Erodoto108 Numero Speciale

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ERODOTO108 NUMERO SPECIALE

FOTOGRAFIA EUROPEA OFF

VIA ROMA 2017 Editoriale, di Silvia La Ferrara LA MIGLIORE IMMAGINE DI SÉ racconto di Irene Russo, illustrazione di Nijan Ravi UNO SCATTO LUNGO UN SECOLO, testo di Tiziano Annulli e Maria Teresa Grillo, foto di Giovanni Breschi HOTEL CITY testo e foto di Massimo D’Amato C'È SOLO LA STRADA SU CUI PUOI CONTARE, testo di Letizia Sgalambro LOS INCOMUNICADOS di Teo Vázquez, foto di Massimo D’amato LA VITA È PURO RUMORE FRA DUE INSONDABILI SILENZI Eva De Adamo e i suoni di via Roma, foto di Silvia La Ferrara LE DONNE SONO OSTERIE E SI BEVE A TEMPO Metabolismo di un quartiere antimoderno, testo di Antonio Canovi e Alberto Pioppi CASA D’ALTRI. “Memorie del suolo”, una performance site specific e un tour guidato nelle case private, testo di Pierluigi Tedeschi, foto di Massimo D’Amato TALES OF A URBAN LONELINESS, testo e foto di Michel Gilgen DI LUCE E DI STOFFA, testo di Silvia La Ferrara, foto di Giovanni Breschi STRATI DI PRESENZA, testo di Luana Salvarani, foto di Marcella Fava LO ZIO RITROVATO, testo e foto di Giovanni Breschi DA GUARDARE AL BUIO, testo e foto di Massimo D’Amato LA FABBRICA DI PULCINELLA, testo di Silvia La Ferrara, foto di Giovanni Breschi PRIMA DI TUTTO LA FELICITÀ, testo e foto di Paolo Albera FOTOROSCOPO, di Letizia Sgalambro

REGGIO EMILIA


Ebbene, alle spalle di quei viaggi come Viaggio in Italia del 1984 e in Esplorazioni sulla via Emilia del 1986 c’era un’intuizione di Zavattini: Prendi una carta geografica, chiudi gli occhi, punta il dito, e ti accorgerai che il luogo prescelto, qualunque esso sia, contiene tutto. Ma proprio tutto. Zavattini la chiamava qualsiasità. Gianni Celati

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al 5 al 6 maggio Erodoto si è spostato a Reggio Emilia dove da alcuni anni, durante le giornate inaugurali di Fotografia Europea, un intero quartiere, quello di via Roma/Santa Croce, offre a più di 60 artisti spazi e occasioni per portare l’arte nelle case, nei cortili e nelle strade. In più alcuni fotografi, grafici, artisti del rumore trascorrono una settimana di residenza ospiti del quartiere, durante la quale elaborano un progetto artistico che rimarrà poi nel patrimonio collettivo. Una sedia fucsia esposta sulla via indica che in quel portone, dentro quel cortile o su per la scala si può entrare e che si è anche un po’ desiderati. Grazie alla continua presenza di artisti residenti, alle iniziative dei cittadini (un orto nel parco, rassegne artistiche, cinematografiche e letterarie, laboratori per adulti e bambini progetti con i richiedenti asilo) il quartiere vive tutto l’anno: un piccolo laboratorio del mondo che vorremmo, dove tutto prende vita dal contatto diretto con il luogo, motore principale e non scena degli eventi. Abbiamo giocato anche noi, entrando e uscendo da porte, soglie, vetrine e occupando Ghirba, l’osteria in fondo alla strada, dove abbiamo installato la nostra redazione nel pomeriggio del 6 maggio: il risultato è questo numero speciale, creato sul posto e sul momento, scaricabile on line come sempre, ma anche, inaspettatamente, stampato. Vi si racconta l’atmosfera tradizionale e pop, la passione di chi qui vive, la timidezza di chi vi arriva da lontano, la sorpresa di chi ne scopre la storia, ne condivide il presente o ne intravede il futuro. Osterie, nuove case e vecchi alberghi, negozi di vernici e scuole di fumetto, maschere della commedia dell’arte, mura di palazzi antichi e un grattacielo basso di mattoni faccia vista rivelano una storia collettiva e offrono qualche assaggio di un futuro non troppo retorico e abbastanza scanzonato. Da assaporare ora, perché domani potrebbe già cambiare. Silvia La Ferrara

Il tema di questa edizione di Fotografia Europea OFF in via Roma è “Aiuto, foto cancellate per sbaglio”. Giornate inaugurali dal 5 al 7 maggio, con aperture speciali fino al 14 maggio. Un progetto a cura di Ghirba Biosteria della Gabella,in collaborazione con il Comitato cittadini via Roma e Parco Santa Maria. www.ghirbabiosteria.it #fe2017viaroma ERODOTO108, numero speciale maggio 2017 • Fondatore Marco Turini • Direttore responsabile Andrea Semplici • Redazione del numero speciale Giovanni Breschi, Massimo D’Amato, Silvia La Ferrara, Irene Russo, Letizia Sgalambro • Editor Silvia La Ferrara • Designer Giovanni Breschi • Web designer Allegra Adani Registrata al Tribunale di Firenze Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009


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È difficile far entrare in una fotografia quanto ci sta succedendo. A volte però accade, magari per sbaglio.

RACCOnTO DI IRENE RUSSO

LA MIGLIORE IMMAGINE DI SÉ

ILLUSTRAZIOnE DI NIJAN RAVI

Per tutto il tempo in cui l’uomo restò con la testa dentro alla valigia, agitandosi in pochi centimetri, rimase ferma a guardare le foglie dei tigli per sapere se sarebbero cadute con lei per l’imbarazzo. A volte uno scatto può durare, anche più di un momento.

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ra rimasta in posa per cinque minuti, ferma immobile, finché il fo-

tografo non le aveva dato il permesso di battere le ciglia. Aveva

temperato la matita per gli occhi a colpi di coltello e per tutto il

tempo della posa aveva sentito bruciare le dita, ma almeno così lo sguardo

sembrava più grande dentro alla fotografia. Per arrossare le guance le era bastato pungere il dito sulla prima rosa della strada. E col sangue, seguendo


gli insegnamenti della nonna deportata, pensava di poter consegnare

ma bisognava fare così se si voleva una buona reputazione. Il fotografo

Mentre il fotografo metteva a fuoco un occhio alla volta, cercando di si-

panchina, chiudendo la testa dentro a una valigia piena di oscurità in

un’immagine di vita a chi l’avrebbe giudicata prima o poi.

le disse che poteva muoversi mentre lui avrebbe stampato la foto lì sulla

stemare lo sguardo strabico in una composizione armonica con gli alberi,

ogni tasca. Lei lo vide sparire dalla vita in su e le sembrava strano potersi

era rimasta a fissare un punto preciso davanti a sé per non sentirsi nem-

conservare intatta ora che gli aveva consegnato se stessa dentro a un ret-

meno ubriaca. Aveva imparato a tenere l’equilibrio anche quando il ros-

tangolo di carta e questi poteva farne ciò che gli pareva. Non le appar-

setto sulla bocca superava l’orlo delle labbra soltanto da un lato. Allo

teneva più nemmeno la proporzione che aveva scelto per lasciare

specchio riusciva a restare in piedi fissando un’unica imperfezione. Da-

penzolare il polso.

vanti al fotografo teneva insieme un’espressione d’orgoglio, eretta su

Per tutto il tempo in cui l’uomo restò con la testa dentro alla valigia, agi-

un bustino di pasta verniciata d’oro, sotto alla chioma che non sapeva

tandosi in pochi centimetri, rimase ferma a guardare le foglie dei tigli

ridere della colla a presa rapida sui ciuffi ribelli. Nel tempo della posa,

per sapere se sarebbero cadute con lei per l’imbarazzo.

Non avrebbe mai voluto addormentarsi durante quei cinque minuti per-

di scatto, tra le dita aveva una foto bianca in ogni angolo e senza alcuna

sentì crollare solo un paio di capelli che fecero meno rumore dello scatto.

Ma quando il fotografo tirò fuori la testa dal telo scuro e chiuse la valigia

ché il risultato, sapeva già, sarebbe stato un rivolo di bava di solito a de-

figura, come mai gli era capitato. Ficcò l’occhio dentro alla camera per

stra fino al mento. E non c’era il foulard a coprirla mentre esponeva il

verificare che non ci fosse niente di guasto, poi controllò dentro alla

fino al naso e lasciarlo spiegare alle palpebre. Stava per consegnare la

la donna da vicino nel dubbio che fosse impossibile costringerla dentro

collo lungo per una fotografia riuscita, con cui coprire il sonno almeno

stoffa se l’immagine si fosse impigliata in una piega di troppo. Osservò

migliore immagine di sé prima di diventare inutile, una persona docu-

a una pellicola, per una magia delle ciglia, ma lei non riusciva a star

mentata a sufficienza da poter sparire senza che nessuno più dubitasse

ferma per la contentezza di trovarsi ancora tutta intera senza un graffio,

si accorgesse poco di come le spalle del ritratto si stavano abbassando

cellata per sbaglio.

della sua esistenza. Il fotografo sembrava la persona giusta nonostante

in ogni dettaglio perfettamente riconoscibile nel bianco della foto can-

nel frattempo. Un difetto che non era riuscita a correggere anzitempo

stando dietro alle lavagne in punizione. Per tenersi sveglia rimase a fis-

IRENE RUSSO, 38 anni, siciliana, vive a Reggio Emilia. è copywriter specializzata in storytelling e green marketing. NIjAN RAVI è nato a Palermo, nello stesso giorno di Michelangelo, 20 anni fa: i suoi genitori erano da poco arrivati dallo SriLanka e nel Regno Unito era stata appena clonata la pecora Dolly. Lavora e sogna per diventare animatore/illustratore, si diletta a fare video e foto e adora la pizza.

sare il cratere della macchina, che catturava tutte queste impressioni consecutive senza per questo leggerle i pensieri.

Niente di quanto stava succedendo poteva stare dentro alla fotografia,

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Con nicolas Boria in un viaggio a ritroso nel tempo, grazie a un banco ottico dei primi del novecento

UNO SCATTO LUNGO UN SECOLO

La fotografia riacquista la sua forza originaria: la possibilità di catturare un istante rendendolo eterno testo di Tiziano Annulli e Maria Teresa Grillo foto di Giovanni Breschi

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ome agli albori della tecnica fotografica, nicolas Boria cattura le immagini con uno strumento completamente analogico: una macchina fotografica a soffietto vecchia di un secolo e una camera oscura portatile per lo sviluppo istantaneo. Proprio come un fotografo ambulante. Francese di nascita, fotografo d’arte e ricercatore accademico, nicolas vive e lavora tra Torino e Parigi. Interprete di un singolare viaggio a ritroso nel tempo ha cominciato il suo percorso partendo da una reflex digitale nel 2008 e si è col tempo avvicinato a una sperimentazione intimista che lo ha condotto ad abbandonare il supporto digitale e preferire quelli analogico «per la sua intrinseca poesia, per il valore particolare che dà a ogni immagine e per le infinite possibilità da esplorare che offrono i procedimenti chimici dello sviluppo». Selfie-stick, smartphone e fotocamere moderne non esistono: con il progetto Camera oscura ambulante, iniziato nel 2015 dopo varie mostre in Francia, Italia, Germania, Polonia e Svizzera, nicolas ha sperimentato un ritorno al passato che sostituisce all’istantaneità dello scatto contemporaneo, moltiplicabile all’infinito, la permanenza e la singolarità del ritratto sviluppato nella camera oscura. La fotografia riacquista così la sua forza originaria: la possibilità di catturare un istante rendendolo eterno, la proiezione nel futuro – grazie agli strumenti del passato – in netta contrapposizione alla presentificazione coatta dentro la quale ci trascinano i social network come instagram. La fotografia prima dell’epoca della sua riproducibilità digitale, insomma: se i risultati possono perdere in precisione, messa a fuoco e

definizione, di sicuro ne guadagna la magia della composizione e dello sviluppo. In occasione della posa, il pubblico può assistere allo sviluppo delle foto e ricevere spiegazioni sul procedimento, dal funzionamento della macchina al principio negativo-positivo, il tutto in circa venti minuti. In questo modo durante la residenza d’artista a Reggio Emilia nell’ambito del circuito Off di Fotografia Europea in via Roma, nicolas ha ritratto luoghi e abitanti del quartiere e ha sviluppato le foto sul posto. Poi ha strappato negativo e positivo in due parti: una è esposta alla Osteria Ghirba nella mostra che si intitola “Symposium”, l’altra è in mano al protagonista, invitato a riportarla per ricomporre l’opera. Dal 5 al 7 maggio sono “tornate” 4 foto, altre aspettano ancora le loro metà. Ma sappiamo che c’è tempo.

Tiziano Annulli è nato in provincia di Viterbo trentacinque anni fa. Ha vissuto per qualche anno a Siena, Parigi, Bologna e dal 2012 lavora a Reggio Emilia. Semiologo e aspirante ricercatore, poi redattore, project manager e responsabile comunicazione, dal 2015 si occupa di produzioni video e web. Maria Teresa Grillo, trentadue anni, è nata a Tropea e dal 2012 vive a Reggio Emilia. nel corso di un semicosciente peregrinare è stata: studentessa di antropologia, cameriera, baby sitter, commessa, stagista, correttrice di bozze, editor, ghostwriter. Oggi è copywriter e fa parte della redazione di lavoroculturale.org. 8


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Le foto dei richiedenti asilo in mostra nel luogo che li ospita

HOTEL CITY testo e foto di Massimo D’Amato

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uando alcuni abitanti di via Roma quattro anni fa iniziarono ad aprire case, cortili e cantine per ospitare mostre in occasione di Fotografia Europea, fu subito chiaro che il cuore dell’evento avrebbe dovuto essere l’Hotel City, punto d’approdo di profughi, immigrati e persone sole, centro del quartiere per posizione, frequentazione e soprattutto perché è spesso da qui che corpi e mondi altri e lontani escono sulla strada a dire “ci sono”. Edizione dopo edizione questo albergo ha ospitato racconti fotografici, dj set, vernici. Quest’anno vi si può visitare la mostra realizzata da alcuni nuovi abitanti di via Roma, arrivati da altri Paesi e spediti qui in attesa dei documenti senza sapere nulla della città. Ilaria Crosta e Niccolò Hebel hanno passato un paio di settimane ospiti del quartiere per lavorare con loro. Il titolo del progetto, che ha anche prodotto una bella fanzine, è la formula di saluto usata dai richiedenti asilo di lingua inglese: “How far now?”

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L’insegna luminosa “Hotel” bianca e celeste, con una freccia e due stelle, ti guida verso le scale. Le pareti hanno il colore sbiadito dal neon, e al primo piano si aprono le porte di una saletta con la televisione e di una portineria. Sono stanze dall’aspetto vissuto, dove si incontra molta gente. La prima serie di fotografie è davanti alla macchina del caffè, le altre sono lungo le scale che continuano a salire e sulle pareti di ogni pianerottolo. Tanti fogli di carta attaccati al muro con lo scotch, non sempre diritti: volti, interni di camere con cuscini e lenzuoli, una cabina telefonica, una ragazza con le mani infilate nella tasca del giubbotto. Immagini di vita quotidiana raccolte dagli ospiti di questo hotel, richiedenti asilo che vengono dall’Africa e dall’Asia; fotografie scattate con macchine usa e getta, insieme a Ilaria Crosta e niccolò Hebel che hanno coordinato il progetto “How Far now”. Davanti a questi fogli di carta passano i fotografi e i fotografati, ripetendo la quotidianità; le immagini parlano con gli stessi ambienti che rappresentano, accanto alle scarpe e i vestiti stesi per asciugare. Bello!


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MASSIMO D’AMATO 59 anni, fotografo impegnato nel sociale. Con Biancalisa Conti, Fotomorgana e Letizia Sgalambro ha costituito l’associazione Azzerokm per raccontare storie individuali e collettive.


In questo quartiere di Reggio Emilia si fa comunità fra chi legge il manifesto e chi compra il Giornale, fra chi mangia vegano e chi adora la carne. Gli stereotipi di identità politica o culturale qui non funzionano tanto.

C’È SOLO LA STRADA SU CUI PUOI CONTARE Una comunità esiste quando riesce a “trovare posto”.

testo di Letizia Sgalambro

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l senso di comunità che ho sentito in via Roma mi ha fatto ricordare Gaber: questo posto mi è parso la realizzazione della sua canzone La strada. Solo la voglia di fare le cose insieme permette di realizzare 60 mostre e installazioni in 500 metri di strada. Solo la voglia di condividere permette di ospitare sconosciuti in casa, sia per più giorni nel caso delle residenze d’artista, sia per le performance del progetto Memorie del suolo che conduce gruppi di 18-20 persone in giro per le abitazioni private dove delicate signore, fan dei Led Zeppelin, insospettabili dancer domestiche mostrano se stessi e la loro intimità. Cosa significa fare comunità? È essenziale condividere valori e ideali? Si deve essere uguali? Avere le stesse idee politiche? Condividere passati comuni? La risposta di via Roma sembra essere no. Qui, dove da ottobre a maggio un centinaio di persone si ritrova per organizzare dal basso il circuito off di via Roma di Fotografia Europea, dove alcuni residenti coltivano nel parco un orto collettivo insieme ad alcuni richiedenti asilo, pare abbastanza evidente che si fa comunità più facilmente quando si è poco omogenei, quando si arriva da fuori, quando, dopo aver lasciato le proprie radici, si ha bisogno di trovare nuovi punti di riferimento. Si fa comunità partendo dalla propria fragilità, quando sei consapevole di avere bisogno, ma non vuoi solo prendere, hai voglia anche di dare, di essere riconosciuto per ciò che sei e di diventare qualcos’altro da quello che eri. E allora si fa comunità anche fra chi legge il manifesto e chi compra il Giornale, fra chi mangia vegano e chi adora la carne, perché gli stereotipi di identità politica o culturale qui non funzionano tanto. Fare comunità permette di creare, di sperimentare e sperimentarsi, abbandonando la paura del giudizio, andando oltre ai luoghi comuni. Ci si sente liberi di stare dentro a qualcosa, di appartenere, e di uscirne quando c’è invece bisogno di privato. La mancanza di istituzionalità in questo aiuta: ogni giorno è una scelta, mai un obbligo. Immagino che non sia sempre tutto rose e fiori, che gli scontri ci siano, che alcuni progetti non vadano in porto, ma ciò che lega non è andare sempre d’accordo o non litigare. Ciò che unisce sono la volontà e la capacità di esprimersi nonostante le differenze, di capirsi o anche di non capirsi a volte, ma in ogni caso accogliersi. Per tornare a parlare con le parole di Gaber, trovare posto per verifica e confronto, sulla strada e fuori.

foto Davide Palmisano

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Volti e corpi realizzati e incollati da Teo Vázquez

LOS INCOMUNICADOS foto di Massimo D’Amato

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eo vive a Barcellona e realizza opere di fotografia documentaria e ritrattistica a partire da un approccio diretto sul campo, con un modo di lavorare molto vicino alla Street-Art. In quest’opera attaccata ai muri di via Roma in una settimana di lavoro intensissimo, anche a causa delle piogge, presenta uomini e donne che usano il telefonino, fotografati nel corso di viaggi in giro per il mondo. Vengono messe in discussione le nuove tecnologie di comunicazione che accorciano certe distanze e ne creano altre: sulla strada puoi contare sempre, come canta Gaber, però magari potresti camminare senza guardare sempre il cellulare.

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Eva De Adamo e i suoni di via Roma

LA VITA È PURO RUMORE FRA DUE INSONDABILI SILENZI

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a frase è di Isabel Allende e l'elettrorumorista Eva De Adamo l’ha scelta per raccontare la sua passione per i suoni: dallo studio delle opere del futurista Luigi Russolo che invitava ad "attraversare le città con orecchie più attente degli occhi" alle vie affollate e polverose del Cairo, dalle esperienze pionieristiche con i primi computer progettati per realizzare musica (il famoso Atari) alle straordinarie possibilità offerte dai campionatori, all'interazione tra strumenti tradizionali e nuove tecnologie. Il rumore è per lei una metafora della vita e per questo è stata invitata in via Roma a registrare suoni, voci, rumori per realizzare un’opera sonora dedicata al quartiere. È nata così InCanto, una traccia ascoltabile nell’audioguida di quartiere VIA ROMA TRIP (gratuita su App Store e Google Play) grazie alla quale è possibile citofonare agli abitanti per sentire le loro storie.


Qual è la matrice ambientale del quartiere di via Roma? Quanto un luogo e la sua storia riescono a determinare attitudini e caratteristiche delle persone che lo abitano?

LE DONNE SONO OSTERIE E SI BEVE A TEMPO testo di Antonio Canovi e Alberto Pioppi

Metabolismo di un quartiere antimoderno

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ttraversato da continui cambiamenti ma ritenuto dalla città poco attraversabile, il quartiere di via Roma è sempre stato un luogo in trasformazione, a partire dal nome della strada, cardo della Reggio romana, che era in origine Santa Croce, fu cambiato in De Amicis sotto i Savoia e poi in via Roma durante il fascismo. Che sventra e rade al suolo le vie malfamate e puzzolenti di Borgo Emilio e Franco Tetto, spostando gli abitanti in altre zone della città. Segue l’inevitabile chiusura di molte delle numerose osterie – quasi tutte gestite da donne – nelle quali manovali, carpentieri e artigiani bevevano “a tempo” e parlavano l’arsave, il dialetto reggiano alla rovescia: un codice linguistico che assicurava l’impunità ai ladri di uova e di galline e identificava immediatamente gli infiltrati della milizia o gli agenti dell’Ovra. Il quartiere a questo punto della storia ha una lingua, una suo codice comportamentale – la “ligera” – e i suoi abitanti si autodefiniscono “popol gióst”, popolo giusto. Al n.13 di vicolo Venezia resiste la scritta "Il popol gióst vuole la neve" (è stata rifatta negli anni Cinquanta, ma la sua storicità è confermata dalle fonti): inizialmente era un augurio per i più poveri che quando nevicava lavoravano come spalaneve, nel linguaggio antifascista alludeva all’attesa della caduta del Regime. Dopo il fascismo anche le giunte rosse del dopoguerra tentano di mettere ordine in questo piccolo mondo di confine, un pezzo di città borderline dove si tengono polli sui tetti e si curano le viti e dove una come la Priama Gelati, di famiglia bolognese rossa e pasionaria, si permette una vita libera e fuori dagli schemi e gioca a fare la diva sulle botti dell’osteria. Poi a un certo punto il popol gióst sembra non esserci più e resta solo un mito da rispolverare di tanto in tanto; il quartiere pare diventare un 16


po’ anonimo, poco interessante, si inizia a parlare di degrado. Ma il degrado è una componente fondamentale del processo di metabolismo che determina accrescimento, rinnovamento e mantenimento degli organismi viventi. E il metabolismo di via Roma non ha mai smesso di lavorare. Le memorie scorrono carsiche e a un certo punto arriva da luoghi diversi gente nuova che ha i suoi affetti altrove, ha già compiuto le sue trasformazioni generazionali, non è di qui, ma è di qui più di quanto sarebbe se ci fosse nata perché vive questo quartiere come un luogo di metabolismo. Si aprono attività, un’osteria di donne a un capo della strada e all’altro capo un’altra osteria che prende il nome di popol gióst. Vengono a vivere nel quartiere giovani e meno giovani da diverse parti d’Italia perché gli affitti costano poco. Arrivano immigrati e ora fanno tappa qui rifugiati politici, una nuova sfida per il metabolismo di questo luogo che fu un tempo sottoproletario, che usava meccanismi e codici intangibili e si autorappresentava in modo poco sociale mentre ora vola sui social ed è portato a esempio dall’amministrazione comunale. Un luogo che si è difeso, si è rintanato ed ora è uscito di nuovo allo scoperto. Il suo fascino è di essere un quartiere non tanto premoderno quanto piuttosto antimoderno: quello che succede qui in occasione di Fotografia europea, ma anche in altri momenti, è la rivelazione di una sorta di intelligenza collettiva che anima un nuovo popolo giusto. E dal corpo di questo popolo giusto si entra e si esce: le sedie fuori dalla porta invitano a infilarsi nelle case, nei cortili, nei terrazzini, nelle cantine, come nella prima metà del secolo scorso le ostesse e le prostitute invitavano i clienti a entrare tra gli odori forti e la puzza delle galline. E oggi come allora entrare in quelle porte vuol dire entrare nelle storie di coloro che le abitano.

Antonio Canovi, reggiano, 58 anni, è storico del tempo presente, ma ne sa qualcosa anche del passato. Ha lavorato in Argentina, Francia, Belgio e ora in Svezia dove sta lavorando a un progetto di banca dati sulle lotte ambientali in Campania. Alberto Pioppi, 43 anni reggiano,sociologo del territorio, si occupa di ricerche incentrate sulla comunità e sui cambiamenti del quotidiano. 17

La Priama prova la scena della botte imitando Silvana Mangano, 1954. Archivio Celati


Come nel racconto perfetto di Silvio D’Arzo che riporta la lunga e tagliente confessione di un’anziana lavandaia a un parroco di campagna, alcuni abitanti di via Roma hanno deciso di raccontare se stessi e i propri spazi

CASA D’ALTRI

“Memorie del suolo”, una performance site specific e un tour guidato nelle case private ideati e realizzati dalla Compagnia Pietribiasi Tedeschi testo di Pierluigi Tedeschi foto di Massimo D’Amato

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er realizzare una performance teatrale che riattraversasse la storia del quartiere siamo partiti dal lavoro di ricerca storica e antropologica del geostorico Antonio Canovi per approdare alla contemporaneità: al qui e ora di via Roma che ci ha visti impegnati in oltre trenta video-interviste agli abitanti del quartiere, raccolte tra l’autunno del 2016 e l’aprile 2017. Entrando nelle abitazioni per le interviste abbiamo percepito che sarebbe stato molto emozionante poter restituire le nostre sensazioni a un pubblico più vasto e abbiamo iniziato ad accarezzare l’idea di proporre un tour in alcune case private del quartiere, mettendo in gioco gli abitanti come performer. Entrare in casa di altri è sempre attraversare una soglia, penetrare in un microcosmo di oggetti, segni, odori, spazi intimi. Qualcuno deve accompagnarti perché tu possa varcare e non violare quella soglia ed è comunque nella maggioranza delle situazioni una relazione tra persone conosciute o comunque non anonime, non qualsiasi. non ci ha mosso il piacere velleitario, voyeuristico, quasi pornografico di mostrare spazi e vita privata. Ci siamo presi il tempo d’incontrare, di conoscere alcuni abitanti, di capire la loro storia, la loro disponibilità e il percorso non è stato né lineare né immediato: tanti, per quanto incuriositi, hanno preferito rifiutare, non farsi coinvolgere, difendere il proprio vissuto e la propria intimità domestica dagli sconosciuti. Chi ha condiviso fino in fondo il percorso ha imparato a fidarsi: di noi, del nostro sguardo sulla loro casa e sul loro agire e anche degli sconosciuti che sarebbero arrivati. L’esito finale è stata una partecipazione oltre ogni aspettativa, una risposta entusiasta, emozionata, rispettosa. Il pubblico ha saputo cogliere il senso di dono di tutto il percorso: le persone di volta in volta presenti sono entrate in punta di piedi e sono rimaste in un ascolto attento, in un coinvolgimento empatico, con il sorriso o con l’occhio lucido, fuori da ogni retorica o facile curiosità.

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VIAROMA#MEMORIEDELSUOLO, Compagnia Pietribiasi/Tedeschi La performance realizzata alla Camera del lavoro territoriale in via Roma, 53 è un viaggio tra dentro e fuori, privato e pubblico, tra galline e parole alla rovescia, che non si lasciano scrivere in punta di penna. Il tour nelle case private di via Roma propone un attraversamento del quartiere condotti da una guida d’eccezione, per cogliere relazioni e identità. Repliche il 13 maggio 2017. La performance è ad accesso libero, per il tour è necessario prenotare (0522 1607188; memoriedelsuolo@gmail.com) 19

Pierluigi Tedeschi è reggiano e ha 54 anni. Fa il veterinario, scrive e recita. nel 2012 ha fondato assieme a Cinzia Pietribiasi, la Compagnia Pietribiasi/Tedeschi.


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i sento impreparata alla mia vita di oggi, al mio futuro quotidiano, sento che è passato tanto tempo,che è stato tanto pieno di cose, di persone, di situazioni, di momenti, di relazioni, di tante bellezze e di altrettante salite e ho il sentimento reale che il tempo che mi rimane è molto meno rispetto a quello trascorso. Tanta vita se ne è andata. Il mio senso di inadeguatezza, dicono, è quello delle persone mature di oggi, della società attuale che ti richiede sempre di essere performante, all'altezza, esige che tu sia, fino alla fine,

in forma e produttiva di qualcosa. Invece la bellezza dell'età matura è tenere, mantenere l'essenziale e ascoltare la vita e viverla con calma vivace o vivacità calma, con il piacere di osservare le cose che succedono. Lo studio della mia anima è difficile ma mi piace, è con lei che mi ritrovo a parlare ed è lei che mi spinge a vivere senza paura. Elisabetta Spadaccini


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iuliana racconta i suoi cari attraverso le foto di famiglia. Gli uccellini cantano e Davide suona per sempre l’attacco di Stairway to Heaven. I mobili sono troppi per una casa piccola, ma sono un ricordo della sorella e come si fa a buttarli via? non c’è nessuna fretta: la fragilità qui è un dono, scalda il cuore più del caffè.

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Mi interessano le forme e gli schemi, la patina e il gioco di luci e ombre. La mia fotografia è l'espressione del mio desiderio.

TALES OF A URBAN LONELINESS testo e foto di Michel Gilgen

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Michel Gilgen, di Zurigo, ha studiato fotografia e lm/video presso la Hochschule für Kunst und Gestaltung di Lucerne. Ha esposto in Svizzera e Francia e pubblica su Photo-Journals per Collection Item.

uando arrivo per la prima volta in una città nuova, nel momento in cui in mi infilo nelle vie e mi faccio assorbire dall'atmosfera del luogo il mio cuore si riempie di eccitazione. Sono troppe le cose da guardare, troppo forti le impressioni e vorrei esplorarle tutte in un solo momento. Alcuni potrebbero pensare che mi piace il lato trasandato della vita e che sono spinto da desideri voyeuristici, invece mi interessano le forme e gli schemi, la patina e il gioco di luci e ombre. Sono attratto dall'ignoto e mi piace il sentimento che si prova quando ci si perde. Amo la notte e talvolta i riflessi della luci mi tolgono il fiato. Mi piace l'odore di un vicolo buio, l'atmosfera cupa dei cortili abbandonati e quelle notti in cui tutte le cose sembrano addormentate. Quando ci sono persone nelle mie immagini funzionano spesso come elementi della composizione, in un tentativo di abbinare le mie percezioni con l’idea che ho della poesia visiva. Ho un’attrazione costante verso le cose ordinarie, mi attraggono le persone ordinarie. Alcuni miei scatti sono frutto di un pensiero gilgeno di un senso di emergenza, altri invece rispondono soltanto alla mia curiosità. In ogni caso, scattare è in qualche modo il mio mestiere ed è una scusa perfetta per alimentare il piacere profondo che provo a girare da solo e osservare la vita della strada. Forse sto soltanto registrando la mia realtà visiva: questo probabilmente è quello che mi spinge e la mia fotografia è l'espressione del mio desiderio. Quando mi è stata proposta una settimana di residenza artistica non sapevo bene cosa aspettarmi: sono stato spinto dalla curiosità. non sapevo niente di questo posto e ho provato ad abbinare le mie esplorazioni di questo piccolo e interessantissimo universo reggiano con la mia attitudine a collezionare ricordi visivi come fotografie. Tutte le immagini presenti nella mostra sono state realizzate nel breve periodo di residenza a Reggio Emilia. 22


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DI LUCE E DI STOFFA

Gli arazzi fotografici di Sara Lando: uno sguardo appartato sugli abitanti di via Roma

“Mi piacciono gli individui, ho paura delle persone” testo di Silvia La Ferrara

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a vedi vicino alle grandi tele stampate con i ritratti di alcuni abitanti di via Roma e pare fragile e delicata, sembra che possa volare via con il vento come una pezza di cotone. Ma la stoffa della quale è fatta Sara Lando tiene e non si strappa, da quando, iscritta al corso di Design del Politecnico di Milano, compra una macchina fotografica per riprendere i suoi lavori: non è una da colpi di fulmine, però è allora che comincia a scattare, per non smettere più. Studia alla Rhode Island School of Design a Providence, lavora un po’ in una agenzia pubblicitaria, apre con il marito Papermoustache che offre servizi nel settore della grafica web, ma soprattutto dedica tanto tantissimo tempo alla fotografia. Del resto dichiara che sue ispiratrici sono Francesca Woodman e Diane Arbus, insieme alle opere di Hieronymus Bosch. È pure attivissima in rete, tanto che si è definita in una intervista una sorta di “gramigna multimediale”: Flickr, un sito web e un blog, Pinterest, e il geniale Gruppo di Supporto Fotografi Pigri. non si pensi però a una smanettona approssimativa: Sara è artigiana precisa e paziente.

Sceglie il ritratto, perché forse è il dettaglio che la prende, in un paesaggio temerei per lei, si perderebbe. Così nella sua settimana di residenza nel quartiere ha cercato gli abitanti meno visibili, quelli un po’ appartati che danno poco nell’occhio e magari un po’ si ritraggono. Ha coperto con tempera grattata i loro volti, forse per aiutarli a non essere troppo visibili. Ha rifotografato il risultato e lo ha stampato su tela: grandi arazzi che non sembrano grandi e che non incombono, sui quali ha ricamato le parole raccolte dai soggetti ritratti sul concetto di “casa”. VIA ROMA - REMIXED è al civico 30. Entrate con calma ed esplorate con gli occhi e le mani: potete toccare la stoffa. 24

SILVIA LA FERRARA, 49 anni, irpina, romagnola e da più di vent’anni emiliana. Insegna, viaggia e quando può canta il gregoriano.


foto di Manuela Marchetti

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Elena Marsico e i mezzi busti dei commercianti di via Roma

STRATI DI PRESENZA

La carta giapponese richiede di venire a patti con le regole degli strati e le proprietà fisiche della colla: forse è molto più ragionevole di tutti noi testo di Luana Salvarani foto di Marcella Fava

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e silhouette a mezzo busto troneggiano alla cassa di un fruttivendolo e di una pasticceria; presiedono allo scaffale dei liquori in un bar; dialogano con il proprio alter ego umano davanti a Ganesha dalla testa d’elefante o a quella che sembra la foto di un matrimonio. Ora esposte nella mostra “Sguardi” alla Scuola di Comics, le opere di Elena Marsico troveranno poi una collocazione permanente in via Roma. Questa artista della carta giapponese, tecnica di incollatura più raffinata e definita rispetto alla cartapesta, è stata ospite del quartiere al quale lascia come patrimonio artistico collettivo questa bella serie di riproduzioni artistiche dei volti dei commercianti. La cosa che colpisce di più a prima vista è lo spessore dei mezzi busti. L’imprinting settecentesco della silhouette, sottile come un foglio di carta, lieve e un po’ frivola come un profilo del povero Mozart sui cioccolatini (di tutto si aspettava fuorché diventare l’emblema di diverse marche dolciarie), sparisce totalmente nella corporeità massiccia, solida, nella presenza imperiosa delle sagome della Marsico. Sono sicuramente leggere perché è carta, ma non mancano di corpo: lo spessore di diversi centimetri e il taglio definito dei ritratti, con forti contrasti e profili neri, le accomuna più alla pietra o al legno che alla carta. Questo ci dice qualcosa dell’arte della Marsico che è propriamente un ritorno alla materia. nel suo sito (http://www.cartapazza.it) Elena ci racconta del passato di musicista e del suo avvicinarsi progressivo alle arti visive/tattili, dagli arazzi alla pittura, fino alla carta giapponese. Forse fosse stato un oboe o le percussioni, il contatto diretto con la fisicità del fiato e del contatto le avrebbe dato più soddisfazione; ma l’impalpabilità dello strumento a pizzico probabilmente non colmava l’esigenza di toccare, modellare, materializzare un’idea. Così è arrivata la carta giapponese, che oltre a essere solida una volta incollata è pure precisa, foglio su foglio. Perché è anche di precisione che le sue creazioni ci parlano, di una ricerca di ordine e geometria, di linee pure nel caos del reale. Un’altra esperienza che Elena Marsico ci presenta come fondamentale è quella del suo laboratorio con i disabili psichici. Intere correnti dell’arte del novecento hanno tratto ispirazione 26


dall’incontro con il segno irregolare, con l’ispirazione brut che accomuna la prima infanzia e il disagio mentale (ma non va più di moda dirlo, ora che ogni improbabile scarabocchio prodotto a quattro anni viene riprodotto, plastificato e celebrato come se fosse un’opera d’arte consapevole). Qui però non è tanto il “primitivo” ad agire ma il bisogno di dare forma. L’immaginazione sfrenata può ben esprimersi nell’action painting o in altre forme immediate, ma la carta giapponese richiede tempo e pazienza. Ogni fantasma, anche il più perturbante, deve venire a patti con le regole degli strati e le proprietà fisiche della colla: concentrandosi in linee eleganti e dense, in profili netti e nel peso di una materia leggera ma presente. La carta è pazza? Probabilmente è invece molto più ragionevole di tutti noi. O meglio ci aiuta a trasformare l’incomunicabile in razionale, il bello (che non serve a niente perché ognuno ha il suo) in un oggetto che si impone e ci costringe ad ascoltarlo.

MARCEllA FAvA, 29 anni, di Reggio Emilia, è una fotografa a cui piacciono la musica celtica, la cioccolata, le bistecche con purè, le serie tv, i film fantasy, i tatuaggi e viaggiare tantissimo. Lavora come fotografa a Reggio Emilia dove insieme al suo socio, Simone Chierici, videomaker, ha aperto The Rainy Island Studio. luAnA SAlvARAni, reggiana, 44 anni, ex-filologa, ex-insegnante ed ex-musicista praticante, per ora storica dell’educazione, ove ha trovato il modo di gabellare la sua fissazione per il western per una cosa seria. In attesa del prossimo prefisso ex-, nuota, non beve alcoolici e va a letto presto. 27


LO ZIO RITROVATO testo e foto di Giovanni Breschi

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ra tutto nella scatola riposta in un cassetto dell’armadio. Lo zio Angelo è apparso dopo anni con le sue foto, con i selfie degli anni Sessanta fatti con il cavalletto e con i 10 secondi per correre, mettersi in posa, indossare gli oggetti e volare nel mondo che voleva.

Lo zio Angelo voleva fare il fotografo, ma i genitori non vollero, continuò a lavorare nei campi, ma quando poteva correva a fotografare. Fotografava se stesso con il cane di ceramica e la frutta vera, con il corno-veliero, o mentre faceva un safari nel giardino. È la magia della fotografia, dove costruisci ricordi veri o falsi che siano, ma esistono, sono documentati. Lo zio Angelo sapeva che un giorno sarebbe arrivato a Fotografia Europea, Circuito Off di via Roma. Le foto dello zio Angelo sono esposte al LABART (PARCO SAnTA MARIA) all’interno della mostra CAMERA PRIVATA, un’installazione collettiva di Fonderia 20.9 (Chiara Bandino, Giulia Bianchi, Aminta Pierri, Tommaso Mori, Emanuele Brutti) in collaborazione con la casa editrice indipendente Balterbooks. L’archivio è luogo riposto, eppure scottante, in cui gli artisti affondano le mani. GIOVANNI BRESCHI, 65 anni, grafico poi anche fotografo. Ogni viaggio, anche piccolo diventa un motivo per trovare una storia. Poi la racconta con la grafica o la fotografia, anche mescolandole. 28


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na serie di immagini a colori di piccola dimensione (239x155 mm.) disposte sulla stessa linea, sopra una parete bianca: ? la mostra di Alessandro Ruzzier, allestita insieme agli abiti da sposa di “Come in una Favola”. Vintage, perle e cravatte di seta con il minimalismo dell’esposizione e dei prospetti delle abitazioni fotografate di notte, il 29 settembre 2015, a San Vito in Tagliamento. I colori dominanti risaltano per la lunga esposizione, e le ombre di alberi e cancelli arricchiscono la composizione. “Ma sono immagini da guardare al buio, quando l’occhio comincia a intravedere...” ci avvisa l’autore.

Alessandro Ruzzier, Custodia: immagini di una città raccolte in una notte

DA GUARDARE AL BUIO testo e foto di Massimo D’Amato

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ALBUM, RICORDI IN CONSERVA REGGIO EMILIA SPECIAL EDITIOn Studio Pace10 (Monica Scardecchia e Gianfranco Maggio). Si può conservare un ricordo per sempre, o ha una data di scadenza? Ecco l’archetipo che si nasconde dietro il gesto di conservare.

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NELLO STUDIO DI ANTONIO FAVA, NEL CUORE DI VIA ROMA

LA FABBRICA DI PULCINELLA

Maschere e matrici di legno, foto di Rossini e dell’uomo di Leonardo, libri, velluti rossi: lo spettacolo si fa con tutto. testo di Silvia La Ferrara foto di Giovanni Breschi

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a giovane Antonio Fava da Scandale (Crotone), trasferitosi presto a Reggio Emilia con la famiglia, fa il musicista e il cantante e gira il mondo. In Francia assiste ad alcuni rifacimenti di spettacoli di Commedia dell’arte che non lo convincono molto: l’idea dei guitti improvvisati e scalcinati va poco d’accordo con la precisione, la cura e la professionalità tecnico-artigianale dell’epoca rinascimentale nella quale questa forma d’arte è nata. Così Antonio inizia a studiare, agguerrito, serio e appassionato e oggi la sua attività attoriale e autoriale si alterna con l’insegnamento in accademie e università di molte città europee e americane. Per mostrare, raccontare, rappresentare cosa fu e cosa ancora può essere una cultura teatrale che invece di frazionare e separare sappia unire con gusto e sapienza comico e dramma, corpo e voce, parola e movimento. Ha anche ritrovato la radice della sua vocazione: in famiglia non si diceva, perché non pareva cosa di cui vantarsi, ma il padre di Antonio, Tommaso, era un Pulcinella. Prima barbiere, poi fruttivendolo, nel tempo libero ricopriva il fondamentale ruolo sociale di “pubblico divertitore” del paese e recitava con la maschera disarmata (cioè alzata sopra la testa) come insegna. Le maschere di Antonio Fava oggi sono sui visi dei Pulcinella di tutto il mondo, 32


ordinabili on line da un ampio e accurato catalogo. Scolpite nel legno le matrici, la pelle bagnata vi viene modellata sopra sino a ottenere la forma e poi rifinita, con le stesse tecniche e gli stessi materiali in uso sin dalle origine della Commedia dell’Arte. Vecchi, innamorati, servi, capitani e satiri cornuti: Antonio ha per tutti una storia che si racconta in una piega del sopracciglio, alla base di un naso, con gli angoli di una bocca. Il suo studio al piano terra della casa in via Roma è rifugio, pensatoio, biblioteca e laboratorio. Tra una foto di Rossini e una riproduzione dell’uomo vitruviano di Leonardo, una maschera africana e una tenda di velluto rosso, qui c’è tutto: un’epifania dello “spettacolo”, fatto, come scrive nel suo sito questo Pulcinella preciso e implacabile, “col corpo, la mente, l’anima, e manualmente fabbricando tutto”.

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In via Roma in una giornata di pioggiati accorgi di cose apparentemente scontate.

Sotto i portici dell’Upim c'è una bilancia pesa persone automatica di precisione. Ci hai mai visto nessuno sopra a controllare il suo peso? testo e foto di Paolo Albera

PRIMA DI TUTTO LA FELICITÀ

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n via Roma c'è una bilancia pesa persone automatica di precisione. Ti chiede una monetina e ti dice quanto pesi. Sta sotto i portici davanti all'Upim: me ne sono accorto sabato mentre mi riparavo dalla pioggia. Un diluvio torrenziale incredibile. Qualunque forestiero sia venuto al festival di Fotografia Europea nel weekend tra il 5 e il 7 maggio, per ripararsi dalla pioggia ha sviluppato nella propria testa una mappatura precisissima di tutti i portici di Reggio Emilia. Per ripararti dalla pioggia impari più velocemente dove sono i bar. Entri più facilmente negli androni aperti che ospitano le mostre OFF. Ti accorgi di cose apparentemente scontate come, per esempio, una bilancia pesa persone automatica di precisione. In tutte le città siamo abituati ad avere qualche bilancia. Le puoi trovare in farmacia, e allora ci fai caso. Ma quando sono sui marciapiedi difficilmente ti restano in mente. Cabine telefoniche. Cabine per fototessere. Fontanelle varie. Il famoso Public Jukebox in Piazza 34

della Vittoria. Tutte le cose di questo genere, che stanno in strada per erogarti un servizio, sai dove sono anche se non le usi. Ma una bilancia: boh? La bilancia pubblica è il massimo dell'invisibilità, dell'anonimato, dell'inutilizzo. Trattasi di genere più voluttuario, dunque meno incline al pubblico e più al privato. Scommetto che non ci hai mai visto nessuno sopra a controllare il suo peso. Costa soltanto 50 eurocent (ostacolo già insormontabile). Il tuo “peso-forma” è facilmente individuabile in una pratica tabella, che ricorda un po' quelle dei tassi alcolemici consentiti per guidare. Lì accanto un manifesto pubblicitario mi guarda: ragazza di bella presenza promuove catena di profumerie. Slogan “prima di tutto la tua felicità”, hashtag #iltuomondofelice. Può essere il mio mondo felice? Il vagheggio di una bellezza possibile, di una felicità prossima, mi convincono. Scommetto 50 eurocent che rientro nel mio “peso-forma”. Infilo monetina nella fessura tipo parchimetro e vedo cosa succede. La bilancia sventaglia la sua lancetta fino a indicare il mio peso. La scommessa fallisce. Sono sopra di un paio di chili. KO il peso non è giusto. Dio, sono grasso. Sono un ciccione. La bella ragazza che vive nel mondo felice non mi vorrà mai. Mi ci vorranno mesi, anni di diete e sacrifici per perdere due chili. #paranoie. Una bilancia sa essere molto crudele. Più di uno specchio, probabilmente. Meglio usarla in casa. Gratis. Soli. nudi (così leviamo il peso dei vestiti).


FOTOROSCOPO

di Letizia Sgalambro

Per questo numero speciale di Erodoto non potevamo non farci condizionare da tutte le mostre fotografiche e installazioni presenti in via Roma raccolte sotto il titolo “aiuto foto cancellate per sbaglio”. L’oroscopo allora seguirà il filo delle mostre e parlerà con il loro linguaggio.

Ariete (21 Marzo-19 Aprile) Il piazzale del Popol Gióst di via Roma è stato trasformato in un luogo colorato a disposizione degli artisti e di chi passa. Anche per te questo Maggio sarà un periodo di trasformazione. Pensa a cosa potrai utilizzare con una diversa fruizione: saranno semplici oggetti o qualcuna delle tue abitudini o credenze?

Toro (20 Aprile-20 Maggio) Il salone di bellezza della parrucchiera Teresa propone la trasformazione della cliente in un prima e un dopo, mettendo a fianco immagini uguali ma diverse. Anche quando desideriamo restare uguali a noi stessi inevitabilmente cambiamo, magari in maniera impercettibile, ma lo facciamo. Maggio sarà per te il momento della consapevolezza: osserverai i tuoi cambiamenti senza averne paura, e inizierai ad apprezzarli.

Gemelli (21 Maggio-20 Giugno) Vicolo Venezia si è riempito di desideri e di sogni, dalla fine della guerra, al vivere al mare, raccolti in cestini improbabili sospesi nell’aria. Una installazione onirica che come un ossimoro rende più reali i desideri. Prenditi il coraggio di desiderare, questo è il mese giusto: ogni sogno si potrà realizzare se saprai come farlo volare.

Cancro (21 Giugno-22 Luglio) In via Roma è possibile in questi giorni entrare nelle case private dove sono state create opere site specific. Far entrare sconosciuti nella propria casa è sicuramente un grande atto di fiducia. Anche per te questo mese ci sarà una forma di apertura che non ti aspetti: è una provocazione che non tutti sapranno cogliere ma chi lo farà non resterà deluso. Da che parte vuoi stare?

Leone (23 Luglio-22Agosto) La mostra Inconoscibile indaga sulla relazione di coppia, sul significato dell’amore e della vita in due. L’amore è per tutti un tema scottante: chi è in coppia ma non è felice, chi non lo è ma bramerebbe esserlo… una buona notizia per te: nei prossimi giorni sperimenterai l’Amore con la A maiuscola, proverai emozioni che da tempo avevi dimenticato. Sei pronto?

Vergine (23 Agosto-22 Settembre) Perché in alcune specie viventi la diversità è difesa e tutelata come valore e in altre no? Questa frase estrapolata dalla mostra Satelliti fa proprio al caso tuo, cara Vergine. Come intendi valorizzare le tue diversità? È arrivato il momento di pensarci e trovare risposte originali, ti aiuteranno nelle scelte future.

Bilancia (23 Settembre-22 Ottobre) I ricordi sono indelebili o hanno una data di scadenza? Diverse mostre qua in via Roma trattano il tema della memoria: qualcuno è andato a ricercare immagini del passato, qualcun altro le ha messe dentro un barattolo. Ma con i ricordi scomodi e ingombranti cosa facciamo? Le stelle mi dicono che sei pronto per lasciarli andare o trasformarli in qualcosa di più piacevole per creare nella tua vita nuovi vuoti, da riempire a piacimento.

Scorpione (23 Ottobre-21 Novembre) La fotografia può essere il punto di partenza per creare altro, per costruire sagome e immortalare sguardi e momenti speciali. Da un punto di partenza ben preciso si arriva a qualcosa di cui all’inizio non si ha conoscenza. Si tratta di fidarsi di se stessi e del proprio istinto senza aver fretta di vedere il risultato. Se sarai capace di mollare il controllo, nei prossimi giorni potrai immortalare momenti speciali; il come è tutto da inventare.

Sagittario (22 Novembre-21 Dicembre) Creare legami partendo da uno strappo: sembra un paradosso ma è ciò che Nicolas Boria ha fatto in questi giorni qui a Reggio Emilia, strappando in due le immagini appena sviluppate, e iniziando a stabilire relazioni con i protagonisti che sono invitati a riportare la loro parte in mostra. Ci sono stati strappi nella tua vita che fino a ora avevi considerato come chiusure; il consiglio delle stelle è di ribaltare questo pensiero, trasformare il negativo in positivo, ricostruire le immagini che pensavi andate perse.

Capricorno (22 Dicembre-19 Gennaio ) Epifanie è il titolo di una mostra realizzata con foto inserite in cassette per uccelli; per Joyce l’epifania è un momento speciale in cui qualsiasi persona o oggetto comune diventa rivelatore del vero significato della vita. Se saprai mollare la tua razionalità e per un po’ ti affiderai all’intuizione, potrai sperimentare il potere di un’epifania e comprendere aspetti della tua vita che ti sono ancora oscuri.

Acquario (20 Gennaio-19Febbraio) Ogni cestino di via Roma è coperto di foto, cancellate per sbaglio e solo per fortuna ritrovate. Ci sono tante cose che facciamo per sbaglio, perché troppo stanchi o soprappensiero. Non sempre però quello che si fa per errore è negativo: a volte può far acquisire un valore diverso alla giornata o addirittura alla vita. È ciò che ti succederà presto. Quello che a prima vista avevi considerato un errore si rivelerà la tua più grande fortuna.

Pesci (19 Febbraio-20 Marzo) Zavattini affermava che qualsiasi luogo contiene dentro di sé il tutto, e chiamava questo concetto “qualsiasità”. Già William Blake vedeva il mondo in un granello di sabbia e l’infinito nel palmo di una mano. Ogni piccolo accadimento può quindi acquistare un valore eterno. Cosa dice questo di te? Sei capace di dare attenzione a tutto ciò che ti accade? Fermati a riflettere, le stelle ti stanno per inviare piccoli segnali che avranno grandi influenze nella tua vita futura. 35 35


Foto Giopvanni Breschi


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