Speciale Diabete

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Novenbre 2009

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DIABETE

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO


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EDITORIALE

Il 14 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata delle Nazioni Unite per il Diabete, istituita il 20 dicembre 2006 dall’Assemblea Generale dell’ONU, per sensibilizzare i Governi degli stati membri e le organizzazioni internazionali a mettere a disposizione le risorse per affrontare questa malattia con la prevenzione, l’educazione, l’accesso alle cure e la ricerca. Un morto di diabete ogni 10 secondi; 380 milioni di ammalati entro i prossimi 20 anni; il 30 per cento degli abitanti dell’India colpiti da questa malattia, sempre entro il 2025. Sono le drammatiche cifre di una vera e propria “epidemia”, che si diffonde velocemente in tutto il mondo e, contrariamente a ciò che si pensa, più nei paesi in via di sviluppo: sette delle dieci nazioni con il maggior numero di “nuovi diabetici” appartengono a questa categoria. Secondo l’International Diabetes Federation, entro il 2025 quasi l’80 per cento di tutti i casi di diabete nel mondo si riscontrerà nei paesi a reddito basso o medio. È naturale pensare che agire per tempo sia necessario per porre un argine a una malattia destinata a creare gravi ripercussioni sanitarie, sociali ed economiche proprio in quei paesi che meno avrebbero bisogno di ulteriori freni allo sviluppo: i costi diretti del diabete sono stimati, infatti, tra il 6 e il 14 per cento dei costi sanitari totali e in ugual misura incidono quelli indiretti. Ma il diabete è una presenza costante anche nel nostro Paese, che fortunatamente sembra essersi attrezzato per tempo. Dispone, infatti, di una rete di Servizi di diabetologia articolata e diffusa sul territorio, che si propone di agire non solo per curare la malattia e per prevenire le complicanze più frequenti, ma anche per porre un freno alla sua crescita. Il diabete di tipo 2, infatti, che rappresenta il 90% di tutti i casi di malattia, già oggi può e deve essere prevenuto. Per farlo è necessario adottare corretti stili di

vita a livello individuale, cioè alimentazione equilibrata e attività fisica regolare. Inoltre, sono necessarie politiche socio-sanitarie che incentivino questi comportamenti e che prevedano l’integrazione dell’assistenza specialistica con la medicina generale e con le altre figure professionali coinvolte. I medici diabetologi sono impegnati, infatti, in collaborazione con i medici di medicina generale, affinché possa divenire operativa la cosiddetta “gestione integrata del diabete”, finalizzata a ottimizzare i percorsi diagnostici e terapeutici, adattandoli alle esigenze della persona con diabete che, in questo modo, viene posta al centro della rete assistenziale. Consapevolezza, informazione, formazione e azione sono le parole chiave per fare fronte a una sfida che non si svolgerà domani, ma è quanto mai attuale. Come medici diabetologi, e come organizzazione espressione della rete italiana dei Servizi di diabetologia, siamo preparati ad affrontarla e intendiamo farcene carico: le evidenze scientifiche dicono che agendo subito è possibile ottenere risultati importanti nella lotta alle complicanze della malattia. Aggiungiamo che agire subito è fondamentale per arginare la malattia. Globalmente, si tratta di un impegno complesso, ma che crediamo ormai imprescindibile e riteniamo si possa perseguire, soprattutto se ognuno – medico, operatore, Istituzioni, mondo dell’industria, persona con diabete – si sentirà coinvolto e saprà fare la sua parte.

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SOMMARIO

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popolazione. Le stime dicono che, nel 2010, il numero di Italiani con diabete toccherà quota 7%, quasi 4.200.000 persone. Di pari passo, crescono i costi. Nel 1998, il diabete pesava sulle casse dello stato per circa 5 miliardi di euro, pari al 6,7% della spesa totale per la sanità. Nel 2006, a fronte di un quasi raddoppio, dal 3 al 5%, del numero di persone con diabete, si è passati a oltre 8 miliardi, circa l’8% della spesa sanitaria. Per l’anno venturo è atteso un costo che supererà gli 11 miliardi di euro: una spesa più che raddoppiata in meno di 15 anni. Il diabete, dunque, rappresenta una vera epidemia. Va affrontato con percorsi di prevenzione, diagnosi e cura adeguati, ma soprattutto con un sistema organizzato, come quello degli oltre 650 Centri di diabetologia presenti sul territorio nazionale, integrando le competenze dei medici specialisti e di famiglia, ma soprattutto misurando e analizzando la qualità delle cure che sono fornite, per garantire un’assistenza sempre più effi-

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QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

- Il progetto “SUBITO” della diabetologia italiana.............................. 3 - Il diabete sta cambianod volto.......... 3 - L’alimentazione del diabetico............ 3 - Le novità nelle terapie ipoglicemizzanti orali: gli inibitori dell’enzima DPP-4............. 5 - L’’importanza di una buona accuratezza.................................. 6 - Piede diabetico: l’importanza di educare e prevenire........................... 6 - Tecnologie per il diabete...................... 8 - Chirurgia bariatrica: una nuova cura del diabete - obesità..................................... 8 - I farmaci inibitori DPP4: risultati e sviluppi di utilizzo.................................................... 8 - Le nuove tecnologie per la terapia del diabete mellito in età pediatrica..................................... 10

DIABETE - UNA PUBBLICAZIONE DI MEDIAPLANET Project Manager: Elisa De Donno, Mediaplanet 02-36269426 Production Manager: Gianluca Cò, Mediaplanet 02-36269443 Produzione/Layout: Daniela Borraccino, Mediaplanet daniela.borraccino@mediaplanet.com Testi: Henry Borzi Stampa: Il Sole 24 Ore Distribuzione: Il Sole 24 Ore Foto: istockphoto.com

Gli annali AMD: una fotografia dell’Italia l diabete in Italia cresce, a ritmo elevato. Nel nostro Paese è colpito da questa condizione oltre il 5% della

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cace ed efficiente. Per soddisfare la necessità di “misurarsi per migliorarsi”, e quindi per rispondere alla sfida che il diabete pone, AMD - Associazione Medici Diabetologi ha creato gli “Annali AMD: indicatori di qualità dell’assistenza diabetologica in Italia”. Nati nel 2006, rappresentano un sofisticato sistema di valutazione dell’assistenza specialistica diabetologica nel nostro Paese. L’edizione 2009 compara, infatti, i dati di oltre 120 Centri di diabetologia e più di 500.000 persone con diabete, nel quadriennio 2004-2007. Gli “Annali” rappresentano quindi uno strumento indispensabile per riflettere su quanto è stato fatto in questi anni e per progettare il futuro “sui fatti”. Il quadro che emerge è nel complesso positivo: è evidente, infatti, un progressivo miglioramento dell’assistenza tra il 2004 e il 2007. Ne sono un esempio i dati sull’emoglobina glicata (HbA1c), il parametro che determina il livello di controllo del diabete. L’HbA1c viene misurata almeno una vol-

ta l’anno alla quasi totalità delle persone con diabete tipo 1, e al 90% di quelle con il tipo 2. Secondo gli “Standard italiani per la cura del diabete mellito”, le linee guida utilizzate nel nostro Paese, inoltre, il valore dell’HbA1c deve essere mantenuto inferiore al 7%. Questo avviene in poco meno del 30% dei casi di diabete tipo 1 (in crescita, però, del 15,8% rispetto al 2004) e in quasi il 50% dei casi di diabete tipo 2 (in crescita del 5% rispetto al 2004). Un dato che pone il nostro Paese tra l’elite mondiale. Ma la riprova del fatto che lo strumento “Annali AMD” funziona viene da un altro dato. Analizzando i Centri che hanno partecipato alla raccolta dei dati sin dal 2004 e paragonandoli a quelli subentrati successivamente, si è notato un risultato per certi versi atteso: gli “Annali AMD”, semplicemente fotografando l’assistenza, hanno prodotto un miglioramento qualitativo della cura e dell’assistenza. Ovvero, parafrasando un motto popolare: “misurando si impara”.


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Il progetto “SUBITO”

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ome altri ricordano, il diabete è in continuo aumento e rappresenta un problema dalle rilevanti dimensioni sociali. Non tanto e non solo per il numero di persone colpite, e per i costi che la malattia genera per i sistemi sanitari nel mondo, ma soprattutto perché, se non adeguatamente curato, il diabete conduce inevitabilmente a serie complicanze cardiovascolari. Il tema della prevenzione cardiovascolare in diabetologia è sempre stato al centro dell’attenzione dei ricercatori. Nel corso degli anni sono stati effettuati vari studi per verificare se l’abbassamento dell’emoglobina glicata (la “media” della glicemia di tre mesi) fosse in grado di ridurre il rischio cardiovascolare nelle persone con diabete di tipo 2. Questi studi avevano sempre mostrato

Il diabete sta cambiando volto

l diabete nel bambino, quali nuovi scenari si prospettano? Se diamo uno sguardo a qualche anno fa notiamo come per il bambino esisteva solo il diabete di tipo 1, ossia derivante dalla distruzione autoimmune delle cellule del pancreas che producono l’insulina. A causa del diffondersi del fenomeno dell’obesità, recentemente il diabete ha visto un drastico aumento nella popolazione, in tutte le fasce d’età, determinando di conseguenza una progressiva anticipazione dell’insorgenza del diabete, anche in età più giovanile. Avviene cosi che il diabete di tipo 2, ossia la forma più diffusa di diabete, sta iniziando a manifestarsi con maggior frequenza anche in pazienti in età infanto-giovanile. È evidente che esistano forti preoccupazioni a tal proposito: l’obesità, infatti, ha come conseguenze non solo il diabete ma anche una maggior suscettibilità verso malattie legate alla pressione arteriosa, all’insorgenza di tumori, un maggior sovraccarico articolare, insufficienza respiratoria e un maggior rischio cardiovascolare. La precoce insorgenza del diabete in età infanto-giovanile, costituisce certamente una grande preoccupazione non solo in relazione alla durata della vita ma anche alla sua qualità in generale

un trend favorevole della riduzione della glicemia con un trattamento particolarmente intensivo, ma senza mai una prova davvero conclusiva. Negli ultimi anni, poi, sono arrivati i risultati di diversi studi che mostravano esiti contrastanti, facendo passare i diabetologi di tutto il mondo, in pochi mesi, da una crisi di certezze alla esatta definizione di come il controllo della glicemia debba essere attuato, per avere efficacia sulla prevenzione cardiovascolare. Nel 2008, prima lo studio ACCORD, promosso dal National Institutes of Health americano, poi gli studi ADVANCE e VADT misero in luce come la cura intensiva del diabete non fosse sufficiente a ridurre il numero di eventi cardiovascolari, gettando nel dubbio migliaia di diabetologi: il controllo stretto della glicemia in diabetici con

Quali cambiamenti sono stati evidenziati nel diabete dell’anziano? Il primo aspetto da evidenziare è dato da un generale aumento sia dei diabetici anziani che di conseguenza degli anziani diabetici. Con questo gioco di parole in sostanza si vuol sottolineare l’aumento generale della vita media nella popolazione che ha avuto inevitabilmente ricadute anche nell’intera popolazione diabetica. In sostanza vi è stato un notevole innalzamento della vita media del paziente diabetico. Se prima la vita media per una persona diabetica si aggirava attorno ai 60 anni, a oggi è confermata quasi a 70 anni. In sostanza 10 anni di differenza rispetto a prima hanno fatto aumentare notevolmente la popolazione diabetica, considerando che mentre prima non si raggiungevano età cosi avanzate a oggi i più anziani anche se non malati ma predisposti hanno una maggiore incidenza di ammalarsi di diabete. Il nuovo scenario che si sta delineando, a fronte di un impegno maggiore per la cura del diabete e la sua prevenzione, è dato da una patologia in costante crescita. Educare e prevenire sono le due parole chiave emerse anche durante la giornata mondiale del diabete. Lo scenario attuale è costituito da cittadini non diabetici ma a forte rischio di contrarre la malattia, sui quali è fondamentale agire per un efficace prevenzione primaria. Esistono poi cittadini che non sanno di essere già diabetici, questo poiché il diabete spesso è asintomatico per anni. In fine vi sono diabetici che sanno di esserlo ma si trascurano. Evitare l’insorgere e l’aumento del diabete, nell’età infanto-giovanile ma anche nell’età adulta, è possibile grazie a una tempestiva informazione e intervento sullo stile di vita di persone a rischio generalmente obese.

emoglobina glicata a valori non elevatissimi non ha effetti sul rischio delle complicanze cardiovascolari? A risolvere il dilemma è intervenuta la pubblicazione dei sorprendenti dati dell’osservazione venticinquennale dello studio UKPDS 80, grazie al quale si è avuta la conferma, anche nel diabete di tipo 2, che il danno causato dall’iperglicemia, una volta instauratosi, è parzialmente irreversibile, e a poco vale riportare i valori della glicemia a livelli migliori. Quindi, oggi, possiamo dire che la strada giusta della prevenzione cardiovascolare non è far scendere l’emoglobina glicata quando si è assestata su valori scadenti, ma impedire che questa aumenti, cercando di intervenire tempestivamente. Per queste ragioni, AMD, l’Associazione Medici Diabetologi ha dato vita

al progetto “SUBITO”, rivolto alla diabetologia italiana, che si pone un obiettivo culturale oltre che clinico: migliorare il compenso metabolico alla diagnosi, all’esordio o alla presa in carico della persona con diabete il più tempestivamente possibile, al fine di ridurre il peso delle complicanze nei successivi 5 anni. Dobbiamo modificare il comportamento seguito sino a poco tempo fa: glicemie di 140-150 mg/dl non devono essere tollerate con benevolenza, ma devono “subito” diventare oggetto di trattamento. Contiamo di farlo attraverso un lavoro organico di formazione, educazione e comunicazione che non coinvolga solo i medici diabetologi, ma tutte le parti in causa. Perché: “The earlier, the better”, “Prima è meglio”.

Alimentazione: alleanza tra armonia e gusto

obesità e il diabete mellito sono patologie legate all’alimentazione e tra i fattori determinanti figurano il progressivo abbandono della dieta mediterranea, un consumo eccessivo di alimenti e bevande a elevata densità energetica e l’aumentata sedentarietà. Oggi è molto diffusa una alimentazione improntata sulla cultura del fast-food. Prodotti confezionati e non, appetibili ma ad alto contenuto calorico, con grandi quantità di grassi transinsaturi a basso potere saziante. Un comportamento alimentare corretto svolge un ruolo fondamentale nel controllare il diabete, e nel ridurre il rischio di sviluppare le tanto temute complicanze a lungo termine. E la terapia dietetica può essere definita come un “comportamento alimentare corretto e equilibrato” che andrà tenuto per sempre, con un concetto di “sostenibilità nel tempo” visto che rappresenta un pilastro fondamentale per la cura del

diabete. Diversamente dal passato la parola dieta oggi non è da intendersi come privazione o sacrificio, ma la “dieta per diabetici” è basata semplicemente sul controllo di una alimentazione spesso eccessiva e irrazionale, sull’introduzione bilanciata di tutti i nutrienti, controllando in modo particolare l’apporto di carboidrati che sono i principali determinanti del fabbisogno insulinico. Il conteggio dei carboidrati nella sua totalità rappresenta oggi la strategia alimentare più adeguata per il raggiungimento di un buon compenso metabolico sia nel soggetto con diabete tipo 1 che in quelli di tipo 2. Nella ripartizione ideale dei nutrienti il 45-60% delle calorie totali deve essere rappresentato dai carboidrati, il 15-20% circa dalle proteine e non più del 30% di grassi. Inoltre si deve garantire un apporto quotidiano di 20-30 g. al giorno di fibre che nei diabetici hanno un ruolo importante nell’equilibrare le glicemie e nel combattere le ipoglicemie. Quindi una “armonia nutrizionale” la cui equazione applicativa potrebbe essere: “giusta ripartizione dei nutrienti + adeguata introduzione di fibra + riduzione dell’apporto di zuccheri semplici = corretta alimentazione = dieta mediterranea = armonia nutrizionale = benessere psicofisico”. Ecco allora la ricetta giusta: mangiare in modo sano riscoprendo i benefici della dieta mediterranea, aumentando il consumo di carboidrati non raffinati, introducendo più fibre con frutta, verdure e legumi, limitando il consumo di prodotti ricchi in grassi saturi e comunque facendo attenzione alla quantità degli alimenti ingeriti, cercando comunque di salvaguardare il gusto con la preparazione di “piatti gustosi”, senza quindi rinunciare al “buon sapore”. Perché non dimentichiamo che un aspetto importante del cibo è legato al gusto e al piacere di condividerlo sedendosi a tavola con parenti e amici.


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Due virus influenzali un unico denominatore: lo pneumococco

arrivo della pandemia causata dal nuovo virus A/H1N1, più nota come “influenza suina” o “Influenza A”, sta creando allarme e preoccupazione crescente tra la popolazione. L’allarme non è razionalmente giustificabile: questa influenza non sarà più grave di quelle “normali”, se pensiamo al decorso normale nel singolo paziente sano. Tuttavia l’alta diffusività, causata dalla mancanza di un’immunità pregressa sulla popolazione, provocherà un’impennata del numero di casi in particolare tra i più giovani e, proporzional-

mente, si potranno avere più pazienti alle prese con complicazioni post influenzali: ecco la ragione oggettiva per continuare a battere il tasto della prevenzione sulla popolazione generale, sia per quanto riguarda l’influenza A, sia per quanto riguarda quella stagionale. Tra tutti coloro che dovrebbero avere un particolare riguardo rispetto al possibile contagio e alla gestione della malattia, ci sono i pazienti affetti da malattie croniche e, nel caso specifico, coloro che sono affetti da diabete. Recentemente, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un’analisi dalla quale emergono le complicanze legate all’influenza pandemica in particolare nei soggetti a rischio. La più grave e comune tra le complicanze è la polmonite, virale o batterica. Quest’ultima patologia, che può colpire anche chi contrae il virus dell’influenza stagionale, è causata principalmente dal batterio ‘streptococcus pneumoniae’ o pneumococco. L’infezione pneumococcica provoca ogni anno, nel mondo, la morte di circa un milione e 600 mila persone tra bambini e anziani. I soggetti a maggior rischio sono ovviamente gli ‘over 65’ e coloro che sono affetti da patologie croniche (diabete, patologie cardiovascolari, respiratorie, renali…) Nel soggetto diabetico l’infezione da pneumococco in combinazione con quello dell’influenza, stagionale o pan-

demica che sia, determina un aumento sia in termini di casi che di mortalità. A ribadirlo è uno studio pubblicato dalla rivista scientifica ‘Journal Infectious disease’. Tuttavia come per l’influenza, anche per lo pneumococco esiste la possibilità di proteggersi tramite vaccinazione: il vaccino protegge contro 23 tipi di pneumococco ed è indicato nei soggetti con più di 2 anni ma in particolare negli adulti con patologie croniche e in tutti i soggetti over 65. La vaccinazione offre una protezione per 5 anni, è sicura e rappresenta una buona opportunità per evitare il rischio di contrarre le complicanze più gravi legate all’influenza. È quindi necessario ribadire che questa vaccinazione, come indicato dal Ministero della Salute, può essere effettuata insieme a quella anti-influenzale e che l’insieme dei due presidi rappresenta uno scudo sicuro ed efficace per la salute dei soggetti a rischio. È ovvio che in un momento come quello che stiamo affrontando, dove all’influenza classica si somma il rischio di contrarre l’influenza A, il termine “prevenzione” assume un carattere particolare, che va sottolineato nella sua specificità. Innanzi tutto giova ricordare che il paziente diabetico può vaccinarsi esattamente come tutti gli altri pazienti (eccezione fatta per coloro che soffrono di gravi intolleranze alle proteine dell’uovo, ma ciò indipendentemente dalla malattia

diabetica) e che per questa categoria di persone la vaccinazione (antinfluenzale e antipneumococcica) è gratuita. Il punto nodale della questione è il seguente: serve, vaccinarsi? Da un punto di vista strettamente epidemiologico, sì. Il vaccino, nonostante le voci contrastanti e non sempre qualificate, ha un effettivo potere protettivo e quindi non c’è ragione per non sottoporsi con fiducia e tranquillità. Dati scientifici dimostrano che nel paziente a rischio il vaccino antinfluenzale riduce i ricoveri ospedalieri di quasi l’80%, mentre l’associazione con la vaccinazione antipneumococcica 23 valente riduce le ospedalizzazioni per polmonite di oltre il 60%. Infine, va sottolineato che la vaccinazione fine a se stessa può anche non bastare e deve quindi essere affiancata da altre raccomandazioni, che riguardano i corretti stili di vita, quali alimentazione ed igiene: questi sono la prima barriera contro ogni contagio virale, non solo influenzale, e batterico.


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Diabete, terapie tradizionali e le nuove frontiere della ricerca Una patologia cronica e progressiva che si sta rivelando come una vera e propria pandemia a livello globale. Attualmente la prevalenza è di 246 milioni di casi in tutto il mondo ma le previsioni indicano un potenziale aumento fino a 366 milioni nel 2030.

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i fronte a questi dati allarmanti la ricerca si sta sempre più concentrando su nuovi e più efficaci approcci terapeutici che tengano conto della natura multidimensionale della patologia. In questo contesto, emergono con sempre maggiore evidenza i vantaggi delle terapie a base di incretine nel diabete di tipo 2. Ancora oggi, infatti, nonostante le numerose terapie a disposizione la maggior parte delle persone con diabete di tipo 2 non riesce a tenere sotto controllo la propria condizione. Le terapie tradizionali lasciano infatti aperti diversi problemi legati al raggiungimento e al mantenimento nel tempo di un buon controllo metabolico, all’aumento del peso corporeo indotto dai farmaci su soggetti che hanno già problemi di sovrappeso, al rischio di ipoglicemia e al mancato controllo delle complicanze del diabete, in particolare quelle cardiovascolari.

Le incretine sono ormoni prodotti a livello gastrointestinale ogni volta che mangiamo. Con la loro azione “intelligente” aiutano il pancreas a produrre più insulina in risposta alla presenza di zucchero nel sangue ma senza abbassare la glicemia al di sotto dei valori normali. Sono conosciute da molti anni ma solo recentemente se ne è scoperto il grande valore terapeutico. La più importante dal punto di vista fisiologico è il GLP-1 (Glucagone-like Peptide-1), una incretina molto potente prodotta da alcune cellule specializzate dell’intestino. “Le incretine sono capaci di agire su diversi fronti” - spiega il Professor Giorgio Sesti, ordinario di Medicina Interna, Università “Magna Graecia” di Catanzaro –“Stimolano le cellule beta del pancreas a produrre più insulina in risposta alla presenza di zucchero nel sangue, rallentano lo svuotamento gastrico determinando un concomitante rallentamento

dell’assorbimento dei nutrienti contenuti nel cibo e riducono l’appetito a livello cerebrale. Inoltre, questi ormoni hanno anche un effetto positivo sul sistema cardiovascolare: fanno dilatare le arterie, proteggono il cuore e riducono la pressione.” Da qui l’idea di sintetizzare questi ormoni trasformandoli in molecole farmacologicamente attive da somministrare nei pazienti con diabete tipo 2. Proprio su questo principio si basa il meccanismo d’azione di liraglutide, il primo analogo umano del GLP-1. Con una similitudine alla molecola naturale pari al 97 percento, è stato da poco lanciato a livello europeo e la commercializzazione in Italia è prevista per il 2010. Il farmaco mima l’azione dell’ormone naturale GLP1, che agisce quando i livelli di glucosio nel sangue diventano

eccessivamente elevati, stimolando il pancreas al rilascio dell’insulina. Oltre a un maggiore controllo della glicemia e dell’emoglobina glicata con bassissimo rischio di ipoglicemia, Liraglutide riduce il peso corporeo e la massa grassa tramite meccanismi che comportano il calo dell’appetito e la riduzione dell’assunzione delle calorie. L’efficacia del farmaco è stata dimostrata nel programma LEAD, un vasto studio che ha coinvolto oltre seimila pazienti e che ha confrontato liraglutide con le altre terapie antidiabetiche. “Negli studi Liraglutide ha dimostrato di essere in grado di ridurre in modo efficace i livelli di glucosio sia in monoterapia, sia in aggiunta a trattamenti basati su altri antidiabetici orali e, allo stesso tempo, di ridurre considerevolmente peso corporeo e pressione sanquigna oltre a migliorare la funzionalità delle cellule beta” spiega il Prof. Giorgio Sesti.

Le novità nelle terapie ipoglicemizzanti orali: gli inibitori dell’enzima DPP-4

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ll diabete tipo 2 (T2DM) è una malattia cronica debilitante associata a complicanze severe che comportano costi elevati in termini di spesa sanitaria; la sua incidenza, in allarmante aumento, induce le organizzazioni sanitarie internazionali a parlare di “epidemia”.

onostante sia una delle principali cause di morte e di disabilità, viene erroneamente percepita come malattia relativamente benigna. In realtà il T2DM è patologia complessa, la cui insorgenza è frutto dell’interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali, tra i quali l’obesità gioca un ruolo preponderante. I principali determinanti della malattia sono una precoce disfunzione delle β-cellule pancreatiche, con ridotta secrezione insulinica, e una inefficace azione periferica dell’ormone, definita insulino-resistenza. Recentemente si è appreso che ormoni prodotti dall’intestino, le“incretine”, contribuiscono alla regolazione del metabolismo del glucosio stimolando la secrezione insulinica, sopprimendo la secrezione di glucagone (ormone pancreatico che aumenta la glicemia), inibendo lo svuotamento gastrico e riducendo l’appetito. I livelli circolanti e l’attività biologica di GLP-1 (Glucagon-Like Peptide 1, la principale incretina) sono ridotti nei pazienti

con T2DM. L’iperglicemia protratta si associa a gravi complicanze a carico di diversi organi; occorre quindi perseguire con tenacia e impegno l’obiettivo non sempre facile di un buon controllo glicemico. A questo scopo è necessaria una conoscenza approfondita dei meccanismi alla base della malattia e delle caratteristiche cliniche del singolo paziente, in modo da personalizzare il trattamento. Il bagaglio terapeutico a nostra disposizione si è recentemente arricchito di due nuove classi di farmaci: gli analoghi del GLP-1 e gli inibitori dell’enzima dipeptidyl peptidase-4 (DPP-4). I primi mimano l’effetto del GLP-1, ma devono essere iniettati,mentre gli inibitori del DPP-4, che bloccano l’enzima che degrada le incretine, sono somministrati per via orale. L’aumentata biodisponibilità di GLP-1 da essi indotta determina un aumento della risposta insulinica al pasto e una riduzione del glucagone, con efficace controllo dei picchi iperglicemici post-prandiali. Studi pre-clinici hanno inol-

tre dimostrato come questi composti aumentino la massa β-cellulare e ne migliorino la funzionalità. Gli inibitori del DPP-4, in particolare il sitagliptin,sono particolarmente efficaci se usati in combinazione con metformina, farmaco largamente utilizzato nel trattamento del T2DM, con una riduzione della HbA1c (indicatore del compenso glicemico medio degli ultimi mesi) che può arrivare a -1.4/1.8%. Studi preliminari suggerirebbero anche la presenza di interessanti effetti extraglicemici, con miglioramento del profilo lipidico e una piccola riduzione dei valori pressori, nonché diminuzione di alcuni indici di infiammazione subclinica, spesso associata al T2DM e all’obesità e che contribuisce all’aumento del rischio cardiovascolare in questi pazienti. Pur disponibili da oltre un anno nel nostro Paese, tali farmaci sono attualmente sottoposti a un regime di “prescrivibilità controllata” da parte dell’AIFA, che ne ha confermato efficacia e sicurezza. Le attuali indicazioni ne per-

mettono l’uso solo quando altri farmaci non garantiscano più un adeguato controllo metabolico, e solo in associazione con essi; in altre parole, in una fase relativamente avanzata della malattia. Ciò impedisce a molti pazienti di avvalersi di questi composti innovativi che, per il peculiare meccanismo d’azione, troverebbero un impiego razionale proprio nelle fasi iniziali del T2DM, quando preservare la funzione β-cellulare faciliterebbe un precoce controllo metabolico. Dato l’aumento di incidenza del T2DM, il suo il legame con l’obesità, la necessità di farmaci efficaci, dotati di un ottimo profilo di tollerabilità, gravati da un basso rischio di ipoglicemia e che non inducano aumento di peso, è auspicabile che gli incretino-mimetici e i DPP-4-inibitori possano occupare uno spazio rilevante nell’ambito di una gestione moderna ed efficace (in termini di bilancio di salute) del paziente.


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L’importanza di una buona accuratezza

autocontrollo glicemico permette alla persona con diabete di conoscere a domicilio la propria glicemia, e motiva questa nel modificare il proprio trattamento farmacologico ipoglicemizzante. Appare, quindi, evidente come sia fondamentale disporre di strumenti per l’autocontrollo glicemico accurati. Mai più di oggi, alla persona con diabete viene chiesto una sorta di “sintonia glicemica fine”; ovvero abbassare la glicemia e contemporaneamente, minimizzare rischio di ipoglicemia. Per questa difficile opera di “equilibrismo glicemico”, è estremamente importante disporre di strumenti per il l’autocontrollo glicemico ad “alta precisione”. Il vantaggio di una misurazione glicemica affidabile è scontato: mostrare al paziente ed al diabetologo valori glicemici veri, per consentire aggiustamenti della terapia sicuri ed

efficaci; non nascondere possibili episodi ipoglicemici, né tanto meno provocarli, inducendo somministrazione di impropri dosaggi di insulina. I sistemi che vengono consegnati a casa alle persone con diabete per misurare la glicemia prendono il nome di glucometri. I glucometri più accurati, oggi, sono quelli che trasformando la concentrazione del glucosio in un segnale elettrico. Questi sistemi sono caratterizzati da: aspirazione automatica del sangue; tempi di risposta brevi; basso volume di sangue necessario; possibilità di eseguire il prelievo in punti differenti rispetto ai polpastrelli; ottima igienicità; utilizzo di reagenti che minimizzano il rischio di interferenza e di sistemi automatici di correzione dell’errore; non necessarietà della calibrazione. A proposito di calibrazione è importante sottolineare come alcuni studi abbiano dimostrato come l’errata calibrazione possa portare ad errori tali da alterare il dato glicemico reale fino del 43 %. Mi preme, infine, sottolineare come la misurazione della glicemia per se sia una procedura diagnostica che da sola non può modificare la concentrazione del glucosio. Ovvero misurare la glicemia senza poi intervenire, in caso di riscontro di valori di glicemia non ottimali, non migliora l’andamento del diabete. In altre parole le tecnologie possono aiutare il paziente ad ottenere farmaci sempre più efficaci e selettivi e glucometri sempre più accurati, ma l’educazione ed il coinvolgimento del paziente nella gestione della propria cura, rimangono fondamentali per il successo del trattamento.

Piede diabetico: l’importanza di educare e prevenire

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progressi nella cura della malattia diabetica da diversi anni, hanno portato ad un allungamento dell’aspettativa di vita dei diabetici in grado di avvicinarsi oramai di molto, all’aspettativa di vita della popolazione non diabetica. Il diabete, fra le sue complicanze, ne ha una che sta acquisendo un

ruolo sempre più rilevante poiché e’ causa del maggior numero di ricoveri ospedalieri causando costi ingenti, ossia il piede diabetico. Il piede, parte del nostro corpo che merita sempre grande attenzione, non a caso per alcune culture orientali e’ considerato sede di tutte le proiezioni dei settori del corpo umano.

Nel diabetico come noto e’ diffusa sia un’alterazione della vascolarizzazione che si traduce in un afflusso di sangue al piede inferiore al necessario, che un’ innervazione generale. È proprio quest’ultima complicanza a determinare una modifica nell’andatura: il diabetico in effetti, camminando, poggia il piede in

terra in maniera anomala, ed il peso del corpo di conseguenza si scarica su zone differenti da quelle deputate a sopportare questa fatica. Avviene cosi che col tempo si possono formare delle ulcere che se non trattate in maniera corretta possono infettarsi e portare alle conseguenze più gravi quali l’amputazioni dell’arto inferiore. Il quadro statistico generale mette in luce che circa il 50% delle amputazioni maggiori non traumatiche riguarda i diabetici e che oltre l’80% delle amputazioni agli arti inferiori del diabetico, sono precedute da ulcere. Secondo le previsioni dell’OMS per il 2025 è stimato in oltre 300 milioni il numero dei diabetici di cui oltre il 15% andrà incontro nella vita ad un’ulcera del piede con conseguente richiesta di cure mediche. Si può quindi immaginare quale sarà il peso e la dimensione del fenomeno per il prossimo futuro. L’Italia può vantare in tal senso, una posizione di riguardo in relazione alla cura del piede; ciò è dovuto prima di tutto ad una fitta rete di strutture diabetologiche che affrontano a vario livello questo problema realizzata nel nostro paese oramai da anni. Per una migliore cura di questa patologia sono necessarie nuove tecniche di rivascolarizzazione, presidi ortesici sempre più efficaci, nuovi e più potenti antibiotici (da utilizzare però con oculatezza per non favorire l’aumento delle resistenze batteriche), colture di proprie cellule per la formazione di “nuova pelle”, pro-

dotti avanzati per le medicazioni. Ulcere ed amputazioni richiedono un trattamento complesso e molto costoso influendo negativamente sulla qualità di vita del paziente. A tal proposito e’ assolutamente necessario enfatizzare il valore degli interventi preventivi ed educativi sui pazienti ambulatoriali. Per quanto riguarda la ricerca oltre ai lavori sull’efficacia di nuovi antibiotici, alcune segnalazioni mettono in risalto il ruolo della metallo proteinasi della matrice nelle ulcere diabetiche e recentemente sono state pubblicate alcune ricerche sul diverso assetto genico di ceppi di stafilococchi isolati dalle ulcere del piede. Inoltre di rilievo i contributi sulla osteoprotegerina, proteina prodotta dagli osteoblasti con funzione negativa sul riassorbimento osseo e che sembra avere un ruolo preciso nella artropatia di Charcot, un quadro grave di piede diabetico. Una serie di preziosi contributi proviene anche da gruppi italiani e riguardano le alterazioni della biomeccanica del passo, il ruolo della rivascolarizzazione nella diminuzione delle amputazioni, nuove tecniche di carattere ortopedico nello Charcot. In definitiva e’necessario poter diffondere in modo più capillare la cultura della gestione complessiva del “problema piede” sia da parte del diabetologo, ma anche soprattutto da parte del sistema sanitario nazionale che si trova a dover fronteggiare le gravose e costose necessità del diabetico.



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DIABETE

Nuove tecnologie al servizio del paziente e del medico

I

GIORGIO GRASSI SCDU Endocrinologia, Diabetologia e malattie del metabolismo AOU San Giovanni Battista di Torino Coordinatore del Gruppo di Studio Italiano sulle Tecnologie e il Diabete AMD-SID

Il diabete interessa una percentuale significativa ed in crescita della nostra popolazione. Come ogni condizione di malattia cronica vede il ruolo centrale della persona che deve potersi “autogestire “ e partecipare alle decisioni sulla propria Cura. La Tecnologia è presente in ogni momento della nostra vita e molti strumenti sono stati ideati e perfezionati nel tempo per accompagnare la persona con diabete nel trattamento della malattia aumentando l’autonomia ed insieme il contatto con il team curante. Molti aspetti di una buona cura possono avvalersi della tecnologia, al servizio del paziente e del medico, come gli strumenti che aiutano il paziente a misurare la propria glicemia, a memorizzare questa informazione per trasmetterla poi al medico e i microinfusori per insulina, che erogano micro-dosi di farmaco. Per una buona terapia, in particolare per chi deve utilizzare insulina, è importante conoscere e far conoscere al medico il li-

Chirurgia bariatrica: una nuova cura del diabete-obesità

l calo di peso riveste un’importanza strategica nella cura del diabete tipo 2 in pazienti obesi o in sovrappeso. Studi clinici e la pratica quotidiana indicano che con una perdita di peso di 10 chili, anche senza terapie farmacologiche, si ottengono valori glicemici e di emoglobina glicata che si avvicinano alla norma. Altrettanto importante è l’attività fisica nel migliorare il compenso metabolico. Sono ovviamente cure che richiedono impegno del medico e collaborazione e sacrificio da parte del paziente. Le linee guida internazionali (ADA e EASD) indicano che la terapia con farmaci dovrebbe essere iniziata solo nei pazienti che non ottengono un buon compenso metabolico con dieta, perdita di peso, e aumento dell’attività fisica. Purtroppo il poco tempo a disposizione da parte dei medici, e l’età relativamente avanzata, le abitudini di vita, il poco tempo a disposizione, non permettono di ottenere un buon successo con queste

misure. Il problema è anche più difficile da risolvere in pazienti con diabete e grave obesità; la contemporanea presenza di impedimenti fisici (artrosi delle ginocchia e delle anche, ipertensione arteriosa, fatica a respirare) richiederebbe un drastico calo di peso, ma rende difficile un movimento adeguato, e richiederebbe un periodo molto prolungato di dieta rigida. Molti tentativi di ridurre il peso con questi mezzi, è esperienza comune, falliscono sulla media distanza. La chirurgia bariatrica (o chirurgia dell’obesità, che consiste nella restrizione dello stomaco o nella creazione di malassorbimento intestinale) si è molto diffusa negli ultimi anni. Al momento viene consigliata per pazienti con IMC (indice di massa corporea, peso in kg: altezza in m2) superiore a 35 kg/m2, assicura un calo di peso importante e definitivo (dal 46% al 68% dell’ eccesso di peso), con effetti benefici sull’apparato scheletrico e sul sistema circolatorio (riduzione dell’ipertensione arteriosa), migliora notevolmente il quadro metabolico (glicemico e lipidico), migliora la qualità della vita. Studi a lungo termine (10-15 anni) dimostrano che la chirurgia riduce la mortalità nei pazienti operati rispetto ai pazienti non operati. Questa chirurgia si è rivelata molto efficace nel trattamento del diabete tipo 2 in pazienti obesi, portando alla scomparsa del diabete tipo 2 dal 45% al 70% dei casi, e migliorando il quadro metabolico generale in un ulteriore 17% dei casi (con riduzione della terapia farmacologica). Si tratta quindi di un trattamento drastico, da riservare ai pazienti che presentano le caratteristiche dette prima. Si sta anche studiando un suo impiego in pazienti con IMC tra 30 e 35 kg/m2, mentre non appare indicata in pazienti con BMI < 30 kg/ m2, o in pazienti con altri tipi di diabete (diabete tipo 1, diabete tipo 2 in terapia insulinica).

vello degli zuccheri nel sangue dei diversi momenti della giornata, seguendo un autocontrollo strutturato: ad esempio al risveglio, prima dei pasti, la sera, prima durante e dopo un’attività sportiva (magari in montagna, sul campo di calcetto, in piscina). Tutti questi dati oltre a fornire utili informazioni alla persona con diabete, supportano il medico, attraverso grafici e indici, nell’interpretazione dell’andamento glicemico e successivo eventuale aggiustamento della terapia. Abbiamo oggi a disposizione nuovi glucometri che si adattano bene a tutte le esigenze e che integrano i vari elementi: lettore, test reattivi, pungidito, lancette, memorie e possibilità di evidenziare i risultati glicemici. Paziente e team curante (infermiere esperto in diabetologia e medico) possono insieme individuare lo strumento adatto. Per l’interpretazione dei dati sono disponibili software dedicati che consentono di visualizzare, stampare, archiviare e inviare via mail o teletrasmettere i dati

al centro di diabetologia e al proprio medico curante. Anche la telemedicina, considerando i ritmi della vita, aiuta la comunicazione rendendo virtuale la distanza tra paziente e medico. Immaginiamo la giornata di uno sportivo diabetico con la necessità di portare con sé, ad esempio sulla bici, lo strumento per la glicemia. E’ importante che lo strumento sia pratico e consenta la misurazione glicemica anche in movimento. Per questo paziente l’ideale sarebbe avere anche il microinfusore per ottimizzare la terapia. La tendenza più recente è quella di riunire in un unico strumento sia il glucometro che il controllo del microinfusore, agevolando l’integrazione e la trasmissione dei dati per la condivisione con il proprio medico. Tecnologia quindi ‘al servizio’ di medico e persona con diabete per una corretta gestione della terapia e una migliore qualità di vita.

I farmaci inibitori DPP4: risultati e sviluppi di utilizzo

pia tollerabilità. Non causano disturbi di stomaco, diarrea, meteorismo e non inducono fastidi, anche piccoli, che spesso riducono la compliance verso i farmaci. Questo è ancora più importante se si pensa che questi farmaci, come tutti i farmaci anti-diabete, vanno spessissimo somministrati in associazione ad altre terapie farmacologiche rivolte ad altre problematiche dalle quali è comunemente affetto un paziente diabetico di tipo 2 che, per il trattamento di iperglicemia, ipertensione, dislipidemia, malattia cardiovascolare, etc arriva ad assumere in media dalle 8 alle 13 compresse al giorno.

quasi due anni di distanza dall’utilizzo degli inibitori dell’enzima DPP4 in Italia, quali risultati sono stati evidenziati? In Italia in realtà sono stati lanciati oramai da quasi due anni, mentre negli altri paesi europei sono già presenti sul mercato da almeno 3-4 anni. La caratteristica principale di questi farmaci è indubbiamente data dalla loro estrema maneggevolezza. Sono assumibili in mono somministrazione giornaliera e la stessa dose è idonea ad essere somministrata a tutti i pazienti. Quindi, non è necessario titolare la dose a seconda dell’effetto ipoglicemizzante poiché, proprio grazie al particolare meccanismo d’azione, questi farmaci non inducono ipoglicemia. In tal senso a mio avviso sarebbe addirittura opportuno chiamarli farmaci normoglicemizzanti orali anziché ipoglicemizzanti orali. Un’altra caratteristica fondamentale è data dal fatto che, per il momento, non sono stati evidenziati effetti collaterali importanti e, anzi, nella grande maggioranza dei casi hanno dimostrato un’am-

Quali i dati più rilevanti? In Italia, il principale ostacolo alla somministrazione dei farmaci inibitori DPP4 ad un numero molto ampio di soggetti diabetici è stata rappresentati fin ad ora da una particolare modalità prescrittiva (monitoraggio on line delle prescrizioni e del follow-up attraverso il sito AIFA) che, peraltro, non si è rivelata particolarmente efficace alla raccolta di dati di efficacia e sicurezza che avessero una solida base scientifica. Dai dati è tuttavia possibile evincere che la somministrazione di inibitori della DPP-IV si è rivelata, nella pratica clinica, efficace nel ridurre l’emoglobina glicata, ovvero il parametro di riferimento per stabilire il grado di controllo metabolico dei pazienti diabetici. In media, la emoglobina glicata è diminuita di circa 1 punto percentuale nei soggetti trattati con inibitori della DPP-IV raggiungendo un livello finale intorno al 7%, considerato un livelli di compenso accettabile. Inoltre, anziché aumentare di peso, come succede sovente con molti dei trattamenti ipoglicemizzanti disponibili, i pazienti hanno dimostrato una tendenza alla perdita di peso, ancorchè modesta. Inoltre, non sono emersi dal monitoraggio eventi avversi importanti che fossero ricollegabili all’uso di questi farmaci.



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DIABETE

Le nuove tecnologie per la terapia del diabete mellito in età pediatrica Il diabete mellito tipo 1 (DM1) è una delle più frequenti patologie croniche in età pediatrica e l’incidenza è in costante aumento. Il trattamento del DM1 comprende la terapia insulinica, la corretta alimentazione, l’autocontrollo, l’attività fisica e il supporto psico-pedagogico al fine di: ottimizzare il controllo glicemico, ottenere regolare accrescimento staturo-ponderale e normale sviluppo psichico, favorire l’adattamento del paziente e della sua famiglia al nuovo modello di vita imposto dal diabete, prevenire o ritardare l’insorgenza delle complicanze. Negli ultimi anni la tecnologia ha favorito importanti progressi soprattutto nella terapia del bambino e dell’adolescente con DM1. I microinfusori sottocutanei di insulina, strumenti che somministrano piccole quantità di farmaco in maniera continuativa nelle 24 ore e che, tramite comando esterno, sono in grado di aumentare la velocità di erogazione, modulando i cosiddetti “boli” al momento dei pasti (ad esempio, per entità e tipo di carboidrati assunti), sono sempre più diffusi in Diabetologia Pediatrica. Si possono utilizzare, ormai, a qualsiasi età: perfino in epoca neonatale. I microinfusori non sono la panacea, ma possono essere utili per migliorare il controllo metabolico nel paziente con DM1 ben selezionato. La Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) ha pubblicato nel 2008 le ”Raccomandazioni italiane all’utilizzo dei microinfusori in età pediatrica”. Sono una Consensus dei maggiori esperti nazionali, nella quale sono delineate, molto accuratamente, le caratteristiche del paziente al quale prescrivere il microinfusore e le corrette modalità di utilizzo dello strumento. Scopo, non secondario, di queste Raccomandazioni è stato anche di omologare l’assistenza sull’intero territorio nazionale e di assicurare che tutti i Servizi di Diabetologia Pediatrica d’Italia, in qualsiasi regione situati, potessero adeguarsi all’elevato standard di cura del DM1 che, da sempre, ha caratterizzato il nostro Paese. Recentemente il Gruppo di Studio di Diabetologia della SIEDP ha proposto l’attivazione di un “registro nazionale dei microinfusori”: un sistema integrato di rilevazione delle prescrizioni in modo da verificare la correttezza della scelta dei pazienti, evitare “drop-out” soprattutto precoci, e offrire gli strumenti per pianificare l’assistenza. Anche il monitoraggio glicemico del diabete sta diventando sempre più tecnologico. Oggi esiste la possibilità di impiantare un piccolo sensore sottocutaneo che rileva la glicemia “real-time”. La glicemia può essere visionata dal paziente o registrata su supporto informatico e letta, in un secondo momento, con finalità diagnostiche. Il rilevatore glicemico “real-time” si è sempre più perfezionato ed è sempre più preciso non solo per le iperglicemie, ma anche per le ipoglicemie. Infatti è possibile inserire allarmi nel caso si raggiungano valori di ipoglicemia o, addirittura, allarmi preventivi, attivabili nel caso di rilevazione di un rapido trend ad ab-

bassarsi della glicemia, prima ancora di raggiungere livelli pericolosi (gravi ipoglicemie). I possibili vantaggi di questi sistemi sono stati recentemente confermati da due ricerche scientifiche indipendenti condotte dalla JDRF (Fondazione per la Ricerca sul Diabete Giovanile). La prima ricerca, pubblicata sul New England Journal of Medicine nel 2008, ha coinvolto 322 persone con DM1

(bambini e adulti) con insoddisfacente controllo metabolico e ha dimostrato che l’utilizzo frequente del monitoraggio in continuo “real-time” è in grado di ridurre efficacemente, in tutte le classi di età, i livelli di emoglobina glicata rispetto al gruppo di controllo (che aveva utilizzato il glucometro tradizionale). La seconda ricerca, pubblicata su Diabetes Care nel 2009, ha evidenziato in 129 pazienti, sia adulti che bambini, già con ottimale controllo metabolico (livelli di emoglobina glicata “HbA1c” <7.0%), che l’utilizzo del monitoraggio glicemico “real-time” consentiva, rispetto a chi utilizzava l’automonito-

raggio glicemico tradizionale, una ulteriore riduzione (0,3%) della HbA1c senza aumento del numero di ipoglicemie. Una delle più grandi preoccupazioni dei genitori (soprattutto mamme) è l’ipoglicemia, in particolare nei bambini più piccoli e durante le ore notturne. Ma a breve è in arrivo un vero e proprio “Angelo custode”. Si tratta di un minuscolo monitor portatile Wi-Fi che riceve i dati gli-

cemici del sensore del bambino fino a una distanza di circa 30 metri. In tal modo la madre può tenere sott’occhio la glicemia del figlio, anche se il piccolo dorme in un’altra stanza, ed essere svegliata dall’allarme in caso di rapide variazioni delle glicemie. Da segnalare che prossimamente, anche in Italia, verrà introdotto un microinfusore programmato per sospendere autonomamente l’erogazione di insulina, nel caso riscontri ipoglicemia e il paziente non risponda agli allarmi. Un’altra novità, conseguenza dell’applicazione di tecnologie sempre più sofisticate nella gestione dei giovani con diabete, consiste nel miglioramento delle comunicazioni tra paziente e Centro di Diabetologia Pediatrica. Oggi è possibile, infatti, per il paziente comunicare con relativa facilità, via internet, i valori glicemici, la terapia praticata, l’entità e i tempi dell’esercizio fisico, la quantità di carboidrati assunti con i pasti o con gli spuntini. Il Diabetologo Pediatra può conoscere, pressoché “in diretta”, tutte le informazioni sul controllo glicemico, valutare la eventualità di modifiche in corsa della

terapia e inviare un feed-back al paziente sottoforma di messaggio. Inoltre, se è vero che non siamo giunti alla cosiddetta “chiusura dell’ansa”, cioè al microinfusore di insulina che risponde all’iperglicemia con l’aumento automatico della velocità di erogazione del farmaco, esiste tuttavia la possibilità che il paziente utilizzi in contemporanea un sensore della glicemia e un microinfusore di insulina che possono “dialogare” tra loro. Anche per questi strumenti, detti sistemi integrati, sono state prodotte negli ultimi mesi importanti evidenze scientifiche. Nel 2009 a Vienna durante il recente congresso EASD (European Association for the Study of Diabetes) sono stati presentati i risultati dello studio Real Trend in 132 pazienti (51 con età fra 2 e 18 anni). Lo studio ha evidenziato che l’utilizzo dei sistemi integrati di infusione e monitoraggio glicemico in continuo “real-time”, per oltre il 70% del tempo, riduce dell’1% l’emoglobina glicata rispetto all’utilizzo del solo microinfusore e dell’automonitoraggio glicemico capillare. Il risultato è particolarmente importante in quanto, studi precedenti, hanno dimostrato che diminuire dell’1% l’emoglobina glicata riduce del 40% circa il rischio di sviluppare le complicanze croniche del diabete. A Montreal in ottobre, durante il congresso mondiale della Federazione Internazionale del Diabete (IDF), sono stati resi noti i risultati dello studio ONSET, che ha valutato in 160 bambini e adolescenti con DM1 l’efficacia e la sicurezza dell’utilizzo del sistema integrato “microinfusore e sensore” fin dall’esordio clinico del diabete, senza periodi iniziali di terapia con iniezioni multiple di insulina. I ricercatori hanno evidenziato che il sensore permetteva una riduzione significativa dell’emoglobina glicata sia rispetto ai pazienti trattati con iniezioni multiple di insulina, sia rispetto ai pazienti che all’esordio di malattia iniziavano terapia con solo microinfusore. Nei bambini e negli adolescenti che utilizzavano anche il sensore vi era minore frequenza di ipoglicemie, minore oscillazione dei valori della glicemia e, soprattutto, maggior riserva di C-peptide, indice di secrezione di insulina endogena e che sono preservate cellule beta nel pancreas.


Conoscere la neuropatia

Con “neuropatia” s’intende ogni tipo di danno ai nervi, a comprometterli può essere un diabete mal controllato, sia di tipo 1 che di tipo 2. Le due forme più importanti della neuropatia diabetica sono la neuropatia sensitivo-motoria e la neuropatia vegetativa. In ciascuna persona diabetica può essere presente un solo tipo di neuropatia o possono le due forme svilupparsi assieme. La neuropatia sensitivo-motoria periferica colpisce i nervi alterando il passaggio di alcune informazioni partite dalla periferia e dirette al cervello. I disturbi più frequenti sono le sensazioni di formicolio e di intorpidimento per cui spesso si ha l’impressione di avere tanti piccoli aghi infissi lungo il corpo, in particolare alle gambe ed ai piedi. Altre volte invece si hanno segnali di dolore, anche intenso, in realtà provocato, ad esempio, solo dal semplice sfioramento del lenzuolo. In altri casi, quando cioè diminuisce o manca la sensibilità, si ha l’impressione di camminare su una moquette e pertanto non si avverte bene il contatto con il suolo. È difficile riconoscere la neuropatia diabetica in quanto i sintomi che provoca sono paragonabili più a delle sensazioni che a veri e propri disturbi, e poiché tali sintomi non causano eccessivo fastidio, facilmente sono trascurati o sottovalutati. Inoltre poiché spesso sono sensazioni transitorie, che vanno e vengono, può essere naturale attribuire queste sensazioni alla stanchezza fisica. Quando la situazione peggiora, si ha la perdita di sensibilità al dolore e le cose diventano ancora più difficili: a nessuno, infatti, verrebbe in mente di riferire qualcosa che, in pratica, “non si sente”. La stessa condizione di mancata percezione si verifica anche per alcuni sintomi della neuropatia autonomica: non sudare più ai piedi può essere un sollievo, così come il minor bisogno di urinare non dà fastidio. Dal momento che il sistema nervoso autonomo controlla tutte le funzioni fisiologiche “automatiche” dell’organismo come la respirazione, la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la sudorazione, l’acquolina in bocca, la peristalsi intestinale, la funzione sessuale, etc. la mancata attenzione ai sintomi già citati, può portare a complicanze molto serie. In considerazione delle difficoltà che si hanno nel riconoscere i sintomi

della neuropatia diabetica, diventa importante riferire al proprio diabetologo le sensazioni che si avvertono, eventuali cambiamenti nella loro percezione e soprattutto la loro attenuazione o scom-

parsa. Riconoscere precocemente la neuropatia è molto importante perchè qualsiasi intervento di cura avrà maggior successo se l’alterazione dei nervi è ancora nella fase iniziale. Dal momento che

attualmente non esiste una terapia specifica della neuropatia, accanto alla terapia farmacologia convenzionale, gli integratori alimentari a base di acido alfa lipoico assumono un ruolo fondamen-

tale, tanto da rappresentare strumenti terapeutici validi ed efficaci nella riduzione dei sintomi e dei deficit neuropatici.



DIABETE

Novembre 2008

LA GIORNATA MONDIALE DEL DIABETE Ogni anno, il 14 novembre, si osserva la Giornata Mondiale del Diabete, promossa da IDF-International Diabetes Federation DIABETE E ARTE CULINARIA Per la prima volta nella storia dell’alta cucina italiana, 20 grandi chef dedicano la loro arte ad un pubblico particolare DIABETE: LO STATO DELLA RICERCA Nel diabete tipo 1, che colpisce soprattutto bambini e giovani, rimangono indispensabili le iniezioni di insulina.

LA DIFFERENZA TRA CURARE E PRENDERSI CURA.

Da un’azienda farmaceutica ci si aspettano risposte efficaci ed efficienti alla domanda di salute. La ricerca meticolosa, la competenza scientifica possono tracciare le coordinate , ma per raggiungere le persone, serve molto di più. Occorrono passione, coinvolgimento, sensibilità. È lìattitudine che distingue noi di Takeda Italia Farmaceutici e che ci avvicina ai medici e ai loro pazienti. Un’attitudine in grado di fare la differenza. La differenza che c’è tra curare e prendersi cura.

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO


DIABETE

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Editoriale La giornata mondiale del diabete

DIABETE

Novembre 2008

Ogni anno, il 14 novembre, si osserva la Giornata Mondiale del

lo che normalmente colpisce gli adulti, detto anche “diabete

Diabete, promossa da IDF-International Diabetes Federation,

alimentare”) negli adolescenti, legato soprattutto agli errori

organizzazione internazionale composta da 200 Associazioni

alimentari, alla sedentarietà ed al conseguente incremento

di oltre 150 paesi, che rappresenta milioni di persone affette

dell’obesità. Circa l’80% dei casi di diabete di tipo 2 può es-

da diabete, le loro famiglie e i professionisti sanitari. Nel nostro

sere risolto anche solo agendo in maniera “scientificamente

Paese, le celebrazioni sono curate da Diabete Italia, l’Associa-

corretta” sullo stile di vita, apportando cambiamenti alla dieta

zione tra le Società Scientifiche dedicate allo studio e cura del

e dedicandosi maggiormente all’attività fisica. Per questo tutti

diabete, le Associazioni di volontariato e degli operatori pro-

noi, specialisti del settore e società nel suo insieme, dobbiamo

fessionali del settore.

stabilire un’alleanza per prevenire e curare il diabete interve-

Dal 21 dicembre 2006, questa ricorrenza si è arricchita di nuovi

nendo precocemente, riappropriandosi di abitudini alimenta-

significati. Infatti, quel giorno l’Assemblea Generale delle Na-

ri “salutari” e incrementando l’attività fisica nella quotidianità.

zioni Unite ha votato una Risoluzione che riconosce come il

Non vi è una diffusa consapevolezza della “malattia” diabete.

diabete costituisca un problema sociale per il mondo. Per la

Non è infatti sufficientemente noto che il diabete è una del-

Diabete e arte culinaria.........................2

prima volta, la massima organizzazione internazionale ha ri-

le cause principali di morte prematura nel mondo. Ogni dieci

“Il diabete ha la memoria lunga”........3

conosciuto che una malattia non infettiva pone una seria mi-

secondi una persona muore per cause legate al diabete, e si

La dolce malattia.....................................4

naccia alla salute del pianeta, al pari di HIV/AIDS, tubercolosi e

prevede che l’indice di mortalità crescerà del 25% entro la fine

malaria. La Risoluzione ONU stabilisce che il 14 Novembre sia

del prossimo decennio. Secondo l’Organizzazione Mondiale

designato Giornata delle Nazioni Unite del Diabete e chiede a

della Sanità (OMS), il diabete potrebbe – per la prima volta in

Il metodo ascultatorio e oscillometrico punti di forza e problematiche a confronto........................5

tutti gli Stati membri di celebrare questa ricorrenza e di pro-

200 anni – ridurre globalmente le aspettative di vita.

muovere politiche per la prevenzione e la cura della malattia.

Per questi motivi la persona con diabete ha necessità di dise-

In Italia il diabete colpisce il 5-6% della popolazione, mentre

gnare un nuovo modo di vivere. Questo può essere fatto in

Controllo continuo della glicemia....6

solo dieci anni fa interessava 4 italiani su 100. I dati diffusi

“compagnia” dello specialista diabetologo, in una alleanza,

I numeri del diabete in Italia...............8

dall’IDF mostrano che più di 230 milioni di persone convivo-

che ha come fine quello di rendere la persona con diabete

no con questa malattia nel mondo. Ecco perché la comunità

protagonista della propria malattia. E’ questo messaggio che

Terapie e proposte: tradizione enovità...................................8

mondiale ha deciso di mobilitarsi per fronteggiare quella che

vorremmo diffondere anche in occasione della Giornata Mon-

sempre più assume le forme di una vera, grande epidemia.

diale del Diabete, per contribuire a debellare questa epidemia

Si calcola infatti che in meno di 20 anni le persone affette da

“dolce”, ma estremamente pericolosa per la salute.

diabete saranno 350 milioni, se non si adotteranno per tempo

LA GIORNATA MONDIALE DEL DIABETE Ogni anno, il 14 novembre, si osserva la Giornata Mondiale del Diabete, promossa da IDF-International Diabetes Federation DIABETE E ARTE CULINARIA Per la prima volta nella storia dell’alta cucina italiana, 20 grandi chef dedicano la loro arte ad un pubblico particolare DIABETE: LO STATO DELLA RICERCA Nel diabete tipo 1, che colpisce soprattutto bambini e giovani, rimangono indispensabili le iniezioni di insulina.

LA DIFFERENZA TRA CURARE E PRENDERSI CURA.

Da un’azienda farmaceutica ci si aspettano risposte efficaci ed efficienti alla domanda di salute. La ricerca meticolosa, la competenza scientifica possono tracciare le coordinate , ma per raggiungere le persone, serve molto di più. Occorrono passione, coinvolgimento, sensibilità. È lìattitudine che distingue noi di Takeda Italia Farmaceutici e che ci avvicina ai medici e ai loro pazienti. Un’attitudine in grado di fare la differenza. La differenza che c’è tra curare e prendersi cura.

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

SOMMARIO

Editoriale La giornata mondiale del diabete.................................................2

Autocontrollo della glicemia..............6 I microinfusori..........................................6

Le complicanze cardiovascolari del diabete.................................................8 Diabete: lo stato dell’arte della ricerca..............9 Gli inibitori del DPP4 una promettente classe di farmaci per la cura del diabete di tipo 2......................................9

adeguate contromisure. Anche quest’anno, per il secondo anno consecutivo, la Giorna-

Adolfo Arcangeli

ta del Diabete è dedicata a “Il diabete nel bambino e nell’ado-

Presidente Associazione Medici Diabetologi

lescente”, perché vi è un incremento di diabete di tipo 2 (quel-

Presidente Diabete Italia

Il piede diabetico: prevenzione e cura..............................10 Ipo e iperglicemie.................................11

Mediaplanet with reach and focus www.mediaplanet.com Mediaplanet è una casa editrice leader in Europa per la pubblicazione di supplementi tematici allegati a quotidiani e portali online di economia, politica e finanza. Per ulteriori informazioni : Filippo Gioiello Country Manager, +39 02 36269426 filippo.gioiello@mediaplanet.com

DIABETE - UNA PUBBLICAZIONE DI MEDIAPLANET Project Manager: Francesca Cataldi, Mediaplanet 02-36269427 Production Manager: Gianluca Cò, Mediaplanet 02-36269439 Produzione/Layout: Daniela Borraccino, Mediaplanet daniela.borraccino@mediaplanet.com Testi: Henry Borzi Stampa: Il Sole 24 Ore Distribuzione: Il Sole 24 Ore Foto: istockphoto.com

Diabete e arte culinaria Per la prima volta nella storia dell’alta cucina italiana, 20 grandi chef dedicano la loro arte ad un pubblico particolare, ampio ed esigente: le persone con diabete e tutti coloro che vogliono prevenirlo. L’obiettivo è allontanare lo spettro di cibi tristi e menu restrittivi che normalmente si accompagnano al concetto di dieta. Il risultato 60 ricette d’autore, allegre, semplici e raffinate, raccolte e illustrate in un libro, LA DOLCE VITA, che sposa la creatività alle regole per il corretto comportamento alimentare delle persone con diabete. La pubblicazione patrocinata da AMD (Associazione Medici Diabetologi), ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizioni Clinica), FAND (Associazione italiana diabetici) e realizzata grazie al contributo di Merck Sharp & Dohme per il suo contenuto sociale ed educativo ha ottenuto il patrocinio del Ministero della Salute. Obiettivo di questo progetto è offrire un contributo di servizio ai pazienti affetti da diabete di tipo 2 e di informazione al grande pubblico a favore della prevenzione di questa patologia.

Da tempo la ricerca ha messo in evidenza lo stretto legame che intercorre tra una corretta alimentazione e la prevenzione del diabete nella popolazione e il raggiungimento di un buon controllo metabolico nelle persone già affette da questa patologia. Il principio condiviso dai medici diabetologi, dai nutrizionisti e dalle associazioni di pazienti è che accanto alla attività fisica, alimentarsi in modo corretto è una scelta e una necessità inderogabile nell’ottica di una corretta prevenzione e gestione della patologia diabetica. Tuttavia, proprio la dieta rappresenta una fonte di ansia per il paziente che si vede costretto a rinunciare ai piaceri della tavola. Da qui l’idea di una pubblicazione espressamente pensata per soddisfare le esigenze ed il gusto delle persone con diabete e di chi voglia prevenirlo in grado di coniugare le regole per una condotta alimentare equilibrata, attraverso le raccomandazioni stilate dalle Società Scientifiche, con il piacere della tavola e della convivialità attraverso la qualità e tradizione

della cucina italiana rappresentata dai 20 grandi chef che hanno aderito a questo progetto. Il volume è attualmente in distribuzione gratuita presso i centri di diabetologia, e le sedi dell’associazione Fand presenti sul territorio italiano e tutti i cittadini italiani potranno richiedere una copia attraverso l’ indirizzo email la dolcevita@lapostainrete.it.


DIABETE

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“Il diabete ha la memoria lunga”

Confermato il ruolo della “memoria metabolica” del diabete, ossia la capacità della malattia di produrre danni all’organismo anche dopo che la glicemia è stata riportata ai valori normali. La ricerca corre ai ripari studiando farmaci e sostanze naturali che possano bloccare e successivamente annullare questo fenomeno: i sartani, l’acido alfa-lipoico e il sulforafano, sostanza di cui sono ricchi broccoli, rapanelli e appunto rafano, si candidano ad ulteriori antidiabetici del futuro? Recentemente è stato ipotizzato Il fenomeno della cosiddetta “memoria metabolica” del diabete, ossia della capacità che le cellule esposte a iperglicemia hanno di continuare a produrre in eccesso e liberare radicali liberi, dannosi in particolare per l’endotelio, il tessuto di rivestimento dei vasi sanguigni, e le beta-cellule che producono insulina. Questa evidenza era chiaramente emersa dallo studio DCCT-EDIC condotto nel diabete di tipo 1 e confermato di recente anche nel diabete di tipo 2 dal follow-up a 20 anni dello studio UKPDS. Un lavoro pubblicato da due ricercatori australiani, Assam El-Osta e Mark Cooper, sull’autorevole Journal of Experimental Medicine ha evidenziato inoltre, e per la prima volta, un coinvolgimento genetico nel fenomeno della memoria metabolica: l’iperglicemia, infatti, attiverebbe un gene che regola il fattore NF-kB, coinvolto nel processo infiammatorio, e che rimarrebbe attivato nonostante la normalizzazione della glicemia. Questi studi di grande rilevanza scientifica hanno potenziali implicazioni pratiche. Innanzitutto, dal punto di vista clinico: confermano la necessità di un intervento il più precoce possibile nelle persone cui sia stato diagnosticato il diabete, per abbassare subito la glicemia. “Ciò è peraltro in linea con quanto sostenuto da diversi studi che evidenziano come questo intervento sia utile a ridurre le complicanze della malattia”, spiega Antonio Ceriello, diabetologo italiano che opera presso la Medical School dell’Università di Warwick in Gran Bretagna, il cui gruppo di ricerca è stato il primo al mondo a dimostrare che la “Memoria Metabolica” è legata alla persistenza di una produzione aumentata di radicali liberi da parte dei mitocondri, che continuano a produrre più radicali liberi dopo essere stati esposti all’iperglicemia anche quando la glicemia viene normalizzata. “Tra l’altro – aggiunge Ceriello - un gruppo di ricercatori cinesi ha pubblicato poche settimane fa su The Lancet uno studio che dimostra proprio come l’intervento aggressivo alla diagnosi sia utile a salvaguardare anche la beta-cellula”. Inoltre, queste scoperte aprono la strada alla ricerca di nuovi farmaci. “Per esempio - racconta Ceriello - i sartani, comuni farmaci antipertensivi, sono in grado di bloccare la memoria metabolica, ossia di arrestare questo processo. Riteniamo, però, che una sostanza anche interessante, da questo punto

di vista, sia l’acido alfa-lipoico, che è in grado di modulare, normalizzandola, l’attività di produzione dei radicali liberi a livello mitocondriale. Poi, una sostanza naturale, presente in grande quantità in alcune verdure come broccoli, rapanelli e rafano - il sulforafano - ha attirato l’attenzione del gruppo di Paul Thornalley che anche lavora alla

Warwick University. Thornalley ha dimostrato su Diabetes che il sulforafano ha la caratteristica di stimolare le difese antiossidanti all’interno delle cellule e quindi potrebbe essere in grado di contrapporsi agli effetti della memoria metabolica. Stiamo ora lavorando anche su questa ipotesi”. In prospettiva, quindi, tutti questi stu-

di sono incoraggianti, tuttavia non sufficienti. “Infatti, non basta fermare o bloccare la memoria metabolica. Bisogna trovare la strada per annullarla o come si dice in gergo tecnico ‘spegnerla’: far perdere la memoria al diabete. Beh, qui c’è ancora molta strada da fare”, conclude Ceriello.


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La dolce malattia

Diabete, dolce malattia perché caratterizzata da un aumento del glucosio (zuccheri) nel sangue, ma amara per i problemi che può creare all’individuo e all’intera collettività. Una recente analisi sull’impatto economico del diabete nel nostro Paese ha stimato in 5,2 milioni di euro l’anno il costo totale di tale patologia, pari al 6,65% della spesa sanitaria nazionale complessiva. Il costo dell’assistenza sanitaria erogata al paziente diabetico aumenta di 3-5 volte se la malattia è gravata da complicanze. E sono le complicanze a minare la qualità di vita del paziente diabetico. Queste complicanze coinvolgono i piccoli vasi dell’occhio (retinopatia), del rene (nefropatia) e del sistema nervoso (neuropatia) oltre che ai grossi vasi esponendo il soggetto a rischio di infarto del miocardio, ictus, arteriopatia obliterante degli arti inferiori. Con il termine diabete si identificano tutte le forme di anomalo aumento nel sangue degli zuccheri (glicemia) ma due sono le forme principali di diabete: diabete tipo 1 e tipo 2. Il primo è meno frequente del secondo con un rapporto di 1 a 10. Entrambe le condizioni conseguono ad alterazioni che coinvolgono l’insulina, l’ormone indispensabile affinché i tessuti dell’organismo possano normalmente utilizzare il glucosio a scopi energetici. Il diabete tipo 1 è una malattia autoimmune nella quale autoanticorpi distruggono le cellule del pancreas che sintetizzano e rilasciano insulina. I soggetti che sviluppano questa forma di diabete sono generalmente giovani, se non in età infantile, con un normale peso corporeo e, con la perdita della produzione di insulina, proni allo sviluppo della chetosi, una particolare alterazione metabolica che, se particolarmente marcata, può esporre anche al rischio di sopravvivenza. I pazienti con diabete tipo 1 presentano una predisposizione genetica che impronta particolari componenti del sistema immunitario. Il diabete tipo 2 riconosce almeno due difetti coesistenti: l’alterazione della secrezione di insulina e la resistenza all’ormone. I soggetti che sviluppano questa forma di diabete sono quasi sempre in sovrappeso se non obesi e comunque caratterizzati da un aumento della circonferenza vita, indice di eccessivo accumulo di grasso addominale. A differenza del diabete tipo 1, nel diabete tipo 2 non c’è tendenza alla chetosi. Questi soggetti sono in grado di produrre insulina ma i tessuti dell’organismo non sono in grado di rispondere normalmente all’ormone. Il diabete tipo 2 era fino a qualche tempo fa più frequente nell’età adulta, ma, con l’aumento dell’obesità infantile, la malattia

tende ad insorgere in età sempre più giovane. Questa forma di malattia è molto disomogenea sia nella sua predisposizione genetica che nelle sue manifestazioni. Numerosi sono i geni che sembrano influenzare il rischio di malattia ed è altamente probabile che l’interazione tra più geni contribuisca in modo determinante. La sintomatologia della malattia può essere a volte così sfumata da passare inosservata e portare ad un ritardo della diagnosi esponendo il paziente al rischio di complicanze. Nel diabete mellito tipo 1 e tipo 2 per quanto molto contino, i geni non sono sufficienti a spiegare completamente la malattia. Infatti, per quanto sia improbabile che il nostro patrimonio genetico sia cambiato negli ultimi 2000 anni, l’aumento del diabete negli ultimi 50 anni è stato eccezionale. Se il numero di soggetti affetti nel mondo era di 135 milioni nel 1995 questo salirà nel 2025 a 300 milioni. La causa di questo aumento è soprattutto legata a fattori ambientali, in primo luogo l’eccessivo introito di calorie e la poca attività fisica. Questa relazione si può apprezzare facilmente considerando alcuni fatti. La frequenza di diabete (soprattutto tipo 2) è 5-10 volte più alta nei soggetti obesi, e dieta ed esercizio fisico completamente ristabiliscono normali valori di glicemia. L’efficacia di dieta ed attività fisica è stata confermata in grandi studi dove è stato dimostrato come uno stile di vita corretto può ridurre del 60% il rischio di diventare diabetici di tipo 2 in soggetti con una predisposizione. Quindi, identificare chi è a rischio di diabete è importante e relativamente facile soprattutto per il DM2. Infatti, sono a rischio tutti i soggetti con un’età superiore ai 45 aa. In particolar modo sono a rischio i soggetti che hanno 1 o 2 parenti di primo grado con diabete; tutti coloro che sono in sovrappeso e hanno un girovita superiore a 102 cm nell’uomo e 88 cm nella donna; tutti i soggetti con ipertensione arteriosa e alterazioni dei lipidi (grassi) del sangue; le donne che hanno partorito figli con peso alla nascita superiore a 4 kg ed, infine, tutti coloro nei quali una seppur modesta alterazione della glicemia sia stata precedentemente riscontrata. Tutti questi soggetti dovrebbero essere valutati per un eventuale diabete ed in ogni caso dovrebbero operarsi per evitare di incorrere nel rischio della “dolce malattia”. Prof. Stefano Del Prato,Professore Ordinario di Endocrinologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università di Pisa; Direttore dell’Unità Operativa Diabetologia e Malattie del Metabolismo della Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa

Piatti sani e cucina d’autore

Iniziative editoriali e ricette d’autore per diabetici Un bel piatto di pasta e fagioli? Se sei diabetico, meglio di no. Capesante avvolte nel prosciutto, con carciofi, intingolo agro-piccante e sorbetto al corallo? No, se hai il diabete possono farti male. Pare ovvio che cibi troppo ricchi ed elaborati non siano consigliati a chi ha problemi di alta glicemia. Eppure, in questi ultimi anni si moltiplicano sempre di più le iniziative volte a promuovere la buona cucina anche per chi ha particolari problemi metabolici, come il diabete. La classe medica ne è sempre più convinta; se vuoi avere qualche possibilità di ottenere un buon controllo glicemico e del peso forma, devi insegnare ai tuoi pazienti a mangiare bene, in modo equilibrato senza necessariamente impostare un regime dietetico troppo punitivo. Perseguendo questa filosofia è stato realizzato un libro, intitolato, non a caso, “La Dolce Vita”. Il volume -sottotitolato “prevenire e vivere il diabete senza rinunciare ai piaceri della tavola” - raccoglie infatti 60 ricette proposte da 20 grandi chef . Da Carlo Cracco di Milano, a Fabio Baldassarre di Roma a Rita Denzi di Olbia, i grandi chef rappresentano tutte le tradizioni culinarie d’Italia, nell’intento di conciliare creatività e corretto comportamento alimentare, sfatando il luogo comune che il mangiar sano significhi cucina scialba e triste. L’alta cucina più raffinata non è dunque preclusa ai diabetici, se si impara a dosare correttamente ingredienti e quantità. “La Dolce Vita” è un progetto patrocinato dal ministero della Salute, dall’Associazione medici diabetologi Amd, dalla Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica Adi, dalla Associazione dei diabetici Fand e sostenuto da Merck Sharp & Dohme: il libro che ne è nato (edito da Gribaudo, collana Il Gusto) è stato distribuito ai centri diabetologici italiani e alle cento sedi locali della Fand, con grande apprezzamento da parte di medici e pazienti. Per ottenere il corretto equilibrio fra piatti da gourmet e precetti della sana nutrizione e regole imposte dal diabete, il lavoro degli chef è stato sottoposto a una rigorosa revisione scientifica, che, in base ai criteri della corretta alimentazione, ha dettato, quando necessario, aggiustamenti, correzioni e cambiamenti (ma non stravolgimenti) rispetto alle ricette di partenza. Infatti, è stato il direttore del Gruppo alimentazione e diabete della Amd, Giuseppe Marelli, a coordinare e curare la pubblicazione, che non si limita a spiegare il modo di preparare i piatti, ma ne riporta anche i relativi valori nutrizionali e contiene un’ampia sezione introduttiva di educazione sanitaria sul diabete e sui principi della giusta alimentazione. Commenta in proposito Marelli: “Per controllare e prevenire il diabete a tavola non esistono più divieti, ma regole da rispettare ogni giorno, che indirizzano, ma non limitano la varietà e la raffinatezza dei piatti”. Si tratta dello stesso concetto ispiratore di iniziative che, nel paese della buona cucina, si ripetono con sempre maggior successo, come il ricettario “In cucina con il diabete e le malattie del metabolismo”. Questo libro viene realizzato con cadenza annuale da più di 10 anni dall’Istituto Alberghiero di Villa S. Maria in Abruzzo, sotto la supervisione del Dott. Mario Pupillo del servizio di diabetologia e con patrocinio della Asl Lanciano Vasto assieme all’Associazione Diabetici Frentana. Ogni anno vengono presentati nuovi piatti studiati e realizzati durante il corso di “Chef Nutrizionista” dell’Istituto Alberghiero. Il corso di “Chef Nutrizionista” è stato istituito dall’Istituto alberghiero, proprio per formare una nuova figura professionale di chef che possedesse le competenze necessarie per poter collaborare con dietisti e medici specialisti nella compilazione ed elaborazione di menù adatti alle più diffuse malattie del metabolismo, senza peraltro penalizzare il piacere della tavola nel rispetto delle tradizioni gastronomiche regionali. Da circa due anni, nel supplemento della rivista “Tuttodiabete” si possono trovare alcune ricette scelte, accompagnate dal commento del dott. Pupillo -per ricevere gratuitamente la rivista telefonare al servizio clienti Bayer Diabete 800824055 - . Queste ini-

ziative aiutano chi ha il diabete ad apprezzare le tante possibilità che la nostra cucina offre, rimanendo nei limiti del buon controllo metabolico, ricordando inoltre che la dieta mediterranea è quella che dimostra la maggior efficacia contro il rischio cardiovascolare.


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Il metodo auscultatorio e oscillometrico: punti di forza e problematiche a confronto La metodica tradizionale a mercurio o aneroide è da sempre considerata la più affidabile dalla classe medica. Tuttavia è fondamentale sottolineare le criticità di questa metodica: l’importanza di una periodica verifica della taratura degli sfigmomanometri, in quanto si tratta di strumenti di misura piuttosto delicati, e, badandosi su un metodo ascultatorio, la possibilità dell’occorrenza dell’errore umano. Negli ultimi anni si sono diffuse tra i medici, e soprattutto tra i pazienti, metodiche di misurazione semi-automatica e automatica che utilizzano prevalentemente la tecnica oscillometrica. Questa tecnica si basa su una misurazione “indiretta” della pressione, in quanto la pressione sistolica e diastolica sono derivate, con sofisticati algoritmi, dalle analisi delle oscillazioni dell’aria nel manicotto durante la fase di sgonfiaggio dello stesso. Tuttavia un uso affidabile e responsabile di questi strumenti richiede che essi siano clinicamente validati secondo protocolli internazionali standardizzati e riconosciuti.

I misuratori oscillometrici permettono di eliminare i diversi errori del metodo auscultatorio legati all’osservatore ed evitare il problema dell’arrotondamento del dato pressorio, inoltre essendo estremamente semplici da usare, non richiedono alcuna preparazione o particolare competenza tecnica e possono essere tranquillamente usati da chiunque. Questo rappresenta un vantaggio estremamente importante dal momento che le Linee Guida delle Società Scientifiche di riferimento sottolineano l’importanza dell’automisurazione. Ma qual’e’ il punto di vista dei medici sui due metodi di misurazione? Il medico è oggi consapevole che il futuro degli sfigmomanometri tradizionali è fortemente minacciato a causa dei timori circa la tossicità da mercurio. In effetti tutti gli apparecchi a mercurio sono destinati a scomparire dalla pratica clinica nei prossimi anni. Pertanto in considerazione della messa al bando del mercurio e la consapevolezza che gli aneroidi necessitano di una continua manutenzione per mantenere una loro efficienza, sta aumentando l’uso di misuratori automatici e semi-automatici oscillometrici negli ambulatori dei medici. Inoltre la consapevolezza che rispetto al metodo standard con l’oscillometrico non è necessario, per l’automisurazione, un lungo periodo di addestramento, sta portando i medici a consigliare ai pazienti misuratori che possano essere facilmente usati a domicilio. I misuratori automatici dovranno essere clinicamente validati nonché dotati di bracciale idoneo; è inoltre importante che posseggano ulteriori caratteristiche quali un display grande e luminoso, una memoria sufficiente, il calcolo della media delle ultime misurazioni e come optional l’opportunità di trasmettere o trasferire i dati memorizzati. Un misuratore automatico dovra’ quindi offrire

all’utente un ottimo rapporto qualità prezzo in considerazione di quanto raccomandato dalle linee guida ESH (Società Europea Ipertensione). Generalmente i prezzi dei misuratori automatici sul mercato sono allineati e possono variare dai 100 €, per un misuratore buono con funzioni semplici, ai 150 € per uno più complesso con più performances.


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Autocontrollo della glicemia l’importanza dell’accuratezza del dato Tenere sotto controllo i livelli di glicemia nell’arco dell’intera giornata rappresenta indubbiamente uno degli obbiettivi principali nel trattamento del diabete al fine di poter evitare eventuali complicanze. In questo senso è necessario che il paziente disponga di una forte consapevolezza riguardo la sua malattia e le conseguenze di una mancata cura. Deve cioè arrivare ad assumersi la responsabilità del suo stato di salute. Capire perché sta male, come sta andando il controllo, conoscere le situazioni a rischio. Tutto ciò offre al paziente la possibilità di poter agire consapevolmente e appropriatamente sulla propria malattia, dandogli la capacità di essere libero e autonomo. Fino all’inizio degli anni ’80 non disponevamo di un valido mezzo per monitorare, con sufficiente rapidità e precisione, le oscillazioni della glicemia. Il grande cambiamento, che ha rivoluzionato la gestione del diabete, è consistito nello sviluppo di tecniche pratiche e affidabili per la misura della glicemia da una piccolissima quantità di sangue, ottenuta mediante una lieve puntura del polpastrello. Grazie a questo avvento, molti bambini e adulti con diabete possono prevenire gli scompensi acuti e migliorare i risultati della terapia nel lungo periodo. Con i dispositivi portatili (glucometri), che leggono automaticamente, in modo rapido e semplice, i valori della glicemia, è possibile cosi praticare l’automonitoraggio, cioè la misurazione effettuata dovunque ci si trovi, a casa propria, come a scuola, sul lavoro, nella vita di tutti i giorni, in diversi momenti della giornata, in maniera del tutto autonoma. Per autocontrollo invece ci si riferisce all’interpretazione dei risultati e ai conseguenti interventi terapeutici volti a migliorarli. Interventi che le persone con diabete dovranno essere educate a effettuare, in collaborazione con l’equipe diabetologica (medico, infermiere, dietista). L’autocontrollo della glicemia deve essere considerato quindi un vero e proprio strumento terapeutico (alla stessa stregua di insulina, ipoglicemizzante, dieta alimentare ed attività fisica) attra-

verso il quale aumentare le aspettative di vita del paziente. Per la scelta di uno strumento per l’autocontrollo, oggi disponiamo di tecnologie all’avanguardia praticamente a prova di errore, che permettono cioè di assicurare la massima accuratezza del dato glicemico, grazie al superamento della calibrazione preliminare dello strumento non più richiesta (spesso grave fonte di errore manuale) e ultimamente anche alla totale neutralizzazione o significativa riduzione delle sostanze cosiddette interferenti (quali maltosio, galattosio, acido urico, bilirubina, acido ascorbico, paracetamolo e tante altre). Sostanze queste ultime che si possono facilmente riscontrare in alimenti di largo impiego e in prodotti comuni di automedicazione. La scelta dello strumento pertanto, non è casuale, ma stabilita sulla base dell’accuratezza e dell’affidabilità, in modo da limitare al massimo possibili fonti di errori (come la manualità del paziente, la presenza di anemia o farmaci che il paziente può assumere abitualmente), che possono esporre il paziente a errate valutazioni, con possibili conseguenze sulla salute. Un adeguato programma di autocontrollo, consigliato dal medico e concordato con il paziente, è indubbiamente uno strumento essenziale e strategico per adattare la terapia ad ogni singolo paziente. Le persone con diabete saranno cosi maggiormente motivate a vivere in modo salutare, per migliorare la qualità della vita. Potranno altresì comprendere come la terapia farmacologica, l’attività fisica e l’alimentazione influenzino i valori della glicemia e quali siano le porzioni e gli alimenti più adeguati, correggendo lo stile di vita. L’autocontrollo glicemico - come ben sottolineato dagli “Standard italiani per la cura del diabete mellito” - è un vero e proprio strumento terapeutico, indispensabile nella autogestione della malattia diabetica. A tal proposito e’ indubbiamente auspicabile una sua maggiore diffusione e valorizzazione. Dr. Giovanni Sartore Ricercatore Universitario Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche – Università di Padova U.O.C. di Diabetologia e Dietetica – ULSS 16 Padova

I microinfusori

come la tecnologia ci viene in aiuto

Come la tecnologia ci viene in aiuto nella cura del diabete? Il diabete di tipo 1 è una condizione che interessa nel nostro paese circa 240.000 persone. Questi pazienti devono almeno 4 volte al dì, iniettare insulina e controllare le glicemie. Le eccellenti preparazioni insuliniche oggi disponibili, se adeguatamente utilizzate, permettono di riprodurre molto da vicino la funzione delle cellule del pancreas deputate alla produzione di insulina. Questa funzione nelle persone con diabete di tipo 1 è definitivamente compromessa. Per far funzionare tutto al meglio la persona con il Diabete di tipo 1 deve apprendere come applicare, sulla base della glicemia e del cibo che vuole introdurre, “semplici” calcoli per l’aggiustamento della dose d’insulina da iniettare. Detto così può sembrare tutto facile, ma , ahime, per il paziente il trattamento del diabete di tipo 1 è sia difficile, sia tedioso. Le persone con diabete devono ricorrere a processi decisionali più volte nel corso della giornata, per poter affrontare quegli stessi momenti, alimentazione, esercizio ecc, che dai non diabetici non vengono neppure percepiti. Il rischio del fallimento motivazionale è sempre dietro l’angolo. Il primo impegno che viene richiesto alla tecnologia è proprio quello di mettersi al servizio delle persone con diabete, sostenendole nella quotidiana necessità di affrontare e risolvere problemi ripetitivi, come fare insulina, il controllare la glicemia, definire la dieta, ecc… I microinfusori in parte facilitano quanto detto sopra. Hanno le sembianze di un cellulare e non sono “altro” che una pompetta portatile che permette al paziente di ricevere continuativamente insulina attraverso un catetere che lo collega allo strumento. I vantaggi di questa terapia sono molteplici, in quanto la infusione continua di insulina permette di riprodurre ancora meglio la funzione perduta del pancreas. Se le

difficoltà nell’iniettarsi l’insulina possono in parte trovare risposta nell’uso del microinfusore, dall’altra parte un peso costantemente percepito e riferito rimane quello di dover bucare i polpastrelli 4-6 volte al dì, per raccogliere la goccia di sangue necessaria alla determinazione della glicemia. Dal 2000 sono disponibili sistemi che permettono il monitoraggio continuo in tempo reale della glicemia grazie a microscopici aghi sensori, che inseriti nel sottocute sono in grado di riportare continuativamente il valore di glicemia ad un monitor ospitato direttamente nel display del microinfusore. Grazie a questi strumenti risulta disponibile, per la prima volta in tempo reale, l’informazione sull’attuale valore glicemico e la direzione e velocità dello spostamento della glicemia. Ancora, sono stati recentemente sviluppati sistemi di “supporto decisionale” in grado di aiutare il paziente nelll’ identificazione della dose di insulina più appropriata. La disponibilità di sistemi per il monitoraggio continuo della glicemia e di micro-pompe per l’infusione continua di insulina sfocerà, una volta identificato un efficace software per il controllo automatico della infusione dell’insulina, nella realizzazione di un pancreas artificiale portatile. Possiamo realisticamente ipotizzare che in un prossimo futuro si potrà disporre di pancreas artificiali, quanto meno semi-automatici, che permetteranno una più semplice gestione del diabete in attesa che soluzioni biologiche definitive diventino finalmente disponibili. Dott. Paolo Di Bartolo, Coordinatore del Gruppo di Studio Italiano sulle Tecnologie ed il Diabete AMD-SID, Direttore della Unità Operativa Diabetologia della AUSL Provincia di Ravenna

Controllo continuo della glicemia In cosa consiste il controllo in continuo della glicemia? Consiste nella misurazione dei valori glicemici ottenuto con dispositivi elettrochimici nell’arco di una o più giornate. E’ una realtà presente in Italia ormai da 5-6 anni e come tale ha avuto soprattutto negli ultimi anni una rapida evoluzione tecnologica. I primi sensori, disponibili sul mercato dal 2001, sono in grado di misurare la glicemia dal tessuto sottocutaneo della parete addominale periombelicale con misurazioni cadenzate ogni 5 minuti in un arco temporale di 48-72 ore. Questo tipo di analisi ha avuto inizio con l’impiego del CGMS e successivamente con altri dispositivi, come il Glucowatch, famoso dispositivo a forma di orologio che veniva posizionato sulla cute del polso del paziente (particolarmente gradito ai giovani diabetici) e il Glucoday che utilizza la tecnica della micro dialisi. Questi strumenti hanno tutti una caratteristica comune, che consente l’analisi retrospettiva dei dati. In pratica, una volta concluso il monitoraggio, è possibile raccogliere e scaricare i dati in un apposito supporto elettronico, visualizzando ed analizzando poi insieme al paziente i dati, tabulati sotto forma di grafici, in modo da evidenziare le significative variazioni della glicemia in un arco di tempo definito. Questo tipo di tecnica viene chiamata “seminvasiva” perchè il sensore o parte di esso e’ inserito a livello del tessuto sottocutaneo; e’ quindi necessario un diretto contatto con il liquido interstiziale del sottocute. I dispositivi finora descritti hanno comunque bisogno di calibrazioni che vengono ancora effettuate con il sistema tradizionale; il paziente deve utilizzare sempre la digitopuntura con cui raccoglie la goccia di sangue, ed effettua la misurazione con il reflettometro tradizionale in modo da convalidare la calibrazione. La stessa FDA americana ha sottolineato come questi strumenti non possano sostituire l’autocontrollo classico, ma lo affiancano al fine di ottimizzare la terapia insulinica. Negli ultimi anni quindi abbiamo assistito ad una rapida evoluzione dei sensori, divenuti sempre più affidabili a livello tecnologico, accurati e attualmente in grado di effettuare la misurazione della glicemia in tempo reale.

La misurazione della glicemia è importante anche a livello notturno.. Chiaramente la possibilità di registrare in continuo la glicemia in momenti particolari della giornata, come ad esempio durante la notte quando il paziente riposa, consente di identificare eventuali pericolose riduzioni glicemiche (ipoglicemie) che possono pertanto essere successivamente corrette o evitate con aggiustamenti della terapia insulinica. Quali le possibili applicazioni? Vi e’ stato indubbiamente un ampliamento nei campi di applicazione soprattutto in campo pediatrico. Alcuni studi hanno evidenziato come per pazienti in eta’ prescolare e giovanile, utilizzando le informazioni che derivano dalla misurazione in continuo della glicemia, sia possibile migliorare il controllo della glicemia a lungo termine, determinando quindi una riduzione sia degli episodi ipoglicemici che di quelli iperglicemici, ottenendo quindi un sensibile prolungamento del tempo in cui il paziente rimane in condizioni di “ normoglicemia”. Questo può chiaramente determinare anche un impatto psicologico assai positivo sui pazienti diabetici, che possono migliorare il controllo glicemico grazie all’utilizzo di questa tecnologia, come è stato recentemente dimostrato in uno studio americano, effettuato in pazienti diabetici adulti. Il monitoraggio in continuo può comunque avere altre applicazioni pratiche come, ad esempio, il controllo glicemico da mantenere durante un intervento chirurgico, o durante lo svolgimento dell’ esercizio fisico o in corso di gravidanza, condizioni nelle quali vi è una oscillazione frequente dei valori glicemici. Per il prossimo futuro prevediamo la possibilità di connettere in tempo reale uno di questi strumenti ad un erogatore di insulina automatico collegato a quello che viene definito “pancreas artificale” a cui stiamo attivamente lavorando per una prossima realizzazione in collaborazione con i bioingegneri dell’Università di Padova.

Controllo continuo sulla glicemia Intervista a Alberto Maran Professore Aggregato Cattedra di Malattie del Metabolismo Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Università di Padova



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I numeri del diabete in Italia •

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Il 4,5% della popolazione assistita dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ha il diabete, ciò corrisponde in termini assoluti a circa 3 milioni di Italiani (fonte: Osservatorio Arno Diabete, Consorzio Interuniversitario Cineca) In aggiunta, almeno 1 milione di Italiani è diabetico senza sapere di esserlo (SID-Società Italiana di Diabetologia e AMD-Associazione Medici Diabetologi) Nel 1997 le persone con diabete rappresentavano il 3% della popolazione; sono particolarmente aumentate quelle con il tipo 2, passate da circa il 2,7% di 10 anni fa al 4,1% di oggi (Osservatorio Arno Diabete) Il 92,1% è colpito da diabete di tipo 2, forma che appare di solito nell’adulto, ma di recente sempre più tra i giovani, perchè legato soprattutto al sovrappeso e all’obesità (Annali di Diabetologia AMD 2007) Per il 2025, la crescita dei casi di diabete in Italia sarà di circa +50% rispetto ad oggi: si prevede, cioè, che tra 20 anni sarà diabetico quasi 1 italiano su 10 (Organizzazione Mondiale della Sanità, IDF-International Diabetes Federation) Il 53,7% dei diabetici è maschio (Annali di Diabetologia AMD 2007) Il 59% ha più di 65 anni, il 33,7% tra 45 e 65, ma oltre il 7% ne ha meno di 35 (Annali di Diabetologia AMD 2007) Una persona con diabete costa annualmente al SSN in media 2.589 euro: 827 (31,9%) per farmaci, 1.274 (49,2%) per ricoveri dovuti alle complicanze, 488 (18,9%) per prestazioni specialistiche e diagnostiche (Osservatorio Arno Diabete) Una persona con diabete assorbe il 54% di risorse in più di un assistito non diabetico, anche e soprattutto per malattie e disturbi concomitanti (iperten-

sione, dislipidemia, ecc.) e per l’incidenza delle inevitabili complicanze (Osservatorio Arno Diabete) Le complicanze: la malattia coronarica (angina, infarto) è da 2 a 4 volte più frequente rispetto ai non diabetici; le persone con diabete contribuiscono per circa un terzo ai nuovi casi di dialisi; la metà di tutte le amputazioni non legate a traumi è causata dal diabete; la patologia è un’importante causa di disfunzione sessuale; infine, il diabete rappresenta la prima causa di cecità fra gli adulti (SID-Società Italiana di Diabetologia e AMD-Associazione Medici Diabetologi) Il 61,3% delle persone con diabete è in cura con ipoglicemizzanti orali, il 17,7% con insulina, il 9,5% con ipoglicemizzanti più insulina e l’11,5% esclusivamente con interventi sullo stile di vita (Annali di Diabetologia AMD 2007) Oltre un terzo dei soggetti con diabete di tipo 2 è obeso (38,5% con BMI superiore a 30) e meno del 20% risulta normopeso. Invece, nei pazienti con diabete tipo 1 è in sovrappeso od obeso “solo” il 22,3% dei pazienti (Annali di Diabetologia AMD 2007) Oltre un quarto dei soggetti con diabete tipo 1 (27,4%), e il 17,5% di quelli con tipo 2, risultano fumatori. Il dato fra i soggetti con tipo 1 è particolarmente allarmante, alla luce del forte rischio di complicanze microvascolari correlate al fumo di sigaretta (Annali di Diabetologia AMD 2007) Buono il grado complessivo di compenso glicometabolico nella popolazione assistita, anche se i risultati indicano la necessità di migliorare l’intervento terapeutico: l’emoglobina glicosilata (HbA1c) risulta, infatti, superiore a 7 in un’altissima (72,1%) percentuale di pazienti con diabete di tipo 1 e in oltre la metà (54,9%) dei pazienti con diabete di tipo 2 (Annali di Diabetologia AMD 2007)

Terapie Proposte: tradizione e novità

Quali sono le terapie classiche del diabete di tipo 2? Il vero traguardo della cura del diabete è proteggere il paziente dalle complicanze, cioè dal danno provocato dalla glicemia alta cronica e dallo squilibrio di fattori “oltre la glicemia”, che l’accompagnano. Questo richiede una strategia personalizzata, con l’uso combinato di farmaci appropriati, per raggiungere specifici obiettivi terapeutici. L’obiettivo terapeutico classico dei farmaci, ipoglicemizzanti, è abbassare la glicemia; il bersaglio è la variabilità della glicemia giornaliera, prima e dopo i pasti; essi contrastano, con meccanismi diversi, l’inadeguata disponibilità di insulina, tipica del diabete tipo2, funzionano finché il pancreas ne fabbrica ancora e per un tempo variabile, “durability” o durevolezza. Li possiamo distinguere in tre classi: 1- aumentano la disponibilità di insulina: le sulfoniluree, efficaci ma poco flessibili nel controllo della va-

riabilità glicemica; le glinidi, più attive sulla glicemia postprandiale; le “incretine”, exenatide, sitagliptin e vildagliptin, che lavorano anche oltre la glicemia; “le” insuline, diverse per durata di azione, disponibili in preparazioni oggi più maneggevoli e fisiologiche, da usare non solo alla “fine della malattia”. Questa classe può aumentare il rischio di ipoglicemia. 2- aumentano la sensibilità dei tessuti all’azione dell’insulina: metformina e glitazoni, che agiscono sul fegato e sul tessuto muscolare, hanno una durevolezza maggiore. 3- riducono la richiesta di insulina: l’acarbose, inibisce un enzima intestinale che digerisce i carboidrati alimentari, riducendone l’assorbimento postprandiale. Altri criteri distintivi dei farmaci sono la via di somministrazione, iniettabili (insuline e exenatide) e orali (gli altri), gli effetti collaterali, il costo e gli effetti aggiunti extra-glicemici, come la riduzione del peso, il rimodellamento del grasso viscerale, la protezione delle cellule che fabbricano l’insulina, la modulazione di variabili biologiche come l’ipertensione, la dislipidemia, l’assetto proinfiammatorio e protrombotico. Quali le ultime novità dalla ricerca? Le ultime novita’ della ricerca permettono di accogliere

la sfida di una terapia antidiabete. Con questi e altri farmaci si può iniziare a curare da subito il diabete mellito, come squilibrio glico-metabolico, e non solo, che promuove l’invecchiamento precoce delle arterie, l’arteriosclerosi, che produce i danni di occhio, rene, nervi, cuore, cervello e arti inferiori. E’ necessaria una precisa strategia di utilizzo dei farmaci che, ci dimostrano alcuni recenti studi, paga in termini di risparmio delle complicanze sopratutto se adottata dalla diagnosi, con obiettivi terapeutici definiti e condivisi col paziente, e continuata nel tempo. Ogni farmaco impone controlli periodici, specifici e programmati per assicurare efficacia e sicurezza per il paziente e tempestivi adattamenti in caso di scostamento dagli obiettivi. Sono tanti i fattori da valutare per la scelta del farmaco per promuovere i risultati attesi. È irrinunciabile, in qualunque strategia, la partecipazione attiva della persona nella gestione della malattia, all’interno di un team di lavoro con gli specialisti e gli altri operatori sanitari, per raggiungere il risultato di guadagnare salute e qualità di vita. Intervista Dr. Alessandro Ozzello Direttore S.S.Dipartimentale Diabetologia e Malattie Metaboliche ASL TO 03, Ospedali Riuniti di Pinerolo (To)

Le complicanze cardiovascolari del diabete Il diabete può danneggiare i grandi vasi sanguigni che circondano il cuore e portano il sangue a tutto il corpo. Avviene cosi che le parti delle arterie danneggiate tendono ad intrappolare il colesterolo nel sangue, occludendo le arterie e costringendo il cuore a lavorare molto più intensamente per portare, attraverso i vasi otturati, il sangue in tutto il corpo. Questo comporta possibili attacchi cardiaci, ictus, pressione alta, e una circolazione periferica limitata. L’associazione tra diabete di tipo 2 e malattie vascolari è legata ad alcuni aspetti del quadro clinico di tali soggetti in cui spesso si presenta anche la sindrome metabolica, nonché dislipidemie e obesità. Il profilo lipidico diventa quindi un elemento critico che va controllato con particolare attenzione, per poter pensare di incidere sulla mortalità. Nei pazienti diabetici sono stati osservati livelli elevati di colesterolo LDL, il cosiddetto cattivo, accompagnati da alti livelli di trigliceridi e bassi livelli di colesterolo

HDL, cosiddetto buono. In questa condizione è molto probabile che si instaurino processi infiammatori, per altro poco contrastati dall’azione protettiva dell’HDL, che interessano le pareti dei vasi fino a evolversi in aterosclerosi e danno vascolare. Quando la malattia insorge in età adulta, i sintomi possono spesso essere attenuati controllando la dieta. Il diabete che compare in giovane età è invece più grave, e può avere esito fatale senza la regolare assunzione di insulina per endovena. Anche quando è curato correttamente, il paziente diabetico può andare incontro col tempo a gravi problemi di salute. Le malattie cardiovascolari uccidono in tutto il mondo 12 milioni di persone all’anno e in Europa sono responsabili di oltre la metà dei decessi al di sopra dei 65 anni. La loro incidenza varia in modo allarmante da un paese europeo all’altro: in Francia muoiono prematuramente di cardiopatie quattro persone su 10 000, mentre in Lettonia il tasso di mortalità al di sotto dei 65 anni è sei volte maggiore.


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Diabete: lo stato dell’arte della ricerca Il 44° Congresso della European Association for the Study of Diabetes (EASD) costituisce occasione di confronto scientifico a livello internazionale, per i ricercatori e per chi deve contrastare, ai vari livelli di competenza, l’emergenza diabete che coinvolge anche il nostro paese. Che cosa offre, dunque, la ricerca più recente per far fronte a questa emergenza? Nel diabete tipo 1, che colpisce soprattutto bambini e giovani, rimangono indispensabili le iniezioni di insulina. Le insuline ricombinanti, prodotte da batteri e lieviti nei quali viene inserito il DNA dell’ormone umano, furono negli anni ’80 il primo esempio di ingegneria genetica applicata alla produzione di farmaci. Oltre alle insuline “umane” disponiamo anche di analoghi, modificati ad arte per accorciarne od allungarne la durata di azione, che ci permettono di costruire schemi personalizzati per i singoli pazienti. Recentemente è stata invece ritirata dalla produzione la prima insulina inalatoria mentre altre vie di somministrazione, compresa quella orale, rimangono ancora in fase di sviluppo. Determinante il contributo dei ricercatori italiani nel definire i criteri d’uso delle nuove insuline e nel diffondere l’uso dei microinfusori portatili che infondono insulina in continuo, eliminando la necessità delle iniezioni multiple e, soprattutto, rendendone più flessibili i dosaggi in base alla glicemia e alla composizione dei pasti. Poiché la glicemia può essere molto variabile, sono disponibili sensori impiantabili che ne registrano l’andamento in continuo per alcuni giorni. La “chiusura dell’ansa”, cioè la realizzazione di un sistema dove il sensore comunica direttamente con l’infusore per calcolare il fabbisogno di insulina dovrebbe permetterci di realizzare, si spera a breve, un pancreas artificiale. Una sperimentazione in tal senso sull’uomo sta partendo anche all’Università di Padova. L’esperienza italiana si consolida anche sul fronte dei trapianti, di pancreas intero e delle “insulae” che producono insulina, anche se l’intervento rimane limitato a pazienti molto selezionati. Ma il tipo 1 colpisce il 10% dei diabetici mentre la reale epidemia riguarda il diabete tipo 2, nel quale l’organismo non riesce ad utilizzare l’insulina che esso stesso produce e che è

associato all’obesità e favorito dalla sedentarietà e dall’eccesso di alimentazione. La sua prevenzione richiede l’impegno ad attuare campagne per correggere gli stili di vita della popolazione, a partire dall’età pre-scolare. Interventi più diretti sugli stili di vita di chi è già diabetico sono possibili e molto efficaci, come dimostrato dall’esperienza raccolta all’Università di Torino con gli interventi pedagogico-clinici di gruppo (Group Care e Studio ROMEO). Il diabete tipo 2 è spesso controllabile con farmaci orali come metformina e sulfoniluree, note da decenni, e di nuovi farmaci che aumentano la sensibilità dell’organismo alla propria insulina, come il pioglitazone ed il rosiglitazone, anche se per quest’ultimo sono stati sollevati sospetti di una possibile maggiore incidenza di eventi cardiovascolari. Disponibili da pochi mesi, ma già ampiamente sperimentati in Italia, sono nuovi preparati che sfruttano l’azione di ormoni, in particolare il GLP-1, prodotti dall’intestino durante il pasto e che stimolano il pancreas a produrre insulina. Exenatide, biosintetizzata sul modello di una proteina estratta dalla saliva di un rettile dei deserti nord americani (Gila Monster), mima l’azione del GLP-1. La sua iniezione migliora la glicemia e favorisce la perdita di peso. Basati sul medesimo principio, ma con meccanismo d’azione differente sono sitagliptin e vildagliptin, che sfruttano l’effetto del GLP-1 prodotto dall’organismo, inibendo l’enzima che altrimenti lo inattiva nel giro di pochi minuti: il dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4). Gli inibitori del DPP-4 possono essere impiegati per via orale da soli o in associazione a metformina o ai glitazoni, per migliorare il compenso glicemico quando dieta ed esercizio fisico risultano insufficienti nel controllo della glicemia. Sitagliptin, il capostipite di questa nuove classe, ha dimostrato anzi

un effetto sinergico con la metformina: la combinazione dei due farmaci è più efficace dei singoli farmaci nel controllare la malattia. Per questo, poche settimane fa, l’agenzia europea del farmaco (EMEA) ha autorizzato l’impiego dell’innovativa formulazione combinata in un’unica pastiglia di sitagliptin + metformina. Infine, proprio a Roma nel marzo 2007, la Consensus Conference Internazionale sulla chirurgia gastrointestinale per il trattamento del diabete di tipo 2, ha riconosciuto per la prima volta la leggittimità dell’approccio chirurgico a questa malattia. L’intervento chirurgico è oggi raccomandabile esclusivamente in pazienti con diabete e obesità grave, con indice di massa corporea superiore a 35, nei quali interventi come il bypass gastrico normalizzano la glicemia e riducono di oltre il 90% il rischio di morte per diabete. Nonostante ciò apra prospettive sino a pochi anni fa impensabili, bisogna sottolineare, nell’interesse di tutte le persone che soffrono di diabete, che siamo ancora in una fase sperimentale, nella quale le indicazioni restano limitate e molte sono le domande ancora senza risposta.

Gli inibitori del DPP4 una promettente classe di farmaci per la cura del diabete tipo 2 Pierpaolo De Feo, Professore di Endocrinologia, Università di Perugia Nella storia naturale del diabete mellito di tipo 2 la diagnosi è preceduta da un lungo periodo di uno stato di pre-diabete, caratterizzato da una minore capacità dell’insulina a favorire l’utilizzazione degli zuccheri da parte dell’organismo che è ricco in grassi. Con la comparsa clinica del diabete, all’inizio si osserva una buona risposta alla dieta ed all’attività fisica; per cui uno stile di vita attento consente un deciso miglioramento delle glicemie. Molto spesso, purtroppo, le persone interessate riescono solo in modo transitorio a seguire un corretto stile di vita e nella storia naturale del diabete di tipo 2 si va incontro ad un progressivo peggioramento. Nel giro di 10-20 anni vengono utilizzati una serie di farmaci antidiabetici cominciando con la terapia orale per finire nei casi più resistenti alla terapia insulinica e si assiste ad una progressiva perdita delle cellule beta-pancreatiche che producono l’insulina. La prospettiva di doversi curare con l’insulina è vissuta con preoccupazione da parte di tante persone e per questo l’aspettativa di nuove possibilità di cura del diabete tipo 2 è sempre alta. Da poco abbiamo a disposizione una promettente nuova classe di farmaci che si chiamano incretine o incretino-mimetici. Già da diversi anni era stato dimostrato che la risposta dell’insulina alla stessa quantità di zucchero è due, tre volte più alta se il glucosio viene assunto per bocca rispetto alla somministrazione endovenosa. Ciò ha fatto pensare alla presenza di sostanze prodotte dall’intestino in grado di stimolare le cellule beta pancreatiche che rilasciano l’insulina. In particolare, il GLP-1, abbreviazione dell’inglese Gastrointestinal Like Peptide, esercita una serie di azioni fisiologiche utili per chi ha il diabete di tipo 2. Il GLP-1 stimola la secrezione di insulina ma solo se la glicemia è alta e questo evita il rischio di ipoglicemia. Inoltre, studi nell’animale da esperimento, dimostrano che il GLP-1 previene la morte delle cellule beta pancreatiche, un processo lento e costante nella storia naturale del diabete di tipo 2. Altri effetti utili riguardano il rallentamento dello svuotamento gastrico che combinato con un effetto diretto sul sistema nervoso centrale induce il senso di sazietà e favorisce la perdita di peso, la riduzione della produzione da parte delle cellule alfa pancreatiche del glucagone, un ormone che contrasta l’insulina ed un effetto protettivo a livello dell’endotelio e renale. E’ evidente che le potenzialità terapeutiche del GLP-1 sono ottime; tuttavia esiste un

problema al suo utilizzo pratico. Nell’organismo il GLP-1 viene rapidamente degradato da una serie di enzimi (proteasi) che sono indicati con l’abbreviazione DPP-IV. Ciò significa che per essere efficace il GLP-1 dovrebbe essere somministrato continuamente per via endovenosa. La ricerca farmacologica è riuscita a superare questo ostacolo pratico con tre diverse strategie. La prima riguarda la scoperta di una sostanza, estratta dalla saliva di una lucertola, l’exenatide che ha un azione simile al GLP-1 e che richiede la somministrazione per via iniettiva sottocutanea ad intervalli di 12 ore. La seconda strategia è stata la sintesi di un analogo del GLP-1, la liraglutide (non ancora in commercio), che viene degradato molto lentamente e consente una somministrazione per via iniettiva sottocutanea ogni 24 ore. La terza strategia si è concentrata sulla ricerca di sostanze in grado di inibire le DPP-IV che prevengono la degradazione del GLP-1. Sono già in commercio due prodotti Sitagliptina e Vildagliptina (un altro Saxagliptina è in corso di sperimentazione) che rispetto agli analoghi del GLP-1 hanno il pregio di poter essere assunti per via orale. Sitagliptina richiede una singola somministrazione giornaliera, Vildagliptina deve essere assunto ogni 12 ore. Gli inibitori del DPP-IV sono farmaci efficaci per il controllo glicemico ed riducono i valori di emoglobina glicosilata di 0,61.0%. Attualmente sono prescritti in associazione con altri antidiabetici orali (metformina, sulfaniluree o glitazoni) ed è richiesta la registrazione dei pazienti nel registro elettronico nazionale dell’Agenzia Italiana del Farmaco al fine di monitorarne gli effetti collaterali che, fortunatamente, sono poco rilevanti. Particolarmente promettente è l’associazione della sitagliptina con la metformina, un vecchio farmaco antidiabetico che migliora l’azione della sitagliptina, probabilmente perché in associazione aumenta i livelli di GLP-1, ed ha effetti benefici sul peso corporeo. In conclusione, con gli inibitori dei DPP-IV si apre una nuova frontiera per la terapia del diabete tipo 2 che ha l’interessante potenzialità di preservare il patrimonio di cellule beta pancreatiche, senza aumentare il rischio di ipoglicemia o indurre un incremento del peso.


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Il fenofibrato riduce il rischio di complicanze microvascolari del diabete di tipo 2

I pazienti diabetici, anche se trattati in base agli attuali standard terapeutici della patologia, continuano a presentare un elevato rischio di complicanze vascolari. Nonostante il controllo ottimale del colesterolo LDL e della pressione diastolica e un buon controllo glicemico e della pressione sistolica, patologie microvascolari come la retinopatia diabetica, la nefropatia o la neuropatia registrano in questi pazienti una progressione fino al 50% nell’arco di 8 anni. Il miglioramento della gestione, soprattutto della terapia farmacologica, ha contribuito a ridurre la mortalità cardiovascolare nei pazienti diabetici. E dato che questi soggetti vivono più a lungo, hanno maggiori probabilità di subire le complicanze microvascolari della malattia. Anche se le attuali strategie di gestione di riduzione del livello di colesterolo LDL con la terapia a base di statine risultano efficaci in termini di diminuzione del rischio cardiovascolare nei pazienti diabetici, esistono tuttavia chiare limitazioni. Anche a dosaggi ottimali, evidenze tratte da importanti studi clinici dimostrano che la terapia con statine non riesce a prevenire il 65-90% degli eventi cardiovascolari in questa popolazione di pazienti. Ciò è in larga misura dovuto al fatto che le statine hanno un effetto limitato sulla riduzione del colesterolo HDL e sull’aumento dei trigliceridi, alterazioni lipidiche comuni nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. È importante notare che i livelli di trigliceridi e di colesterolo HDL sono forti predittori di eventi cardiovascolari, anche in coloro che raggiungono un livello di colesterolo LDL inferiore a 70mg/dL (1,8mmol/L). Lo Studio Fenofibrate Intervention and Event Lowering in Diabetes (FIELD) è il più vasto studio clinico con un farmaco ipolipemizzante mai condotto su una popolazione di pazienti diabetici con e senza dislipidemia, che ha dimostrato come il fenofibrato riduca il rischio di eventi macrovascolari e microvascolari. I ricercatori dello Studio FIELD hanno dimostrato che nell’arco di un follow-up medio di 5 anni il trattamento con fenofibrato ha ridotto dell’11% gli eventi cardiovascoalri totali e ben del 24% gli IMA non fatali, dimostrando un’importante protezione macrovascolare. Inoltre ha ridotto del 37% la necessità complessiva di trattamento laser per retinopatia diabetica e del 38% tutte le prime amputazioni non traumatiche a dimostrazione di un importante quanto sorprendente effetto di protezione microvascolare che risulta rapido (entro 8 mesi) e aggiuntivo al buon controllo glicemico e pressorio.

Il piede diabetico: prevenzione e cura Il piede è un bersaglio privilegiato del diabete? Il piede è una parte del nostro corpo che merita sempre grande attenzione: non a caso alcune culture orientali vi fanno risiedere proiezioni di tutti i settori del corpo umano. Il piede è un meccanismo di alta “ingegneria biologica”, molto delicato. Nel diabetico si altera sia la vascolarizzazione, ovvero arriva al piede meno sangue del necessario, sia l’innervazione. Quest’ultima complicanza determina una modifica nell’andatura: in altre parole il diabetico, camminando, poggia il piede in terra in maniera anomala, ed il peso del corpo si scarica su zone differenti da quelle deputate a sopportare questa fatica; col tempo ciò può provocare delle ulcere che se non trattate in maniera corretta possono infettarsi e portare ad amputazioni dell’arto inferiore. Circa il 50% delle amputazioni maggiori non traumatiche riguarda i diabetici e che oltre l’80% delle amputazioni agli arti inferiori del diabetico, sono precedute da ulcere. L’Italia è all’avanguardia nel mondo per la cura del piede: ciò è dovuto prima di tutto ad una fitta rete di strutture diabetologiche che affrontano a vario livello questo problema. Un’indagine condotta dal gruppo nazionale di studio sul piede diabetico ha

avuto come interlocutori oltre 220 centri italiani. A questo va aggiunto un miglioramento delle tecniche di rivascolarizzazione, presidi ortesici sempre più efficaci, nuovi e più potenti antibiotici (da utilizzare però con oculatezza per non favorire l’aumento delle resistenze batteriche), colture di proprie cellule per la formazione di “nuova pelle”, prodotti avanzati per le medicazioni. Questi accenni fanno capire che il trattamento delle ulcere diabetiche è complesso e molto costoso. Ulcere ed amputazioni, al di là di considerazioni strettamente economiche, influiscono negativamente sulla qualità di vita del paziente ed enfatizzano il valore degli interventi preventivi ed educativi sui pazienti ambulatoriali. Come prevenire adeguatamente le ulcere da piede diabetico? L’azione di prevenzione ha due fasi: prevenire la comparsa dell’ulcera e prevenire l’amputazione dell’arto una volta che l’ulcera si è formata. In una prima fase è fondamentale ottenere un buon compenso metabolico complessivo: tenere bassa la glicemia con ogni mezzo, ma anche curare l’ipertensione arteriosa, correggere l’aumento dei grassi, eliminare il fumo. Inoltre è necessario identificare i soggetti a maggior rischio ulcerativo per permettere di stratificare i pazienti in diverse categorie e differenziare gli interventi. In alcuni casi si consigliano solo misure “igienico-comportamentali”, in altri si ricorre all’uso di plantari e scarpe particolari, che regolarizzano lo scarico del peso del corpo durante il cammino. Nella prevenzione delle amputazioni invece è imperativo trattare in maniera completa l’ulcera, agendo localmente con pulizia e medicazioni anche sofisticate, attuando una terapia antibiotica mirata, eliminando completamente il carico, riaprendo le arterie occluse dell’arto inferiore, eventualmente bonificando chirurgicamente l’osso infetto. Una volta che l’ulcera è richiusa occorre preservare il piede con calzature idonee, che devono essere indossate continuativamente. Quali sono le ultime novità dalla ricerca? Anche nel campo della ricerca vi è grande vivacità. Oltre ai lavori sull’efficacia di nuovi antibiotici, alcune segnalazioni mettono in risalto il ruolo della metallo proteinasi della matrice nelle ulcere diabetiche e recentemente sono state pubblicate alcune ricerche sul diverso assetto genico di ceppi di stafilococchi isolati dalle ulcere del piede. Molto interessanti i contributi sulla osteoprotegerina, proteina prodotta dagli osteoblasti con funzione negativa sul riassorbimento osseo e che sembra avere un ruolo preciso nella artropatia di Charcot, un quadro grave di piede diabetico. Una serie di contributi proviene da gruppi italiani e riguardano le alterazioni della biomeccanica del passo, il ruolo della rivascolarizzazione nella diminuzione delle amputazioni, nuove tecniche di carattere ortopedico nello Charcot. Tutti lavori che hanno ricadute nell’assistenza clinica, anche se lo sforzo che come gruppo di studio stiamo facendo è di diffondere in modo più capillare la cultura della gestione complessiva del “problema piede”, da parte del diabetologo certo, ma anche da parte del sistema sanitario nazionale che continua ad essere poco attento alle esigenze organizzative assistenziali ed alle gravose e costose necessità del diabetico con un problema al piede. Antimo Aiello Direttore Unità Operativa Complessa Endocrinologia-Diabetologia ASREM – Presidio Ospedaliero Campobasso


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Ipo e iperglicemie Degli abbassamenti bruschi e inaspettati oppure eccessivi innalzamenti della glicemia costituiscono rispettivamente le ipoglicemie e iperglicemie, cioè la continua difficoltà con cui ogni persona diabetica deve confrontarsi nella gestione quotidiana della malattia. Il glucosio è un nutriente essenziale per il nostro organismo, per questo motivo nel soggetto normale la glicemia è mantenuta relativamente costante dall’intervento di articolati meccanismi compensatori (insulina, glucagone ecc.). Infatti le maggiori oscillazioni si verificano dopo un pasto abbondante (iperglicemia) ed in seguito a digiuno prolungato (ipoglicemia). In sostanza avviene che nel caso di una presenza insufficiente di insulina, lo zucchero non può entrare nelle cellule, ma resta nel sangue dove si accumula e aumenta sempre di più generando il fenomeno della Iperglicemia. La glicemia può aumentare anche per un’alimentazione superiore al normale, scarso movimento o in caso di emozioni o malattie febbrili. Al contrario dell’Ipoglicemia, l’Iperglicemia non dà subito segnali di allarme e questo la rende molto insidiosa. La presenza di Iperglicemia per un breve lasso di tempo non è di per se pericolosa, ed è d’altronde inevitabile per un soggetto diabetico; la pericolosità emerge quando si hanno tassi glicemici stabilmente alti per un tempo prolungato, visto che in questi casi lo zucchero in eccesso va a danneggiare le pareti delle arterie provocando danni in alcuni organi come gli occhi ed i reni. Un’ulteriore aumento della glicemia comporta una situazione di pericolo immediato in cui compaiono i primi sintomi tipici del diabete: lo zucchero in eccesso nel sangue provoca la necessità di bere molta acqua con conseguente forte minzione. Ulteriori sintomi sono rappresentati da fenomeni di nausea, vomito e dolori addominali. In queste condizioni avviene che le cellule cercano di adattarsi e non potendo più utilizzare gli zuccheri per produrre energia a causa della carenza d’insulina, utilizzano allora i grassi presenti nell’organismo causando una successiva produzione di acetone. È noto che i più alti valori glicemici si possono osservare il mattino al risveglio questo perchè si presenta il cosiddetto “fenomeno alba”

consistente in un elevata produzione durante la notte dell’ormone della crescita e di cortisolo nelle prime ore del mattino, che insieme causano un incremento nella produzione di glucosio da parte del fegato. Nel soggetto non diabetico questo effetto viene corretto da una maggiore produzione di insulina verso le ore 5.00 - 6.00 del mattino; naturalmente questo non succede nel soggetto diabetico che dovrà rimediare a tale inconveniente trovando l’equilibrio migliore tra la dose serale di insulina e la glicemia del mattino. L’ipoglicemia invece è una condizione generalmente percepita dal soggetto, specie quando questa scende al di sotto dei 50 mg per 100 ml. Questa condizione provoca infatti il rilascio di una serie di ormoni che, dopo la comparsa di un generale senso di debolezza dovuto alla sofferenza del sistema nervoso centrale, stimolano il corpo a reagire. Si osserva così la comparsa di sintomi come tremori, palpitazioni, fame intensa, pallore, scialorrea e convulsioni. Se non trattata in tempo l’ipoglicemia può condurre al coma ipoglicemico, che compare generalmente quando la concentrazione di glucosio nel sangue scende al di sotto dei 20 mg/dl. La comparsa della classica sintomatologia è strettamente legata, oltre al valore assoluto della glicemia, alla tolleranza individuale ed alla velocità con cui il tasso glicemico si abbassa. Nella maggior parte dei casi l’ipoglicemia è sostenuta da una patologia (insufficienza surrenalica, epatopatie, sepsi, squilibri ormonali, tumore delle cellule pancreatiche deputate alla secrezione di insulina ed altre forme tumorali non beta-cellulari) o, nei pazienti affetti da diabete mellito, dall’erronea assunzione di farmaci ipoglicemizzanti orali e/o d’insulina. Inoltre in alcuni casi l’ipoglicemia può essere la conseguenza di una cattiva alimentazione. Ad esempio, in caso di digiuno prolungato seguito da una rapida reintroduzione di zuccheri, si verifica la cosiddetta ipoglicemia “reattiva”, causata da un’ipersecrezione di insulina. Infine anche una dieta ferrea, povera di carboidrati, l’intolleranza al fruttosio, o un’attività fisica particolarmente prolungata (attenzione agli allenamenti mattutini, praticati a digiuno per favorire il dimagrimento), possono essere causa di ipoglicemia.

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UNA GUIDA PER IMPARARE A CONOSCERE IL DIABETE

"La conoscenza rende l'uomo libero e in una malattia come il diabete saper scegliere e decidere cosa, come e quando fare è fondamentale per una migliore qualità di vita.

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CHE COS’È IL DIABETE

IPO E IPER GLICEMIA. IL CONTROLLO DEL DIABETE pagina 3

pagina 7

STILI DI VITA

COMPLICANZE. DIABETE E CUORE pagina 10

pagina 11

UNA PUBBLICAZIONE MEDIAPLANET QUESTO SUPPLEMENTO É STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL CORRIERE DELLA SERA NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÀ PER IL CONTENUTO.








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PUBBLICITÀ

LA DOLCE MALATTIA

92% *361% 4%68-'30%6) (- (-%&)8) MP HMEFIXI KIWXE^MSREPI Il diabete Gestazionale è una alterazione della tolleranza ai carboidrati che viene riconosciuta per la prima volta in gravidanza. E’ un tipo di diabete temporaneo che si può presentare nel 6-10% delle donne non diabetiche intorno al sesto mese di gravidanza e scompare subito dopo il parto. L’aumento della glicemia avviene generalmente durante la seconda metà della gravidanza quando l’organismo materno, per l’effetto degli ormoni prodotti dalla placenta, subisce delle modificazioni necessarie per la crescita del bambino e per la preparazione al successivo allattamento. Qualsiasi donna può sviluppare il diabete durante la gravidanza, in modo particolare se sono presenti fattori di rischio come: la presenza di familiari di primo grado ( genitori, fratelli) con il diabete, l’età superiore ai 35 anni un diabete gestazionale nelle gravidanze precedenti, precedenti parti di bambini con peso superiore ai 4 Kg, sovrappeso/obesità pre-gravidica e inoltre in presenza di ipertensione arteriosa, di precedenti aborti spontanei /feti nati morti/ parti pretermine, il numero di gravidanze, l’eccessivo incremento ponderale e l’aumentata crescita fetale durante la gravidanza attuale.

manifesta quando ormai tutti gli organi sono già Avere il diabete preclude la possibilità di una gravidanza? formati. Tuttavia se i valori glicemici non sono ben controllati, la crescita del feto non è regolare. Infatti lo zucchero L’essere diabetica non comporta a priori la rinuncia alla in eccesso, che attraversa la placenta insieme agli altri gravidanza, bensì richiede la sua programmazione. Oggi nutrienti, ne causa una sua eccessiva crescita ed in infatti quasi tutte le donne diabetiche possono avere figli. particolare del suo tessuto adiposo, per cui alla nascita Saranno necessari, tuttavia, una cura maggiore ed uno può pesare più di 4000gr (macrosomia). In questo caso sforzo particolare per mantenere nella norma i livelli di il parto per via naturale può essere difficoltoso e si può zucchero nel sangue prima del concepimento durante tutta la gravidanza. Le glicemie e le condizioni generali rendere necessario il taglio cesareo. Dopo il parto la glicemia si normalizza, ma il diabete devono essere buone almeno 3 mesi prima del presentatosi durante la gravidanza resta un fattore di concepimento. Bisogna quindi programmare con ampio rischio di diabete negli anni successivi. E’ quindi anticipo la gravidanza e comunicare al diabetologo al più essenziale che due-tre mesi dopo il parto (o, al presto che si desidera avere un bambino. massimo, entro un anno dal parto) la donna che ha Dott. Ivano Franzetti avuto il diabete gestazionale ripeta una curva da carico U.O. Diabetologia orale di glucosio per una ridefinizione della tolleranza Ospedale di Circolo Varese ai carboidrati.

Come si diagnostica? Generalmente il diabete gestazionale non dà disturbi e viene riconosciuto solo con test appropriati. Attualmente lo screening viene eseguito in tutte le donne alla 24° - 28° settimana di gravidanza; viene anticipato alla 16-18° settimana nelle donne a più alto rischio ( basta uno tra i primi cinque fattori di rischio sopra elencati). Il Test di screening con 50 gr di glucosio (OGCT) è positivo se nel prelievo eseguito un’ora dopo l’ingestione dello zucchero, la glicemia è uguale o superiore a 140 mg/dl. In tal caso si esegue la curva da carico orale con 100 gr di glucosio (OGTT), con prelievi ematici ogni ora per 3 ore. Si definisce normale la tolleranza glucidica in gravidanza quando i valori glicemici sono inferiori a 95 mg/dl a digiuno, 180 mg/dl ad un ora, 155 mg/dl a due ore e 140 mg/dl alla terza ora. Che conseguenze può comportare? Il timore di tutte le mamme con diabete gestazionale è quello di trasmettere il diabete anche al loro bimbo. Questo non succede e nemmeno avviene che il bimbo nasca con malformazioni congenite dovute al diabete perché questo generalmente si

0% 46-1% 8)6%4-% -2790-2-'% -28)+6%8% Nella persona con Diabete Tipo 1 il raggiungimento di una glicemia quasi normale senza un aumento del rischio di ipoglicemia e l’adeguamento della terapia alla flessibilità della vita possono costituire obiettivi non sempre facilmente raggiungibili e semplici da sostenere. L’utilizzo di microinfusori che infondono insulina in maniera continua in alternativa alle 5 o più iniezioni al giorno e la diffusione di sistemi di monitoraggio continuo della glicemia hanno permesso di ottenere più facilmente gli obiettivi prefissati. Recentemente Medtronic Diabete ha introdotto la prima “Terapia Insulinica Integrata” che utilizza il primo ed unico sistema integrato che combina nel medesimo strumento un microinfusore per l’insulina ed un apparato per il monitoraggio continuo della glicemia. L’indicazione del valore glicemico e la presenza di allarmi di iper e ipoglicmia, insieme alla possibilità offerta dal microinfusore di adeguare rapidamente la dose insulinica, permettono di intervenire precocemente sulle variazioni glicemiche e consentono la riduzione della frequenza e della severità degli episodi di ipo e iperglicemia centrando l’obiettivo primario della terapia del diabete tipo 1. Questa terapia permette di fatto il raggiungimento di un controllo metabolico ottimale con una migliore qualità di vita. Monica Sperabene, giornalista di Roma è portatrice del sistema integrato di infusione e monitoraggio e ci racconta la sua esperienza di paziente diabetica in un momento particolare della sua vita. “... sono in terapia insulinica con microinfusore Medtronic dal 1998; dal 1992 ho scelto come centro di riferimento l’U.O. di Diabetologia e Malattie Metaboliche del San Camillo di Roma (Prof. Claudio

Tubili). Conosco la delicatezza del mio equilibrio metabolico, gli sforzi che richiede mantenerlo o recuperarlo. In quel periodo mi trovavo inoltre a dover affrontare un intervento chirurgico che rendeva ancora più pressante la necessità di conservare un ottimo controllo glicemico, anche in sala operatoria. Assieme al mio medico decidiamo di adottare la terapia insulinica integrata con “Paradigm Real Time” anche durante l’intervento. Questo sistema ha infatti una marcia in più: aggiunge al microinfusore, la possibilità di effettuare il monitoraggio continuo della glicemia e di vederne sul display, in qualsiasi momento, i risultati. Indosso per la prima volta “Paradigm Real Time” alcune settimane prima dell’intervento, addestrata dal personale Medtronic, che mi ha affiancata nelle fasi significative. La data e le modalità dell’intervento chirurgico sono fissate: è un intervento in laparoscopia con anestesia generale. Scelto il chirurgo, il Prof. Giorgio Vittori, e l’ospedale S. Carlo-Idi di Roma, nel frattempo non si tratta solo di aspettare. Il mio obiettivo è mantenere la glicemia il più possibile stabile e vicina ai parametri di normalità prima, durante e dopo

l’intervento. Il sentimento più piacevole che ricordo nel periodo dopo l’intervento è stata la sensazione di confidenza e sicurezza che non avrei provato se non avessi avuto a disposizione quel prezioso dialogo con il sistema sensore-trasmettitore-display-microinfusore. Ora, come donna diabetica, avere a disposizione il “Paradigm Real Time” è stata la “carezza” migliore che potessi fare a me stessa e ricevere, per regalarmi la serenità in un qualsiasi momento: una storia di alleanze positive. Ancora oggi, nella mia vita di ogni giorno, con i ritmi che i tempi moderni impongono, la mia condizione di diabetica non è affatto un limite e posso godere della stessa flessibilità e della stessa qualità di vita che ogni persona vuole avere.” Dr. Marco Orsini Federici, PhD. Clinical Manager Medtronic Diabete (http://www.medtronic.com/italy/about/contattarci.html) Monica Sperabene - Roma










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