KCC
KCC 2017/19
Un nuovo punto di incontro tra arte, natura e storia vive oggi a Castello Cabiaglio. Un luogo sempre aperto da visitare, come meta o come piacevole sosta durante una passeggiata nel nostro piccolo paese della Valcuvia. Grazie a Valentina per il suo impegno e coinvolgimento e grazie agli artisti che, con le loro opere, hanno dato vita al progetto. Il Sindaco, Marco Galbiati
Castello Cabiaglio è un comune della provincia di Varese situato sulla Strada provinciale 45. KCC è un progetto dell’amministrazione comunale volto a far conoscere e valorizzare la storia e il patrimonio culturale e sociale del paese, intrecciandoli con visioni e pensieri contemporanei.
KCC incrocio tra via Mazzini e via al Martinello Castello Cabiaglio (VA) 45°53′38″N 8°45′25″E 514 m s.l.m
KCC è un “artist-run space” situato in una cappella votiva risalente al XVI–XVII secolo. KCC è una finestra culturale, un luogo che vuole suggerire l’importanza della contingenza, dell’effimero, del momento unico e irripetibile, proponendo la precarietà e la leggerezza come valore. Le opere non sono soltanto ospitate in questo spazio ma entrano a farne parte, diventando una presenza che – subendo la contingenza del tempo – si fa assenza e dimenticanza o, tuttalpiù, memoria. Realizzate appositamente per questo progetto – che si configura come una sorta di “stazione” sperimentale” – vivranno di un loro tempo specifico, più o meno dilatato, potranno anche sovrapporsi una all’altra, alcune opere cambieranno, spariranno, altre si aggiungeranno, in un intreccio e minima stratificazione di senso, dialogando per assonanze o per opposizione a sottolineare differenze e inediti punti di vista.
a cura di Valentina Petter
Cesare Biratoni, Carlo Buzzi, Daniele Carpi, Umberto Cavenago, Ermanno Cristini, Carlo Dell’Acqua, Joykix, Michele Lombardelli, Microcollection, Giancarlo Norese, Matteo Pizzolante, Eva Reguzzoni, Luca Scarabelli, Luisa Turuani
Carlo Buzzi ottobre - novembre 2017
Carlo Buzzi, conosciuto per i suoi interventi di public art nel contesto urbano, si serve degli strumenti propri della comunicazione pubblicitaria utilizzando come medium privilegiato il comune poster tipografico. Il lavoro in seguito è formalizzato con la produzione di un numero limitato di “quadri” composti dalle riproduzioni fotografiche delle affissioni o dagli stessi manifesti “strappati” dai muri. Per KCC presenta l’immagine di un suo stravagante autoritratto visto di schiena (nelle sue opere è sempre lui che si mette in giro con vari “mascheramenti”), con la classica benda nera da bucaniere ben visibile sulla nuca. Una benda per gli occhi collocata inusualmente sul retro, come a indicare che lo sguardo vero è quello della mente, oppure più ironicamente che il gioco della rappresentazione non indica mai la verità, e ciò che si vede ha sempre un rovescio, una obversione. L’immagine, che era stata presentata in pubblica affissione nel 2013, qui è rivista e formalizzata in un grande stendardo che all’interno della cappella acquista una decisa valenza iconica.
Cesare Biratoni dicembre 2017 - gennaio 2018
L’opera di Cesare Biratoni è caratterizzata dalla combinazione di frammenti e parti di immagini di recupero, trasformati in composizioni tenute insieme da segni e macchie di colore velocissimo, leggero e delicato, dove forma e contenuto fanno a gara per mostrarsi. Un lavoro in cui la pratica della pittura e del disegno partono da suggestioni, colte da un archivio che raccoglie immagini della storia personale dell’artista e che si configura come una sorta di deposito della memoria collettiva, da cui attingere per intrecciare continuamente nuove storie. In KCC Biratoni presenta un lavoro del 2015 in cui sembra riecheggiare il senso del luogo stesso; il dipinto su tela è la rappresentazione di un edificio – una casa minima e semplice – che emerge da un colore soffuso etereo e luminoso e che lo rende quasi una dimora mistica lontana e impalpabile, ma contemporaneamente presente nel tempo fermo della memoria, colta in una “prospettiva dei perdimenti” dal sapore leonardesco.
Microcollection febbraio - aprile 2018
XLIV Biennale Internazionale d’arte di Venezia, 1990, dimensione futuro, padiglione inglese. Elisa Bollazzi raccoglie un piccolo frammento di un’opera dell’artista Anish Kapoor finito sul pavimento. Qualcosa che si è rotto viene recuperato. Nasce così Microcollection, un micro-museo di cui Elisa Bollazzi è la direttrice, che fino a oggi si è arricchito di migliaia di frammenti di opere d’arte di numerosi artisti, raccolti anche con l’aiuto di collaboratori, amici e donazioni. Queste microparticelle, microscopiche presenze di opere, montate su comuni vetrini da laboratorio, sono visibili al microscopio – nei Cabinets de regard – durante mostre itineranti. Microcollection dal 2008 amplia le attività di presentazione al pubblico dei reperti con le Semine d’arte. Per KCC presenta una semina in vaso di terraglia di un frammento di un’opera importante, una tra le prime ad essere stata raccolta e inventariata: Albero di 3 metri, 1988-89, di Giuseppe Penone. Seminare l’arte è un gesto affettivo e bene augurante, una pratica antica che diffonde, quasi di nascosto, l’idea primigenia della crescita e del germogliare. Si semina arte per raccogliere pensiero immaginifico, sensibilità e curiosità. È un lavoro sul tempo e sulle possibilità, sul dono e sulla fragilità, al quale ci si avvicina sospendendo l’incredulità e aprendosi alle possibilità poetiche del gesto antico, che è un seminare “polvere” per raccogliere stelle, un “seme” che è spazio d’attesa, memoria del futuro.
Carlo Dell’Acqua maggio - giugno 2018
L’opera di Carlo Dell’Acqua è caratterizzata da un gusto liberatorio e apotropaico per la decostruzione. Senza titolo (oggetto parziale) presentato in questa occasione, si compone di momenti complementari e dialoganti: demolizione, ricostruzione e ricreazione. La scomposizione di un piatto in ceramica, elemento che rimanda necessariamente alla nutrizione, appare come un atto deliberato di interruzione del vitalismo, una sorta di resa responsabile nei confronti di una realtà ordinata e ingabbiante. L’atto di ricomporlo, invece, porta in primo piano il rapporto relazionale che si crea tra individuo e oggetto, fin dalle prime fasi della vita di una persona. Così la necessità di ricostruirlo assolve la funzione di ricomporre un’identità e una funzione, ma anche di lavorare ai bordi delle possibilità del campo dialettico della scultura che diventa azione, processo svelato. Costruire frammenti e poi giustapporli per predisporre un vuoto, che in questo caso è periferia e contorno – un segno spaziale dalle note metafisiche sospeso a mezz’aria – permette a Carlo di rendere manifesta l’attenzione all’elemento materiale e di farci “sentire” la sua forma.
Luca Scarabelli luglio 2018
L’opera di Luca Scarabelli intitolata Cosmotheoros, ossia congetture sulle terre celesti e i loro ornamenti vuole introdurre nel concetto della scultura l’istante dell’esitazione, la leggerezza della sospensione e della contingenza. Giocando con forme in equilibrio, mette in rapporto dialettico un piccolo vaso contenente un’orchidea e delle pietre grigie dalla forma circolare, recuperi di carotaggi. Costruisce così una scultura oggettuale con un sistema formale semplice e un montaggio minimo, colta come se fosse un’immagine proveniente da un altrove tutto mentale. Il senso di armonia e di eleganza della cappella è rafforzato dalla presenza della scultura, costituita di elementi solidi ma anche vuoti, misurati dalla distanza tra gli oggetti che pur indipendenti sono legati concretamente: il peso di uno permette all’altro di rimanere in posizione. L’equilibrio sembra raccontare per un istante una durata infinita, la relazione tra arte e artificio, tra lavoro dell’uomo e natura, tra ordine (cosmos) e caos, ma anche aspetti che riguardano la dialettica tra ordine e disordine e il senso dell’attesa.
Daniele Carpi agosto - settembre 2018
L’opera di Daniele Carpi è caratterizzata da un’attenzione verso le problematiche della trasformazione della materia, che sente sempre viva e in mutamento, e degli organismi collegati al rinnovamento della natura e alla caducità. L’artista predispone per KCC un lavoro “in perdita”, un busto di argilla originale per il calco di un’opera in gesso – L’imperatore era un vecchio del 2016 – che ha perso connotati e riconoscibilità; il viso è rivolto verso il muro in un angolo, un po’ come se l’identità venisse nascosta o come se la scultura fosse in esilio. La figura è considerata una forma pregnante, risolutiva e conclusiva di un percorso costruttivo, che trova riparo all’interno dello spazio quasi confondendosi con l’ambiente, come camuffata dall’uso e dal tempo, che ancora la cambierà fino a dissolverla. L’opera come residuo, come un momento sopravvissuto del fare, è una riflessione attorno alla “costruzione” delle rovine e, come scrive Marc Augé, sullo sguardo che si posa su di esse. Carpi ci lascia percepire che è il tempo a lavorare, ci fa sentire la durata, la vertigine della rovina. Un invito a sentire il tempo.
Giancarlo Norese 2018
Giancarlo Norese ha fatto un quadratino rosso? Partendo dalle riflessioni di Marx attorno al processo di valorizzazione del capitale e modificando le condizioni di equilibrio rispetto alla produzione di una merce, Norese predispone un lavoro (con complice ambiguità, qui inteso in senso di “opera”, la prima all’esterno dello spazio di KCC) che rilegge l’autorialità e la misura del fare arte, optando per la non-produzione e il mantenimento di una distanza dalla produzione di una merce e del suo feticcio. L’artista Luca Scarabelli, che ha da poco presentato un suo lavoro in KCC, trova una corrispondenza tra una piccola targa di metallo colorata grossolanamente di rosso, installata su un muretto all’esterno della cappelletta, e un certo sguardo sulle cose che caratterizza alcune recenti opere di Norese, in cui declina in senso del fare nella minimale logica pittorica di un quadrato colorato come deposito di un segno concluso in se stesso; opere che non sembrano richiedere molto sforzo interpretativo, come appunto “Quadrato rosa” o “Red Marx”, ma anche i “Refurbished paintings”. Con queste suggestioni, l’intuizione di Scarabelli è quella di avvalorare la tecnica del non-lavoro e del minimo sforzo / massimo risultato di Norese, e di suggerirgli di utilizzare la targhetta trovata come sua opera: proposta ben accolta e fatta propria dall’artista. C’è qui un raddoppiamento di intenzioni. Una pittura ready-made alla seconda potenza, si direbbe, dal doppio pensiero e doppio sguardo, un’opera che arriva da uno sguardo di un artista che pensa e guarda per e come un altro artista, in un gioco di scambi intuitivo e quasi emozionale in cui la superficie dell’autorialità intersoggettiva è riscritta, in cui il copyright concettuale è deviato e rinnovato, e il passaggio di un’idea e la sua approvazione è un processo svelato per la “costruzione” di un “lavoro necessario” in cui quello che conta è la sensibilità e la distanza. Questo Lavoro necessario (termine marxiano assunto ad uso personale) è una buona forma e l’arte è una convergenza il cui modello valorizza le connessioni e la grammatica reticolare e trasversale, una certa complessità sociale e, perché no, un dubbio.
Eva Reguzzoni settembre - ottobre 2018
Eva Reguzzoni è un’artista intimista, che ha concentrato la propria ricerca artistica intorno alle problematiche della vita interiore, al racconto della natura umana attraverso i manufatti e le implicazioni manipolatorie della materia. A KCC si presenta quasi come un’antropologa e propone un trittico – presunto (che potrebbe essere vero solo sulla base di congetture, indizi e simili, ma può anche rivelarsi falso) – composto da tre cassette sovrapposte, contenenti frammenti di materia scomposta, reperti e testimonianze di ricordi perduti. Ognuna riflette l’intima presenza di un sé: i cocci di ceramica come frammenti del sé; le conchiglie e i residui marini rappresentano gli involucri del sé; mentre i sassi e materiali raccolti in riva al lago sono veri e propri oggetti del sé, sormontati dalla presenza inquietante e significativa di una pelle di serpente realizzata in terraglia. La mutevolezza del serpente, così come l’ordinamento dei materiali all’interno delle cassette, seguono la legge della casualità causale e trasmettono all’osservatore la sensazione di trovarsi di fronte a una sorta di diario inconscio e emozionale in fieri. I confini frastagliati dei materiali raccontano attivamente il ruolo della cultura umana e del suo rapporto con la natura, creando una visione olistica, in cui natura e esperienza si incontrano, per dire che il tutto è più che la somma fra le parti.
Ermanno Cristini 19 ottobre 2018
L’intervento di Ermanno Cristini è caratterizzato dalla fugace apparizione dell’opera e dal tema del disorientamento. Il suo lavoro difatti è visibile in KCC solo poche ore. Doppio ambiguo cardinale è un’opera composta da un piedistallo trovato e da quattro bussole collocate ai punti cardinali del suo piano; ci presenta una dinamica di lettura quasi psicologica, ribalta la consuetudine della contemplazione dell’opera e rinegozia le condizioni in riguardo alle nostre aspettative. In particolare è manifesta in questo lavoro la perdita di controllo del conscio mentale relativo alla percezione spazio-temporale; difatti le sue bussole, strumento perfetto per l’orientamento, sfidando le linee di forza del campo magnetico terrestre, puntano tutte nella direzione nord, anche quelle che dovrebbero indicare sud, est e ovest. Tempo e spazio si intrecciano ambiguamente, non è più un contenitore amorfo, è uno spazio che si abita disorientandolo, così come il tempo, che non esiste… Le coordinate generali sono riscritte secondo il sistema dell’arte, a partire dalla visione stessa del lavoro, operativo poi solo nella forma della documentazione, del racconto e della memoria della sua presentazione orientata disorientando, un flusso in cui dipana una realtà altra per creare luoghi essenziali e mentali.
Joykix novembre 2018
L’artista Joykix propone per KCC un’installazione il cui temi sono la riflessione sullo sguardo, lo scorrere del tempo e la prospettiva. Nell’opera installativa Lo sguardo dell’angelo, gli occhi dell’angelo raffigurato sulla parete di fondo della cappella sono trasposti fotograficamente verso l’ingresso, iscrivendosi e amplificandosi retoricamente, come immagine luminosa – luce come simbolo di energia pura – all’interno di una struttura architettonica modulare. Esterno e interno sono in rapporto di valore, quindi lo sguardo dell’angelo – idealmente si ritrova proprio sul bordo, sull’uscio – permette a questo messaggero divino di “vedere” che cosa ci sia all’esterno, notare i profondi mutamenti che il passaggio dei secoli ha lasciato sia sull’ambiente che sulle persone. Ciascun elemento del lavoro contribuisce alla costruzione di una prospettiva che gerarchizza le immagini e che nell’insieme richiama l’idea di ordine, di un pattern visivo costruttivo e percettivo, il cui valore comunicativo, associato al simbolico concetto immateriale della visione dell’angelo, transita sulla realtà attraverso l’intervento dell’artista. Joykix scrive al proposito dell’opera: “Lo sguardo dell’angelo viene traslato dal passato e proiettato verso il futuro. Lo scarto spazio-temporale lo priva dell’aura spirituale di cui era intriso per donargli lo splendore della luce elettrica trasformandolo in un’insegna pubblicitaria, immagine tra le immagini. Uno sguardo resistente che persiste nell’epoca della totale aleatorietà ed evanescenza delle immagini consumate in continuazione da miliardi di sguardi fugaci e irrilevanti. Uno sguardo schivo, rimasto appartato per secoli, ora scansionato e avvicinato a noi, che si manifesta in una nuova prospettiva.”
Michele Lombardelli dicembre 2018
Michele Lombardelli propone per KCC un piccolo dipinto relativo all’ultima serie di lavori della sua ricerca. Collocato all’interno della cappelletta come una piccola presenza reliquiaria, è dialetticamente in rapporto formale e cromatico con l’ambiente. L’interesse di Lombardelli è per la pittura in sé e i materiali che la veicolano, per la riduzione al minimo della costruzione formale e per l’utilizzo di poche tinte scelte accuratamente ed accostate nelle loro varianti con leggere sfumature e velature, tono su tono o in netto contrasto. Da qui la ricerca, nella composizione, del rapporto quasi intimo e meditato tra una figurazione appena accennata e un’astrazione concreta e strutturale, con il colore appena subordinato alla linea che lo racchiude, che ci racconta di un un’indagine attorno ai classici rapporti tra fondo e figura, tra bordo e centro, tra singolo elemento e l’unità dell’insieme; la materia si fa colore, energia, marca, pittogramma.
Luisa Turuani gennaio 2019
Luisa Turuani propone per KCC un lavoro intitolato Requiem, costituito da un leggio musicale sul quale sono appoggiate in accumulo delle foglie appena cadute, arricciate, di un colore rosso violaceo, con innumerevoli varianti di tono che rimandano a un senso di finitudine e decadenza. Il titolo stesso dell’opera contiene in sé questo significato mortifero, al quale però si accompagna l’elemento vitale della costruzione e della musica, come ricorda il leggio dal quale – idealmente – l’angelo trombettista posto sul lato frontale della cappella sembra leggere la partitura musicale, creata dal movimento causale casuale della caduta delle foglie autunnali, di una sinfonia universale. Il garbato disincanto di quest’opera lascia percepire il senso quotidiano e sacro di questa caducità inevitabile e necessaria, ricordandoci che saranno i passaggi intermedi e la forma che le daremo a rendercela meno gravosa. Lo spazio diventa quello dei gesti sospesi, dell’equilibrio, del suono, del vento, del crepuscolo.
Umberto Cavenago febbraio 2019
Qualcosa si muove ma non si muove. Umberto Cavenago presenta un piccolo lavoro che è la quintessenza di un paradosso. Un paradosso di origine glaciale rivisitato dalla ragione calcolante. Capace di restituire l’incrocio tra il momento dell’intuizione e la progettualità scientifica, Cavenago predispone un intervento minimo, incentrando l’attenzione su un elemento dal carattere decisamente geo metrico, quasi ludico e luminoso per come si presenta all’interno dello spazio. Il piccolo poliedro destabilizzato, che è il risultato di una riscrittura di un esaedro troncato con facce irregolari che annullano tutti gli angoli a 90 gradi, con un richiamo a un elemento naturale dal motivo misterioso: il masso erratico. Per definizione il masso erratico è un masso (di dimensioni variabili e se ne conoscono parecchi) che non è immobile, almeno per lo sguardo e i tempi umani. Ha difatti una cadenza geologica, lentissima, indefinita; la sua condizione, quasi filosofica, è quella dello spostamento infinitesimale. Cavenago immagina così una forma disegnata dal caso e costruisce di rimando un tetracaidecaedro, un solido archimedeo con numerose facce e spigoli nati da un poliedro regolare pronto allo spostamento e all’appoggio sul piano orizzontale, una forma legata all’incidentalità dell’errare. È collocato sul piano di calpestio, in uno spazio circolare ottenuto dallo scostamento delle foglie secche, come a richiamare un vuoto dato da un possibile impatto (si credeva infatti che i massi erratici arrivassero dal cielo, dagli astri, come pietre scagliate dagli dei). In Accidentale, stampa 3D in PLA di 10 x 10 x 10 cm, razionalità e causalità si incontrano.
Matteo Pizzolante marzo 2019
L’opera di Matteo Pizzolante è un lavoro di ricostruzione di un’immagine soggettiva che attinge alla sfera personale, rielaborata con un un software di modellazione 3D con cui ha ricostruito i luoghi e gli interni legati alla sua infanzia, basandosi esclusivamente sul ricordo. La ricostruzione digitale permette così di entrare con la memoria in una visione del passato evidenziandone dettagli e luoghi che appartengono al suo vissuto ma che hanno avuto importanza anche per altri, in un procedimento di analisi personale e allo stesso tempo collettivo. L’aspetto tecnico è importante perché il dispositivo aiuta a modificare, reimpostare la realtà, che è quella dell’immagine di ciò che è stato, che Pizzolante associa al pensiero rammemorante e al ricordo. Silent Sun è così un apparato concettualizzante, una leggera struttura su cui è adagiata come un lenzuolo steso un’immagine trasparente che ci proietta nel passato. È un lavoro sulle distanze, di tempo, di spazio, ed è una storia, parte della sua storia che si intreccia con lo spazio della cappella per suggestione di elementi architettonici, come l’idea del riparo e del rifugio, ma anche ambigua come un sogno ad occhi aperti. Presentata in negativo, è una scena in cui i rapporti tra le cose sono significativi più che le cose stesse. È metafora di un lato nascosto della realtà che può sgretolarsi, rendersi impalpabile per somma di informazioni, così come la memoria che può perdersi o offuscarsi. In questo schermo l’io non c’è direttamente ma si percepisce nell’assenza.
I ’ m k c c , a k u n s t h a l l e i n C a biè j