PORTFOLIO evelyn dalmonech
CURRICULUM VITAE Evelyn Dalmonech via Bruno Cetto 14 Trento nata il 08.02.1989 a TN 3498101357 ell_@live.it
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2003-2008
liceo Scientifico indirizzo Linguistico L. daVinci
2009-2013
Libera Università di Bolzano f. di Arti e Design
p. 4
metodi e tecniche di rappresentazione
p. 8
L’altra metà
p. 12
pubblicità [in]attesa
p. 16
Italianità
p. 20
the other side of destruction
2011-2012 p. 26 2012-2013
Bauhaus Universität Weimar semestre invernale minimal invasiv corsi di oreficeria presso Emme Gemme
p. 30
gioielli
p. 39
sulla Riparazione tesi di laurea
dal 2013 p.42
Bianco Concept Store executive design
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METODI E TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE 2010
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L’ALTRA METÀ es muss sein | 2010
All’interno del progetto universitario “Es muss sein” seguito dal prof. Matteo Ragni, ho indagato sulla conservazione degli alimenti vegetali non interamente consumati. Ho cercato di trovare una soluzione adattabile alla forma del frutto/ortaggio, non ingombrante e che preservi la naturale maturazione del frutto tenendo presente le sue caratteristiche. Ho realizzato una serie di prototipi in lattice ed in silicone, materiali igienici e riutilizzabili.
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L’ALTRA METÀ prototipo 1
Buccia è un dischetto in lattice con un bordo rinforzato dove scorre una linguetta in plastica per facilitare l’aderenza sulla parte tagliata del vegetale.
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L’ALTRA METÀ prototipo 2
Il vegetale appoggiato sopra con la parte tagliata va a pesare sul cilindro in silicone che si schiaccia, rovesciandosi solo per metĂ creando un orlo arrotondato, il bordo spesso rende la struttura stabile.
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L’ALTRA METÀ prototipo 3
Sono partita dal principio della ventosa per creare un movimento facilitato creando delle “labbra” sulla parte esterna dove infilare il vegetale; in questa maniera si sfrutta il gesto di mettere il frutto per attaccare la ventosa alla parete. Il vantaggio di questo oggetto, è che puoi sfruttare spazi geeralmente non utilizzati come le pareti oppure la parte sotto delle mensole del frigorifero.
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PUBBLICITÀ [IN]ATTESA project de_branding | 2011
Questo progetto realizzato all’interno del corso “De_branding” con il prof. Kris Krois, inizia dall’osservazione del comportamento delle persone alle fermate degli autobus. La fermata dei mezzi di trasporto è un luogo particolare. Un luogo dove le persone si trovano, dove condividono un momento all’interno di una quotidianità frenetica e dove devono obbligatoriamente fermarsi e aspettare. Ciò nonostante non è un luogo designato alle interazioni sociali: nella maggior parte dei casi ci si isola, si ascolta musica, si guarda il cellulare o ci si guarda attorno. In questo scenario si inseriscono le pubblicità, il loro impatto è differente rispetto alle stesse in altri contesti, come la televisione o la radio, poiché in questo luogo le persone hanno l’ occasione di osservarle e non solo di guardarle passivamente. Lo scopo del mio progetto è di far riflettere le persone rispetto al loro comportamento abituale mentre aspettano l’autobus e di incoraggiarle ad interagire tra loro. Il mio intervento consiste in una frase molto semplice incollata sulle pensiline, che si nasconde all’interno della pubblicità stessa, imitandone visivamente il carattere. Il messaggio è scollegato completamente rispetto all’annuncio in cui si colloca, ed invita le persone ad interagire tra loro. Ho cercato di documentare nei giorni seguenti le reazioni e gli effetti del mio intervento. In alcuni casi le persone si avvicinavano con discrezione per osservare meglio, in altri casi con curiosità staccavano e riattaccavano l’adesivo ed in altri serviva da spunto per interagire con gli altri.
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ITALIANITÀ
spaghetti, vespa, typography - a very italian exhibition | 2011
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Posters realizzati durante il workshop curato dal prof. Antonino Benincasa, presentati durante il Salone del Mobile di Milano in una mostra collettiva. Lo scopo è quello di mostrare i tratti distintivi che sono unici all’Italia. Pubblicato su slanted (http:// www.slanted.de/eintrag/ spaghetti-vespa-typography).
When I’m abroad I miss you so much
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Essential Italian language Interjection which expresses uncertainty, doubts.
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Essential Italian language Request for reformulation, very expressive.
Essential Italian language Phrase which expresses disbelief, astonishment.
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THE OTHER SIDE OF DESTRUCTION project black & white | 2011
Il concetto di distruzione è neutro come ogni altra idea, ciò nonostante questo concetto ha sempre avuto una connotazione negativa nella nostra mente. La parola “distruzione” è associata al pericolo, alla morte, al danno. All’interno del progetto ‘black & white’, seguito dal prof. Antonino Benincasa presso la Libera Università di Bolzano, ho cercato di comunicare gli aspetti positivi della distruzione, prospettiva meno evidente. Ho utilizzato dei supporti di grandezza 21x30 cm ed ogni messaggio non viene comunicato solo attraverso la grafica della tavola, ma anche dal gesto che bisogna compiere per svelarlo. L’atto è fortemente collegato alla tavola e lo completa. Generalmente viene rifiutata l’idea che il cambiamento includa la distruzione di un ordine precedente. Le cose materiali non hanno ne’ creazione ne’ distruzione. Ogni tipo di distruzione non rappresenta un passo indietro ma un progresso continuo, che è inscritto nel ciclo di vita. La creazione e la distruzione sono due lati della stessa medaglia. L’atto di distruzione può avere diversi significati, può essere necessario per liberarsi di sentimenti negativi e rappresentare una catarsi, ma anche può essere uno strumento di esperienza e conoscenza.
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Cerchiamo di resistere ad ogni tipo di distruzione, perché essa ci spaventa in quanto atto istintivo, non controllato dalla razionalità che ci mostra una parte di noi che non conosciamo. Per questo la tavola si presenta come un cartoncino bianco e pulito, sul quale scarabocchiando secondo il proprio istinto appare la frase “destruction shows our nature”. È stata realizzata con carta adesiva attaccata su un cartoncino per creare spessore ed un foglio bianco che copre la base.
THE OTHER SIDE OF DESTRUCTION destruction shows our nature 21
THE OTHER SIDE OF DESTRUCTION destruction is a tool for knowledge
Raramente si considera la distruzione come mezzo di apprendimento e conoscenza del mondo esterno. Ognuno di noi ha fatto esperienza di ciò che ci circonda attraverso la distruzione, è un comportamento che fa parte della nostra natura. La tavola è costituita da una base di plastilina bianca dove è stata impressa la scritta “destruction is a tool for knowledge” in un carattere basato sulle capitali traiane. La scelta del font è dovuta alla volontà di creare l’impressione di un supporto duro, in quanto storicamente questa font veniva scolpita.
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THE OTHER SIDE OF DESTRUCTION destruction doesn’t mean resetting La distruzione non rappresenta una fase negativa, un annullamento verso qualcosa di precedente, ma al contrario è un continuo avanzamento. Ho cercato di figurare questa concezione attraverso un supporto in cartoncino interamente colorato con graffite. Cancellando la superficie con una gomma rimane una frase a matita “destroying doesn’t mean resetting”.
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Fare e disfare, creare e distruggere, sono due facce della stessa medaglia. Creare comporta la distruzione di uno stato precedente e allo stesso modo distruggere non significa altro che creare qualcosa di nuovo. Queste fasi non sono altro che cambiamenti. Disfando i punti della maglia appare stampata sul cartoncino la scritta “fare” che è unita alla scritta disfare.
THE OTHER SIDE OF DESTRUCTION disfare_fare 25
MINIMAL INVASIV Tischverbindung | 2012
Nel 2011- 2012 ho frequentato un semestre alla Bauhaus Universität di Weimar grazie al programma Erasmus. All’interno del progetto Minimal-invasiv con il docente Martin Kuban ho avuto modo di approfondire la tecnica di colata di alluminio in stampo di sabbia. Lo scopo del mio progetto era quello di trovare un metodo per realizzare un tavolo senza chiodi o viti, ma solo con incastri e tensione degli elementi. Dopo varie ricerche e modelli funzionali è nato questo prototipo che permette di collegare una tavola di qualsiasi materiale, dimensione e spessore con quattro gambe. Il modello utilizza gli angoli di 90° della tavola e una cintura per tenere la struttura in tensione e stabile. Le gambe vengono infilate in un buco a forma di occhio, l’inclinazione delle gambe può variare da 70° con un minimo di diametro di 2,5 cm a 84° con un diametro massimo di 5 cm. La forma del buco permette alle gambe di posizionarsi correttamente e stabilmente una volta fissate in tensione.
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MINIMAL INVASIV modello funzionale
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MINIMAL INVASIV studio di diametro e inclinazione delle gambe
Durchmesser der Beine von 2,50 cm bis 5 cm
Neigung der Beine von 70° bis 84°
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GIOIELLI laboratorio Emmegemme | 2012 - 2013
Gioielli eseguiti durante i corsi professionalizzanti di oreficeria frequentati tra il 2012 e il 2013 presso il laboratorio Emmegemme di Bolzano. Ognuno di questi lavori è servito ad imparare e a migliorare le diverse tecniche orafe, dalla saldatura all’incassatura di pietre.
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SULLA RIPARAZIONE tesi di laurea | 2013
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Questo lavoro, sviluppato con il supporto della prof.ssa Manuela deCecco, tratta il concetto di Riparazione, inteso come intervento su qualcosa che è rotto, logoro o in cattivo stato. Ho esaminato lo sviluppo progettuale che contraddistingue questa pratica, i suoi risvolti effettivi e le sue caratteristiche. Uno degli obiettivi principali di questo progetto è dimostrare come questa esperienza si inserisca in maniera significativa nella realtà contemporanea e come essa potenzialmente possa rispondere in modo coerente agli stimoli della società odierna e ai bisogni dell’individuo, sfatando in questo modo l’idea di riparazione come pratica sorpassata o addirittura regressiva. La riparazione si mostra all’interno della mia analisi come una pratica personale, accessibile a tutti, con potenzialità espressive e di apprendimento.
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SULLA RIPARAZIONE #1 interviste | 2013
E. Chi ti ha insegnato? M. Mia mamma. Poi quando si andava alle elementari insegnavano a fare calzini, poi insegnavano a rammendare e a ricamare.
MARIA 91 ANNI NONNA
E. Quindi ti insegnavano anche scuola?
a
M. Si si, alle elementari, perché le medie non c’erano a miei tempi.
26.10.2012
E. Cosa insegnavano ai ragazzi?
E. Parliamo un po’ delle cose che ripari…
M. I ragazzi andavano nell’orto, insegnavano loro a seminare, a zappare e cose così…
M. Non bisogna buttare nulla!
E. Quindi dividevano i compiti?
E. Te l’hanno insegnato?
M. Si davano altri lavori ai bambini. Eravamo maschi e femmine nella stessa classe, ma due giorni a settimana un paio di ore ci dividevano. A noi ci insegnavano a fare calzini e i bambini andavano in campagna. La scuola aveva un orto, un giardino.
M. Si me l’ha insegnato mia mamma, mi diceva di tenere tutto e dopo se erano buone si tenevano… si guardavano per bene e poi se si poteva si aggiustavano. E. Chi le aggiustava? M. Mia mamma, perché io ai tempi ero piccola però non mi faceva buttare nulla.
E. Anche nell’ambito domestico avevate compiti differenti? M. Si si, le donne rammendavano e cucinavano mentre gli uomini solitamente riparavano le cose per la campagna.
E. E poi hai imparato anche tu a riparare? M. Si si, a fare calzini poi ad aggiustarli, a rammendare.
E. Al giorno d’oggi ci sono molte
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M. Si per esempio il parolot era in paese, l’ombrelar passava una volta alla settimana ad aggiustare gli ombrelli.
cose che non vengono riparate, ma gettate, cosa ne pensi? M. Beh a me dispiace vedere che si buttano via tante cose, ai miei tempi soffrivamo… tanto che (non sentono quello che dico?) quando ho fatto la prima comunione non avevo il vestito, me l’hanno prestato, e sotto mia mamma mi ha fatto una sottoveste con il sacco dello zolfo, che si usava per le vigne, e sono andata in chiesa e tutti mi prendevano in giro perché si leggeva la scritta ‘zolfo’ da sotto il vestito… guarda te come stavamo ai miei tempi! Mia mamma aveva nipoti e molte sorelle e magari le davano qualcosa, vestiti, e mia mamma li riparava e ce li metteva a noi.
E. Quindi passava di paese in paese? M. Si si… adesso si butta via tutto una volta si teneva tutto. Una volta c’era il calzolaio e si aggiustavano le scarpe, adesso invece quando c’è un piccolo buco, che sarebbe sufficiente aggiustarle, e invece si buttano. Anche quando ho fatto la prima comunione mi hanno prestato le scarpe, anche quelle… mi sono sposata (non sentono quello che dico?) non avevo il reggiseno, mia cugina mi ha prestato il reggiseno, una canottiera e una sottoveste… ero povera, non ci crederai, ma ero povera tanto che adesso mi sembra di essere una gran regina rispetto a prima che mi sposassi… e mia cugina mi ha detto “te li presto solo perché è il giorno del tuo matrimonio ma il giorno dopo me li ridai!” mia cugina era ai mulini, si era sposata anche lei, ma poi è rimasta vedova, non ha avuto figli, si è sposata con un finanziere che è andato in Grecia dove lo hanno ucciso ed è rimasta vedova. Mia mamma quando mi son sposata mi ha dato le sue lenzuola e mi ha detto che me ne avrebbe date altre più avanti, mi ha dato anche una cassapanca, perché ai
E. Questo succedeva non solo con i vestiti, anche con le padelle per esempio… M. Si si anche con le padelle! Si doveva tenere tutto. E. Se per esempio si rompeva una Padella? Chi la aggiustava? M. C’era il parolot, così lo chiamavano. E. Quali altre professioni c’erano? M. C’era l’ombrelar. E. Erano tutti in paese?
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#1 è una raccolta di interviste. Questo percorso integra la mancanza di una bibliografia dedicata alla riparazione in quanto pratica con una campionatura di testimonianze di persone che ne hanno consuetudine. L’intento di questo percorso è delineare, per quanto possibile, un quadro variegato di opinioni rispetto alle principali caratteristiche della riparazione. Le persone con cui ho avuto modo di dialogare sull’argomento provengono da ambienti sociali e culturali differenti: vi sono professionisti nel settore, così come persone che concepiscono la riparazione come un passatempo e chi è stato educato secondo questo principio. In queste interviste si parla di esperienza e di apprendimento, di valore economico e di valore affettivo, di cultura di prodotto e di educazione alla riparazione, di ingegno e di incidenti. Tutti questi fattori contribuiscono a dare significato al concetto di riparazione.
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SULLA RIPARAZIONE #2 repair it in your way | 2013
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Il secondo libro presenta una raccolta fotografica che documenta un’indagine sui significati che vengono attribuiti al concetto di riparazione ed un tentativo di comprendere come le persone si pongono nei confronti di una rottura. In questo caso la rottura è rappresentata da un buco al centro di un quadrato di stoffa che ho consegnato ad un campione eterogeneo di persone alle quali ho chiesto di riparare il pezzo di stoffa a loro modo, o meglio la consegna citava: “Repair it in your way”. Le persone che si sono gentilmente prestate a partecipare a questo esperimento hanno dai tredici agli ottantacinque anni, sono maschi e femmine, svolgono professioni diverse e diversi percorsi di studio, non necessariamente possiedono capacità artistiche o manuali. Ogni singolo esempio rappresenta un ritratto, anche se parziale, della persona che lo ha realizzato, poiché quest’ultima ha messo in campo, attraverso le scelte compiute, parte delle sue esperienze e del suo carattere, proprio per questo non vi è un lavoro uguale ad un’altro. Questo libro rappresenta una raccolta ricca di particolari e dettagli che, grazie ai diversi legami e percorsi che si possono creare tra di essi, raccontano il carattere espressivo e l’ingegno che stanno alla base del concetto di riparazione, così come la soggettività sopra la concezione di rottura.
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SULLA RIPARAZIONE #3 soluzione ad un problema, per esempio | 2013
Questo libro raccoglie la ricerca, lo sviluppo e la risposta che ho elaborato per riparare calze e collant da donna. Seguendo il percorso che ho svolto ho ritenuto necessario approfondire la riparazione da un punto di vista concreto oltre che teorico, mettendomi in prima linea e cercando una soluzione ad una rottura frequente. Questo approccio è stato suggerito dalla natura pratica della riparazione e mi è servito per indagare quali aspetti entrano in campo in questo particolare sviluppo progettuale. Ho deciso di focalizzarmi sulle calze e sui collant da donna, in quanto sono soggette a frequenti incidenti che provocano buchi o smagliature, che solitamente non trovano una riparazione idonea e permanente. Il percorso che ho seguito parte da un’analisi e ricerca sulle caratteristiche materiali e tecniche della calza, la produzione e l’evoluzione di questo capo fino ai giorni nostri. Indaga in un secondo momento, attraverso interviste, i significati e le conseguenze che la calza come oggetto porta con sé: dal fatto che sia un simbolo di femminilità agli aspetti distintivi del disagio dovuti alla sua rottura. L’ultimo passaggio mostra le sperimentazioni concrete dei diversi materiali e delle possibili tecniche. Con il mio sviluppo di riparazione ho cercato di ottenere una soluzione che mantenesse l’elasticità della calza, non richiedesse particolari competenze ed offrisse al contempo la possibilità di espressione attraverso varie forme, pattern e colori. Per questo motivo ho deciso per l’utilizzo del lattice applicato con la tecnica dello stencil. Questo materiale penetra automaticamente nella trama del tessuto e riempie la mancanza del buco o della smagliatura, creando così una superficie chiusa e attaccata al resto del collant. Questo processo infine permette di definire delle forme precise e di avere infinite possibilità di disegno e colori senza necessità di particolari capacità e prerequisiti.
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BIANCO CONCEPT STORE executive design | 2013 - 2016
Presso il negozio Bianco Concept Store di Trento ho eseguito alcuni elaborati grafici progettati da Giulia Spallanzani, la titolare, sia per il negozio che per eventi. Fornisco consulenza e confezionamento di bomboniere coerenti con lo stile del negozio e realizzazione di bijoux e piccole riparazioni.
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