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IMPASTI SPECIALI E GRANDE ATTENZIONE ALLE MATERIE PRIME: NASCE A SASSARI LA PIZZERIA "CANNE AL VENTO" «Il rimedio è in noi», sentenziò la vecchia. «Cuore, bisogna avere, null’altro...» (Canne al Vento, Grazia Deledda) Simpatia, calore e positività. Queste sensazioni accompagnano chi entra nell’accogliente locale al civico 78 di via Grazia Deledda, a Sassari. Sono le caratteristiche di Sandra che, da brava mamma, riesce a infonderle anche alla sua creatura, la pizzeria “Canne al Vento”. «Un po’ come tutte le belle cose anche questa è arrivata per caso», ci racconta. Siamo seduti a un tavolo della saletta interna. Dietro il bancone ci si prepara per l’imminente apertura serale. «Sono sempre stata attratta dal
mondo della ristorazione e quando ho avuto la possibilità di gestire io una pizzeria tutta mia l’ho colta al volo anche perché, essendo una persona molto curiosa, mi piace conoscere e imparare tutto dei campi che mi interessano». Chiediamo se la scelta del nome sia dovuta alla via nella quale si trova il locale. «Certo è una bella combinazione! “Canne al Vento” è il libro di Grazia Deledda che preferisco. Mi piace il modo in cui descrive la vita degli uomini come canne che si piegano, mosse dalle correnti, ma che non si spezzano. È anche una buona metafora del vivere l’imprenditoria oggi» (ride). Le frasi tratte dal libro si possono leggere qua e là per la sala mentre si mangia la propria pizza selfservice. «Lavoriamo come asporto,
però è possibile anche gustare qui i nostri prodotti, seduti e in comodità. Naturalmente non facciamo servizio al tavolo e questo ha come vantaggio il fatto che non si paghi il coperto. C’è anche un’ampia terrazza che contiamo di aprire non appena arriva la bella stagione». E allora vediamo da vicino i prodotti anche con l’aiuto di Claudio, che tutte le sere affida le sue creazioni al forno a legna del locale. «Per gli impasti usiamo farina di tipo 1, più ricca di nutrienti e più sana rispetto alla 00. Inoltre preferiamo una lievitazione medio-lunga. A me piace molto proporre novità e Sandra in questo è d’accordo». Alcuni esempi? Intanto l’impasto “nero”, ottenuto con il carbone vegetale attivo, poi l’impasto “rosa”, proposto nella experimentedition natalizia e contenente barbabietola. «Introdurremo gli impasti multicereali e proponiamo già la pizza ai semi di lino e di chia: cerco sempre di equilibrare il gusto con la qualità dei prodotti». L’attenzione al prodotto è qualcosa che a Sandra sta molto a cuore. «Privilegiamo l’offerta di ingredienti freschi, su tutti i fronti. Stiamo lavorando per l’inserimento di alcuni dolci nel menù e per proporre anche il pane di nostra produzione. Un’idea, questa, che attueremo soprattutto nella prossima apertura all’ora di pranzo». Quando chiediamo cosa ama del suo lavoro, Sandra non ha dubbi. «Ho scelto un gruppo di persone con cui si sta bene, sono i classici bravi ragazzi, perché volevo che trasparisse anche come impronta del locale, allegra e amichevole. Mi piace molto anche il rapporto con i clienti, ascoltarli e seguire i loro suggerimenti».
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CONQUISTARE LA SARDEGNA DIVENTA UN GIOCO di DIEGO BONO
È
uno dei giochi di società più divertenti, famosi e diffusi del pianeta e da poco ha compiuto i suoi 80 anni, portati con spassoso orgoglio e immensa varietà: è il Monopoli. La semplice formula oramai consolidata che chiede ai giocatori, attraverso compravendite e aste, di acquisire il maggior numeri di territori edificabili, lo ha reso celebre agli occhi di tutti, ma è il quadro su cui si muovono le pedine che rende il gioco unico, ma al contempo, profondamente adattabile ad ogni contesto culturale e sociale. Ecco che l’agognato “Parco della Vittoria” che trionfa con fierezza sullo schema può essere all’occorrenza sostituito dalle più benestanti città italiane, europee, ma anche
da luoghi storici, siti naturalistici o regioni di fantasia. Ma se il cartellone su cui abbiamo trascorso tante serate, fosse, invece, la nostra stessa Isola? A questo risponde Tancas, una spiritosa riedizione del noto “board game” ideata e realizzata dalla società cooperativa Demoelà e da Simone Riggio, grafico di Santu Lussurgiu, che aggiunge alla classicità delle regole anche divertenti varianti, come la Strada 131 che taglia in due il tabellone, o il Trenino Verde che permette di portarsi in vantaggio sugli avversari, e che con le sue singolari carte imprevisti e probabilità permette di conoscere al meglio la Sardegna, illustrando ai giocatori numerose curiosità e informazioni. Grazie all’abile mano dell’illustratore sardo/belga Dino Sechi, la Sardegna rappresentata sulla scatola e sulla plancia di gioco risulta ben lontana dagli stereotipi
più comuni, prediligendo uno stile semplice e minimale, che ben si adatta allo stile scanzonato e ludico del progetto. Viene in soccorso all’apparato grafico, inoltre, proprio la forma rettangolare della nostra Isola, che calza con precisione la forma quadrata del tabellone, permettendo l’inserimento nei quattro angoli delle zone archeologiche che più identificano i principali luoghi simbolo della nostra identità, mentre lungo il percorso vengono evidenziate alcune delle città più rappresentative, nonostante, a detta dell’autore, non sia stato facile prediligerne alcune a discapito di altre. A movimentare la partita e il senso di appartenenza sono
senza dubbio i testi delle oltre 60 simpatiche carte: “Chentu concas, chentu berrittas” (che identificano le contraddizioni tipiche della nostra gente) e “Amistade”, queste ultime atte a raffigurare i tratti tipici della nostra cultura; si aggiungono inoltre le due “Forza Casteddu” e “Ale Dinamo” che uniscono nella sfida le più colorite tifoserie sarde. Ancora una volta ci viene insegnato come la conoscenza delle nostre tradizioni e del nostro trascorso possano essere trasmesse in maniera gioviale e, soprattutto, efficace, poiché, come dice lo stesso Riggio: “Spronati e coscienti del nostro passato possiamo ancora scrivere bellissime pagine di storia e cultura. Giocando poi, tutto è più facile e divertente.”
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S&H MAGAZINE Anno XXIV - N. 269 / Febbraio 2019
EDIZIONE SPECIALE SASSARI+CAGLIARI Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: DIEGO BONO, LUIGI CANU, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ERIKA GALLIZZI, ALESSANDRO LIGAS, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, ANNALISA MURRU, NIKOLAS PITZOLU, MARCO SCARAMELLA
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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it
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Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54
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Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari
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Social & Web
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03 Tancas
18 Ernesto Melis
05 Il giorno di Valentino
20 Sebastiano Dessanay: 377 Project
Conquistare la Sardegna diventa un gioco Le origini della ricorrenza più romantica dell’anno
06 Voce Amica Sassari
Parole contro la solitudine
Uno scatto sul nudo femminile Un artista raro per 377 comuni
Quando la storia sarda si fonde col fantasy
08 Revenge
10 Mototaccuino
25 Dinamo Banco di Sardegna
12 Archeobotanica
26 HITWEETS 28 Hertz Cagliari Dinamo Academy
Il volontariato viaggia su due ruote L’Università di Cagliari studia la dieta degli antichi sardi
14 La Sartiglia
Il Carnevale oristanese tra corse, stelle e prodi cavalieri
16 Matteo Marongiu
«Faccio centro con l’istinto»
Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2018. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.
22 Bestias
24 Viaggio in Italia
L’arte della vendetta per un collettivo di artisti
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La Basilicata
I biancoblù hanno tirato fuori le unghie
Il team rossoblù ha cambiato volto e marcia
29 Il dentista risponde
Denti da latte, denti permanenti e denti del giudizio. Qual è la differenza?
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in Copertina
SA SARTIGLIA
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IL GIORNO DI
VALENTINY di DANIELE DETTORI
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recentocinquanta milioni di euro è la stima del giro d’affari italiano intorno alla festa degli innamorati che il Codacons ha calcolato per lo scorso 2018. Ma come si è arrivati a queste proporzioni? E dove ha origine la ricorrenza più romantica dell’anno? Partiamo per un viaggio che non mancherà di attraversare anche la nostra isola. La festa di San Valentino ha origini così remote da non poter essere univocamente riconosciute. È molto più antica anche dello stesso Valentino e del suo riconoscimento come Santo da parte della Chiesa. Affonda infatti le proprie radici negli antichi riti festivi di epoca romana quando, con l’aumento delle temperature dopo i freddi dell’inverno, la natura cominciava il suo risveglio, le giornate diventavano più lunghe e la terra riacquistava quella fertilità che
avrebbe garantito raccolti e abbondanza. Peraltro erano riti che non si limitavano a manifestazioni, per così dire, di amore platonico ma prevedevano pratiche violente, talvolta dai risvolti orgiastici. Con la diffusione del cristianesimo, fu Papa Gelasio I a introdurre il “patrono” degli innamorati, ispirandosi alla figura di Valentino, calendarizzato come Santo il 14 febbraio. Sì, ma quale Valentino? In effetti sembrano esistere più figure con lo stesso nome e la simile vocazione al martirio. La più riconosciuta è quella del vescovo di Terni, che pare avesse particolarmente a cuore l’unione felice in una coppia e si spendesse anima e corpo (è proprio il caso di dirlo) perché gli innamorati potessero vivere in massima armonia. In questo senso le leggende raccontano di una rosa donata a due litiganti in segno di pacificazione ma anche di un matrimonio celebrato tra una donna cristiana e un uomo pagano che costò la vita allo zelante ecclesiastico.
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Se ci spostiamo in Sardegna, la figura di Valentino è assurta a patrona del paesino di Sadali, meno di mille abitanti a un centinaio di chilometri da Cagliari. Si racconta che un vecchio mendicante girasse portando con sé una piccola statua del Santo. Giunto in paese si adagiò nei pressi della cascata e lì trascorse la notte. Il giorno dopo, al momento di riprendere la statua, si accorse che era fissa al suolo, come se non volesse essere spostata. Nacque così la chiesetta (il primo nucleo risale a cavallo tra il nono e il decimo secolo dopo Cristo) intitolata al Santu coiadori, ovvero al Santo che favorisce gli sposalizi. A Sadali, San Valentino è festeggiato ben tre volte nel corso dell’anno: oltre al consueto 14 febbraio anche l’8 maggio e il 6 ottobre. Non a caso esiste l’usanza di recarsi in pellegrinaggio da quelle parti per chiedere la grazia di trovare un/una compagno/a o di benedire il proprio rapporto di coppia.
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Voce Amica Sassari: Parole contro la solitudine di FRANCA FALCHI
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iviamo in una strana epoca: grazie alle moderne tecnologie, abbiamo la possibilità di una costante relazione anche a distanza elevata, ma perdiamo la parte migliore della nostra vita sociale. Corriamo verso specializzazioni professionali sempre più alte, cercando di arrivare per primi, di fare sempre meglio e di più, di avere tutto e subito e, il sempre più forte individualismo e la competizione, ci stanno portando verso una realtà fatta di solitudine e priva di emozioni. Stiamo dimenticando le nostre competenze di base: quelle empatiche, che via via, stiamo perdendo, mentre andiamo incontro ad uno stato di sempre più frequente solitudine.
I rapporti umani sono sempre meno profondi, più effimeri e superficiali, e rimane poco spazio per i sentimenti: siamo sempre più soli. Ci si isola per vari motivi: non ammettere una sconfitta, non svelare una nostra condizione di debolezza, fingere di essere ciò che non siamo. Esibiamo la nostra parte migliore, ci mostriamo forti, carismatici e sorridenti ma pochi conoscono le nostre storie, le nostre paure e debolezze, e nel chiuso delle nostre case siamo sempre più fragili. Chi si trova a vivere una condizione di solitudine, spesso lo fa suo malgrado: molti anziani si ritrovano soli quando muore il loro compagno di vita, i figli sono grandi e impegnati tra lavoro e famiglia, ed essi passano i giorni nel ricordo e nel rimpianto.
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Alcuni, anche tra i più giovani, si nascondono per la paura di affrontare un cambio drastico del loro ambiente sociale, preferendo un anonimo monitor alle vere relazioni. E ci si può sentire isolati anche all’interno della propria famiglia o in mezzo agli amici; i social ci danno la sensazione di essere in contatto con il mondo per poi accorgersi che la vita vera è tutt’altra cosa. Altri, ed è la solitudine peggiore, sono vittime dell’abbandono dovuto all’isolamento ed al rifiuto consapevole. Stiamo diventando incapaci di esprimere e riconoscere le nostre emozioni, vivendo nella freddezza il nostro quotidiano. La solitudine è uno dei problemi più diffusi della nostra epoca, interessa ogni età e ogni classe sociale. Siamo spesso invisibili gli uni agli altri in una affollata solitudine della quale però, a volte, mal sopportiamo il silenzio. E allora accade che sentiamo il bisogno di una voce amica, di qualcuno che ci ascolti, al quale esternare il nostro stato d’animo. Dal 1982 Voce Amica Sassari dà ascolto a chiunque provi solitudine. É un’organizzazione di volontariato, affiliata al Telefono Amico Italia Onlus che opera da poco più di cinquanta anni nel nostro paese. Una ventina di associazioni confluiscono in rete al 199 284 284 che dal 2006 è diventato il numero unico nazionale. Il servizio è gratuito e attivo ogni giorno, festivi compresi, dalle 10 alle 24 tramite una turnazione di volontari che seguono un corso formativo e dei costanti aggiornamenti periodici. É anonimo e indipendente da qualsiasi ideologia politica o religiosa. L’anonimato, di chi chiama e di chi risponde, consente di parlare liberamente di qualsiasi argomento, anche il più difficile, intimo e imbarazzante, senza il timore di essere giudicato, riconosciuto o bollato; allo stesso tempo protegge i volontari dal coinvolgimento nella vita privata. In questo modo si agevola la relazione telefonica, e si favorisce il colloquio tra due persone che non si conoscono e che non si incontreranno mai (o forse a loro insaputa). Molti di coloro che si rivolgono a Voce Amica, molto probabilmente, hanno difficoltà a trovare un orecchio disposto ad ascoltarle, e appartengono alle più disparate categorie sociali: uomini, donne, giovani e anziani. Alcuni hanno semplicemente bisogno di compagnia,
altri di raccontare un dramma che li coinvolge, una preoccupazione, un momento di sconforto o anche di gioia. C’è chi chiama in cerca di consigli o di conferma delle proprie convinzioni, qualcuno svela un disagio mentale o un’ossessione ma tutti manifestano una profonda carenza di rapporti umani, dispiegando una realtà fatta di emarginazione e fatica di vivere una vita priva di affetti. Telefono Amico Italia non si pone però l’obbiettivo di curare, di dare consigli o risolvere problemi, ma mira a mettere la persona che chiama in condizioni di operare liberamente le proprie scelte: per chi soffre, parlare è uno sfogo, ma anche un modo per ascoltarsi, per prendere consapevolezza delle sue capacità individuali. Dietro alla formulazione di un disagio, spesso però, si cela una richiesta di aiuto che, se non riconosciuta, può sfociare in un gesto estremo. É un impulso che può colpire chiunque, in seguito ad un’umiliazione, una grave perdita, una sofferenza di cui non si vede via d’uscita se non nel porre definitivamente fine al proprio dolore. Voce Amica ascolta e accoglie con empatia le emozioni e le richieste d’aiuto che si manifestano nelle differenti forme. “Fermati un attimo” è lo slogan dedicato alla giornata mondiale di prevenzione ai suicidi, una semplice frase che racchiude la possibilità di evitare quel salto nel vuoto ed eventualmente far passare il momento, valutando le alternative. Fermati e parliamo. Ma è anche un invito a tutti coloro che sono troppo presi dalla velocità della propria esistenza: fermarsi un attimo ad ascoltare e a riconoscere chi ci invia dei segnali. Parlare serve ad aprire uno spiraglio, a prendere tempo, a riflettere e schiarire le idee: parlarne può salvare la vita.
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Revenge: L’arte della vendetta per un collettivo di artisti di HELEL FIORI
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uando si seguono artisti di valore è sempre un piacere godere delle loro produzioni, e si resta doppiamente appagati quando collaborano. È proprio quello che è successo per il videoclip Revenge, nato dal fruttuoso incontro di più professionisti. Il “punto zero” lo ha fissato Daniele Paglia, regista osilese perfezionatosi alla Roma Film Academy di Cinecittà che conta all’attivo parecchi videoclip nei quali ha onorato gli stili di svariati artisti (l’ultimo nell’agosto 2018 per i Tazenda,
Dentro le Parole) ma che ora ha deciso di dare spazio alla propria creatività iniziando a produrre soggetti attinti dal proprio immaginario. I suoi riferimenti vanno dai pionieri tedeschi a Kubrick passando per Godard, per cui non stupisce che questo video sia la personale interpretazione di una scena del discusso musical Dancer in the Dark (Lars von Trier; Palma d’Oro nel 2000) con protagonista la gigantesca cantante islandese Björk. La scena originale è di grande impatto: dopo aver ucciso un poliziotto disonesto lei si pente e immagina una realtà dove l’uomo le perdona l’assassinio.
Trovata la miccia, Daniele si è attivato in ricerca di una musica che potesse fungere da scintilla. Ed ecco il destino sfacciato di imbattersi in Re‐ venge: rivisitazione dell’omonimo pezzo del 2009 di Sparklehorse e Danger Mouse riarrangiato da Luigi Frassetto e cantato dalla meravigliosa Daniela Pes. I due musicisti non sono certo dei parvenu: Frassetto è un favoloso compositore di colonne sonore, fresco di consensi per il suo primo vinile intitolato “33 1/3” presentato l’11 gennaio al Teatro Civico di Sassari dove due quartetti (uno d’archi, l’altro elettrico) si sono esibiti insieme alla stessa Pes, vincitrice
del Premio Parodi 2017 e del conseguente Premio dei Premi del MEI 2018. I due hanno messo sul piatto una cover folgorante, che Daniele ha voluto utilizzare per concretare la propria visione e calamitarci (inconsapevolmente?) all’etimo remoto “redimere, liberare” della parola “vendetta”. L’epilogo amaro del video, però, ci riporterà ampiamente al suo significato corrente. Altri efficaci apporti portano i nomi di Luisella Pintus, con costumi che naufragano in un perdono abissale; Antonio Mura, la cui fotografia ci culla dentro una luce di borotalco, farinosa; Stelladiplastica, performer foggiana già nota per i video di Litfiba e Måneskin; Giulia Cherosu dalla bellezza di rara sostanza; Claudia Catta al trucco per rendere tutto irrealmente reale; Giuseppe Paglia, a toglierci il respiro con le riprese aeree. Rilasciato dalla neonata CLAIRSIDE – casa di produzione di progetti sperimentali con cui Daniele Paglia è intenzionato a fare davvero sul serio – Re‐ venge sarà disponibile entro febbraio su tutte le piattaforme (@Clairside su Vimeo e Facebook; Clairside Experience per YouTube). Tenendole d’occhio inoltre si potrà godere delle future collaborazioni a cui il nuovissimo team tecnico darà luogo nei prossimi mesi. Che possiamo dire? Non vediamo l’ora!
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MOTOTACCUINO.
IL VOLONTARIATO VIAGGIA SU DUE RUOTE di ANNALISA MURRU
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i chiamano Mototaccuino perché nei loro viaggi in moto mancano le pause per le foto, ma mai quelle per scrivere appunti sui loro taccuini. Sono il duo di volontari su due ruote Nicola Manca e Alessio Ferrari, trentatreenni di Cagliari con la passione per le motociclette senza fronzoli, coloro che portano il casco aperto per godere del pae-
saggio a 360 gradi e che si orientano con la cartina ovunque vadano, senza limiti geografici, con il fine di portare un aiuto concreto a chi ne ha bisogno. Il loro è un volontariato basato su una profonda amicizia, nata nel 2013 nell’ambito di un’esperienza presso il 118, e dalla scoperta della passione in comune per la motocicletta, i viaggi e lo stile di vita un po’ vintage. Tutto prese forma durante un
viaggio che Alessio definisce epico per ogni motociclista, presso l’Isola di Man in occasione del Tourist Trophy, nota corsa moticiclistica. Era il 2015, e seduti su una panchina a contemplare l’idea di andare in Irlanda, della quale potevano scorgere le coste all’orizzonte, deviarono i loro intenti verso l’Africa, meta decisamente più particolare e bisognosa dal punto di vista degli interventi umanitari. Grazie a un budget monetario
portato da Alessio - i suoi regali di compleanno - e una colletta anonima tra amici, partirono nel 2016 alla volta del deserto sahariano in un viaggio che sancì l’inizio di un’avventura tutta in divenire. La prima missione consisté nella consegna di materiale sanitario e nella donazione di biciclette ad un gruppo di bambini nomadi, per consentire loro di andare a scuola; tutto venne raccontato nel libro “Dall’isola al Sahara”, uno
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spaccato di ogni giornata descritto dalle voci dei taccuini di Alessio e Nicola, così differenti che “sembra che io e lui abbiamo fatto due viaggi totalmente diversi”, commenta Alessio. Una prerogativa dell’operato dei due cagliaritani consiste nel sostenere personalmente tutte le spese vive del viaggio per poter indirizzare ogni donazione e proventi di vendita ai progetti che di volta in volta scelgono sulla base delle richieste di intervento di cui vengono a conoscenza. Ogni intervento consiste nel
colmare un bisogno concreto e materiale, quindi non sono ammessi i passaggi di denaro e tutte le spese vengono documentate sull’omonimo sito web, nato da meno di un anno. Grazie alle prime vendite del libro, portarono il loro aiuto in Vietnam con la costruzione di un pozzo e la donazione di una motocicletta ad una ragazza del luogo; inoltre accolsero l’appello degli amministratori della città di Accumoli che, in seguito al terremoto, chiedevano di non essere dimenticati. In quell’occasione portarono in dono,
in sella alle moto, 11 quadri creati da artisti isolani e 200 disegni fatti da bambini sardi che ebbero l’occasione di immedesimarsi nel vissuto dei loro coetanei e imparare le norme di protezione civile in caso di terremoto. Un progetto che Nicola ha particolarmente a cuore, riguarda l’acquisto di una speciale sedia per la balneazione dedicata ai malati di SLA e sita nella spiaggia di Maladroxia: “Abbiamo reso possibile una cosa che è assolutamente comune per i sardi, scontata, come fare il bagno al mare”. Una spesa insolitamente onerosa, sostenuta con l’unione di tre entrate differenti: le donazioni spontanee, la pubblicazione di un secondo libro che racconta il viaggio in Vietnam, e un evento per motociclisti che è un’esperienza di vita vera e propria. Il libro, “Frammenti”, uscì lo scorso anno ed è narrato da Mototaccuino, una terza voce compatta e univoca che sostituisce i mondi di Nicola e Alessio presenti nella prima pubblicazione. L’evento per motociclisti prende il nome di Dust’n Sardinia e giunge quest’anno alla seconda edizione. 10 partecipanti, a maggio 2019, avranno l’occasione di vivere una Sardegna sconosciuta e selvaggia, viaggiando “in modo vecchio”, che si traduce con: mettere da parte il cellulare, guidare motociclette senza optional annessi, cartina alla mano e casco aperto per poter vedere i volti degli altri quando si rallenta e magari riuscire a
ricordare i nomi di tutti alla fine dei tre giorni. 400 chilometri di strade testate da Nicola e Alessio e scovate a suon di tentativi e preziosi errori: “Magari sbagli dieci volte, non trovi la strada ma trovi uno scorcio bellissimo, la moto insegna tantissimo dal punto di vista umano”, mi dice Nicola, il romantico della coppia. I proventi di questo progetto serviranno a finanziare la stampa di albi illustrati a scopo didattico, che saranno regalati ai bambini ospedalizzati e con disturbi dell’apprendimento. Non solo, i partecipanti potranno gustare degli ottimi prodotti enogastronomici del territorio che saranno acquistati presso la colonia agricola del carcere di Isili a sostegno di coloro che cercano una seconda chance, e potranno viaggiare leggeri e stress free grazie al trasporto bagagli che avverrà tramite un pulmino guidato da persone momentaneamente escluse dal mondo del lavoro. Quello di Mototaccuino è un volontariato schietto, limpido e divertente, che ha coinvolto persino altri motociclisti come nel caso della protesi donata nel 2017 ad un uomo marocchino rimasto vittima di un incidente sul lavoro, ad opera di quattro viaggiatori che decisero di allungare l’itinerario di viaggio per consegnare il prezioso apparecchio. “Vogliamo essere contagiosi, convincere le persone a spostare quel granello di sabbia per rendere il mondo migliore”.
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Alberi da frutto, vitigni e prugne millenarie Con l’archeobotanica si studia la dieta degli antichi sardi di ALESSANDRO LIGAS
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lberi da frutto, mandorli, noccioli e noci sono soltanto alcune delle piante alla base della dieta degli antichi sardi che popolavano l’isola tra il 600 e il 200 a.C. Questo è quanto documentato dall’équipe di archeobotanica del Centro Servizi Hortus Botanicus Karalitanus (HBK) dell’Università di Cagliari guidata dal professore Gianluigi Bacchetta. “L’archeobotanica – racconta il docente – è una disciplina relativamente recente che si occupa di indagare tutti i resti vegetali rinvenuti negli scavi archeologici. Noi abbiamo iniziato circa 10 anni fa con i colleghi del Dipartimento di Archeologia in collaborazione con le Soprintendenze per i Beni Archeologici. Da allora abbiamo studiato i materiali presenti negli archivi e collaborato attivamente durante le campagne di scavo”. Semi di differenti frutti risalenti al 500 a.C. ritrovati sul fondale della laguna di Santa Giusta, e semi di vite e melone, datati tra il 1400 e il 1100 a.C., ritrovati a Sa Osa, a Cabras, sono soltanto alcuni dei tanti esempi di viaggi nel tempo che ci fanno compiere i ricercatori. Viaggi che ci permettono di ridisegnare le abitudini degli antichi sardi
dando preziose informazioni sull’alimentazione e sulle prime evidenze di coltivazione nell’isola. “Grazie a un minuzioso processo - prosegue il docente - riusciamo a identificare i resti vegetali rinvenuti durante gli scavi archeologici. Si parte dalla flottazione dei sedimenti: un processo che ci permette di separare i materiali terrigeni da quelli organici come semi, frutti o frammenti di legno o altri materiali organici. Dalla flottazione si passa ad un’analisi visiva e morfologica dei resti vegetali, quando necessario microscopica, per arrivare ad una classificazione precisa in grado di dirci a quale specie vegetale appartenevano”. I sedimenti archeologici vengono analizzati e conservati all’interno della Banca del Germoplasma della Sarde-
gna, che fa parte dell’HBK, nata come struttura per lo studio, la tutela e la conservazione della biodiversità vegetale. “Un archivio - specifica il docente - che ha l’obiettivo principale di raccogliere, conservare e gestire i materiali relativi alla flora autoctona e i materiali coltivati. Recentemente, ha iniziato anche a conservare questi preziosi materiali archeobotanici ai quali in passato non veniva data particolare importanza”. Gli obiettivi che si vogliono perseguire con questi studi sono molteplici. Da un lato permettono agli studiosi di verificare quanto ritrovato durante gli scavi archeologici. Dall’altro servono per capire la coerenza con quanto oggi viene coltivato e allo stesso tempo a comprendere la paleodieta delle popolazioni del passato. “Un aspetto che spesso dimentichiamo - sottolinea il docente - è che questi studi consentono anche di capire, o quanto meno indagare, i processi di domesticazione delle piante”. Un esempio pratico. “Durante gli scavi di Sa Osa - prosegue il docente - è stato scoperto un sito di età nuragica dove sono stati rinvenuti tre pozzi sigillati in seguito ad un’alluvione del Tirso avvenuta più di 3000 anni fa. Al loro interno sono stati ritrovati molti semi, tra i tanti abbiamo individuato quelli della vite e del melone, intatti e non
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carbonizzati. Abbiamo confrontato i semi acquisiti con quelli presenti nei nostri database e, in funzione delle differenze di forma e dimensione, è stato possibile verificare che questi materiali appartenevano sia alla vite selvatica che alla vite coltivata. Associando questo dato a quello dell’età di realizzazione dei pozzi, datati al carbonio 14 tra 1391 e il 1125 a.C., abbiamo appurato che la quantità di semi di vite coltivata ritrovati in uno dei pozzi era maggiore di quella della vite selvatica. Grazie a questa scoperta siamo riusciti a comprendere che le popolazioni nuragiche erano già in grado di coltivare la vite e arrivare alla sua domesticazione”. Un processo che ha avuto luogo nel corso di centinaia di anni che ha permesso di passare da una raccolta di frutti selvatici a una coltivazione di particolari vitigni. “Da qui sono nate le prime vigne - continua il professore -. Le nostre analisi comparative ci portano a dire che nel pozzo più recente il materiale ritrovato, che si riferisce già quasi totalmente a vite coltivata, è molto prossimo ai vitigni autoctoni attualmente coltivati in quelle aree: malvasia e vernaccia”.
Così come per la vite le stesse indagini sono state fatte anche per altre colture come l’olivo, il melone, le prugne e i fichi, solo per citarne alcune, che sono state analizzate in altri contesti per cercare di capire le relazioni tra ciò che veniva coltivato in tempi passati e quello che attualmente è il nostro patrimonio.”La prugna sanguigna di Bosa - aggiunge il docente -, che viene attualmente coltivata in quasi tutta la costa nord ovest della Sardegna è quella più prossima a quella che veniva coltivata tra il 500 e il 200 a.C.”. Ma le sorprese dell’archeobotanica sono tante. “A Monastir - conclude il docente - nei pressi di Monte Zara a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 è stata ritrovata una pressa dall’archeologo Giovanni Ugas. Recentemente sono state condotte delle indagini chimiche sui materiali adesi alla roccia della pressa dimostrando la presenza dell’acido tartarico e dell’acido siringico, due composti che confermano che l’antico artefatto sia stato utilizzato per la spremitura delle uve. Attualmente la pressa risulta il più antico manufatto utilizzato per la vinificazione (risale al 1200 a.C.) nel Mediterraneo occidentale”.
Diverse specie ritrovate all’interno del pozzo N, in particolare: a) cariossidi di frumento, b) semi di lentisco, c) seme di melone, d) seme di ginepro, e) frutto di erba medica, f) seme di lino, g) seme di mirto, h) seme di more, i) ranuncolo, l) seme di malva
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Sa Sartiglia Il Carnevale oristanese tra corse, stelle e prodi cavalieri di ALBA MARINI
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l Carnevale è la festa che più di tutte si adatta alle usanze e alle peculiarità di ogni paese. Mentre a Rio i ballerini di samba colorano le strade con le loro parate; mentre a Venezia passeggiano le pallide Baute e le eleganti Morette (le maschere bianche e le maschere ovali di velluto nero), a Oristano si celebra Sa Sartiglia. La manifestazione, che si svolge ogni anno l’ultima domenica e l’ultimo martedì di Carnevale, ha origini antichissime: fu il Medioevo, infatti, ad essere la culla dei tornei equestri cavallereschi. La Sartiglia è una corsa alla stella che vede protagonisti cavalli e cavalieri che, in una discesa adrenalinica ad alta velocità, sfidano la sorte, cercando di cogliere la stella (variante del classico anello) pri-
ma con una spada e poi con un bastone, su stoccu. Il primo documento che cita la Sartiglia di Oristano risale al 1546 e ciò ci induce a pensare che questa manifestazione tragga i suoi esordi dalla dominazione spagnola dell’isola sarda. Lo stesso nome Sartiglia, d’altronde, sembrerebbe derivare dal castigliano “sortija”, ossia anello. A Oristano la Sartiglia è il più autentico cuore del Carnevale e i preparativi per l’evento, le cui date di quest’anno sono il 3 e il 5 marzo, durano circa un anno. I curatori delle corse sono due antiche corporazioni di origine spagnola: il Gremio dei contadini – che si occupa della manifestazione della domenica – e il Gremio dei falegnami, a cui spetta l’organizzazione della corsa del martedì. Protagonista assoluto della Sartiglia è Su Componidori, il capocorsa. Il 2 gennaio
di ogni anno ogni corporazione sceglie un prode cavaliere e gli consegna un cero, simbolo di comando: per il 2019 saranno Claudio Tuveri e Davide Musu a guidare rispettivamente i fantini del Gremio dei contadini e del Gremio dei falegnami. I due eventi della Sartiglia seguono un programma ben preciso che ha inizio al mattino, con il famoso atto della vestizione di Su Componidori. È un corteo di tamburini e trombettieri a guidare il capocorsa verso la sede della vestizione, partendo dalla casa del presidente del Gremio. Su Componidori è una maschera di assoluto fascino. Né uomo né donna e probabile rappresentazione di un semidio, indossa un mix di abiti maschili e femminili tradizionali: maschera bianca di terracotta che copre i lineamenti, velo bianco ricamato, cilindro nero, pantaloni
di pelle, camicia e coietto. Stretta nella mano di Su Componidori come un augurio di primavera è sa pippia ‘e maju, un doppio mazzo di viole e mammole legato su una fascina di pervinca tramite un nastro verde. È attraverso questo duplice mazzolin di fiori che il capo della corsa del giorno benedice la città, riecheggiando i vecchi riti propiziatori. Sa pippia ‘e maju significa infatti “la bambina di maggio”: dopo il Carnevale la primavera è imminente e il semidio androgino augura a tutti un ricco raccolto, sventolando i fiori con movimenti del braccio che vanno a formare una croce. Il momento successivo alla vestizione è quello del corteo, probabilmente il più emozionante dell’intera manifestazione. Accompagnati dai musicisti, dal Gremio e dalle ragazze in costume oristanese (is massaieddas) sfilano ele-
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ganti 120 cavalieri, con i loro possenti cavalli e il tripudio di colori dei loro vestiti di ispirazione sardo-iberica. Dopo un triplice incrocio di spade tra Su Componidori e il suo secondo ha inizio la corsa vera e propria: il capocorsa si lancia verso la stella appesa ad un nastro verde cercando di infilzarla. Il ritmo è serrato, scandito dai potenti battiti dei tamburi. Seguono i compagni di pariglia e poi tutti i cavalieri a cui il re della Sartiglia concede l’onore della spada. Una seconda discesa spetta ancora a Su Componidori e ai suoi più stretti compagni, stavolta armati di stoccu, una lancia di legno. La corsa si svolge sulla via Duomo, in direzione della Cattedrale di Santa Maria Assunta. Ma le emozioni dei giorni di festa non sono certo finite. È il momento delle spericolate acrobazie delle pariglie. Verso la via Mazzini, i cavalieri si cimentano in difficili figure a cavallo dopo mesi di preparazione, pronti a stupire i visitatori con spettacolari esibizioni d’alta scuola. Ad aprire e chiudere le danze è ancora una volta Su Componidori che continua a benedire il popolo con sa pippia ‘e maju. La Sartiglia si chiude, come in un cerchio fatto di momenti concatenati, con la svestizione di Su Componidori nel rispettivo Gremio di appartenenza. Con un rullo dei tamburi, in un attimo magico in cui il semidio torna ad essere uomo, viene sfilata la maschera di terracotta. Tutti possono ora accorrere per congratularsi
con il re della corsa. La giornata di magia è finita e si porta via il Carnevale. Così come i cavalieri fanno ritorno alle loro case, i cavalli possono tornare alle scuderie con orgoglio. Anche loro, d’altronde, sono star della corsa. Su caddu, da sempre compagno fedele dell’uomo in pace e in guerra, nel
lavoro e nel diletto, conserva una posizione privilegiata nella tradizione sarda e in particolare in quella oristanese. È per questo che dal 2012 i cavalli sono destinatari di un progetto volto alla loro tutela durante la manifestazione, gestito dalla Fondazione Sa Sartiglia in collaborazione con la
ASL, il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Sassari e l’Agenzia Regionale Agris. Una Commissione veterinaria ha il compito di valutare lo stato fisico-motorio degli animali, decretando la loro idoneità alla corsa mesi prima e durante lo svolgimento della Sartiglia.
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possono svolgersi anche sotto il sole cocente per circa un’ora. Per affrontare bene una gara occorre almeno un mese di preparazione».
MATTEO MARONGIU «Faccio centro con l’istinto» di DANIELE DETTORI
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a compiuto da poco diciannove anni eppure Matteo Marongiu è già campione a livello internazionale di uno tra gli sport di precisione per eccellenza: il tiro a volo. Lo abbiamo incontrato a Sassari, città dove è nato e cresciuto e dove, tra una gara e l’altra, lo aspettano i suoi affetti pronti a riabbracciarlo e a festeggiarne le frequenti vittorie. Gli chiediamo
subito: quando hai scoperto la tua abilità con il fucile? «Lo devo a mio padre che mi ha portato con sé per i campi di tiro a volo da quando avevo 5 o 6 anni», esordisce. «Io ho cominciato nel campo Tiro a Volo Sassari, a Campanedda». Una dote di famiglia, quindi. Ma ci sono tappe ben precise, anche nella vita di un campione, di cui è bene tener conto. «Il talento è qualcosa che, secondo me, si porta dentro dalla nascita», precisa Matteo.
«Poi il prendere confidenza con questo sport fin da piccoli aiuta molto. A volte c’è un po’ di paura intorno all’uso delle armi e ciò può frenare. In realtà si procede con tutte le attenzioni. Fino ai dodici anni, per esempio, non si può maneggiare il fucile anche perché ha un suo peso, di circa 4 kg, che non lo rende semplicissimo». Il tiro a volo non è solo questione di buona mira: c’è dietro un allenamento molto duro. «Vado a correre per tre o anche quattro giorni alla settimana», ci racconta (e mentre parliamo ha appena terminato quasi un’ora e mezzo di corsa ndr). «Inoltre faccio allenamento con i pesi per imbracciare al meglio il fucile. Bisogna poi avere una buona resistenza fisica perché le gare
Già, le gare. Ripercorriamo quelle più significative. «La prima l’ho disputata nel 2016 in Italia, agli Europei di Lonato del Garda. Subito dopo ho ricevuto una convocazione per la Coppa del Mondo che si è conclusa con un bronzo in Azerbaijan. Nel 2017 ho avuto la mia prima convocazione per una Copa del Mundo senior in Messico, quindi con i grandi, i campioni olimpici. Successivamente ho disputato un Mondiale a Sidney e gli Europei in Azerbaijan, questa volta nella città di Baku che ne è la capitale. A Sydney, tra l’altro, nel 2018 ho preso la mia prima medaglia d’oro». Per Matteo, che vive la sua brillante carriera tra le fila delle Fiamme Oro, essere abili nel centrare il piattello è una questione di puro istinto. «Al momento sono già al lavoro», ci racconta in chiusura, «per affinarlo al meglio in vista delle prossime Olimpiadi di Tokyo nel 2020».
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di ANNALISA MURRU
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Ernesto Melis Uno scatto sul nudo femminile
sce sempre con una vecchia compatta in tasca perché “Non si sa mai che entri Belén Rodriguez dalla porta di questo locale” e descrive i suoi scatti fotografici come veri, anticonformisti e crudi. A raccontarsi è Ernesto Melis, fotografo cagliaritano che si caratterizza per gli scatti di nudo femminile fuori dalle regole, sfacciati, erotici; uno stile personale che rappresenta una donna sicura e indipendente, uno stile che divide, che si rivolge a un pubblico di nicchia e tale vuole rimanere. Quasi 36 anni, dei quali dodici vissuti con la macchina fotografica tra le mani. E pensare che tutto scaturì da una delusione amorosa, nel 2007: “Dovevo colmare il vuoto con dello shopping terapeutico”. Quindi, racconta, acquistò una com‐ patta che sembrava una reflex, una Fujifilm che impostò in automatico e della quale conserva ancora oggi il primo scatto, una foto fatta a ca‐ saccio in una zona di mare durante un temporale e che ritrae l’acqua che scende da una tettoia. Quella foto gli piacque talmente tanto da essere in grado di dissipare ogni dubbio circa la strada da intraprendere sul piano lavorativo. Diplomato al Nautico e appassionato di lettere, nel 2008, dopo un anno di fotografie carenti dal punto di vista tecnico, si iscrisse al corso di fotografia professionale di Michelangelo Sardo. Un corso della durata di un anno che gli diede un’infarinatura di base su ogni genere fotografico, nudo compreso. L’incontro con il nudo fu sorprendente e lo fece sentire nella giusta dimensione: “Il nudo coincideva
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con i film che guardavo, i libri che leggevo, i quadri che mi piacevano, i fumetti, la musica... tutto; era quello l’abbinamento giusto”. E così come un amore finito fu l’input di questa carriera, un nuovo amore fu il proseguo ideale. Infatti, Ernesto iniziò una relazione con la modella di nudo del corso e lei fu la sua prima musa, nonché modella perfetta per la sua visione del genere, sicuramente lontana dal nudo artistico conosciuto alla massa e più vicino, invece, a un nudo vissuto e tangibile, quello che puoi trovare all’interno di un bagno in Autogrill o sul divano di casa, come racconta. La gavetta la fece con lei: “Avevamo gli stessi gusti, funzionava tutto. Il passatempo spesso, piuttosto che uscire, consisteva nel rimanere a casa a fare foto”. Da allora Ernesto non si è più fermato e attualmente conta circa 180 modelle con le quali ha scattato le foto che lo hanno reso, negli anni, una delle figure di spicco nel suo genere a Cagliari. La fotografia però non è il suo lavoro principale, in quanto - spiega - è molto difficile vivere di questo rimanendo fedele ai suoi gusti, e lui non è disposto a scendere a compromessi. Attualmente Ernesto è shop manager di uno studio di tatuatori e continua a scattare solo quando le condizioni per lavorare sono ottimali: una modella che sia funzionale alla sua idea e che lo scelga consapevole dello stile che andrà a rappresentare; una
sfida affatto facile e che potrebbe esserlo ancora meno se lui assecondasse a pieno le immagini della sua mente: “Sono accusato di essere volgare, ma io sono un decimo del volgare che mi piacerebbe essere in realtà”. C’è del giudizio nei confronti di questo genere di foto? Sì, da parte di chiunque. I maschietti mi danno del beato, ovviamente. Ci sono donne che mi odiano e nel 90% dei casi non mi conoscono. Nell’ambito fotografico e delle modelle, sono tutti abbastanza positivi, ma tra chi è al di fuori o non mi conosce è più tosta tra invidia, gelosia e un po’ di perbenismo. Il pensiero bigotto c’è ancora, però nella maggior parte dei casi si tratta di invidia da parte di altri fotografi. Che tipo di rapporto si instaura tra te e la modella? Sette ore di chiacchiere e un quarto d’ora di fotografie, solitamente. Vengono a casa, lanciano le scarpe, si mettono sul divano, mangiano la pizza... Succede, anche con nuove modelle, che stiano nude sul divano per guardare le foto durante lo shooting, mentre gli fai il caffè, quindi diventa tutto abbastanza naturale. Cosa vuoi catturare e cosa vuoi trasmettere, estetica a parte, con i tuoi scatti? L’estetica è un obbligo ma su questo mi fraintendono: non vuol dire che devono essere per forza belle, ma devono essere fighe. Non ho problemi con un naso storto, un apparecchio ai denti, i lividi, i graffi; devono essere donne anche se hanno 18 anni, devono
avere attitudine, non devono essere dei pupazzetti che sanno fare la posa. Devono essere intelligenti, perché si vede in foto se una ha le palle o no. Non cerco di trasmettere qualcosa, nel senso che io scatto per il mio più puro godimento, per il mio piacere personale. Ernesto è colui che ha Photoshop da solo un anno e che copre il marchio della reflex perché non sono marca e mo-
dello della macchina a fare un buon fotografo. Si descrive come uno incapace di vendersi e nonostante alla domanda “Sei ambizioso?”, risponda con un no, a quella successiva “Ti reputi bravo?”, risponde con un deciso “Mi piaccio”. Cultore delle foto stampate, tra i suoi progetti c’è una fanzine autoprodotta che raccolga i suoi scatti, senza censura alcuna.
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SEBASTIANO DESSANAY 377 PROJECT: UN ARTISTA RARO PER 377 COMUNI
Villacidro
di HELEL FIORI
“Se ti svegliassi a un’ora
diversa in un posto diverso, ti sveglieresti come una persona diversa?”. Fight Club
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nterrogativo che ben si intreccia al desiderio comune di mollare tutto e andare via. Ma se trovassimo davvero il coraggio per farlo resteremmo tali e quali a quando siamo partiti? Per me la risposta è sempre stata ovvia. Quando l’ho chiesto a Sebastiano Dessanay, invece, la sua visione mi ha davvero stupita.
Classe 1972, nato a Cagliari, Sebastiano oggi è professore al Royal Birmingham Conservatoire; contrabbassista jazz con all’attivo parecchi album e un Dottorato in composizione contemporanea; ciclista per hobby e fotografo di tutto rispetto. Mettendo insieme i suoi talenti sta dando forma a una memorabile esperienza: dall’ottobre 2018 è protagonista di un viaggio on the road che in sella alla bici lo porterà a scoprire panorami e costruire ricordi fino all’inverno 2019, dedicando complessivamente trecentosettantasette giornate ad altrettanti comuni sardi. Ma come è arrivato a farlo davvero? Il suo viaggio è cominciato innanzitutto nei pensieri: prima la sensazione, come una melodia appena accennata, di voler riprendere fiato, di tornare nella propria isola per conoscerla davvero. Poi l’idea ha preso corpo, si è strutturato il ritmo giornaliero del tradurre l’esperienza in scritti, foto, frammenti musicali. La tessitura del progetto via via s’è fatta più ricca, l’armonia conclusa: quello sarebbe stato un viaggio di slanci compositivi, di silenzi naturali mischiati a rumori antropizzati, di lunghe pause riflessive in cui comporre la propria musica. Ma ecco il contrappunto: brulicanti a inizio viaggio si incontrano persone. Tantissime, molteplici, ricche. E il tuffo interiore si trasforma in conoscenza dell’umano, in esperienza allocentrica, in deviazione dai propri step. Sebastiano giura che per comporre vorrà solo nutrirsi di quello che gli accadrà quotidianamente, così da poter trasformare tutte le giornate in un album tributo alla sua terra. Ha dedicato due anni alla preparazione psicofisica: oltre a pedalare su lunghe distanze e con qualsiasi clima (vivere in UK l’ha ben temprato), ha divorato libri
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San Gavino Monreale
su imprese sportive e annotato tutte le idee in un quaderno. La sua capacità di narratore ben si nota nel blog su 377project.com: seguire i suoi spostamenti è un’esperienza letteraria multimediale ove i comuni si sfogliano come pagine di un libro; ogni luogo è fatto di riflessioni, accadimenti, riferimenti che tornano e saltano da una tappa all’altra, foto e storie di chi vi abita, frammenti sonori che ogni giorno cambiano matrice d’ispirazione. Ci può capitare di ascoltare l’organo di Sorradile, o di leggere i segreti dei campanacci di Tonara, ma è con l’ukulele basso che Sebastiano appunta maggiormente i suoi frammenti, dato che lo ha scelto come unico compagno di viaggio. Partito da Nuoro, dopo un autunno passato a vincere le salite montuose, per gennaio/febbraio prospetta un itinerario più dolce verso sud per poi risalire con l’arrivo della bella stagione (si stima sarà a Sassari per giugno) e tornare a Cagliari per l’ultima tappa ai primi dell’inverno prossimo. Nelle sue visite non è raro che incontri istituzioni e artisti del luogo: ha già partecipato a concerti, visitato musei, conosciuto sindaci. Il progetto è di valore e ben ar-
ticolato, pur lasciando una buona parte alla casualità: non stupisce che una delle scommesse maggiori di Sebastiano sia spostarsi per l’Isola senza pianificare dove alloggiare o dove consumare i pasti. Seppur metodico, è comunque un jazzista! È possibile seguire @377project sia su Facebook che su Instagram, mettendosi in contatto con Dessanay per far parte della sua esperienza o offrirgli ospitalità; noi l’abbiamo contattato per rispondere a qualche curiosità. Cosa pensavi all’inizio del viaggio e cosa pensi ora di tutti gli incontri che stai facendo? Non pensavo che avrei potuto farlo davvero. Immaginavo molto più tempo dedicato alla musica e alla composizione. Dopo due mesi ho capito che il fatto di chiedere ospitalità richiede molto tempo da dedicare a chi mi ospita, a ciò che mi vogliono far vedere del posto, alle storie che mi raccontano. La quantità di parole che ho sentito in questi due mesi è inimmaginabile, storie di ogni tipo, raccontate ad uno sconosciuto. Evidentemente infondo fiducia! Gli incontri sono tutti interessanti, dal pastore, al-
Oristano
l’imprenditore, con tutto ciò che sta in mezzo, ognuno ha qualcosa di interessante da trasmettermi. Imparo qualcosa quotidianamente. Come ha detto una mia amica, alla fine sarò “l’uomo più ricco della Sardegna”. Come immagini l’esito di questa esperienza? A questo punto immagino ci sarà anche un libro, che racconterà questo viaggio, anche attraverso le storie umane che regolarmente racconto nel blog. Magari con una selezione di foto che stanno riscuotendo molto successo. L’album non sarà un disco di musica tradizionale sarda, che rispetto ma che non mi appartiene. Alla fine del viaggio il tempo da dedicare alla composizione e realizzazione del disco sarà più lungo, avrò bisogno di un altro anno sabbatico per digerire tutto! Quindi Sebastiano, per tornare al nostro inizio, se tu ti svegliassi a un’ora diversa in un posto diverso, pensi ti sveglieresti come una persona diversa? Per me la risposta è No. (ride, e rido anch’io. n.d.a.) Ma forse senza rendermene conto sto cambiando lentamente ogni giorno.
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di MARCO SCARAMELLA
È
QUANDO LA STORIA SARDA SI FONDE COL FANTASY
possibile raccontare la cultura sarda, utilizzando un linguaggio di respiro più internazionale, lontano dai canoni ai quali siamo abituati in Sardegna? Se la risposta è sì, è proprio ciò che sta facendo Alessandro Aroffu, disegnatore oristanese, con Bestias. Si tratta di una serie a fumetti autoprodotta, di genere fantasy e supereroistico, che strizza l’occhio ai comics americani. Nonostante siano due linguaggi non troppo familiari per le produzioni sarde, Alessandro riesce a creare un ibrido tra i due generi, che sembra funzionare bene. L’influenza dei fumetti americani su Alessandro e sul suo lavoro, si nota già dall’impostazione delle tavole e dal design dei personaggi. Con una buona dose di incoscienza e di coraggio, Alessandro inizia il suo progetto in solitaria, occupandosi sia della sceneggiatura che dei disegni. Ad un certo punto, però, si rende conto che l’impresa è davvero titanica e, dal terzo volume, si avvale della collaborazione di Marcello Lasio, sceneggiatore di fumetti di Serramanna, che si unisce al team per occuparsi della scrittura dei testi e per dare un maggior spessore ai personaggi. Bestias è un fumetto fantasy atipico, poiché la trama prende il via da vicende storiche. Per questo motivo, gli autori hanno dovuto condurre un impegnativo lavoro di studio sui libri di storia, e sui documenti dell’epoca, per verificare gli eventi e capire come contestualizzare i vari personaggi storici, che intervengono nella serie. Alessandro e Marcello, ci hanno raccontato che Bestias si colloca in uno dei periodi più complessi della storia della Sardegna. Siamo nell’alto Medioevo, intorno al 590 d.C., nel momento in cui l’Impero Romano è crollato e Giustiniano di Costantinopoli vuole riconquistare tutti i regni che Roma ha perso,
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per annetterli al suo Impero d’Oriente. Dopo essere riuscito nell’impresa di riconquistare questi regni, compresa la Sardegna e tutti i territori che poi formeranno l’Italia, Giustiniano muore. A succedergli è Maurizio Tiberio, che eredita un impero attaccato da tutti i fronti: da oriente subisce gli attacchi degli Arabi, e da occidente quelli dei Longobardi. In questo contesto, un grosso problema è rappresentato proprio dalla Sardegna perché, se è vero che l’Impero d’Oriente è riuscito a conquistare le coste dell’isola, le popolazioni barbaricine dell’interno, oppongono una strenua resistenza. A questo punto Tiberio invia in Sardegna un Dux, che gode di pieni poteri esecutivi, per sconfiggere la resistenza della Barbagia. In una Sardegna spaccata in due, Il Dux si stabilisce nell’antica Fordongianus, importante punto strategico. I pochi villaggi della Barbagia, che fino ad allora vivevano in totale indipendenza, si uniscono per combattere insieme il nemico comune. La storia di Bestias parte proprio da qua, quando sorge un eroe per guidare la lotta per l’indipendenza e la libertà dall’invasore straniero. Da questa unione, nasce un esercito di soldati scelti, noti col nome di Bestias, che sono guidati dall’ultimo vero re dei Barbaricini, Hospiton. Le bestias, che indossano la maschera di su boe per incutere timore al nemico, sono considerate dall’Impero delle vere e proprie bestie selvagge: un manipolo di eroi che grazie alla conoscenza del territorio e alla loro coesione, riescono a tener testa, per svariati anni, al più grosso esercito della storia dell’antichità. La storia comincia, com’è accaduto anche nella realtà, con una lettera che Papa Gregorio I, scrive di suo pugno e spedisce ad Hospiton, re dei Barbaricini. Il mistero del contenuto di questa missiva, e del motivo per cui un papa abbia un rapporto epistolare con un sovrano ribelle (e che si presuppone non sappia nemmeno leggere), verrà svelato pian piano, lungo il corso della storia.
Com’è essere un autore di fumetti in Sardegna? In Sardegna abbiamo sfornato tantissimi autori di fumetti, per citarne alcuni Gaetano Corrias che è diventato uno dei nostri mentori; Vanna Vinci; gli autori di Nathan Never Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna; e tanti altri. In Sardegna siamo costantemente ispirati proprio perché abbiamo avuto dei grandi maestri che, col loro lavoro, ci fanno capire che nonostante tutto, fare fumetti in Sardegna è possibile. Questo è per noi fonte d’orgoglio, e rappresenta una spinta ad andare avanti. Ecco perché ci sono tantissimi giovani che provano a fare questo mestiere. Avete portato Bestias all’ultimo Lucca Comics & Games. Com’è andata? Già dai primi volumi abbiamo ricevuto delle richieste da tutta l’Italia, e proprio per questo abbiamo tentato questo grande passo del Lucca Comics & Games. Diciamo che questo connubio di cultura indigena e fumetto supereroistico, è una cosa che incuriosisce. A livello pubblicitario e mediatico è andata molto bene. Questo piccolo passo ci spinge verso nuove prospettive. La pubblicazione di Bestias è già arrivata al quinto volume. Il sesto verrà presentato al prossimo Giocomix, il festival del gioco e del fumetto giunto alla 13esima edizione, che si terrà il prossimo 18 e 19 maggio, a Quartu. Di recente è iniziata anche la pubblicazione delle ristampe dei vecchi volumi. Le cover di questa nuova edizione sono curate da Giacomo Putzu. Ringraziamo Alessandro Aroffu e Marcello Lasio per la disponibilità, e ricordiamo che la distribuzione dei volumi è attiva ad Oristano, Arborea, Marrubiu, Terralba, Serramanna e Cagliari. È anche possibile riceverli direttamente a casa, inviando la propria richiesta tramite un messaggio sulla pagina Facebook @bestiascomix.
Matera (sopra), Aliano e Craco a destra
di DANIELE DETTORI «Cosa vuoi di più dalla vita?», recita lo slogan di una nota marca di amaro. Non a caso, il pregiato liquore in questione viene prodotto in Lucania, altro nome con il quale è conosciuta la bellissima Basilicata. Siamo nel sud Italia, in quel meridione ricco di profumi, di colori e di un calore che entrano sotto pelle. Proprio come farebbe un buon bicchiere di amaro. Uno dei luoghi più veri del mondo, la definiva Carlo Levi, tra i grandi artisti e scrittori del Novecento italiano. Questo perché, come più in generale in tutto il sud, anche qui la povertà e il duro lavoro hanno fatto da leitmotiv nella vita di tantissime persone senza che ciò potesse incidere sull’ospitalità, la bellezza e la forza di questa terra. I Sassi di Matera rappresentano, in tal senso, un esempio
perfetto. Conosciuti come antichi stanziamenti umani fin dal Paleolitico, i Sassi si sono sviluppati nella forma di due quartieri di origine rupestre (realizzati, cioè, con la roccia e nella roccia) e compongono oggi il centro storico della città. Conosciuti come Sasso Caveoso e Sasso Barisano, racchiudono un insieme di edifici e stili architettonici che gli sono valsi, nel 1993, l’ingresso nella lista UNESCO dei luoghi riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità. Qui si può visitare la Casa del Contadino, un’abitazione in uso fino al termine degli anni Cinquanta e in buona parte scavata nella roccia, dove tutto è stato sistemato per rendere l’idea di come si vivesse in questi luoghi fino a non troppo tempo fa, con attrezzi di lavoro, telai, e qualche animale che si aggiungeva a famiglie già parecchio numerose. Sulla sommità del
Quel viaggio attraverso l’Europa che, nel corso dell’Ottocento, i giovani intraprendevano per conoscere il mondo, lo proponiamo qui lungo il Bel Paese, alla scoperta delle nostre Regioni d’Italia.
VIAGGIO IN ITALIA
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BASILI CATA Colle della Civita, invece, si erge la Cattedrale di Matera, un bellissimo edificio realizzato a partire dal XIII secolo su resti preesistenti che racchiude opere d’arte secolari. Matera per questo 2019 è stata nominata Capitale Europea della Cultura. Tra le province di Matera e Potenza (comprendendo anche parte della calabrese Cosenza) si estende il Parco Nazionale del Pollino che, con i suoi 192.000 ettari, racchiude un ecosistema molto ampio, capace di spaziare dalla macchia mediterranea ai boschi alpini, fino alle piste sciistiche. La Basilicata, per la sua particolare composizione geologica, è ricca di piccoli centri incastonati tra monti, valli e alture caratteristiche. Ci troviamo, infatti, anche i Calanchi – formazioni dovute allo scioglimento di antichi ghiacciai su
terreni argillosi – e qui il borgo di Aliano, per esempio, dove proprio Carlo Levi ha vissuto gli anni del suo confino in periodo fascista. Ancora, vi consigliamo una visita anche a Craco, paesino oggi fantasma in seguito a una serie di frane che, a partire dagli anni Sessanta, ne hanno decretato l’abbandono. A tavola. Una cucina puramente mediterranea accompagnerà il vostro soggiorno lucano regalandovi sapori indimenticabili. Qualche esempio? Maccheroni alla potentina, con la pasta condita da un sugo di carne di maiale, pecorino e vino bianco (ma il tipo di pasta può variare secondo i gusti). La crapiata è invece una zuppa di legumi di derivazione contadina a base di fave, ceci, fagioli, tipica della zona dei Sassi, da consumare con un vino rosso materano.
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Tyrus McGee e Justin Carter
TANTI IMPREVISTI, MA LA DINAMO SASSARI C’È
LA PERDITA DI BAMFORTH PER INFORTUNIO È IL GUAIO PIÙ GRANDE, MA IL BANCO HA TIRATO FUORI LE UNGHIE di ERIKA GALLIZZI Foto LUIGI CANU
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a Dinamo Banco di Sardegna Sassari ha vissuto un ultimo periodo piuttosto movimentato. Tanti imprevisti, ma anche tanti buoni risultati hanno contraddistinto questo scorcio di stagione. Partendo dalle note liete, bisogna sottolineare che la squadra di coach Vincenzo Esposito è stata capace di infilare una striscia di sette vittorie consecutive, tra campionato e coppa: cinque in campionato, col filotto interrotto nell’ultima gara di gennaio, in casa della Openjobmetis Varese, e due in Fiba Europe Cup, competizione, quest’ultima, nella quale il Banco ha centrato anticipatamente l’accesso al Round of 16. Inoltre, i biancoblù hanno ottenuto la qualificazione alla Final Eight di Coppa Italia, chiudendo il girone di andata del campionato al sesto posto, con un colpo di coda quasi in extremis. Le finali di Coppa Italia si giocheranno al Mandela Forum di Firenze dal 14 al 17 febbraio e la Dinamo inizierà la competizione sfidando, nei quarti di finale, l’Umana Reyer Venezia. Le note dolenti sono state, invece, gli infortuni, soprattutto quello occorso a Scott Bamforth. L’atleta di Albuquerque, che stava disputando una stagione ad altissimi livelli, ha subìto la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro ed è stato sottoposto ad intervento chirurgico ricostruttivo, effettuato dal Professor Alessandro Lelli, a
Bologna, e perfettamente riuscito. Questo significa, purtroppo, stagione finita per lui e mesi di riabilitazione all’orizzonte. Per sostituirlo, la società sassarese è tornata immediatamente sul mercato, mettendo sotto contratto Tyrus McGee, vecchia conoscenza di coach Esposito, che lo ha allenato a Pistoia, ma del campionato italiano in generale, avendo vestito anche le maglie di Capo d’Orlando, Cremona e Venezia. Inoltre, c’è stato il taglio di Terran Petteway ed il conseguente arrivo della guardia-ala Justin Anthony Carter, alla sua “prima volta” in Italia, ma dalla grande esperienza europea. La Dinamo ha dovuto, dunque, inserire in tutta fretta i due nuovi innesti, peraltro dovendo far fronte, come se non bastasse, ai quasi contemporanei problemi muscolari che hanno bloccato Dyshawn Pierre e Jaime Smith, che in quel momento sembravano aver finalmente trovato i giusti ritmi e stavano fornendo ottime prestazioni. Non il massimo della fortuna, insomma, ma la squadra ha tenuto la testa alta. E dovrà farlo anche nel mese di febbraio, ricco di impegni. Oltre a Coppa Italia e Europe Cup (il Banco chiuderà il Second Round il 6 febbraio con il Petrolina AEK, mentre il Round of 16 si giocherà a marzo), la Dinamo disputerà anche due gare di campionato, con l’Enel Brindisi, che si trova in un ottimo momento di forma e in casa della Fiat Torino, attualmente fanalino di coda della classifica, insieme alla Oriora Pistoia.
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Un hamburger al 100% vegetale ma con le stesse proprietà nutritive, stesso sapore e stesso odore di un hamburger di origine animale? Esatto, e andrà presto a far parte dei menù dei fast food in tutto il mondo ma anche all'interno dei ristoranti. Possiede anche un livello di glutine e colesterolo pari a zero e la stessa quantità di proteine e ferro dell'analogo pasto fatto di carne.
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Dostupno L'applicazione sviluppata da due ragazzi Italiani permette di scambiarsi messaggi in maniera sicura, senza alcuna connessione dati e senza spendere un centesimo! Le lettere vengono trasformate in squilli invisibili che, tramessi al destinatario, formano frasi e parole. Unico requisito, avere del credito per effettuare gli squilli e, chiaramente, avere installata l'app!
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Matrix PowerWatch 2 Un orologio più che intelligente, questa la giusta definizione. Con un sistema di ricarica misto basato sulla conversione del calore umano in energia e dei piccoli pannelli solari integrati sotto al display anch'essi capaci di alimentare la batteria - l'orologio sarà perennemente in carica. Con la compatibilità di Google Fit poi, potrete tenere traccia e sincronizzare le vostre attività sportive.
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Wecheer.io Se perdete il conto di quante bevande bevete, un apribottiglie smart potrebbe fare al caso vostro. Grazie ad uno scanner, lo strumento scansionerà il tappo della bottiglia che sta aprendo e archivierà le informazioni in un database. I dati possono essere poi condivisi o meno oppure tenuti all'interno dell'App per una rapida consultazione.
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Honor View 20 Snoo Smart Sleeper
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Se siete genitori di un bimbo piccolo, potrebbe essere davvero arduo dormire bene ogni notte. Questa culla smart è dotata di vari sensori che percepiscono il movimento del bimbo e ne capiscono l'agitazione. In questo modo la culla interverrà emettendo della musica rilassante e replicherà in autonomia il lento dondolare che tanto piace ai neonati.
La TV è senza dubbio diventata anche un oggetto di arredamento. E se dovesse sparire dai vostri salotti? Ora è proprio così! Quando la dovrete utilizzare si solleverà pian piano automaticamente dal suo box. Con un pannello Oled Ultra HD arrotolabile e una dimensione di 65 pollici sarà sicuramente l'oggetto del desiderio!
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Il 2019 inizia con una novità, il foro nel display che contiene la fotocamera frontale! È il primo ed unico ad averlo, un connubio di design e potenza senza precedenti. Grazie al suo schermo immersivo, all'ultimo processore Kirin 980, ai giochi di luce che restituisce la cover posteriore e al doppio modulo fotografico da 48 MPX, utilizzarlo e scattare le foto diventa un piacere per gli occhi. Tanta autonomia, tanta memoria per i vostri contenuti e un software aggiornatissimo cucito attorno alla migliore esperienza Huawei. C'è anche il jack per le cuffie!
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LA HERTZ CAGLIARI HA CAMBIATO VOLTO E MARCIA
LA SQUADRA DI COACH IACOZZA SEMBRA AVER TROVATO LA GIUSTA CONTINUITÀ NELLA A2 DI BASKET
Giga Janelidze. Foto Andrea Chiaramida
di ERIKA GALLIZZI
L
a Hertz Cagliari Dinamo Academy sembra aver innestato la giusta marcia nella Serie A2 di basket. Dopo un avvio più che stentato, l’esonero di coach Riccardo Paolini con squadra affidata al suo vice Alessandro Iacozza e l’arrivo dell’ala georgiana Giga Janelidze, il team rossoblù ha finalmente cambiato volto. Gli appuntamenti domenicali del mese di gennaio si sono conclusi con un
crescendo, testimoniato da tre vittorie consecutive (in casa della Unieuro Forlì, con Roseto e a Faenza, campo della OraSì Ravenna) ed è stata finalmente abbandonata l’ultima posizione in classifica, a cui l’Academy era tanto “affezionata” da inizio stagione. Ed è cambiato anche l’atteggiamento, non più remissivo ed arrendevole, ma combattivo, anche nei momenti e nelle fasi di gara meno semplici e serene. Insomma, la Cagliari Dinamo
Academy sembra essersi immessa nel giusto binario e la sua classifica sta beneficiando di vittorie e buone prestazioni anche con squadre più attrezzate o addirittura di alta classifica (Forlì). Il nuovo innesto Janelidze ha indubbiamente conferito solidità alla squadra, anche in fase di rimbalzo, dove l’atleta sta dando man forte a Justin Johnson, che è quarto, con 9.1 palloni arpionati a gara, nella classifica generale dei migliori rimbalzisti del girone. Ma la striscia di tre vittorie consecutive ha evidenziato e confermato la crescita di Rullo (61 punti in tre gare), ormai attestatosi su prestazioni più che positive, oltre alla continuità di Anthony Miles, che a Faenza ha sfornato un bel trentello e che risulta sempre preziosissimo, per le prove fornite condite da una tecnica sopraffina, ma anche per la sua esperienza. Dopo il proibitivo impegno sul parquet della De’ Longhi Treviso, attualmente terza in classifica, l’Academy è attesa da un mese di febbraio che
potrebbe darle ulteriore respiro. La squadra di coach Iacozza, infatti, farà visita alla Baltur Cento, sua pari-classifica non in un periodo particolarmente brillante. In questo caso, occhio alla differenza canestri: nella gara di andata la Hertz fu costretta a soccombere, con uno scarto di 11 punti, va da sé che al ritorno, oltre a cercare di vincere, Cagliari dovrebbe anche puntare a farlo di “almeno” 12 lunghezze. Il secondo impegno mensile sarà abbastanza difficile, contro la quinta in classifica, la Tezenis Verona, mentre l’ultimo sarà più abbordabile, ad Imola, sul campo della La Naturelle che, al momento, ha quattro punti in più in graduatoria. Dopo questo trittico di partite, il campionato osserverà una sosta per consentire la disputa della Final Eight di Coppa Italia di categoria, la cui organizzazione è stata affidata alla società Poderosa Montegranaro e che vedrà la partecipazione delle prime quattro classificate del gruppo Est e del gruppo Ovest, al termine del girone di andata del campionato.
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Il dentista risponde
Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferimento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on-line argomenti clinici ed extra-clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.
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Curiosità sul mondo odontoiatrico
Denti da latte, denti permanenti e denti del giudizio. Qual è la differenza?
I
denti sono organi molto duri (ma non invulnerabili) che si trovano all’interno della nostra bocca. La loro funzione principale è ovviamente quella di aiutarci nel masticare il cibo, ma ci aiutano anche nel parlare e, ormai, hanno assunto anche una funzione estetico-sociale di grande importanza, specialmente nel mondo occidentale. L’essere umano sviluppa due fasi di dentizione, ovvero di comparsa dei denti nella
bocca, una temporanea e una permanente, quella definitiva; oggi scopriremo meglio assieme questi aspetti. I primi denti da latte, detti anche decidui o temporanei, nascono di solito tra i 6 e i 10 mesi. Sono 20 in totale e compaiono gradualmente fino all’anno e mezzo di vita del bambino. Per quanto temporanei e destinati quindi a cadere, è molto importante non tra-
scurarli per alcuna ragione. La loro cura è cruciale per un futuro e sano sviluppo della bocca. Altro aspetto importante, i denti da latte sono più delicati rispetto ai permanenti, ed è quindi più probabile che si formi la carie se non si presta la dovuta attenzione. Se tutto va bene, di norma i primi a cadere tra i denti decidui sono gli incisivi inferiori centrali, intorno ai 6 anni. Gli ultimi, i secondi molari decidui, verso i 12. Quando il piccolo bambino raggiunge i 6 anni spunta il primo molare permanente, chiamato anche “sesto dente” o “dente dei sei anni”. Il dente più importante della bocca, perché attorno a lui si sviluppa tutto il complesso cranico e il nostro corpo. Questi molari hanno delle piccole rientranze dette “solchi” in cui si possono infiltrare i batteri della carie. Un buon consiglio è quello di consultare il proprio dentista e, se lui lo reputa necessario, farli sigillare con una tecnica semplice, indolore e non invasiva. Il processo di sostituzione dei denti da latte con i permanenti dura circa sei anni, fino alla prima adolescenza, con i nuovi denti che si sviluppano sotto la radice dei
precedenti, che quindi cadono naturalmente, facendo spazio ai nuovi arrivati che ci faranno compagnia per il resto della vita. Alla fine del processo, se spuntano anche i terzi molari, ovvero i famosi denti del giudizio, un uomo adulto può vantare fino a 32 denti tra arcata superiore e inferiore. Questi ultimi sono un’eccezione rispetto al resto della dentatura permanente, perché di norma possono spuntare tra i 17 e i 20 anni, mentre talvolta non escono mai per tutta la vita, rimanendo quindi inclusi. I denti del giudizio sono nominati spesso con un certo timore, in quanto molti ragazzi temono il fatto di doverli estrarre nel caso questi stiano tentando di venir fuori naturalmente ma, non trovando spazio, hanno necessità dell’intervento del dentista per completare l’operazione (o per la loro eliminazione). Non c’è da aver paura, ad oggi le procedure cliniche sono molto attente a ridurre al minimo fastidi e dolore, perciò si può affrontare il tutto con serenità. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre curiosità all’email dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it
I
Impronta digitale in 3D Ortodonzia invisibile “Invisalign” Interventi in sedazione cosciente Implantologia avanzata a carico immediato Cura precoce della malocclusione nel bambino Sassari | Via Alghero 22 Nuoro | Via Corsica, 15 079 273825 | 339 7209756 Informazione sanitaria a carattere informativo non promozionale e non suggestivo secondo il comma 282 della legge 248 del 04/08/2006 - Direttore Sanitario Andrea Massaiu Odontoiatra, Iscr. Albo Odontoiatri di Sassari n° 623
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