Ciò che resta PAOLO GRASSINO
edited by Eduardo Secci Texts by MARCO MENEGUZZO DANIELE CAPRA
Ciò che resta PAOLO GRASSINO
Ciò che resta PAOLO GRASSINO 12 aprile 31 maggio 2014 Firenze Eduardo Secci Contemporary
Graphic design RovaiWeber design
© 2014 The authors for there texts
Photography Marco Russo
© 2014 Eduardo Secci Contemporary
Press office Ottavia Sartini
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Translation Lexis Print Bandecchi e Vivaldi First published in Italy in 2014 Eduardo Secci Contemporary s.r.l. soc. unip Via Maggio 51/R 50125, Firenze T. 055661356 www.eduardosecci.com
6 Ciò CHE RESTA, Ciò CHE NON C’è PIù WHAT REMAINS AND WHAT’S GONE Marco Meneguzzo 24
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OPERE WORKS
BIOGRAFIA BIOGRAPHY
14 Visita allo studio – quasi un racconto Visit to the studio – almost a tale Daniele Capra
Ciò CHE RESTA, Ciò CHE NON C’è PIù WHAT REMAINS AND WHAT’S GONE
Marco Meneguzzo
“Ciò che resta” è sempre meno importante di “ciò che non c’è più”, ma “ciò che resta” è anche l’unica possibilità di evocare “ciò che non c’è più”. Nel romanzo di Kazuo Ishiguro – “The Remains of the Day”, “Quel che resta del giorno”, appunto - il narratore ripercorre tutta la propria vita, nel momento in cui questa volge al termine, e anche nel famoso trittico prefuturista di Umberto Boccioni, “Quelli che restano” sono separati da “Quelli che vanno” da “Gli addii”: due esempi disparati, tra i tantissimi, di quella malinconia piena di rimpianti verso qualsiasi cosa bella che non tornerà più, e che parzialmente riguarda anche l’ultima opera, anzi l’ultimo ciclo di opere di Paolo Grassino. In una simile immagine, simbolo e metafora sono connaturati anche alla sola enunciazione del concetto, nel senso che il solo modo per rendere visivamente l’idea del “ciò che resta” è sostanzialmente la metafora (più ancora che il simbolo, dove i significati nascosti dietro l’immagine possono essere molteplici): una metafora tanto forte da diventare stereotipo, immagine consueta, figura quotidiana e familiare attraverso la storia dell’umanità, qual 7
“What remains” is always less important than “what’s gone”; nevertheless “what remains” is also the only way of evoking “what’s gone”. In Kazuo Ishiguro’s novel The Remains of the Day, the narrator goes back over his entire life at the moment it is drawing to a close. Again, in the famous Pre-Futurist trilogy by Umberto Boccioni, Those Who Stay are separated from Those Who Go and The Farewells. These are two disparate examples, among the many, of that regretful melancholy about something beautiful that will not return which also partly relates to the latest work – or rather the latest cycle of works – by Paolo Grassino. In a similar image, symbol and metaphor are connatured also with the mere enunciation of the concept, in the sense that the only way of visually rendering the idea of “what remains” is substantially the metaphor (even more than the symbol, where the meanings concealed behind the image may be multiple). A metaphor so strong as to become a stereotype, a customary image: a figure that has been conventional and familiar right through the history of humanity, such as that of the skull, the
è quella del teschio, delle ossa, dei “resti”, appunto. Perché nel parlare di ciò che resta, tanto vale andare al fondo delle cose, all’essenziale, alla contemplazione di quei “novissimi”, di quelle cose ultime cui si va incontro al termine della vita: tutto ciò che resta d’altro non è che un’immagine, a sua volta, di ciò che resta dopo la morte, che potrebbe anche essere la morte di un oggetto, oltre che di un essere vivente, o di una città, o di un’intera civiltà. La storia dell’arte, sia quella colta che quella popolare, è zeppa di riferimenti e, appunto, di metafore della morte, di ciò che resta e di ciò che, forse, ci aspetta. Ma se quest’ultimo elemento è incerto, l’altro è certissimo, e tanto quello è difficile da immaginare (com’è più facile immaginarsi l’inferno piuttosto che il paradiso!), tanto questo è comune, e soprattutto noto e visibile: i teschi sono dappertutto… Grassino si è misurato con tutto ciò, quando ha deciso di realizzare “Ciò che resta”, un gigantesco cranio, realizzato in tubo corrugato e ferro: si è misurato cioè con la grande domanda dell’essere umano, e contemporaneamente con la risposta visibile che lo stes8
bones, in other words the “remains”. Because if we’re talking about what remains we might as well get to the heart of the matter, to the essence, to the contemplation of the Quatuor Novissima, the last things which we go forward to meet at the end of life. All that remains is merely an image, in its turn, of what remains after death, which could even be the death of an object as well as of a living being, or that of a city or of an entire civilisation. The history of art, both intellectual and popular, is crammed with references to and indeed metaphors for death, for what remains and, perhaps, what we expect from it. But while the latter element is uncertain, the former is the ultimate certainty; and the latter is as hard to imagine (just as it is easier to imagine hell than heaven!) as the former is commonplace, and above all known and visible: the skulls are everywhere… Grassino tackled all of this when he decided to create “Ciò che resta” (What remains), a gigantic cranium made of corrugated tubing and iron. In other words, he addressed the big question of the human being and, simultaneously, the visible response to that ques-
so essere ha dato nel corso dei secoli, attraverso l’arte: dunque, la domanda da un lato, e dall’altro non tanto la risposta, quanto la visualizzazione plastica e metaforica della domanda stessa. In molte delle sue opere recenti (non in tutte, ma in quelle più monumentali sì) Grassino pone domande difficili e sgradevoli, e propone rappresentazioni di queste domande che intendono almeno avvicinare l’ultimo tabù dell’Occidente, che è quello appunto della morte. Qualcuno potrebbe obiettare che se l’immagine della morte è stata sempre presente nella storia dell’arte – e quindi nell’immaginario della società occidentale del passato – non si può certo parlare di tabù, ma semmai del suo contrario, di quella sorta di consuetudine di cui si parlava sopra. è vero, se non si tenesse conto del tempo che passa e di quanto il benessere e l’aspettativa di vita in Occidente abbiano relegato la morte nell’angolo più buio e lontano della nostra mente: in passato la fine era un pensiero comune, perché poteva arrivare inaspettata, magari da un colpo di freddo, ma oggi è tutto 9
tion which, over the centuries, this same human being has come up with through art. And so: the question on the one hand, and on the other not so much the answer as the plastic and metaphorical visualisation of the question itself. In many of his recent works (not in all, but in the more monumental ones) Grassino poses complex and unpleasant questions and proposes representations of these questions that intend at least to approach the last Western taboo, namely that of death. Someone might object that if the image of death has always been present in the history of art – and hence in the collective unconscious of the Western societies of the past – we can scarcely speak of taboo but if anything of the opposite, of the sort of commonplace that people would talk over. This would be true, if we were not to take into consideration the passage of time, and the extent to which health and life expectations in the West have relegated death into the darkest and most remote corner of our minds. In the past, reflections on the end were normal, since it could strike unexpectedly at any time, maybe just as a result
un profluvio di narrazioni – quasi sempre cinematografiche - volte a immaginare una vita oltre la morte molto simile alla vita conosciuta, e con molti punti di contatto e di comunicazione tra i due stati, e soprattutto volte a scacciare l’idea di un “grande nulla” o di un “aldilà” talmente diverso da ciò cui siamo abituati da risultare impensabile, inimmaginabile. Un’altra obiezione possibile è che, nonostante tutto, anche oggi il teschio è di moda, come si vede dalle magliette agli orecchini, dalle cover degli Ipod alle decorazioni sulle motociclette, e tuttavia anche in questo caso non si tratta del classico “memento mori” della tradizione cristiana, traslato nelle metafore ossuarie della tradizione pittorica e plastica, quanto piuttosto delle bandiere dei pirati, della citazione quasi allegra e scanzonata – spesso ironica e glamour, come il teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst… - di una trasgressione di marca machista, e solo da lontano, da lontanissimo si intravede un residuo di quella necessità di esorcismo della morte che invece permeava la 10
of catching cold. Now instead it is bodied out in a flood of narrations – almost always on film – conceived to imagine a life after death very similar to the life we know, and with numerous points of communication between the two states, and above all designed to oust the idea of a “huge void” or of an “afterlife” so different from what we are accustomed to as to be inconceivable, unimaginable. Another possible objection is that, despite everything, skulls are greatly in vogue at present, and are to be found on t-shirts and earrings, iPod covers and motorbike decor. Nevertheless, these are not the memento mori of Christian tradition transferred to the ossuary metaphors of pictorial and plastic tradition, but more like the pirates’ skull-andcrossbones, the almost jocund and carefree citations of a transgression of macho stamp – and often glamorously ironic such as Damien Hirst’s diamond-studded skull. And we can glimpse only the tiniest, most remote remnant of the need to exorcise death that instead permeated the tradition that pivoted on the vanitas of worldly things. Grassino,
tradizione della “vanitas” delle cose del mondo. Grassino invece sottolinea quest’ultimo aspetto attraverso il titolo, in modo che l’opera non si possa interpretare in altra maniera che questa: siamo in presenza di un’intenzione escatologica, e non di fronte alla moda del momento. Del resto l’artista, come si è detto, ci ha abituato a immagini forti, ultime e ultimative, se in “Analgesia” del 2012, un branco di cani randagi, grossi e minacciosi, ha preso possesso dello spazio che Grassino simula come spazio di uno sfasciacarrozze (ci sono le carrozzerie di qualche automobile), ma che di fatto è lo spazio della galleria, vale a dire lo spazio dello spettatore dell’arte, oppure se in “Madre” (2011) un gigantesco sistema arterioso occupa lo spazio un momento prima di dissolversi nel rosso sangue. Di fatto, anche i lavori dimensionalmente ridotti, in alluminio, degli ultimi due anni, pur essendo “senza titolo” rientrano a pieno diritto nella tipologia del “ciò che resta”, e non solo perché assomigliano molto alle concrezioni ormai consunte delle figure anatomiche settecentesche visibili nella Cappella del Principe di Sansevero a Napoli, dove la leg11
instead, underscores this latter aspect in the title, in such a way that the work cannot be interpreted in a manner other than this: we are in the presence of an escatological intention rather than addressing a passing fad. Indeed, as we already mentioned, this artist has accustomed us to strong images: in Analgesia of 2012, a pack of stray dogs, large and fierce, have taken possession of a space that Grassino simulates as that of a demolition yard (with the carcases of a few wrecked cars), but which is actually the space of the gallery, that is the space of the spectator of art; then in Madre (Mother, 2011) the space is occupied by a gigantic arterial system, just a moment before dissolving into red blood. Indeed, even the works in aluminium, of smaller dimensions, of the last two years, come completely under the umbrella of “what remains”. This is not only because they closely resemble the by-now worn concretions of the eighteenth-century anatomical figures visible in the Chapel of the Prince of Sansevero in Naples, which as cruel legend has it were the bodies of two of his servants whom the alchemist prince had transformed into
genda truculenta narra che si tratti di due suoi servitori che il principe alchimista aveva trasformato in esperimenti per evidenziare il sistema sanguigno dell’uomo, ma perché sono davvero “ciò che resta” di una fusione d’alluminio, con le croste, le barbe, i difetti, i coaguli, che per un artigiano fonditore costituirebbero i “difetti” della scultura, ma che per Grassino sono scultura. In questo caso, la similitudine organica è accentuata, anche se non si riconosce nessuna forma anatomica e neppure naturalistica, ma l’attenzione concettuale è leggermente spostata rispetto al grande teschio in ferro e tubo. Se qui l’aspetto simbolico è comunque fortissimo, nei “senza titolo” – e “senza riferimento naturalistico o metaforico” aggiungiamo – tutto è mediato dal filtro del linguaggio artistico. Ovviamente, anche per quanto riguarda il grande teschio, esiste la mediazione linguistica, ma l’immagine è forte, riconoscibile e immediata, mentre nell’altro caso la lettura è più sottile, e non può fare a meno della puntuale conoscenza dell’elaborazione di un linguaggio plastico, così come è avvenuto almeno dal 1960 ad oggi. Da un lato, dunque, è il soggetto, 12
experiments in order to display the human blood circulation system. It is also because they are genuinely “what remains” of an aluminium casting, with the encrustations, the scabs, the splattering, the coagulations, which for a craftsman founder would be the “defects” of the sculpture, but which for Grassino are the sculpture. In this case the organic resemblance is accentuated, even though we cannot recognise any anatomic or even naturalistic form, but the conceptual attention is slightly shifted compared with the large head in iron and tubing. While here the symbolic aspect is nevertheless extremely strong, in the “untitled” – and, we would add, “without naturalistic or metaphorical reference” – all is mediated through the filter of artistic language. Obviously, as regards the large skull too, there is linguistic mediation, but the image is strong, recognisable and immediate, while in the other case the reading is more subtle and necessarily entails precise knowledge of the elaboration of a plastic language, as has been the case at least from 1960 up to the present. On the one hand, therefore, it is the subject, the “thing” that
il “cosa”, ad essere in primo piano, dall’altro è il “come” a dover essere considerato, e questi due differenti aspetti convivono nell’opera di Grassino – come in tutte le opere d’arte, del resto, dove la vecchie categorie di forma e contenuto possono dire ancora qualcosa…-, benché una predilezione, da parte sua, per il tema trattato, appaia come leggermente prevalente in tutto il suo lavoro, con la mediazione sapiente di un uso dei materiali estremamente efficace e di una collocazione spaziale degna della miglior messa in scena (resta indimenticabile per esempio quel Mig sovietico, a grandezza naturale, fracassato dentro una stanza nella mostra “Atmosfere” del 2012). Non si tratta ancora di una narrazione, cui si avvicina senza tuttavia abbracciarla concettualmente, ma di una simbolizzazione che affonda la radici ben addietro nella storia dei simboli, che sono tanto forti da poter essere continuamente manipolati senza perdere la loro efficacia. Forse, “ciò che resta”, in arte, è proprio la forza simbolica dell’immagine. 13
is in the foreground, and on the other there is the “how” which has to be considered. These two different aspects coexist in Grassino’s work – as indeed in all works of art, in which the old categories of form and content still mean something – although a predilection on his part for the subject treated appears to be slightly prevalent in all his work, with the skilful mediation of an extremely efficacious use of the materials and a spatial placement worthy of the most excellent staging. (For example, the unforgettable lifesize crashed Soviet MiG inside a room in the “Atmosfere” show of 2012). And nor is it a narration, which we approach without actually embracing it conceptually, but rather a symbolisation with its roots embedded far back in the history of symbols, which are so strong that they can be continually manipulated without losing their efficacy. Perhaps, in art, “what remains” is precisely the symbolic force of the image.
Visita allo studio – quasi un racconto Visit to the studio – almost a tale
Daniele Capra
Questo testo nasce dopo aver trascorso una giornata di visita allo studio di Paolo Grassino a Collegno, nelle vicinanze di Torino. Uno dei motivi che mi conduceva lì era la realizzazione di un’intervista sul suo lavoro da pubblicare nel catalogo che avete tra le mani. A distanza di giorni – constatando l’impossibilità di interrogare Paolo, dato il tono confidenziale ed intimo, e la reale mancanza di distanza tra di noi – ho deciso di eludere il compito che mi ero prefissato, scegliendo di descrivere l’esperienza della visita parlando esclusivamente dei luoghi e con un tono narrativo. Ho scelto quindi di occuparmi della cornice, del semplice contesto, di ciò che è periferico, laterale alla pratica artistica e anche curatoriale. Talvolta, infatti, è lecito prestare lo sguardo a dove nessuno butta mai gli occhi. 15
This piece was written after having spent a day visiting Paolo Grassino’s studio in Collegno, close to Turin. One of the reasons that brought me there was to do an interview with him about his work to publish in the catalogue you now have in your hands. A few days later – realising the impossibility of interrogating Paolo, in view of the confidential and intimate tone of our conversation and the effective absence of distance between us – I decided to give up on the task I had set myself, and to describe the experience of the visit instead, simply talking of the places and in a narrative tone. And so I chose to address the framework, the mere context, the things that are peripheral and lateral to artistic practice and also to the work of the curator. Sometimes, indeed, it is right and fitting to bring one’s gaze to rest on what no-one ever looks at.
In auto sulla tangenziale, il navigatore mi indica che tra un kilometro c’è il mio svincolo e conviene che mi allinei sulla destra. Da distante, sulla sinistra, il logo giallo-blu dell’Ikea; poi gli immancabili serpenti attorcigliati di asfalto che fanno groppo sulle rotonde. Ne passo una, poi un’altra, se non presto attenzione finisco nel piazzale di un supermercato. Il posto è abitato: ci sono dei condomìni, di quelli ben tenuti anche se l’intonaco ormai è da rifare, abitati da persone che usano stendere i panni bagnati al sole sul terrazzo. Perché qui siamo sul confine con la campagna e, nelle azioni di tutti i giorni, la città e il traffico con i suoi veleni appaiono più lontani di quanto non sia. Mi accorgo che alla mia destra c’è un fiume, così almeno si intuisce dal doppio filare di alberi. Arrivo ad un semaforo, ormai sono vicino, il navigatore mi dà ancora due minuti di strada. Appena verde vado dritto per una strada che scende, mentre gli alberi mi fanno sempre più compagnia alla sinistra. All’improvviso l’asfalto si interrompe e comincia una strada di acciottolato, in cui vi sono due piccole corsie di pietra comodamente larghe quanto la careggiata di un auto. Scendo zigzagando, c’è una persona che 16
Driving along the bypass, the GPS indicates that my turn-off is coming up one kilometre ahead so that I should get into the right lane. Far off, on the left, is the blue-yellow Ikea sign; then the inevitable twisted snakes of asphalt tangling around the roundabouts. I go through one, then another; if I don’t watch out I’ll end up in a supermarket car park. The place is inhabited: there are blocks of flats of the well-kept kind, even though they could do with a new coat of plaster, inhabited by people accustomed to hanging the washing out to dry on the balcony. Because here we’re on the edge of the countryside, and in everyday actions the city and the traffic with its noxious fumes appear to be further away than they actually are. I realise that there’s a river to my right, or at least that’s what I gather from the double row of trees. I come to a traffic light: by now I’m nearly there, the GPS gives me another two minutes’ driving. When the lights go green, I go straight ahead along a downhill road, as the trees continue to accompany me on the left. Suddenly the asphalt peters out and the road turns to cobbles, with two small tracks in stone conveniently just the width of a car.
risale a piedi radendo a filo il muro delle case e poi passa di tutta corsa un furgone di un corriere, in ansia per le consegne del mattino. Passo sotto un piccolo ponte e la strada si fa più stretta, facendomi venire il dubbio che il percorso non sia quello giusto. E poi è pieno di buche, e non riesco a capire se sto andando verso uno spazio di campagna dove è lecito infrattarsi a scopare in macchina anche di giorno, oppure uno di quei luoghi in cui sindaci dalla sconfinata fantasia danno licenza di collocare aree artigianali o industriali a cazzo di cane. Spesso topologicamente i due aspetti coincidono, visto che tali zone brulicano di gente troppo operosa per occuparsi di guardare cosa fanno gli altri di mattina o pomeriggio. Mi rendo conto invece di essere sulla strada giusta: vedo un grande edificio, posto trasversalmente alla strada, e poi, a qualche centinaio di metri, un altro blocco e poi uno ancora. È questo il posto che P. mi descriveva, esattamente così. Ecco è lui ad aspettarmi lungo la strada. Parcheggio, radente il muro laterale di un fabbricato alto e lungo, di fronte a me una 17
I descend zigzagging, there’s someone coming uphill on foot skimming the walls of the houses, and then a courier van goes past at top speed, rushing for the morning deliveries. I pass under a little bridge and the road narrows, and I begin to wonder if I’m going the right way. And it’s full of holes too, so that I can’t quite grasp whether I’m heading towards some secluded rural spot where couples can shag in the car even in daytime away from prying eyes, or one of those places where mayors with teeming imaginations dole out permits for setting up artisan or industrial areas in the most arbitrary manner. Topologically speaking, the two functions often coincide, since such areas tend to be teeming with people who are far too busy working to watch what other people are up to either in the morning or in the afternoon. But then I realise that I am instead on the right path: I see a large building, set crosswise to the road, and then a few hundred metres further on, another block and then another. This is the place P. described to me, exactly like this. And there he is himself, standing on the road waiting for me. I park, grazing the side wall of a long, tall building. Facing me is a composite construction,
costruzione articolata, su cui sono incollate le tabelle delle differenti attività che qui si svolgono. Sono edifici che, a naso, sono stati costruiti tra la fine dell’Ottocento e il secondo dopoguerra, in un contesto in cui – qui come in molte zone del neonato stato italiano – dovevano esserci acqua per le lavorazioni e l’energia, nonché manodopera a buon mercato disposta a lavorare a testa bassa pur di liberarsi della schiavitù della mezzadria. Ora tutto è cambiato e questi luoghi vivono a pieno la post-industrializzazione, un ribaltamento totale delle attività produttive. Qui infatti lavorano artigiani, vi sono le officine in cui sono ospitate differenti lavorazioni, ma anche magazzini e studi di artisti o creativi. E poi ci sono gli alberi e si sente l’acqua della Dora Riparia trepidare, quando non passano i camion. Alzando la testa si scorge anche un castello, protetto dal verde, alto e distante da dove scorrono la vita e le automobili. Salgo nell’auto di P. per scendere qualche centinaia di metri dopo, in uno spiazzo in cui le reti temporanee arancioni che delimitano le aree di lavori in corso sono lì appog18
affixed to which are lists of the different activities performed within. These are buildings which, at a guess, I’d say had been built between the end of the nineteenth century and the end of the Second World War. As in many other parts of the new-born Italian state, they were constructed in selected sites, where there had to be water and electricity for the industrial processes as well as cheap labour: people who were more than willing to keep their heads down and their noses to the grindstone to escape the slavery of sharecropping. Now all that’s changed, and these places are in the full flush of post-industrialisation and a total reversal of manufacturing activities. Here there are craftsmen at work, with workshops where different processes are performed, but also warehouses and the studios of artists and designers. And then there are the trees, and when the lorries aren’t thundering past you can hear the rustling waters of the Dora Riparia. If you raise your head you can even see a castle, girded with greenery, lofty and distant from the flow of life and cars. I get into P.’s car and we get out again a couple of hundred metres further on, in a sort of yard where the temporary orange netting strung up on iron poles marking off the work
giate su pali di ferro da troppi anni. Ci sono dei cani, due pittbull apparentemente più docili di quanto si possa immaginare, e poi, dopo aver aperto un lucchetto, si spalanca un portone di metallo dietro cui c’è un enorme magazzino. È pieno di cose differenti, imballate e disposte su di una lunga scaffalatura che occupa tutta la sinistra. A destra si aprono una serie di spazi più piccoli e P. racconta che condivide lo spazio con una fonderia con cui collabora. Non riesco a seguire ed ordinare le informazioni che P. mi dice. Mi rendo conto che mi conviene capire all’incirca, senza fissarmi sui particolari o avere curiosità del cazzo, cosa che mi capita di frequente. Mi castro e sto zitto: questa è una di quelle situazioni in cui avere una mappa finita ed approssimativa è meglio di averne una dettagliata ed incompleta. Mi abbandono all’ascolto, cucendo brandelli, mettendo insieme dettagli visivi e parole. P. maneggia dei pezzi di polistirolo. Le opere di P. si sviluppano a partire da sagome di questo materiale, avvolte successivamente da rivestimenti in tubo corrugato o altro materiale che permetta facilmente di essere impiegato come rivestimento. Ho la testa sul 19
areas has been there for too many years. There are dogs: two pit bull terriers, apparently more docile than one might have imagined. After turning the key in a padlock, the metal door is thrown open to reveal a huge warehouse. It is crammed full of different things, packed up and placed on long shelves that fill the entire left wall. Opening on the right are a series of smaller areas, and P. explains that he shares this space with a foundry that he collaborates with. I can’t manage to follow and organise the information that P. is giving me. I realise that the best thing is to get the general drift, without fixing on the details or being too effing curious, which is something that frequently happens. I button my lip and sit tight: this is one of those situations in which it’s better to have a finite and approximate map than a detailed and incomplete one. I give myself up to listening, picking up the pieces, stitching visual details and words together. P. is handling pieces of polystyrene. P.’s works develop from moulds or outlines made of this material, which are then wrapped in corrugated tubing or other materials that
polistirolo, che mi sembra un materiale per molti aspetti antiretorico e che mi conduce diritto all’idea degli imballi, ai prodotti industriali, a qualcosa di transitorio che si usa in attesa di altro di più importante ivi contenuto. P. lo usa quasi sempre: lui è uno scultore che per istinto naturale si esprime modellando una forma per poi renderla compiuta realizzando un calco (cioè uno stampo, metodo utilizzato anche nel caso dell’uso del cemento), oppure rivestendola con dei materiali di superficie e colore stranianti (in maniera che il polistirolo sia l’anima dell’opera finale). Ma continuo a guardarmi attorno: ci sono i pezzi di grande dimensione di un aereo, un Mig-15 nero in scala reale, realizzati proprio con un’anima di migliaia di palline compresse. Quell’aereo è stato un unicum nel caso dell’aviazione e dall’industria aeronautica sovietica, non solo per il suo impiego con esiti alterni negli anni Cinquanta nella Guerra di Corea, ma soprattutto perché il caccia adottava soluzioni aeronautiche che sono state utilizzate successivamente fino agli anni Ottanta. L’opera, che qui mi è di fronte a pezzi avvolta con la pellicola di protezione, viene allestita verticalmente come 20
can be easily used as covering. My head is leaning on the polystyrene, which in many respects seems to me to be an unpretentious material, and that brings me straight back to the notion of packaging, to industrial products, to something transitory used while waiting for something else more important that is contained in it. P. almost always uses it: he’s a sculptor who by natural instinct expresses himself by modelling a form and then completing it by making a mould (a die, the method that is also used in the case of concrete casting), or else by covering it with surface materials and alienating colours (in such a way that the polystyrene is the core of the final work). But I continue to look around me: there are the large pieces of an aeroplane, a life-size black MiG-15, which was indeed made using a core of thousands of compressed polystyrene balls. The plane had been a one-off in the history of aviation and the Soviet aeronautical industry, not only in terms of its use (with variable results) in the 1950s during the Korean war, but above all because the fighter plane exploited aviation systems that continued to be used right up to the 1980s. The work, which is before my eyes in pieces wrapped up in
nell’istante prima di sfracellarsi al suolo, ed è centrale nella poetica di P., poiché mostra l’ambivalenza politica ed ideologica di uno strumento di guerra realizzato da una nazione che, in quegli anni, era idealizzata e considerata in Occidente dai simpatizzanti marxisti come un modello da imitare. E poi c’è un calco del primo modello di Punto, in alluminio e senza le zone forate dei finestrini, che mi è capitato di vedere spesso nelle immagini di opere di P. C’è polvere e freddo in questo enorme spazio, e c’è pure una brillante luce invernale che entra dai cortili. E ci sono altri cani che mi guardano, dei setter, apparentemente meno reattivi di quelli nel cortile, essendo anch’essi di polistirolo rivestito. Fanno la guardia all’auto della Fiat, avvolti in pluriball contro l’inverno e lo sporco, aggirandosi sospettosi raspando tra le macerie e i pallet pronti ad ogni occorrenza. Seguo P. ed esco da questo stabile – che è un deposito curioso che sfugge la macerata e conturbante malinconia dei siti che contengono oggetti in attesa di impiego, o banalmente di senso – per andare nel fabbricato adiacente. Al sole c’è caldo, molto meno nello 21
protective film, is mounted vertically and displayed as it would be at the instant before it shatters in contact with the ground. It is central to P.’s poetics, since it displays the political and ideological ambivalence of a war machine produced by a nation which was idealised at the time and considered by Western Marxist sympathisers as a model to be imitated. And then there’s a cast of the first model of the Punto, made of aluminium and without the open sections of the windows, which I have come across frequently in the pictures of P.’s works. It’s dusty and very cold in this huge space, and there’s even a bright winter light coming in from the courtyards. And there are other dogs watching me, setters, apparently less reactive than those in the courtyard, since they too are made of coated polystyrene. They are standing guard over the Fiat cars, wrapped in bubblewrap against the winter and the dirt, roaming about on the defensive, pawing around among the wreckage and the pallets ready for anything. I follow P. and leave this building – which is a strange storeroom that manages to avoid
spazio in cui siamo diretti. Saliamo le scale, lasciandoci dietro un portone. Arriviamo ad uno spazio pulito, pavimento chiaro e pareti bianche, in cui ci sono delle colonne di metallo che fanno datare la costruzione di inizio Novecento. Sembra una galleria del Marais qualche settimana prima dell’apertura in pompa magna, anche se si percepisce inavvertitamente un certo senso di abbandono. È un luogo che P. lascerà nei prossimi mesi, e dentro non si vede il casino affollato che generalmente caratterizza lo studio degli artisti che praticano la scultura. Le tre dimensioni di un’opera, infatti, implicano una certa anarchia procedurale, che talvolta sfocia apertamente nel coacervo, dove trovano spazio anche tentativi, errori, sviluppi e pensieri laterali. Unicamente un teschio umano bianco enorme, il più classico memento mori che è modello iniziale per una fusione in alluminio, il metallo prediletto da P. anche per la sua intrinseca leggerezza. Poi scarti di fusioni di metallo ed un disegno alle pareti, solo a tal punto da sembrare dimenticato e che mi viene spontaneo fotografare con il telefono. 22
the saturated and perturbing melancholy of sites containing objects awaiting use, or more banally, awaiting meaning – to move into the next building. It’s hot in the sun, much less so in the space we’re heading to. We go up the stairs, leaving a doorway behind us. We enter a clean, clear space, with a light-coloured floor and white walls, where metal columns date the construction to the early twentieth century. It looks like a gallery in the Marais a few weeks before the grand opening, even though one can inadvertently perceive a certain sense of abandonment. It’s a place that P. will be leaving in the next few months, and there’s no sign of the crowded muddle that generally characterises the studios of artists who practice sculpture. Indeed, the three dimensions of a work imply a certain procedural anarchy that sometimes degenerates openly into chaos, making room also for attempts, mistakes, developments and lateral thinking. Only a huge white human skull – the most classical of the memento mori – that is the starting model for an aluminium casting, which is indeed P.’s favourite metal partly in view of its intrinsic lightness. And then scraps from metal casting and a
Mi illudo di aver capito tutto: questo è momento di vuoto tra una mostra che sarà ancora da inaugurare e un passo altrove, cambiando studio; ma non lo accenno a P., preferisco avere il dubbio o non saperlo mai. Mentre parliamo mi sembra che ci intendiamo perfettamente, sicurezza che non mi abbandona nemmeno quando siamo di fronte ad un bicchiere di rosso in attesa dei rispettivi piatti, in cima al paese, oltre il fiume. Quando risalgo sulla mia auto, dopo un abbraccio, il sole si fa sentire più timidamente. Faccio la strada automaticamente, senza accendere il navigatore, arrivando a memoria alla tangenziale. Dopo qualche secondo sono costretto a fermarmi, bloccato in mezzo ad una lunga coda per incidente. Niente incazzatura, ho addosso uno strano senso di appagamento. Qui in mezzo ai camion e centinaia di macchine non ho nemmeno voglia di attivare il ricircolo d’aria. Anzi, penso proprio che aprirò il finestrino.
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drawing on the walls, so alone that it seems forgotten and it comes naturally to me to take a photo of it with my mobile. I deceive myself that I’ve got the picture: this is the moment of void between an exhibition yet to be opened and a move elsewhere, a change of studio; but I don’t mention this to P. I prefer to live with the doubt and never find out. As we talk it seems that we understand each other perfectly, a subtle conviction that does not abandon me even when we’re sitting in front of two glasses of red wine waiting for our respective orders, at the other end of the town, beyond the river. When, after a parting embrace, I get back into my car, the sun makes itself felt more weakly. I take the return route automatically, without switching on the GPS, making my way back to the bypass from memory. After a few seconds I’m forced to a standstill, stuck in the middle of a long traffic jam caused by an accident. I don’t go berserk; I’m filled with a strange sense of satisfaction. Here, in the midst of lorries and hundreds of cars I don’t even want to turn on the air conditioning. On the contrary, I do believe I’m going to open the window.
OPERE WORKS
MURO, 2007 ACRILICO SU SPUGNA SINTETICA, RESINA, NYLON | ACRYLIC ON SYNTHETIC SPONGE, RESIN, NYLON 180x180 CM (DETTAGLIO)
MURO, 2007 ACRILICO SU SPUGNA SINTETICA, RESINA, NYLON | ACRYLIC ON SYNTHETIC SPONGE, RESIN, NYLON 180x180 CM Muro, 2007 ACRILICO SU SPUGNA SINTETICA, RESINA, NYLON | ACRYLIC ON SYNTHETIC SPONGE, RESIN, NYLON 180x180 CM
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MURO, 2007 ACRILICO SU SPUGNA SINTETICA, RESINA, NYLON | ACRYLIC ON SYNTHETIC SPONGE, RESIN, NYLON 180x180 CM
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MURO, 2007 ACRILICO SU SPUGNA SINTETICA, RESINA, NYLON | ACRYLIC ON SYNTHETIC SPONGE, RESIN, NYLON 180x180 CM
MURO, 2007 ACRILICO SU SPUGNA SINTETICA, RESINA, NYLON | ACRYLIC ON SYNTHETIC SPONGE, RESIN, NYLON 180x180 CM (DETTAGLIO)
CIO’ CHE RESTA, 2013 TUBO CORRUGATO E FERRO | CORRUGATED TUBE AND IRON 195X235X200 CM
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CIO’ CHE RESTA, 2013 TUBO CORRUGATO E FERRO | CORRUGATED TUBE AND IRON 195X235X200 CM (DETTAGLIO)
CIO’ CHE RESTA, 2013 TUBO CORRUGATO E FERRO | CORRUGATED TUBE AND IRON 195X235X200 CM (DETTAGLIO)
SENZA TITOLO, 2008 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 81x64x37 CM
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SENZA TITOLO, 2011 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 70x 30x20 CM
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SENZA TITOLO, 2011 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 70x50x48 CM
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SENZA TITOLO, 2008 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 81x64x37 CM (DETTAGLIO)
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SENZA TITOLO, 2011 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 80X30X30 CM
SENZA TITOLO, 2007 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 100X58X54 CM
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ANALGESIA, 2012 ALUMINIUM CAST 360X600X800 CM BEAUFORT 04- BREDENE (BE), 2012
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ANALGESIA, 2012 FUSIONI IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 360X600X800 CM (DETTAGLIO)
ANALGESIA, 2012 FUSIONI IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 360X600X800 CM (DETTAGLIO)
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ANALGESIA, 2012 FUSIONI IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 360X600X800 CM (DETTAGLIO)
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Madre, 2008 polistirolo, cera, radici | polystyrene, wax, roots DIMENSIONI VARIABILI | VARIABLE SIZES Zero, Zerouno, 2005 Fusione in alluminio | Aluminium casting 175x42x64 CM Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Métropole (FR), 2008
62 SENZA TITOLO 01, 2014 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 180X60X43 CM
TRAVASI, 2007 RESINA, CEMENTO, ALLUMINIO | RESINE, CONCRETE, ALUMINIUM CASTING 182X80X53 CM, 134X66X72 CM
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EROSIONE, 2011 FUSIONE IN ALLUMINIO | ALUMINIUM CASTING 180x40x40 CM, 130x40x60 CM
Paolo Grassino è nato nel 1967 a Torino, dove attualmente vive e lavora.
ESPOSIZIONI PERSONALI PERSONAL EXHIBITIONS 2013 Percorso in tre atti, Museo Pecci, Milano, a cura di / curated by Stefano Pezzato; La scultura interroga la pittura, Paolo Grassino e Peter Klaser, Museo d’Arte Contemporanea di Lissone, Lissone, Milano, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Analgesia, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Wien; La oscuridad en la luz, IIC - Istituto Italiano di Cultura, Palacio de Abrantes, Madrid, a cura di / curated by Alessandro Demma 2012 Invalicabile, Galerie Italienne, Paris 2011 Travasi, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Wien; Controllo del corpo, Galleria Paola Verrengia, Salerno; Liquido oggettivo, Delloro Arte Contemporanea, Berlin, a cura di / curated by Elena Forin; Dio non è in me, Galleria Alessandro Bagnai, Firenze; T, Delloro Arte Contemporanea, Roma 2010 La fine di qualcosa, l’inizio di..., Galleria Giorgio Persano, Torino; Paolo Grassino. 2000...2010, Castello di Rivalta, Torino, a cura di / curated by Alessandro Demma; Paolo Grassino. Contaminazioni, Pianacoteca Albertina, Torino, a cura di / curated by Guido Curto 2009 Paolo Grassino, Gallery Teo, Tokio 2008 Dolo d’impulso, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Salzburg; Paolo Grassino, Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Metropole, Saint-Etienne; Ancora in semilibertà, Galeria Fucares, Madrid 2007 Dio non è qui, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Wien; Semilibertà, Galleria Giorgio Persano, Torino 2005 Armilla, Fondazione Palazzo Bricherasio, Torino, a cura di / curated by Guido Curto; Underworld, Patrizia Pepe, Capalle, Firenze, a cura di / curated by Ronaldo Fiesoli 2004 Paolo Grassino, Mulino di Gavardo, Brescia, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Senza nome, V.M.21 artecontemporanea, Roma; Fresh kills, Galleria Giorgio Persano, Art Athina, Athens; Fresh kills, Galleria Giorgio Persano, ex / former Fabbrica Nebiolo, Torino in collaborazione con / in collaboration with Città di Torino Settore Periferie e Zucca Architettura; Paolo Grassino, V.M.21 artecontemporanea, Riparte, Roma 2003 Mimetico, Galería Fucares, Madrid 2002 Paolo Grassino, Galleria Giorgio Persano, Torino; Culicchia e Grassino, un lavoro: un’opera, già Via Nuova per l’Arte contemporanea, Firenze 2001 Ossa Rotte, Kalos Arte Contemporanea, Parma, a cura di / curated by Elena Volpato 2000 Mangiami, GAM-Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino, a cura di / curated by Elena Volpato 1999 Ciò che resta, Galerie Rouje, Québec 1997 In oggetto (con / with Nicus Lucà), Galleria di S.Filippo, Torino, a cura di / curated by Riccardo Passoni 1995 10.000 watt, Placentia Arte, Piacenza, a cura di / curated by Rosanna Chiessi e Davide Cabodi 1994 Veleni, Recalcati arte contemporanea, Torino, in collaborazione con / in collaboration with Galleria Marco Noire
ESPOSIZIONI COLLETTIVE GROUP EXHIBITIONS 2013 Lo straniero. L’alterità dentro e fuori da sé, Galleria Eduardo Secci Contemporary, Firenze, a cura di / curated by Alessandro Demma; Alluminio. Tra Futurismo e contemporaneità. Un secolo di scultura italiana sul filo della materia, Cassero per la scultura, Montevarchi, Arezzo, a cura di / curated by Alfonso Panzetta; 40 Years Mario Mauroner Contemporary Art, MAM Mario Mauroner Contemporary Art Salzburg, Salzburg; Il giardino segreto, Castello Svevo, bari, a cura di / curated by Lia De Venere e Antonella Marino; OPEN // The Generation of Future, Galleria Bluorg, Bari, a cura di / curated by Graziano Menolascina; (P). (P)arerga e (P)aralipomena della (P)ittura, Bonelli Lab, Canneto Sull’olio, Mantova, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Aitres, MAM Mario Mauroner Contemporary Art Salzburg, Salzburg; Na.To. L’arte del presente, il presente dell’arte, Castel Sant’Elmo, Napoli, a cura di / curated by Alessandro Demma; Equinozio d’autunno, Centro d’arte contemporanea-Castello di Rivara, Rivara, Torino; Château hanté, Domaine Royal de Randan, Randan 2012 Claim,Lutzowstrasse 70, Berlin, a cura di / curated by Manuel Wischnewski; La paura dell’altro. Sergio Ragalzi / Paolo Grassino, Sala Santa Rita, Roma; Il Fuoco della natura, Salone degli incanti, Trieste; Beaufort 04-Triennial of Contemporary Art by the Sea, Ostend a cura di / curated by Phillip Van den Bossche 2011 Rewriting Worlds-4a Moscow Biennale of contemporary art, Moscow, a cura di / curated by Peter Weibel; Vulpes Pilum Mutare, Museo Civico, Bassano Del Grappa, a cura di / curated by Carolina Lio; Dalla cella all’atelier, Complesso Medioevale della Castiglia, Saluzzo, a cura di / curated by Alessandro Demma; Su nero nero-Over black black, Centro per l’Arte Contemporanea,Castello di Rivara, Torino; Senza rete, ETAGI, St. Petersburg, a cura di / curated by Marisa Vescovo, Alessandro Carrer; Politeia. Un’immagine dell’inviolabile, Castello della Contessa Adelaide, Susa a cura di / curated by Michele Bramante; Km011. Arti a Torino.1995-2011, Museo di Scienze Naturali, Torino, a cura di / curated by Luca Beatrice; Gran Torino. The crossroads of italian contemporary art scene, Frost Art Museum, Miami a cura di /curated by Francesco Poli; Great, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Salzburg; Il mondo capovolto, Delloro Arte
Contemporanea, Roma Un giardino incantato, Palazzo Soranzo Cappello, Venezia; Macro Summer-La collezione e i nuovi arrivi, MACRO-Museo d’Arte contemporanea di Roma, Roma; Defiant Gardens, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Salzburg 2010 Dreams, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Salzburg; Elements of Nature: Selections from the Frederick R. Weisman Art Foundation, Contemporary Art Center New Orleans, a cura di / curated by Billie Milam Weisman; Malamente, Palazzo Bertalazone di San Fermo, Torino, a cura di / curated by Francesco Sena; Cosa vogliono le immagini?, Studio Vigato, Bergamo, a cura di / curated by Marisa Vescovo; Détournament Venise 2010. Giardini incantati, Palazzo Soranzo Cappello, Venezia; Utopia. Contemporary energy. Italian attitudes. Expo 2010, Urban Planning Exhibition Center, Shanghai a cura di / curated by Marisa Vescovo, Alessandro Carrer; Celebration. Collection du Frac Auvergne, FRAC-Auvergne, Clermont Ferrand; Fragile, Daejeon Museum of Art, Daejeon, a cura di / curated by Lorand Hegyi 2009 Essential Experieces, RISO-Museo d’arte contemporanea della Sicilia, Palermo a cura di / curated by Lorand Hegyi; La commedia umana di Balzac. Omaggio al romanziere assoluto, Castello di Rivalta, Torino a cura di / curated by Alessandro Demma, Luca Bradamante; Analgesia, Halle aux Bleds, SaintFlour, a cura di / curated by Jean-Charles Vergne; Silencio, Eglise Saint Jean, Le Monastier, a cura di / curated by Jean-Charles Vergne; Materia Negra, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Wien; Ad librandum, Librarsi, Vicenza, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Détournement Venice 2009, Biennale di Venezia, Molino Stucky, Venezia; Cromofobie, percorsi del bianco e del nero nell’arte italiana, ex / former Aurum, Pescara a cura di / curated by Silvia Pegoraro; Carneade, Galleria Renata Bianconi, Milano, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Fragile, terres d’empathie”, Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Metropole, Saint- Etienne; Accademia d’Ungheria - Palazzo dei Falconieri, Roma, a cura di / curated by Lorand Hegyi; Energie sottili della materia”, Complesso Medioevale della Castiglia, Saluzzo a cura di / curated by Marisa Vescovo 2008 Mediations Biennale. Voyage sentimental, Muzeum Narodowe; Centrum Kultury Zamek, Poznan selezione di / selected by Lorand Hegyi; Une génération à Turin, Galerie Placido, Paris; Meme pas mort, La Résidence-Espase Boudeville, Dompierre
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sur Besbre a cura di / curated by Jean-Charles Vergne; XV Quadriennale d’arte, Palazzo delle Esposizioni, Roma, selezione di / selected by Daniela Lancioni; Metamorphosis:dieci artisti nel borgo delle leggende, Serra San Quirico, Ancona a cura di / curated by Mimmo Di Marzio; XIII Biennale Internazionale di Scultura, Carrara, a cura di / curated by Francesco Poli, Gabriella Serusi; 900-Cento anni di creatività in Piemonte, Movicentro, Acqui Terme; Oltre i confini del corpo. Qui vive?, Fabrika Project, Moscow a cura di / curated by Marisa Vescovo, Alessandro Carrer; Experimenta, Palazzo della Farnesina-Ministero degli Affari Esteri, Roma, selezione di / selected by Marisa Vescovo; Allarmi 4, Caserma De Cristoforis, Como, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Ouverture. Racconti privati, Accademia d’Ungheria, Palazzo dei Falconieri, Roma a cura di / curated by Lorand Hegyi; Archeologie del futuro, Studio Vigato, Alessandria, a cura di / curated by Marisa Vescovo; Figura humana y Abstraccion, Wurth Museo La Rioja, Agoncillo; Energie sottili della materia, Urban Planning Exhibition Center, Shanghai; China National Academy of Painting Beijing; He Xiangning Art Museum, Shenzhen; Museum of Art Seoul National University, Seoul a cura di / curated by Marisa Vescovo; Micro-narratives, tentation des petites réalités, Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Metropole SaintEtienne, a cura di / curated by Lorand Hegyi 2007 Natura e metamorfosi, GCAM-Palazzo Collisola, Spoleto, a cura di / curated by Marisa Vescovo; 48th October Salon-Temptation of small realities-Microcommunities, Tito Museum, Belgrade a cura di / curated by Lorand Hegyi; Theater of Improbabilities, Cavallerizza Reale, Torino, a cura di / curated by Lorand Hegyi; My Land, Sistema Museale di San Miniato, San Miniato; A travers le miroir (western moderne), Musee d’Art et d’Archeologie, Aurillac a cura di / curated by Jean-Charles Vergne; Sguardo consapevole, Palafuksas, Torino, a cura di / curated by Francesco Poli, Anna D’agostino; Grassino-PusoleSena, Teatro delle improbabilità, Galleria Alessandro Bagnai,
Firenze a cura di / curated by Lorand Hegyi 2006 Natura e metamorfosi, Urban Planning Exhibition Center, Shanghai; Creative Space Art Center, Beijing a cura di / curated by Marisa Vescovo; Something happened-Aspects of New Narratives, Slovak National Gallery, Bratislava a cura di / curated by Lorand Hegyi; Paradiso et inferno, MAM-Mario Mauroner Contemporary Art, Salzburg; Antisocial, (cher pays de mon enfance...), Centre culturel Le Bief à Ambert, Ambert a cura di / curated by Jean-Charles Vergne; Natura: morte e resurrezione, Castel di Lama, Ascoli Piceno, a cura di / curated by Marisa Vescovo; Giardino. Luoghi della piccola realtà, PAN-Palazzo delle Arti, Napoli, a cura di / curated by Lorand Hegyi; Antisocial, FRAC-Auvergne, Clermont Ferrand, a cura di / curated by JeanCharles Vergne; Walk-in, Galleria Alessandro Bagnai, Firenze; Genius Loci, Castello di Racconigi, Racconigi, a cura di / curated by Guido Curto, Gian Alberto Farinella; Tattile_duttile, V.M.21 artecontemporanea, Roma 2005 Disegnando, Galleria Carbone.to, Torino; Rifrazioni, Sala Bolaffi, Torino, a cura di / curated by Guido Curto, Gian Alberto Farinella; Superplastica. Sculture del disequilibrio, Castello di Casalgrande, Casalgrande, Reggio Emilia a cura di / curated by Ivan Quadroni; Caveau, A2 Andrea artecontemporanea, Vicenza, a cura di / curated by Alberto Zanchetta; La città che sale, Chiesa di Sant’ Agostino, Bergamo, a cura di / curated by Stefano Raimondi; Il filtro dell’immagine, Pinacoteca Villa Soranzo, Varallo Pombia, Novara; Eclectic Eye, Frederick R. Weisman Museum of Art, Malibu, a cura di / curated by Billie Milam Weisman; L’opera al nero, Mole Vanvitelliana, Ancona, a cura di / curated by Marisa Vescovo; Il paesaggio Italiano contemporaneo, Palazzo Ducale, Gubbio; SerrONE, Castello Reale, Monza, selezione di / selected by Marisa Vescovo; Sinnaturismo, Centro per l’Arte Contemporanea - Castello di Rivara, Torino a cura di / curated by Alberto Zanchetta; Domicile, Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Metropole, Saint-Etienne a cura di / curated
by Lorand Hegyi; Defrag. Derive plastiche, Fabbrica del Vapore, Milano, a cura di / curated by Ivan Quaroni, Norma Mangione; Genius Loci, Castello di Racconigi, Racconigi, a cura di / curated by Guido Curto, Gian Alberto Farinella 2004 Allarmi, zona creativa temporaneamente valicabile, Caserma De Cristoforis, Como selezione di / selected by Norma Mangione; Istinto, Galería Fucares, Almagro; La morte ti fa bella, Galleria San Salvatore Arte Contemporanea, Modena, a cura di / curated by Norma Mangione, Ivan Quaroni 2003 Pop and more, Luckman Gallery, Los Angeles, a cura di / curated by Billie Milan Weisman; Frederick R. Weisman Art Foundation Collection, New Orleans Museum of Art, New Orleans; Pop and Illusionism, Contemporary Art Center of Virginia, Virginia Beach; Caput Vertiginis, Galleria Alberto Weber, Torino; Eco e narciso, Villaggio operaio Leumann, Collegno; Ecomuseo Feltrificio Crumire, Villar Pellice a cura di /curated by Sergio Risaliti, Rebecca De Marchi 2002 Dieci tavoli dell’arte, Fondazione Pistoletto, Biella; ManifesTO, Ufficio di Igiene, Torino; Big Torino 2002, Palazzo Comunale, Carignano, Torino 2001 City Fabric, (intervento urbano / urban intervention I topi ballano), Dublin a cura di / curated by Brian Kennedy; Progetti per una trasformazione sociale responsabile, Fondazione Pistoletto, Biella; La parola, l’immagine, Centro per l’Arte Contemporanea, Luigi Pecci, Prato 2000 Big Torino 2000, (intervento urbano / urban intervention I topi ballano), Torino; Anno zero, Fondazione Pistoletto, Biella; Intrecci, Borrelli Grassino Mainolfi, Cortile Molasso, Torino, a cura di / curated by Guido Curto; Incontemporanea, (intervento urbano / urban intervention I topi ballano), Modena a cura di / curated by Ornella Tempestini 1999 S-culture, Maze Gallery, Torino 1998 Ein fest der Zeichnung, Galerie Maerz, Linz; Artisti senza vincoli a San Pietro in Vincoli, San Pietro in Vincoli, Torino a
cura di / curated by Francesco Poli; Now Boarding, L’ oeil de poisson, Québec City; Quatre jeunes artistes Italiens, Galerie Clark, Montréal; Tuttologica, Arcate dei Murazzi del Po, Torino, selezione di / selected by Riccardo Passoni 1997 Studi Aperti, Dock’s Dora, Torino, a cura di / curated by Beatrice Merz, Maria Centone; In fuga. Arte attuale a Torino, PAC-Palazzo Massari, Ferrara, a cura di / curated by Riccardo Passoni 1996 Adicere Animos, Galleria d’Arte moderna e contemporanea, Cesena, a cura di / curated by Alice Rubbini; Modernità, Progetto 2000, Fondazione Palazzo Bricherasio, Torino; ex / former Lanificio Bona, Carignano,Torino selezione di / selected by Tiziana Conti; Romantico contemporaneo, Castello di Bentivoglio, Bologna, a cura di / curated by Alice Rubbini; Arti Visive, Palazzo Ducale, Genova; Mole Vanvitelliana, Ancona Torino a Milano, Galleria Bianca Pilat, Milano, a cura di / curated by Francesco Poli, Riccardo Passoni 1995 F4, Galerie des arts visuels, Université Laval, Quebéc City; Pari e dispari. 25 anni di seduzione, Musei Civici, Reggio Emilia, a cura di / curated by Rosanna Chiessi; III Biennale Giovane arte contemporanea, Castello di Sartirana Lomellina selezione di / selected by Luisa Somaini 1994 Materiale vetro, Galleria Eva Menzio, Torino; Accumulazione, Galleria Marco Noire, San Sebastiano Po, Torino; L’ oggetto, ancora...Chiamata alle Arti, Arcate dei Murazzi del Po, Torino a cura di / curated by Riccardo Passoni; Casa Malaparte, Casa Malaparte, Capri, a cura di / curated by Rosanna Chiessi 1992 Soluzioni di continuità, Galleria Filippo Fossati, Torino 1990 Steel life, Galleria Es, Pinerolo, Torino, a cura di / curated by Luca Beatrice; Verba manent scripta volant, Galleria Filippo Fossati, Torino; Hic sunt leones II, ex / former Giardino Zoologico, a cura di / curated by Beatrice Merz, Torino
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