Erodoto108 n°12

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ERODOTO108 12 • AUTUNNO 2015

IL TENTATIVO DELLA POESIA


ERODOTO108 12 • AUTUNNO 2015

IL TENTATIVO DELLA POESIA / LA SECONDA COPERTINA


DUE COPERTINE non sapevamo quale scegliere. la foto scattata da Francesco Faraci nella strada a luci rosse di Catania ci piaceva molto. dolce e durissima. oppure la foto che ritrae un sereno ernesto Cardenal, poeta e monaco nicaraguense. Sorride ernesto, è un uomo severo e, a suo modo, generoso. alla fine, abbiamo deciso di tenerle entrambe. perché sono il doppio volto di questo numero di erodoto. il volto oscuro del Sud, la terra che noi amiamo, raffigurato da una bella siciliana. ed ernesto come guida nel mondo sospeso, e così reale, della poesia. erodoto è tutto questo. ha più facce. per ora, due. Sommario

80 alBerto CaSiraGhy

IL BUON PANETTTIERE 4 editoriale PER FAVORE UNA RISATA andrea Semplici

8 LE FOTO CHE FARETE Vittore Buzzi, andrea Semplici, Guido Cozzi

14 il raCConto EL BUS DE DIOS matthew licht

testo di Stefano Busolin Foto di Grazia de Cesaris 84 Storie di ritratto

LE COLLANE DI ALDA MERINI Foto di maria di pietro

UNA VITA PRESA AL CONTRARIO testo di Sandro abruzzese

20 reportaGe

ROSSE LUCI A CATANIA Francesco Faraci 34 reportaGe

NERA NOTTE A MATERA testo e foto di ‘Canacca’

IL TENTATIVO DELLA POESIA 48 Gli oCChi di erodoto

LE SEI VITE DI ERNESTO CARDENAL CRONACA DI UN’INTERVISTA MAI AVVENUTA

erodoto GioCa 88 L’INCREDIBILE FOLLE STORIA

DEL ‘FIFFA INDA STREET

testo di marco montanaro, Foto di daniele argentiero e Gabriele Fanelli

94 IL RE DEL CAMPINO testo di alessandro Bartolini, Foto di mauro Sani 96 ‘SE MANCANO BEN 10 SECONDI...’

COLLOQUIO CON PIERGIORGIO PATERLINI testo di irene russo Foto di Giuseppe Boiardi

testo e foto di andrea Semplici

64 annaliSa teodorani “FURMIGHINI” CHE REGGONO IL MONDO E FETTINE SOTTILI DI LUNA testo di Silvia la Ferrara Foto di Salvatore di vilio 68 alFonSo Guida SULL’ORLO DEL BURRONE testo di nadia Casamassima Foto/frame andrea Foschi e tommaso orbi 74 Storie di Cimiteri UNA LETTERA PER KEATS il Cimitero aCattoliCo di roma testo e foto di Francesca Cappelli 76 SilVana Kühtz PAROLE A OCCHI CHIUSI testo di teresa manuzzi

100 Storie di CiBo

CerChiara di CalaBria LE DONNE DEL PANE testo e foto di andrea Semplici 102 quaderni a quadretti

LA CASA E IL TEMPO DISEGNI DI ROBERTO INNOCENTI andrea rauch/roberto innocenti 112 I ”PUNTO DI VISTA” CON GLI OCCHI DI UN UCCELLO Guido Cozzi L’UOMO È LA MISURA DELLE COSE andrea rauch LO SGUARDO DEL PICCOLO PRINCIPE Vittore Buzzi 127 LA DECIMA LIBRERIA LE NUOVE LIBRERIE A FIRENZE 136 oroSCopo di letizia SGalamBro

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58 POETI FUORI STRADA testo di arturo Valle Foto di Vittore Buzzi


editoriale

per FaVore, una riSata

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uesto numero è un successo, perché è stato fatica, è stato difficile, faticoso, in qualche modo doloroso, ma è anche un bel numero. Siamo sempre più convinti che abbiamo bisogno di un equipaggio ben più grande e appassionato per tirar fuori questo naviglio dagli scogli sui quali si è incagliato. rischia di affondare. noi vorremmo restare a galla: nel mondo sta accadendo di tutto, sta cambiando la nostra geografia e noi vorremmo raccontarlo. Vorremmo essere in prima fila: sulle frontiere dove l’umanità sta camminando e, soprattutto, vorremo essere nei luoghi sconosciuti dove, nei prossimi anni, ci sarà davvero il cambiamento. il racconto come un grimaldello per dare un senso al vivere. la quasi certezza che parole e idee possano davvero essere uno strumento di forza, resistenza, resilienza, aiuto a chi davvero prova a (ri)costruire un mondo più giusto. abbiamo bisogno di aiuto. abbiamo bisogno di chi sappia navigare e abbia voglia di remare, perché non abbiamo un motore, né le vele. questo è un Sos. Sara e alessandro sono scesi dalla barchetta di erodoto. ne siamo addolorati. il loro fare è stato importante per tenere in piedi questa storia. non è finita bene. rimane la gratitudine e gli applausi per il loro lavoro.

alla fine credo che abbiamo voluto portare fino in fondo il numero 12 di erodoto per luca e per andrea. luca e andrea non ci sono più. luca rastello è morto a torino questa estate. aveva 54 anni. era un giornalista e, soprattutto, era uno scrittore. ha scritto alcuni dei libri più belli e quasi sconosciuti di questi anni. piove all’insù è la storia reale della generazione del ’77 (dirà pochissimo, questo anno, il 1977, ai nostri lettori più giovani, ma è stato un anno bellissimo e terribile); la guerra in casa è certamente il libro più intenso che mai sia stato scritto, in lingua italiana, sull’oscenità del mattatoio balcanico e sugli uomini e le donne che non vollero far finta di niente; i buoni è il libro che tutti avremmo voluto scrivere: il racconto di quell’universo della bontà che, oltre l’immagine pubblica, oltre un sipario di belle parole, ha crepe infette di mal-essere. Solo luca poteva esserne capace.

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www.erodoto108.com • Fondatore: Marco Turini • Direttore responsabile: Andrea Semplici • Redazione Giovanni Breschi, Vittore Buzzi, Valentina Cabiale, Francesca Cappelli, Silvia La Ferrara, Massimo D’Amato, Isabella Mancini, Andrea Semplici, Letizia Sgalambro, Marco Turini • Designer Giovanni Breschi • Web designer Allegra Adani

ERODOTO108 registrata al Tribunale di Firenze Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009


andrea Foschi è morto a Firenze. aveva 35 anni. Viveva fra roma e il Valdarno. mi aveva regalato la prima lezione di video della mia vita. era un videomaker e un fotografo. e aveva i capelli che andavano all’insù, capelli ottocenteschi. l’ho visto muoversi su un set. l’ho visto creare un set. l’ho guardato mentre trasformava il mondo in immagini in movimento. alcune di queste immagini, girate assieme a tommaso orbi, raccontano di alfonso Guida, poeta lucano. avevo suggerito ad andrea e tommaso di andare a trovare alfonso: se volevamo raccontare in un film la lucania, dovevano passare dall’eremo di questo poeta. non so: alfonso mi aveva chiamato per chiedermi se potevo risparmiargli questo incontro. ho insistito. Sapevo che andrea tommaso erano giusti. e, in un pomeriggio di autunno, nacque una complicità fra i due videomaker e il poeta. di quella giornata sono rimasti dei frame. delle immagini fisse tratte dal video che fu girato (e mai montato) in quella giornata. tommaso orbi ce le ha donati per la nostra rivista. e io mi tengo addosso la malinconia di lezioni che mai ho avuto da andrea. e mi tengo le note del nostro unico incontro. non imparerò a fare un video. ecco, facciamo questo numero per luca e andrea.

È

dal buio del Sud, la terra che più amiamo al mondo, alla luce di poeti. in fondo, anche questa ci appare storia meridionale. al Sud si scrive poesia, si ascolta poesia, si organizzano spettacoli di poesia. la sensazione è che lo si faccia ben più che al nord (ma siamo di parte) e allora, partendo dal nicaragua, paese di poeti, partendo da un vecchio poeta novantenne, ernesto Cardenal uno dei protagonisti della teologia della liberazione, cacciato dall’altare da un impietoso Giovanni paolo ii), siamo ritornati in italia e l’abbiamo percorsa, con casualità, da milano alla lucania, cercando poeti. poeti sconosciuti, poeti amati da chi li insegue, poeti grandi. li scoprirete sfogliando

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strano questo numero 12 di erodoto (bel numero, i mesi dell’anno, la tentazione è di finire qui: in fondo abbiamo dimostrato che è possibile fare un rivista senza un solo centesimo. Confesso: ci piacerebbe dimostrare che è possibile farla con buoni stipendi). parla del Sud. ma questa volta siamo andati a scandagliare il dark side del Sud. Ci siamo avventurati in strade inesplorate. le rosse luci di Catania, a esempio. Francesco Faraci, fotografo palermitano, ha camminato per la strada delle belle, delle puttane. ha intrecciato con loro complicità e amicizia. e alla fine gli hanno aperto la porta. ne è venuto fuori un racconto crudo e dolcissimo. Francesco ci ha fatto conoscere quello che c’è oltre la cortina di un non-detto. e noi vorremmo continuare a passeggiare per il non-detto. Forse ancora più sorprendente, è il racconto di Canacca. Canacca è un ragazzo di 19 anni. di matera. non ha una macchina fotografica. possiede uno smartphone e, per la prima volta, grazie a un fotografo, raffaele petralla e ai corsi organizzati dallo iac, il centro arti integrate di matera, ha fotografato. e ha raccontato una storia che nessuno racconta: le notti dei ragazzi della città dei Sassi. oltre la loro bellezza, oltre l’orgoglio di essere diventata Capitale europea della cultura, oltre i luoghi comuni: matera è anche una nera notte e i Sassi sono il rifugio di una generazione che coltiva la noia. È bellissimo il racconto-reportage di Canacca. Gli siamo grati di averlo voluto donare a noi.


le pagine virtuali di questa rivista. abbiamo davvero fatto un viaggio a zigzag, senza una vera meta. un viaggio che vorremmo continuare, questa sarebbe una buona ragione per tenere in vita erodoto: raccontare i poeti. perché anche loro sono granelli di sabbia che possono inceppare meccanismi e almeno darci emozioni, forza per cambiare il mondo. un’attenzione: i poeti sorridono nelle foto che abbiamo scattato. Forse è appena un dettaglio, un frammento insignificante. ma provate a pensare a come immaginate un poeta, come ce lo hanno raffigurato nei nostro anni di scuola…forse le foto dei poeti, di questo poeti sono davvero un incoraggiamento. perché i poeti ridono. Grazie a Salvatore di Vilio, a andrea Foschi e tommaso orbi, a maria di pietro, a Grazia de Cesaris, a teresa mannuzzi, a Vittore Buzzi che hanno fotografato. Grazie a Silvia la Ferrara, Stefano Busolin, arturo Valle, Sandro abruzzese che hanno scritto. e grazie a Francesca Cappelli che è andata a roma, al cimitero acattolico, per raccogliere le parole di Keats e di Shelley solo perché noi potessimo avere una mappa da seguire in questo cammino della poesia. osvaldo Soriano, grande scrittore argentino, sarebbe orgoglioso di noi. per come raccontiamo il calcio. ancora al Sud abbiamo scovato, grazie ad amici, la storia del Fiffa inda Street, il calcio di strada, tre contro tre, a porticini. e marco montanaro, scrittore di Francavilla, ce lo racconta con maestria. È fra i più begli articoli che siano stati scritti per erodoto: questo leggetelo, è davvero una meraviglia. Se osvaldo potesse leggerlo correrebbe in puglia per assistere a una partita di strada e per conoscere marco. numero delle notti del Sud. numero dei poeti. e numero di sport, di gioco. piergiorgio paterlini, scrittore, fra i fondatori di Cuore, racconta a irene russo i misteri dello sport che ferma il tempo. il basket. dove dieci secondi sono un’eternità, sono troppi per andare in fretta. C’è tempo quando mancano dieci secondi. qualcosa vuol pur dire. Guardate con qualche curiosità le foto di Giuseppe Boiardi: ha cercato di narrare l’arredo delle case di chi sfiora i due metri di altezza.

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e ancora: doni grandi. roberto innocenti, uno dei più celebri disegnatori italiani, dialoga con andrea rauch, grande grafico, attorno alla storia di una casa dell’appennino. ne racconta i secoli di vita, le trasformazioni, la vita che è trascorso attorno a quelle mura di pietra. e poi tre fotografi (ancora andrea rauch, Guido Cozzi e Vittore Buzzi) che guardano al mondo da diversi ‘punti di vista’.

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nfine, la nostra sorpresa. in questi anni, a Firenze, abbiamo visto nascere, una dopo l’altra, piccole librerie. alla fine abbiamo fatto i conti e siamo rimasti stupiti nel toccare tutte le nostre dita. dieci librerie nate in pochi anni nel capoluogo toscano è qualcosa di importante. Ci dice di un non-previsto, di un inatteso. Ci rende felici e rende più bella la città. alessandro lanzetta è andato a visitare queste librerie e ha fotografato i librai. È una bella storia. erodoto sogna di poter organizzare una serata riunendo in una festa i dieci librai di Firenze.


nelle vostre città sta accadendo lo stesso? raccontateci delle nuove, piccole librerie italiane. mi sono dimenticato i racconti. perché sono ben più che strani. matthew licht, scrittore anglo-fiorentino, ci conduce nelle ore graffiate passate su un bus messicano. alla fine, questo non è un editoriale, è un sommario. nicole Janigro, una scrittrice e psicoterapeuta croata, ha ricordato luca rastello nella rivista doppiozero. lo ha ricordato con le parole di luca. eccole: In un remoto casolare coperto di stoppie dove vivo costantemente impegnato a lottare contro le afflizioni della cattiva salute e di altri mali della vita con le armi del buon umore, essendo fermamente persuaso che ogni volta che un uomo sorride, ma più ancora quando ride, aggiunge un granello a questo breve frammento che è la nostra vita. Già. Grazie, luca. Grazie, andrea. per i sorrisi. per le risate.

TI AN L O IV BR I L

TRICARICO PROMETEO E IL CARNEVALE

FOTOGRAFIE DI MARINA BERARDI

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Ps: erodoto108 ha dimostrato che si possono fare anche prodotti di carta. abbiamo pubblicato in cento copie un piccolo libretto fotografico: prometeo. È il racconto di uno dei più bei carnevali d’italia, la storia drammatica ed emozionante di tori e vacche a tricarico, paese della lucania. È il lavoro di marina Berardi, giovane fotografa lucana, ‘triCariCo, prometeo e il CarneVale’. non cercatene una copia: sono finite tutte e cento in dieci giorni. non abbiamo idea se ristamparlo o meno. la tentazione è forte. Andrea Semplici, con interventi di Silvia La Ferrara e Letizia Sgalambro

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08 O1 NI T O ZIO OD DI ER TA E L SA CA


le foto che farete messico, oaxaca el dia de los muertos, 1-2 novembre Fotografia di Vittore Buzzi

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le foto che farete

Festival di internazionale, 2/4 ottobre Fotografia di andrea Semplici

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le foto che farete

la raccolta delle olive in toscana podere novoli di Giuseppe zani, Certaldo. Fotografia Guido Cozzi

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il racconto di MATTHEW LICHT

EL BUS DE DIOS ….sterzò per evitare qualche fantasma di roadrunner notturno, poi tornò dalla sua parte della linea gialla a tratti che significa in codice Morse che ti stai avvicinando alla meta, oppure che non stai andando da nessuna parte. Credetti quasi che mi indicasse col dito la piccola insegna che vietava di parlare col conducente. ‘Che c’è?’

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a corriera era al buio, il riscaldamento non funzionava, e il vecchio messicano che mi sedeva dietro non voleva stare zitto. Blaterava insistentemente a voce bassa. Non dava al suo interlocutore, chiunque fosse, alcuna possibilità di pronunciare una sola silenziosa parola. Non faceva gesti, era difficle capire se vi fosse un senso al Rio Grande di parole che scorreva come l’autostrada ignota sotto le gomme del bus.

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La corriera era quasi piena. Il bizzarro chiacchierone aveva accanto a sé l’unico posto libero. La persona accovacciata alla mia destra era già addormentata quando montai, separato dal mondo da un poncho-sìndone. Non si mosse quando presi il posto. Forse era un cadavere. Avevo trascorso sufficienti Días de los Muertos al sud da sapere che per molti messicani, o perlomeno quelli che non parlano spagnolo, i morti occupano parecchio spazio nel nostro mondo e ci osservano. Il riso dei morti ha il suono del vento nel deserto, con l’aggiunta di api, coyote e crotali. Forse il vecchio parlava con la donna che l’aveva reso vedovo, o quella che l’aveva espulso dal corpo per farlo stare nel mondo dei vivi, che gli aveva preparato a schiaffi le tortillas, e che gli sculacciava il culetto marrone se non andava a scuola. Forse stava interrogando ulteriormente lo sciamano del suo villaggio, che gli


Il vecchio parlava con dio, cantava le sue lodi, lo ringraziava. Sarebbe stato bello, in un altro momento. Se fossi entrato nella cattedrale della capitale, per

esempio, ma non quando ti trovi su un autobus che forse torna alla realtà, e i tuoi occhi non se la sentono di restare aperti, tanto non c’è nulla da vedere. Il guidatore evitava con calma le buche, gli armadillos e i tumbleweeds, i rotolacampo, che attraversano la strada ignorando le strisce inesistenti. Era giovane, dai meravigliosi capelli messicani patinati come ali di corvo o un manto di pelliccia d’orso da sciamano. Vado d’accordo con gli anziani. Non tanto quanto coi bambini, ma i vecchi le loro vite le hanno vissute. Di solito sono felici di raccontare le loro storie, puoi imparare dai loro trionfi, errori e disastri. Il vecchio che parlava con dio o di dio non aveva valige o sacconi nella rete sopra il suo cappello da campesino. Forse il suo fagotto da vagabondo era sotto il sedile dinnanzi a lui, quello che reggeva il mio sedere stanco di viaggiare. Oppure era un viandante in cerca di verità, che rifiuta gli ingombri materiali della vita. Forse il vecchio mormorante non aveva intenzioni di tornare da ovunque andasse. Forse tornavo a Santa Cruz dopo un lungo soggiorno nel vecchio Messico, perché sentivo di cavarmela bene con lo spagnolo. ‘Mi scusi, signore’, dissi, non abbastanza forte da disturbare gli altri passeggeri che non sembravano avere problemi a dormire nonostante ronzanti peane al paradiso terrestre e la scintilla vitale che muove l’universo, ‘le dispiacerebbe smettere di parlare? Sono stanco, vorrei dormire. Grazie’. Non mi sentì. Non mi considerò. Un solitario paio di fari illuminò il suo viso di cuoio, i suoi occhi pallidi con i cerchi della vecchiaia attorno alle iridi, le sue labbra sottili che non schiumavano di bava ma che non stavano mai ferme. Che divina idea, creare le donne, e gli animali che saranno il nostro cibo, e il fuoco per cuocerli e per scaldare i nostri rozzi wigwam. Forse lo fissai. Mi chiedevo se magari fossi morto, laggiù nel Messico. Alcune persone ci vanno apposta per trovare la morte, e non è dif-

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aveva rivelato dove tengono nascosto l’oro, lassù al Norte. Forse i fantasmi lo ascoltavano. Forse stava dicendo qualcosa che avrei dovuto sentire anch’io, proprio al volume necessario per impossibilitare il sonno. Unendomi al pubblico delle presenze dei morti, sentii un sermone sulla bellezza del mondo, una versione con salsa chile delle rapsodie dei quaccheri su uccelli, alberi, fiori, montagne e miele, su acqua, amore e luce e le varie invisibili cose che rendono dolce e possibile la vita.


ficile. Il limbo era un luogo di sterminati viaggi notturni in autobus, durante i quali un vecchio barbuglia con deità invisibili, o con gli spiriti dei baccelli morti e dormienti sparpagliati attorno a sé, per impedirgli di attingere alla pace del paradiso. ‘Ehi’, dissi, sempre in spagnolo e più forte, ‘stai zitto’. Allora mi notò. ‘Nossignore non starò zitto. Dio è così grande che devo raccontare della sua magnificenza, devo lodarlo e ringraziarlo per il mondo che ci regala ogni giorno. Non posso tacere di tanta bellezza’.

Passammo un distributore dall’aspetto barocco, ma non volli distogliere lo sguardo dalla favolosa capigliatura del guidatore. Forse pensavo di poterlo indurre all’azione tramite inesistenti poteri psichici. Ebbi tempo per pensare a quanto sarebbe stato preferibile trovarmi nel diner di quel distributore, con bisteccone e birra, e la cameriera ragazza-madre che mi vuole portare una fetta della torta che ha cucinato con le sue manine marroni, anziché su questa puzzolente corriera con un maniaco religioso che non vuole chiudere la bocca.

Avrei potuto sferrargli un gancio destro al mento, scuotergli la testa, allungargli la spina dorsale quanto bastava per indurgli qualche ora di coma beato, ma non è da gentiluomini, e non sono pugile. Il vecchiaccio poteva avere in tasca una Colt arruginita, o un coltello a scatto corroso. Passare quel poco che mi rimane di vita in carcere per aver freddato un infedele non mi spaventa, o Signore. Tre pasti caldi al giorno, finché non abbandono questo corpo e salgo per raggiungerti nel cielo pulito e rovente, o dio.

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Non me la sentivo di andare verso il retro per cercare di dormire nel fetido cesso, o di allungarmi nel corridoio usando la giacca come cuscino o coperta. L’unica opzione era di rompere con certi prinicipi filosofici di vita. Mi alzai e mi diressi a tentoni verso il guidatore, gli toccai la spalla. Sussultò. Sterzò per evitare qualche fantasma di roadrunner notturno, poi tornò dalla sua parte della linea gialla a tratti che significa in codice Morse che ti stai avvicinando alla meta, oppure che non stai andando da nessuna parte. Credetti quasi che mi indicasse col dito la piccola insegna che vietava di parlare col conducente. ‘Che c’è?’ ‘C’è uno che parla’, dissi, come una spia da terza elementare. Il guidatore tenne gli occhi sulla strada. ‘Digli di smettere’. Forse passò un miglio. ‘L’ho fatto. Non smette’.

Il conducente sbuffò. Chiaramente il passeggero scocciante non sarebbe tornato al suo posto, non l’avrebbe lasciato in pace, non avrebbe stoicamente accettato una situazione meno che ideale di cui non aveva colpa. Fece durare per oltre due miglia la manovra di accostare. Il segnale divenne un metronomo di tempo sprecato, un conto alla rovescia degli sfigati che credono che il costo di un biglietto di autobus gli dia diritto a un trattamento stile Concorde. Mi fece restare in piedi nella zona dove non dovrebbero sostare passeggeri. Teatralmente riassettò la divisa, stiracchiò le gambe, risistemò il pacco e si diresse nell’area cargo della vettura sotto il suo comando. Il vegliardo mangiafagioli avrebbe potuto fingere di essere KO. Mi avrebbe fatto fare una figura di


Giusto e imparziale come si addice a un capitano di corriera, il guidatore captò com’erano messe le cose e meditò quale azione intraprendere, semmai. Il vecchio persistette nel suo inno ronzinante, il suo sombrero di paglia da vaquero basculava piano. Il conducente tornò al suo posto. Mi guardò come se fossi uno stronzo di cane fresco di giornata, con sopra del vomito caldo. ‘Sta pregando’.

Forse sospirai. Forse l’autobus fece scappare aria. A volte lo fanno, come tutti. ‘Lo so che sta pregando. Ed è fantastico. Vorrei solo che pregasse in silenzio. Tanto il Signore lo sente comunque’. ‘Non sembra che rechi fastidio agli altri passeggeri’. Indicò la folla addormentata con una mano inguantata, da pilota super-professionista. ‘Sta disturbando me’, dissi. ‘Gliel’ho già chiesto cortesemente. Qui l’autorità competente è Lei’. Scosse la testa. Il passeggero rognoso non gli dava spazio per manovrare. Esalò, un suono sibilante come un copertone pugnalato, e tornò nel retro per sistemare il vecchietto devoto e inoffensivo. Mantenne un atteggiamento rispettoso e la voce bassa, per non disturbare i dormienti. Forse per

quelle mummie intabarrate di serape, la monotona litania del vecchio costituiva una ninnananna. Non riuscii a sentire ciò che disse, o se il vegliardo gli rispose. Non sentivo di avere il diritto di intromettermi in quella conversazione, perché ero schizzinoso e pure spia. Il vecchio fece cenno di sì con la testa. Il suo sombrero s’immobilizzò. Il conducente tornò a passo di cowboy. ‘La pregherei di tornare al suo posto’, disse, con accento messicano da cartone animato. ‘Ho grande rispetto per gli anziani, ma...’

Le altre parole si persero quando riaccese il motore. Non mi diede il tempo di tornare al mio posto, sgommò e svirgolò sull’autostrada. Dovetti aggrapparmi ai sedili per non cadere, ma quando mi risedetti, tutto era quiete e pace. Non percepii raggi di morte né coltelli a scatto imbrattati di merda diretti alla mia medulla oblongata. Ombre di cactus sfrecciarono ritmati. Chiusi gli occhi. La ragazza che amai così tanto al liceo mi chiese di aiutarla a trovare i fiori che aveva perduto sulla spiaggia. ‘Il tuo amore fa bruciare le stelle’, disse il vecchio, forte quanto bastava. ‘La tua luce ci illumina la strada giusta da prendere. Ci hai dato oceani di sangue caldo, che ci permette di amarti con maggiore sincerità’. Becky Raven e io non li trovammo mai, quei

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merda, ma dio era troppo degno di lode, nella sua testa, per tali melodrammi di ripicca. Continuò a parlare con chi l’aveva creato mentre incombeva su di lui il guidatore.


fiori. Né riuscii a spogliarla della muta da sub trasparente. Non sentii le sue mani fresche e morbide sui boccoli biondi e lunghi che mi erano magicamente ricresciuti nel sogno. ‘Tu sei così buono, e noi così peccaminosi, malati di avidità, ingrati per il mondo-paradiso che ci hai dato. Non meritiamo di amarti, ma non dobbiamo smettere mai di farlo, perché altrimenti non esiste speranza’. Lo spagnolo messicano è così schietto, semplice e umano. Forse è proprio quel suono che mi attirò tanto spesso a sud del confine. C’entravano anche i tacos di pesce, e i vulcanici panini cemitas. Amavo il modo di vestire delle messicane, e il loro amore a cuore aperto per il mondo, nonostante la durezza delle loro vite. Amavo il deserto di Sonora, così pulito e colorato, malgrado il sole arrostisce a morte la sua vastità. Ma ecco questo vecchio testa di cazzo messicano che non vuole chiudere il fottuto becco riguardo alla fottuta gloria del Signore.

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Mi girai per contrastare il dignitoso nemico. Abbozzai un sorriso. Il suo volto s’illuminò di rosa santificante. Forse passavamo accanto a un altro sfavillante distributore, o forse era in arrivo l’alba. Alba Rosen era un’altra ragazza che mi faceva sangue a Hollywood High, ma ora non importava. ‘Prego señor’, sussurrai tenero. ‘So che il tuo amore per dio è forte, ma dovresti anche amare tuo fratello al punto di permettergli di sonnecchiare durante questo viaggio attraverso la celeste notte scura che dio ci dona affinché possiamo riposare’. Non c’era indizio che avesse assorbito una sola parola. Era sordo come un crotalo, o quell’altra culebra che striscia a zig-zag attraverso il deserto di Sonora. Sordo come una velenosa lucertola Gila. Nessun suono, a parte il ronzìo elettrico delle terre aride e spoglie, vespe, formiche, scorpioni, e il caldo, secco vento che fa levitare corvi e avvoltoi. ‘Mi hai tolto i figli, o dio, per ragioni che sai solo tu. Le mie mogli mi hanno lasciato per unirsi a

te perché naturalmente ti amano più di quanto potevano amare un uomo mortale che le ha rese gravide di bambini che poi non si poteva permettere di nutrire. Hai mandato le malattie nervose per mettere alla prova la mia forza. Hai causato la divina tempesta e alluvione che portò via la casa che costruii con queste mani. Grazie per non avermi ancora accecato. Grazie per avermi lasciato la voce che mi permette di dedicare il resto della mia umile vita a cantare le tue lodi con la povera musica della mia anima che ti adora. Grazie per il dono della morte, che attendo con pazienza e certezza’. La morte è il fratello maggiore del sonno. Il vecchio rompiballe sicuramente non dormiva nemmeno lui. Non poter dormire durante un’odissea in corriera dopotutto non è nulla. Che importava, se la vita a cui ero ridiretto o dalla quale cercavo di fuggire non era come quella illustrata nelle riviste patinate. Nessuna moglie o fidanzata ad attendere il mio ritorno a


Becky Raven si era tolta l’invisibile muta da sub. I fiori che credeva di aver perso sulla spiaggia erano sparsi tra i suoi folti e disordinati capelli neri. La sabbia era un prato al sole, scintillava dei suoi fluidi femminili, dolci come la rugiada. Il mazzolino di fiori che mi porse erano i nostri figli, i loro piccoli visi erano vivi d’amore per noi e per il sole. Il mare era pieno di luce che brillava in forma di onde. L’acqua era l’aria che respiravamo. Fiori profumarono Becky e me mentre ci abbracciavamo e diventavamo una sola cosa vivente nella luce, nell’aria e nell’acqua dove il tempo non esisteva e dove avevamo tutto il tempo. Becky non mi avrebbe mai dato uno spintone così violento. Cosa ho fatto di male. Cosa ho detto per farla incazzare?

Il conducente mi guardava come se avesse preferito pisciarmi addosso anziché toccarmi ancora, come se avessi insozzato la tappezzeria stile Tijuana della sua vettura con vomito, orina, muco e feci. ‘Siamo arrivati a destinazione’, disse. ‘Non posso finire il turno finché non scendi e permetti ai nuovi passeggeri di salire a bordo. Vorrebbero partire in orario, señor’. Tremai, massaggiai le palpebre, mi alzai tutto intirizzito per prendere la mia roba dalla rete sopra i sedili. Ma non c’era nulla. Qualche ladro mangiafagioli se l’era svignata con la mia borsa. Rovistai nelle tasche della giacca, ma erano state ripulite. Derubare un fesso in coma che rotola russando attraverso il deserto di Sognilandia non richiede grande abilità di borsaiolo. Non sarebbe servito a nulla urlare aiuto! polizia! al conducente d’autobus sprovvisto di pistola, distintivo o manette. ‘Merda. Non mi hanno lasciato nulla’. ‘Non siamo responsabili per la proprietà personale, señor’. Indicò una targhetta che esprimeva, appunto, quel concetto. Ci doveva per forza essere un posto di polizia nella zona circostante la stazione degli autobus. L’avrei scoperto presto. ‘Quel vecchio signore che le recava tanta molestia mi ha chiesto di augurarti buona fortuna, e di dirti che dio ti ama, nonostante i tuoi peccati’, disse il guidatore. ‘Avrebbe voluto dirle queste cose di persona, ma non voleva interrompere il suo sonno. Scendi. Devo pisciare’. La stazione degli autobus puzzava di piscio. Perlomeno sarebbe stato bello uscire da lì.

Matthew Licht, 55 anni, è vissuto a los angeles negli anni 80. ha girato in lungo e largo il Messico. ha mangiato quintalate di tacos, cemitas e tamales. di prossima pubblicazione i suoi libri elettronici The Withering Fire (Spider & fish), e Il museo della polvere (Spider & fish).

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casa, o a sperare che fossi sparito per sempre. Niente bambini che mi avrebbero assomigliato, e che avrebbero parlato con la mia voce quando sarei montato sulla corriera chiamata Crepa. Forse non avere significa non dover perdere. Forse il vecchiaccio era impazzito. Difficile capirlo, fissando a mo’ di duello quegli occhi cerchiati dalla brina della vita e del tempo in un autobus scuro che scorreva attraverso una zona priva di luce sull’orlo di un altro giorno. ‘Solo tu sai creare’, dissi, o forse lo pensai soltanto. ‘Noi ci ostiniamo a distruggere, anche se sappiamo che è male’. Ora guardavamo nella stessa direzione. Cercai di vedere che aspetto avessero i miei occhi, nello specchio nero del finestrino che il destino mi aveva assegnato. C’erano cerchi di cristalli di ghiaccio atmosferico attorno a sorella luna. La vecchiaia umana è irrisoria, in termini cosmici. ‘La terra è talmente antica, ma non invecchia. Noi, suoi figli, le causiamo pensieri, le facciamo venire le rughe, ma lei ci nasconde le sue pene, per non impaurirci. Tu bruci tramite il sole per darci luce e vita, ma noi ci rifiutiamo di guardarti, per paura di restare abbacinati dalla tua brillantezza. Abbiamo paura di vederti. Abbiamo paura di vivere e di morire, ci muoviamo senza sosta verso fini per noi inconcepibili, incapaci di restare fermi e contenti nella luce del sole, indisposti a perdurare il bel fresco e la serena oscurità del deserto di notte’.


FOTOGRAFICO REPORTAGE

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A un passo da via Etnea, centro della città, il quartiere di San Berillo

ROSSE LUCI A CATANIA TESTO E FOTO DI

FRANCESCO FARACI Un fotografo siciliano viaggia nel labirinto delle strade delle puttane. E ritrova Fabrizio De Andrè al Sud: le belle non hanno inganni, offrono sesso e una improvvisa dolcezza. Tutti gli uomini sono passati di qui e molti si sono innamorati…


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ella nera Catania, a pochi passi dalla centrale via etnea, si snoda un dedalo di strette vie circondate da basse case e antichi palazzi nobiliari ormai in rovina: è San Berillo. per i catanesi è il quartiere delle puttane. il simbolo dello scandalo, della perdizione e della perversione. È odiato, eppure tutti, almeno una volta nella vita, ci hanno messo piede. Senza differenze di classe o di ceto: avvocati, medici, operai e semplici perdigiorno, nessuno resiste al piacere ammaliatore della carne. alcuni sentono il bisogno di un brivido, altri invece cercano soltanto un gesto d’affetto che gli faccia dimenticare le asprezze della vita. amori che nascono e muoiono nello spazio di un amplesso, coperti dal segreto custodito dalla luce delle candele appena cala il buio. Gli uomini camminano con il passo di chi ha fretta, senza incrociare gli sguardi degli altri passanti, quasi strisciando fra i muri di mattoni rossi ricoperti da scritte tentatrici. San Berillo è un calcio al perbenismo dell’italia maschilista, benpensante e sessuofobica. il regno incontrastato delle prostitute e dei transessuali, immersi in un’atmosfera romantica e decadente, degna della migliore opera felliniana. Stordisce il silenzio, interrotto solo dal miagolare dei gatti che popolano, a centinaia,


il quartiere. le edicole votive agli angoli delle strade popolate di madonne e di lustrini vegliano alla luce flebile dei ceri sempre accesi. Ci sono loro, le belle, sedute sui marciapiedi di questi vicoli odoranti d’amore e di piscio, sugli usci delle case in subaffitto, senza corrente e senza acqua, dalle mura crepate ricoperte di muffa e di sesso, fra gli specchi rotti, le lenzuola ben ordinate e sempre pulite, i preservativi ancora impacchettati sparsi sui letti e le immagini dei Santi appese alle pareti. Stanno li, davanti alle porte, con le braci accese per scaldarsi, ad attendere i clienti, col passare degli anni sempre meno numerosi, con i loro problemi e le loro storie tormentate alle spalle. l’affetto e i sorrisi, la loro disponibilità e dolcezza, la loro delicatezza anche, volendo esattamente essere ciò che sono, senza nascondersi dietro filtri o ipocrisie. È facile innamorarsi di rosaria, ornella, Brigitte e di Veronica, anche per chi è meno disposto. Basta immaginare che dietro quelle labbra pronunciate, sotto i vestiti succinti, il mascara e il cerone vivono esseri umani, che hanno amato, che hanno sofferto e vissuto intensamente ogni attimo di questa cosa che noi chiamiamo vita e che nulla ancora chiedono se non che si parli di loro, per non sentirsi dei diseredati, dimenticati e osteggiati da tutti per le loro scelte.








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Francesco Faraci, 30 anni, scrittore e fotografo siciliano, vive e lavora a Palermo, realtĂ che quotidianamente ritrae fuori dagli itinerari turistici per evidenziarne contrasti e contraddizioni.

Studioso di etnografia e antropologia documenta riti e tradizioni della sua terra e del Mediterraneo con un occhio particolare alle minoranze.


FOTOGRAFICO REPORTAGE

ITALIA/SUD MATERA

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NERA NOTTE A MATERA TESTO E FOTO DI

‘CANACCA’ ‘canacca’ fotografa per la prima volta. Usa il cellulare per raccontare le ore del buio nella sua città. apre uno spiraglio su un’invisibile ‘società segreta dei ragazzi’. e ci mostra i sassi oltre la loro bellezza: le ore della noia, gli appuntamenti a suicidio, la birra, le canne…siamo di fronte allo specchio nel quale non vogliamo rifletterci.


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È

andata così: sera di fine primavera a Matera, l’estate è a un passo. Giorno finale del corso ‘handle with care - indagine sulla società segreta dei ragazzi’. C’è una piccola mostra fotografica. Piccole immagini, formato quasi polaroid. Molto scure, molto buie. Attirano subito l’attenzione. Perché raccontano. Perché sono una storia. Perché mostrano qualcosa che noi non vediamo. È la Matera nascosta, invisibile. Ho conosciuto così ‘Canacca’ e i suoi 19 anni. Proviamo a parlarci. Ci vediamo un paio di volte. Al bar di Franco, in piazza Sedile. Da Loris, alla cicchetteria di piazza della Frutta. Ci vediamo di giorno, a mezzogiorno, ora insolita e sconosciuta per lui. Le sue foto ci hanno colpito. Volevamo pubblicarle in questo strano mondo di Erodoto. Per narrare del Sud, di un Sud che noi nemmeno immaginiamo. Queste foto non hanno trucchi. Ci piacerebbe far viaggiare la piccola mostra di ‘Canacca’. (as)

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‘Strano stare in piazza a mezzogiorno. Starei dormendo se non avevo appuntamento con te. mi fa bene uscire. ma io amo la notte. le ombre. il buio. la notte è il mondo. il giorno non lo conosco. mi ritiro tardi. a volte, non troppo, le una, le due e allora mi guardo un film in garage. mio padre, a volte, sclera. lui trasporta i giornali per la lucania. esce di casa alle quattro e se non sono a casa si incazza. ma spesso sono a casa di amici, in garage. a guardare film, mica nient’altro. non facciamo niente. ora c’è matera 2019, ma ci siamo anche noi qui. i ragazzi. C’è la notte a matera. abito nei quartieri. Su un confine, mai saputo bene in quale rione sono nato. Fra Spine Bianche e Serra Venerdì. qualche volta mi prendevano in giro per questo. mio padre viene dai Sassi, non se ne sarebbe andato da là, se avesse avuto casa. poi si è fatto un gran mazzo per comprarsi una casa sua. ho 19 anni. e un fratello maggiore: lui con i suoi amici trattava nel rione. adesso è un deserto. in pochi anni tutto è cambiato. non si tratta più a Spine Bianche, si va in centro nei Sassi. là si sta tranquilli, ci sono luoghi nascosti. io, come faceva mio fratello, non mi muoverei dal rione, ma rimarrei solo e allora veniamo fra i Sassi. andiamo al Suicidio. a volte, in cima, attorno alla cattedrale. oppure sotto le scale, alla volta. là stiamo. Birre e canne. Canne e birra. a rotazione. Ci annoiamo. li chiamano posti loschi. losk life. avvolte scendiamo in Via ridola, lì vedi


le due facce di matera, turisti di giorno,ragazzi la notte. Vado a scuola. ultimo anno del professionale. Servizi sociali. ma non mi ci vedo con vecchi e bambini. mi piace stare con i ragazzi. mi piacerebbe sapere le storie dei ragazzi di altri posti. Farò qualcos’altro, non farò l’educatore o l’assistente. qualunque cosa. per sfamarmi da solo. Voglio andar via di qua. Si inventassero gli altri cose da fare, io voglio andare in Germania. a Berlino. anche un lavapiatti là è pagato bene. là amano i motori. C’è il divertimento, le discoteche. qui siamo tutti mortini. non facciamo niente. le solite facce. un tempo c’era l’amicizia. ora ci si trova per trovarsi. perché non sappiamo cosa fare. per fortuna siamo andati via a ferragosto. almeno a ferragosto. nel bosco. abbiamo sempre voglia di fare qualcosa. lo scorso anno lavoravo al magazzino delle medicine. due settimane. almeno i soldi per andare al mare. quest’anno, niente. di giorno dormo, la sera esco. ero l’unico ad ascoltare le lezioni di fotografia di raffaele. Gli altri non erano interessati. a me piace la fotografia. raffaele mi diceva: ‘Scatta, scatta’. le foto le ho fatte con il cellulare. quasi tutte nella prima settimana del corso. poi non mi è andato più. quelle che dovevo fare, le ho fatte. non accade mai niente. avrei fotografato le stesse situazioni, non mi andava. questa estate ho portato in giro il vecchio pitbull di raffaele. Bel cane. Vecchio, ma bello. poi non è più voluto uscire. Si scavalca un cancello. per starsene in pace. per starsene fra noi. non facciamo niente. Stiamo lì. una volta quel cancello lo aprimmo come una scatoletta di tonno. mi piace la velocità, le macchine, i motori. mi piacciono le armi. mi piace la musica. i Superretards. il rap mica è solo criminale. È anche dolcissimo. a volte, i ragazzi fanno a gara a cantare su una base. Finiscono a insultarsi. non so suonare. mi piacerebbe fotografare le gare delle macchine. Conosco uno che ha un kalashnikov e un po’ di pistole a casa. roba da softair, ma fanno male se ti pigliano. mi piacciono i graffiti. qualcuno bello a matera, c’è, ma sono venuti da fuori a farli. hanno persino chiesto il permesso. mica hanno fatto niente d’illegale. qui c’è uno che si chiama toxer. non ho ancora capito chi sia, ma in tutta matera c’è qualche suo piccolo schizzo. in Germania, fanno graffiti bellissimi’. Mi paga la birra, Canacca. Una Peroni per lui, una Raffo, per me.

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la SoCietà SeGreta dei raGazzi ‘Canacca’ ha preso parte a una serie di corsi organizzati, fra il 2013 e il 2015, dallo iac, centro arti integrate, ‘handle with care - indagine sulla società segreta dei ragazzi’, tenuti da andrea Santantonio, nadia Casamassima e raffaele petralla con il sostegno dell’ufficio del servizio sociale per i minorenni di matera e la collaborazione dell’istituto professionale ‘isabella morra’. i corsi hanno coinvolto in due anni, quaranta ragazzi fra i 12 e i 18 anni. i corsi hanno cercato di ‘far emergere i desideri dei ragazzi…attraversando assieme il vuoto’. Scrivono andrea e nadia: ‘abbiamo cercato di conoscerci, costruire legami, dare forza al sentimento. non è stato facile, non è stato semplice ma è stato vero e abbiamo creato qualcosa’.

GloSSario per matera

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matera è la mia città. perché l’ho scelta. lo scorso anno ho gioito e saltato in piazza quando è stata nominata Capitale europea della Cultura per il 2019. È stato un giorno di felicità pura. È stato ed è un orgoglio. Cerco di vivere il più vicino possibile ai Sassi. Vengo da fuori, 44 per questo voglio vivere nei Sassi, non so nulla della vita dei rioni dai quali arriva, invece, ‘Canacca’. in questa estate, appena passata, ho visto l’urto del turismo sulla fragilità di matera. ho letto i reportage e gli articoli che ne raccontano la bellezza. Vi è sempre qualcosa di stonato e frettoloso nelle agiografie.

gente: per mesi e mesi, ho aperto gli occhi sulla meraviglia dei Sassi. ma so, lo vedo, che esiste un altro suo volto: io volevo conoscere la notte dei ragazzi, il non-detto, il non-scritto. Volevo sapere della ‘città segreta dei ragazzi’. intuivo che esisteva. È così che ho scoperto il buio, la noia, l’energia profonda e immota di chi oggi ha meno di venti anni. ho scoperto le birre e le droghe. lo stare lì, seduti su una pietra, cappellini, felpe, pinocchietti in estate, tutto un po’ punk (ma questa non è la parola esatta: anche loro non sanno definirsi. da altre parti userebbero la parola ‘hipster’ ), smartphone in mano, musica di bassi come colonna sonora. niente la bellezza di matera è avvol- che non immaginavo, ma è altro

conto vederla con i tuoi occhi. e, soprattutto, vederla con gli occhi di Francesco. Come molti altri, quando ho visto la mostra delle sue foto, scattate con un cellulare, durante un tirocinio con il fotografo materano raffaele petralla, ho avuto un balzo. erano nere, scure, notturne. Stampate in piccolo formato, appese a una spalliera di legno. ho scoperto in un momento l’altra matera. ho visto un racconto, un film, una storia. le foto di ‘Canacca’ hanno aperto uno spiraglio e mi hanno fatto entrare oltre la città delle cartoline. ho voluto saperne di più. ho cercato di non dimenticare la differenza fra me e ‘Canacca’: io, giornalista del nord, animale diurno, più vecchio di suo padre e lui un ra-


Suicidio è uno dei posti più belli di matera, affaccio struggente sul Sasso Barisano e sul campanile della chiesa di san pietro. là qualche anno fa, Giosuè, un ragazzo, si buttò nel vuoto. pisciatoio non ho capito bene dov’è. Ce ne devono essere almeno due. uno è dalle parti di Santa maria de armenis. raFFaele è raffaele petralla fotografo originario di matera che vive e lavora a roma. www.raffaelepetralla.com per sei mesi ha tenuto un corso di fotografia nella città dei Sassi. Francesco era il più attento dei suoi allievi. il Bar di FranCo è in piazza del Sedile. luogo storico della città, bar che resiste alla modernità in uno dei cuori antichi della città. Se volete saperne di musica (classica) e di calcio (del matera), questo bar è perfetto.

’60, per gli abitanti costretti a lasciare le antiche abitazioni dei Sassi. Via ridola. epicentro dello struscio materano. Via dei bar, dei pub, dei caffè. del miglior gelato della città. la strada cambia con le ore: turisti durante il giorno, famiglie fino a sera, poi a notte, fino alle tre, folla di giovani da cocktail in piedi. difficile fendere la calca nei mesi dell’estate.

matera 2019. È l’anno nella quale matera sarà Capitale eu- trattare. nella lingua di matera, vuol dire: vedersi, frequenropea della Cultura. tarsi, stare assieme Serra Venerdì e Spine BianChe. Sono due quartieri SuiCidio e piSCiatoio. Sono popolari dei cinque rioni ‘nuovi’ ‘luoghi’ (spiazzi, terrazzi, affacci) di matera. Costruiti dai migliori dei Sassi di matera. nascondigli urbanisti italiani fra gli anni ’50 e dei ragazzi.

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gazzo dei rioni e della notte. eppure, spero, sia scattata una sorta di complicità. lui vedeva, e continua a vedere, qualcosa che i miei occhi non possono nemmeno immaginare. adesso tocca a voi: mentre camminate per la bellezza di matera, sappiate che vi è anche un’altra città. non fate finta di niente, guardatela. ha molto da insegnare.

la CiCChetteria di loriS. È in quella che è conosciuta come piazza della Frutta. luogo del mercato (verdure, pesce, contadini) dei Sassi. luogo della notte. il cicchetto è un piccolo bicchiere di roba alcolica (qualsiasi): costa un euro. non farete in tempo a conoscerlo: diventerà una enoteca. la cicchetteria si sposterà di pochi metri in un nuovo locale. 45

‘canacca’, è il soprannome di un ragazzo di 19 anni di Matera. frequenta l’ultimo anno di una scuola professionale. e ha sempre amato la fotografia e la notte.


il tentativo

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da quando passo del tempo al Sud ho (ri)scoperto la poesia. qualcosa non ha funzionato nelle scuole che ho frequentato da ragazzo. perché leopardi (che colpa!), Carducci, ungaretti, quasimodo non sono un buon ricordo dei miei anni di adolescente? perché la poesia non ha fatto irruzione nella mia vita quando ogni senso era pronto a reagire? a volte penso che avrei fatto altre scelte se qualcuno mi

avesse fatto amare la poesia? penso ai ragazzini del nicaragua, il terzo paese più povero del latinoamerica, che sognano di diventare poeti da grandi e recitano i versi di ruben darìo, il cantore di quel paese. ho una risposta troppo banale alle mie domande. troppo, per scriverla. So che quando a Granada, in nicaragua, una notte ho ascoltato il poeta Franklin Caldera recitare ungaretti, ho capito di aver smarrito storie importanti. il Sud del mio paese mi ha aiutato a ritrovarle. al Sud ho ascoltato i poeti. Giuseppe


della poesia

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Semeraro, poeta di lecce, mi ha donato un libro e vi ha scritto una dedica: ‘la poesia serve a disordinare gli ordini’. il braccio che, qui sopra, vedete agitare un foglio colmo di versi è di aurelio donato Giordano, potente poeta lucano. e poi alfonso Guida, Franco arminio, Silvana Küthz, domenico Bracale…ascolto questi poeti, lasciano tracce, segnano

camini che riconducono ad amelia rosselli, a Giovanni raboni, a patrizia Valduga, a mariangela Gualtieri. a uno stuolo di poeti che diventa un quarto Stato in cammino. la poesia è un tentativo. proviamo anche noi a tessere un filo, andando a trovare i poeti, provando a raccontarli, a fotografarli, a dirvi delle loro storie. dal piccolo nicaragua all’italia, una volta tanto senza confini fra nord e Sud. da milano alla lucania. i poeti sono capaci di miracoli (as)


GLI OCCHI DI ERODOTO

LE SEI VITE DI ERNESTO CARDENAL CRONACA DI UN’INTERVISTA MAI AVVENUTA erodoto108 • 12

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Valeva la pena venire fin qui per farsi mandare a quel paese da un monaco, poeta e rivoluzionario di novanta anni? Sì, valeva la pena. attraversare un oceano, atterrare in una città invisibile come managua, svegliarsi e, nella prima mattina di nicaragua, stordito dalla diversità dell’ora, ritrovarsi, per caso e presagio, nel Cafè de los poetas. allora i piccoli miracoli sono possibili, mi sono detto: dietro il bancone, c’è un grande quadro azzurro, il tuo ritratto accennato con maestria. inconfondibile è la tua barba bianca, i capelli lunghi e candidi, la camicia di cotone con un solo bottone, il basco nero.


INCONTRO CON ERNESTO CARDENAL

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e fuori, appeso a due palme, uno striscione ricorda il compleanno di ernesto Cardenal festeggiato, con gloria, lo scorso gennaio. aggiungo io altre parole a quelle che lui usa per definirsi: il poeta, monaco e rivoluzionario, è anche scultore, ribelle, mistico, sacerdote, politico, profeta. e io sono venuto fino in nicaragua per incontrare la sua leggenda. per stringere la mano che ha scritto versi che lasciano a metà il respiro. e ben sapevo che l’incontro non sarebbe stato facile. anzi, impossibile.


‘non mi fare domande difficili’. e quali sono le domande facili? ‘quelle per le quali non devo pensare prima di rispondere’.

e

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rnesto è stato uno dei protagonisti della teologia della liberazione latinoamericana. È da anni candidato al premio nobel per la letteratura, le sue poesie più celebri (hora cero, orazione per marylin monroe, gli epigrammi…) sono amate da generazioni di ragazzi e ragazze. a Granada, la più antica città coloniale dell’america centrale, cammino per la strada assieme ad alfredo ulloa, poeta costaricense: ha sessanta anni, una bella barba bianca e indossa un cappello di paglia. una ragazzina si avvicina con timida spudoratezza e chiede: ‘usted es el poeta Cardenal?’. ridiamo di gusto, io e alfredo. e lui si scusa di non esserlo. le poesie d’amore di ernesto, le poesie di un monaco, sono state la serenata di migliaia e migliaia di corteggiamenti. la ragazzina se ne va, felice di aver solo sfiorato un poeta che appena gli assomiglia.

ernesto è un uomo ruvido, collerico, solitario, taciturno, a volte rabbioso. C’è una parola centroamericana che non è traducibile: jodido. ernesto è ‘jodido’.

insopportabile. Sfiorarlo è come toccare un’ortica. ma questo poeta ha lasciato dietro a se le tracce di una rivoluzione, di una liberazione, di una presa di coscienza straordinaria. ha aperto cuori e menti. ha lottato e sofferto. ha visto morire i suoi compagni di

battaglia, è sopravvissuto al suo maestro, il mistico thomas merton, ai suoi allievi, è stato cacciato dai governi rivoluzionari di cui aveva fatto parte, è stato umiliato in maniera teatrale e pubblica, sotto i flash dei fotografi, da papa Giovanni paolo ii (ed era il 1983) sulla pista dell’aeroporto di managua, è stato sospeso dal Vaticano, non ha smesso di pregare, di essere ‘innamorato’ di dio. oggi dice: ‘papa Francesco è un miracolo’. a novanta anni è amato e detestato, è intrattabile e dolcissimo, viaggia ancora per il mondo (e niente lo rende più nervoso dei viaggi, lui, viaggiatore instancabile, detesta prendere un aereo), ama la solitudine ed è sempre in mezzo alla gente, lotta ancora, con ostinazione. e scrive, per nostra fortuna, scrive. l’ultima sua battaglia è contro il Gran Canal, il canale che i cinesi, un’impresa privata di hong Kong, hanno già cominciato a costruire per tagliare il nicaragua in due e collegare l’atlantico al pacifico. ‘una mostruosità’, grida Cardenal. a Granada, al festival di poesia,


l’ho visto innalzare, davanti a una piazza commossa, la carta del ‘suo’ lago nicaragua, destinato a essere trafitto dal Canale. lo ha fatto di fronte a un immobile ministro del governo che ha autorizzato la sua costruzione. ernesto, quella sera, era orgoglioso della sua disobbedienza.

il vecchio attraversa il piccolo giardino

appoggiato al suo bastone, è un uomo curvo e dall’equilibrio incerto e ostinato. Si ribella alla vecchiaia, si arrabbia con stizza.

‘È molto scomodo avere questa età. non l’auguro a nessuno’, liquida chi vuole fargli ancora gli auguri. indossa la sua uniforme: oltre la camicia bianca a un solo bottone e il basco nero, ha sempre jeans e zoccoli (in gioventù aveva stivali ai piedi, poi sandali francescani). da mezzo secolo, ernesto, non cambia abbigliamento. lo immaginavo un uomo alto, imponente. invece è piccolo, basso, gli anni lo hanno come ripiegato su se stesso, un tempo era magro come un chiodo, ora tende a ingrassare. ha un naso da falco. penso che il tempo, nonostante quel che lui ne pensi, gli ha fatto un dono e ha sfatato una regola: ernesto è un mito che tocca i cuori, e allora non è necessario morire giovani come l’altro ernesto che lui ama, ernesto Che Guevara, per essere capaci di contagiare i ragazzi con le proprie parole.

So che è sveglio da ore. la sua disciplina è ferrea. monastica. alle tre del mattino è il tempo delle orazioni, della meditazione, del silenzio. Forse appunta un frammento di verso su un pezzetto di carta. mille foglietti che disperde. la colazione alle otto. poi arriva pedro, poche centinaia di metri fino all’ufficio. la sua poltrona bianca è la stessa sulla quale sedeva, quaranta anni fa, al ministero della cultura. deve essere appartenuta alla figlia del tiranno Somoza, l’ultimo erede della feroce dinastia che per quasi mezzo secolo ha posseduto il nicaragua. il ministero aveva occupato l’ultimo piano della sua casa. oggi, la scrivania di ernesto è sommersa dalle sue statue: cactus e garzette che ricordano i tempi della comunità utopica da lui fondata nell’isola mancarròn, la più grande del remoto arcipelago di Solentiname, all’estremo Sud del lago nicaragua.

Già, ernesto è stato un giovane ricco e inquieto, giramondo, sciupafemmine, figlio di una delle famiglie più importanti del paese. Studi eccellenti all’estero. Contemplativo, dilaniato fra vocazioni contrapposte, poeta. let-

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alle nove e trenta del mattino, lo vedo arrivare al suo ufficio. al Centro degli Scrittori di nicaragua, in una strada tranquilla di managua. Conosco il suo autista pedro e la sua assistente luzmarina. ernesto si fida solo di loro. So che questa è stata prima la sua casa e poi la galleria per le sue sculture. Sono belle: aironi, garzette, forme che si allungano, pietre rotonde. qualcuno mi ha detto: ‘la poesia di Cardenal è rotonda’. una piccola statua di una garzetta bianca vale oltre 400 dollari. È molto bella. Cardenal scultore. attorno, dispersi ovunque libri di ernesto Cardenal, su ernesto Cardenal, attorno a ernesto Cardenal.


tore accanito di ezra pound e dei poeti nordamericani, senza mai tradire rubén darìo, il cantore principe del nicaragua e del latinoamerica. a 33 anni, nel 1956, ernesto cambiò vita: si fece monaco trappista, divenne novizio del filosofo thomas merton, nel severo monastero di Gethsemani, nel Kentucky. a quaranta anni fu ordinato sacerdote e tornò al suo paese per fondare, incoraggiato dal maestro, la Comunidad di Solentiname. merton sapeva che quell’uomo non era fatto solo per il silenzio. lui avrebbe voluto seguirlo. lo mandò come in avanscoperta. Sperava, un giorno, di potersi ricongiungere con l’allievo. ernesto, dal 1966 al 1977, ha vissuto con i pescatori e i contadini di quelle isole lontane. ‘eravamo sconcertati – ricorda doña esperanza, 59 anni, una delle protagoniste della storia di Solentiname – era un prete che non voleva essere pagato per i battesimi e i matrimoni. non voleva essere chiamato padre. non contava i nostri rosari. Ci ammonì: i vostri figli non muoiono per volontà di dio, muoiono di diarrea, vittime della ingiustizia degli uomini. possono essere salvati. Ci soprese. Chiamò maestri per scuole che mai vi erano state nelle nostre isole. le sue messe erano una festa, ogni domenica discutevamo assieme, per ore, le pagine del Vangelo. poi mangiavano assieme, suonavamo, cantavamo. imparammo altri mestieri: diventammo artigiani, artisti, perfino poeti. ernesto ci entrò nel sangue’. Solentiname fu una delle cento scintille della rivoluzione sandinista, uomini e donne che, nel nome di augusto Sandino, il primo ribelle del latinoamerica del ‘900, si batterono contro anastasio Somoza. ‘la poesia di ernesto è stata la colonna sonora della rivolu-


zione’, dice Gioconda Belli, grande scrittrice nicaraguense. ‘le sue parole hanno incoraggiato chi combatteva, i guerriglieri le leggevano nelle foreste’, è certo Sergio ramirez, altro scrittore celebre di queste terre. nel 1977, la chiesa di Solentiname fu distrutta dai soldati di Somoza, i ‘figli’ di ernesto caddero uno dopo l’altro. muore elvis, muore donald, muore alejandro, alla fine muore anche laureano, il prediletto, il contadino analfabeta che gli aveva detto: ‘io non credo in dio, ma dio è in ogni uomo’. le famiglie di Solentimane erano riuscite a fuggire in Costarica prima delle rappresaglie del tiranno. infine, nel 1979, la rivoluzione trionfò. e la chiesa di nuestra Señora de Solentiname fu ricostruita. mi appare bellissima, colorata, splendente.

a cinquant’anni, ernesto Cardenal aveva già vissuto quattro vite. divenne ministro della cultura nel primo governo sandinista. S’inventò scuole popolari di

ora ho davanti a me quest’uomo, ho un appuntamento fissato da un mese. e lui si divincola come un leone in gabbia, ha un borbottio da lupo, mi scansa, tira fuori gli aculei come un istrice. mi evita con un gesto e mi dice dietro: ‘non ho tempo’. l’urgenza del tempo. ‘parlare mi toglie tempo. tempo nel quale devo scrivere’. e se davvero vincesse il nobel? una sciagura. lo sa anche lui: ‘quei soldi mi servirebbero per aiutare molta gente, ma penso con orrore alle interviste, alle scomodità, al tempo che perderei’. il tempo deve essere un incubo per lui. So che a 85 anni

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poesia, l’arte primitivista di Solentiname divenne celebre. Fu osteggiato dal mondo delle università, ma lui fu testardo: ‘tutti possono scrivere poesie, Soprattutto i più indifesi: bambini e anziani, carcerati e infermi’. diffuse la poesia fra militari e poliziotti. a sessanta anni, viene castigato dall’intransigenza del Vaticano di Karol Woijtila, gli viene proibito di salire su un altare. infine, oggi, a novanta anni, la battaglia ambientalista, la difesa della terra del nicaragua dalla minaccia del Gran Canal. una nuova trincea dove gli amici di un tempo, ora sono avversari potenti e implacabili. Sono le ferite e le cicatrici della vita, di una vita lunghissima. di sei vite. tutte unite dal filo rosso dei suoi versi della sua poesia.


ha fatto un corso di lettura veloce per leggere tutto quello che ha ancora da leggere. Fra i suoi esercizi di ogni giorno: leggere al volo le targhe delle automobili e ripetere numeri e lettere dieci minuti dopo. non ho attenuanti, ero stato avvertito: ‘odia le interviste’. ama il silenzio. eppure ernesto è un uomo pubblico, sale sui palcoscenici, dà conferenze, è attorniato da gente, viaggia. e detesta tutto questo. le sue contraddizioni sono irrisolte. ‘noi sappiamo come restituirgli allegria’, mi dirà doña maria, 65 anni, sorella di esperanza, all’isola di San Fernando. maria ed esperanza hanno vissuto gli anni della Comunità. Forse solo i contadini-pescatori di Solentimane, isole solitarie, sono capaci di regalare pace a ernesto. a mancarròn, mi assicurano, ernesto abbandona la sua severità. Giurano di vederlo sorridere e, qualche volta, molto tempo fa, lo hanno convinto a ballare. Felice. ernesto, naturalmente, mi risponde di odiare il ballo.

ernesto si accartoccia nella sua sedia, le sue statue sono un sipario insuperabile, ammiro la perfezione del collo delle garzette di pietra. mi incanta la sua arte. un uomo di parole che

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ha saputo lavorare la pietra, il legno, il metallo. So, però, che non era bravo né come pescatore, né come contadino. ‘Ci provava - mi raccontano a Solentiname – ma perdeva sempre i suoi raccolti di mais e fagioli’. la faccia di ernesto è aggrottata. Si nasconde dietro una valigetta nera. mi alzo, vado al suo fianco. Se potesse mi prenderebbe a calci. Vedo che tira fuori giornali e tre copie della rivista time. nella sua vita da monaco, ernesto diceva che era una fortuna non avere giornali: ‘Così potevamo avere una visione più chiara della totalità’. nel 1970 dichiarò che non avrebbe mai più letto time: ‘non volevo più farmi ingannare su Cuba’. Cuba, per lui, fu una ‘seconda conversione’. oggi, nel mosaico incomprensibile della politica latinoamericana, professa odio per daniel ortega, il presidente del nicaragua e suo antico compagno di battaglie, passione per Chavez e dubbi su Fidel Castro. questa mattina lo osservo mentre si immerge nella lettura dei giornali e sfoglia con avidità le pagine di time. e io rimango in piedi. Gli chiedo dei suoi anni perché non so che altro chiedere. ‘può darsi che io sia cambiato. non lo so’. nostalgie? ‘Sì, ho nostalgia della rivoluzione’. ernesto ha scritto tre volumi di una bellissima autobiografia: il primo è ‘la vita perduta’, l’ultimo è ‘la rivoluzione perduta’. perdi sempre, ernesto? ‘leggi luca – mi risponde quasi con furia –

Colui che perde la vita per me, la salverà. io ho guadagnato una vita. la rivoluzione, no, l’abbiamo persa sul serio. trent’anni fa. per colpa degli Stati uniti e nostra. e oggi viene tradita ogni giorno’. i poeti non sono stati capaci di governare un paese? ‘non c’entrano i poeti, la rivoluzione è stata fatta da un popolo. i poeti erano metafora’. non sono d’accordo, ernesto. nei primi governi sandinisti c’erano cinque poeti, tre preti, e tutti i ministri scrivevano poesie. persino il severo daniel ortega, che, quarant’anni dopo, è ancora al potere, scriveva poesie. la tua nemica di oggi, la moglie di ortega, rosario murillo, era un’eccellente poetessa. persino il rude tomàs Borge, eroe della rivoluzione, scrisse poesie splendide in cui spiegava che la vendetta più bella era il perdono. in nicaragua, hai la sensazione che la poesia sia nell’aria. no, hai torto, ernesto. ma non ho il coraggio di dirtelo.

È infastidito: ‘non mi fare domande difficili’. e quali sono le domande facili? ‘quelle per le quali non devo pensare prima di rispondere’. Scrivi ancora, ernesto? ‘a volte. quando ho qualcosa di nuovo da dire. non tutti i giorni’. non è vero,

lo so. hai sempre detto che i poeti devono essere umili, è così? ‘non so, non so. non arriviamo da nessuna parte a questa maniera. preferisco non parlare’. ernesto non è umile. È vanitoso, orgoglioso. penso alla regola del silenzio nel monastero trappista: gli vietarono anche di scrivere. ‘lo sapevo, non mi importava’, ricorda. penso alle parole infinite che ha poi scritto. penso alla sua poesia: ‘i poeti devono scrivere versi comprensibili, semplici, essenziali. Bisogna capire, non essere enigmatici, prendere ispirazione dalla realtà, dai cartelli stradali, dai supermercati, dalla pubblicità, dai trattori. la poesia deve contenere storia, economia, dati, geografia, politica, statistiche’. hai imparato bene le lezioni di uno dei tuoi maestri, il poeta nicaraguense Coronel urtecho: ‘i poeti devono mangiare del buon pesce e devono scrivere buone poesie. e avere buona fede. devono essere uomini di fede’. eppure io so che ernesto ha amato profondamento il più ostico e intricato degli scrittori latinoamericani, l’argentino Julio Cortàzar. penso all’ultimo, immenso libro di ernesto. le cinquecento pagine di Canto Cosmico, opera smisurata che vaga ai confini fra scienza e dio. e ne afferma la stessa sapienza, la stessa ricerca, lo stesso misticismo. uomo dalle mille contraddizioni, ernesto: sì, gli anni hanno affilato il suo carattere come una lama. Gli



strappo un sorriso con papa Francesco: ‘Sta cambiando la chiesa. questa è la chiesa che Giovanni XXiii aveva già provato a costruire. È una rivoluzione’. Come deve amare questa parola, ernesto. non azzardo a chiedergli di Giovanni paolo ii, non voglio una tempesta sopra di me. Sono contento che sorrida. non voglio perdermi il suo sorriso. mi dicono che quando va alla mascota, ospedale pediatrico di managua, a parlare di poesia con i bambini colpiti dalla leucemia, è il più tenero dei nonni. e i pescatori di Solentiname mi parlano di lui con inarrivabile dolcezza. dalla valigetta nera saltano fuori fogli battuti a macchina, foglietti colmi di parole scritte con calligrafia illeggibile, libri, opuscoli, pezzi di carta. ernesto cerca di dividerli per sfuggire alla mia presenza. quasi graffia il telefono che lo insegue. a tutti ripete: ‘non ho tempo’. Claudia, giovane segretaria, sa come calmarlo. lo protegge, impedisce che le telefonate lo raggiungano, firma lei gli autografi che in mille, ogni giorno, gli chiedono.

luzmarina mi dice: ‘no, non chiederà la revoca della sospensione a divinis. più volte mi ha spiegato che lui non è diventato prete per dire messa, ma per amore di dio, per la Sua contemplazione, per la bellezza di dio’. Guardo fuori, il cielo azzurro, disperso di nuvole del nicaragua. Sì, questo paese ha i più bei tramonti del mondo. la loro bellezza è inarrivabile. ernesto ha rinunciato a tutto per la bellezza di dio. era ossessionato dalla bellezza. le sue poesie hanno lo stupore della bellezza di Carmen, la donna che più ha amato nella sua vita. e lui aveva appena 18 anni. lei,

14. e, per lei, scrisse versi meravigliosi; tornò dal messico con una camarita fotografica solo per fotografarla. e il suo ricordo più sensuale è quando l’aiuta ad attraversare una strada di Granada e le sfiora un gomito. ernesto amava la bellezza delle donne. ma poi, di colpo, di fronte alle onde leggere del lago managua, capì che la bellezza assoluta era dio. Si vide con la veste da benedettino. Si consegnò a dio. ha rivisto Carmen settanta anni dopo. e luzmarina mi assicura che era emozionato come un bambino. alla fine, ti alzi. e dici: ‘me ne vado’. pedro si incammina verso la macchina. a ogni passo sembri cadere. ma stai in piedi. Claudia ti guarda con qualche apprensione. e io sono qui. Fermo sulla porta. Felice di essere qui. Felice dei tuoi modi bruschi e delle tue non-parole che sembrano una lima sopra un legno. hanno la stessa forza con le quali le donne, nei mercati del nicaragua, raspano il ghiaccio per poi met-


tervista nella tua isola, ho visto l’alba dalla veranda della tua casa, ho pregato nella tua chiesa dal pavimento di terra, ho conosciuto i figli dei tuoi ‘figli’, ho visto volare le garzette che tu hai fermato nella pietra, ho ascoltato il canto instancabile dei tuoi uccelli (e non so come riprodurlo con le parole, tu sapresti farlo), ho mangiato il riso, i platanos fritti, i fagioli e perfino il maiale di doña maria (e so che per questo mi invidierai). e mi sono bagnato nelle acque del lago nicaragua. questa è stata la più bella intervista della mia vita.

andrea seMpLici, 62 anni, giornalista e fotografo. cerca di coordinare il lavoro di redazione di erodoto108. a volte, solo a volte, ci riesce. Qualche mese ‘Il Messaggero di Sant’antonio’ lo ha mandato in Nicaragua a intervistare ernesto cardenal. e questo ha dato senso a un mestiere che non esiste più. è stato il ritorno in latinoamerica, in Nicaragua. Un nuovo inizio.

te ne vai e io, posso giurarlo, vedo che hai appena afferrato una parola che ti era sfuggita. e so che oggi finirà in un minuscolo foglietto. Che, forse, diventerà frammento di poesia. So che hai dato ordine che le tue carte siano bruciate dopo la tua morte, se la poesia dovesse rimanere non finita. e so che luzmarina, con le lacrime agli occhi, ubbidirà. non ho una foto assieme a te, non ti ho chiesto un autografo. eppure come me avevo un libro del 1969 che ho ritrovato negli scaffali della mia libreria: alcune tue poesie sono anonime perché, anche in italia, c’era chi, allora, voleva proteggerti dal tiranno. a te non ne fregherà un bel niente, ma ho scritto questa non-in-

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terci sopra uno sciroppo dolcissimo. la granita, qui, si chiama raspados. parole raspadas. parole per una bevanda di miele. Cosa hai detto una volta? Che ‘la solitudine è amara e dolce, come un coktail martini. Così deve essere’.


POESIA A MONZA TESTO DI ARTURO VALLE FOTO DI VITTORE BUZZI

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e parole disperse da ernesto Cardenal, poeta nicaraguense, candidato al premio nobel, hanno trasvolato l’oceano atlantico. meglio: hanno cominciato a viaggiare da un lato all’altro del mondo. Cardenal non ha mai avuto dubbi: ‘in ogni essere umano esiste un poeta potenziale’. quando era ministro della cultura del suo paese, organizzò straordinari talleres de poesia, laboratori di poesia nelle carceri, negli ospedali, nelle caserme. la poesia liberava emozioni. la poesia, semplicemente, liberava…

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Giuseppe masera, pediatra a monza e poeta, cominciò a seguire il filo teso da ernesto Cardenal ben trenta anni fa. lo afferrò. Gli andò incontro. offrì al vecchio poeta centroamericano la possibilità di una meraviglia: fare poesia con i bambini malati di tumore e leucemia all’ospedale la mascota di managua, la capitale del nicaragua. il vecchio, grande poeta e uomo scontroso, si raddolcì e i bambini intuirono la possibilità di una salvezza. in molti, padri e figli, cominciarono a scrivere poesie. e oggi la poesia appare nei protocolli terapeutici di quell’ospedale. perché non provare anche in italia? lontano dai tropici. nei reparti di ematologia. nei luoghi del dolore dei bambini. perché non tessere il filo della poesia fra gli anziani, fra gli uomini e le donne fragili, fra gli uomini e le donne offese dalla malattia e dalla solitudine? i poeti escono così Fuori Strada. abbandonano la severità della metrica, delle rime, delle assonanze. il verso è una conquista libera e può far battere il cuore di chi temeva che non ci fosse più niente dentro il suo petto. i poeti salgono fino all’undicesimo piano dell’ospedale San Gerardo di

POETI FUORI STRADA un filo di rosso vola sopra l’oceano. Versi liberi dal nicaragua all’italia, da managua a monza. la poesia fra i bambini ammalati di leucemie. e poi gli anziani: le parole danzano attorno a un tavolo in una Casa di riposo. l’emozione come terapia e sollievo. per credere nella vita. i poeti escono dalle regole e vanno in cerca degli uomini e delle donne. i poeti e chi ha ascolta hanno ‘cura’. monza. È il reparto di oncologia pediatrica. la poesia come un’attenzione, uno scambio fra una poetessa e un bambino. e poi, gli anziani: i poeti varcano la porta della Casa di Cura San pietro, sempre a monza. e provano a cercare emozioni perdute. Vittore Buzzi, fotografo milanese, cerca di catturare questa improvvisa libertà. ‘ho visto uomini e donne feriti sorridere come bambini – spiega Vittore – la poesia è un grimaldello dell’anima. tira fuori risorse insospettate. Si parlava della pioggia o dei giochi dei bambini e, lentamente, riaffiorava la vita di questi uomini e di que-


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in questa foto intorno ad antonetta Carrabs i partecipanti e i facilitatori del laboratorio di poesia tenuto presso la casa di cura San pietro a monza. nelle immagini seguenti dei momenti dei laboratorio in cui affiorano ricordi ed emozioni.

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ste donne’. È come se ogni timore oscillasse di fronte al gioco delle parole. la poesia come via di uscita. Come istante che regala una felicità inattesa. Seduti attorno al tavolo, con un poeta, una poetessa a ‘facilitare’. Scrive milton Fernandez, poeta, attore ed editore uruguayano, da anni a milano: ‘dobbiamo spogliarci di tutto, persino della nostra condizione di poeti. non andiamo a insegnare nulla, ma vogliano solo far capire che la poesia è un bene comune, come l’aria che respiriamo. e perfino un diritto, come quello di poter guardare in avanti

con occhi nuovi’. antonetta Carrabs, insegnante e poetessa, donna irpina che oggi vive a monza, ha un entusiasmo che contagia. i bambini le avevano messo addosso una straordinaria voglia di vivere. Gli anziani le hanno regalato allegria (sono i poeti, i fotografi, i medici a ricevere doni da chi affronta il dolore). ‘nei primi giorni dei nostri incontri erano titubanti, forse diffidenti – racconta – poi hanno scoperto una grande libertà, hanno ritrovato un’affettività imprevista’. la poesia ha scavato nell’anima. Gli anziani non scrivono, raccontano. poi assieme il poeta e chi


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ascoltano provano a giocare con una parola. È così che la pioggia diventa un verso. la pioggia diventa l’odore forte della terra bagnata. la pioggia diventa una canzone che tutti si ritrovano a cantare. e poi appare il mare, il cielo. antonetta mostra foto, legge alcuni versi di montale e di luzi. e il gioco si fa bellissimo. un anziano racconta di un amore lontano. non trova le parole per dire di come si sono baciati e amati in un bosco. alla fine, per un miracolo, afferra un’immagine: ‘abbiamo calpestato l’erba’. ho i brividi addosso, io, che solo ascolto questo microracconto da antonetta. ecco, la poesia è questo brivido.


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Vi è leggerezza, cuore, gioia nella poesia che esce fuori strada. Che sperimenta nuovi cammini, che si confonde con i bambini e con gli anziani. la poesia offre un’altra possibilità a chi pensa di non averne. e, persino, anche a chi certamente non ne avrà. alessandra, pochi anni di vita e la condanna della malattia, era rannicchiata nel suo silenzio. nessun riusciva a scalfire la sua disperata solitudine. ‘Certo, è accaduto per caso. io le mostravo delle foto e a un certo punto vi era la foto di un cane. di un cane pastore’, ricorda antonetta. alessandra mi guardò e ruppe il suo mutismo. disse. ‘anche io un cane, si chiama alex’. e allora antonetta le chiese di scrivere al suo cane. da allora, e per il tempo che le rimase, la bambina scrisse ogni giorno. alla Casa di riposo San pietro di monza, l’appuntamento settimanale con i poeti è sacro.

VITTORE BUZZI, 46 anni, milanese, preferisce questa microbiografia: ‘comincia a fotografare nel 1992. Non ha ancora smesso’.aggiungiamo: ‘ha studiato fotografia con roberta Valtorta, ha vinto prestigiosi premi internazionali di fotografia. fra cui, nel 2013, un World Press Photo’. Se volete conoscere i suoi lavori: www.facebook.com/pages/Vittor e-Buzzifotografo/146792108433" organizza workshop ( www.corsifotografia.it) ed è considerato fra i migliori fotografi di matrimonio al mondo www.fotografomatrimoni.biz

artUro VaLLe, 35 anni, avvocato pugliese. è nato a Gallipoli, ma vive e lavora a Biella. e non può immaginare due luoghi così diversi. divide il suo tempo fra la clownerie e la contabilità. e sogna una casa sulle colline di oaxaca, in Messico.


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ANNALISA TEODORANI

Cumè la léuna ta n pu dmandè d’andè dalòngh da te. e una cumè la léuna tal nòti ad me u s vòid una fitina stóila. (Come luna. non puoi chiedere/ di andare lontano da te stesso./ una come la luna/ nelle notti di me si vede/ una fetta sottile.)

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“FURMIGHINI” CHE REGGONO IL MONDO E FETTINE SOTTILI DI LUNA testo di Silvia la Ferrara Foto di Salvatore di Vilio

ono andata a trovare mario Vespignani e gli ho detto che avevo conosciuto la teodorani; ha ridacchiato e ha risposto “al furmighini…”. mario ha più di novant’anni, ha scritto che “quânt un e’ sént l’arciâm dla puèsì/e la necesitè ad butê’ zô/che sentiment ch’e’ prôva in che momént,/u n’gn’è munéda ch’ pôssa cumpénsél” (quando uno sente il richiamo della poesia / e la necessità di buttare giù / quel sentimento che prova in quel momento / non c’è moneta che possa ricompensarlo), ed è stato a lungo l’anima dei trebbi organizzati da “la piê”, la rivista fondata nel 1920 da Beltramelli, Balilla pratella e Spallicci che lui ovviamente ha conosciuto. anche uno così a novant’anni suonati può essere un po’ bollito, però poi non trovando le formiche nei libretti della teodorani gliel’ho chiesto proprio a lei, espressamente, e mario aveva ra-

gione. nella prima raccolta, Par senza gnént (per nulla), luisè, 1999, annalisa scrive della furmighìna che rientra di corsa in casa come se avesse “i gim s’e’ fugh” (i tegami sul fuoco) e pare “meinc d’una macìna/sòura la pèla dla tèra (meno di una macchiolina sulla pelle della terra) ma con una briciola di pane più grande di lei “e’ pèr ch’la ténga sò e’ mònd” (pare sorreggere il mondo). ecco perché mario aveva riso e poi aveva fatto una tirata contro le donne di oggi, formichine molli e senza nerbo, mentre invece le arzdòre, le reggitrici, tenevano su la casa, la romagna intera e tutto l’universo. la furmighìna della teodorani icona della debosciata nouvelle vague femminile romagnola… Sogno che questi due poeti possano incontrarsi e magari anche riconoscersi in quella lingua fatta di cose che è il romagnolo e che


le foto ritraggono annalisa teodorani insieme a ivan Fantini, 43 anni, nato a morciano di romagna. epifania dell’essenza romagnola, ivan è cuoco e pensatore severo degli ingredienti, critico geopolitico della cucina, contadino. prima di dedicarsi a Boscosto’orto, dove lavora come raccoglitore e preparatore di

confetture, ha impastato la sua arte in atti performativi, installazioni e manipolazioni gastronomiche, spettacoli, relazioni e interventi pubblici, gestione di spazi. nel 2014 ha pubblicato Anonimo fra gli anonimi, edizioni Barricate.

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annaLisa teodorani, 37 anni, è nata a rimini e vive a Santarcangelo di romagna. esordisce nel 1999 con la raccolta di versi in dialetto romagnolo Par sénza gnént (Per nulla), rimini, Luisè, cui fanno seguito La chèrta da zugh (la carta da gioco), 2004 e Sòta la guàza (Sotto la rugiada), 2010 entrambe per i tipi di Ponte Vecchio di cesena. Nel 2014 esce La stasòun dagli amòuri biénchi (la stagione delle more bianche), carta canta editore.

permette ad annalisa di scriverla bene la vita, qualcosa “che piò ta i mèt al mèni dròinta/e piò che ta gni tróv un vérs” (che più ci metti dentro le mani e più non le trovi un verso, un senso). Vita come un impasto, stanza da riordinare, una vita non da guardare ma da metterci le mani. da lasciare stare “a lè / do ch’ a m’avói vést /cumè cla zèsta /s’i ghéffal ad lèna / s’i férr instécch” (lì/ dove mi avete vista/ come quella cesta/ coi gomitoli di lana/ coi ferri infilzati) o da ritrovare dove non ti aspetti, quando “dal vólti ta t sint sparguiéd / e t fiuréss t’un fòs” (A volte di senti sparso/ e fiorisci in un fosso). e che si comprende nella sua vicinanza a quella degli animali, delle formichine appunto, o delle tartarughe, che “a l chèmpa una màsa perché li n zcòr” (campano molto perché non parlano) e delle vongole “puràze” o “pavaraze”, le “poveracce” tipiche dell’adriatico che ormai non si trovano più sostituite dalle coltivabili filippine: “ta m dé la sudisfaziòun /d’una puràza svóita” (Mi dai la soddisfazione/ di una vongola vuota). i caratteri e i sentimenti sono vegetali, terragni: le zie “a gli à la scórza di arzipréss / e quant al pienz /resna e mél” (hanno la scorza dei cipressi/ e quando piangono/ resina e miele) e l’amore “Fa còunt e’ Vajònt / una muntàgna ch’la va zò tl’àqua” (Immagina il Vajont/ una montagna che frana nell’acqua). ha il gusto dei crolli, la teodorani, drammatici e domestici insieme: “Sta vóita che par precipóizi / l’à la spònda d’un lèt /o la róiva d’un pensìr” (Questa vita che per precipizio/ ha la


siLVia La Ferrara, 48 anni, irpina, romagnola e da più di vent’anni emiliana. Insegna, viaggia e quando può canta il gregoriano. saLVatore di ViLio, fotografo, 58 anni, è nato e vive a Succivo, in terra di caserta. ha studiato architettura. Interrompe la sua università per dedicarsi solo alla fotografia. dal 1980 è presente nei settori della ricerca fotografica. www.salvatoredivilio.it

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sponda di un letto/ o la riva di un pensiero). dell’ultima raccolta, la stasòun dagli amòuri biénchi, le more bianche “ch’al chésca da par lòu / da la disperaziòun” (che cadono da sole / per la disperazione), mi piace più di tutte Cumè la léuna, per il filo leopardiano che la regge forse, o forse soprattutto per la “fitina stòila”, la fettina sottile che per me è sempre stata quella del prosciutto, mai avevo pensato alla luna o all’apparenza fragile e appartata di qualcuno.


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un’attrice del Sud racconta alfonso Guida il poeta vive in una casetta, l’eremo, di San mauro Forte. attorno il paesaggio abbacinante della lucania. quadernoni fitti di parole. poesie spedite agli amici via sms. Versi complessi, che affaticano e poi le parole che ‘rimettono a posto’

ALFONSO GUIDA

Testo di Nadia Casamassima Foto/frame da un video di Andrea Foschi e Tommaso Orbi


SULL’ORLO DI UN BURRONE

(Mi distraggo: mi viene in mente che nel tempo dimenticheremo alcune facce, situa-

zioni, dimenticheremo noi stessi in quel momento, quello che provavamo, come stavamo, in quale felicità o tristezza o se eravamo innamorati oppure no. Dimenticheremo moltissime cose. Forse qualcuno ci aiuterà a ricordare, forse ci sarà una foto o delle parole. Nella maggior parte dei casi non ci sarà niente)

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on ricordo quando, per la prima volta, ho conosciuto alfonso Guida. Credo che fu in una birreria. né io né lui ricordiamo granché, per fortuna c’è un amico che ricorda l’impermeabile nero di pelle di alfonso, i capelli lunghi, le poesie.


anni fa, una mia amica poetessa, anni fa, mi aveva chiesto se conoscessi un certo alfonso Guida, un bravissimo poeta, giovane e vivente. e io non lo conoscevo, non lo avevo mai letto. anche adesso, pur avendo tutti i libri di alfonso non li ho mai letti per intero. la sua poesia è complessa, molto alta, affatica e poi arrivano le parole che rimettono a posto. È una poesia che ti accompagna sull’orlo di un burrone, che mette le vertigini. ma io non sono un’esperta di poesia e non saprei dire altro. più che leggere la poesia di alfonso, mi piace ascoltarla.

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quando parlo con alfonso, ho la sensazione di arrivare velocemente all’essenza delle cose. lui parla quasi in versi, si avvicina con il viso grande guardandoti da sopra agli occhiali. Con il suo accento paesano e non solo. a volte, quando dice qualcosa di segreto o di imbarazzante abbassa la voce. Sorride spesso, sorridiamo molto insieme. ridiamo anche. non so quanti anni abbia, forse 41, ma a me sembra un ragazzino, un adolescente, con tutto il bello e il brutto degli adolescenti. alfonso è nato a San mauro Forte, un paesino della Basilicata, dove si ammazza il maiale e dove il bar è il luogo di ritrovo. nel periodo dell’università si è trasferito a roma, studiava tantissimo, mi racconta, ha studiato tutti i poeti, a fondo.



Sono andata a trovare alfonso nell’eremo, come lo chiama lui, una piccola casetta con una porticina per entrare, tanti libri di poesia, il vino rosso, sospesa su un paesaggio aperto, sconfinato, abbacinante come tanti in Basilicata.

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È qui che alfonso passa molto tempo scrivendo. quadernoni a quadretti fittissimi di parole, che si consumano in breve tempo. Scrive tantissimo alfonso, e se sei fortunato può capitare che parlandoci al telefono, ti legga la sua ultima poesia. nell’eremo i discorsi si fanno fitti, i racconti della vita, la madre, la famiglia, l’ospedale psichiatrico, gli amori, il lupo e il passare rasente ai muri. alfonso non ama la semplicità. non ama la facilità. non ama i poeti semplici, facili. la

superficialità non serve. Bisogna andare a fondo. la sofferenza serve invece. È’ necessario vivere profondamente. È necessaria la caduta. e che ci sia la ferita e il sangue e che qualcuno curi, accompagni, metta a dormire. È necessaria la solitudine. ed è necessaria la poesia. alfonso era un maestro, ma dice che non può dare niente ai bambini. Campare con la poesia non è facile. purtroppo in italia. adesso è da qualche parte, con un amore o forse no e sicuramente sta scrivendo.


ALFONSO GUIDA nasce a San Mauro Forte, paese della Lucania, nel 1973. Ama Dario Bellezza, Amelia Rosselli e Paul Celan. Maestro elementare. Nel 1988 vince il premio speciale Opera Prima-Dario Bellezza con la raccolta Il sogno, la follia, l’altra morte. Scrive su grandi quaderni. Per Poiesis ha pubblicato la raccolta Il dono dell’occhio e lo splendido Irpinia. Con Nino Aragno, ha pubblicato A ogni passo del sempre.

le foto di questo articolo sono, in realtà, dei frame. dei fotogrammi. tratti da ‘appunti per un viaggio in lucania’, progetto di film documentario di andrea foschi e tommaso orbi

toMMaso orbi, 35 anni, vive e lavora a Montevarchi, in provincia di arezzo. laurea in Storia e critica del cinema al dams di firenze. regista e montatore di film documentari, tra i quali ricordiamo “I racconti della drina” al quale ha collaborato come montatore e co-sceneggiatore e “Noi non siamo come James Bond” al quale ha collaborato come montatore. è fra i fondatori di Macma,

associazione con sede in Valdarno che si occupa a livello locale e nazionale di produzioni, eventi, rassegne e progetti di formazione. è ideatore e direttore artistico del festival di cinema documentario ‘Sguardi sul reale’.

andrea Foschi ci ha lasciato a 35 anni nel dicembre dello scorso anno. era nato a Venezia, abitava fra roma e il Valdarno. fotografo freelance, regista e direttore della fotografia di film documentari. laurea in teoria della letteratura a Valencia. ha vissuto in Spagna e in Bosnia. Socio e stretto collaboratore di MacMa e tra i fondatori di Nova Skola, associazione attiva a roma e a livello nazionale nel campo della produzione e formazione in cinema documentario. tra le varie produzioni documentaristiche ricordiamo “I racconti della drina” di cui ha curato la regia e la fotografia e “Noi non siamo come James Bond” di Mario Balsamo, a cui ha lavorato come direttore della fotografia.

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nadia casaMassiMa, 35 anni, quasi. Vive a Matera ed è attrice e performer teatrale. Si occupa di produzione e promozione culturale presso Iac • centro arti Integrate. fb: Nadia casamassima; fb: Iac - centro arti Integrate


del destino di Percy Bysshe Shelley. Aveva cantato al vento e sognato la leggerezza, è morto naufrago a trent’anni, sorpreso da una bufera nel golfo di La Spezia mentre navigava sulla sua barca. Si chiamava Ariel quel legno, come il demone buono della Tempesta di Shakespeare. Il corpo di Shelley fu ritrovato ercy Shelley, poeta ro- una donna scrive al poeta sulla spiaggia di Viareggio mantico, sosteneva che romantico e lascia il suo da Gordon Byron, poeta e lord, e riconosciuto per un bisogna essere innamessaggio sulla sua libro di sonetti nella tasca, morati della morte per estomba. Shelley morì con un libro di Keats. Un cersere sepolti in un luogo un libro di Keats in tasca e chio di morte chiude in sé dolce come il Cimitero acattolico di Roma. Nel ora i due ragazzi si fanno una generazione. Sulla sua lapide, dopo alcuni versi quartiere Piramide, via Caio compagnia. qualcuno, tratti dalla Tempesta, è inCestio, dietro al monuda sottoterra, chiede: ciso “Cor cordium”, il mento funerario alto qua‘novità’? e poi Gadda, cuore di tutti i cuori, l’ulranta metri risalente ai timo sigillo di un uomo che tempi dell’Impero, un can- Gramsci, Joyce lussu, con l’umanità ha condiviso cello arrampicato da un gli- Gregory Corso, dario cine apre l’ingresso a un Bellezza, amelia rosselli. il suo strazio e la risalita al contro-spazio tra la terra e il il viaggio di una scrittrice cielo. cielo. Sul frontone, una pa- nell’ultima casa dei poeti. Mi getto nel fitto dei corpi rola invita a entrare: Resurtra limoni, fragole e peperecturis, a coloro che stanno Testo e foto di roncini, e mentre cerco tutti per risorgere. Un participio Francesca Cappelli gli altri mi lascio distrarre futuro che abbraccia tutta la dalle tombe che parlano al temporalità. Con una cara visitatore. Una chiede, con amica, poetessa, nel giorno nell’acqua, la paura del un’unica incisione: “Nodel mio compleanno, com- tempo che trascorre, l’ospio un pellegrinaggio laico sessione inquieta di non la- vità?”. Tra arbusti e fiori sciare memoria. trovo August, il figlio di tra le trame segrete che Goethe, e l’ingegnere stringono cinque vite. Qui si ha l’impressione di sfio- Sono tanti quelli che si fer- Gadda, Gramsci e Joyce mano davanti al giovane Lusso, moglie di Emilio rare il mistero. poeta morto di tubercolosi Lussu e grande traduttrice Superato l’arco in pietra, vi nel febbraio del 1821 a soli del poeta turco Nazim Hikmet. Gregory Corso, tra i è la parte più antica del se- ventisei anni. Lo ha fatto polcreto: un morbido prato Oscar Wilde, quando si è la- più importanti poeti consciato ispirare per ore i suoi temporanei d’America, fuall’inglese seminato di larioso dall’immaginazione stre e croci bianche, incor- sonetti. Lo fa oggi una ragazza che, seduta su una stupefatta di classicismo e rotte, ordinate. Sulla sua panchina, gli scrive una let- surrealismo e forse il più lapide John Keats non ha tera commossa che lascia sregolato tra gli sgretolati voluto che si scrivesse esplicitamente il suo nome. sull’erba. Passo, e ringrazio della Beat Generation, ha la persona che mi ha fatto chiesto a Fernanda Pivano, L’epitaffio recita: This grave contains all that was conoscere quelle poesie. Fa prima di morire, di essere Mortal of a Young English sentire più vivi pensare, qui, sepolto vicino al suo Shelley, che gli aveva dato Poet. Here lies One Whose ai vivi. nuova vita nella parola duName was write in Water. Un nome che si è cancellato L’acqua è anche l’elemento rante un periodo di deten-

STORIE

DI CIMITERI

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il Cimitero aCattoliCo di roma

una lettera per KeatS


1996 a cui Bellezza ha dedicato molti versi. Sono stati coinquilini in vita, si trovano ora vicini nella morte. Poco più in là Amelia trova pace. Con una tomba essenziale, vagamente trascurata, ma protetta da un piccolo melograno. Una poetessa lascia un fiore a una poetessa, cita dei versi: I fiori vengono in dono e poi si dilatano / una sorveglianza acuta li silenzia / non stancarsi mai dei doni. Rimaniamo da Amelia, con altri versi mi faccio raccontare la sua storia di perdita del senso di sé: Il nemico le strappa le vesti / la felicità è un micro-organismo nell’interno / dell’infelicità / nel cimitero / non sa smettere di essere felice.

sono incisi i primi versi di una sua poesia: “Addio cuori, addio amori / foste i Ritrovo la mia compagna in benvenuti, gli adorati / una nicchia scavata tra le ascoltati meno”. Nel ’68, Mura Aureliane, con vista Bellezza e Franco Cordelli, sull'intero sepolcreto. Ci sopra una lavagna della Safermiamo a leggere, osser- pienza, università romana in vando i gatti del cimitero rivolta, mentre tutti si alzache chissà cosa sentono vano per scrivere Viva mentre pestano questa terra. Lenin, scrivevano Viva Impariamo da loro a muoProust. È stato l’inizio di verci flessuose, ad accarez- un’amicizia, mentre non so zare con i piedi. Sulla come sia nata quella con tomba di Dario Bellezza si Amelia Rosselli, poetessa torna a parlare di cuori. Vi romana morta suicida nel

Francesca cappeLLi 24 anni studentessa in lettere Moderne, crede che un giorno farà la giornalista, che sarà una viaggiatrice e crede nelle coincidenze.

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zione nel carcere minorile di New York.

Suona della musica classica che con false carezze ci indica l’uscita. Sono appena le cinque del pomeriggio, la direttrice del cimitero ci scorta severa. Apre il cancello, lo richiude. Riserviamo a lei tutta la nostra stizza. Ci sentiamo smarrite, il tempo aveva smesso di scorrere, mentre ora ci sfreccia accanto e ha il suono di motori. Penso a Foucault e alle sue eterotopie, le utopie localizzate, quelle che credi di poter vivere, ma non è che un momento. Rimarrai sempre fuori. O almeno finché sarai vivo.


SILVANA KÜHTZ POESIA A BARI

‘I poeti non stiano con le mani in mano’

Testo di Teresa Manuzzi

PAROLE A OCCHI CHIUSI


Silvana Kühtz, poetessa barese, dice e racconta poesie nei luoghi della vita di ogni giorno. i versi invadono la città assieme alla musica. È un dessert poetico. e poi si gioca a Clessidra: rincorrere una parola una volta al mese, mentre il tempo scorre… mente libera dalla dittatura della vista. ero nella città vecchia di Bari, un musicista jazz muoveva sapientemente le dita sulla tastiera di un pianoforte nero a coda. È lì che la voce calda e avvolgente di Silvana Kühtz mi ha colpita e affondata. mentre vivevo le emozioni che lo spettacolo mi regalava ho dovuto chiedere in prestito a massimo troisi le parole giuste per descrivere quello che sentivo: ‘mi so' sentito come una barca sbattuta in mezzo a tutte queste parole’. tutto questo è normale amministrazione per chi conosce e frequenta il progetto di diffusione della lettura poesia in azione, guidato da Silvana Kühtz, poetessa, scrittrice e docente all’università della Basilicata, che con tanti altri artisti, lettori, musici e volontari semina e sparge in tutta italia, ormai da dieci anni, versi e parole in strade, garage, cantine, case di riposo, B&B, balconi… il gruppo, per dirla in due parole, ha deciso di

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vete mai visto parole, come aeroplani di carta, prendere il volo staccarsi dalla lingua e dai denti di chi è al microfono, sul palco, per librarsi nell’aria e atterrare nelle orecchie, nel cuore e nella mente del pubblico presente? avete visto poeti “invadere la città/ con quel magma inafferrabile che/ è regalare soffio luce sogno furore animale/ che si insinua in ogni dove”? avete visto quartieri periferici, palazzi abbandonati, scuole di danza, porti, castelli, pieni di gente che legge poesie, balla, suona? avete mai preso parte a un concerto sensoriale? avete mai assaggiato un dessert poetico? avete mai assistito a uno spettacolo a occhi chiusi? io sì, e ho conosciuto Poesia in azione proprio grazie ad uno spettacolo che ho seguito a occhi chiusi. era ottobre e sugli occhi avevo un foulard giallo legato stretto dietro la nuca, respiravo lentamente, final-


Poesia in azione ci può far scoprire un allucciolìo di stelle dentro l’ali dell’azzurra libellula dentro un punto lontano sulla costa dentro la bella e la brutta stagione, dentro la cioccolata con la panna e il vento battente, in tutte le piccole cose nei sogni dei viaggiatori, nei nostri respiri.

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mettere in atto la lezione di John Keating, il professore del film L’attimo fuggente: ‘qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo’. le parole, per Silvana Kühtz e i suoi, sono materia plastica, malleabile, duttile, modellabile, sono strumento di condivisione e di confronto, di suggestione e di liberazione. per questo Silvana ha ‘dichiarato guerra’ ai libri di poesia quando sono solo esercizio di ego e lavora per ridare vitalità alla parola poetica con spettacoli, performance, letture condivise, giochi sensoriali e corsi di lettura espressiva, usando i libri come uno spartito. per Poesia in azione la parola poetica ha senso soprattutto se viene raccolta e custodita nella vita degli ascoltatori, per questo la ‘semina’ poetica avviene chiedendo agli ascoltatori anche di chiudere gli occhi, e sempre comunque di amplificare i sensi con piccoli assaggi, camminate, esplorazioni. a occhi chiusi è più facile assaporare la musicalità, il significato autentico, delle parole e gustare sino in fondo il midollo della poesia. la richiesta di chiudere gli occhi diventa quindi necessaria per poter far approdare l’ascoltatore ad un sentire diverso. abbandonare per qualche minuto la vista non sottrae nulla ma aiuta ad acquisire una nuova percezione del quotidiano. Così l’ascoltatore è sempre il protagonista delle azioni poetiche e la poesia non è più quella ma-

tassa incomprensibile che spesso ci viene propinata sui banchi di scuola, ma profuma di pane caldo, di prodotti per pulire i vetri, di gelsomino, di patate al forno, di piccoli dolori e abbandoni. la poesia delle piccole cose vive in maniera attiva, è sempre presente nella nostra vita e Poesia in azione ci aiuta riconoscerla. tra le tante attività del progetto la più longeva, insieme ai concerti sensoriali, è il gioco democratico di letture condivise: Clessidra. da più di cinque anni a Bari, una volta al mese, un gruppo di persone si da appuntamento in un luogo sempre diverso della città. potrete quindi vedere gli ospizi, le piazze, i porti, le sale comunali improvvi-


accompagnano le letture non sono mai gli stessi. Se volete ospitare un concerto sensoriale fatevi avanti! Poesia in Azione è anche una collana di poesia, corso di lettura espressiva, programma radiofonico. insomma, Poesia in Azione è una squadra che ‘ha intenzione’ perché, come diceva luigi pintor, ‘le intenzioni sono magari un polline che non fiorisce, ma profuma l’aria’.

SILVANA KÜHTZ preferisce non dire i suoi anni. Ha fra i 20 e i 90 anni. È barese. Insegna ‘Linguaggi, futuro e possibilità’ all’Università della Basilicata. Nella sua vita c’è sempre stata la poesia. A sei anni registrava la sua voce su un registratore nero a tracolla. Per Silvana la poesia è musica per tutti. Tutti possono cantarla e donarla. Per questo ha creato il progetto di diffusione della lettura Poesia in Azione.

teresa ManUzzi, 29 anni, pugliese di Modugno, in provincia di Bari. è tornata al Sud dopo tre anni passati a roma per studio e lavoro. Giornalista pubblicista, incuriosita dalle narrazioni che mi restituiscono la complessità di un evento apparentemente chiaro.

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samente popolarsi di gente con libri, fogli, appunti, fotografie, video. quando tutti sono arrivati ci si siede in cerchio e si comincia, uno alla volta, a leggere o a mostrare ai presenti la foto, il video, l’oggetto che si è scelto a seconda del tema. il tutto senza applausi e cercando di rispettare il tempo a propria disposizione che è scandito proprio dallo scorrere della sabbia di una clessidra. il gioco si è diffuso in altre città italiane e in alcune scuole. Se siete golosi non potete rinunciare al dessert poetico da assaporare al termine dello spettacolo di presentazione della raccolta di poesie di Silvana Kühtz dal titolo 30 giorni una terra e una casa, edita da Campanotto e vincitrice del premio di poesia alfonso Gatto 2014. il tour ha già toccato tante città italiane e si avvale della formula Letto per letto, che prevede uno spettacolo di letture e musica in cambio di vitto, alloggio e spese di viaggio. ogni appuntamento è un’esperienza diversa perché i musicisti che


ALBERTO CASIRAGHY

in poCo più di trent’anni ha puBBliCato oltre noVemila liBrini

IL BUON PANETTIERE un vecchia macchina da stampa tipografica. Che stampa con i caratteri a piombo. un libro al giorno. quattro pagine per una poesia. uno stampatore poeta e la più straordinaria casa editrice d’italia. e sta in Brianza. testo di Stefano Busolin Foto di Grazia de Cesaris

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alberto Casiraghy, con la y finale per distinguersi tra i tanti della zona, vive a osnago, frazione di lecco. nel cuore della Brianza. appena attraversi la soglia di casa un uccellino automatico ti saluta. dopodichè ti immergi in una qualche tonnellata di libri di varia cultura, centinaia di quadri, disegni, incisioni delle più svariate grandezze e forme, decine di sculture, in particolare scure maschere africane. un lungo corridoio, una stufa a legna, nera. ‘Qui nulla si perde, ma si smarrisce molto’, mi dice. entri in cucina dove sul frigo è adagiato


cento ‘librini’, edizioni del Pulcinoelefante, che avvolgono tutte le pareti. in fondo al letto un ciuchino di legno a grandezza quasi naturale. Siamo in una vera e propria ‘casa editrice’, nel senso che i ‘librini’ l'alberto se li stampa proprio a casa con quel marchingegno ferroso, l'audax nebiolo, che pare non dare segni di cedimento malgrado lo sforzo più che trentennale. ogni ‘librino’ ha un formato 13,5x19,5 a quattro pagine compreso il frontespizio. quasi sempre una pagina è impre-

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un vecchio violino. e un gatto bianco e nero che fa da guardiano al tutto: il padrone di casa. a lato della cucina troneggia una audax nebiolo che sforna ‘librini’ come li chiamava alda merini, ‘stretta amica’ dell'alberto per circa venti anni. quasi un ‘librino’ al giorno, da ‘buon panettiere, l'unico che stampa in giornata’ come lo ha definito un altro caro suo amico, l'indimenticabile editore Vanni Scheiwiller. poi si va su grazie a una scala che ti accompagna nella camera dove l'alberto custodisce il suo tesoro: dal 1982 ad oggi oltre novemila e due-


“quando Senti un uoVo Che ti Guarda È ora di Capire” alberto casiraghy

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ziosita da un omaggio di un artista. tiratura massima di trenta, trentacinque copie. Caratteri mobili di piombo, regalo delll'amico Giorgio lucini. preferiti: i Bodoni e i Garamond. e oltre 1500 meravigliosi cliché di legno di cedro o di pero realizzati dal maestro adriano porrazzi. Carta pregiata hahnemuhle, prodotta in Germania. ‘Credo sia l'unico editore che abbia letto quello che pubblica, anche perchè pubblica una poesia alla volta’, ebbe a scrivere ironicamente nico orengo anni fa. prima di inaugurare questa vera e propria gioia della tipografia si deve sapere che l'alberto lavorava come compositore stampando quotidiani come "L'Avanti" o "Il Giornale" di montanelli. un giorno decise di lasciare il lavoro e grazie ai soldi della liquidazione acquistò la casa-atelier-tipografia nella quale vive oggi. nei primi anni stampò libretti suoi o degli amici, poi l'incontro con la merini gli aprì le porte della grande editoria e dei personaggi collegati. non a caso tra i suoi più cari amici troviamo roberto Cerati, presidente della einaudi. e dalla merini in poi i libretti diventarono ‘librini’ che vedevano il coinvolgimento e l'amicizia di figure come Baj, nespolo, paladino, munari, dorfles, Cattelan...scrittori e poeti, artigiani di aforismi, morti e viventi, a centi-

naia, migliaia. diciamo pure che la merini approfittò di quell'amicizia vera, costante e lunga nel tempo. infatti con l’alberto ha pubblicato circa 1500 suoi ‘librini’. e non sarebbero tutti: perchè l'alberto ha trascritto e raccolto negli anni ben tremila fogli di frasi, aforismi, pensieri vari che la poetessa gli dettava al telefono ogni santo giorno o al sabato quando regolarmente si incontra-


e non è finita qui: l’alberto è anche ex liutaio, ex scenografo e suona discretamente il violino. Sì, perchè l'idea che ci si fa frequentandolo è che tutto quello finora descritto è surclassato da un’arte Superiore: la musica. Soprattutto Gustav mahler, anche lui immortalato in una foto in cucina, quasi fosse uno di casa, un amico, un parente. ‘Uno che ha frequentato solo gli

abissi’, ci tiene a precisare con un sorriso l’alberto. dimenticavo l’orto-giardino dove, a fine estate, giganteggiavano zucche enormi e uva dal pergolato. e in fondo, dietro un timido recinto due belle galline. ‘Quando senti un uovo che ti guarda è ora di capire’, sentenzia in uno dei suoi aforismi. non sapendo bene io come chiudere data la mole di curiosità che suscita l’alberto vi dò una anticipazione: il regista Silvio Soldini ha da poco girato un documentario sull’alberto e la sua opera. È alla fase di montaggio. Come si dice, prossimamente su questi schermi. e invece l’alberto chiude così salutando i lettori di Erodoto 108: ‘Il rapporto che si instaura con le persone è la cosa più importante, la mia è una esperienza antropologica basata sull'incontro umano’. Se non ne avete abbastanza: su Facebook Edizioni Pulcino Elefante e/o Alberto Casiraghy oppure edizionipulcinoelefante.tumblr.com steFano bUsoLin, 59 anni, nonostante il cognome, è nato a firenze. Precisamente a Ponte a ema da madre chiantigiana e padre veneto. Gino Bartali è stato il suo padrino. Scrive libri di poesia. Si crede l’odierno Montale, ma nessuno lo sa. lo sa lui e gli basta. Non lo chiamatelo scrittore. Non è neppure un saggista, e nemmeno saggio. è iscritto all’albo dei Giornalisti professionisti ma ha votato per lo scioglimento dell'ordine. Grazia de cesaris. 54 anni, nata nella notte del 23 marzo a Merate in provincia di lecco. Il desiderio di viaggiare e conoscere altre culture e nuove lingue è una costante della sua vita. ha trascorso alcuni anni al cairo e ad helsinki ed ama il Brasile. Insegna Scienze Umane, in una scuola Secondaria di lecco.

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vano. Su di una parete è ancora appeso un quadretto dove si legge solennemente, e forse con un malcelato sollievo: ‘Oggi, 9 settembre 1993 Alda Merini non ha telefonato!’


STORIE

DI RITRATTO FOTO DI MARIA DI PIETRO TESTO DI SANDRO ABRUZZESE

una Vita preSa Con il Vento Contrario un calamaio intinto nel cielo. applausi, perché anche la follia ne merita molti. da milano a taranto. i manicomi e la ribellione. la vita notturna dei poeti, fino a quando le parole non ti cercano, lottano contro la stanchezza e portano alla luce la bellezza.

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o la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…. per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara’. alda merini in questi pochi versi riporta la mia memoria a Le città invisibili di italo Calvino: “L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e


le Collane di alda merini

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farlo durare, e dargli spazio.”

ARRIVÒ A PASSO LENTO...

"C

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andide decorazioni che scivolavano al soffitto, raccoglievano voci sussurrate che attendevano di ascoltare musica illuminata dalla luce delle stelle che entrava da due finestroni. Scala, duomo di San lorenzo, Costa amalfitana, seduta a un bar con un dolce caffè a gustarmi il panorama, una passeggiata fuori programma con un caro amico. ignara che da lì a poco avrei realizzato il più bel ritratto, uno dei miei più grandi desideri: ascoltare la voce delle sue creazioni, in un angolo di paradiso con la musica che aleggiava in frammenti infiniti di poesia. arrivò a passo lento, il suo viso stanco dal tempo era pieno di gioia in quel momento di vita, tra le mani un ventaglio. Si sedette su una sedia come una regina tra un´orchestra di otto elementi e coro. quando tutti uscirono e il duomo restò in silenzio, ferma "davanti ad un altare vuoto", la raggiunsi per chiederle un abbraccio. posò il ventaglio, e quell'abbraccio lo ricordo ogni volta che mi perdo tra le pagine di un suo libro." Maria Di Pietro

Maria di pietro, 36 anni, fotografa napoletana, laurea all'accademia di Belle arti. Nel 2009 vince, nella categoria eyes wide shut, il festival del cinema dei diritti Umani di Napoli/ Buenos aires. Insegna fotografia nelle scuole. ha progetti sulle periferie Nord di Napoli.

la poetessa dei navigli, ancora ragazzina, visse la seconda guerra mondiale. la sua famiglia perse tutto ciò che possedeva in seguito ai bombardamenti sulla città di milano. in età adulta arrivarono i problemi psichici, l’allontanamento dei figli e l’esperienza degli internamenti a milano e a taranto. “Mi ha salvata mio marito che veniva a trovarmi, perché chi non aveva nessuno scompariva all’improvviso nel nulla”, così, in parte, racconta la sua vicenda. testimoniò ciò che aveva visto e vissuto nei manicomi. lasciò a margine, per sé, l’indicibile. in una lirica ribadì di trovare i suoi versi ‘intingendo il calamaio nel cielo’. qui la merini idealmente incontra le parole di Calvino, cercando strenuamente di dare spazio a ciò che nell’inferno, inferno non è, attraverso la sua nudità, l’amore per la vita, il coraggio anticonvenzionale, l’appariscenza ribelle e delicata, la profonda umanità. osservo questa sua foto, è uno scatto di maria di pietro. Spiccano le rughe profonde ai lati della bocca, lo sguardo attento copre gli occhi di bambina, nasconde la vecchia fragilità. Sul petto scendono le amate collane, scendono senza riuscire a modificare quell’aria semplice e affabile che si porta dietro. alda e l’amicizia con manganelli, quasimodo. oppure il suo bilocale straripante di oggetti, immagini, sogni. la donna che dona le sue poesie e spende il denaro racimolato col primo, faticoso successo, aiutando amici e clochard, incapace di quantificare e gestire le sue risorse finanziarie, sempre sull’orlo, lì, verso porta Genova, ai margini, lontana e vicina. una vita presa con il vento contrario, quella della merini, piegata al conforto della poesia, alla sua lenta litania. una vita in bilico, percorsa su una lama tagliente che è il baratro della malattia, fatta di improvvise ricadute, di povertà, gioie, di rinunce e faticose risalite.


il suo ritorno a casa, dopo le cure, è del 1979. l’equilibrio psichico resta debole. non l’aiuta la morte del marito, solo quattro anni dopo, con cui negli anni aveva avuto quattro figlie. nell’83 sposa in seconde nozze il medico e poeta michele pierri, si trasferisce con lui a taranto. Sembrano anni tranquilli, tuttavia anche questa volta non andrà bene. “Quando ci mettevano il cappio al collo / e ci buttavano sulle brandine nude / insieme a cocci immondi di bottiglie / per favorire l'autoannientamento, / allora sulle fronti madide / compariva il sudore degli orti sacri ,/ degli orti maledetti degli ulivi”, questi alcuni versi che ricordano l’internamento.

Sulla facciata della sua casa milanese, ai navigli, vi è una lapide che la ricorda. alda merini muore nel 2009, dopo una lunga e travagliata esistenza, a settantotto anni. della sua vecchiaia scrisse: ‘Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti quelli, che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita’. Sandro Abruzzese

sandro abrUzzese, 37 anni, irpino.Insegna italiano a ferrara. Scrittore e blogger, cura il progetto raccontiviandanti.

La poesia serve a disordinare gli ordini

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Forse è vero quello che sostiene in uno dei suoi aforismi: ‘anche la follia merita i suoi applausi’. la grazia di alda, quel modo di stare al mondo fuori dalle regole, dai ricatti. il vivere notturno dei poeti, quando la terra vociante di uomini si placa, avrebbe detto. poi le parole che traboccano e scivolano dentro, sono in grado di raggiungerti, ti cercano, scavano con semplicità disarmante, lottano contro la stanchezza, portano alla luce la bellezza.

Giuseppe Semeraro


ERODOTO GIOCA

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foto tratta dal blog ‘la scuola di bollenti spiriti’


Sud/Puglia

quella sera, giovedi 12 marzo del 2012, il bar Chopin aveva chiuso presto…

L’INCREDIBILE, FOLLE STORIA DEL

FIFFA INDA STREET

Testo di Marco Montanaro Fotografie di Daniele Argentiero e Gabriele Fanelli

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tutto è cominciato a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi. C’era il vuoto in paese e allora…poi è leggenda più che cronaca. il più straordinario campionato di calcio d’europa (e latinoamerica). tre contro tre. a porticine. in mezzo alle strade. decine e decine di squadre. Centinaia di giocatori. il contagio del pallone e delle felicità di una partita: Fiffa è una ragione per vivere al Sud (ma ora si gioca dal piemonte alla patagonia).


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a storia, ormai, la conoscono tutti. quella sera il bar Chopin aveva chiuso presto. andrea e massimiliano Chirico, fratelli-camerieri, avevano chiesto a un amico di andare a prendere le porte. quelle piccole, da allenamento. Gli altri erano stati allertati via telefono. era buio quando si sono trovati al parchetto di via mangia, periferia di Francavilla Fontana, provincia di Brindisi. dodici persone, tre squadre da tre: Simone avrebbe arbitrato, marino avrebbe interpretato il ruolo dell’unico spettatore non pagante e daniele argentiero, primogenito del proprietario del bar Chopin, avrebbe fatto le foto. Verso mezzanotte l’arrivo, inevitabile, dei carabinieri, e così quella prima edizione del Fiffa inda Street non avrebbe avuto una finale. tre anni e molte finali dopo, il torneo di calcio tre contro su asfalto avrebbe contato centinaia di partecipanti. È difficile dire cosa c’è stato nel mezzo: come per tutto ciò che è affine alla leggenda più che alla scarna cronologia, le diverse versioni di questa storia non sempre coincidono. l’unica cosa certa è che la prima volta si trattava di un giovedì sera di marzo 2012, e che tutto quello che è venuto dopo è successo sempre e solo – rigorosamente – di lunedì. Bisogna tener conto di quello che è Francavilla Fontana, del contesto: vent’anni di governo di un’area politica erede di una democrazia Cristiana eterna e persistente, peraltro nel buco nero di una provincia a sua volta buco nero di un’intera regione – anche nel momento in cui la puglia cominciava a esistere sulla cartina geografica d’italia. nessuna iniziativa culturale, nessuna politica sociale particolarmente memorabile. il vuoto, per farla breve. e allora, suggerisce qualcuno, è stato proprio per via di quel vuoto, forse, che è nato il Fiffa inda Street; una risposta involontaria, indiretta, anarchica nel non porsi neppure la classica domanda sul che fare: ci andava di farlo, lo abbiamo fatto. punto.

oggi Francavilla, in cui si giocano le principali edizioni – i volumi – del Fiffa, è ancora una cittadina meridionale di quarantamila abitanti che non ha deciso se diventare città o restare paese; in cui le statue delle madonne che nel mese mariano girano di casa in casa convivono con gli screenshot degli status dei politici su Facebook scambiati in gran segreto tra amici su What’s app. la tecnologia e i social sono stati determinanti anche per il Fiffa inda Street. dopo i primi volumi, in cui le squadre cominciano a moltiplicarsi, massimiliano, allora ventenne, apre la pagina Facebook dedicata. il racconto e l’ironia dei suoi post, insieme coi tag e i video da smartphone delle persone che si sfidano in quei rave improvvisati di calcio da strada, fanno il resto. un tempo si chiamava passaparola, adesso si dice virale. lo spirito del Fiffa, in ogni caso, è contagioso. il torneo, tuttora gratuito e aperto a chiunque, è uno strano miscuglio tra parodia del calcio vero


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(cominciano a spuntare veri e propri team, simili a franchigie da sport americani) e semplice voglia di stare insieme, di tornare per strada in una città che ha molti locali alla moda e poca gente in giro. perché ovviamente Francavilla è anche uno di quei posti da cui si emigra, come in ogni altro paese meridionale. tre anni dopo, durante il Gran Galà 2015 del Fiffa inda Street – anche questa una parodia del calcio vero, in cui si premiano, con coppe da pochi euro riciclate dagli amici, i migliori campioni e bidoni dell’anno – massimiliano dirà dal palco che il torneo, per qualcuno, è stato forse un motivo in più per restare. tanto le cose vanno male per tutti, sia qui che altrove: ma almeno qui abbiamo qualcosa da fare, qualcosa a cui appartenere. ad ascoltarlo ci sono circa duecento persone. non


sono grandissimi numeri, per la verità: durante il Fiffarrone, volume speciale del torneo, si arriva a mille persone tra giocatori e pubblico. anche il Fiffarrone e il Galà, inutile dirlo, si tengono rigorosamente di lunedì. qualcun altro, qualche decennio prima, è però andato via a tutti gli effetti. inizio anni ’70 del secolo scorso: luciano argentiero, diciassettenne con la passione per il disegno e le parole, è partito da Francavilla per la Germania come molti suoi coetanei. C’è quest’altra leggenda che vuole parecchi francavillesi gelatai tra i tedeschi, in quegli anni. e così anche luciano comincia la sua gavetta come cameriere. l’idea, probabil-

mente, è quella di imparare la lingua, mettere un po’ di soldi da parte e poi decidere cosa fare. Se glielo chiedi, massimiliano risponde che soprattutto all’inizio è stato suo fratello, il motore principale del Fiffa. andrea, ventiquattro anni quando tutto ha avuto inizio, è uno che ha visto il pallone ovunque, sin da piccolo. Con un po’ di fortuna avrebbe potuto fare strada. in campo è un mancino compatto, il che nel Fiffa significa che puoi essere un ottimo attaccante e un eccellente difensore. perché col tempo nel torneo sono venuti fuori ruoli, tattiche, strategie. e certamente andrea ha fatto da richiamo per molti altri che, come


Marco Montanaro, 33 anni, vive a francavilla fontana in provincia di Brindisi. ha pubblicato la raccolta di racconti Sono un ragazzo fortunato (lupo) e i romanzi La Passione (Untitl. ed) e Il corpo estraneo (caratteri Mobili). Suoi testi sono apparsi su minima&moralia, inutile, Scrittori Precari e altre riviste. Il suo blog è www.malesangue.com

danieLe arGentiero 36anni, barman e fotografo, nasce a herford, in Germania, per tornare a francavilla fontana, provincia di Brindisi, a sei anni. circa vent'anni dopo si sposa con arianna e con la fotografia. Nel 2012 si inventa il fiffa inda Street con due suoi cugini e altri amici. ad oggi è ancora felicemente sposato e ha due figli, convive con la macchina fotografica a fasi alterne e annovera piccole pubblicazioni in giro per testate giornalistiche e per il web.

GabrieLe FaneLLi 29 anni, è laureato in filosofia. Si occupa di fotografia di scena e reportage. ha partecipato alla mostra collettivathrough Waters (Pechino, tianjin, Sarajevo). Nel 2014 ha frequentato il corso annuale di fotografia documentaria presso l’agenzia fotografica lUZ a Milano.

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lui, avrebbero voluto fare carriera col pallone. ragazzi che nel Fiffa hanno trovato molto più di un ripiego: tanto da disertare gli allenamenti delle scuole calcio pur di passare un pomeriggio sui campi da strada, tracciati nel tempo con la calce, col gesso o con la sabbia. del resto, se di lunedì puoi alzare un trofeo, per quanto farlocco, davanti a trecento persone, perché andare a sbattersi per un noiosissimo allenamento che ti porterà comunque in panchina la domenica successiva? a quel punto, qual è il calcio vero?


ERODOTO GIOCA LA GLORIA DELLO STREETBALL

Toscana / San Vincenzo

testo di alessandro Bartolini Foto di mauro Sani

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an Vincenzo, settemila residenti, a stare abbondanti, in inverno. quattro volte tanto in estate. indifferenti a questa invasione i soliti amici di sempre, ogni giorno, sono lì a giocare a basket sull'asfalto del piazzale esterno al palazzetto dello sport. una, due, cinque partite. poi a fine estate il conto delle vinte e delle perse e la proclamazione del re del Campino. da qui l'idea di organizzare un torneo vero e proprio che, col passare degli anni, è diventato un’istituzione dello streetball, basta dare un'occhiata ai social. È il più importante in toscana. Con tanto di corona e scettro per i vincitori che su quell'asfalto saltano,

IL RE DEL CAMPINO Giocare a basket sull’asfalto di un piazzale. e lì si ferma Bob mc adoo, campione nba. e allora, ogni estate, a un passo dal mare, ci si dà battaglia sotto canestro per una corona e uno scettro


giocatori così numerosi da costringere gli organizzatori ad aggiungere, lo giorno e, naturalmente, scorso luglio, una sequattro giorni di ferie per il conda tribuna. torneo’. ‘Col passare degli anni è aumentata la qualità, ci sono giocatori di serie a, difficile capire come andare oltre. abbiamo sfruttato una lacuna in toscana, dove ancora non c'era un torneo di alto livello. ora l'interesse è cresciuto e per noi è uno stimolo ad andare avanti’. dedicandoci sicuramente più tempo di quanto avevano preventivato quando sono partiti: ‘Siamo in sei – dice marco, che non faceva parte del piccolo gruppo iniziale - ci ritroviamo durante le vacanze di natale per buttar giù le prime idee. poi per quattro cinque-mesi un paio d'ore al

la palla a spicchi continua a mangiare, passo dopo passo, l'asfalto del campino. aLessandro bartoLini, 42 anni, fiorentino, giornalista sportivo, "malato" di pallacanestro. dal 2012 segue, per toscana Basket live (www.toscanabasketlive), tutto quello che succede nel mondo della palla a spicchi della regione.

MaUro sani, 59 anni, fiorentino. Per la prima comunione, riceve in regalo una ferrania eurorapid a pellicola. e’ la scintilla di una passione. a 17 anni monta la sua prima camera oscura per i suoi scatti e cominciare a realizzare il suo sogno: ‘da grande voglio essere un bravo fotografo’.

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sgomitano e protestano con gli arbitri come fosse una finale scudetto. ‘una scelta presa così, quasi una scommessa. e adesso a distanza di otto anni possiamo dire di averla vinta’, racconta marco Vangelisti, uno degli organizzatori odierni. una scommessa baciata anche dalla fortuna, con un certo Bob mc adoo (passato illustre in nba prima e nel campionato italiano poi) a bordo campo nell'edizione inaugurale. ‘era in vacanza da queste parti, gli abbiamo detto del torneo e che ci avrebbe fatto piacere se fosse passato. Certo nessuno si aspettava di trovarselo davvero al campino..’. un segnale, insomma, che la cosa poteva davvero funzionare. e così è andata, oltre le aspettative: pubblico e


ERODOTO GIOCA IL BASKET È UNO SPORT FILOSOFICAMENTE PAZZESCO

l’ebbrezza di fermare il tempo. 24 minuti con lo scrittore piergio paterlini a parlare della vecchia palla a canestro. 24 secondi per terminare un’azione. ‘e fino all’ultimo secondo si può ribaltare una partita e la vita’. testo di irene russo Foto di Giuseppe Boiardi

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Foto di MaUro sani

‘SE MANCANO BEN 10 SECONDI...’ COLLOQUIO CON PIER GIORGIO PATERLINI

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iergiorgio Paterlini mi chiama al telefono perché sono in ritardo e lui dev’essere altrove entro trenta minuti, essendosi appena liberato un posto dal medico. Sul divano ho perso il senso del tempo, ma balzo fino a casa sua, quasi di fronte al mio portone e citofono in un attimo. A questo punto abbiamo 24 minuti per parlare di basket, l’argomento sul quale lui sta scrivendo un libro e invece io non so niente di niente. Mi

siedo al tavolo della sua cucina e lascio che parli più veloce che può, trattenendo il desiderio di interromperlo ad ogni frase. ‘la differenza tra il basket e tutti gli altri sport è che nel basket puoi fermare il tempo’, mi spiega. ‘per l’intuizione geniale di qualcuno, il cronometro si blocca quando si blocca il gioco. Così, i 24 secondi in cui si svolge un’azione possono durare un’infinità, mentre la situazione si ribalta più


un’altra forma miracolosa di sospensione del tempo: il time out, la pausa invocata Mentre Piergiorgio mi spiega in una fase di sofferenza e che ha il potere di ricaricare i fondamentali, il suo cellul’animo dei giocatori con la lare manda alcune sfilze di sola imposizione delle panotifiche, segno che da qualche parte c’è qualcuno role. quando tutto va a roa cui serve la sua attenzione. toli, c’è sempre una chance di riprogrammare l’atteggiaSi spazientisce, ma ‘pomento mentale e ci sono trebbe trattarsi di qualcosa di urgente’, mi dice per scu- casi clamorosi di rimonta dopo l’arringa dell’allenasarsi quando interrompe la conversazione. Poi riprende tore. il filo dove si era lasciato. questa scansione del tempo avrebbe nel gioco del basket, così come nella pallavolo, esiste il suo effetto perfino sugli modo in cui il calcio tenta di riparare al tempo perduto.

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volte’’ questo miracolo pare si svolga con una certa frequenza, fino ad assumere i connotati di una vera e propria caratteristica della disciplina. non ci sono altri sport popolari dove si vince per quantità di punti in proporzione al tempo realmente impiegato. alcune discipline suddividono i match in set dai punteggi definiti, mentre altre arrangiano dei correttivi forfettari per compensare lo sperpero di secondi dei momenti più sfilacciati della partita. i tre minuti di recupero oltre il novantesimo sono il


spettatori. ‘mi sono convinto che fino all’ultimo secondo c’è la possibilità di rivoltare il risultato esistenziale di una vita - spiega piergiorgio ‘l’esperienza di un tempo velocissimo e dilatato all’infinito, che faccio alle partite, mi ha guarito dall’ansia. Se mancano ben 10 secondi, bisogna rallentare: è il contrario del panico’. Nel libro che sta scrivendo, applica alla vita quotidiana alcune esperienze che si vivono durante le gare, con risultati a suo dire sorprendenti. Forse lo intitolerà Essere Dio per il fatto che il giocatore sperimenta questa condizione superomistica ed eccezionale, la sospensione dello scorrere del tempo nell’attesa che tutto sia pronto per ricominciare, e l’arbitro fischi l’inizio della prossima azione. ‘il basket ha deciso che, quando non sei parte attiva della tua vita, il tempo viene fermato’, conclude. tra i requisiti superiori dei giocatori c’è anche la questione più appariscente dell’altezza, quella che mi fa credere che i miei vicini cestisti non mi salutino per strada perché vivo al di sotto del loro raggio visivo. per quanto mi riguarda, si tratta di centimetri di corpo in più a cui corrispondono milioni di cellule, dunque una più ampia superficie potenzialmente esposta ai traumi e un aumentato rischio di sbattere contro agli stipiti.


L’intervista sta per concludersi perché l’ora sul cellulare segna che si è fatto tardi. ‘Chissà se chi ha avuto l’intuizione geniale della sospensione’ - si domanda piergiorgio sulla porta di casa - ne aveva chiare tutte le implicazioni’.

Chissà chi è stato, mi domando, a un certo punto della storia del basket, a decidere che 30 secondi per un’azione fossero troppi, che in fondo potessero bastarne appena 24. ha scelto il numero delle ore del giorno, invece dei giorni del mese: cambiando la cifra, la furia verso il canestro si fa ancora più vorticosa, e la sensazione è che dall’alba alla notte il tempo non sia mai troppo breve per ficcarci dentro un milione di cose.

irene rUsso, 36 anni, siciliana, è copywriter specializzata in storytelling e green marketing. Si dedica a diverse attività legate al mondo dell’arte e della comunicazione: ha coordinato progetti fotografici partecipati per fotografia europea (tra cui tutti i luoghi il luogo, 2015), ideato app (Via roma trip) e libri interattivi (e se fosse…, ed. de agostini), creato libri d’artista (tra cui fotoscopia, self-published). Si dedica inoltre a blogging e social media marketing, insegnamento, scrittura creativa. pierGiorGio paterLini, 61 anni, è nato a castelnovo di Sotto, reggio emilia. è stato tra i fondatori della rivista cuore e ha pubblicato libri tradotti in francia, Spagna, olanda, Stati Uniti. Il suo long seller è ragazzi che amano ragazzi(1991). ha scritto un'autobiografia a quattro mani con Gianni Vattimo, Non essere dio (2006). Nel 2013 ha pubblicato, per einaudi, fisica quantistica della vita quotidiana. 101 microromanzi; nel 2014, I brutti antroccoli; nel 2015, lasciate in pace Marcello. ha scritto programmi per radiorai e per raidue, raitre e la7, e testi per il teatro (fra cui l'adattamento de la califfa, di alberto Bevilacqua). ha sceneggiato il film Niente paura, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia nel 2010. oggi scrive per «la repubblica» e per l'edizione online de «l'espresso», dove tiene il blog d'autore «le Nuvole».

GiUseppe boiardi, 51 anni, reggiano, fotografa per raccontare e solo dopo lunghe chiacchierate e frequentazioni. ha ideato e coordinato Int'la nudda, progetto fotografico collettivo sulla montagna reggiana e ha partecipato al circuito off di fotografia europea 2015 con la raccolta pop-vintage Baci da via roma.

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tutte quelle cellule continueranno comunque a invecchiare – penso – mentre il tempo si ferma.


CERCHIARA DI CALABRIA

STORIE

DI CIBO

le donne del pane

testo di andrea Semplici

‘G

li uomini scappano. Rimangono solo le donne. Rimaniamo solo noi. Gli uomini escono. Appena possono vanno al bar. Le donne hanno più responsabilità. Io e mia madre si dormiva a terra pur di badare al pane’. Domenica ha 40 anni; sua madre, Antonia, ne ha 65. So che sono in piedi dalle due del mattino. So che lavoreranno fino alle otto, le nove di sera. Davanti ai loro quattro forni a legna. A fare il pane. A fare un pane oggi celebre e amato dai cuochi e giornalisti di cibo: è il pane di Cerchiara di Calabria, ottocento abitanti (è quanto mi dicono, i censimenti uf-

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in questo paese del pollino, fare il pane è storia femminile. otto panifici, otto donne davanti ai forni. instancabili, brave, appassionate. hanno creato una nuova economia e un futuro. incontro con domenica e antonia. nica ha un marito e due figli. Un terzo sta per arrivare. Amicizia dei tempi della scuola. Dieci anni di fidanzamento. E poi lui ha vissuto anni lontano dal paese fino a quando, due anni fa, il lavoro al Nord è svanito e, Questa è una storia di donne. È la storia del loro pane. Sono otto i pani- allora, è tornato a casa. Che sta sopra il forno. ‘Il mio uomo è buono. Ha fici del paese e, in tutti, trovate una donna a impastare, avere cura del lie- pazienza con me’, dice Domenica. Gli orari non esistono nel lavoro di vito madre, infornare, sorvegliare la panettiere. C’è da ravvivare il forno cottura. in piena notte e poi da impastare. Bi‘Ci potevo andare all’università – sogna aspettare la lievitazione, c’è dice Domenica – ma non ho voluto. tempo per un’ora di riposo, poi coVedevo la fatica di mia madre e volevo dare mano. Non ho rimpianti: mi mincia la danza dell’infornare. Almeno tre giri di pane prima di piace il pane, è una passione, un mezzogiorno. Dieci quintali ogni amore e voglio farlo bene’. Domegiorno. Forme normali da due chili e mezzo. Poi ci sono i taralli da tirare a mano, le frese con le farine integrali, i biscotti… ficiali ne contano poco oltre duemila), paese aggrappato ai contrafforti orientali della montagna del Pollino.

Una storia quasi normale per le donne del pane di Cerchiara. Il pane si è sempre fatto in casa. Lo faceva Celeste, mamma di Antonia e nonna di Domenica. Gli uomini andavano a cercare lavoro fuori dal paese. Il pane qui dura a lungo. Due settimane, venti giorni. E, alla fine, i vicini di casa ti chiedevano di fare il pane anche per loro. Il forno, in anni duri, diventa un’economia informale. Fino a venti anni fa. È negli anni ’80, che la famiglia di Antonia diventa impresa. Madre, figlia e zia si ritrovano, ogni notte, a impastare quintali di farina, a fare pizze e fo-


cacce, taralli e frese. Gli uomini lasciano fare. ‘Mio padre ha fatto il muratore. Ha lavorato, ma se aveva un’ora libera stava lontano dal forno’, ricorda Domenica. Oggi è diverso: fratelli e marito danno aiuto. ‘Ma loro difendono la loro libertà, i giorni di vacanza. Qui dentro rimangono le donne. Mi rimproverano: sempre forno, sempre forno. Ma come si fa? C’è il pane e io non mi stanco mai’. Niente vacanze. Due giorni a Firenze e due a Roma per viaggio di nozze. Quattro giorni al mare in estate (che sta a trenta chilometri) per i bambini. ‘I divertimenti non ci sono stati - sorride Domenica – Niente pub, niente viaggi. A volte mi manca, ma è un’idea, non ci penso’. La casa è qualche gradino sopra il negozio, la scuola dei bambini è davanti. Tutto in poche decine di metri. C’è da fare il pranzo per i figli. Ogni giorno è una giostra. E vorresti che tua figlia facesse questo lavoro? ‘È già brava a fare i taralli. Farà ciò che vorrà. Fare il pane è fatica, ma lei ha fortuna: qui c’è un forno, può stare qui, invece di andarsene’. È un lavoro pesante, impossibile per me. Ma ha l’aria del lavoro bello. Domenica mi appare felice (e stanca, anche se lei nega) di fronte al pane.

donne si spolverano di farina. Il pane di Cerchiara ha la gobba: è scanato. Dicono che assomiglia al Sèllaro, la montagna sopra il paese. È fatto con farina, sale, pasta madre e acqua di sole. Lo ammetto, in questa storia di donne, appare anche Pino, il fratello di Domenica. È lui, maestro di marketing, a parlarci dell’acqua di sole, l’acqua dura di un paese di montagna, una delle ragioni della bontà di questo pane. Domenica guarda il fratello con un sorriso conciliante: ‘A lui piace parlare. Io sono silenziosa’. E controlla la cottura. Io penso che

bisognerebbe mormorare una preghiera di fronte, al pane di Domenica, davanti a un tarallo intrecciato da Antonia.

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Sto due ore al forno di Antonia e Domenica. Arrivo che stanno togliendo il pane dal forno. Le forme vanno negli scaffali del piccolo negozio. Oppure sul camioncino che le porterà nelle città vicine. Pane fresco al pomeriggio per la gente di Trebisacce o di Castrovillari. Alcune grandi pagnotte arriveranno anche lontano. Si ricomincia a infornare. Domenica manovra la pala da panettiere come un timone. La zia sistema la pasta lievitata e con un gesto rapido la nipote la fa sparire nella pancia del fuoco. Le mani di Antonia non si fermano: arricciano, con gesti esperti e di abitudine, i taralli. Le dita della zia lavorano le frese. Alla fine s’impasta nuovamente, girando e rigirando le nuove forme con un movimento da musicista delle mani. Le facce delle


quaderni a quadretti

ROBERTO INNOCENTI

LA CASA E IL TEMPO

andrea rauch/roberto innocenti. conversazione fra due uomini con la matita in mano Andrea Rauch. “la Casa nel tempo” è un libro che continua, per così dire, la tua ricognizione, ormai più che un dato stilistico, sul territorio, sulle sue logiche e sulla sua topografia. Ci vuoi dire come è nato?

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Roberto Innocenti. l'inizio de “la Casa nel tempo” sta in un vecchio disegno di molti anni fa. un disegno che non è servito a niente ma che poi ha determinato, come a volte succede, il cominciare di un racconto. la Casa è un rudere seicentesco a mezza costa, una colonica abbandonata ai margini di un bosco, campi angusti sostenuti da terrazzamenti di pietra. la mia Casa viene "rioccupata" all'inizio del novecento da una famiglia contadina ed è scena e attore dei fatti del secolo scorso. davanti alle sue pietre passa la grande storia, la prima Guerra mondiale, il Fascismo, la Seconda Guerra e la lotta di liberazione, il passaggio del fronte e l'arrivo degli alleati, il nuovo abbandono e il recupero di una comunità hippie degli anni sessanta, poi il finale, che potrei dire tragicomico, con il riattamento borghese e funzionale da seconda casetta residenziale, completa di archetti tosco-goticheggianti, piscina, macchina di lusso e nani da giardino a completare una storia che si segnala, alla fine, come storia di nuova decadenza.


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I

Venne costruita nel '600. da qualche parte, sugli appennini fra toscana ed emilia. Fu abbandonata. i contadini vi tornarono nel '900. Vide il passaggio di due guerre, visse gli anni del fascismo e offrì rifugio a partigiani. negli anni '60, ospitò una comunità hippie. poi divenne la villa nei boschi di una famiglia di città....la storia e le pietre, un secolo breve, il pozzo, l'albero come testimone e il passare delle stagioni. andrea rauch e roberto innocenti siedono su un gradino fuori dalla casa e si interrogano. andrea fa le domande, roberto risponde. in uno strano gioco di memoria e nostalgia. entrambi stringono fra le mani parole e matite.


Rauch. ma la Casa non scandisce solo la grande storia del novecento. ricorda, per chi ha o vuole avere memoria, anche le piccole storie della società.

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Innocenti. È una colonica che si pone chissà dove sulla linea Gotica, rifugio di poveracci, di una delle tante famiglie conta104 dine molto più ricche di bocche da sfamare che di mezzi per sfamarle. Contadini che non hanno terra buona, ma che devono strappare ai primi contrafforti della montagna un lembo di campo per piantare un filare di vite, qualche olivo. È una casa dove l'elettricità arriverà tardi, forse negli anni sessanta. C'è un nucleo familiare che fatica la vita, nel corso del tempo, e che viene tenuto insieme dalle donne, mentre gli uomini se ne vanno

coscritti verso le guerre che non gli appartengono, quelle del Carso nel '15-18, o quelle che gli appartengono, come la lotta partigiana del '43-44. e infatti la fine sarà segnata dalla morte e dal funerale della vecchia mamma che serve da raccordo significativo per tutta una storia del secolo. Rauch. dopo la fine della vecchia famiglia contadina (i figli saranno andati in città, in fabbrica o chissà dove) la storia cambierà e potrà essere raccontata dai nuovi ricchi che ristruttureranno la casa in pacchiano look neocaliforniano. Innocenti. non potrà più essere, però, la stessa storia; mancherà della continuità con il passato, perché per raccontare quell'altra

storia, c'è bisogno di chi quelle vicende le ha vissute e che conosce quei luoghi, quei campi, quei boschi. Rauch. dice Stephen King che lui scrive del maine perché, in fondo, è l'unica comunità che conosce bene, la sua. Innocenti. ecco, qui è un po' la stessa cosa, bisogna conoscerla quella comunità per poterla raccontare, conservarne, non con nostalgia, ma con una sorta di onestà narrativa e visiva, la memoria possibile. intorno alla casa ci sono pochi elementi costanti che ne mantengono, nel tempo, il carattere e lo "stile". Ci sono le pietre dei muri e dei muretti, pochi mattoni rossi, il pozzo, i terrazzamenti strappati al greppo. il mondo avvertito e


conosciuto è tutto lì e c'è la certezza del racconto topografico del territorio. il resto è vicino ma estraneo, ci sono pochi contatti anche con il paese che si presume vicino, un poco più in basso, con l'altra gente che si raduna solo per le occasioni importanti, un matrimonio, la liberazione, un funerale. È la storia di quello che si conosce e che magari si guarda senza nostalgia, ma con una sorta di epocale distacco oggettivo. Rauch. una storia locale che diventa storia esemplare. Innocenti. può essere una storia esemplare. È il racconto della trasformazione di una comunità. io sono nato a Bagno a ripoli nel 1940. per andare in città c'era solo il tram, il 33, e le vie

intorno a quelli che oggi sono viale Giannotti e viale europa, erano a sterro. i campi erano fuori dell'uscio di casa e passavano i barrocci tirati dai bovi. quella Firenze è scomparsa dopo l'alluvione. i quartieri si sono dissolti, il tessuto sociale della comunità si è disgregato nelle periferie dormitorio. dagli anni settanta Firenze non c'è più. poteva essere salvata, forse, ma non è stata salvata. i quartieri popolari (Santa Croce, San Frediano, San lorenzo...) che avevano composizione mista, ceti alti e bassi insieme, hanno perso ruolo, funzione, identità. quello che c'è adesso si vede bene e non è, a mio parere, un bel vedere. Firenze ha perso l'anima e lo possiamo affermare anche senza quella nostalgia che sembrerebbe

inevitabile nelle parole. Rauch. Sembra di capire, dalle parole, che i tuoi disegni si pongono come un mezzo per l'analisi critica della società... Innocenti. Con questi disegni non credo di voler fare l'analisi critica o politica di un mondo e di una società in trasformazione costante, né voglio rifugiarmi in un "amarcord" stucchevole e fuori luogo. Si tratta però, questo sì, di un'analisi visiva e antropologica. questo era, questo non è più. per ricordare e riflettere. (da FFF numero 1, 2009)


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roBerto innoCenti 75 anni, è nato a Bagno a ripoli alle porte di Firenze. È uno dei più famosi illustratori del mondo. tra le sue opere fondamentali si possono ricordare pinocchio, Canto di natale, Schiaccianoci, oltre ai due grandi libri 'politici' rosa Bianca e la storia di erika. nel 2008 ha vinto, unico italiano nella storia del premio, l'andersen ibby award, una sorta di nobel dell'illustrazione mondiale. the house (la Casa nel tempo) è stato pubblicato nel 2009 dall'editore americano Creative editions e in italia da la margherita

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CON GLI OCCHI DI UN UCCELLO GUIDO COZZI

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il gioco del fotografo. punto, e basta. Vista, l’opposto: lo sguardo in cerca di un racconto. due parole e un genitivo in mezzo. punto di vista. l’abitudine delle parole qualche volta ti confonde, il punto di vista è il linguaggio del tuo racconto. due fotografi e un grafico: Guido Cozzi e Vittore Buzzi e andrea rauch guardano il mondo con occhi diversi, quelli di un uccello, un uomo, un bambino; anche una donna, una bambina. in queste pagine ci parlano del loro vedere, parole e immagini. Guido Cozzi e andrea rauch, il grafico, hanno una visione da osservatori: le fotografie dall’alto descrivono forme e paesaggi (‘le distanze si dilatano, i vari punti della scena entrano in una relazione più chiara e in una sola inquadratura si raccolgono tutti gli elementi’), quelle scattate a livello-terra confrontano l’uomo all’ambiente urbano (‘le piazze sono quasi metafisiche, le vie sono deserte e impongono soggezione, a volte sgomento’). Vittore Buzzi è il bambino, e le sue immagini risultano vicine all’immediatezza del quotidiano (‘non si tratta di una vicinanza solo in termini di centimetri, ma di cuore e di empatia di amore per la vita e di accettazione’).


i “punto di ViSta”

L’UOMO È LA MISURA DELLE COSE

ANDREA RAUCH

LO SGUARDO DEL PICCOLO PRINCIPE VITTORE BUZZI


FotoGraFare dal Cielo

Con Gli oCChi di un uCCello testo e foto di Guido Cozzi

roma, piazza navona

‘le cose viste dall’alto sono ancora più belle’. l’uomo ha sempre cercato di guardare il mondo dalle nuvole (o dalla finestra di una grattacielo). adesso i fotografi rimangono a terra e fanno volare le loro macchine. da Justus Van utens ai droni, dagli alinari al wireless.

“l

laboratorio martelli, Firenze

e cose belle, viste dall’alto, sono ancora piú belle”. doveva aver pensato così Justus Van utens quando fu chiamato alla corte dei medici per dipingere le proprietà della famiglia, rappresentate poi in quattordici lunette che andarono a decorare l’archivio di Villa petraia. i dipinti dovevano essere documentativi, belli, moderni. utens fece una scelta coraggiosa e usò una tecnica innovativa, mischiando assonometria e prospettiva. Soprattutto si inventò un punto di vista inedito, che necessariamente sfuggiva allo sguardo degli uomini, ma non alla loro immaginazione: la veduta aerea. a quell’epoca - siamo a fine del '500 - non esisteva nessuna macchina volante e la sola idea di veduta aerea era pura astrazione. Così la pittura di utens, avvalendosi di uno sguardo privilegiato, in un solo colpo d'occhio poteva essere narrativa e stupefacente, documento e sogno, astratto Siena, abbazia di San Galgano



e abstract: racconto, sogno, sintesi. la meraviglia di quello sguardo è ancora intatta. oggi che volare è diventato atto abitudinario, massificato nella sua ovvietà, non si è spento il sogno umano del volo individuale, utopia di liberta e leggerezza, sguardo dall'alto. al di là della fotografia aerea di alta quota, interessante il fatto che oggi è diventato facile raggiungere un punto di vista poco usuale: troppo bassa per essere aerea, già abbastanza alta da staccarsi dalla fisicità terrestre. probabilmente è l'altezza alla quale ci muoveremmo se non fossimo prigionieri della gravità: quella parte tra cielo e terra che appartiene al mondo degli uccelli, e solo a loro. perché dai dieci ai settanta metri da terra la percezione del reggello, coltivazione di iris

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mondo è tutta particolare: da lì sopra le distanze si dilatano, i vari punti della scena entrano in una relazione più chiara e in una sola inquadratura si raccolgono tutti gli elementi. lo sapevano bene gli alinari, famosi fotografi fiorentini dell'ottocento, che usavano pesanti piattaforme per poter scattare da posizioni elevate le loro immagini. perché fotografare dall'alto (ma non troppo) è più una questione di tecnica narrativa che di semplice punto di vista. tecnica utilissima nel paesaggio urbano, quando per esempio vuoi fotografare una strada, ma la teoria di pedoni diventa massa informe, occlude lo

sguardo e nasconde prospettive. allora ci si eleva un po’ sopra il livello stradale: bastano cinque, sei metri che le linee dei palazzi tornano a tracciare una strada, la prospettiva si trasforma da incognita in racconto, gente nella folla tornano ad essere persone, di più: personaggi. mi considero un veterano di questo tipo di riprese. e se una volta non c'era altra possibilità che affacciarsi dalla finestra di qualche persona gentile che ti faceva entrare in casa (quanti campanelli ho suonato:....signora, mi fa salire per favore che dovrei fare una foto della piazza?.....) oggi ci si può avvalere di tecnologie più sofisticate, veri e propri sostituti di superpoteri: droni che volano, colonne in carbonio, macchine controllate in wireless. queste attrezzature non fanno

miracoli: alla base c’è sempre una capacità di astrazione e di intuizione, perché con i sistemi a controllo remoto, se l'inquadratura è sbagliata, le correzioni che puoi fare sono minime. però tutta questa tecnologia piano piano ci aiuta a avvicinarsi al sogno, all'illusione di essere un po’ più liberi e un po’ più leggeri, e vedere il mondo come lo vedono gli uccelli: dall'alto, ma non troppo. GUido cozzi 53 anni, fiorentino, per l’editoria ha realizzato servizi fotografici di carattere geografico, etnografico e turistico. Nel 1991 è tra i fondatori di atlantide Phototravel, specializzata nel reportage di viaggio. adesso racconta il territorio fotografando dall’alto, dai 3 metri in su.


Firenze, loggia dei lanzi

Castiglion della pescaia


miSura delle CoSe

testo e foto di andrea rauch

n

atura, architettura, arte. e l’uomo. un particolare secondario, quasi. piccolo, in campo lungo o lunghissimo, defilato, distante. una presenza ‘estranea’ che toglie alle immagini un po’ del ‘patinato’ che inevitabilmente ‘le cartoline’ si portano dietro. le piazze sono quasi metafisiche, le vie sono deserte e impongono soggezione, a volte sgomento. i luoghi sono appena percorsi da fremiti di vita. l’uomo è comunque sempre il metro di riferimento per verificare l’incombenza della natura, la maestosità delle rovine archeologiche, la misura dei percorsi cittadini. l’uomo affronta e si confronta con il contesto. Con ogni contesto. e diventa protagonista unico e prepotente delle immagini, punto focale cui fare immediato riferimento. È davvero misura di tutte le cose.

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londra British museum la reggia di Caserta

Firenze, via san Gallo



livorno terrazza mascagni

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andrea raUch, 66 anni, nato a Siena, da 120 venticinque anni vive in Valdarno. ha collaborato con la Biennale di Venezia e il centre Georges Pompidou. I suoi manifesti (ne ha disegnati oltre 500) sono al Museum of Modern art di New York. Nel 1993 è stato considerato, dalla rivista giapponese Idea, fra i migliori cento grafici al mondo. Noi lo amiamo per i suoi Pinocchio, per topolino, per il Gatto felix e per il suo giornalino di Gian Burrasca.

metropolitana di napoli, la linea metro1


roma, ara pacis

Bordighera


lo SGuardo del piCColo prinCipe

testo e foto di Vittore Buzzi (con la collaborazione di antoine de Saint exupéry)

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‘a leone Werth domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. ho una scusa seria: questa persona grande è il miglior amico che abbia al mondo. ho una seconda scusa. questa persona grande può capire tutto, anche i libri per bambini; e ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere consolata. e se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stato. tutti i grandi sonostati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano). perciò correggo la mia dedica: a leone Werth quando era un bambino. ( antoine de Saint exupéry)’.

È

una dedica che mi ha sempre fatto piangere, anche quando l’ho letta per la prima volta una quarantina di anni fa. Con gli anni mi ha fatto molto riflettere, fino a che non ho cominciato a ritrovare nel mio modo di fotografare un punto di vista leggermente dal basso, la visione di un bambino… non è stata una scelta cosciente, né la voglia di stupire con una ‘angolazione strana’ o inconsueta, ma una sensazione che è cresciuta piano dentro


Un fotografo deve ritrovare lo stupore infantile. Non basta essere vicini con il proprio obiettivo, ma è una storia di cuore e di empatia. Bisogna innamorarsi di tutto‌


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di me nel mio modo di rapportarmi alla realtà e alla sua restituzione con la fotografia. Cosa è rimasto del nostro stupore infantile quando tutto era nuovo, da conoscere e da esplorare? la fotografia è per me questo avvicinarmi a quello che racconto con la mente il più libera possibile da preconcetti: aprirmi al mondo, essere vicino, libero. non si tratta di una vicinanza solo in termini di centimetri, ma di cuore e di empatia di amore per la vita e di accettazione… questo mi porta ad un’altra frase celebre del piccolo principe

detta dalla volpe: ‘non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi’. il punto di vista dal basso è un ritorno all’infanzia, a quel mondo dorato in cui ci si innamorava di tutto, un piccolo déjà vu, un riportare lo sguardo a pochi centimetri da terra, trascinare l’adulto che è in noi in dietro al fanciullino solo il tempo di un battito di ciglia per scoprire che niente è più come era…

VITTORE BUZZI, 46 anni, milanese, preferisce questa microbiografia: ‘comincia a fotografare nel 1992. Non ha ancora smesso’. Possiamo aggiungere? ‘ha studiato fotografia con roberta Valtorta, ha vinto prestigiosi premi internazionali di fotografia di ricerca e di reportage. fra cui, nel 2013, un World Press Photo’. Se volete conoscere i suoi lavori: www.facebook.com/pages/Vittore-Buzzi-fotografo/146792108433" organizza workshop ( www.corsifotografia.it) ed è considerato fra i migliori fotografi di matrimonio al mondo www.fotografomatrimoni.biz



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LA DECIMA

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in un giorno di settembre, un sabato pomeriggio, a due passi dall’arno, centro di Firenze, un gruppetto di ragazzi ha aperto le porte della decima libreria. libreria dal gusto francese; Rive Gauche fiorentina hanno subito titolato i giornali. noi di erodoto siamo rimasti incerti: articolo già impaginato, ora tocca smontarlo e rimontarlo perché nuovi librai coraggiosi vogliono riempire di scaffali un’altra libreria. avevamo già contato nove piccole librerie a Firenze e ora ne apriva una decima proprio mentre stavamo chiudendo questo numero della rivista.

LIBRERIA

(ma in realtà sono almeno tredici)

non siamo certi del nostro censimento, ma la libreria Clichy, in via maggio, è la decima libreria che apre nel giro di pochi anni a Firenze. e ben la metà si trovano nel quadrilatero San Frediano-ognissanti, quartieri ancora resistenti del capoluogo toscano. Cinque librerie in meno di un chilometro quadrato. troppo per pensare alla follia di librai incapaci di staccarsi dalla carta. È vero, abbiamo un po’ barato: la libreria Claudiana, via ognissanti, ha aperto ben quindici anni fa e ha una storia particolare, ma per dignità e resilienza, non poteva mancare dal nostro elenco. tutte le altre librerie hanno pochi anni di vita e addosso la vivacità di adolescenti coscienti della loro meraviglia. Strana geografia, cinque librerie affollano le sponde dell’arno, le altre si disperdono nella prima periferia: le Cure, i confini di rifredi, la zona dello Statuto, a San Jacopino…quartieri di cittadini veri, di gente che lì vive e sta costruendo una storia contemporanea di rioni. le librerie vivono degli abitanti delle case attorno, diventano luogo di incontro e di ritrovo. questa è una bella storia di relazioni.

noi di erodoto abbiamo un desiderio che è un piccolo progetto: riunire i dieci librai in una serata in cui festeggiare loro, le piccole librerie e soprattutto i libri. (Adesso davvero chiudiamo il numero. Non ce la facciamo ad aspettare oltre. Non abbiamo collaboratori disposti a correre, all’ultimo minuto, in altre tre librerie che ci sono state segnalate. Se ci saranno prossimi numeri, giuriamo che dedicheremo loro attenzione: sono Leggermente in via Talenti; Libreria dei lettori in via della Pergola; Farollo e Falpalà in via del Pollaiolo. E chissà quante altre. A chi abbiamo dimenticato le nostre scuse e i nostri applausi)

testi di andrea Semplici, Isabella Mancini, francesca cappelli, letizia Sgalambro, lucia Zambelli, Matthew licht. foto di alessandro lanzetta Pag. 126 Giovanni Breschi ‘librerie’

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È altrettanto vero che, a Firenze hanno chiuso le grandi librerie: il porcellino e la edison. ha chiuso Feltrinelli international, ma una nuova effe ha aperto alla stazione. hanno chiuso, a dare retta a una malinconica contabilità, ben ventisette librerie in pochi anni. ha chiuso la marzocco/martelli e al suo posto vi è eataly. matteo renzi, ex-sindaco di Firenze, si presentò all’inaugurazione del negozio della catena di oscar Farinetti e spiegò che un pretenzioso alimentari di lusso prendeva il posto dei libri perché nessuno ne comprava più. dieci librai stanno cercando di dimostrare che è possibile vivere vendendo libri. Grazie a questi dieci librai, tutti giovani, Firenze è più bella.


grandi incassi su uno o due titoli, ma non avvicina le persone alla lettura. Le librerie di quartiere, giocando sulla relazione, hanno invece proprio questa funzione. Il lettore non è attratto solo da un prezzo più basso, ma piuttosto da una diversa offerta culturale’. È così che sono andate in crisi le librerie storiche fiorentine: LA VOGLIA in sei anni hanno chiuso ben DI ESISTERE ventisette librerie. Adesso LIBRERIA CLICHY qualcosa sta cambiando: non è Via maggio 13r Firenze tel 055 2646025 un caso che quest’anno ne libreria@edizioniclichy.it siano state aperte più di una decina, c’è più coscienza da parte dei librai e degli editori. La libreria è in Via Maggio, una delle strade più elitarie nel quartiere dell’Oltrarno fiorentino, abitata da molti stranieri (almeno un terzo di chi entra alla Clichy è forestiero). Due stanze, una piccola corte, un’altra sala per la casa editrice. I libri sono divisi prima per edizione e quindi per ordine alfabetico. Trovi lo stesso autore in più spazi. Due poltrone per sedersi a legge, un bollitore per il tè. Un invito a Walter Cutolo rieri, direttore editoriale. E ag- leggere con tranquillità. giunge che in realtà sentivano I consigli: il bisogno di rendersi più visi- Walter Cutolo: francese. E la scommessa sta funzionando, Clichy (è il nome bili, soprattutto a Firenze dove Fabio Genovesi, Chi manda le onde. Marco Vichi, Nel giardi un quartiere di Parigi conti- hanno la sede, ma dove sono dino di Boboli.Geoff Dyer, Nameno conosciuti che altrove. guo a Barbès) è una delle tura morta con custodia di sax La maggior parte dei redattori poche case editrici fiorentine Tommaso Gurrieri: distribuite su tutto il territorio e i due librai vengono dalPratolini, Lo scialo. Victor l’esperienza della Edison che nazionale (su sessanta che ce ne sono a Firenze, questo suc- per Firenze ha significato libre- Klemperer, LTI La lingua del terzo Reich. Francois Sagan, cede solo a tre o quattro) e ha ria di qualità. Can che dorme. un bel catalogo, anche di libri ‘La crisi del libro è frutto di politiche sbagliate da parte dei per bambini. L.S. Perché una nuova libreria? ‘È distributori – dice il libraio Walter Cutolo - Vendere libri ai la cosa più bella che si può Foto di Massimo D’Amato fare’, risponde Tommaso Gur- supermercati può portare a Clichy è molto più di una libreria: è una casa editrice, ma è anche la dimostrazione che l’entusiasmo e la tenacia possono vincere la crisi. Clichy nasce dalle ceneri della casa editrice Barbès, marchio della libreria Edison, fallita un anno fa. Barbès funzionava, ma è stata ugualmente chiusa. I redattori ne hanno raccolto l’eredità e hanno aperto una nuova casa editrice, mantenendo grafica e linea editoriale, legata alla letteratura

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Petri, ma ci piace anche l’idea di Sant’Ignazio riguardo la ricerca della verità. Questa ricerca è complessa, appunto perché siamo in sette.

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odo Modo, nata a fine ottobre 2014, è la libreria indipendente più grande di Firenze. Non ce ne rendiamo conto se solo ci fermiamo davanti alla vetrina. Si entra in una piccola libreria e si passa in un altro mondo: quindicimila titoli; un teatro per le presentazioni di libri e per piccoli spettacoli, e UQBAR, il caffèenoteca della libreria. Maddalena, classe 1981, è la più piccola dei sette soci di Todo Modo (tutti under-40, tranne uno). Le abbiamo fatto qualche domanda:

Sembrate particolarmente attratti dagli autori sudameriL’ALTRO MONDO cani... IN VIA DEI FOSSI Siamo appassionati di letteraLIBRERIA tura sudamericana perché è TODO MODO una scrittura che tiene conto Via dei Fossi 15 rosso, Firenze dei classici e quasi mai ne pretel. 055 2399110 scinde. libreria@todomodo.org

Alcuni libri per i nostri lettori? Mi è piaciuto molto Carte false brano validi, essere selettivi, (Nuova Frontiera), della scritnon solo commerciali. Non è piccola, Todo Modo: ab- trice messicana Valeria Luiselli. biamo libri per tutte le esiCoraggiosa, l’idea di aprire una libreria mentre tante, belle genze. Abbiamo deciso di A Pietro (la barba più bella di e storiche, hanno chiuso. Come installare il caffè per offire conforto e ospitalità ai clienti, Firenze), socio di Todo Modo vi è nata? nonché marito di Maddalena, è Non c’era una libreria indipen- ma siamo una libreria-caffè, piaciuto Benedizione (Edizioni non un caffè-libreria. dente a Firenze con una seleNNE), dello scrittore statunizione di editori indipendenti, tense Kent Haruf. Come mai l’avete chiamata che facesse una politica di liEntrambi raccomandano Storia Todo Modo? breria di quartiere. Volevamo prescindere dalla logica di ve- Più che altro, per l’eufonia del del denaro (Edizioni Sur), dello scrittore argentino Alan trina, vendere libri che ci sem- nome. Siamo grandi ammiraPauls. tori del romanzo di Leonardo M.L. Sciascia e del film di Elio

Pietro Torrigiani

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asquale Iacobino, 50 anni, libraio in Borgognissanti, tarantino di origine, migrato a Firenze da giovane per i mesi dell’obiezione di coscienza, sorride e impugna un libro di Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano tedesco, ucciso da nazismo: ‘Resistenza e resa’. ‘Dobbiamo resistere e avere attenzione alle rese’, mi dice. La piccola libreria Claudiana, a un passo dall’Arno, è specializzata in cultura religiosa: è figlia della grande tradizione protestante e della storica e omonima casa editrice. Nel 2000, questo editore torinese (oggi la casa editrice ha come soci le principali chiese prote-

Pasquale Iacobino

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operatore culturale, percussionista (suona nel gruppo Puerto Sureño), vince un bando e diventa libraio. Libraio solitario: da quindici anni è solo a tenere in piedi questa bella libreria. Almeno otto, dieci ore di lavoro ogni giorno. Se si ammala, la libreria non apre. Libri di cultura religiosa e una varia ‘RESISTENZA E RESE’ scelta con attenzione e cura. LIBRERIA CLAUDIANA ‘Cerco di leggere i libri che Borgo ognissanti, 14 r. consiglio ai lettori’, spiega Patel. 055.282896 squale. ‘Questo è decisivo: e-mail: libreria.firenze@claudiana.it www.librerieclaudiana.it ogni sera, nello zaino, mi porto dietro libri da leggere. Un libraio deve conservare il piastanti) decide di riaprire la licere della lettura’. La breria fiorentina che aveva Claudiana è anche libreria di chiuso negli anni ’20 del sequartiere. Clienti abituali. colo scorso dopo sessanta anni di attività. Pasquale, educatore, Clienti di passaggio. Libri in inglese. Ma non può mettersi un secondo libraio, nemmeno a metà tempo. Si resiste, appunto. Con i libri per ragazzi, con i libri di musica, con la cura di ogni lettore. E con le vendite per corrispondenza. ‘Perdere le librerie del centro, la Martelli, l’Edison e la Feltrinelli International, è stato grave. Si sono persi lettori – è certo Pasquale – Le nuove librerie sono una ricchezza, ma sono anche un tentativo di rispondere alla crisi’. ‘A Natale, i lettori vengono qui quasi come una risposta agli sconti delle grande catene. La bibliodiversità è una garanzia di libertà’. Libri consigliati: Julian Barens Livelli di vita Elisabeth Strout Resta con me Franco Cassano Pensiero meridiano A.S.


iù che una libreria di quartiere, è un portale mistico e metafisico che dà accesso all’universo parallelo della materia oscura. La musica è forte, ed è fantastica. Due gufi giganteschi simboli della notte silenziosa della letteratura, invitano a soGLI SPIRITI CUSTODI gnare saggiamente. O forse sono DEI LIBRI più semplicemente gli animaliBLACK SPRING totem di Margherita (24enne al BOOKSHOP massimo) e Gabriele (così a ocVia di Camaldoli 10 rosso, Firenze chio, meno di trent’anni), gli spiblackspringbookshop@gmail.com riti custodi di questa primavera (tutt’altra che nera) delle nuove librerie di Firenze. raggio trattore stile Star Trek... Così gli ospiti vedrebbero la mia Black Spring contiene oceani di collezione di fumetti e penserebinchiostro di china... mi sembra bero: ficooooo. di vedere tutto alla luce ultravioletta... Primavera nera? o sorPiu che per i fumetti il nostro ingente di fertile fluido nero? teresse va all'immagine e alle sue Black Spring deriva dal titolo di diverse forme espressive e appliun romanzo di Henry Miller, au- cazioni: l'illustrazione, la fototore che apprezziamo molto! grafia, per esempio, la stampa o la serigrafia. Ne consegue una Non credo di essere mai entrato scelta di titoli che nelle normali in una libreria dove ho subito librerie hanno poco risalto. O voluto poter trasferire l’intero sono proprio sconosciuti. Il macontenuto in casa mia con un teriale migliore è sotterraneo, poco conosciuto e quindi cerMargherita Cesaretti

chiamo di supportare autori che si autoproducono, illustratori indipendenti, street artist, disegnatori...Senza dimenticare mai le piccole editrici importantissime che spaziano dalla narrativa alla saggistica, alla controcultura e alla musica! Perché regna suprema la musica heavy metal? Se ti riferisci ai titoli che abbiamo in libreria è perchè qualche amico ce li ha richiesti ma noi siamo per la PSICHEDELIA!!! Avete delle velleità artistiche? Margherita traffica con le foto (Guardate www.margheritacesaretti.com) e Gabri con musica e video (da indagare... sicuramente spacca parecchio). Libri consigliati: Tutti i libri di Bunker!!! Get in the van di Henry Rollins! M.L.

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iente fotografie, peccato. Perché quando spunta da una feritoia di libri, Andrea Astucci, 63 anni, potrebbe essere l’icona del libraio perfetto. Ma non vuole essere fotografo. Di nuovo, peccato, perché Andrea è stato capace di trasformare i ventiquattro metri quadrati della sua edicola di piazza Tasso, confine del quartiere di San Frediano, cuore popolare di Firenze, in una piccola, preziosa libreria. Specializzazione in gialli, in noir, come direbbero i francesi. ‘Non sono molti a leggere – spiega Andrea – E non posso obbligare chi si avvicina a un libro, a sfogliare Dostoevskij, e allora Camilleri e Sciascia mi danno una mano: loro raccontano bene questa società’. Come Jean Claude Izzo o George Simenon: ‘È il migliore, ha narrato la condizione umana’, è certo Andrea. Che è un libraio appuntito. Ha come una missione da compiere: invogliare a leggere.

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Edicola dagli anni ’80: ‘Ho sempre avuto la doppia licenza’. Trentacinque anni di mestiere. Sempre in uno spigolo di questa piazza, alle spalle di un semaforo, là dove un tempo c’era un vinaio. Sull’insegna ci sta scritto ‘La Nazione’ in bianco e ‘Libreria’, in rosso. Fuori ci sono le locandine (compreso il Vernacoliere), ma, in giallo, vengono strillati i titoli degli ultimi libri. Quindici ore di lavoro ogni giorno, per Andrea. Arriva alle cinque e trenta del mattino, se ne va alle otto e trenta di sera.

NOIR IN PIAZZA TASSO ATTUCCI LIBRI& GIORNALI viale petrarca 2 tel. 055 224150

attucci@cyberpress.it

Giornalaio e libraio. ‘Ma con i giornali e le riviste a un euro non si vive e allora preferisco vendere libri più che gadget’. E preferibilmente i libri che ama: ‘Vorrei leggere di più, ma non c’è mai il tempo – dice – E quando mi innamoro di un libro, lo suggerisco a chi entra qui dentro’. Lo osservo, mentre descrive il commissario RicAndrea Attucci

ciardi di De Giovanni a una donna di mezza età: ‘È un poliziotto napoletano, crepuscolare, tormentato, intimista’. La donna compra il libro. Il buon cliente? ‘Quello che compra due, tre libri al mese’. E ancora: ‘So ben poco dei libri in classifica. Non li conosco, ne ho una copia, ma non la vendo. E sono felice di non venderla. Mi trovo a suggerire libri da dieci euro e sconsigliarne altri da venti’. Andrea non ha tempo per andare dai distributori: ordina le copie per telefono. ‘Anche loro sanno chi sono i miei lettori’. Ci si vive? ‘Si sopravvive. Se ci si accontenta, io non ho ancora finito di pagare il mutuo’. Libri consigliati: Maurizio De Giovanni Per mano mia. Pierre Lemaitre Vediamoci lassù. Andrea Molesini La primavera del lupo A.S.


L'alzaia è una fune, grossa, massiccia, con cui si tirano, dalla riva, controcorrente, le barche lungo un fiume. Una parola di un’altra epoca, giusta però per battezzare una nuova libreria. Ha aperto a gennaio la Alzaia Libreria Caffè, ottanta metri quadrati a fianco del cinema Stensen, settemila titoli e un banco aperitivo e dolci. Aperto dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 22.

Mi guardo attorno, ci sono tanti e bellissimi libri per bambini ma anche saggi: ‘E' una libreria generalista. Alla fine sono i clienti che fanno le nostre selezioni e il pubblico dello Stensen è un pubblico attento, esigente!’.

IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

Ma si sente un libraio? ‘No, credo di no, ci sono molti che si posso fregiare, a ragione, di LIBRERIA ALZAIA questo appellativo. Mi ci sento Viale don Giovanni minzoni, 25, 50129 quando sono in libreria, ma Firenze www.alzaia.org non vengo da questa espeSono arrivata in libreria che Ma chi glielo ha fatto fare? rienza professionale e, onestastavano presentando Zagara ‘Qualcosa che sta fra sogno e mente, ci sono tanti clienti che Scarlatta con Carlo Colmone, mi sorprendono per le conoautore e vice prefetto di Prato, amore. Del bar mi piace l'aspetto della socialità, la liscenze che hanno’. e Don Andrea Bigalli di Libera; il cinema era pronto per breria è un porto di mare e poi Ci sono anche le “divagazioni” da Alzaia: misture di arte, spetla proiezione pomeridiana e il avevo voglia di cambiare. Lo banco cominciava a riempirsi Stensen aveva chiuso la libreria tacolo, danza, musica da mixare ancora con prodotti di olive, pomodorini e schiac- che c'era prima, e allo stesse tempo aveva lanciato una pro- biologici, cupcake e muffin, ciate per l'aperitivo. Mi son fermata a parlare di Al- posta: abbattere il muro che la frullati di frutta fresca. Enrico ci suggerisce di leggere zaia con uno dei due soci, En- divedeva dal cinema e creare un ambiente completamente “Terra degli uomini” di Anrico Ricci, 34 anni, l'altra è nuovo. Un’idea eccellente. Ab- toine de Saint-Exupéry, scritto Giusy Muratore, 35 anni, un passato di lavoro nel settore so- biamo un unico polo culturale, nel 1939, dove l'uomo sereno è originale, in cui gli sforzi di l'uomo che compie la missione ciale, poi la voglia di cercare un progetto proprio e l'incontro tutti servono per remare nella di tutti: unire gli uomini. stessa direzione’. con lo Stensen. I.M.

Enrico Ricci

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uccumeo, un richiamo per rapaci di suoni e immagini. Il nome si trasforma in una civetta con il corpo a forma di lettera che assicura, sfiziosa e provocatoria, che l’ingresso non è vietato agli adulti. Ad accogliervi troverete tre giovani donne che dal marzo 2011 hanno intrapreso un viaggio alla scoperta di una nuova professionalità. Provengono da regioni, esperienze e formazioni diverse: Elena è una cantante lirica professionista italo-francese, Teresa è sarda e ha sempre lavorato nell’editoria per ragazzi, Bianca ha studiato Storia dell’Arte a Milano. Immaginatevi un solo

Bianca Berardinelli

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IL RICHIAMO PER I LIBRI CUCCUMEO, LIBRERIA PER RAGAZZI

Via enrico mayer 11-13/r * 50134 Firenze * tel. 055 483003 * libreria.cuccumeo@gmail.com * www.cuccumeo.it

spazio, un saliscendi di piani e colori, capace di racchiudere tutta la loro sensibilità, cultura e diversità: i libri sono raccolti per tematiche che vanno dalla storia all’astronomia, dalla poesia alla cucina, dalla paura del buio all’amicizia, con particolare attenzione alle illustrazioni. E non è solo una libreria, mi dicono. Lavorano nel territorio proponendo reading e spettacoli, mostre di libri illustrati, attività indirizzate a scuole e biblioteche, corsi di formazione e servizi editoriali. E così avvertono: ‘Le librerie indipendenti creano dipendenza’. F.C.


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artina ha scelto On the road, il libro più celebre della Beat Generation, come nome della sua libreria. Si affretta a precisare: ‘Ho deciso di chiamare così la libreria perché essere sulla strada vuol dire essere capaci di cambiare’. Martina Castagnoli, 33 anni, ha aperto la sua libreria di libri di viaggio alla fine del 2013. In piazza Giorgini, confine fra il centro e la periferia di Firenze. Penso: ‘Qui devo decidere di venire apposta, non vi passerò mai per caso davanti’. Martina mi smentisce e mi parla della gente del quartiere che guarda incuriosita a questa giovane libraia. Martina ha fatto la scenografa per sette anni. A Roma. Poi ha deciso che era tempo di tornare a Firenze. I ‘nuovi’ librai hanno, spesso, storie simili: hanno voglia di cambiare vita e un coraggio sventato. Si apre una libreria perché si da retta a un desiderio, una passione.

volte, sono talismani. Martina fa una breve esperienza alla bella libreria Gulliver di Verona. Trova il locale di piazza Giorgini. Seicento euro di affitto, un buon prezzo. Paradosso: Martina scopre che per un bel po’ di tempo non potrà UNA LIBRAIA viaggiare. È sola nella sua liON THE ROAD breria. Magazzino ridotto al miLIBRERIA ON THE ROAD nimo. Sugli scaffali solo i libri Via Vittorio emanuele ii, 32 a/r che lei vuole leggere. Poi le tel. 055.471461 guide e i mappamondi. Ma www.ontheroadlibreria.it" anche molta narrativa: ‘Ho scoinfo@ontheroadlibreria.it perto libri meravigliosi’. On the Martina, per mesi e mesi, si è road è una bottega colorata, chiesta: cosa voglio fare? Cosa piena di oggetti, di maschere africane e una valigia in vetrina. mi dà piacere? ‘Viaggiare e leggere’, è stata la risposta. E Lascio parlare lei: ‘Fremo per allora non rimaneva che aprire non poter viaggiare, mi aiuta la fantasia. Qui entrano persone una libreria di viaggi. Senza farsi dissuadere dalle difficoltà. che hanno dei sogni e io cerco Aveva appena chiuso La Stella di aiutarli per un pezzo della loro strada. Si affidano a me Alpina, storica libreria dei per capire cosa scoprire in un viaggiatori fiorentini. È un paese’. Quasi una missione. cambio di generazione fra liF.C. brai. Vi è un piccolo spazio di mercato. Le coincidenze, a

Martina Castagnoli

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n apertura del sito hanno voluto la frase di Stefano Benni, da Romano Montroni in Vendere l'anima, il mestiere del libraio: ‘Lo scrittore è l’arco, il libro è la freccia, il cliente è la mela, il libraio è quello che tiene in testa la mela’. Tanto per chiarire subito il ruolo che si sono scelte. Le ragazze di Puntifermi sono cinque: Ilaria, Maria, Natascia, Barbara, Angela, tutte intorno ai 40 anni. Una società, diresti, invece l’imprenditrice è Ilaria, le altre sono dipendenti. ‘Ma è come se non lo fossero – dice Ilaria, che parla per tutte – Le conoscevo, avevo stima e fiducia, che ancora mi pare ben riposta e spero contraccambiata. Mentre mettevo a punto il progetto avevo un bimbo di un anno e una bimba in arrivo, e avevo bisogno di coprire l’orario di apertura avvalendomi di colleghe. E loro avevano bisogno di un lavoro part time’. Essere riferimento librario del quartiere

Ilaria Guidelli

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LE CINQUE LIBRAIE CHE TENGONO IN TESTA LA MELA

LIBRERIA PUNTIFERMI via Giovanni Boccaccio 49r tel. e fax 055.3840513 www.libreriapuntifermi.it puntifermi@libero.it

delle Cure, ‘un quartiere ancora reale, non solo residenziale, grazie al mercato, alle scuole, ai giardini... un po’paesone’. Questo l’obiettivo quando la libreria è nata, in via Boccaccio angolo Ponte alle Riffe: ‘col fondo è scattato il colpo di fulmine, l'ho visto e già me lo immaginavo come sarebbe stato’. Obiettivo raggiunto, la libreria è sempre piena: ‘Le donne sono le principali lettrici, ma possiamo vantare anche un buon numero di lettori uomini. Grazie a un oc-

chio privilegiato alla letteratura per l'infanzia e alla presenza di giochi intelligenti, abbiamo molti piccoli clienti. E con gran soddisfazione si affacciano ormai anche adolescenti e ragazzi’. Molti i clienti abituali: ‘È una delle parti più divertenti del lavoro. Si intrecciano commenti, sappiamo chi ha i gusti simili, ci cerchiamo, ci scontriamo.... piacevolissimo. I clienti sanno dare molto’. Gli affari? Il futuro? ‘Coi libri non si guadagna, ma siamo state subito autonome, e col tempo si sono affacciati degli utili. Chi legge davvero legge tutto e compra dappertutto. Il problema è che molti non fanno abbastanza per promuovere la lettura’. Libri consigliati: Romain Gary, La vita davanti a sé, Neri Pozza Emmanuel Carrère, L'avversario, Adelphi Clara Usòn, La figlia, Sellerio L.Z.


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aria, Marida, Vincenzo, Daniele, Lorenzo e Simone. Lavoravano alla libreria Edison, in pieno centro. Libreria oggi chiusa. Assieme hanno attraversato un guado: ‘L'unione fa la forza, è proprio vero!’, dice Maria nel raccontarci la loro decisione di aprire una cooperativa, la Materiali Resistenti, e poi una libreria. ‘Il nostro è stato un percorso a tentoni. Eravamo senza lavoro e allora ci siamo chiesti che cosa volevamo fare da grandi, ed eccoci qua’. La Marabuk ha aperto la scorsa primavera in via Maragliano, una quasi periferia di Firenze. ‘Gli affitti troppo alti ci hanno spinto fuori dal centro storico. In questa strada, a memoria di uomo e di donna, non c'era mai stata una libreria. È un quartiere residenziale, con tre scuole, abitato da gente attenta

quello dedicato ai bambini. Vi dedicheremo attenzione e laboratori. L'Atlante bizzarro dei Wu Ming, Cantalamappa, è uno dei testi che più ha avuto successo. Ma vendiamo molta narrativa e, con nostra piacevole sorpresa, anche molti saggi’. LONTANO Ma che cosa vuol dire oggi fare DAL CENTRO, il libraio? ‘Per me la vita – dice L'AMORE PER I LIBRI Maria – ho cominciato appena MARABUK finiti gli studi. Nel 1980, alla Via maragliano, 29, 50144 Firenze Marzocco, poi Marzocchino, tel. 055.360437 infine la Edison. Un libraio non deve conoscere solo i libri, ma creare un rapporto con chi apre questa porta. E' uno scambio bellissimo, è una relazione che e vivace. Siamo contenti di que- a volte arriva anche alle confessta scelta’. Centinaia di persone sioni!’. E Marabuk? ‘Buk è un fiorentisono accorse per l'inauguranismo, da book. E la prima zione, molti erano i vecchi parte del nome viene dalclienti della vecchia Edison. Molti gli abitanti del quartiere. l'unione del mio, Maria, e di quello di Marida. Suonava Narrativa, saggi, i libri a metà bene’. prezzo, sugli scaffali: ‘SicuraI.M. mente il settore che tira di più è

Maria Romani

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O R O S

Letizia Sgalambro

LE STELLE DELL’AUTUNNO

l’ho dimenticato! Seppellisci sotto terra tutto ciò che è stato guerra. Cancellar vecchi dolori per aprirsi a nuovi amori. Come sempre l’oroscopo Il segreto te lo dico è di questo numero prende piantarci sopra un fiore spunto dal tema portante che ti allieti col profumo della rivista. Abbiamo parlato e risplenda di colore. di poesie, le stelle questa Consiglio poetico: volta si esprimono in rima T.S. Eliot, I Quattro Quartetti e consigliano ad ogni segno una lirica particolare.

Ariete 21 Marzo -19 Aprile

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Gemelli 21 Maggio -20 Giugno

Se ti piace assai viaggiare non dovresti rinunciare, Qua le stelle parlan chiaro, butta via la tua paura è un autunno molto vario per la prossima avventura quello che sta già arrivando. che ben presto arriverà E non chiederti mai quando e farà il tuo sogno ci sarà stabilità, diventare realtà. ecco un’altra verità: Panorami mozzafiato sol se avrai tanta pazienza ed un gran cielo stellato, puoi imparare a farne senza una buona compagnia e scoprire che ballare fai lo zaino e parti, via! ha più gusto del sostare Consiglio poetico: Consiglio poetico: K. Athanasulis, Ti lascio … E. Hanson, (Testamento) Tu non sei i tuoi anni

Toro 20 aprile -20 maggio È arrivato il tuo momento di far pace col passato Per poter infine dire: questo

Cancro 21 Giugno – 22 Luglio Ogni volta che ti accade qualche fatto un poco strano La sfortuna ti rincorre, par

che ti ha preso la man/. Se la sfidi e le resisti non ottieni un cambiamento, se l’accogli e la conosci vola via al primo vento. Questo è il trucco che al momento puoi sforzarti di imparare E una volta che lo hai appreso, non potrai dimenticare. Consiglio poetico: C. Bukowski, Rhum e Pera

Leone 23 Luglio - 22 Agosto Questo autunno ormai è sicuro cambierà il tuo futuro. Son le stelle qua a parlare: non ti puoi più rifiutare di cambiare la tua vita, anche se un po’ una salita, il cammino che ti aspetta ti farà arrivare in vetta. Consiglio poetico: G. Lorca, Saprai che non t’amo e che t’amo

Vergine 23 Agosto - 22 Settembre Alla fine dell’estate il sol cambia il suo tramonto E ben presto ti ritrovi per l’inverno ormai già pronto


C O P O Acquario

Corri il rischio dell’amore e vedrai che gran sapore. Consiglio poetico: J. Prevert, 20 gennaio- 18 febbraio Se si inizia lentamente a Canzone del Carceriere cambiar la propria vita Forse a volte può sembrare troppo ardua la salita 22 novembre - 21 dicembre Se si inizia con la corsa preLa vendemmia è già iniziata, sto viene anche l’affanno Se si sta un po’ troppo fermi, l’uva ormai diventa vino si giustifica l’inganno anche l’olio molto presto, È il momento che il tuo avrà un gusto sopraffino. passo trovi ritmo a te Maturati tutti i frutti sotto adeguato il sole dell’estate 23 settembre - 22 ottobreQuando vien l’ispirazione, anche le tue aspirazioni pos- Consiglio poetico: M. Quintana, Canzone del son dirsi realizzate. o il coraggio da leone giorno di sempre È il momento di godere di riaprire certe porte del raccolto effettuato che son state chiuse forte, non si deve più esitare senza senza stare a rinvangare quel pericolo scampato. mai però forzare. 19 febbraio - 20 marzo Con pazienza e con dolcezza, Consiglio poetico: Non mi dire caro Pesci E. Montale, tu ritrovi la fierezza che da tempo tu non riesci poesia n. 5 di Xenia II che ti fa di certo osare a trovar la soluzione e le porte spalancare. per l’annosa situazione. Consiglio poetico: Se tu ascolti attentamente N. Hikmet, il tuo cuor, che mai ti mente, Il più bello dei mari 22 Dicembre -19 Gennaio Che tu voglia soldi o amore, la tua strada troverai, sarà facile, vedrai! il lavoro o affar di cuore il momento è qui arrivato e Consiglio poetico: V. Cardarelli, Gabbiani il tuo sogno realizzato 23 ottobre - 21 novembre Basta prenderne coscienza Per raggiungere una gioia per non farne poi più senza Letizia sGaLaMbro 52 anni, sagittache non venga mai a noia rio, counselor ed esperta di processi Butta a mare il tuo sospetto Il segreto è nel sorriso formativi. crede che per ognuno sia già che ti porta in Paradiso. che distrugge ogni diletto scritto il punto più alto dove possiamo arrivare in questa vita, e che il nostro liConsiglio poetico: Sperimenta la fiducia bero arbitrio ci fa scegliere se raggiune ti accorgerai, non brucia! A. Merini, Le osterie gere quel traguardo o meno.

Ma i colori dell’autunno così accesi e variegati/ Posson dar l’ispirazione per successi inaspettati/ Non temere allor il buio che pian piano adesso arriva,/ là nel fondo del tuo cuore una fiamma brucia viva./ Consiglio poetico: J. L. Borges, Amicizia

Sagittario

Bilancia

Pesci

Capricorno

L'oroscopo? Uno strumento come altri per illuminare la strada.

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Scorpione

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