, probabilmente, trova le radici nella storia della mia famiglia. Questo percorso mi consente di analizzare, nel modo più chiaro possibile, come il bisogno di “immortalare” l’attimo sia stato motivo di ricerca continua dell’uomo. Infatti, prima della nascita della fotografia, molti artisti di ogni genere, letterario e artistico, cercavano di rappresentare e fissare la realtà nel modo più oggettivo possibile, cogliendo ogni peculiarità che suscitava interesse nell’uomo. Questo lavoro è la manifestazione e realizzazione della mia innata creatività, che trova riscontro nei miei antenati. È da qualche anno, infatti, che ho sentito il bisogno di scavare nel passato dei miei cari, attraverso i racconti della mia nonna paterna, per dare una giustificazione a questo mio forte interesse. Mi sono reso conto che la mia vena artistica viene da lontano ed ho cercato di non dimenticare il passato, anzi, di riproporlo in chiave moderna e collegarlo alle conoscenze, anche scientifiche, acquisite nel corso dei miei studi. Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnato in questa scoperta, in particolare nonna Agata, che mi ha aiutato a scoprire i dettagli e le tecniche fotografiche dello studio Intorcia, primo studio fotografico della città di Benevento, e i miei docenti, maestri di vita che mi hanno stimolato nella ricerca, consentendomi di scoprire e manifestare le mie attitudini attraverso i saperi fondamentali e il dialogo educativo. Ermanno

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ARTE La fotografia tra indagine e manipolazione della realtà La fotografia come strumento di indagine della realtà Con l’avvento della fotografia si avvera un sogno mai realizzato da molti artisti di ogni tempo. In un primo momento, verso la fine del XVIII secolo, furono costruite le prime camere ottiche, dalla forma di una cassettina di legno di dimensioni simili a quelle di una scatola di scarpe. Erano dotate frontalmente da un sistema mobile di lenti (obiettivo) che, una volta puntato sul soggetto, lo rifletteva su uno specchio interno inclinato di 45 gradi che, a sua volta, proiettava il soggetto capovolto su un vetro. Era possibile, quindi, ricalcare l’immagine ricavandone una rappresentazione di grandissima precisione.

Purtroppo, in questa fase, era comunque necessario l’intervento umano e il soggetto da fotografare, soprattutto se un essere animato, poteva mutare la sua forma nel tempo necessario allo “scatto”. Nei primi decenni dell’Ottocento, grazie allo sviluppo di nuovi studi sulla sensibilità della luce, si svilupparono nuove tecniche affinché la luce catturata si imprimesse su una lastra sensibile lasciando permanentemente l’impronta dell’immagine proiettata.

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La prima ripresa fotografica venne realizzata nel 1827 da Niépce, che mise a punto anche il relativo apparecchio. Si trattava di una camera ottica che, al posto del vetro smerigliato, aveva una lastra di peltro sensibile alla luce. La fotografia, la cui esposizione richiese ben otto ore, è nota come Vista dalla finestra a Le Gras. La qualità era comunque ancora molto bassa, cosi come la messa a fuoco e la nitidezza.

Joseph Nicéphore Niépce: Vista dalla finestra a Le Gras

Nel 1839 il pittore Daguerre annunciò un’importante scoperta che sconvolse tutte le teorie sulla luce e sull'ottica: egli trovò il modo di fissare le immagini che si dipingono da sole entro

una

camera

oscura.

Ciò

viene

definito

dagherrotipia,

che

consiste

nell’impressionare con la luce di una camera ottica una lastra di rame argentata trattata con iodio. In presenza di luce sulla lastra rimaneva impressa la scena al negativo. Il limite qui stava nel fatto che ogni foto costituiva un vero e proprio originale senza possibilità di realizzare da essa delle copie perché il negativo veniva distrutto dai sali di mercurio impiegati. La notizia dell'invenzione della fotografia si diffuse in tutto il mondo, in particolare in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti. L'entusiasmo e i nuovi strumenti disponibili nel corso degli anni migliorarono le tecniche originarie, come i tempi di posa, la fedeltà della riproduzione, le attrezzature. Nel 1854, Disdéri brevettò un sistema tecnico importantissimo, che permise di economizzare e commercializzare la fotografia: le carte da visite, con le quali si possono ottenere su una sola lastra più immagini (di 6x9 cm), che vengono stampate, ritagliate e incollate su un cartoncino.

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André Adolphe Eugène Disderi: Il principe Lobkowitz nel 1858 (The Metropolitan Museum of Art, New York)

Nel 1877 Muybridge esegue la prima serie di fotografie di soggetti in movimento ponendo le basi per i successivi sviluppi della cinematografia. Nella serie Cavallo che salta un ostacolo eseguì centinaia di foto e ne selezionò una sequenza di 20 immagini dove viene ricostruita la dinamica del salto.

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La clamorosa invenzione e il suo rapido sviluppo misero in crisi l’intero panorama artistico del XIX secolo. Molti ritrattisti vengono subito messi fuori gioco dallo strumento che produce risultati impeccabili. Gli artisti più attenti, però, riescono a servirsi dell’invenzione non in antagonismo, ma in aiuto. Alla fine del secolo, comunque, pittura e fotografia riescono a ritagliarsi i propri spazi. Grazie alla fotografia, la pittura cessa di essere documentaria e si concentra sull’analisi psicologica dei personaggi e sulle emozioni da trasmettere. La fotografia riprende dalla pittura molte delle principali regole di composizione e di inquadratura proprio perché i fotografi, inizialmente, lavoravano in atelier del tutto simili a quelli dei pittori. Nel 1888 fu lanciata la Kodak, che mise la fotografia alla portata di tutti. Divenne cosi una pratica popolare dando vita al Pittorialismo, dove gli artisti hanno il compito di rendere la fotografia un’opera astratta, quindi non per forza legata ad una semplice riproduzione oggettiva della realtà. Edward Weston iniziò a sperimentare motivi astratti caratterizzati da una estrema nitidezza delle immagini. Si specializzò nei nudi e nelle nature morte iniziando a praticare la tecnica del close up e lo straight approach: una ripresa molto riavvicinata con la quale riusciva a svelare la trama delle superfici fotografiche, conferendo loro una qualità quasi tattile. Una delle sue fotografie più emblematiche è quella che ritrae un peperone: per identificare l’ortaggio occorre leggere il titolo poiché potrebbe farci pensare alla pelle di corpi avvinghiati.

Edward Weston: Il peperone

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La fotografia come strumento di manipolazione della realtà: Man Ray Man Ray è stato un pittore, fotografo e grafico statunitense, esponente del Dadaismo. La sua notorietà è dovuta alle sue esperienze di fotografia astratta (lavorando solo in camera oscura) e di regia cinematografica. Amava dire: “Fotografo ciò che non posso dipingere e dipingo ciò che non posso fotografare.” Il suo avvicinarsi alla fotografia, però, fu del tutto casuale e per necessità. Infatti, privo di denaro, quando dovette affrontare la richiesta, rivoltagli dalla stampa, dai collezionisti e dai galleristi, delle riproduzioni fotografiche delle sue opere, decise di eseguire personalmente il lavoro. Poiché comunque la pittura rimaneva il suo interesse principale, una volta apprese le principali tecniche fotografiche, decise di lavorare direttamente la lastra fotografica, creando incisioni servendosi della luce anziché dell’acido (tecnica del cliché-verre). Classico esempio di questa nuova tecnica è nella sua opera Violon D’Ingres. La foto rappresenta la schiena di una cantante (Kiki). Successivamente, in fase di stampa, Man Ray ha aggiunto due “effe”, in modo da far sembrare il corpo della modella come un perfetto violino.

Man Ray: Il violino di Ingres

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Foto Intorcia: Festa dell’uva, tipica del regime fascista. Fine anni ’30. Foto scattata in bianco e nero e colorata da ritoccatori specializzati. La fotografia originale viene poi rifinita e consegnata tra due vetri.

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La fotografia a Benevento: intervista a nonna Agata Cara nonna, mi racconti come è nato lo studio fotografico Intorcia? L’ attività dello studio fotografico Luigi Intorcia, sito in Via Giuseppe Verdi N.17, risale all’ottobre del 1880 ad opera di Luigi Intorcia Senior (1872-1941) che, conseguito il diploma presso l’accademia delle belle arti in Napoli e la specializzazione in arte figurativa, si dedicò con grande impegno all’arte fotografica, riscuotendo riconoscimenti e onorificenze anche dalla casa Savoia regnante, a cui aveva fatto dono di foto del principe Umberto, scattate durante la sua visita a Benevento nell’ottobre del 1932. Successivamente, lo studio fotografico si trasferì, intorno al 1927, in Via Posillipo, ma la gestione dello stesso era già stata affidata a Luigi junior (1904-1966) che, completata la sua preparazione culturale, intraprese, a soli 14 anni, l’attività di fotografo nello studio paterno, avendo esso dimostrato grande sensibilità artistica e capacità creativa tale da consentirgli piena fiducia del padre che non esitò ad affidargli la piena responsabilità dello studio fotografico.

Foto dello studio Luigi Intorcia in Via Posillipo. Foto tra il 1927 e il 1930

Ti ricordi come era lo studio? Certo! Lo studio fotografico era costituito da vari ambienti. C’era un atelier dove era possibile indossare abiti ed accessori adatti all’occasione che si voleva ricordare; vi era una parrucchiera, un sarto, un barbiere e artigiani che curavano l’estetica delle persone che dovevano essere fotografate, a seconda delle occasioni, che potevano essere varie. Ad esempio, durante il Carnevale, bambini e signore venivano fotografati con costumi

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caratteristici. C’era poi la sala di posa: questa era una grande sala con pareti e tetto di cristallo ove una lunga serie di tende opportunamente spostate e orientate consentivano la giusta illuminazione ed esposizione tale da porre in giusto risalto i soggetti da fotografare e le cose circostanti. L’ambientazione era data da fondali di dimensioni da 3 a 4 metri avvolti su appositi rulli e come in teatro fissati al soffitto. Al momento giusto e secondo le esigenze del soggetto erano calati per costruire un’opportuna scenografia e così potevano costruirsi scene per prime comunioni o per sposalizi con fondali su cui era dipinta una chiesa con altare, balaustra, inginocchiatoi così da ricomporre la scena con grande realismo. Tale perfezione scenografica, Luigi Intorcia Junior, l’aveva appresa frequentando come borsista, nel 1938, l’Istituto Nazionale Luce di Cine Città e tra grandi e famosi registi e insigni scenografi, nella graduatoria finale si classificò primo. Affinché si potesse ottenere una fotografia davvero viva e parlante era necessaria pazienza e sensibilità d’animo, da parte dell’operatore fotografico, così che, dialogando con il soggetto da fotografare, vinta ogni resistenza e rigidità, si poteva cogliere il soggetto nel miglior momento della sua espressività.

Foto inedita dell’archivio di famiglia. A destra Luigi Intorcia junior, a sinistra un cugino. Foto realizzata da Luigi Intorcia Senior tra il 1909 ed il 1910.

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Bene! Puoi spiegarmi come veniva elaborata la ripresa fotografica per ottenere la fotografia? Il lavoro di laboratorio veniva eseguito in una camera oscura ove la lastra sensibilizzata veniva sviluppata e successivamente stampata su carta di vario tipo (carta mille punti, camoscio, lucida). La fotografia così ottenuta veniva ritoccata, in modo da eliminare ogni eventuale imperfezione.

Foto inedita dell’archivio di famiglia. Foto realizzata da Luigi Intorcia Senior alla figlia tra il 1909 ed il 1910

Nonna, i nonni lavoravano solo nello studio? No, l’attività dello studio Intorcia non si esauriva nelle sole riprese fotografiche nella sala da posa ma si estendeva anche fuori. Numerose e infinite sono le riprese fotografiche di monumenti, opere d’arti, vedute panoramiche, borghi antichi, manifestazioni cittadine, sfilate, riunioni, processioni. In tutto era sempre presente lo studio Intorcia che, con le sue riprese, ha saputo creare capolavori d’arte. Che bello! Nonna, lo studio è nato con tuo nonno, poi è passato al tuo papà, e poi? Nel 1966 lo studio è stato affidato alla terza generazione degli Intorcia. Il terzo Luigi, cioè mio fratello, che con grande competenza e con grande decoro e dignità ha saputo tenere viva la tradizione dello studio operando con lo stesso spirito e con la stessa sensibilità artistica dei suoi predecessori. Purtroppo oggi lo studio Intorcia non c’è più ma di esso ne resterà perenne memoria grazie all’impegno di Maria Rosaria Del Pozzo,

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moglie del terzo Luigi che, con il suo interessamento, è riuscita ad ottenere un regolare decreto dal Ministero dei Beni Culturali, che ha dichiarato l’Archivio Fotografico Intorcia “Patrimonio di Grande Interesse Culturale Storico e Sociale” e sarà affidato all’Archivio di Stato di Benevento.

Luigi Intorcia senior 1872-1941

Luigi Intorcia junior 1904 - 1966

Luigi Intorcia 1934 - 2005

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Foto Intorcia: Alluvione a Benvento. 2 ottobre 1949. L’immagine è composta da tre fotografie perfettamente affiancate. Come racconta il figlio Luigi Intorcia (1934-2005), in una prefazione di un libro in memoria del padre, “preparava i suoi sviluppi fotografici da esperto chimico autodidatta. Non tutti gli sviluppi erano uguali, perché già in fase di ripresa sapeva, a seconda del soggetto, dei monumenti, degli scorci o delle angolature, come poi dovevano essere esaltate o ammorbidite le luci e le ombre in fase di sviluppo. Questa preparazione era fondamentale. Gia ai chiaroscuri naturali in fase di ripresa, bisognava affiancare lo sviluppo idoneo per rendere più visibile o più plastica l’immagine: era il vero imprimatur, era la lastra fotografica. Su questa lastra poi operava ancora come uno scultore, con pennellini, raschietti e veline di protezione, per esaltare definitivamente ciò che aveva fotografato. Finalmente alla luce con la sua creatura!”.


FILOSOFIA Jean-Luc Nancy: la fotografia come “spazializzazione” del tempo Jean-Luc Nancy è un filosofo contemporaneo, nato a Bordeaux il 26 luglio 1940. È considerato

uno

dei

maggiori esponenti,

insieme a Jacques Derrida,

del

decostruzionismo, una strategia di lettura che, diversamente dalle metodologie tradizionali, non si propone di stabilire quale sia il significato (o i significati) di un'opera letteraria ma, al contrario, vuole metterne in luce quelle contraddizioni concettuali e linguistiche che le impediscono di emettere un messaggio ''pieno'' e coerente (fonte: treccani.it). Nella raccolta Il peso di un pensiero, l'approssimarsi, Nancy, attraverso l’analisi del pensiero, e di come la sua “resistenza” possa mettere fuori gioco ogni forma logica e razionale, fa una attenta riflessione sulla fotografia, intesa come strumento di spazializzazione del tempo. Al tema della fotografia è dedicato un intero capitolo, quello delle istantanee effettuate ad un tale di nome Georges. A tal proposito, il filosofo afferma: «La fotografia mostra perdutamente il reale, la sua fragilità, la sua grazia, la sua fugacità. Da qualche parte, in un certo istante, qualcosa o qualcuno è apparso. La fotografia ci mostra che ciò ha avuto luogo e che ciò resiste ai nostri dubbi, alle nostre dimenticanze, alle nostre interpretazioni. Ci offre questa evidenza».

Tratto da: Il peso di un pensiero, l'approssimarsi – Jean-Luc Nancy

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La fotografia mostra l'evento nella sua durata, il suo accadere, non il fatto che sia accaduto. La vera presenza dell'azione è una presenza imperfetta. L'imperfezione di un'azione che, accaduta, dura nel tempo. Inoltre, la foto ha il potere di istituire l'evidenza della relazione. L'oggetto della foto non vede se stesso quando viene fotografato né, d'altra parte, colui che effettua la foto ha pieno controllo della realtà. Al contrario, colui che scatta la foto, deve, per così dire, escludersi, abbandonarsi all'incontro con l'oggetto fotografato. Solo in questo modo l'oggetto fotografato si decompone per riapparire in una dimensione di assoluta purezza. Questa dimensione di assoluta purezza dell'apparire è l'entre, che coincide con lo scatto della foto. La foto è pur sempre un'immagine rubata, una violenza rispetto all'accadere della realtà. Inoltre, la foto arriva sempre con un attimo di ritardo rispetto al momento dello scatto. Questo differire della foto lo si può notare nella smorfia di Georges di fronte allo scatto; una smorfia per cui, dice Nancy, si ha l'impressione che la foto lo disturbi di fumare.

Tratto da: Il peso di un pensiero, l'approssimarsi – Jean-Luc Nancy

La foto ha il potere di potenziare lo sguardo con cui colui che è guardato, a sua volta, guarda. Colui che guarda e colui che è guardato non sono che epifenomeni di un apparire che li precede. Georges (l'uomo fotografato) è l'essenza della manifestazione.

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STORIA La fotografia come testimonianza storica in contrapposizione alla fotografia moderna Già a pochi anni dalla sua invenzione, la fotografia ha riscosso un notevole interesse e ha assunto anche ruoli specifici, come ad esempio quello politico o quello sociale, ma, soprattutto, la fotografia ha assunto un valore fondamentale, quello storico: essa è diventata testimonianza di fatti accaduti e ha ampliato le possibilità del materiale documentaristico, che fino a quel momento era stato prevalentemente scritto o, al limite, iconografico, senza mai toccare una così totale adesione alla realtà. La nascita del giornalismo ha sostenuto, accanto all'allestimento di importanti archivi, come quello dei fratelli Alinari, il ruolo dell'immagine nella storia del nostro Paese. La fotografia è stata parte integrante della cultura, sia quella d'élite, sia quella popolare e del costume. Dalle immagini degli emigranti agli scatti su importanti personaggi storici, divenuti addirittura materiale di contrabbando, la fotografia si è rivelata il sostegno propagandistico del regime fascista fino a diventare, in tempi più recenti, l'anima del cosiddetto gossip, attraverso il proliferare dei paparazzi che documentano, a torto o a ragione, ogni mossa di vip e personaggi al centro dell'attenzione pubblica. Accanto a loro si aggiungono tutti quelli che fanno uso della fotografia come amatori, affiancando agli scatti per pura finalità di ricordo, le immagini studiate e costruite in studi attrezzati a questo scopo. Foto Intorcia: parallelismo tra una bottiglia di “Liquore Strega” tradizionale e una in edizione limitata

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Sotto il fascismo quest'arte è stata subordinata all'interesse celebrativo e di fabbrica del consenso che, soltanto oggi, si è trasformato in valore storico di un'epoca documentata, oltre che dai suoni, anche dai ritratti. Nel dopoguerra acquisirono progressivamente importanza i giornali e, con essi, anche le fotografie con cui, sempre più frequentemente, venivano accompagnati e illustrati gli articoli e le corrispondenze degli inviati in luoghi cruciali. A partire dalla seconda metà del Novecento, la fotografia è diventata argomento di discussione. Le immagini di sportivi, politici e uomini dello spettacolo hanno alimentato chiacchiere e pettegolezzi, mentre la nuova frontiera del XXI secolo ha portato variazioni tecniche profondissime con il digitale che ha ridotto sensibilmente l'uso della pellicola e della stampa, moltiplicando a dismisura il numero degli scatti, con il vantaggio di poter semplicemente scartare quelli sbagliati e imperfetti. Le immagini che seguono sono tratte dalla campagna fotografica realizzata dall’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo ad inizio secolo, molte delle quali utilizzate per illustrare la prima guida moderna della città, edita a cura di Almerico Meomartini nel 1909.

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ITALIANO Giovanni Verga e il Verismo Il Verismo è una corrente letteraria, sviluppatasi in Italia verso la fine del XIX secolo, fondata da Giovanni Verga e Luigi Capuana, due scrittori e teorici siciliani. Non è un caso che entrambi gli autori siano siciliani. Infatti, il Verismo nasce sotto l’influenza del Naturalismo francese, in un ambiente “positivista”, dove tutta la fiducia dell’uomo è riposta nella scienza e nel metodo sperimentale. In questo periodo, quindi, la letteratura ha il compito di “fotografare” la realtà, descrivendone gli aspetti positivi ma anche quelli sgradevoli, senza alterarla in alcun modo. Insomma, il poeta assume il ruolo di scienziato che deve analizzare concretamente e oggettivamente il mondo che lo circonda. Dal punto di vista economico, l’Italia di fine Ottocento era ancora prevalentemente rurale, perciò, attraverso la fondazione della poesia del vero, gli autori veristi si concentrarono sul mondo dei poveri contadini che vivevano nell’arretrato Sud. Il Verismo e il Naturalismo fanno parte di un’unica grande corrente letteraria, che prende il nome di Realismo, in cui cadono determinate convinzioni che hanno reso l’uomo un essere privilegiato, dotato di spirito, autocoscienza e libero arbitrio, dominatore della natura e della storia. Con l’avvento del Realismo, l’uomo inizia ad essere considerato una creatura come tutte le altre, senza privilegiato, sottoposta agli stessi condizionamenti dell’ambiente e del momento storico. Il primo principio del Realismo, che poi riguarda anche il Verismo, è che ogni forma di arte, e quindi anche la letteratura, debba rappresentare il reale-positivo: così gli scrittori si volsero a ritrarre i comportamenti e gli ambienti delle classi più umili, perché gli umili sono più vicini alla natura e al “vero”. Il secondo principio del Realismo è l’impersonalità dell’opera d’arte e, quindi, ritrarre il vero in modo distaccato, freddo e impersonale. Secondo Verga, infatti, l’opera d’arte deve essere talmente impersonale da dare l’impressione di essersi fatta da sé. Bisogna però dire che i veristi italiani intesero diversamente dai naturalisti francesi il principio dell’impersonalità. I naturalisti lo esasperarono fino a ridurre l’opera d’arte a una rappresentazione anonima, fotografica. I veristi, invece, lo attenuarono intendendolo solo come un freno al soggettivismo eccessivo dello scrittore.

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Il naturalismo ebbe un carattere sociale e polemico, di denuncia dei male e delle ingiustizie sociali. Il Verismo invece ebbe un carattere nostalgico, regionale e provinciale, volto a ritrarre con nostalgia delle zone italiane. Il naturalismo e il Verismo, nonostante i caratteri comuni, essendosi svolti in ambienti culturalmente, economicamente e socialmente diversi, finirono col differenziarsi ed assumere caratteristiche proprie. Sono differenti gli ambienti e le classi sociali oggetto di studio: i naturalisti ritraggono la vita dei grandi quartieri e delle grandi metropoli. I veristi invece ritraggono la vita povera e primitiva della piccola borghesia (pescatori, artigiani, contadini) L’atteggiamento dei naturalisti è attivo, provocatorio e volto alla denuncia al contrario di quello Verista che è contemplativo, deve solo ritrarre la situazione senza una volontà di denuncia e riscatto; Il naturalismo assunse subito una risonanza nazionale mentre il Verismo si limitò ad accontentarsi di un carattere meridionale, regionale ecc. A parte le differenze però, sia il Naturalismo che il Verismo ebbero come meriti quello di aver dato una concezione più concreta e operosa della vita; di aver evidenziato le miserie e le pene delle classi disagiate e di aver creato una lingua e uno stile più semplici e popolari. La poetica di Verga rappresenta globalmente i temi proposti dal Verismo. Le principali tecniche narrative utilizzate dall’autore sono: la sua eclissi, affinché possa emergere una visione oggettiva della realtà; il concetto di eclissi è strettamente collegato a quello di regressione, in cui l’autore, per assumere il punto di vista dei personaggi, deve assimilarsi al loro livello culturale; utilizza inoltre la tecnica dello straniamento, che consiste nel rappresentare come “strano” ciò che non lo è o viceversa, in modo da evidenziare il divario tra la visione del mondo del narratore e quella dell’autore (che deve coincidere con quella del lettore). La struttura sintattica maggiormente utilizzata da Verga è il discorso indiretto libero. In questo modo, gli avvenimenti sono presentati direttamente dal punto di vista del personaggio, riproducendo così il suo modo di esprimersi, i suoi sentimenti e i suoi pensieri. Nonostante la poetica verista escluda l’intervento diretto

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dell’autore, la poetica di Verga non è una fredda, distaccata, fotografica e anonima riproduzione della realtà, perché la sua opera rispecchia la personale visione del mondo con il suo sentimento di dolore e tristezza nei confronti della vita. Il Verismo aiutò Verga ad esprimere i suoi sentimenti con commozione contenuta ma ugualmente intensa e poeticamente efficace. Egli ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita pensando che gli uomini fossero sottoposti ad un destino impietoso e crudele che li condanna al dolore e all’immobilismo. La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida di tutta la letteratura, se non fosse confortata da tre elementi positivi: •

sentimento della grandezza e dell’eroismo umano che porta Verga ad assumere verso i Vinti un atteggiamento di pietà e ammirazione (pietà per le sventure che subiscono);

fede in alcuni valori come la religione della famiglia e della casa, intesa come centro di affetti e solidarietà, dedizione al lavoro e onore;

saggezza che deriva dalla coscienza dei nostri limiti e ci aiuta a superare le delusioni.

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LATINO Il Satyricon di Petronio Il Satyricon è un lunghissimo frammento narrativo in prosa, con parti in versi, residuo di una narrazione assai più lunga. Non si sa di quanti libri era composto il romanzo e non risulta con sicurezza che Petronio abbia scritto altre opere letterarie. Pregiudizi moralistici limitarono a lungo la diffusione dell'opera di Petronio e ne preclusero l'accesso alle scuole, ma lo sviluppo del romanzo europeo fu profondamente influenzato da questa narrazione di avventure comiche, satiriche, paradossali. A giudicare dalla ridottissima tradizione indiretta del Satyricon, l'opera deve essere stata composta nel I secolo d.C. Tacito, che non parla del Satyricon, presenta, però, nel XVI libro degli Annali, uno straordinario ritratto di un cortigiano di Nerone, di nome Petronio, considerato da Nerone il giudice per eccellenza dello stile e della raffinatezza, l' elegantiae arbiter. L'identità del Petronio tacitiano con il Petronio Arbitro autore del Satyricon è oggi generalmente accettata. Descrivendo le circostanze della morte di Petronio, Tacito delinea un personaggio paradossale. Petronio era stato un valido ed efficiente uomo di potere; proconsole in Bitinia, poi console, ma la qualità che lo rendeva prezioso a Nerone erano la raffinatezza ed il gusto estetico. Petronio, costretto al suicidio nel 66 da intrighi di palazzo (Tigellino lo accusò di essere amico di uno dei promotori della congiura pisoniana), stupì ancora una volta, realizzando un suicidio paradossale come lo era stata la sua vita: […] fattesi tagliare le vene, le fece poi legare e aprire di nuovo, a suo piacimento, conversando con gli amici senza alcuna gravità né desiderio di conseguire fama d’intrepidezza: non li ascoltava parlare dell’immortalità dell’anima e citare le sentenze dei filosofi, ma mentre recitavano carmi leggeri e versi facili. […] Si mise a tavola, poi si abbandonò al sonno, in modo che la morte, benché forzata, fosse simile a una fine fortuita. (Tacito, Annales, XVI, 19)

Distrusse poi il suo anello, perché non fosse riutilizzato in qualche contraffazione o intrigo politico e fece una particolareggiata narrazione delle scandalose nefandezze del

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principe, citando i nomi dei suoi amanti, delle sue prostitute e la singolarità delle sue perversioni: poi, dopo averlo sigillato, lo inviò a Nerone. Spezzò quindi il sigillo, per evitare che servisse a rovinare altre persone. Il ritratto deve molto all'arte di Tacito, tuttavia le somiglianze con l'atmosfera del romanzo sono notevoli. Spregiudicatezza, acuto sguardo critico, disillusione, un’aristocratica cultura letteraria, sono qualità comuni sia all'autore del Satyricon, sia al Petronio tacitiano. Non è certo che Tacito conoscesse direttamente il romanzo, ma se lo conosceva, forse ne ha tenuto conto nel tracciare il suo ritratto di Petronio. La vicenda è narrata in prima persona da un giovane di nome Encolpio, che rievoca le avventure e le peripezie di un viaggio compiuto in compagnia di un bellissimo giovinetto, Gìtone, di cui è innamorato. All’inizio del primo frammento troviamo Encolpio alle prese con un retore, di nome Agamennone, che disserta sulla decadenza dell’eloquenza. Encolpio torna poi alla locanda che ospita, insieme con lui e con Gìtone, il giovane Ascilto, suo compagno di ribalderie e rivale nell’amore per Gìtone. Qui, una donna, Quartilla, sacerdotessa di Priàpo (dio della fecondità e delle sessualità), li accusa di aver violato i sacri misteri del dio e li obbliga, per rimediare al sacrilegio, a partecipare a un’orgia nel corso della quale vengono sottoposti a una serie di estenuanti sevizie erotiche. Così inizia il lungo racconto della cena a cui i tre partecipano, nella casa del ricchissimo liberto Trimalchione, occupando quasi la metà di tutto ciò che si è conservato dell’opera. Inizia qui la parte “fotografica” dell’opera, in cui l’autore, con particolare attenzione per i particolari, descrive l’intero svolgimento della cena, senza però inserire i suoi commenti e le sue considerazioni personali. “Nell’economia del romanzo la Cena, che non determina alcun avanzamento nella storia di Encolpio e dei compagni, costituisce di fatto una pausa, nella quale l’autore offre uno spaccato (grottesco ed efficacissimo) della società del tempo. I personaggi che vi partecipano sono infatti la rappresentazione, a volte realistica a volte caricaturale, di

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alcune tipologie umane che dovevano animare la vita delle città campane nel I secolo d.C.” (fonte: oilproject). Trimalchione rappresenta la figura di colui che è riuscito ad accumulare ricchezze ma che non è in grado di usarle, così ne fa sfoggio davanti ai suoi ospiti. Tra una pietanza e un’altra, il padrone di casa esibisce la sua ricchezza nei modi più spettacolari e grotteschi, sorprendendo i commensali con le trovate più stravaganti, ma disgustando i tre ospiti con la smaccata ostentazione di un lusso pacchiano. Non manca, inoltre, di dar sfogo a tutta la sua ignoranza in ambito letterario. Infatti, afferma che Ulisse, nella grotta di Polifemo, si sia fatto mutilare dal Ciclope con l'arrotino. Dopo la cena, riprendono i litigi tra Encolpio ed Ascilto a causa di Gìtone, che lascia il primo preferendogli il secondo. Poco dopo il protagonista incontra in una pinacoteca un vecchio letterato e avventuriero, Eumolpo, il quale, vedendo il giovane intento a osservare un quadro rappresentante la presa di Troia, gliene offre una descrizione in versi. Encolpio e Eumolpo diventano poi compagni di viaggio e sono coinvolti, insieme con il ritrovato Gìtone, in una serie di rocambolesche avventure, complicate dalla gelosia di Encolpio che scopre in Eumolpo un nuovo rivale. Successivamente, i tre giungono a Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gìtone si fanno passare per suoi servi: in questo modo essi scroccano pranzi e regali ai cacciatori di eredità. Nell’ultima parte, anche se molto frammentaria, Encolpio, divenuto impotente per la collera del dio Priàpo, è vittima dell’ira di una ricca amante che si crede disprezzata da lui: egli tenta di recuperare la virilità perduta ricorrendo, tra l’altro, anche alla magia. Eumolpo, da parte sua, lascia scritto nel suo testamento che gli eredi potranno entrare in possesso dei suoi beni solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno alla presenza del popolo.

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INGLESE Thomas Hardy: the cinematic technique Thomas Hardy was an English novelist and poet. He was born in Dorset, near Dorchester, in the south of England, in 1840 and spent most of his life there. When he was a child, he learned to play the violin and he always loved music and dancing. He started his career as an apprentice architect but by 1862 had also begun to write. He was very critical of Victorian society especially on the declining status of rural people in Britain, such as those from his native South West England. Many of his novels concern tragic characters struggling against their passions and social circumstances and they are often set in the semi-fictional region of Wessex, which covers the south and southwest England, including his home town.

Hardy’s technique is architectural and cinematic at the same time. As an architect by profession he knows how to give unity to his works, so the plot is not always convincing or plausible for excessive melodramatic episodes and coincidences. About the cinematic technique, his fiction can be adapted into films and television programmes. David Lodge, an English literary critic, defines a cinematic writer as one who imagines and presents his materials in primarily visual terms, and whose visualizations correspond in some significant respect to the visual effects characteristic of film. The cinematic novelist used the camera-eye and the camera movement, moving into their subjects, from the city to the street, from the street into the house. Hardy's

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writing style utilizes such film techniques such as long shot, close up, wide-angle, telephoto, zoom, etc. These techniques allow Hardy to focus on characters, scenery and situations to manipulate the reader's response to the subject matter. The fact that Hardy's narrative style parallels cinematic technique creates problems to directors who try to reproduce his fiction on film; however, many have tried, some even while Hardy was alive. There are some differences between a film and a novel; for example, the first one must necessarily tell its story in terms of visibility while the novel can describe anything, visible or invisible. The characteristic feature of cinematic novelists is the description of reality through a transparent window. People believe on camera eye and accept whatever is shown as real. Both novel and film are able to change their point of view from an impersonal perspective to the perspective of a particular character. The panoramic aerial views are the main ways of introducing an action; these are motionpictures: the scene is empty at the beginning, then an object appears closer to the observation point, when it reaches the foreground, and it seems to fill the picture just as in the cinema it would fill the screen. Hardy also introduces the characters in a cinematic style. The reader very often meets a character in the distance, walking along the road or on the horizon. This narrative technique adds a sense of suspense and creates interest for the characters in the reader. A great number of directors were interested in making films from Hardy's works throughout the twentieth century. Nowadays film studios still recognize the inherent cinematic quality of Hardy's style and the fact that Hardy's stories are great for making good films.

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FISICA Come funziona il flash di una macchina fotografica? Il flash della macchina fotografica è un dispositivo in grado erogare una grande quantità di energia luminosa in tempi brevissimi, in sincronia al tempo di apertura del diaframma della macchina fotografica. La sua funzione è illuminare scene poco luminose, se non buie, o comunque dare più luce alle foto. Il nostro obiettivo, però, è capire quali meccanismi si innescano affinché sia possibile generare una quantità notevole di energia in pochissimo tempo. Infatti, dato che l’energia luminosa erogata da una qualsiasi lampada è proporzionale alla corrente che la attraversa, in un flash è necessario far circolare valori elevati di corrente per tempi molto ristretti. È necessario, quindi, avere a disposizione una sorgente di forza elettromotrice in grado di erogare tali valori di corrente e, nello stesso tempo, avere dimensioni tali da consentirne un agevole trasporto, poiché il flash rappresenta un accessorio di un apparato fotografico di dimensioni compatibili con il corpo macchina. L’utilizzo delle tradizionali batterie zinco-carbone, nichel-cadmio o litio come sorgenti di forza elettromotrice non consente di ottenere gli elevati valori di corrente desiderati, poiché ogni batteria è caratterizzata da una resistenza interna !" che limita la massima corrente erogabile dalla batteria. Infatti, detta $ la forza elettromotrice a morsetti aperti di una generica batteria, la corrente che essa eroga, se collegata ad un circuito esterno di resistenza ! risulta, per la legge di Ohm, pari a: %=

$ ! + !"

Pertanto, la massima corrente erogabile dalla batteria coincide con la corrente di corto circuito %(( che si ottiene quando i morsetti della stessa sono chiusi in corto circuito, ovvero quando è nulla la resistenza del circuito esterno. Risulta quindi: %(( =

$ !"

È evidente da tale relazione che, per avere valori elevati di corrente, è necessario agire o sul valore della forza elettromotrice aumentandolo, oppure agire sul valore di !" , riducendolo.

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Purtroppo, sia aumentando $, sia riducendo !" , non riusciamo ad ottenere un risultato soddisfacente, in quanto, nel primo caso, non esistono sul mercato attuale batterie tanto potenti quanto piccole; nel secondo caso, la resistenza !" non può scendere al di sotto di alcuni decimi di Ohm, a causa della struttura fisica delle batterie tradizionali. L’unica soluzione compatibile con le nostre esigenze sta nell’utilizzo di un condensatore di opportuna capacità. Infatti, è noto che la quantità di carica ) immagazzinata sulle armature di un condensatore dipende dalla sua capacità *, secondo la relazione: ) = *,( dove ,( rappresenta la tensione ai capi del condensatore. Per raggiungere il nostro obiettivo, quindi, è sufficiente caricare in maniera adeguata un condensatore, ovvero accumulare sulle sue armature la quantità di carica richiesta, e farlo successivamente scaricare attraverso la lampada del flash. Possiamo dedurre che il funzionamento di un flash è riconducibile all’unione di un circuito di carica e al circuito di scarica del condensatore. Ovviamente, nell’istante in cui viene erogata l’energia luminosa il condensatore si scarica immediatamente. Carica del condensatore La figura seguente mostra il circuito di carica del condensatore.

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La batteria corrisponde alla sorgente di energia $ con la sua resistenza interna !" . Nel circuito, inoltre, è presente una resistenza !(-. , collegata in serie al condensatore. Serve a limitare il valore della corrente durante la fase di carica, la cui durata dipende strettamente dalla quantità di carica ) che è necessario accumulare ai capi del condensatore. Possiamo studiare l’andamento nel tempo della corrente di carica %(-. (0) e della carica )(0) sulle armature del condensatore, applicando la seconda legge di Kirchhoff, il cui enunciato afferma che in un circuito chiuso la somma algebrica delle differenze di potenziale è uguale a zero. Quindi: $ − !" %(-. − !(-. %(-. + ,( = 0 ↓ $ = (!" + !(-. )%(-. − ,( Nell’equazione sono presenti variabili incognite: ,( (0) e %(-. (0). Poiché risulta: ,( (0) = %(-. (0) =

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)(0) * = )′(0)*

*È possibile riassumere l’intensità istantanea come la derivata del rapporto incrementale della quantità di carica in funzione del tempo, proprio perché è il limite tendente a zero dell’incremento ∆0 Sostituiamo quindi: $ − (!" + !(-. ))′(0) −

) (0 ) =0 *

↓ !* ∙ )′(0) = *$ − )(0) dove, per comodità, ! = !" + !(-. .

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Si tratta di un’equazione differenziale a variabili separabili, proprio perché l’incognita è rappresentata dalla funzione )(0), che compare nell’equazione insieme alla sua derivata prima. La soluzione è la seguente, ma poco più sotto c’è l’intero sviluppo matematico. 7

)(0) = ); <1 − > ?@A B dove ); rappresenta il valore di carica sulle armature del condensatore dopo un tempo infinito, quando la corrente nel circuito si annulla, come si evince calcolando il limite per 0 che tende all’infinito di )(0). Il valore ); può essere calcolato facendo una semplice considerazione: la corrente nel circuito si annulla quando ,( = $. Pertanto, risulta che: ); = *$ Le figure che seguono riportano l’andamento delle funzioni )(0) e %(-. (0) per i seguenti valori: $ = 100, ! = 1Ω. * = 1EF

7

7

)(0) = ); <1 − > ?@A B ⟹ )(0) = *$ <1 − > ?@A B ⟹ ) (0) = 10?H <1 − >

7 ? IJ H; B

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Il grafico di questa funzione rappresenta la distribuzione della carica sulle armature del condensatore in funzione del tempo (in secondi). Adesso, invece, verifichiamo il comportamento dell’intensità di corrente che attraversa il circuito

%(-. (0) = )K (0) ⟹ %(-. (0) = 10L >

7 ? IJ H;

È possibile notare come, nell’istante in cui il condensatore si carica completamente, l’intensità di corrente è zero. Attraverso una simulazione java fornita dal PhET, è ancora più chiaro questo passaggio.

È possibile scaricare la simulazione al link: http://l2l.it/condensatori

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Scarica del condensatore La figura seguente mostra il circuito di scarica del condensatore.

Il ragionamento è lo stesso del circuito di carica. La sorgente di energia è proprio il condensatore di capacità *, collegato, attraverso una resistenza !M(-. , al flash N. Attraverso la seconda legge di Kirchhoff, applicando lo stesso ragionamento del caso precedente, otteniamo: ,( − !M(-. %M(-. = 0 Come sopra: ,( (0) =

)(0) *

Per la corrente %M(-. vale lo stesso ragionamento di prima, ma bisogna aggiungere un segno meno, in quanto consideriamo la corrente uscente dal condensatore e, quindi, positiva quando la carica sulle sue armature diminuisce. %M(-. (0) = −

O) = −)′(0) O0

Andando a sostituire otteniamo un’equazione differenziale a variabili separabili del tipo ) K (0 ) +

)(0) !M(-. *

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la cui risoluzione è: )(0) = ); >

7 ? @PQRS A

); rappresenta il valore all’istante iniziale della carica presente sulle armature del condensatore, corrisponde quindi al valore presente alla fine della fase di carica. Graficamente, ecco l’andamento della scarica del condensatore, considerando i medesimi valori dei parametri considerati per la fase di carica, ovvero: $ = 100, ! = 1Ω. * = 1EF )(0) = ); >

7 ? @PQRS A

⟹ ) (0) = *$>

7 ? @PQRS A

⟹ )(0) = 10?H >

%M(-. (0) = −)K (0) ⟹ %M(-. (0) = 10L >

?

7 H;IJ

7 ? IJ H;

Il grafico non è necessario riportarlo, in quanto è lo stesso della funzione %(-. (0).

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MATEMATICA Risoluzione dell’equazione differenziale a variabili separate incontrata in precedenza !* ∙ )′(0) = *$ − )(0) Operiamo un cambio temporaneo di variabile e calcoliamo la sua derivata: ℎ(0) = *$ − )(0) ⟹ Oℎ(0) = −)′(0) Quindi: !* ∙

O) (0) = *$ − )(0) O0

Separazione delle variabili: )′(0) O0 = *$ − )(0) !* Andiamo a sostituire con le variabili temporanee, ricordando che Oℎ(0) = −)′(0): Oℎ(0) O0 =− ℎ (0 ) !* Adesso possiamo integrare le due variabili U

1 1 Oℎ(0) = − U O (0 ) ℎ (0 ) !* ln[ℎ(0)] = −

0 +Z !*

Z costante di integrazione

7

ℎ(0) = > ?@A [\ Possiamo adesso sostituire ℎ(0) = *$ − )(0). Quindi: 7

*$ − )(0) = > ?@A [\ 7

)(0) = *$ − > ?@A [\

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Da cui: 7

) (0) = *$ − > \ ∙ > ?@A Consideriamo l’istante iniziale 0 = 0 )(0) = *$ − > \ ∙ > ; 0 = *$ − > \ > \ = *$ Da cui: 7

)(0) = *$ − *$ ∙ > ?@A 7

)(0) = *$ <1 − > ?@A B Posto *$ = ); , come indicato nella parte fisica: 7

)(0) = ); <1 − > ?@A B Abbiamo risolto l’equazione differenziale!

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BIOCHIMICA La ricostruzione 3D delle proteine Già negli ultimi decenni dell’Ottocento iniziarono a svilupparsi le tecniche che, al giorno d’oggi, permettono l’analisi di acidi nucleici e proteine. Inizialmente, però, la tecnologia “rudimentale” non dava la possibilità di “vedere” tali macromolecole per come sono all’interno dell’ambiente cellulare. Col passare del tempo si svilupparono tecniche di colorazione e, grazie all’aiuto di microscopi sempre più avanzati, come quello a scansione (SEM) o a trasmissione (TEM), con una risoluzione fino a 0,2nm, fu possibile “fotografare” le proteine e le macromolecole in generale nel loro ambiente naturale. Oltre che ottenere una semplice fotografia, è importante ricreare una struttura tridimensionale delle macromolecole prese in analisi, per comprenderne il loro funzionamento a livello molecolare. La tecnica utilizzata coinvolge approcci sperimentali come la cristallografia a raggi X, che posiziona gli atomi nello spazio a partire dal modo in cui i raggi X sono diffratti dal campione preso in analisi. In questa fase, con la necessità di catalogare e rendere universalmente disponibili i dati raccolti, in modo da non ripetere la stessa analisi su macromolecole già studiate, nasce una nuova disciplina: la bioinformatica, che si occupa non solo di sviluppare programmi capaci di registrare e organizzare le sequenze nucleotidiche o amminoacidiche in banche dati digitali, ma anche di produrre dei modelli statistici validi per l’interpretazione dei dati, mettendo in risalto i dati più rilevanti. La banca dati digitale più importante è stata costituita dal governo statunitense nel 1988, con il nome di Centro Nazionale di informazione biotecnologica (NCBI), dove sono conservate e catalogate le informazioni riguardanti le sequenze e le strutture di DNA, RNA e proteine e raccolte le pubblicazioni scientifiche. Grazie a questo database tutti possono cimentarsi nello studio di biomolecole anche senza essere in laboratorio: basta un computer! Nel mio percorso ho deciso di proporre l’analisi una delle proteine più importanti: l’emoglobina. Prima di passare all’analisi di questa proteina è necessario ricordare la definizione e le caratteristiche principali di una proteina.

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In primo luogo, le proteine sono biopolimeri formati da molti amminoacidi (più di 100) uniti tra loro da legami peptidici. I termini proteina e polipeptide, erroneamente, vengono spesso utilizzati come sinonimi, poiché i polipeptidi sono polimeri formati da un numero di amminoacidi compreso tra 10 e 100. Le proteine possono essere suddivise in: •

semplici, formate solo da amminoacidi;

coniugate, costituite da amminoacidi e da un gruppo prostetico.

Inoltre, possono essere classificate in base alla loro funzione. Ricordiamo le proteine strutturali, che costituiscono legami e tessuti, e le proteine catalitiche, come gli enzimi, che aumentano la velocità delle reazioni chimiche nelle cellule. Le proteine hanno generalmente quattro livelli di organizzazione comuni, di complessità crescente, a cui si dà il nome di struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La struttura primaria è data dalla particolare sequenza amminoacidica della catena proteica e determina sia la forma sia la funzione che essa svolge. La struttura secondaria delle proteine riguarda la configurazione tridimensionale assunta dalle catene polipeptidiche, cioè la loro disposizione nello spazio. La più comune struttura secondaria è l’a-elica, accompagnata dalla struttura a foglietto b.

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La struttura terziaria è dovuta all’ulteriore ripiegamento delle catene ad α-elica o dei foglietti β. Il fattore decisivo di questo ripiegamento risiede nella forza attrattiva di tipo elettrostatico. La struttura quaternaria è caratteristica soltanto di alcune proteine: esse, infatti, sono costituite da due o più subunità che si associano fra loro mediante deboli legami elettrostatici. L’emoglobina, per esempio, è formata da quattro subunità proteiche di due differenti tipi (due catene α e due catene β nell’adulto) associate secondo una geometria tetraedrica. L’emoglobina è uno dei tanti esempi di proteina coniugata, cioè di proteina unita a una parte non proteica a cui si dà il nome di gruppo prostetico. Le sue catene polipeptidiche sono, infatti, unite al gruppo eme, costituito da un atomo di Fe(II) legato in una complessa struttura ad anello a quattro atomi di azoto.

Segue lo schema 3D dell’emoglobina, scaricabile gratuitamente dal sito dell’NCBI.

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