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MAGGIO / GIUGNO 2011
LA NUOVA MOSCHEA PIEMONTE ATOMICO? EMANUELA PIOVANO & SIMONE WEIL I CENTO DELLA LIGURIA
VINICIO CAPOSSELA, LA REDAZIONE E TANTI AMICI RACCONTANO LA PROPRIA PASSIONE PER LA CITTÀ
Numero 18 - Bimestrale - maggio / giugno 2011 | 4,50 euro
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, Torino n. 5/2010
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editoriale |
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Piero, la porchetta e i 32 giovani disoccupati E così abbiamo un nuovo sindaco. Uomo alto, d’esperienza, non proprio empatico, magro, serio. L’unica relazione personale che possa vantare con Fassino risale a una braciolata a una festa dell’Unità di provincia. Con amici stavo a mangiare spiedini e salsicce, quando compare Fassino e inizia a salutare tutte le “maestranze”, cioè camerieri, cuochi, fuochisti. Dunque, brandendo la mia porchetta mi ci avvicino, gli tendo la mano unta e gli dico “e i giovani? Non li saluta i giovani?” (come si arguisce, allora ero giovane, circa ventenne). E lui, “ma certo! I giovani innanzitutto.” Questo aneddoto apparentemente inutile mi serve: non ho dubbi che – vista la sua storia – Fassino avrà la tempra di affrontare le questioni hard, i poteri forti, la Fiat, le banche, i salotti, le fondazioni, i sindacati, l’immigrazione, le infrastrutture, la sicurezza. Meno sereno lo sono sulle emergenze che riguardano le ultime generazioni. Nonostante in campagna elettorale l’ex ministro abbia addirittura evocato la “movida”, dichiarato una passione per il ballo, frequentato Casacci e incassato il placet di Boosta, non mi sento tranquillo: Torino ha la disoccupazione giovanile al 32%, un punto più alta di quella regionale e sette più della
media nazionale (!); la formazione spesso dà lavoro più a chi la fa che a chi la riceve; i genitori in erba non trovano un asilo manco a pagarlo (sbaglio: a pagarlo sì); in periferia piccoli e adolescenti devono cercarsi un’area verde con la bacchetta da rabdomante. Fassino eredita una città notoriamente ben gestita, ma in cui trentadue ragazzi su cento, al di sotto dei ventinove anni, cercano lavoro (o provano a inventarsi un lavoro) senza trovarlo, senza riuscirci. Allora al nuovo Sindaco dedichiamo il servizio “Le dieci cose che amiamo di Torino” cui fanno da controcanto “Le dieci cose che odiamo di Torino”. Un po’ perché l’elenco è compilato dalla nostra redazione, la cui gran parte sta sotto i ventinove anni. Un po’ perché vogliamo regalare al Primo e a tutti noi cittadini una fotografia di ciò che ci piace e ciò che non ci piace del capoluogo in questo 2011, all’inizio della nuova amministrazione. Se la profezia Maya non si avvererà, a fine mandato rifaremo questo stesso gioco e faremo il confronto. È il caso di dire: buon lavoro.
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Torinauti di Maurizio Crosetti Incongruenze di Beppe Tosco Sindromi di Francesca Genti 25 mq: un appartamento a Torino
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di Marco Ponti e Cristiano Spadavecchia
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extraentrée
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extrastorie
18 Cosa sarà
54 La guerra della moschea
Il meglio dei due mesi che verranno
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extracover 38 Vinicio Capossela
l’amore dei bassifondi di Torino
42 I love Torino:
i motivi per cui amiamo questa città, e quelli per cui la odiamo. Con i contributi di
Fabio Geda, Alberto Cirio, Marco Ponti, Maurizio Crosetti, Bruno Boveri, Dario Bragaglia, Rosalba Graglia e Mark Hamilton aka Woodpidgeon
La costruzione del nuovo luogo di culto islamico di via Urbino tra le preghiere e le polemiche
62 Simone Weil e il filosofo contadino
incontro-intervista con
Emanuela Piovano, regista del film “Le stelle inquiete”
68 Piemonte nucleare?
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L’energia più controversa passata al microscopio: Trino, le nuove centrali e i programmi del governo (senza contare il referendum)
I cento sbarca in Liguria
Dopo il successo della guida torinese, il nostro trio di gastro-passionisti valica l’appennino in cerca dei cento ristoranti e trattorie più meritevoli
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extraglitter 84 To-cool 88 Mangia e bevi 93 Librarsi 95 Extra divinazioni
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extrarubriche
conocon o iceProg?
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on la bella stagione, i torinauti vanno a cercarsi un buon gelato. A loro piace arrivarci camminando, e camminare leccando. Esiste solo un gelato, ed è il cono. E quando, in una certa gelateria un po’ per fissati, si sentono chiedere: wafer o biscotto? subito vanno in crisi perché il cono è cono, uno e indivisibile. Non avrai altro cono all’infuori di lui, e invece poi qualcuno ti inventa la variante, ti obbliga a scegliere, a schierarti, a scantonare dal meraviglioso binario dell’abitudine. I torinauti leccanti si dividono in due categorie: tradizionalisti (reazionari?) e progressisti (snob?). I primi mandano avanti la lingua sotto i portici, come rabdomanti già sicuri della sorgente sotterranea, della miracolosa polla cristallina, e si dirigono in via Po, oppure in piazza Carlo Felice. Dove si va sul sicuro, e quel certo gusto è invariato dai tempi di Emanuele Filiberto, o forse di Ramesse II. Invece, i futuristi, bivaccano in coda davanti alle gelaterie alla moda, dove si aspetta di leccare come a Firenze si attende l’apertura degli Uffizi. Costoro leccano slow, attenti alla tipicità, e
torinauti |
di maurizio Crosetti
saprebbero identificare un pistacchio non proprio di Bronte da una minima sfumatura cromatica del gusto medesimo, un po’ più o un po’ meno verdolino del dovuto. Sono leccatori progressisti e di sinistra, e hanno una lingua ecologica. I torinauti vogliono leccare cremosamente, odiano (tutti: tradizionalisti e futuristi insieme) le tremende spatolate troppo fredde, simili a stucco spalmato con la cazzuola. Sanno che l’abile mano del gelataio, quasi sempre una gelataia, deve ammorbidire senza sciogliere, senza sbrindellare. Il problema, però, è capire cosa si stia leccando. Non lo corrono i tradizionalisti, quel rischio: gli snob invece sì. Magari chiedono il gusto “contessa”, il “San Luca”, il “ciaccissimo”, oppure “questo”, o “quello”, o magari “il pazzo”, e si chiedono cosa diavolo gli gira in bocca. Ben gli sta. Premesso che molti di questi misteri semantici si rivelano anche buonissimi, il torinauta potrà sempre ripiegare sul viaggio meno avventuroso, sul percorso forse infantile, però sicuro: cercare (auguri) e leccare il vecchio cono “crema e cioccolato”. Di questi tempi, il massimo della trasgressione.
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di BePPe tosCo
mai dire mais
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mici fabbricatori delle buste di mais. Amici che le fabbricate. So che state ancora studiando. Sto dalla vostra parte. Avete provato col mais, vengon benino, troverete materiali migliori o almeno ci proverete, vi conosco come persone serie e determinate. Buste di pelle di rapa? Sacchi di ala di farfalla? Sporte di bava di lumaca? Chissà. Vedremo. Perché lo sapete, no, qual è il problema delle buste di mais? Che smollazzano e si disfazzano. Ma non ci sono cose in natura più resistenti del mais? Ecologiche ma che tengono? Ma siamo sicuri che la stessa materia di cui sono fatti i pop corn vada bene per arrivare fino a casa con la borsa piena? E non con le zucchine nel taschino, la pizza per cappello e le melanzane sotto il maglione che vi fanno le tette cascanti anche se siete avvocato? Col mais si fa la polenta. Ma nessuno, ha mai pensato di farsi delle mutande di polenta. Ci sarà, un motivo? Se ci si pensa, un bel paio di mutande di polenta calda d’inverno possono fare comodo, eppure non si fanno e sapete perché? Perché non stanno su, vacca boia. Come non stanno su le buste di mais. Ché se le usiamo per met-
terci i rifiuti organici, e quindi stanno a contatto per più di un’ora con l’umido, stringono alleanza. Diventano della stessa sostanza di quello che c’è dentro, roba molle e sgocciolante. Paciocchino. Quando le usiamo per metterci la spesa, la cassiera del supermercato ci sorride. Secondo voi è perché è di buon umore? È perché il tran tran del bip bip l’ha instupidita? Non credo, e non ho bisogno di dirvelo, perché lo fa. Quanti ne avrà visti allontanarsi soddisfatti e chinarsi subito dopo insoddisfatti a raccattare la mercanzia? C’è un bello però. Che in quelle buste non hai bisogno di guardare, per vedere cosa c’è dentro. Sono come i vestiti di latex di Lady Gaga. Dove vedi la forma delle pere e delle cosce di galletto. Prendono la forma. La bottiglia di vino cala come un’ernia. Il melone è un seno della quinta di una donna di settant’anni. E allora. Le vogliamo fare, queste buste, di sostanza organica resistente? Faccio la mia insolente proposta. Facciamole con la pelle del culo del maiale? Il maiale si siede dappertutto, si rotola sui sassi ma non si disfa. E poi, c’è un grande vantaggio. Che il popotti del porco della borsa ha già la forma. E, se applichi le orecchie, anche i manici.
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sindrome allergica di primavera
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a primavera arriva, imprevedibile come un gatto: ci blandisce con due raggi di sole ben assestati e poi giù una caterva di pioggia, temporali, vento e poi di nuovo sole e poi nuvole e dopo ancora sole questa volta in quantità industriale. E naturalmente allergie di ogni genere. I grandi malati immaginari aspettano con trepidazione l’arrivo della primavera: finalmente possono sbizzarrirsi, facendosi colpire da morbi esotici, grosse crisi psichiche e allergie a qualsiasi cosa. Chi scrive ha un approccio olistico al Malanno e sa bene che ogni allergia ha un aspetto visibile e uno esoterico. Le allergie primaverili più comuni sono quelle ai pollini, e negli ultimi tempi è diventato particolarmente trendy essere allergici all’ambrosia, mai quanto essere celiaci, naturalmente, ma dà comunque un certo tono. L’allergico al polline comune il più delle volte si presenta come un individuo male in arnese, ha un modo di vestire sciatto e nelle mani si rigira nervosamente un qualcosa di colorato che da lontano può essere scambiato con quegli informi oggetti antistress che si vendono negli autogrill, ma che a un esame più attento risulta essere un repellente fazzoletto di tela fradicio di muco. Ti saluta da lontano, con un mesto cenno della mano, ed è meglio così, poiché di sicuro stringergliela sarebbe un’esperienza tutt’altro che esaltante. Così si presenta l’AAPC (Allergico Ai Pollini Comuni), ma è ora giunto il momento di fare un passo in più, di addentrarci nei meandri dei suoi complessi meccanismi psichici e di chiederci a cosa veramente questo individuo è allergico. L’AAPC ha paura delle conseguenze delle sue azioni, ha paura della vita. Cosa rappresenta infatti il polline se non la spinta vitale, l’azione, il rinnovarsi del mistero della creazione? L’AAPC è il classico catorcio emotivo, un ibernato dei sentimenti che al primo raggio di sole, al primo allegro pallino di polline che svolazza gaio per la città si terrorizza, mettendosi KO da solo, rendendosi infrequentabile, frapponendo tra sé e il mondo una spessa e inespugnabile cortina di catarro e, nei casi più abietti, di scracio. Qual è il farmaco per questa sfortunata creatura? Non certo la solita boccetta di antistaminico che
sindromi |
di FranCesCa genti
può al massimo arginare il sintomo, ma non venire a capo dell’allergia. La cura si chiama Beverone di Realtà, quali sono gli ingredienti che lo compongono? A scelta: sbronze con gli amici, rudi approcci (anche fallimentari) alla donna dei sogni, partite di biliardo, risse agli autoscontri di un qualsiasi Luna Park, scampanellate notturne di citofoni, insulti al capo ufficio, viaggi di piacere, massaggi “shiatzu” nei numerosi centri cinesi floridamente attivi in tutte le grandi città. Ben diverso è il caso dell’AAA (Allergica All’Ambrosia). Diciamo subito che nel novanta per cento dei casi si tratta di donne sensibili, eleganti e colte. L’AAA ha un aspetto curato, si manifesta con piccoli starnuti che cerca di dissimulare portandosi sempre la mano alla bocca e il fazzoletto lo tiene nella borsetta, le più retrò nella manica del twin set. Saluta con un sorriso cordiale e si scusa preventivamente di stare (forse) per starnutire, insomma: non inquina né acusticamente né esteticamente il paesaggio. Qual è la struttura psichica della AAA? Chiediamocelo partendo dall’oggetto della sua allergia: l’ambrosia. Essa è sì una pianta infingarda e infestante di cui esistono più di trenta specie, ma nella mitologia greca l’ambrosia è indicata come il cibo o la bevanda degli dèi. Sì, l’abbiamo smascherata: l’AAA soffre di senso di inferiorità e di sconfinate crisi di insicurezza, rifiuta il cibo degli dèi, rifiuta il lato divino che alberga in lei (perché, ovviamente, se un lato divino non albergasse in lei sarebbe una semplice AAPC, non un’aristocratica AAA). La cura? Niente menate omeopatiche, niente costose sedute di agopuntura dal dottor Peter Pan (medico anglocinese) e naturalmente bandite noiose sedute psicoanalitiche dove un barbuto e compassato medico ci chiede ragguagli sui sogni e l’infanzia. Il programma in questo caso si chiama Scopri la dea che c’è in te e consiste in retate in casa degli ex fidanzati per recuperare tutto ciò che si era abbandonato (potete al massimo lasciare le De Fonseca scozzesi), frequenti puntate alla cantine sociali per la degustazione di vini, intense sedute davanti allo specchio provando almeno tre tipi diversi di sguardo da dea: sguardo da Afrodite, Era, Artemide… Buona primavera! maggio / giugno 2011
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LA QUALITĂ€ DA SCOPRIRE
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foto di Massimo Pinca maggio / giugno 2011
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giugno 2011 torino • ogr corso castelfidardo 22 foto di
mattia boero – città di torino
La bella stagione? Godetevela alle Officine Grandi Riparazioni
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ono la più bella novità del 2011, e non solo dal punto di vista architettonico. Forse chiamare “novità” i 22mila metri quadri delle Officine Grandi Riparazioni, che occupano l’area di corso Castelfidardo da più di un secolo, non è così corretto. Eppure i torinesi e i tanti turisti che hanno invaso in questi mesi la città – facendo sì che il 2011 ricordasse dolcemente la festa del 2006 – le scoprono in questi mesi per la prima volta, complici le grandi mostre ospitate proprio qui in occasione di Esperienza Italia 150. Prima fra tutte Fare gli italiani, la grande esposizione della storia e della cultura del nostro Paese curata dagli storici Walter Barberis e Giovanni de Luna, che attualmente è al primo posto nella classifica delle mostre più visitate, con oltre 160mila spettatori in soli
due mesi (dati 17 marzo – 10 maggio 2011), con una media giornaliera di più di 2000 visitatori. Negli spazi attigui anche le mostre Stazione Futuro. Qui si rifà l’Italia, curata dal direttore di “Wired” Riccardo Luna e che raccoglie le scoperte tecnologiche che hanno cambiato e cambieranno la vita dell’Italia nel prossimo decennio, e Il futuro nelle mani. Artieri domani curata da Enzo Biffi Gentili e dedicata alla crème dell’artigianato nazionale. Serve del tempo per girare dappertutto, complici gli spazi imponenti delle Officine, ma anche l’interattività delle mostre, che trascina in un percorso di fotografie animate; pannelli;
suoni e video da meditare, macchine agricole, militari e civili; trincee e aerei per riscoprire le memorie belliche... Tutto questo (e molto ancora) impedisce al visitatore di percorre le centinaia di metri quadri di questi spazi a grandi falcate. Chi non ha ancora trovato il tempo di visitare le Officine Grandi Riparazioni, con l’approssimarsi della bella stagione ha qualche buon motivo in più: dal 27 maggio, infatti, sarà qui la sede cardine dei “Punti Verdi”, il calendario di eventi estivi gratuiti organizzati dalla Città di Torino per rinfrescare – è proprio il caso di dirlo – gli animi e i corpi dei torinesi. Il calendario è fitto di spettacoli teatrali, concerti, dibattiti, incontri (per il calendario completo, vedi pag.22-24). Ma il modo perfetto per godersi al meglio una giornata alle Officine Grandi Riparazioni è fermarsi a mangiare. C’è tanto spazio, ça va sans dire, e cibo per tutti i gusti. Oltre alla focacceria e alla caffetteria-ristorante che si trova all’interno della struttura e che serve, tra gli altri, dei menù ispirati agli eroi del Risorgimento Nino Bixio, il conte di Cavour, Mazzini e Garibaldi; da poche settimane è possibile anche mangiare nel Giardino Italiano delle Officine, e non solo nell’orario di apertura delle mostre. La Terrazza Grill Brek è aperta anche in orario serale, e con la complicità del bel tempo si può cenare sotto la volta celeste con carni e le verdure alla griglia (che consigliamo) oppure con focacce, pasta, riso e formaggi, tutto rigorosamente italiano.
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Un’estate alle Officine Tutti gli eventi in programma
27 maggio
Le imprese dei Cento a cura di Stalker teatro
28 maggio
Festival Antidogma dalla musica popolare alla musica colta, associazione Antidogma
3 giugno
Cowboy singers “In Cahoots” Hired Guns a cura di Salt Lake City con il Settore Relazioni internazionali della Città di Torino
4 giugno
Quintetto a fiati con musiche di Briccialdi, Verdi, Ghedini, Rota, Berio, a cura di Filarmonica ’900
10 giugno
DECIMINO DI MUSICHE DA FILM a cura di Filarmonica ’900
11 giugno
Mabò Band in Note nella tempesta a cura di Hiroshima Mon Amour
18 giugno
Ho visto Nina volare reading su De André, con Laura Curino e musica dal vivo, a cura di Tangram Teatro
24 giugno
Inaugurazione festival della Montagna T. Torino 150. I giovani, la città e il nuovo millennio, spettacolo a cura di Onda Teatro
25 giugno
Performance, teatrodanza, reading, videoproiezione sulle eccellenze del tango con annessa Milonga, a cura di Tango – Etnotang
29 giugno
presentazione MTV DAYS
1 luglio
Quartetto di fiati in concerto, a cura di Filarmonica ’900
2 luglio
Torino casa de tango, a cura di Tango Etnotango
Gli spazi Furono edificate tra il 1885 e il 1895, in un momento di forte sviluppo della città subito successivo all’Unità Nazionale, il loro ruolo era quello di rimessa e laboratorio per le riparazioni delle locomotive e delle carrozze ferroviarie. Un centro di revisioni meccaniche all’avanguardia per l’epoca. Oggi, una parte di questi capannoni è diventata un’ala del nuovo Politecnico, mentre una restante parte è lo spazio espositivo che ha accolto più di 150mila turisti negli ultimi mesi. La struttura industriale semplice, severa e allo stesso tempo così adatta alle grandi installazioni delle mostre contemporanee, hanno reso questo spazio perfetto non solo per le grandi mostre di Esperienza Italia 150, ma anche per un futuro uso nel campo della cultura e dell’arte. Le Officine Grandi Riparazioni sono infatti proprietà della Fondazione CRT, che le gestirà una volta terminati i festeggiamenti del Centocinquantenario e che ha partecipato alla ristrutturazione con un investimento di oltre 100 milioni di euro.
8 luglio
29 luglio
12 agosto
9 luglio
30 luglio
13 agosto
5 agosto
15 agosto
6 agosto
19 agosto
Il fu Mattia Pascal arrangiamento di Giulio Graglia, V Festival Luigi Pirandello Concerto per violino, violoncello cembalo. Musica barocca, a cura di: I Musici di Santa Pelagia, Accademia del Santo Spirito
22 luglio
Minima Suzuki, a cura di Hiroshima Mon Amour
23 luglio
Torino Youth Jazz Orchestra, a cura di Jazz Club Torino
Luigi Tessarollo e Fulvio Chiara in concerto, a cura di Jazz Club Torino Maniaci d’Amore in Il nostro Amore Schifo a cura di Hiroshima Mon Amour Luigi e Pasquale Grasso quartet in concerto, a cura di Jazz Club Torino La musica d’oggi marimba, flauto (da Bach alla musica d’oggi), a cura di Compositori Associati / Ass. Progetto Scriptorium
FESTA PER CHI RESTA Una corrente di ali , spettacolo a cura di Assemblea Teatro FESTA PER CHI RESTA Odo l’estate, spettacolo a cura di Assemblea Teatro FESTA PER CHI RESTA Tutte le donne del re, spettacolo a cura di Assemblea Teatro Fulvio Albano/Dino Piana quintet in concerto, a cura di Jazz Club Torino
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Biglietteria e orari Fare gli italiani, 150 anni di storia nazionale Stazione Futuro. Qui si rifà l’Italia Il futuro nelle mani. Artieri domani dal 17 marzo al 20 novembre 2011
Giornate e orari di apertura
dal 17 marzo al 2 giugno 2011 aperto tutti i giorni. lunedì h 9-16 martedì, mercoledì, giovedì e domenica h 9-20. venerdì e sabato h 9-22. dal 3 giugno al 18 settembre 2011 chiuso il lunedì. martedì, mercoledì, giovedì e domenica h 9-20. venerdì e sabato h 9-22. dal 19 settembre al 20 novembre 2011 aperto tutti i giorni. lunedì h 9-16 martedì, mercoledì, giovedì e domenica h 9-20. venerdì e sabato h 9-22.
Biglietti
Biglietto cumulativo (per l’accesso a tutte le mostre che si svolgono all’interno delle Officine Grandi Riparazioni). intero: 15 euro ridotto: 10 euro Abbonamento Esperienza Italia (per l’accesso alle mostre ospitate alle Officine Grandi Riparazioni e a quelle che hanno sede alla Reggia di Venaria). intero: 28 euro ridotto: 20 euro Riduzioni: Hanno diritto a ingresso, abbonamento giornaliero e biglietto cumulativo ridotti: studenti universitari, under 18, over 65, diversamente abili
20 agosto
3 settembre
Italian Style spettacolo a cura di Tangram Teatro
Spettacolo di danza a cura della Compagnia DAS-danzatelierstudios
26 agosto
9 settembre
Colors Swing Trio con Paolo Alderighi, Alfredo Ferrario e Christian Meyer, a cura di Jazz Club Torino
27 agosto
Torino Jazz Orchestra octet a cura di Jazz Club Torino
2 settembre
Quintetti d’archi a cura di Filarmonica ’900
La maschera di Cavour installazione performativa di Argia Coppola
10 settembre
Le ombre della notte spettacolo a cura di Scarlattina Teatro
11 settembre
Di Bambole e di sogni spettacolo multimediale, associazione Il luogo delle Arti
Né retorica, né reticente, né faziosa: è per questo che “Fare gli italiani” piace al pubblico
Intervista al professor Walter Barberis, curatore – assieme a Giovanni de Luna – della mostra campione di visite dall’inizio delle celebrazioni di Esperienza Italia a oggi
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itolare una mostra con la frase di Massimo d’Azeglio, poteva essere di buono come di cattivo auspicio. Ma se sono i numeri a parlare, allora si può tranquillamente dire che “Fare gli Italiani” è stato un successo: è qui che si sono buttati i visitatori – torinesi e non – per festeggiare il Centocinquantenario nazionale. Abbiamo parlato di questo risultato con Walter Barberis, curatore della mostra assieme a Giovanni de Luna. «Fare gli italiani», ha dichiarato Barberis, «è nata come proposta di riflessione – per i visitatori ma più in generale per tutti gli italiani – su cosa sia stato e quanto sia costato lo stare insieme nel corso di questi centocinquant’anni. Mettendo sul piatto sia le luci che le ombre.» Per chi non si sia ancora avventurato tra i padiglioni di questa ex industria (c’è tempo fino al 20 novembre), la mostra racconta la storia dell’Italia e dei suoi popoli dall’Ottocento fino ai giorni nostri, ma lasciando passeggiare il visitatore tra diverse aree tematiche: si inizia con l’Italia divisa nelle città pre-unitarie, poi si passa alle campagne, la scuola, la Chiesa, le migrazioni, la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, tutti step che hanno segnato il cammino della Nazione. A volte sono stati passi avanti, a volte indietro. Professore, “Fare gli italiani” è stata la mostra più visitata del calendario di Esperienza Italia dall’inizio delle celebrazioni. È soddisfatto? A che punto è arrivata la riflessione sull’italianità? Il risultato è stato oltre ogni nostra aspettativa,
quindi siamo certamente molto soddisfatti. Ma la riflessione su cosa abbia significato per noi italiani l’unità è ancora in corso. Il nostro obiettivo era imbastire un racconto di questi centocinquant’anni che non fosse né retorico, né reticente, né fazioso. È un vero invito a guardare indietro per trovare i difetti da correggere e sviluppare invece i punti buoni per il futuro. Ogni lavoro storiografico che si rispetti deve guardare all’indietro per dire cose utili al presente o al futuro, altrimenti è antiquariato. La mostra tratta molti temi ancora caldi della nostra storia recente. È stato difficile mantenere il giusto distacco per affrontare le questioni ancora irrisolte? Parlare di terrorismo e di mafia, per esempio, ha richiesto molta attenzione. Il lavoro dello storico, in fondo, è simile a quello del medico: deve fare delle diagnosi. Normalmente lo storico lavora con degli strumenti che si avvicinano a quelli dell’autopsia, su un corpo morto. Se invece opera su un corpo ancora vivo, come lo è la nostra storia recente, allora bisogna usare tutta la cautela possibile. Però mi sembra che una diagnosi l’abbiamo fatta. Sempre cercando di non prendere posizioni, ci siamo occupati di fatti documentati, di osservazioni obiettive. Non abbiamo nascosto niente, ma siamo anche stati attenti a non far passare attraverso gli avvenimenti una presa di posizione politica. In un certo senso, è stato difficile allo stesso modo mettere in chiaro quello che è successo nel 1860/61, lasciando da parte l’ottica
di
Rebecca Bottai
nazionalistica. Una volta analizzati i fatti con quest’ottica... resta molto su cui riflettere. Quali sono le parti della mostra che trova meglio riusciti e che consiglierebbe a un visitatore? L’Italia delle città pre-unitarie è una stazione importante, perché visualizza chiaramente che la nostra provenienza da luoghi e da tradizioni molto diversi tra loro. Di conseguenza, al secondo posto metterei la sezione dedicata alla Prima Guerra Mondiale, un episodio luttuoso che però è stato la chiave di volta nella conoscenza reciproca degli italiani, la prima vera occasione di raccolta della parola scritta: 2 miliardi di cartoline, biglietti, lettere spedite e ricevute. Infine, un’area che per me ha un significato profondo è quella sulla mafia, dalla quale emergono qualche luce e molte ombre. È un angolo buio della storia nazionale, una battaglia in cui lo Stato ha fatto la sua parte ma che in fondo non è ancora stata vinta. Molti visitatori sono rimasti colpiti dalle scelte di allestimento della mostra. Abbiamo lavorato tre anni insieme a Studio Azzurro proprio per far crescere di pari passo sia la ricerca storiografica che l’allestimento scenico della mostra. E la riuscita è stata eccellente. Mi piace molto che “Fare gli italiani” parli non solo alla testa ma anche allo stomaco dei visitatori, abbiamo utilizzato l’emozione del video, delle foto animate e delle grandi installazioni per stimolare la riflessione e renderla un’esperienza. Ma senza nessuno spazio per voli di fantasia.
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2011: Torino torna Capitale
La Banca Regionale Europea ha scelto Torino per la sua nuova sede centrale
U
n obiettivo lungimirante, quello di diventare la banca di riferimento del territorio piemontese. Ma a quanto pare la Banca Regionale Europea – di cui è presidente, dallo scorso 11 aprile, il torinese Luigi Rossi di Montelera – ha tutte le carte in regola per realizzarlo. A cominciare dall’ultimo (in ordine di tempo) grande passo compiuto in tal senso: il trasferimento della sede centrale e di direzione da Milano a Torino. Un segnale forte, uno dei passaggi più importanti nella storia della banca, accompagnato da una comunicazione in cui la città è protagonista (e quale simbolo migliore della Mole Antonelliana?), per far sapere ai clienti che la loro banca è ancora più vicina e presente. D’altronde, la Banca Regionale Europea è una banca di solida tradizione piemontese: nata nel 1995 dalla fusione tra la Cassa di Risparmio di Cuneo (dal 1855 un forte punto di riferimento per il territorio) e la Banca del Monte di Lombardia, fa parte di UBI Banca, il quarto gruppo bancario nazionale, e amministra una raccolta totale per oltre 16 miliardi di euro. La scelta di Torino come sede centrale, dunque, è in linea con l’attaccamento al territorio che la banca porta avanti da oltre
centocinquant’anni. «Negli ultimi anni Torino ha registrato l’emigrazione a Milano di molti poteri finanziari,» spiega “Rassegna”, la rivista della Bre. «La nostra scelta è stata di percorrere il cammino opposto. Torino è un grande laboratorio; ha conosciuto nel volgere di pochi anni un cambiamento della struttura produttiva, è tra le città europee più creative, sul piano dell’arte e della cultura; sta riflettendo sul proprio avvenire.» Una decisione strategica, accompagnata dall’apertura di nuove filiali e dall’acquisizione delle filiali piemontesi delle altre banche del Gruppo (attualmente la rete della Bre è composta da 231 filiali, di cui 226 nella nostra regione) e dalla forte volontà di diventare la banca di fiducia per un numero sempre maggiore di piemontesi, rafforzando il rapporto diretto e garantendo ai clienti, grazie alla vicinanza fisica, una risposta immediata per tutte le loro richieste in materia finanziaria. Il legame con il territorio è testimoniato, oltre che dalla storica presenza e oggi da questo importante trasferimento della sede centrale, anche da numerose azioni concrete realizzate in loco. Come la recentissima convenzione con Confindustria Piemonte, con finanziamenti alle piccole e medie imprese per un totale di 150 milioni di euro, per sostenere la ripresa
economica in un momento di crisi. Il messaggio che si vuole comunicare con il rafforzamento della presenza sul territorio è duplice: da una parte quello di una banca vicina al cliente, una banca storicamente “di famiglia” e in cui è importante l’elemento locale. Dall’altra però, resta un punto fermo e importante per chiunque si voglia avvicinare alla Bre, la sicurezza dell’appartenenza a uno dei gruppi bancari più grandi e più solidi d’Italia, sempre attento all’economia reale. Non solo il Piemonte, comunque. Nel bacino d’utenza della Banca Regionale Europea vi sono anche la Valle d’Aosta e la vicina Francia, dove la Bre è presente a Mentone, Nizza e Antibes, e presto anche a Cannes. Il personale è bilingue; particolare attenzione è riservata agli italiani che possiedono o intendono acquistare un immobile. La banca, molto attenta alla comunicazione istituzionale, abbina la propria immagine a partnership di eccellenza, nel campo della cultura e dello sport. Ha la qualifica di Grande Mecenate della Fondazione Torino Musei; è sponsor della mostra Palazzo Carignano. Gli appartamenti barocchi e la pittura del Legnanino; è main sponsor della squadra di volley Bre Banca Lannutti, vicecampione d’Italia.
in queste pagine, palazzo Pallavicino Mossi, in via Santa Teresa, sede centrale e di direzione della Banca Regionale Europea. Il palazzo fu edificato a metà del ’600 e ristrutturato a fine ’800. Nelle foto: uno dei soffitti affrescati, la sala del Consiglio, la facciata e la sala degli specchi.
Perché scegliere la Banca Regionale Europea:
> VICINANZA
Forte di oltre 150 anni di presenza sul territorio, la Bre ha scelto Torino come sede centrale e di direzione, per essere ancora più vicina ai suoi clienti.
> RAPIDITà
Le risposte alle richieste dei clienti vengono date in tempi brevissimi.
> EFFICIENZA
La cultura aziendale della Bre è meritocratica e l’appartenenza a un grande gruppo bancario nazionale garantisce una gamma di prodotti e servizi di alta qualità.
> SOLIDITà
La Banca Regionale Europea è tra le banche più patrimonializzate nell’ambito dell’intero sistema (Cor Tier al 25,3%, Total Capital Ratio 27,6%).
www.brebanca.it
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15 giugno 2011
Tutto e solo di braccia e di badile
CibO
Torino • Museo Regionale di Scienze Naturali
container Il bistrot in gastronomia a pranzo e a cena
slow - food Presidi
Cavour: che l’acqua fosse un bene prezioso, vitale per la campagna, da gestire secondo un sistema associazionistico e non privatistico (una questione su cui si discute ancora oggi, con il referendum dell’ 11 e 12 giugno). L’Associazione d’Irrigazione Ovest Sesia di Vercelli è il consorzio di irrigazione proprio in quegli anni, nel 1853 e tutt’ora funziona grazie a quelle prodigiose infrastrutture. «Questo spettacolo – afferma Ottavio Mezza, presidente di Ovest Sesia, organizzatore e committente di questa pièce originale – vuole essere un tributo a tutti quegli uomini che con il sudore della loro fronte e l’arguzia della loro mente hanno lavorato e lavorano ogni giorno su questo territorio per preservarlo e tutelarlo, animati sempre da una grande passione». L’ingresso al Museo di Scienze Naturali è gratuito, motivo in più per non perdersi la performance di Lucilla Giagnoni, in scena, che ha collaborato alla realizzazione di questo spettacolo con un altro autore piemontese, Francesco Brugnetta. Extra vi invita ad esserci. Noi ci saremo, per raccontarvi ancora meglio i prodigi delle acque piemontesi e di questo canale sul prossimo numero, in uscita a luglio 2011. www.ovestsesia.it
Maestri del gusto dal 2008
G
li organizzatori lo hanno giustamente definito un progetto teatrale eroico. Ed è vero: non solo dà voce a uno dei personaggi più importanti del nostro Risorgimento ma ancora in disparte nei festeggiamenti del Centocinquantenario nazionale – Extra ne sa qualcosa, visto che la redazione si trova proprio a Palazzo Cavour – ma ancor di più porta in scena il lavoro incredibile, Tutto e solo di braccia e di badile, proprio come recita il titolo, di chi ha prestato il proprio lavoro alla realizzazione del Canale Cavour, una delle opere pubbliche più importanti di questo secolo e mezzo. Solo due parole per parlarvi di un cantiere che per dimensioni e importanza è paragonabile a quella che oggi è il TAV. Immaginate di vedere in scena la storia di quello che l’uomo moderno non sa più fare: pensare grandi cambiamenti giusti per il territorio e metterli in atto in breve tempo. Contando sull’intuizione prodigiosa di due ingegneri del territorio (Francesco Rossi e Carlo Noè), in soli tre anni – circa mille giorni di lavoro – hanno terminato la costruzione di una serie di canali che portano le acque degli affluenti locali del Po in gran parte del Vercellese. Fu una delle grandi intuizioni di Camillo Benso di
43 posti a sedere contro il logorio della movida moderna lun. e mart. 11:30/15:00 da merc. a sab. 11:30/15:00 - 18:30/22:30 torino 10125 c.so marconi 33b tel. e fax (39) 011.6506749 www.cibocontainer.it maggio / giugno 2011
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27 - 28 - 29 Maggio 2011 Novello (CN) •
Collisioni 2011
Books & rock tra le colline delle Langhe
18 - 19 Maggio 2011
Jovanotti
Ora (come prima o più di prima?)
Torino • PalaOlimpico
Chi si rivede. Hai voglia a dire che il Jova ormai non è più lui, che i suoi dischi sono ormai uguali a se stessi e che non ha più l’energia di una volta. In verità, Jovanotti continua a maturare e negli ultimi tempi si è perfino concesso qualche apertura a soluzioni stilistiche inedite. E il suo pubblico è troppo fedele per evitargli altre due serate sold out anche a Torino. Con un’apertura a sorpresa dei concerti: Le Luci della Centrale Elettrica.
musica maestro
a cura di bizarre
Da quando il peso culturale della musica è calato (a causa della sua volgarizzazione estrema nell’epoca del download), è diventata un’abitudine associarla ad altre forme d’arte. In particolare, l’abbinamento musica-letteratura si è intensificato, trovando piena realizzazione in rassegne come Collisioni, in cui il rapporto tra le due modalità espressive viene indagato e messo a confronto in un’alternanza di dibattiti, presentazioni di libri scritti da musicisti o concerti in cui il peso della parola ha un’importanza speciale. Intitolata The Rock Edition, questa terza edizione vedrà nomi illustri del panorama musicale nostrano (Caparezza, Ligabue, Finardi, Cristicchi e molti altri) affiancare scrittori di fama, da Hanif Kureishi a Salman Rushdie, da Paul Auster a William Least-Heat Moon. Il tutto in un paesino della zona del Barolo, perché dopo tutto anche l’enologia è cultura. www.collisioni.net
cosa sarà
19 Maggio 2011
Balanescu Quartet I violini di Bucarest
Torino • Hiroshima Mon Amour
Celebre quartetto d’archi rumeno, noto per le sue trasposizioni in musica da camera di successi del pop internazionale, il Balanescu Quartet (dal nome del leader Alexander) ha svolto per vent’anni un ruolo di trait d’union tra la musica classica e il pop. Nella serata segnalata, il repertorio sarà dedicato alla rilettura di brani dei Kraftwerk, come avvenne su disco diversi anni fa; il contrasto tra il sound organico dei quattro archi alle prese con un repertorio che all’origine era solo elettronico appare particolarmente intrigante. www.hiroshimamonamour.org 21 Maggio 2011
Gonjasufi
Freak and Funky: il caso musicale del 2010
Torino • Cortile della Farmacia via Giolitti, 36 (DNA concerti)
Questo strambo personaggio è stato uno dei casi del 2010. Califoniano, metà sciamano e metà freak allucinato, Gonjasufi si è subito fatto notare per saper estendere il concetto di psichedelia con elementi inusuali, come l’hip hop o il funky elettronico. Se è impossibile che dietro alla brillantezza del suo esordio A Sufi And A Killer non ci sia grande professionalità, è ancor più miracoloso che lui riesca a farla apparire frizzante e totalmente spontanea. Il concerto arriva in sordina ma è una data da segnarsi sul calendario. www.dnaconcerti.com 3 Giugno 2011
Einstürzende Neubauten
Blixa & compagni presentano le strategie contro l’architettura
Torino • Teatro Colosseo Musica 90 Off / Blah Blah / Spaziale Festival anteprima 2011
Ovvero come diventare classici dopo essere stati pura avanguardia. Chi conobbe gli Einstürzende Neubauten degli esordi, poco più di trent’anni fa, non avrebbe scommesso una lira sul fatto che il gruppo di Blixa Bargeld potesse un giorno diventare rispettabile e frequentare eleganti teatri e non capannoni dismessi per un concerto. Eppure il passaggio dagli estremismi industrial al sound compiuto e bilanciato di oggi è avvenuto senza clamore, in modo naturale, e il gruppo ha mantenuto nel tempo un’immutata credibilità. www.musica90.net 23 - 26 Giugno 2011
Jazz Refound Festival
Il festival ibrido tra jazz ed elettronica
Vercelli •
Anche quest’anno il Jazz Refound Festival ripropone artisti al confine tra il jazz, l’hip hop e l’elettronica evoluta – stile musicale che ebbe il suo momento di gloria nella seconda metà degli anni Novanta. Riscoprire un virtuoso del djing come Kid Koala o dei prime mover del trip hop come Dj Food (qui affiancato da DK) può avere un che di nostalgico, ma la qualità complessiva dovrebbe essere garantita. Tra i nomi già confermati, i redivivi Casino Royale, e i Raah Project, interessante duo australiano che sa creare atmosfere molto cinematografiche. www.jazzrefound.com
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19 maggio 2011 Grugliasco • Teatro Le Serre
Niccolò Fabi Ricominciare da “Solo”
Q
uesto è quello che Niccolò Fabi ci ha raccontato nel giorno del debutto del suo nuovo “Solo Tour 2011” a Longiano (FC), che lo porterà a suonare a Grugliasco il 19 maggio prossimo al Teatro Le Serre. Sarà l’occasione per assistere a un’interpretazione in chiave acustica del suo repertorio e saggiare le sue doti di cantautore e musicista in un contesto più intimo ed essenziale. C’è qualcosa in particolare che ti porta volentieri a esibirti a Torino? Sicuramente la possibilità di rincontrare un gruppo di persone, che qui abitano e lavorano, a cui sono molto legato. Anche con il loro aiuto, è stato possibile realizzare l’evento del 30 agosto scorso Parole di Lulù a Mazzano Romano, un momento di tale portata emotiva che ha ulteriormente rafforzato la nostra amicizia. Sono ragazzi che ho conosciuto quando collaboravo con Casa Sonica, circa un anno e mezzo fa, insieme a Pierumberto Ferrero di EDP Management. Che immagine hai di questa città? Ho la percezione di una città in continuo cambiamento, da quel giorno in cui ho fatto il “magliettaro” al concerto di Amnesty International allo Stadio Comunale nel 1988 fino all’ultima mia apparizione a Moncalieri nel settembre scorso. La sensazione è che oggi sia tutto molto più colorato, più ricco, più moderno. Non credo che esista una città in Italia che abbia cambiato volto in maniera così radicale negli ultimi vent’anni. Io, che sono così attento ai suoni, trovo che persino la cadenza del torinese sia cambiata: il ragazzo romano che parla in romanesco è pur sempre molto simile ad Aldo Fabrizi. L’inflessione del torinese invece, mi pare arricchita da influenze esterne e più lontana dal classico stereotipo di Macario. Si dice che il torinese è freddo e poco incline agli entusiasmi… Questa cosa non l’ho mai percepita. Credo che ogni artista abbia nello specifico un linguaggio che si può più o meno sposare con una particolare mentalità e
sensibilità: personalmente ho sempre avvertito grande spontaneità e naturalezza nel rapportarmi con il pubblico di Torino. Inizia oggi il tuo nuovo “Solo Tour”, prova a convincermi ad acquistare il biglietto. È un’ora e mezza in compagnia di una persona che racconta una storia, con il proprio linguaggio, al termine della quale si potrà avere abbastanza chiaro, nel bene e nel male, il suo punto di vista sulle cose, senza fraintendimenti. È concepito come un percorso, più che come una sequenza di canzoni: sono certo che tutti coloro che assisteranno a questo spettacolo saranno in grado di dire alla fine “mi piace” o “non mi piace” rispetto a quello che ho fatto negli ultimi quindici anni. La scelta di voler fare tutto da solo sul palco rispecchia la volontà di mettere a nudo la mia essenza, non tanto come ostentazione di me stesso e di quello che sono, quanto per invitare gli altri a fare altrettanto. Ci anticipi qualcosa della scaletta? Metà delle canzoni saranno diverse da quelle della scaletta dell’ultimo tour. Ne ho scelte alcune e non altre perché mi servivano a costruire il percorso di questo concerto, e molte fra queste non le suonavo in pubblico da diverso tempo. Attingerò sicuramente dai miei primi tre dischi, anche da Sereno ad Ovest – quello della canzone Se fossi Marco, per intenderci – che forse è il meno conosciuto. Ti capita spesso di essere dall’altra parte del palco, fra gli spettatori? Sì certo, passare del tempo in compagnia del mondo musicale e dei pensieri di un artista è ancora uno dei viaggi che più mi piace fare, soprattutto in occasione di concerti di artisti poco conosciuti e lontani dalle luci del mainstream, laddove quello che viene rappresentato sul palco è molto più simile alla musica così come la vivo io. Confesso che avrei grande curiosità di assitere dal di fuori a un mio concerto, se non altro per vedere l’effetto che fa!
di
Edoardo Ghiglieno
cosa sarà
MaggIo 2011
zacapa room: pROvaTE iL Rum ChE piaCE a BOTTuRa E RussO
Lì si ri conosce il vero intenditore del bere: è quello che sa che esistono centinaia di rum diversi e sa quale scegliere in ogni occasione. Tartassati da martellanti pubblicità, loro non si lasciano influenzare e magari scelgono un rum guatemalteco, forse non così pop ma proprio per questo migliore, come lo Zacapa. Lo sorseggiano, per esempio, in abbinamento ai dessert degli chef Massimo Bottura de L’Osteria Francescana (nominato miglior chef del mondo 2011 dall’Académie Internationale de la Gastronomie) e Alfredo Russo del Dolce Stil Novo di Torino; come succederà a Torino nel mese di maggio nella Zacapa Room, un salotto di degustazione purtroppo temporaneo, in cui i dolci, creati apposta per l’occasione, saranno valorizzati dal prezioso rum guatemalteco che, per complessità aromatica e morbidezza, presenta con i dessert grandi affinità. www.rumzacapa.it
zacapa room via S. Francesco d’Assisi 114, Torino tutti i giorni 15.30 – 00.00
lo chef Alfredo Russo
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NUOVO FORMATO DA 1 LITRO !
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Tra il 27 e il 29 DE COMPOSTELA ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LOURDES maggio di quest’anno si concentraSANTIAGO un weekend di bella stagione – siamo abituati TERRA alle gallerie SANTA FATIMA ROMA SANTIAGO DE COMPOSTELA ASSISI C aperte per Artissima, che però è sempre a novembre – e di grande arte contemporanea. ROTONDO ROMA LOURDES TERRA SANTA FATIMA SANTIAGO DE COM Immaginatevelo: ouverture notturne, aperitivi, SAN GIOVANNI ROTONDO LOURDES TERRA SANTA FATIMA oltre 100 collezionisti, artisti (tra LORETO questi Chen Wei, alla Galleria Glance, opera nella foto), ROMA ASSISI LORETO SAN GIOVANNI ROTONDO LOURDES TERRA S curatori e direttori di istituzioni culturali provenienti dall’estero e dal restoCOMPOSTELA d’Italia, ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LOURDES SAN GIOVANNI espressamente invitati dall’associazione. Per TERRA SANTA FATIMA ROMA SANTIAGO DE COMPOSTELA chi ha poi le facoltà, intellettuali e LOURDES bancarie, per acquistare... ebbene sarà un finale di maggio da GIOVANNI ROTONDO ROMA LOURDES TERRA SANTA TORINOFATIMA SANTIA non dimenticare. www.torinoartgalleries.it ASSISI LORETO SAN GIOVANNI ROTONDO LOURDES TERRA SANTA CZESTOCHOWA ROMA ASSISI LORETO SAN GIOVANNI ROTONDO LOU Maggio - oTTobRE 2011 SANTIAGO COMPOSTELA ASSISI CZESTOCHOWA LOURDES ROMA Sunshine GospelDEChoir – GIOVANNI ROTONDO LOUR DE TERRA ROTONDO LOURDES TERRA FA Hey man (in Torino)! ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LORETO TERRA SANTA ROMA ROTON torino • l’inverno,CZESTOCHOWA ma questa formazione di ROMA ASSISI FATIMA SAN GIOVAN Qualche tempo fa ci è capitato DE COMPOSTELA 40 elementi diretti dai solisti Alex in redazione il libro fotografico FATIMA SANTIAGO DENicolosi COMPOSTELA ROMA CZESTOCHOWA ROMA ASS Negro e Giuseppe ogni anno di Corrado d’Angelo dedicato a partire dall’autunno tiene corsi di al Sunshine Gospel Choir, una TERRA SANTAcoroFATIMA ROMROMA ROMA SANTIAGO DE ASSISI COMP e si esibisce in concerti privati e formazione torinese di voci gospel pubblici soprattutto a benefico. che nel 2008 ha LOURDES compiuto i suoi dieci SAN GIOVANNIscopo ROTONDO LORETO COMPOSTELA GIOVANN Per i tanti appassionati del genere, anni di attività e che si è ritagliata ROMA SANTIAGO SANTA FATIMA ROMA ASSISI SANTIAGO DE C è questo DE il momento di informarsi, una sua popolarità in città. Sappiamo iscriversi, provare a cantare. E per i che il gospel – la creatura musicale LORETO GIOVANNI ROTONDDO TERRA SANTA LORETO ROMA FA fan del gospel, il Sunshine Choir nata dalle work songs degli schiaviSAN veri ha un repertorio ASSISI da matrimonio diLORETO SAN GIOVANNI ROTONDO LOU nelle piantagioniCZESTOCHOWA americane e che ROMA tutto rispetto, per riempire la chiesa – oggi è l’emblema della potenza della Sul sito www.odpt.it riportato il COMPOSTELA ROMA ASSISI LORETO èSAN GIOVANNI e CZESTOCHOWA non solo – di soul. musica nera in salsa occidentale www.sunshinegospel.com – si canta più facilmente durante catalogo integrale “NEI LUOGHI ROMA SANTIAGO DE COMPOSTELA ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LOU DELLA FEDE” con tuttle le proposte di pellegrinaggi 2011: Lourdes, GIOVANNI ROTONDO LORETO SAN GIOVANNI ROTONDO TERRA SANT Terra Santa, Fatima, Santiago ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LORETO de SAN GIOVANNI ROTONDO ROM Compostela, Czestochowa, Russia, ROMA Armenia ASSISI e tutti i più SANTIAGO DE COMPOSTELA CZESTOCHOWA LORETO S importanti Santuari in Italia e SANTA FATIMA SANTIAGO DE COMPOSTELA all’estero. CZESTOCHOWA L’Opera DiocesanaROMA AS Pellegrinaggi è aDE disposizione LOURDES TERRA SANTA FATIMA ROMAdi SANTIAGO COMPOSTELA gruppi Parrocchiali, Enti e GIOVANNI ROTONDO LORETO SAN GIOVANNI LOURDES TE AssociazioniROTONDO per la realizzazione di itinerari personalizzati per COMPOSTELA ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LORETO SAN GIOVANNI qualunque destinazione. FATIMA SANTIAGO DE COMPOSTELA CZESTOCHOWA ROMA ASSISI L Matteotti, 11 - 10121 Torino TERRA SANTA FATIMA SANTIAGO DE Corso COMPOSTELA R tel. 011 5613501 - fax CZESTOCHOWA 011 548990 info@odpt.it www.odpt.it ROTONDO LOURDES TERRA SANTA FATIMA ROMA SANTIAGO DE COM | LOURDES SAN GIOVANNI ROTONDO LORETO SAN GIOVANNI ROTOND SANTIAGO DE COMPOSTELA ASSISI CZESTOCHOWA ROMA LORETO S TERRA SANTA FATIMA SANTIAGO DE COMPOSTELA CZESTOCHOWA R
NEI LUOGHI DELLA FEDE
OPERA DIOCESANA PELLEGRINAGGI
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dal 12 maggio 2011 • torino
TOCCARE IL TEMPO
ERSEL PORTA A TORINO LE OPERE DI KAN YASUDA
A partire da giovedì 12 maggio e fino a venerdì 16 settembre Torino ospita nella doppia location del Parco del Valentino e dello spazio Ersel (piazza Solferino, 11) una mostra del grande artista giapponese Kan Yasuda. Dieci sculture monumentali dislocate all’interno del cortile della Facoltà di Architettura e lungo un percorso che attraversa il Borgo Medievale, la Fontana dei Dodici Mesi e l’Imbarco del Re, fanno da cornice ad un’esposizione di opere in marmo e bronzo, bozzetti, progetti e immagini, che sarà ospitata all’interno della sede di Ersel, in piazza Solferino 11. Viene così tracciato il vero e proprio percorso creativo dell’artista nipponico che da diversi anni risiede e lavora a Pietrasanta, in Toscana. L’idea che si cela dietro alle maestose sculture di Yasuda è la possibilità di cogliere l’attimo nel momento storico dell’opera: attraverso il tatto e il contatto con l’opera stessa è possibile avvertire il fluire del tempo e fermarlo per un istante. L’esposizione è organizzata in collaborazione con la “Fondazione Renzo Giubergia” e con il patrocinio della Città di Torino nell’ambito di “Esperienza Italia 150”; l’allestimento della mostra, visitabile gratuitamente da lunedì a venerdì dalle 10 alle 18, è curato dalla gallerista Barbara Paci. Ancora una volta quindi, Ersel regala alla città la possibilità di ammirare le opere di un grande artista, passeggiando nel principale parco torinese e presso la prestigiosa sede di palazzo Ceriana. Grazie all’importante attività di promozione culturale che la storica società di gestione patrimoniale da anni porta avanti con successo, moltissimi appassionati hanno potuto ammirare gratuitamente alcuni dei più ricercati capolavori dell’arte figurativa e della fotografia. Ersel piazza Solferino 11 dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 18 www.ersel.it
Corpo Celeste alla volta di Cannes Quale onore, essere confermati ancor prima del termine previsto (e non si è trattato di rumors, ma di una conferma ufficiale con tanto di complimentoni!) come partecipanti al 64° Festival di Cannes. Un onore che si è meritata Alice Rohrwacher, giovanissima regista alla sua opera prima Corpo Celeste. Il film parteciperà infatti nella sezione “Quinzaine des realisateurs”, fortemente voluto dal delegato generale Fredric Boyer, che dice di non aver avuto dubbi in merito. E, visto che la Rohrwacher (sorella d’arte dell’acclamata protagonista de La solitudine dei numeri primi) ha studiato alla scuola Holden di Torino, questo preannunciato successo è anche un po’ cosa di casa nostra. Tanto più che, quest’intimista storia di formazione di una giovane ragazza tra la Svizzera e Reggio Calabria (difficile immaginare due realtà tanto diverse), è interpretata dall’attrice vercellese Anita Caprioli che, oltre a essere piemontese, lega il suo successo al film più torinese degli ultimi anni, Santa Maradona di Marco Ponti. A noi, tanto basta per “adottare” questo film e per fare il tifo per Alice Rohrwacher.
11 - 12 giugno 2011 • la morra (cn)
Torna a La Morra Libri da Gustare Noi che, orgogliosissimi, editiamo la guida ai centocinquanta ristoranti e piole di città e dintorni, non potevamo certo fare a meno di segnalarvi il quidicesimo appuntamento con “Libri da Gustare”, il Salone del Libro Enogastronomico e di Territorio che si terrà l’11 e 12 giugno a La Morra (Cuneo). Il premio è ghiotto: si tratta di eleggere i titoli più gustosi dell’anno, fra saggi, ricettari e romanzi che abbiano come argomento due delle nostre attività preferite: mangiare e bere. Per chi vuole unire la passione per la tavola a quella per la lettura.
cosa sarà
15 maggio 2011 • Villafranca d’Asti 28 - 29 maggio 2011 • Montemagno (AT)
Enogastronomia di primavera… in Monferrato Il risveglio dei sensi primaverile porta con sé anche un sollecito delle papille gustative e del languorino stomacale. Assecondatelo, poiché con le belle giornate di sole è sempre più appagante una bella gita enogastronomica nelle campagne piemontesi di una giornata in spiagge troppo affollate per riuscire a rilassarsi. Qualche idea interessante arriva da alcuni comuni che aderiscono al Gal Basso Monferrato Astigiano, che hanno deciso di puntare sulla “riscoperta” delle tradizioni, dei sapori, della propria identità anche attraverso il recupero delle antiche fiere storiche. Il 17 aprile è stato inaugurato a Cocconato il circuito con l’antica fiera di San Marco, Riviera in Fiera, ricco di spettacoli e specialità gastronomiche. Il suo clima mite e la bellezza delle vie medievali non smettono di stupire. Il vino è stato invece protagonista dell’evento Contrade del Freisa a Buttigliera d’Asti, il 1° maggio, dove i presenti hanno potuto degustare i migliori Freisa, vino allegro e
per informazioni: Cooperativa La Pervinca Agenzia Viaggi Incoming Turismo e Territorio www.welcomepiemonte.it – info@welcomepiemonte.it Gal Basso Monferrato www.monferratoastigiano.it
festoso che caratterizza proprio questa zona del Piemonte, non senza aver fatto prima una tranquilla passeggiata in vigneto o visitato una cascina accompagnati da un esperto. Per soddisfare gli amanti dei salumi Villafranca d’Asti il 15 maggio vi propone la fiera Maiale d’autore: un viaggio nella ricerca dei sapori monferrini, fra insaccati e trionfo di carni varie, con varianti che promettono di essere davvero imprevedibili. Il 28 e 29 maggio, a Montemagno, si può invece riscoprire il gusto dell’alimento base per eccellenza, durante la fiera Pane al Pane, con un mercatino in cui la farà da padrona la tradizionale “grissìa“ a pasta dura monferrina. Spingendosi un po’ più in là verso l’estate, il 12 giugno, a Tigliole, è nuovamente protagonista la carne di razza piemontese, con la fiera Stelle in stalla. I vegetariani, invece, potranno godersi il 28 agosto la fiera “Dolci e colline” a Cinaglio, dedicata allo storico canestrello e alle dolci tipicità della Val Rilate.
La quiete e l’eleganza del locale e del servizio che non scende a patti con il calore e la cortesia. Una cucina guidata da un cuoco di esperienza e professionalità invidiabili. I prezzi e l’atmosfera di una trattoria inseriti in un ambiente sobrio e moderno Il Mon Amì racchiude in sé tutto il positivo del mangiare fuori. Un trampolino ideale dove cenare e divertirsi prima del tuffo nella movida del Quadrilatero romano
via San Dalmazzo 16 10122 Torino | tel. +39 011 538 288 chiuso domenica sera e lunedì maggio / giugno 2011
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3 - 23 giugno 2011
A teatro sulle Colline Colline Torinesi •
È all’insegna del poliglottismo più estremo la sedicesima edizione del Festival delle Colline Torinesi. L’estremo non sta tanto nelle lingue europee (francese, catalano e tedesco) portate in scena con la traduzione e la sottotitolatura, ad esempio, nell’anteprima assoluta de L’Entêtement di Rafael Spregelburd (coprodotto col prestigioso Festival d’Avignon) o nello spettacolo (segnalato come migliore produzione tedesca degli ultimi anni) Othello, c’est qui, diretto da Monika Gintersdorfer. Quest’anno infatti, anche per collegarsi alle celebrazioni dei centocinquant’anni dell’Unità, il Festival lancia il progetto “Lingue Regionali Italia 150”, scegliendo di dedicarsi ai dialetti italiani, in un viaggio culturale che percorre la Penisola da Nord a Sud. Si dà così vita a sperimentazioni particolari, come a un’Alcina dell’Orlando Furioso che parla un inedito romagnolo. Il piemontese è invece rappresentato da Beppe Rosso, che mette in scena sei testi della drammaturga torinese Donatella Musso dal titolo Nord Ovest. Indagano l’Italia degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, del boom economico e del terrorismo. Di qualsiasi idioma siate nostalgici o appassionati, probabilmente troverete pane per le vostre lingue in uno dei 18 spettacoli proposti. www.festivaldellecolline.it
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LA METAFORA dEL MARE È PERFETTA: QuESTO È un dISCO CHE CAMBIA A OGnI ASCOLTO. un LAvORO CORALE, MA CHE COnTEMPORAnEAMEnTE RIESCE A ESALTARE LA SOLITudInE CHE È TIPICA dEL MARInAIO: IL vIAGGIATORE SOLITARIO È QuELLO CHE ARRIvA PIÙ LOnTAnO. Vinicio capossela_p.32
foto di Massimo Pinca maggio / giugno 2011
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Capossela racconta il suo nuovo doppio album e lo spettacolo, la sua “Marina Commedia” fatta di balene, sirene, secche in vista e marinai. Cose che un tempo cercava in riva al po Di
Valentina Dirindin foto di
Simone Sargentini
I
ntervistare Vinicio Capossela è una di quelle cose che mettono un po’ di ansia addosso. D’impatto, non sai bene cosa aspettarti, ma quando il suo ufficio stampa ti chiede di usare discrezione nel fotografarlo, arrivi alla conclusione che di fronte ti troverai un intellettuale decisamente sulle sue, snob e restio a parlare con la stampa. Invece Capossela è uno che sa stupire. Un po’ come la sua musica: a volte divertente, a volte ricercata fino al limite dell’ascoltabilità per un orecchio abituato al pop, ma mai banale. Quello che non ti aspettavi, eccolo lì: un cantautore sorridente, uno che ringrazia quando gli viene posta una domanda che lo lusinga o che solletica il suo ragionare. E il suo ragionare è attento, al punto che spesso si ferma e guarda per svariati secondi fuori dalla finestra in silenzio, mentre tu rimani lì a pendere dalle sue labbra, perché ormai hai intuito che non si può prevedere quello che ne uscirà. Poi, parte con un pazzesco stream of consciousness, incredibilmente pindarico ma mai forzato, che ti conduce in un viaggio dall’Antica Grecia alla Bibbia, passando da sconosciuti cineasti ungheresi a Bob Dylan, da Dante a Melville, il tutto condito da innumerevoli
dal tango del murazzo al mare aperto metafore marine che, chissà come, riesce sempre a infilare in ogni discorso. Incontriamo Vinicio all’Acquario Civico di Milano, il luogo perfetto («Quasi fossi un pesce in via d’estinzione») dove presentare il suo ultimo lavoro, un concept album dal titolo Marinai, Profeti e Balene. “ll Marinaio – ci spiega – rappresenta l’uomo nel viaggio della vita; il profeta è l’enigma che condisce l’esistenza; la balena rappresenta invece l’essere fuori misura: nel libro di Giobbe Dio la pone ad esempio della grandezza della sua creazione. Rappresenta le cose fuori misura, un po’ come questo cd, che è doppio: mi piace perché richiama il gesto di cambiare lato tipico del vinile.» Come è nato questo lavoro, un concept album con diciannove canzoni monotematiche? Per me è più facile occuparmi di dieci canzoni contemporaneamente piuttosto che di una sola. Una canzone solitaria è un fatto casuale, dieci riempiono un argomento. In generale, penso che un disco debba essere un’opera, in cui i pezzi sono intrinsecamente legati: uno non può fare a meno dell’altro. E perché ha scelto come tema il viaggio e l’oceano? Intanto la metafora del mare pare perfetta: questo è un disco che cambia a ogni ascolto. È un lavoro
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corale, con numerose collaborazioni, ma contemporaneamente riesce a esaltare la solitudine che è tipica del marinaio: il viaggiatore solitario è quello che arriva più lontano. Sono affezionato alle figure di chi intraprende i viaggi in mare; l’Odissea mi è più familiare del Vangelo. È un disco antropologico, che parla di tutti: quando si è giovani si racconta se stessi, le proprie emozioni; poi dalla lirica si passa all’epica, perché si capisce che il proprio destino è condiviso. In questo disco ci sono molte citazioni letterarie, a partire dal Moby Dick di Melville. Che rapporto ha con musica e letteratura? Io credo che la vera missione di chi scrive, i libri come i testi musicali, sia educarsi ed educare. In questo disco non c’è solo la letteratura di mare, anche perché in realtà io sono più attratto da quella di terra. Ci sono molte citazioni della Bibbia, che poi è uno dei testi più saccheggiati dal rock. In generale, a me piacciono i libri che hanno a che fare con la comunità. Un libro che mi ha ispirato per questo lavoro, ad esempio, è “I racconti dell’Ohio”, di Anderson Sherwood, un libro di novelle che messe insieme formano un romanzo... un po’ come il mio album. Il tour che ne consegue, con quindici date, si concluderà con un concerto al Castello Aragonese di Ischia, là dove Capossela ha voluto incidere il disco «perché – spiega – uscire dalle dinamiche dello studio di registrazione non è facile, ma permette maggiori libertà, come quella di suonare alle due di notte. La difficoltà è la cosa che più stimola l’immaginazione, mentre la facilità aiuta l’interpretazione».
In effetti, deve essere stato tutt’altro che facile registrare lì... È vero. Ho voluto far portare fin sul Castello, a ottanta metri a picco sul mare, un pianoforte-capodoglio degli anni Trenta. Mi sono voluto isolare con lo strumento a cui sono più legato. Il piano è uno strumento di bordo, una sorta di imbarcazione lignea. Obbliga alla sedentarietà, alla staticità: è come la montagna, devi andarci tu. La chitarra è uno strumento più libero, che permette anche cose di gruppo, mentre il piano è più solitario. Era ciò di cui avevo bisogno per incidere questo disco. Come ha vissuto quel periodo di registrazione? È stato tutto un po’ strano, ma d’altronde quando lavoro devo mettermi in viaggio verso l’ignoto, come facevano nell’antichità. Devo pormi delle domande, chiedermi dove sto andando, chi devo incontrare. Dante definisce folle il viaggio di Ulisse: se la follia è rompere i legami consolidati, le convenzioni, allora siamo tutti un po’ folli. Il 16 maggio il suo tour ha toccato Torino, in quel Teatro Regio tempio della grande lirica. Che effetto fa suonare in un teatro così illustre? È ovviamente un onore. Il Regio è perfetto per questo concerto marino, perché la sala ha la forma di una conchiglia. Farà quindi parte della scenografia dello spettacolo, che di per sé è molto semplice: vede me, la mia ciurma di musicisti e il coro racchiusi in uno scheletro di balena. Ma lo scorso 21 dicembre è stato da Giancarlo, ai Murazzi. Come concilia due luoghi e due tipi di pubblico così diversi? Credo che abituarsi all’elasticità e all’eclettismo permetta di avere più libertà, e questo è molto bello. Sotto Natale festeggiavo il ventesimo anno dalla pubblicazione di All’una e trentacinque circa, e ho deciso di fare cinque o sei concerti in luoghi che per me avevano un significato affettivo: i Murazzi fanno parte della mia epica personale. Il Regio è invece un luogo che non appartiene solo a me e, come dicevo prima, questo è un disco corale, che parla di tutti. Ci torna, ai Muri? Purtroppo non ci torno spesso. Ho sempre avuto un amore per i bassifondi, per gli abissi: ai tempi i Murazzi erano i bassifondi di Torino. Inoltre Torino è sempre stata la città dell’oscurità, permeata di una sorta di magia alchemica che mi affascinava moltissimo in un certo periodo della mia vita. Avete presente I sotterranei di Kerouac? Ecco, io legavo Torino a quel romanzo.
I Murazzi fanno parte della mia epica personale. Il Regio è invece un luogo che non appartiene solo a me, più adatto a un disco corale come questo, che parla di tutti
avete presente “I sotterranei” di Kerouac? Ecco, io legavo Torino a quel romanzo
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dieci motivi per amare Torino quali sono le cose che rendono questa città sempre più bella? Ce lo siamo chiesti e lo abbiamo chiesto a otto amici, e abbiamo finito per compilare una lista che va dalla cultura all’impresa, dai musei alle sponde del fiume
1 _ lo charme dei musei
Palazzo Madama
Torino tocca a malapena i novecentomila abitanti. Se il parametro è il mondo, è poco più di un paese: una frazione di Milano, un decimale di New York, una particella di Città del Messico, di Pechino. Eppure ha un’offerta museale che se la gioca con i big. Davvero. Non è la solita tirata promozionale. Le Regge, Venaria, Palazzo Madama, il Museo del Cinema, quello dell’Auto, le mostre in corso alle OGR: questi posti qui sono ai massimi livelli. Massimissimi. Poi incontri il torinese che va al Museo delle Scienze della Grande Mela e non è mai stato alla Mole: vergogna! Gli altri non sappiamo, ma i soldi che Comune & co hanno speso qui, sono stati spesi bene.
2 _ il rigore degli intellettuali
3 _ il vigore della piccola impresa
Grom
C’è tutta una leva di imprenditori che fa business alla piemontese. Cioè: qualità, innovazione, legalità. A forza di dare addosso ai capitalisti si è dimenticato che senza aziende non si crea ricchezza. Certo, c’è padrone e padrone, anche sotto la Mole: quelli che si riempiono la bocca di valori e poi producono roba scadente fabbricata in Paesi low cost (e low rights), ma anche quelli che formano i dipendenti, pagano le tasse e soddisfano i clienti. Questi sono quelli che amiamo.
4 _ le piole, quelle rimaste
Osteria I Valenza
A Roma ci sono i politici. A Milano gli imprenditori. E a Torino: gli intellettuali. Con l’aria che tira, pare una roba da salotti bene e da perdigiorno, invece un Paese avrà ben bisogno di chi tenta di capire passato e presente e di immaginare un futuro (migliore, possibilmente). Non sappiamo se la capitale si senta rappresentata dal Palazzo, se i meneghini siano fieri di Moratti. Quel che è certo, è che per noi Bobbio prima e Zagrebelsky adesso sono la faccia della Torino – e dell’Italia – migliore.
Senza far piagnistei passatisti, ma le piole ci mancano da morire. Il proliferare incontrollato di regole, i gusti e la globalizzazione le stanno spazzando via, ma a cercarli con lanternino a Torino esistono ancora posticini densi di umori, di storia, di barbera, di canzonaccie e di cucina casalinga. Postini che raccontano il Piemonte che fu, ma pure quello che è: la vera piola è cosa popolare, e se cambia la gente – che sia nata a Porta Palazzo, a Saluzzo, a Pizzo Calabro o a Marrakech – cambia anche lei. Lunga vita alle bettole.
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5 _ la nuova mobilità
To-Bike
6 _ la generosità dei volontari
I volontari di Italia 150
S’è fatta aspettare davvero a lungo, ma un nuovo tipo di mobilità sta finalmente arrivando a Torino. La città delle auto ha scoperto le gioie della metro e la spensieratezza della bicicletta. Era l’ora. E poi con i parcheggi sotterranei le macchine non scompaiono, ma almeno si nascondono (sul dibattito se abbia senso o no farli in centro sarebbe troppo lungo, qui, sindacare). Certo, tutto si può migliorare: la subway non può rinunciare alla seconda linea, il bike sharing è in crisi di crescita e non è sempre facile trovare un mezzo funzionante. Ma tutto è meglio delle quattro ruote. Che se le comprassero gli americani, le auto, visto che si prenderanno l’headquarter Fiat.
Il volontariato sociale è da sempre uno dei tratti tipicamente torinesi: vedi Don Bosco, vedi il Cottolengo, vedi il Gruppo Abele, vedi il Sermig, vedi gli Scout. Ma è con le Olimpiadi che i torinesi hanno scoperto quanto possa essere divertente mettersi al servizio della collettività non solo per il bene ma anche per il bello. Ormai è quasi cool – per gli studenti, per i pensionati, per chi c’ha tempo – mettersi una marsina colorata e trasformarsi, anche solo per qualche giorno, in guida turistica, in punto informazioni, in assistente a questo o a quello. Un modo attivo e bello di vivere la cittadinanza. Viva i volontari, vecchi e nuovi.
7 _ le aree riconquistate dai pedoni
via Doria angolo via Carlo Alberto
I nuovi torinesi sono come il gas: se gli dai uno spazio, lo invadono. Dopo secoli rinchiusi nei nostri tinelli maròn, abbiamo scoperto da poco che sotto sotto siamo mediterranei e abbiamo un’indole più catalana che mitteleuropea. Viene pedonalizzata una piazza? È piena di gente. Apre un dehors? È pieno di gente (anche se è febbraio). Un cantiere chiude al traffico una via, anche solo provvisoriamente? È piena di gente. Abbiamo voglia di stare insieme, abbiamo voglia di stare per strada, abbiamo voglia di berci una barbera seduti su un gradino. Evviva. E se la signora al secondo piano si lamenta per il rumore, ci sono gli incentivi per i doppi vetri (oddio: forse non più. E allora tenteremo di abbassare la voce).
8 _ l’integrazione di san salvario
Ci sono posti che continuano a essere difficili da frequentare, come un pezzo (non tutta) di Porta Palazzo. Ci sono posti che hanno un po’ tradito la propria storia, come il Quadrilatero. C’è un posto, invece, in cui i sedimenti migratori hanno trovato un equilibrio che si sta dimostrando dinamico ma stabile: San Salvario. A San Salvario ci sono i vecchi piemontesi, ci sono i pugliesi, gli abruzzesi, e calabresi del Dopoguerra, ci sono i maghrebini, i rumeni, gli albanesi. Il territorio non solo ha resistito a tutte queste ondate, ma pure all’ultima, la più perniciosa: quella dei giovani designer. Il miglior esempio italiano di convivenza che non annichilisce le identità.
Bibo in via Berthollet
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9 _ le rive del po
Le città di mare sono imbattibili. Ma tra le altre, quelle tagliate da un fiume sono le più belle. Considerando che Torino di canali ne ha quattro, non può che essere splendida. Soprattutto perché ne tratta (abbastanza) bene le sponde, che sono lo sfogo verde più amato dalla gente. Un fine settimana di sole non andate al mare, in montagna, in campagna: fermatevi qui e fatevi un pic nic al Valentino. Per carità: non che non ci siano cartacce, cicche o cacche, ma in buona sostanza si sta bene. Ci sono le famiglie di tutti i paesi che bighellonano, i bimbi che giocano, i frikkettoni che fanno volare il diablo e una bibita in un baracchino costa poi solo due euro.
10 _ i vip orgogliosi
Ammesso che dei VIP a uno glie ne possa fregare o anche no, hanno un ruolo fondamentale in questa post-moderna società dello spettacolo: sono quelli che fanno opinione. Perché li conoscono tutti, perché li si vede pure sulla rivista dal parrucchiere (sulla quale magari capita di meno di trovare gossip su Zagrebelsky). E allora il fatto che tanti torinesi eccellenti siano uno spot vivente della propria città non può che inorgoglire: Littizzetto, Subsonica, Brachetti, Lavazza, Chiambretti non fanno altro che dire quanto è figa Torino. E tutte le volte che lo fanno, ci sentiamo un po’ fighi pure noi. Che male – per una città abituata a stare col capo chino sul tornio – non fa.
Si ringrazia l'ospedale Sant'Anna per la gentile concessione della foto della campagna "Una rosa per il Sant'Anna"
I v I T O ) M E I R C A E I I d d O E ( E R A M A … O PER d n O C E S O TORIn dario bragaglia maurizio crosetti
giornalista
giornalista
1. perché ci sono nato (quindi è un po’ mamma) 2. il parco della Maddalena nelle giornate più fredde 1. perché è una citta seria ma non noiosa, rigorosa
ma non pedante 2. perché è aperta alle contaminazioni 3. perché si può camminare tanto, senza andare a sbattere in un parafango parcheggiato male 4. per la luce della collina e del Po, e dei giardini Cavour 5. perché si trovano ancora, poco ma si trovano, le acciughe al verde 6. per le bancarelle dei libri e delle cose vecchie 7. perché posso provare ad andarci in bici senza farmi ammazzare 8. per i parchi, ma soprattutto per la gente dei parchi, compresi i romeni che fanno la grigliata 9. perché, se proprio devo usare l’auto, attraverso la città in mezz’ora al massimo e riesco a parcheggiare più o meno ovunque, con un po’ di pazienza e qualche monetina 10. per i miei angoli, le mie piazzette, certe vie a sghimbescio (non è vero che sono tutte dritte e parallele), insomma per la bellezza del piccolo e seminascosto, una bellezza direi autunnale
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
il sabato pomeriggio in via Roma il tram numero 4 che non arriva dopo la partita l’arroganza della doppia fila, sempre più estesa un senso di superiorità quasi sempre ingiustificato certi bar “ai tèc” i giovani stilisti, i giovani scrittori la fissa del cibo e del vino di territorio, della toma doc, del rosso barricato, della carne di Eataly, che palle 8. le cacche dei cani spalmate ovunque come nutella, ovvero certi padroni dei cani medesimi 9. la movida rombante di via Pescatore e via Mazzini angolo Lagrange, insomma i fracassoni di marroni 10. il lagnoso provincialismo over 50 anni, e com’era meglio una volta madamìn
d’inverno con la neve (ci vado a piedi da casa e mi sembra di essere in montagna) 3. il parco della Maddalena durante la fioritura dei rododendri (ci vado a piedi da casa e mi sembra di essere in Himalaya) 4. una sosta per una birra ad uno degli imbarchini sul Po (ci vado a piedi da casa e mi sembra di essere al mare) 5. sedermi sul metro nel primo o nell’ultimo vagone e vedere la prospettiva del tunnel dove fa le curve ed è ondulato per il sali-scendi 6. perché dopo la stazione di Torino Stura il Freccia Rossa comincia ad accelerare e so che in poco più di mezzora sarò a Milano 7. il Toro 8. perché per strada incontro sempre più spesso coppie di ragazzine, una velata e una no. Sembrano educate e gentili: so che sono loro il futuro di Torino 9. perché da casa mia vedo il Monviso e il Monte Rosa e so che là dietro, a un tiro di schioppo, c’è l’Europa e spero che Torino ci stia attaccata 10. perché l’altro giorno (poco prima che arrivasse la vostra mail) ho conosciuto un ex dirigente Fiat che mi ha fatto vedere un vecchio quaderno dove ha incollato (in tempi non sospetti e con lampi di genialità) decine di decaloghi ritagliati da giornali e riviste (giuro, è vero!)
1. certe settimane invernali senza pioggia, senza vento e
polveri sottili che ti tolgono il respiro
2. quelli che gettano di tutto dal finestrino dell’auto
(sono tanti) il limite dei 50 km/h in posti insensati le bici mancanti nelle postazioni ToBike il cantiere infinito di Piazza Statuto e dintorni la qualità media della nuova architettura la Juve i collegamenti da Torino all’aeroporto (e viceversa), non degni di una città europea 9. l’isolamento: la mancanza di collegamenti aerei diretti con tante capitali e città europee 10. la baraccopoli lungo la Stura 3. 4. 5. 6. 7. 8.
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extracover alberto cirio assessore Regione Piemonte
fabio geda scrittore
1. le aree riconquistate ai pedoni 2. l’integrazione di San Salvario 3. le rive del Po 4. lo charme dei musei 5. il cioccolato 6. la promozione della lettura e della scrittura 7. i mercati 8. il laboratorio sociale 9. la cultura progressista 10. la vicinanza alle montagne
1. il palazzaccio davanti al Duomo 2. lo smog 3. gli amici che sono costretti a trasferirsi a Milano
per lavorare le buche nelle strade la nuova edilizia abitativa che sembra già vecchia lo slalom tra le macchine a cui sono costretti i ciclisti certi palazzi abbandonati (come la vecchia Astanteria di via Cigna) 8. i taxi troppo cari 9. la mancanza di un treno che unisca Porta Nuova e Porta Susa all’aeroporto di Caselle 10. l’assenza di squadre competitive nel basket e nella pallavolo 4. 5. 6. 7.
I v I T O M RE) A I d dIECI O (E E R A M … O PER A d n O SEC O n I R TO
1. I caffè storici 2. I portici e le piazze 3. I musei 4. La Reggia di Venaria 5. La Torino magica 6. Il PalaIsozaki 7. Il Delle Alpi 8. La vista del Monviso oltre l’orizzonte 9. La movida del Quadrilatero romano 10. Il bicerin e i gianduiotti
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Il traffico (a paragone con Alba) L’insicurezza di alcuni quartieri Le buche sull’asfalto e i marciapiedi L’assenza di spazi gioco per i bambini L’eccessivo snobismo di certi salotti Lo smog L’accattonaggio e l’arroganza di certi lavavetri e venditori abusivi 8. La maleducazione dei parcheggiatori abusivi 9. L’assenza di un servizio di trasporto pubblico adeguato a una città europea 10. I pochi giovani nei ruoli di comando della città
rosalba graglia giornalista
1. La collina e le rive del Po a primavera 2. Il museo del Cinema 3. I gelati e il cioccolato 4. Le pasticcerie d’antan e i caffè di charme 5. L’understatement dei torinesi 6. I visionari che ci hanno vissuto: Antonelli, Salgari.. 7. Aver creduto nella rivincita della città 8. Il design e la moda che hanno resistito qui 9. L’arte contemporanea 10. Quando i turisti,specie se milanesi, dicono “non me
l’aspettavo così bella”
11. Le bocciofile lungo il fiume 12. Le piazze barocche del centro, quando cala la sera
1. il troppo understatement dei torinesi 2. le cacche dei cani 3. quelli che vanno in bici sui marciapiedi e sotto i portici 4. quelli che lasciano la macchina sulle piste ciclabili 5. le multe appioppate senza buon senso dai GTT 6. i posteggiatori abusivi attorno agli ospedali 7. l’essersi fatta portar via un sacco di idee 8. il profilerare di piadinerie e focaccerie 9. i cani senza guinzaglio né museruola al parco 10. le fiere & baracconi in centro 11. il palazzaccio
marco ponti regista
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Il profumo dei tigli in fiore quando arriva la primavera I ristoranti, le trattorie, i caffè La Juventus Il Museo Egizio Le montagne quando l’aria è limpida e si vedono bene Le luci (d’artista e non d’artista) la notte Le bancarelle dei libri L’immenso laboratorio di idee che da sempre Torino, anche soffrendo, non può fare a meno di essere 9. I festival del cinema, da Sottodiciotto a GLBT a tutti gli altri 10. Piazza Carignano mangiando un gelato di Pepino
1. Le piste ciclabili che improvvisamente spariscono
nel nulla
2. Quelli che ti suonano se non parti al verde come
bruno boveri
governatore Slow Food Piemonte e Val d’Aosta
Alonso
3. Quelli dei negozi che non ti filano se non ti conoscono 4. Quelli che non hanno ancora capito che assieme
ai nuovi italiani si vive meglio 5. Quelli che hanno sempre paura che Milano ci rubi le idee 6. Quelli che se non sei di Torino sei subito migliore 7. Quelli che trovano più di dieci motivi per non amare questa città
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Concretezza e basso profilo Rigore intellettuale Laicismo Le piazze che neanche a Parigi Le aree pedonali (sperando che crescano) Murazzi e rive del Po Bocciofile e piole (da salvare dall’estinzione e dal fighettismo) 8. Il volontariato operoso e silente 9. San Salvario, più bella e vivibile che mai 10. La bella gioventù (non parliamone male… c’è e lotta per il suo futuro)
1. Dipendenza (anche e ormai soprattutto mentale)
dalla Fiat
2. Rimpianto sabaudo (c’è ancora... c’è ancora) 3. Trasporti pubblici (la Metro va bene, ma fatta
con mezzo secolo di ritardo e il resto è rimasto come mezzo secolo fa) 4. Costo dei parcheggi (conseguenza diretta del punto sopra) 5. Alcuni orridi palazzi di recente costruzione (e la prassi continua) 6. Inciviltà degli automobilisti (quorum ego...) 7. La chiusura di tanti negozi storici (tra i quali alcune librerie... non li si poteva aiutare?) 8. Mancanza di autostima in genere 9. Eccesso di autostima della dirigenza (soprattutto imprenditoriale) 10. Mancanza di passione (Passion lives here? ma dai...)
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i
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Via Passo Buole 169 - Torino dal lunedì al venerdì: ore 9-13 / 15,30-19,30 Tel. 011.61.36.23 passobuole@ilbuonriso.it
1. Palazzo Madama _ Sebbene io preferisca uno stile di vita semplice,
adoro i palazzi. Di Palazzo Madama ho amato quanto fuorviante sia l’esterno se paragonato alla grandiosità degli interni. C’è anche la Chiesa di San Lorenzo, in Piazza Castello, entrambi luoghi mozzafiato. Forse, nella mia precedente vita, ero un musicista di corte presso i Savoia. 2. Via Garibaldi _ Via Garibaldi non è solamente impressionante in quanto fra le più lunghe vie pedonali al mondo, ma perchè ogni suo centimetro è così bello. In qualsiasi direzione tu stia guardando, hai voglia di camminare fino in fondo per scoprire cosa ti stia aspettando. 3. la Metro _ I treni sotterranei di Torino mi ricordano quelli di Vancouver: vanno da un capolinea all’altro senza un manovratore. Quand’ero piccolo ero affascinato da questi trasporti e ogni volta fantasticavo su come poteva essere il mondo nel Duemila. Ora, ogniqualvolta prendo la Metro torinese, mi assicuro di salire sul primo vagone per esclamare “Il futuro! Il futuro è qui!” 4. Cioccolateria Artigiana Guido Gobino _ Il packaging è arancio Hermès, ma è il contenuto che vale. Uno dei più bei negozi in cui sia stato; portare con me in Canada qualche scatola per gli amici e i familiari mi ha reso il preferito di tutti per settimane. 5. Pizzeria la Verace _ Sebbene gli interni del locale siano poco appariscenti, la pizza che abbiamo potuto gustare, introdotta da una generosa mozzarella di Bufala come antipasto, è stata una delle migliori mai mangiate. La ragione? Ogni singolo ingrediente parlava da sè, senza soverchiare gli altri. Un pranzo fantastico. 6. Caffè reale _ Possiamo affermare sia il più bel caffè in Italia? Sicuramente il bicerin, qui, è uno dei migliori. C’è qualcosa di magico nel modo in cui le conversazioni riecheggiano nella sala, elevandosi fra le vetrine piene di preziose porcellane da pranzo. 7. la biblioteca della facoltà di lettere e Filosofia (via Po) _ In una delle passeggiate abbiamo potuto scoprire una magnifica biblioteca, nascosta dentro un edificio. Scale a chiocciola e scaffali in legno antico e quel meraviglioso odore di vecchi libri. Una scoperta miracolosa, praticamente sconosciuta perfino ai nostri ospiti torinesi. 8. Elyron _ Ho lavorato nell’ambito del design, in passato (durante il quale insieme al mio team creativo ho vinto anche alcuni premi per il nostro operato), ma le due menti dietro elyron (Roberto Necco e Roberto Balocco) sono dei maestri. Sono sicuro entrambi stiano arrossendo, leggendo queste righe, ma il loro lavoro sorpassa il confine del progetto grafico verso l’opera d’arte. Sono felice e mi sento privilegiato per aver lavorato con loro su più di un progetto Woodpigeon finora, e attendo con impazienza il prossimo. 9. Mole Antonelliana / Museo del Cinema _ La Mole Antonelliana sembra essere irreale, anche solo a immaginarla. Mentre il Museo del Cinema mi è parso un po’ dispersivo (e personalmente speravo in una maggiore valenza informativa in merito al cinema italiano su quello hollywoodiano), l’ascensore nel vuoto è un’esperienza indimenticabile, probabilmente la più vicina alla sensazione del volo. 10. Il Po _ Penso che il Po, che si snoda attraverso Torino, sia davvero un fiume fortunato. Nel suo percorso attraverso l’Italia incontra una delle città più belle del mondo. Prima del mio concerto nel grandioso Circolo Esperia mi sono seduto vicino alle sue acque e le ho osservate scorrere. Sarebbe un sogno, un giorno, approdare a Torino dal fiume e vedere la città dispiegarsi allo sguardo.
a sinistra, la copertina dell’ultimo album di Woodpigeon, Fra le Nuvole; sotto, il cantautore canadese
FRA LE nuvOLE In TORInO
WooDpigEon , alIas maRK hamIlTON, Il caNTauTORE caNadEsE IN cONcERTO a TORINO PER l’ulTIma daTa dEl suO TOuR EuROPEO, È RImasTO lETTERalmENTE fOlgORaTO dalla NOsTRa cITTà. E ha vOluTO scRIvERE Il suO PERsONalE dEcalOgO
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foto di Massimo Pinca maggio / giugno 2011
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La guerra della moschea
A ottobre il Tar deciderà se dare o no il via ai lavori sulla costruzione del luogo di culto di via Urbino. «È necessaria» sostiene la comunità islamica di Torino che è grande (quasi quarantamila persone), vivace e – in buona parte – molto felice di stare qui. La Lega, intanto, ha aperto un ufficio proprio di fronte al futuro cantiere. Tra polemiche e preghiere, ecco il ritratto dei fedeli di Allah sotto la Mole di
Federica Tourn foto di
Fabrizio Esposito
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aid Ait el Jide è un uomo sempre sorridente, dallo sguardo mite. È l’imam del centro islamico di via Chivasso e, anche se in Marocco faceva un altro mestiere, è stato riconosciuto adatto a guidare la preghiera. Conosce il Corano a memoria ma per lui è una cosa normale: «Devo essere un esempio per la comunità», si schermisce, mentre dal seminterrato arrivano le voci dei ragazzi che fanno le prove per la gara di canto annuale. Negli stessi spazi, in settimana, si organizzano incontri per le donne, corsi di arabo, conferenze; le scuole vengono spesso in visita e gli scambi interreligiosi sono all’ordine del giorno. La moschea adiacente al centro, allestita in un basso fabbricato nel cortile, è l’unica a Torino in cui si predica anche in italiano: ogni giorno la frequentano da 300 a 500 persone, il venerdì anche 1 200. Se qualcuno ha perso il sermone, nessun problema, può ritrovarlo sul sito web o taggato su facebook. Piccolo ritratto di una comunità al passo coi tempi che, il giorno dell’inaugurazione, ha invitato i vicini che guardavano interdetti dai balconi a scendere e a festeggiare insieme. All’inizio forse bastava un tappeto orientato verso la Mecca, ma presto è risultato evidente che ci voleva un posto per condividere la fede. “Moschee garage”, venivano definite tra lo sprezzante e l’indignato negli anni delle prime ondate di immigrazione; e certo dovevano essere luoghi non proprio accoglienti, spesso angusti, con lucernari al posto delle finestre e l’odore perenne di umidità. In San Salvario nel ’94 viene aperta la Moschea di Torino in via Baretti 31, seguono quella di via Saluzzo 18 e di via Berthollet, ora chiusa. A Porta Palazzo si inaugura nel ’95 la Moschea della Pace di corso Giulio Cesare 6, che dopo soli tre anni già risulta troppo piccola per i fedeli, costretti a pregare in cortile. In zona, in seguito anche alle divisioni interne di quel periodo, culminate con l’espulsione dell’imam Bouriqui Bouchta, si creano altri due locali di ritrovo, in via Cottolengo e in corso Regina. Vicino a piazza Sofia, in via Botticelli 104, durante la guerra in Iraq viene invece fondato il Centro Mecca - Casa del dialogo interculturale, un intero piano di 700 metri quadri capace di ospitare 800 persone. A parte la già citata moschea Taiba di via Chivasso 10, in città si segnalano solo altre due piccole sale di preghiera in via la Salle e in via Piossasco. Tutte sono rappresentate dall’Unione delle moschee di Torino, un
organismo informale che nel tempo ha costruito un buon dialogo con le istituzioni cittadine. «In realtà non si può parlare propriamente di moschee – spiega Sherif El Sebaie, docente di Lingua e cultura araba al Politecnico di Torino – perché, per l’assenza di un’intesa con lo Stato, non sono riconosciute come luoghi di culto ma catalogate come associazioni o centri culturali, anche se in realtà sono principalmente dedicate alla preghiera.» I musulmani a Torino sono trentacinquequarantamila ma molti, anche se osservanti, non frequentano perché non si sentono a loro agio: si tratta infatti per lo più di spazi non a norma, considerati non dignitosi e in ogni caso sotto il controllo della polizia. Sono tutti d’accordo che una moschea attrezzata, costruita a norma di legge e sicura – come dovrebbe essere la nuova moschea del Misericordioso – è senz’altro meglio di una anonima, magari sottoterra o abusiva. Sembra evidente, eppure le contestazioni sono all’ordine del giorno. «Preferiamo forse i locali senza autorizzazione, con una sola uscita di sicurezza per centinaia di persone o senza i permessi per i bagni?», chiede Amir Younes del Centro Mecca. Più esplicito Bahaa Ewis, proprietario dell’Horas Kabab di via Berthollet: «Non c’è parcheggio, dicono quelli che si oppongono. E io allora cosa devo fare? Continuare a pregare in una cantina perché loro non sanno dove mettere la macchina?» «Le moschee devono rientrare in un progetto nazionale condiviso perché i musulmani fanno parte integrante del Paese», taglia corto Abdelaziz Khounati, responsabile della Moschea della Pace. Uno dei punti dolenti è la formazione degli imam, di cui lo Stato italiano, secondo Khounati, dovrebbe farsi carico, mettendo fine alla confusione attuale. L’obiettivo è preparare adeguatamente chi guida la preghiera ma anche rassicurare sulla trasparenza e la correttezza dei famosi “discorsi del venerdì”, che tanto spesso hanno messo in allarme l’opinione pubblica. «Imam che incitano alla guerra santa? – Sherif El Sebaie accenna un sorriso ironico – Se ci sono, non lo fanno certo in moschea, sanno benissimo di essere registrati. Piuttosto, se vogliamo un Islam europeo, gli imam devono studiare nelle università pubbliche e seguire un percorso riconosciuto ufficialmente: altrimenti dovremo continuare a farli venire da altri Paesi.» Tutti sono uguali davanti alla legge ma alcuni sono meno uguali degli altri. Non si spiegherebbe altrimenti la pretesa di interferire nelle questioni
Né in chiesa né in moschea Ilham ha 27 anni ed è incinta di nove mesi. Sta facendo il tirocinio al Dar al Hikma per diventare mediatrice culturale: «Finalmente, con la gravidanza ho avuto tempo per studiare», dice con un sorriso mentre si scioglie i capelli. Parla benissimo l’italiano, non sembra nemmeno la sua lingua d’adozione. «L’ho imparato in tre mesi, da sola, guardando la televisione, vocabolario alla mano.» Rivendica con orgoglio il suo percorso: “ho avuto una vita movimentata e ne sono uscita. Per questo voglio fare la mediatrice, per far capire a tutte le donne in difficoltà che è possibile farcela, basta volerlo.» Arrivata in Italia dieci anni fa per raggiungere un marito sposato in fretta, si è subito scontrata con la violenza domestica: «Volevo andarmene di casa e poi, certo, lui mi piaceva. Una volta qui, però, mi ha imposto il velo, non voleva che uscissi, mi picchiava. Sono scappata senza sapere dove andare.» Lui la ritrova e la riporta a casa ma lei ci riprova una seconda volta. Torna in Marocco ma la vita
in famiglia ormai le sta stretta. Riparte per l’Italia, stavolta da sola: va a Mantova, di notte lavora in una fabbrica di calze e di giorno frequenta la scuola alberghiera; con il diploma si trasferisce a Torino e cerca impiego nella ristorazione. «Ai miei genitori la mia indipendenza proprio non andava giù; si tormentavano talmente all’idea che stessi da sola in un Paese straniero che un’estate li ho invitati a venire a trovarmi, perché vedessero con i loro occhi come vivevo. È stata una lite continua. Ora che mi sono risposata con un italiano, ho dovuto dire che si è convertito all’Islam, altrimenti non l’avrebbero mai accettato. Mia madre in realtà da giovane era una donna aperta, ma quando ho compiuto otto anni è diventata all’improvviso molto religiosa; da quel momento io e mia sorella potevamo uscire di casa soltanto vestite fino ai piedi e con il velo. Io non capivo, per me bambina quel cambiamento semplicemente non aveva senso.» Il velo Ilham ora lo indossa durante la
preghiera, o quando torna in Marocco, come forma di rispetto per i genitori. «Sono credente, sento il bisogno di rivolgermi a Dio, in casa o anche in moschea, ma sono convinta che la fede sia un fatto esclusivamente personale. Mio marito è di formazione cattolica ma la pensa come me: non manderemo nostro figlio né in chiesa né in moschea.» Adesso che il bambino sta per nascere, però, sente la mancanza della madre. «Da noi in Marocco una donna incinta è trattata come una regina. Pensa che un amico di mio marito, qualche giorno fa, senza sapere niente di me, ha detto: quando partorirai spera solo di non finire in stanza con una marocchina, che poi arriva l’invasione dei parenti col cous cous.» Sorride al ricordo, abbassa gli occhi e aggiunge: «Le sue parole hanno risvegliato in me una nostalgia profonda per il mio Paese, per il calore e la festa che accompagnano una nascita. Quello che per lui è un fastidio, a me all’improvviso manca moltissimo.»
Sotto: la moschea di via Chivasso
Sherif El Sebaie, docente di lingua e cultura araba al Politecnico: «Imam che incitano alla guerra santa? Se ci sono, non lo fanno certo in moschea, sanno benissimo di essere registrati. Se è questa la paura, allora gli imam dovrebbero poter studiare nelle università pubbliche europee» maggio / giugno 2011
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religiose dei musulmani, quando si tratta di decidere come costruire una moschea (a una certa distanza dalle chiese cristiane e con minareti più bassi dei campanili, per esempio) o come si deve svolgere il sermone, per non parlare di un linguaggio a dir poco offensivo usato anche in pubblico con disinvoltura, che non ci si permetterebbe mai con altri credenti. «Si pensava che fossero finite le persecuzioni religiose e, invece, dopo i valdesi e gli ebrei, ora tocca a noi, anche se in modo più soft», commenta amaro lo scrittore Younis Tawfik, presidente del centro culturale italo-arabo Dar Al Hikma. Tawfik faceva parte della Consulta per l’Islam italiano, un organismo consultivo per il dialogo interreligioso istituito nel 2005 dal Ministero dell’Interno e sostituito lo scorso anno dal Comitato per l’Islam italiano, che da queste parti non piace a nessuno perché considerato troppo filogovernativo. Grande assente, l’Ucooi, l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, la realtà più diffusa e rappresentata sul territorio, colpevole, secondo il ministro Maroni, di non essere abbastanza “positiva”. «Se siamo i garanti della democrazia, come mai non vengono tutelati i diritti delle minoranze? – incalza lo scrittore iracheno – Non parliamo degli immigrati, ma gli islamici italiani a “marchio controllato” non hanno il diritto ad avere un luogo di culto?» «Guardiamo anche la questione dell’intesa – aggiunge Tawfik – sono state fatte diverse bozze, tutte rifiutate con la scusa che i musulmani non hanno una rappresentanza, un problema che si può superare con un consiglio nominale come in Francia. È chiaro che da noi si preferisce che il rapporto con l’Islam resti anomalo.» Non sono pochi, tra l’altro, i convertiti. Duemila solo in città, anche se, come sempre, è difficile fare dei conti precisi. «Ero un cattolico non molto osservante quando ho aderito all’Islam insieme a mia moglie», racconta Elio Idris Abd Ar-Razzaq Bergia, uno dei responsabili della Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana, che riunisce il maggior numero di cittadini italiani musulmani, ormai oltre cinquantamila in tutto il Paese. Ecumenica, apolitica, cerca di far passare il messaggio che non c’è incompatibilità fra la pratica dell’Islam e l’identità italiana. Anzi. Resta però un dato di fatto: le moschee costituiscono un problema, soprattutto se sono purpose built, cioè costruite come tali e non parte di altri edifici riattati allo scopo. Battaglie politiche, ritardi, ricorsi amministrativi, proposte (incostituzionali) di referendum popolari e malumori vari sono lì
a dimostrarlo, tanto più significativi se si considera che in Italia, per un milione e trecentomila musulmani, esistono soltanto tre moschee ad hoc (a Roma, Milano e a Colle Val d’Elsa, ancora da inaugurare). Lo documenta chiaramente Stefano Allievi nel suo libro La guerra delle moschee, uscito per Marsilio lo scorso dicembre, sottolineando che la questione è innanzitutto simbolica, perché luoghi di culto riconoscibili renderebbero evidente un Islam che si istituzionalizza ed esce dalla sfera del privato per entrare a pieno titolo nella società. E questo evidentemente crea qualche scompenso a livello identitario: nell’Europa del Sud, dove la maggior parte degli immigrati non possiede la cittadinanza, le tensioni sono in aumento e in particolare in Italia, dove ci sono “imprenditori dell’islamofobia” particolarmente attivi e pronti a sfruttare la paura del diverso.
Pagina a fianco: sopra, Said Ait el Jida, imam della moschea Taiba. sotto, la preghiera del venerdì
Cronaca di un ritardo annunciato Tutto comincia tre anni fa, quando Abdelaziz Khounati, responsabile dell’Istituto islamico italiano di corso Giulio Cesare, cerca uno spazio dove costruire una nuova moschea, capace di ospitare adeguatamente il migliaio di fedeli che arrivano per la preghiera del venerdì. Il locale viene individuato in un ex mobilificio in via Urbino 5, dove sorgerà la Moschea del Misericordioso, non solo luogo di culto ma centro di incontro interreligioso, con attività per i giovani e le donne, uffici di sostegno ai migranti, corsi di lingua. Parte la richiesta di autorizzazione, mentre si costituisce La Palma onlus, che si farà carico dei lavori, finanziati interamente dal governo marocchino (un milione e trecentomila euro per l’acquisto dell’immobile e le consulenze, non ultime quelle legali, a cui dovrebbero aggiungersi altri due milioni per i lavori). L’iter burocratico fa il suo corso e a fine dicembre 2010 arriva il via libera del Comune. La moschea si farà: un edificio a se stante, assolutamente a norma, con spazi adeguati per la preghiera e le abluzioni, architettonicamente riconoscibile dall’esterno. La prima purpose built a Torino. Intanto il Coordinamento comitati spontanei avanza dubbi sulla sicurezza e la vivibilità del quartiere, chiedendo che sia garantito «il giusto equilibrio tra residenti e cittadini di fede musulmana», il Comune organizza incontri per tranquillizzare la cittadinanza e, infine, la Lega Nord si oppone presentando ricorso al Tar il 28 febbraio 2011. La motivazione è la mancata variante del piano regolatore, che indicherebbe la zona di via Urbino da destinare al verde pubblico e agli impianti sportivi. Per iniziare i lavori si aspetta la risposta del Tar, che ha fissato l’udienza di merito il prossimo 12 ottobre. Ma se il cantiere è chiuso, proprio in faccia al civico 5 l’europarlamentare Mario Borghezio ha aperto un ufficio “rapporti sociali” della Lega, che ospita anche il comitato antimoschea. Sulla parete di fondo, ben visibile dalla strada, campeggia un crocefisso.
I musulmani a Torino sono 35-40 mila ma molti, anche se osservanti, non frequentano perchĂŠ non si sentono a loro agio: si tratta infatti per lo piĂš di spazi non a norma, considerati non dignitosi e in ogni caso sotto il controllo della polizia
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Ma, alla fine, da noi come si vive? I responsabili dei centri islamici cittadini non hanno dubbi: a Torino si sta benissimo. E, con il passare degli anni, sempre meglio. La prudenza e il sincero desiderio di andare d’accordo con tutti li spinge probabilmente a smussare critiche e perplessità e a dichiarare all’unisono che con gli autoctoni non hanno mai avuto problemi. «Le grane le abbiamo solo con i nostri: con quelli che spacciano, per intenderci», puntualizza Abderrahim Mahfoussi della moschea di via Baretti. Amir Younes si spinge persino a giustificare la Lega: «Non è vero che odiano gli immigrati, la loro è soltanto propaganda politica. Se domani dicessi che me ne vado con tutti gli stranieri della città, sarebbero i primi a opporsi.» Suad Omar è di tutt’altro avviso. Somala, cinque figli, militante di Rifondazione, da sempre si batte per i diritti delle donne e per quella che lei chiama l’inter-azione fra le culture e i popoli. «Ma quale accoglienza, da noi oggi non c’è nemmeno tolleranza; la situazione è molto peggiorata rispetto a vent’anni fa. Prima le diversità erano valorizzate ma con la crisi economica italiani e immigrati si scannano per un posto in fabbrica o per fare le pulizie.» La vita più dura la fanno le donne prive di mezzi, chiuse in casa con i bambini, senza aiuto e senza la possibilità di avere un posto dove incontrarsi e sostenersi a vicenda. «Ci vorrebbe una moschea in ogni quartiere, come in Inghilterra», conclude. Almeno Torino può vantare un certo stile anche nell’opposizione (niente lanci di teste di maiale, da noi, come è successo recentemente a Ravenna nel cantiere della moschea in costruzione, né sagre della porchetta, porci al pascolo o “messe di riparazione” sui terreni incriminati) e, sicuramente, una storia di convivenza che risale almeno al 1848 con la libertà di culto a valdesi ed ebrei. «Le scelte della politica hanno sempre sostenuto
il dialogo interreligioso, con l’obiettivo di evitare innanzitutto i conflitti», dice Ilda Curti, che ha il privilegio di essere l’unico assessore (nella passata giunta Chiamparino) alle Politiche per l’integrazione d’Italia. «Dal ’97 il Comune autorizza la macellazione rituale e una parte del Cimitero Sud è riservata ai musulmani. Siamo la sola città italiana che concede uno spazio pubblico – da tre anni è l’Arena della Continassa – per la festa di Ail al-Fitr, che sancisce la rottura del digiuno alla fine del ramadan.» Gli ostacoli, a dirla tutta, non vengono però soltanto dall’esterno. La comunità islamica è un panorama complesso e movimentato, che negli anni è stata segnata dalle rivalità per la leadership locale oltre che da una certa disorganizzazione interna, che ora l’Unione delle moschee di Torino sta cercando di arginare. Un ambiente abbastanza litigioso, caratterizzato da rivendicazioni di tipo politico-nazionalistico che finiscono per delegittimarne i rappresentanti e rallentare il cammino comune sulla strada dell’auspicata integrazione. Intanto è di nuovo passata l’una. La settimana lavorativa sta finendo e, mentre gli impiegati escono dagli uffici per la pausa pranzo, in un cortile appena oltre Porta Palazzo si infilano uno dopo l’altro i fedeli per la terza preghiera della giornata, con la tuta da lavoro o il vestito tradizionale, anziani a capo coperto e ragazzi in maglietta e sneakers slacciate. Lo spazio dentro è già pieno, devono accontentarsi dei tappeti stesi nel cortile; si tolgono le scarpe, il tempo di un breve saluto e si sente la voce dell’imam invocare Allah. Intorno e sopra di loro, dietro le impalcature del palazzo in ristrutturazione, i manovali non smettono di battere e il rumore del ferro e dei calcinacci si mescola alla khutbah, il sermone del venerdì. Mi torna in mente una cosa che mi ha detto l’imam Said: «L’Islam per un musulmano è tutto». Zakaria, dall'omonimo film dei fratelli De Serio. Pagina a fianco: nel cortile davanti alla Moschea della Pace
Ilda Curti, assessore alle politiche per l’integrazione della giunta chiamparino: «Siamo la sola città italiana che concede uno spazio pubblico per la festa di Ail al-Fitr, che sancisce la rottura del digiuno alla fine del ramadan»
Siamo tutti zucche vuote Zakaria va a scuola di arabo: tra sé ripete i verbi facendo attenzione alla pronuncia e, alla moschea (in via Botticelli), si fa accompagnare nella preghiera da un compagno, che conosce «almeno una decina dei novantanove nomi di Allah.» Il percorso a ritroso verso la cultura di origine di un ragazzino musulmano torinese, figlio di immigrati, è il soggetto dell’omonimo cortometraggio di Gianluca e Massimiliano De Serio del 2005. «Con Zakaria volevamo mostrare i paradossi della società contemporanea – spiega Massimiliano – cosa significa stare in mezzo a due mondi e cercare se stessi attraverso la lingua. Durante le riprese ricordo che mi ripeteva: mi sento come una zucca vuota, che si riempie di cose diverse a seconda del bisogno.» Sguardo sveglio, maglietta larga con la bandiera degli Stati Uniti, Zak è uguale a tanti suoi coetanei; non è certamente uno straniero ma in qualche modo vuole ridiventarlo imparando l’arabo, la lingua della fede. «Nella religione c’è qualcosa di
scomodo – aggiunge De Serio – perché parla di ciò che non si vede. È affascinante questa ricerca infinita che parte da un vuoto che l’essere umano sente dentro di sé. In questo senso ho ripensato all’immagine della zucca, perché in fondo tutti facciamo i conti con la mancanza. Nel cinema è lo stesso: lavoriamo con la luce e la proiezione di qualcosa che non c’è più.» Dei gemelli De Serio è in uscita in questi giorni Backroman, girato in Burkina Faso con i ragazzi di strada, premio per il miglior documentario italiano al Torino Film Festival 2010; a giugno i giovani registi torinesi presenteranno invece Stanze, opera sulla tradizione orale somala, menzione speciale al Premio Italia Arte Contemporanea under 45 del MAXXI di Roma. In attesa del lungometraggio Sette opere di misericordia, nelle sale il prossimo autunno. E Zakaria? Oggi ha 21 anni e fa il pizzaiolo da Gennaro Esposito. L’arabo in realtà lo parla bene da sempre; la sua conoscenza del Corano gli ha fatto anche vincere un premio in moschea.
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Simone Weil e il filosofo contadino
Tra i filari di Bollengo abbiamo incontrato Emanuela Piovano , regista, che qui ha ambientato il suo film “Le stelle inquiete”, storia dell’incontro tra Simone Weil e il filosofo contadino Gustave Thibon. Nel mezzo ci sono il cinema di Rossellini, le idee di Olivetti e una comune della Valchiusella... di
Clara Caroli fotografie di
Massimo Pinca
la regista Emanuela Piovano maggio / giugno 2011
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«
Perché Simone Weil?» – chiede Emanuela Piovano alla fine dell’intervista, guardando le colline del Canavese – «Perché è stata l’icona assoluta di Adriano Olivetti. E perché la sua breve esistenza, fatta di scelte estreme e profonda ricerca di senso, somiglia un po’ alla mia». Una vita, la sua, vissuta tra ribellione e utopia. Filmaker formata nella Torino anni Ottanta delle avanguardie e dei cineclub; figlia di un industriale cresciuta in ambiente borghese; bambina precoce, dotata e anticonformista («Da piccola – racconta – volevo fare il medico scrittore, come Tolstoj, e quando guardavo i miei pensavo: questi due non hanno futuro»), la regista di Le rose blu e Amorfù ha una biografia costellata di slanci e deragliamenti: l’ideologia, il rifiuto della famiglia, quello per l’establishment culturale, il buen retiro a Bollengo e prima ancora nella “comune” aperta a ex ricoverati in ospedali psichiatrici. Per un caso, per una di quelle coincidenze che a volte fanno combaciare il cinema con la vita, proprio nell’amato Canavese, sulla collina della Serra di Ivrea, ha girato Le stelle inquiete, in parte autoprodotto con la Kitchen e dedicato a un episodio della biografia di Simone Weil. Con la vita breve e tormentata della filosofa francese si cimentò Rossellini per Europa 51, con un’Ingrid Bergman troppo bella per il personaggio (ma anche Fabrizio Ferraro con il documentario Je suis Simone presentato un paio d’anni fa al Tff). Qui protagonista è la più somigliante Lara Guirao, vista recentemente in L’esplosivo piano di Bazil di Jean-Pierre Jeunet, accanto all’attore astigiano Fabrizio Rizzolo e a Isabella Tabarini di Fuga dal call center. Il film ha debuttato al Festival di Montreal, è uscito nelle sale italiane a metà marzo e prossimamente tornerà sullo schermo nel circuito digitale Microcinema. Nell’estate del ’41, durante l’occupazione nazista, la Weil viene cacciata dall’università perché ebrea e trova rifugio nella tenuta del filosofo contadino Gustave Thibon a Saint-Marcel-d’Ardèche, vicino a Marsiglia. L’incontro è rivelatore per entrambi: lei, che già aveva lavorato in fabbrica come operaia, alla Renault, trova ispirazione sperimentando le privazioni e la fatica del mondo contadino;
nella pagina a fianco, Laura Guirao e Fabrizio Rizzolo nei panni di Simone Weil e Gustave Thibon; sotto, Emanuela Piovano nella sua vigna
lui scopre una “mente illuminata” (e in seguito curerà la pubblicazione, postuma, de L’ombra e la grazia). Weil vive la vita dei braccianti: ara, spacca la legna, raccoglie i frutti della terra. Assimila il nuovo stile di vita come l’autrice del film, che in gioventù sognava i kibbutz, ha fatto sue le leggi della terra e delle piccole comunità agricole. Piovano, era destino che il film che più la rappresenta dovesse essere girato qui, nella sua campagna? Sì, era destino. Se me lo concedete, era scritto nelle stelle… Il set nel progetto iniziale era previsto in Francia. Quando in seguito ai tagli al Fus rimasi senza finanziamenti, il presidente di Film Commission, Steve Della Casa, insistette: «Devi farlo in Piemonte. Se vuoi ti offro casa mia, a Gavi». Accettai e scelsi anche le mie terre, il Canavese. Un territorio al quale è sempre rimasta legata, dal tempo della comune in Valchiusella alla sua vita attuale di regista e produttrice con sede legale a Roma. Perché? Ho sempre creduto nel cinema culturale come testimonianza. Negli anni Ottanta, mentre i miei amici se ne andavano a Londra o a New York, io sono rimasta qui, nella convinzione che il lavoro giusto da fare fosse quello legato alla comunità, al territorio. Ha sempre voluto fare la regista? La letteratura sarebbe stata la mia vocazione. Da bambina sognavo di diventare giornalista, da adolescente avevo già in mente la “comune”. Dopo il D’Azeglio mi iscrissi all’università, con l’ambizione di diventare Tolstoj: a Medicina. Nel tempo libero però andavo a Palazzo Nuovo a seguire le lezioni. Diedi un esame di Filosofia del linguaggio pur non essendo iscritta. Il professore, Diego Marconi, portava i capelli lunghi fino alle spalle e faceva lezione in cortile. Mi disse: «Ma tu sei una filosofa». Lasciai Medicina e continuai a Lettere. E il cinema quando è entrato nella sua vita? Nella metà degli anni Ottanta, nel suo momento più nero. Mi sono buttata nell’avanguardia. Il mio imprinting l’ho ricevuto lì, nella Torino del Movie Club, degli sperimentatori. La città sotterranea e cinefila degli Armando Ceste, Ugo Nespolo, Pistoletto, Daniele Sege, Tonino De Bernardi. Poco tempo fa ero a Parigi e ho letto su “Le Monde” una recensione lusinghiera del suo ultimo film.
simone Weil nacque a
parigi nel 1909 da una famiglia di origine ebraica. fu studentessa all’École normale e insegnante di filosofia in vari licei. militante dell’estrema sinistra rivoluzionaria, nel 1934, spinta dall’inderogabile esigenza interiore di conoscere direttamente le peggiori condizioni di vita dei lavoratori, troncò la professione e gli studi per lavorare come operaia alla rénault di parigi: fu un duro ma per lei entusiasmante inserimento nella vita. ammalatasi di pleurite, fu costretta a lasciare l’officina, iniziando un periodo cruciale di intimo ripensamento. nel 1936 partecipò come volontaria repubblicana alla guerra civile spagnola arruolandosi nelle file anarchiche della famosa colonna durruti, accettando anche i servizi della cucina; ma in seguito ad una grave ustione a un piede dovette rientrare in francia. al 1937 risale la svolta mistica, che si traduce in una fede vissuta con grandissima intensità. esclusa dall’insegnamento in seguito alle leggi razziali durante il regime di vichy, fece la contadina fino al 1942, quando si rifugiò con la famiglia negli stati uniti dove fu molto vicina ai poveri di harlem. poco dopo, però, richiamata dall’impegno contro il totalitarismo, tornò in europa ma nel 1943 morì a soli 34 anni nel sanatorio di ashford in inghilterra.
nell’estate del ’41, durante l’occupaZIone naZIsta, la WeIl troVa rIfugIo nella tenuta del fIlosofo contadIno gustaVe thIbon a saIntmarcel-d’ardÉche, VIcIno marsIglIa. l’Incontro è rIVelatore per entrambI: leI troVa IspIraZIone sperImentando le prIVaZIonI e la fatIca del mondo contadIno; luI scopre una “mente IllumInata” maggio / giugno 2011
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Il comunismo mi ha folgorato quando mio padre mi portò a Varsavia. Dissi: questa è la mia città ideale. Proprio così, con le code davanti alle panetterie e le biblioteche. Biblioteche e tram
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Mi fa piacere. Lui è rimasto sempre se stesso, ha continuato su quella strada. Da noi è poco noto, in Francia è tenuto in grande considerazione. Lei che strada ha intrapreso? Lavoravo per Paolo Gobetti all’Archivio Nazionale della Resistenza, mi mandò a Salsomaggiore dove conobbi Gabriella Rosaleva, della quale più tardi produssi Processo a Caterina Ross, sulla caccia alle streghe. Un incontro importante. L’esperienza al Festival Cinema e Donne di Firenze, poi, fu rivelatrice. Eravamo ancora in pieno femminismo: si pensava che il mondo sarebbe cambiato, che le donne avrebbero fatto la rivoluzione. Poco dopo fondai l’associazione Camera Woman e cominciai a collaborare a Raitre. Ero in area Pci, mi infilò una capostruttura dell'epoca. Che però quando fu bandito uno degli ultimi concorsi mi disse: «Se lo fai lo vinci ma non sarebbe giusto, tu hai i mezzi, toglieresti il posto a compagne più bisognose». Che famiglia era la sua? Molto tradizionale. Padre fisico e imprenditore, madre pediatra. Io figlia unica. Nonostante amassi molto la mia famiglia, non ho mai desiderato farmene una. Non mi piaceva nemmeno l’idea di coppia. Credevo in forme di relazione diversa. Desideravo uscire dalla città. Andare “fuori dal sistema”, come si diceva allora. Così nacque la comune in Valchiusella. Utopia e desiderio di fuga dalla vita borghese? C’erano anche altri motivi. Erano gli anni del terrorismo. Sotto casa dei miei genitori, alla Crocetta, c’erano scontri e sparatorie quasi ogni giorno. Ma certo l’idea di base era sperimentare nuovi stili di vita. Abbiamo creato una comunità offrendo assistenza ai malati psichiatrici, ai bambini di strada. Abbiamo fatto esperienza in campagna, nel settore agrario. Il mio primo prodotto audiovisivo si intitola non a caso L’albero.
Perché la Valchiusella? Ci parve il territorio giusto per un esperimento che rientrasse nel solco tracciato da Adriano Olivetti, un industriale illuminato. Già nel ’48 con il Movimento Comunità aveva creato nel Canavese una rete cooperativa tra agricoltori e piccole imprese e un sistema di comuni autonomi e federalisti. Che industriali erano suo padre e suo nonno? Mio padre fondò con altri piccoli imprenditori la Comau, leader mondiale nell'automazione. Mio nonno, Pietro Paolo Piovano, faceva meccanica di precisione. La pensava come Gramsci: solo quando si potranno fare le macchine per le macchine si diventerà autonomi. Lei quando ha capito di essere comunista? Mio padre mi portò a Varsavia e io rimasi folgorata. Dissi: questa è la mia città ideale. Proprio così, nonostante le code davanti alle panetterie c'erano tante biblioteche. Biblioteche e tram. I suoi come presero la scelta di fondare la comune? Mia madre la trovò una scelta demenziale e da medico è sempre stata convinta che io avessi dei problemi. Salvo poi, a distanza di anni dirmi: avevi ragione. Anche mio padre in seguito ha ammesso di aver trovato il mio progetto molto interessante. Che senso ha essere un’artista, una regista, in questi tempi difficili? Mio nonno andava in fabbrica e gli operai lo adoravano. Credo si debba recuperare questa dimensione che lega il fare, il fare bene, al territorio. Fare arte di qualità è come fare il vino buono. Altrimenti produrre cinema o letteratura, nel mercato mediatico globale, significa solo produrre all’interno di una catena un pezzettino che nel momento stesso in cui entra nel meccanismo industriale non è più tuo. Lo dico io adesso ma lo scriveva già ai suoi tempi, sentendosene vittima, Raymond Chandler.
sopra, la regista con – da sinistra – l’amico vignaiolo Aldo, la direttrice del cast di Le stelle inquiete Cinzia, il Sindaco di Bollengo Sergio Ricca; qui sotto, alcuni saggi di Simone Weil
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favorevoli o conTrari, i piemonTesi fanno da Tempo i conTi con il nucleare . dalla cenTrale di Trino fino ai laboraTori del poliTecnico, ecco i Tempi, i cosTi e le ragioni che sTanno dieTro l'energia piĂ™ discussa
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letiZia tortello Foto di
massimo PinCa
piemonte atomico?
la centrale Enrico Fermi di Trino Vercellese maggio / giugno 2011
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artiamo da un paradosso: parlare di nucleare e dell’ipotesi della costruzione di nuove centrali dopo il disastro di Fukushima è come raccontare, con le dovute proporzioni, quant’è buona la pasta a un celiaco. Per quanti vantaggi si potranno enumerare, la reazione sarà il rifiuto: «I rischi sono troppo alti, gli effetti sulla salute, in casi d’incidente, possono essere gravissimi». Ecco l’obiezione più diffusa nell’opinione pubblica da parte dei sostenitori del no. Eppure, nonostante i sondaggi indichino che il 75% degli italiani si schiera contro il ritorno all’energia atomica, nel nostro Paese l’ipotesi della costruzione di nuove centrali è quanto mai attuale. Moratorie a parte (il governo ha annunciato uno stop di due anni sospendendo, ma non cancellando gli accordi per la costruzione di nuove centrali, ndr), l’energia dell’atomo fa ancora parte del piano energetico del governo Berlusconi, che prevede in tutto otto centrali, in accordo con Enel e la corrispondente francese Edf. Otto reattori in
via di studio e progettazione, il primo in Italia prodotto nel 2020. Dove? Questo dettaglio – non trascurabile – non è stato ancora svelato. Ma secondo le opinioni di tecnici ed esperti, la tesi più diffusa è che i futuri reattori vengano costruiti non lontano dai luoghi in cui sorgevano i vecchi. E cioè Latina, Caorso, Garigliano e la nostra Trino. Nel Vercellese, il “bestione” a uranio costruito nel ’65 e chiuso nel ’90, non è ancora stato smantellato. La Sogin, società incaricata del cosiddetto decommissioning, opera da anni per riportare il sito “a prato verde”. O meglio, in questo caso, a “prato marrone” (il termine tecnico è brown field), visto che all’erba, com’è di prassi, si sostituiranno i capannoni, depositi temporanei per le scorie di risulta. Secondo l’opinione degli attivisti e degli ambientalisti della zona, il rischio che la città corre è di diventare tomba delle sue stesse scorie. Per questo, sono già stati presentati numerosi ricorsi al Tar contro il piano della Sogin, bloccati perché ancora non c’è l’esecutività al progetto di smantellamento.
In ogni caso, tempi lunghi. E costi che lievitano: «Per il reattore inattivo si spende ogni anno oltre un milione di euro», spiega Alessandro Portinaro, consigliere comunale nell’attuale giunta a Trino. «Ma la preoccupazione più grande, nel comune che per anni ha vissuto grazie al boom dell’energia pulita, «è l’aumento dei tumori nei giovani e negli under 40, come indicato dai dati di una ricerca dell’Asl, in collaborazione con l’Università. Non si sa se siano eredità del nucleare, ma in ogni caso c’è questo grave allarme in città.» Se quella del nucleare sia oppure no la strada da percorrere, il dibattito non si arresta. Sono molti i vantaggi, prima di tutto economici, avanzati da chi lo difende e ne auspica il ritorno. Dall’altra parte, sono centinaia le manifestazioni in tutta Italia che coinvolgono la gente a impegnarsi per far sentire la propria voce e contrastare le misure del governo. A cominciare dalla stessa Trino, come illustra Fausto Cognasso, ex assessore al Territorio dal ’98 al 2002 e convinto antinuclearista: «Il 23 aprile abbiamo fatto una marcia di protesta, in previsione del referendum. La partecipa-
zione della città è stata ampia. I trinesi degli anni Sessanta erano tutti favorevoli al nucleare perché speravano che la nuova centrale desse grande impulso al lavoro. Così non è stato, ma gli effetti si sono visti solo a distanza di anni. Oggi siamo scolasticamente l’esempio che bisognerebbe studiare per non fare il nucleare nel nostro Paese, perché questo esperimento si è rivelato un clamoroso bluff industriale». Dati alla mano, Cognasso spiega perché: «In 23 anni di attività, il reattore Enrico Fermi di Trino ha subito nove fermate, alcune per piccoli accidenti. Ha prodotto energia per soli dieci anni e quattro mesi. Il corrispondente di 26 miliardi di kilowattora, che equivalgono a circa un mese del nostro fabbisogno, secondo le tabelle degli attuali consumi giornalieri. In Italia il nucleare ha prodotto il corrispettivo di cento giorni di energia elettrica, lasciando dietro di sé tutti i problemi di smaltimento delle scorie e i pericoli per la salute dei cittadini, come a Saluggia». Che cosa risponderebbe Trino a un’eventuale richiesta di accogliere nuove centrali? «Buona parte maggio / giugno 2011
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della popolazione, specialmente dopo i fatti di Fukushima, ha sviluppato una repellenza all’argomento. Anche se sono ancora convinto che l’illusione di una ripartenza dell’economia, legata alla tecnologia atomica, potrebbe incantare molti.» Sull’argomento, almeno per ora, la Regione tira i remi in barca. E attende nuove mosse da Roma. «In più di un’occasione ci siamo detti favorevoli all’edificazione di nuove centrali», dice l’assessore allo Sviluppo Massimo Giordano. «La nostra posizione non cambia, anche se abbiamo posto come vincolo di adottare le ultime tecnologie disponibili nei prossimi anni, in nome della massima sicurezza. Fermo restando l’impegno del Piemonte per il risparmio energetico, a cominciare dalle aziende. Su questi aspetti, la nostra regione ha da fare moltissimo, siamo a metà classifica in Italia per risultati di efficienza energetica. Nel piano straordinario per l’occupazione abbiamo previsto finanziamenti per edifici pubblici e industrie che cambino i serramenti o ottimizzino le linee di produzione. Da capofila nazionale del coordinamento delle regioni per le rinnovabili, ho chiesto
al governo di diluire il taglio previsto agli incentivi sul solare, per consentire a molte aziende di riconvertire i propri mercati.» Largo alle energie pulite, dunque, ma quali? Uno spiraglio di luce potrebbe aprirsi nei laboratori del Biosolar Lab del Politecnico, ad Alessandria. Lì, sotto la supervisione del biochimico James Barber, presidente dell’International Society of Photosythesis Research e professore dell’Imperial College di Londra, si sta lavorando alacremente per produrre la “foglia artificiale”. L’innovazione che potrebbe essere la vera svolta energetica dei prossimi anni. I risultati annunciati hanno dell’incredibile: gli studiosi stimano che con meno di quattro litri d’acqua, questa tecnologia riesce a produrre l’elettricità necessaria per riscaldare una casa in un Paese in via di sviluppo. L’unico rischio? Non si sa se la ricerca porterà a risultati concreti e competitivi sul mercato. E come sempre accade, le speranze dell’innovazione si traducono prima di tutto in fondi investiti. Ma su questo fronte, purtroppo, i governi occidentali (America esclusa) ancora latitano.
per fausto cognasso, eX assessore al terrItorIo, l’esperImento dI trIno sI è rIVelato un clamoroso bluff IndustrIale
«la nostra posIZIone pro-nucleare non cambIa, fermo restando Il nostro Impegno per Il rIsparmIo energetIco e Il VIncolo dI adottare le ultIme tecnologIe dIsponIbIlI» massImo gIordano Assessore regionAle Allo sviluppo
«per Il reattore InattIVo sI spende ognI anno oltre un mIlIone dI euro» alessandro portInaro consigliere comunAle A trino
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IL NUCLEARE È L'UNICA STRADA
I VANTAGGI ECONOMICI E AMBIENTALI SONO INDUBBI: PAROLA DELL’INGEGNER LUCA TAGLIAPIETRA
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antaggi e benefici, come nessun’altra fonte energetica è in grado di dare: «nucleare, unica strada per lo sviluppo e la competitività del paese». anche dopo il disastro di fukushima, il variegato fronte del sì al nucleare non ha alcun dubbio. e nessuna paura: il mondo, dicono i difensori dell’energia atomica, non potrà fare a meno di alimentarsi a uranio. altro che la sventagliata “sostenibilità” delle rinnovabili. «la carta vincente è un mix di fonti, a cui il nucleare, in quanto energia pulita che non produce co2, farà da traino.» abbiamo intervistato luca Tagliapietra, ingegnere nucleare specializzato in fisica delle alte energie e responsabile della radioprotezione per l’esperimento Tera al cern di ginevra. uno dei cosiddetti “cervelli in fuga”, nato a Torino nel 1981, da cinque anni esperto di sicurezza dei reattori a livello mondiale. Tagliapietra, perché l’Italia dovrebbe investire nel nucleare? l’energia atomica resta a oggi la fonte più vantaggiosa, ragionando sul lungo periodo. ogni giorno il costo del petrolio sale, portando la vendita dei combustibili a cifre sempre più insostenibili. non è certo un caso che i cinesi e gli indiani, affamati di energia, stiano continuando con rapidità impressionante a costruire reattori, efficienti e di nuova generazione, che utilizzano il torio. È dimostrato che gli investimenti impiegati nella ricerca nucleare sono l’unico modo per avere la più alta ricaduta tecnologica. non solo in campo energetico, anche per la medicina e per l’industria. proprio dal giappone arriva la più viva dimostrazione di queste enormi potenzialità. Il Giappone ha vissuto per decenni nell’incanto del nucleare. Lei è da poco tornato da quelle terre, piegate dal sisma. Che idea si è fatto del disastro di Fukushima? i tecnici nipponici sono tra i migliori al mondo per competenza. hanno gestito l’emergenza con un’incredibile freddezza e precisione. le loro centrali sono tra le più sicure al mondo, ma quella di fukushima utilizzava una tecnologia datata, e per questo presto sarebbe stata chiusa. l’incidente non preclude la validità del nucleare. anche il fuoco comportava dei rischi quando è stato inventato, ma non per questo l’uomo della pietra ha rinunciato a utilizzarlo per la sua sopravvivenza. Se ci sono centrali in smantellamento e la tecnologia cambia a grande velocità, perché investire miliardi per costruirne di nuove, perlopiù sempre a rischio disastro? in ogni reattore ci sono sofisticati sistemi di
protezione contro qualunque incidente: attacchi aerei, attentati, anche contro le più alte onde del mare. sono progettati in modo talmente intelligente da evitare lo “shot down”, il collasso. rispondono al concetto di ridondanza e diversificazione delle fonti di alimentazione: se qualcosa funziona male, se ad esempio c’è un problema idroelettrico, ci sono altri quattro motori diesel in sostituzione, per non interrompere il processo. L’emergenza però non si placa. Lo dimostrano le contaminazioni di iodio radioattivo delle acque, che dureranno per decenni, e l’impatto devastante sull’opinione pubblica di tutto il mondo. Come si può essere ancora ottimisti? la iaea (agenzia internazione energia atomica), massima autorità onu in materia, riferisce che tutte le radiazioni in giappone, a parte qualche valore nel distretto di fukushima, sono sotto il livello limite di legge. per quel che riguarda il riversamento in mare di acqua contaminata, se non vi saranno ulteriori fuoriuscite, per fenomeni di diluizione e miscelamento delle correnti oceaniche, si avranno valori di concentrazioni nei parametri consentiti. Lo stesso fabbisogno energetico non potrebbe essere prodotto dalle energie alternative? personalmente non sono contrario al fotovoltaico, al solare, all’eolico o all’idroelettrico. ma da sole, queste fonti non sono in grado di rispondere al disperato bisogno di energia dei prossimi anni. Oggi ogni discorso è sospeso dalla moratoria. Ma lei cosa si sente di consigliare all’Italia? di perseguire con il mix di energie, puntando ad acquisire in venti-venticinque anni le centrali di quarta generazione, che saranno le più sicure. ma visto che gli investimenti si sono già mossi per riaccogliere la tecnologia nucleare, non sarebbe male partire con quattro o cinque reattori di terza generazione, coltivando una nuova cultura dell’atomo e tecnici di altissimo livello, come quelli che operavano quarant’anni fa nella nostra penisola. un vantaggio su tutti? il costo dell’uranio è standard, non ci saranno mai variazioni di prezzo, né guerre fratricide per l’approvvigionamento. Dove potrebbero essere costruite le nuove centrali? un’ipotesi è che vengano edificate nelle vicinanze delle quattro già esistenti, cioè latina, caorso, garigliano e Trino. quei siti sono stati valutati come i più sicuri anni fa, al riparo da catastrofi naturali come trombe d’aria o terremoti. ci vogliono ere geologiche perché cambino la conformazione del terreno e le condizioni climatiche. per questo mi pare strano che si modifichi il luogo.
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NUCLEARE? ANCHE, MA INSIEME ALLE RINNOVABILI L’OPINIONE DEI PROFESSORI JAMES BARBER E GIUSEPPE SARACCO DEL POLITECNICO DI TORINO
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a sua è una delle cinquanta invenzioni destinate a cambiare il mondo. un surrogato della natura, la cosiddetta “foglia artificiale”, in grado di immagazzinare energia solare fino a coprire, con un’ora di luce, l’energia necessaria alla Terra per un anno. il capofila dei fedeli delle energie alternative è James barber, professore all’imperial college di londra. scienziato di fama mondiale e padre di quello che lui stesso definisce «il destino ineluttabile per la sopravvivenza dell’umanità», il ritorno al solare. dal 2006, il biochimico inglese è visiting professor al politecnico, coordinatore insieme al professor guido saracco e alla fisiologa cristina pagliano, del biosolar lab di alessandria. un progetto messo a punto a partire da investimenti regionali, e ora sostenuto da fondi per la ricerca europei, che studia il metodo di emulazione delle piante per fare la fotosintesi. il suo prodotto, che ha la configurazione di un pannello, simile, nell’aspetto, a un minifotovoltaico, è ancora in fase di studio. ma è già stato inserito tra le rivoluzioni energetiche più preziose dei prossimi anni. la scoperta che consentirà di sostenere i ritmi vertiginosi di sviluppo del pianeta. Professore, davvero la sua foglia potrà sostituire il gas metano e gli altri combustibili fossili? nel giro di pochi anni, le esigenze energetiche della Terra raddoppieranno. oggi l’85% è prodotto dal combustibile fossile. nel 2050 duplicheranno i consumi di carbone. ma il carbone è prodotto in un processo che dura miliardi di anni e consumato in poche decine, mentre la metà utilizzata rimane nell’atmosfera per secoli. su questa strada, le ricadute sulla salute della popolazione mondiale saranno gravi. occorre quindi scommettere su un’altra strada. la foglia artificiale è la vera sfida del futuro. Più del nucleare? l’energia nucleare è una soluzione, ma sempre a breve termine, e non serve, ad esempio, per muovere i mezzi di trasporto. comunque richiede altissimi costi per essere tenuta in sicurezza. l’unica fonte davvero sostenibile è il sole. la natura ha inventato il trucco per produrre da se medesima l’energia capace di star dietro al crescere vorace dei consumi e abbattere la produzione di co2, il veleno della nostra atmosfera. Come funziona la foglia? con l’ausilio di una tecnologia che utilizza metalli a basso costo (tipo il cobalto) e imita il lavoro della
fotosintesi delle piante. senza l’ausilio di enzimi naturali, che hanno una resa molto bassa in termini di tempo, ma emulando il loro compito, si può riuscire a spaccare la molecola dell’acqua in ossigeno e idrogeno. quest’ultimo, una volta bruciato, non produce co2, ma altra acqua. e così il ciclo si chiude, senza l’immissione di carbonio nell’aria. Quali sono i tempi per la realizzazione? È molto difficile fare previsioni, ma speriamo che entro il 2020 saranno stati fatti grandi passi avanti. i tempi della ricerca sono come un elastico, ci sono momenti in cui accelera moltissimo, altri in cui sembra rallentare. dipende in buona parte anche dagli investimenti. nel nostro paese si scommette sempre meno sull’innovazione di base. al biosolar lab troviamo i fondi tassando le ricerche che svolgiamo per il comparto industriale. il traguardo a cui vorremmo arrivare è di convertire il 10% dell’energia solare catturata dalla foglia artificiale in idrogeno. un risultato che, come ho detto prima, sarebbe sufficiente per soddisfare un grande fabbisogno. Trasformando poi a sua volta l’idrogeno in metanolo o altro genere d’idrocarburi, con un processo pulito. Si parla tanto dell’idrogeno come fonte alternativa al petrolio, ma come affrontare i grandi costi necessari per immagazzinarlo? oggi la tecnologia non facilita la conservazione dell’idrogeno in grandi quantità. siamo fiduciosi che nell’arco di qualche anno saranno scoperti nuovi e più efficaci metodi di stoccaggio. d’altra parte non c’è alternativa: il livello d’inquinamento mondiale è già ora a livelli alti e allarmanti. Come si stanno muovendo i governi in campo energetico? È sotto i nostri occhi, il nucleare spaventa. È sempre più urgente riconvertire le fonti di approvvigionamento se si vuole tenere fede agli obiettivi del 20-20-20, (la riduzione del 20% della co2 prodotta entro il 2020, ndr). i governi iniziano a capirlo. il primo ad avere fiducia nelle potenzialità della ricerca applicata al sole è obama. se le economie e la scienza non provvedono, i danni sulla salute provocati dai cambiamenti del clima saranno ben peggiori di quelli causati oggi dai tumori. lo ripeto, la natura ha inventato da se medesima il metodo migliore per garantirsi la sopravvivenza. dobbiamo imitarla, imparando da lei come si conserva la vita.
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REFERENDUM TIME legIttImo ImpedImento e acqua pubblIca: doPo la CanCellaZione dei Piani di Governo sul nuCleare, sono Questi i Quesiti Che restano da votare il 12 e 13 GiuGno. eCCo una PiCCola Guida Per non Perdersi tra i sÌ e i no di
valentina dirindin
Dopo aver votato per eleggere il sindaco, il 12 e il 13 giugno i torinesi e con loro gli italiani tutti, saranno di nuovo chiamati alle urne. I quesiti su cui decidere tramite referendum saranno quattro; due sulla privatizzazione dei servizi idrici, uno sul ricorso all’energia nucleare e uno sul legittimo impedimento. Nonostante le diatribe parlamentari riguardanti la consultazione sul nucleare e il rischio che gli italiani votassero sull’onda di Fukushima, rendendo l’utilizzo dell’energia atomica impossibile in Italia per molti anni (come ha ammesso il Governo), le crocette da mettere sul SI o sul NO rimangono ancora quattro. Il primo, sulla “modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, ha un testo lunghissimo, che in sostanza chiede ai cittadini se vogliono abrogare la legge in vigore, che permette l’affidamento del servizio idrico a società a capitale misto pubblico-privato. Votando SI, si cancella la legge che lo permette, consentendo l’affidamento del servizio solo a società pubbliche. Votando NO, si sceglie di
consentire la privatizzazione. Il secondo referendum idrico, dal testo più breve, è ancora abrogativo e chiede se si vuole cancellare la parte del Decreto Legislativo in materia ambientale che permette al gestore del servizio idrico di ottenere profitti garantiti sulle tariffe, tramite il rincaro sulle bollette di un 7% a remunerazione del capitale investito. Di nuovo, chi vota SI sceglie di eliminare questo rincaro, chi vota NO di mantenerlo. Il terzo quesito referendario riguarda invece l’abrogazione di alcune norme della legge 7 aprile 2010, n.51, quella che riguarda il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quali imputati o parti offese, qualora si adduca come motivazione il concomitante esercizio delle attività connesse alle funzioni di governo (e quindi, la conseguente possibilità di chiedere, per questi motivi, un rinvio dell’udienza in questione). Chi vota SI, vota perché venga cancellato; chi vota NO, giudica legittime le disposizioni in materia di impedimento in udienza.
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I Cento sbarcano in Liguria Tra poche settimane esce in edicola e in libreria la nostra guida ai migliori ristoranti della vicina Liguria, dove i pansotti son divini, il pesto squisito, la focaccia profumata, i pesci meravigliosi. Dopo il successo dei “Centocinquanta di Torino e del Piemonte” i nostri fidi recensori hanno varcato l’appennino e sono arrivati fino al mare
di
Cavallito e Lamacchia
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I
mprovvisamente, dietro una curva, la Guida I Cento di Torino ha visto il mare. È così, non ce l’abbiamo fatta. Una volta giunti in Alta Langa, mentre gli odori di nocciole si stemperavano e aumentavano quelli di acciughe, nei luoghi dove l’ulivo si intreccia alla vite, per dirla alla De André (che naturalmente è in argomento, ma che non citeremo più a sproposito) abbiamo guardato più in là, scollinato, imboccato a perdifiato la discesa. Ci siamo buttati. Ora la guida I cento di Torino, dopo il successone (quando ci vuole, ci vuole) della prima edizione, bissato dalla seconda I cento50 del Piemonte, uscita da pochi mesi e andata a ruba (metaforicamente, perché ci sembra che tutte le copie siano state pagate), avrà la propria sorellina ligure. I Cento della Liguria, ovviamente. O i Cento al pesto per gli amici. In verità, da buoni “piemontesi”, noi (Cavallito & Lamacchia, ma a giudicare dal cognome, più Cavallito), i ristoranti liguri li abbiamo sempre frequentati nei fine settimana primaverili ed estivi, e dunque possiamo dirci turisti, ospiti, villeggianti. Per Iaccarino, che pure si pasce da tempo sotto la Mole, è un po’ diverso: per lui, quasi unico emigrante ligure a Torino, è un classico ritorno alle origini.
Carramba! Se troverete nella guida un tocco di affezione nostalgica, un pansotto di saudade, sappiate che è opera sua. Per il resto, in questi mesi avreste potuto immaginarci così: tutti i venerdì sera sulla Torino-Savona o sulla Torino-Genova, lanciati a palla (autovelox permettendo) verso i nostri cento ristoranti, individuati dopo lunghe consultazioni di gastronomi, cuochi, guide, recensori e amici di bocca buona e di bocca educata. Come al solito la selezione è stata la parte più difficile e, a questo proposito, dobbiamo anche ringraziare i tanti consigli degli amici di facebook, che interloquiscono con noi sulla pagina dei Cento di Torino e che hanno, solo per un momento, interrotto le discussioni sui ristoranti torinesi per suggerirci le loro preferenze liguri. Ovviamente, soprattutto in questa nuova scampagnata, ci siamo fatti accompagnare dai nostri fidati amici collaboratori che ci hanno permesso di non annegare dentro maree di trenette al pesto e di frittatine alle erbette. Paola Nano, Marina Maestro ed Eric Vassallo sono noti ai lettori della Guida I Cento e a tanti buongustai: abbiamo però acquisito uno spirito ligure come Federico Ricci, indagatore de “l’Espresso”, che conosce il Levante estremo come le sue tasche.
È tempo di fish
Alla fine di maggio una nuova edizione della fiera del pesce marchiata Slow Food Dal 27 al 30 maggio va in scena alla Fiera di Genova la quinta eidizone di Slow Fish, l’evento dedicato a tutto ciò che ha a che fare con il gusto ittico, purché sia buono, sano e segua le modalità slow. Una buona occasione per fare una gita in Liguria, pranzando magari all’Osteria dell’Alleanza interna alla fiera, dove una ventina di cuochi utilizzeranno i prodotti dei Presìdi Slow Food per preparare alcuni tra i piatti più interessanti della cucina di mare. E poi, a pancia piena, immancabile è un salto al mercato che occupa il piano superiore, dove cercare di accaparrarsi il pesce migliore in un’asta in stile tradizionale. Alle 17 di sabato 28 maggio il nostro cerbero mangereccio, Cavallito–Lamacchia–Iaccarino, presenterà la prima edizione de I Cento della Liguria. Se non vi basta, prenotate qualche degustazione guidata nel Laboratori del Gusto. Siamo certi che l’impepata di cozze non avrà più lo stesso sapore. www.slowfish.it
Qualche considerazione: i conti liguri sono in media una decina di euro più cari di quelli sabaudi, soprattutto sulla costa, dove evidentemente la ricchezza turistica modifica i prezzi. Sempre sulla riviera, c’è da muoversi con circospezione, ché la fregatura è dietro l’angolo. Per questo pensiamo che la nostra guida sia utile: abbiamo provato locali di tutti i tipi, dalle osterie economiche ai grandi ristoranti, ma nella lista non c’è spazio per i ristoranti senza onestà. Insomma, signori, non c’è trucco e non c’è inganno. Ma oltre all’incanto delle vetrate vista mare, nel verde scuro della Liguria meno nota, abbiamo trovato osterie vere, dove un oste burbero serve vino buono. Se fossimo qui, cari bugianen, le chiameremmo piole. Non solo una parola, un concetto, una categoria. Alla fine, tra i mari e i monti, il risultato dei nostri viaggi è nelle pagine di questa nuova guida che confidiamo sarà strumento utile. Per tutti i torinesi che partono per il mare con il canotto sul portapacchi, per tutti i torinesi che hanno quell’espressione un po’ così, per tutti i liguri che, come noi, amano la Liguria e quella cucina dall’anima povera che assomiglia tanto alla nostra.
Nasce Eataly Genova Gli alti cibi sbarcano nella superba Genova, fronte porto, pronti a conquistare i liguri Pian piano il gusto di Eataly va conquistando mezzo mondo. Dopo Usa e Giappone, la creazione di Oscar Farinetti arriva anche a Genova, al Porto Antico, dove un nuovissimo punto vendita è stato inaugurato il 25 aprile. Cinque ristoranti, una panetteria, una gelateria, aree di studio per un totale di 2000 metri quadrati. Insomma, la uova sede dello shopping enogastronomico ligure pare non aver nulla da invidiare al fratello maggiore torinese. Anzi, col porto proprio a un passo, c’è da credere che il pesce sarà superlativo. www.eatalygenova.it
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oggetti, vestiti, accessori, tendenze per essere tuned
MANIACHE DELLE SCARPE ECCO IL VOSTRO “BUCO” Luca Gallione apre un “buco” di negozio di 19 mq in via Bertola quasi dieci anni fa, e non a caso lo chiama Hole. Qualche anno più tardi si sposta poche vetrine più in là in quello che è il negozio odierno e che ogni “shoes addicted” torinese conosce, all’angolo tra via Bertola e via Botero. Le calzature sono tutte provenienti da aziende marchigiane e quando gli chiedo il motivo mi risponde simpaticamente perché è la terra degli “scarpai”. E accanto a marchi conosciuti come Moma, Ixos, Fermani, troviamo case più piccole con lavorazioni artigianali, dai pellami morbidissimi e cucite rigorosamente a mano. Parla del suo lavoro con competenza e grande passione e la selezione che ritroviamo in negozio rispecchia la sua personalità: grintosa e forte. Il negozio si rivolge a donne che lavorano, che amano la praticità ma non rinunciano al dettaglio… perché come dice Luca una scarpa bella fa un abito bello. Quando gli domando del perché non tratti nulla per i maschietti mi confessa che si rivolge a un pubblico esclusivamente femminile perché noi donne di scarpe non ne abbiamo mai abbastanza. E lui è affetto della stessa malattia: mi dice di comprarne circa dieci paia a stagione solo per sé! Oltre alle scarpe ha pochi pezzi come sciarpe in seta dipinte a mano, cinture, portafogli e borse di piccoli marchi come Hedoné o Mialuis, per non lasciare al caso neanche il dettaglio! HOLE via Giovanni Botero, 19 tel. 011 5176602
una scarpa bella fa bello un abito
to cool
a Cura di valentina PeliZZetti
una tIgre dI negoZIo Passo a prendere Fabrizio in negozio. Via Bertola angolo via XX Settembre. Impossibile non vedere Tiger: vetrine altissime con manifesti pubblicitari e persone intente a curiosare. Mentre lo aspetto faccio un giro veloce. L’ambiente è luminoso, rilassato, gradevole. Gli avventori sono di tutte le età. Ragazzi e ragazze giovani con la maglietta blu marchiata Tiger sistemano oggetti di ogni tipo: dalle saliere, ai post-it, alle calze di cotone, agli occhiali pazzi per una festa alternativa. I prezzi vanno da uno a venti euro. Fabrizio, socio insieme a Giorgia, Ana, Javier e Emanuele mi viene incontro sorridente. Ci prendiamo un caffè e mi racconta di come sia nata l’idea di aprire a Torino, il 6 aprile 2011, il primo store in Italia. Ana e Javier che un annetto fa si stavano trasferendo nel nostro Paese, prima della loro partenza da Madrid, fanno shopping in un Tiger in aeroporto. Andando verso il loro gate Ana rimpiange di non aver acquistato una cosa. Javier la rincuora sul fatto che l’avrebbe potuta comprare in uno store italiano. Al loro arrivo a Torino la triste scoperta! Non c’è nessun punto vendita Tiger. Decidono allora con altri tre amici di proporsi per l’apertura. Detto fatto. Dalla mail di ottobre all’apertura di aprile il passo è stato breve. Il negozio, allestito con attenzione e gusto, non sembra assolutamente uno di quei negozi “tutto a 99 centesimi”. Gli oggetti hanno prezzi contenuti ma sono di buona qualità. Si può scegliere tra ben 1360 articoli esposti in 230 metri quadri calpestabili. L’esposizione, sottolinea Fabrizio, è fondamentale in quando un cliente mediamente si ferma in negozio 15 minuti ovvero 900 secondi e dedica quindi meno di un secondo a prodotto. Il negozio è aperto sette giorni su sette, dalle 10 alle 20. I risultati ci sono e si vedono: in media ci sono in negozio dalle cinquanta alle settanta persone e praticamente nessuna esce senza aver acquistato qualcosa. I magnifici cinque sono infatti alla ricerca della seconda location su Torino e la prima su Milano. TIGER Via XX settembre 51/G (angolo via Bertola) tel. 011 0262530 www.tiger-stores.it
dalle saliere, ai posT iT, alle calze di coTone, agli occhiali pazzi per una fesTa alTernaTiva maggio / giugno 2011
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Le aziende d scelte per vo i eccellenza artigia i da ExtraTo na rino manifatturiero food ANTICA CASCINA srl
magliano alfieri (Cn) tel 0173/266028 www.anticacascinasrl.it salumi del territorio di salumi vi stupireste nello scoprire quanti tipi ireste stup vi se. onte piem orio tipici offre il territ succede e vi verrebbe l’acquolina in bocca, come che lavora a noi nel presentarvi quest’azienda ttando le ancora artigianalmente le carni, rispe materie o zand utiliz e ità esigenze di stagional vi viene voglia prime di qualità. insomma, quando (oppure di di mangiare un po’ di salsiccia cruda il salame assaggiare il filetto al pepe verde, o zionale al tartufo, o quello al barolo, o un tradi cotechino), è qui che dovete venire.
PASTIFICIO OSSOLANO
malesco (vb) tel 0324/92545 www.pastificioossolano.it pasta fresca, gnocchi iano da vent’anni, questo laboratorio artig negozio produce pasta fresca che vende nel one sono adiacente. il prodotto che la fa da padr di castagne gli gnocchi ossolani, fatti con farina a di queste e zucca, così come vuole l’antica ricett e ripiene, terre. golosissima la scelta delle past prodotti che hanno come ingredienti principali ronomico che fanno parte del patrimonio gast montano locale, come il prosciutto crudo tipico grano vigezzino, i funghi porcini, la farina di che quel e. local e d’alp aggio saraceno o il form stra. serve per non mangiare la solita mine
OLIVERI EMILIO
via Carducci 14, aqui terme(al) tel 0144/322558 www.oliveri-piemonte.it prodotti sottovetro, funghi e questa bottega nel centro di acqui Term i prodotti vende, sin dai tempi di nonno emilio, uzione della lavorazione (rigorosamente a cond re sott’olio, familiare) delle terre: funghi e verdu ghe, peperoncini ripieni (con capperi e acciu e, con tonno o con formaggio), olive ripien no (perfi tolo barat in e crem e confetture e salse più pigri la tradizionalissima bagna cauda). i mani in e quelli che non vogliono sporcarsi le venduti cucina, sappiano che tutti prodotti sono in lli ceste con ing, cater anche in formato un tocco materiale plastico sottovuoto. per dare io. imon matr o vostr del et buff tradizionale al
SERAZIO NEGRO
via s.Giovanni bosco 5 Foglizzo (to) 0124.350320, 347 2975038 www.serazioenegro.it Restauro e manutenzione pianoforti se vostro figlio ha deciso di cimentarsi con il pianoforte, prima di comprarlo (ché non è un oggetto d’arredamento proprio di facile collocazione...) forse vi conviene affittarn e uno, per poi capire se la passione musicale del vostro pargolo durerà nel tempo. da eman uele serazio potrete farlo, con eventuale possi bilità di riscatto. ma sappiate che è solo l’inizio. ques to laboratorio artigianale riporta a nuova vita vecchi strumenti scordati o magari lasciati andar e negli anni, con una perizia davvero artistica. inoltr e, in esposizione e in vendita, troverete pianoforti di tutte le tipologie (verticali o, per chi ha più spazio ed è amante della moda un po’ vintage, a coda) e delle migliori marche. per garantire alla prole un futuro in orchestra.
LE MEDUSE
di Coltella Gianfranco via s. martino 30 saluzzo (Cn) 339 8016281 www.lemeduse.com Lavorazione artistica del vetro, lampade chissà poi perché questo nome che riman da alla mitologia, per questa produzione di scultu re luminose in vetro riciclato a opera del desig ner gianfranco coltella. forse, le scaglie di vetro che compongono molte delle sue creazioni gli hanno ricordato la testa rettilesca della gorgone. niente paura però, questi lampadari non hanno davve ro nulla di orrendo e non vi trasformeranno in pietra. anzi, si tratta di oggetti d’arredamento d’aut ore, prodotti artigianalmente e spesso in pezzi unici, che possono davvero fare la differenza se inseriti nella casa adatta. non tutti, infatti, hann o lo spazio per permettersi le colonne luminose o la scultura “griglia terra”. beato chi può. per gli altri, c’è anche la scelta di lampade meno impegnative, ma sempre uniche.
SAPONIFICIO BIGNOLI
via XXv aprile 43 Galliate (no) 0321 861643 www.saponificiobignoli.it Produzione di saponi i prodotti per la bellezza e per la cura del corpo sono uno dei regali più gettonati quando le idee scarseggiano. Tutti, in fondo, si fanno una doccia. quantomeno però, se già siamo a corto di fantasia, facciamo le cose per bene e regaliamo uno dei prodotti artigianali dell’azienda bignoli, che dal 1945 propone saponi e saponette di ogni genere, forma (anche con i cuoricini, per gli innamorati) tipo e colore. l’idea più carina fra quelle offerte, però, rimane la possibilità di creare saponette personalizzate. et voilà, abbiamo ridonato estro ad un regalo un po’ grigio.
CO.BR.RAD
strada del Portone 171/16 Grugliasco (to) 011 3110035 www.cobrrad.it Sellerie d’auto, lavorazione pellami se volete rinnovare davvero il vostro pandino e renderlo all’altezza di una più sportiva alfa romeo, vi chiediamo per favore di non toccare la carrozzeria, né il motore. non se ne può più di serigrafie fluorescenti che davvero non hanno nulla di chic o di rombi assordanti provenienti da micro machine. e allora? vi tenete il pandino? no, provate a portarlo a grugliasco, dove ve lo personalizzeranno con interni in pelle e sedili ultra comodi stile formula uno. certo, più che per le vecchie panda, questo posto è per gli amanti di macchine d’epoca, che troveranno il modo di coccolare anche gli interni delle loro auto da collezione. ma, nulla vieta di pimpare la vostra macchina, di qualsiasi modello sia.
la prImaVera dI born In berlIn + elYron Ci sono cose che sono nate per stare insieme, si tratta solo di scoprire l’abbinamento perfetto. Chissà quante ne sono state provate prima di sposare il cacio con i maccheroni, il latte con il Nesquik, l’uovo al tegamino col tartufo. Pensate alla magnifica sorpresa di chi per primo ha provato questi accoppiamenti. Ecco, per noi è stato così vedere la nuova collezione di Born in Berlin, uno dei marchi d’abbigliamento artigianali più amati in città, che ha scelto i nostri amici Elyron per le grafiche di T-shirt, gonne e vestiti. Ci siamo detti: “si sono trovati”. E lo pensiamo ancora. Le creazioni a taglio irregolare della moda di Judith e Julia (e di Simone, che cura la linea pelle), dai colori sobri e un po’ malinconici; e le scritte dal taglio vintage, i volti disegnati con tratto semplice e quasi fanciullesco (che sono poi quelli incontrati durante un viaggio in Croazia, così come le scritte, incomprensibili ai più) di Roberto&Roberto. Loro, per caso (tra un po’ di shopping e una chiacchierata), si sono invaghiti l’uno dell’altro e noi siamo pazzi della collezione che insieme hanno creato (si era capito?). Collezione che è da poco in vendita anche nel nuovo shop online di Born in Berlin. Mariti, occhio alle carte di credito delle vostre mogli. www.borninberlin.com
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dalla colazione al bicchiere della sTaffa. dedicaTo ai golosi
notti magiche
Dove è sbocciato l’amore tra Arrigo Boito ed Eleonora Duse Una decina di minuti dal centro di Ivrea, una quarantina di chilometri da Torino e ci si ritrova in un romantico romitaggio al centro di un grande anfiteatro morenico. Laghetti, boschi, la Serra, le montagne sul confine fra Piemonte e Valle d’Aosta che sembra quasi di toccare. Il Castello San Giuseppe, oggi piccolo hotel di charme di sole 24 camere sulla cima di una panoramica collina, nella sua lunga storia iniziata nel 1640 è stato prima convento, poi castello fortificato in epoca napoleonica. L’atmosfera fra gli ovattati saloni e le comode camere, tutte arredate in modo diverso con mobili d’epoca, ha un sapore tardo risorgimentale. Sarà forse perché il castello è stato lo scenario della storia d’amore fra Arrigo Boito ed Eleonora Duse. Il compositore e librettista di Verdi condusse l’attrice su queste colline con parole suadenti: «Arrigo porterà la Bimba Bella [Eleonora] con sé in una gran casa santa, alta, serena e veramente romita», scrive nel 1888 l’autore dei testi di Otello e Falstaff alla celebre diva. È l’inizio di una vicenda passionale che durerà più di dieci anni sullo sfondo delle atmosfere scapigliate dell’Italia appena unita. Poi il Castello San Giuseppe racconta di altri soggiorni, come quello di Ginger Rogers ospite negli anni Trenta del proprietario di allora, l’italoamericano Giovanni Perona. Fra aneddoti e curiosità, nell’hotel di oggi l’atmosfera romantica e tranquilla del luogo si abbina a tutto quello che serve per una vacanza fascinosa e di relax. Come il centro benessere ricavato nell’ex sacrestia del Convento (massaggi ayurvedici, stone massage, riflessologia, aromaterapia, rituali delle erbe) o la bella piscina esterna, racchiusa in un panoramico giardino mediterraneo (com’è nello stile della piccola catena Relais du Silence, www.relaisdusilence.com, di cui l’hotel fa parte). I giardini pensili che circondano la piscina, con palme, magnolie, cascatelle d’acqua, sono il luogo ideale per un aperitivo al tramonto. La sera apre le porte in una settecentesca sala affrescata il ristorante Il Cenobio. Che il luogo fosse propizio a buone soste gastronomiche lo aveva già capito Arrigo Boito. Forse cercando di prendere la Duse per la gola, scriveva che «lassù in convento ci sono delle gallinette che fabbricano delle uova e delle uova che fabbricano gallinette… Dunque il pranzo c’è, i rami da cucina ci sono. L’acqua da bere è freschissima e purissima. Stoviglie ve ne sono. La cantina è piena di botti piene… Domani… tutto vi dirò». Aggiungiamo che i buoni vini sono quelli del Canavese, ma non solo. E che un weekend in doppia con prima colazione parte da 165 €. Fra le offerte speciali c’è n’è anche una dedicata al 150° dell’Unità d’Italia.
di dario braGaGlia e rosalba GraGlia
Relais Castello San Giuseppe Chiaverano di Ivrea (To) tel. 0125 424370 www.castellosangiuseppe.it
mangia e bevi
colazione da tiffany
di rosalba GraGlia
Risorgimento al sapore di caffè Se lo aveste frequentato centocinquanta anni fa vi sareste seduti accanto a D’Azeglio, Rattazzi, Lamarmora…Pare fosse il caffè prediletto anche da Francesco Crispi, organizzatore dell’impresa dei Mille, quello che convinse Garibaldi a guidare la spedizione, quand’era a Torino, prima esule dal Regno delle Due Sicilie e poi ministro del Regno d’Italia. Senza dimenticare Dumas, che qui bevve il suo primo bicerin (e tutti quelli che sono venuti dopo, da De Amicis a Gramsci, da Luigi Einaudi a Carlo Levi). Insomma, state per andare a fare colazione in uno dei caffè di culto del Risorgimento, addirittura chiuso nel 1837 per “attività sovversiva”. E che vanta un piccolo record: è primo caffè in Italia, forse in Europa, ad adottare l’illuminazione a gas, nel 1822. Allora vincete la piccola ritrosia di dover superare i gradini d’accesso: la porta è spalancata, per una colazione al banco pagherete come dappertutto, ma attorno avrete stucchi, specchi, lampadari di cristallo e poltroncine di velluto, e nella saletta interna un’atmosfera da piccolo museo: mica per niente i cronisti dell’epoca lo chiamavano “la reggia”. Cosa ordinare? Fate voi. Se vi sentite molto sabaudi, il bicerin, sennò è perfetto il cappuccino. Ma per i dolci, andate sul risorgimentale: la brioche (da non confondere con il croissant), i foré (biscotti-bucati, specie di ciambelle di farina di mais), il biciulan alla marmellata cosparso di zucchero… Sono i dolci ottocenteschi delle merende reali: e se vi va di provarli insieme ai parisien, micropanini con la marmellata, i garibaldi, biscottini di pasta frolla farciti di uvetta e confettura di albicocche e il garibaldino, pane con il burro, e a svariate altre delizie di corte, bicerin con “la stissa” compreso, ai primi di giugno è in programma al San Carlo una merenda reale con tutti i crismi.
Caffè San Carlo p.zza San Carlo 156 tel. 011 5617748 dalle 8 alle 24, tutti i giorni
brand new
Vino e Altro via Emanuele Luserna di Rorà 127/c tel. 349 8768266 – www.vinoealtro.it 9-13/15.30-20, chiuso il lunedì mattina
Vino e altro apre a San Paolo Nel cuore del quartiere San Paolo, a pochi minuti dal mercato di corso Racconigi, appena aperta Vino e Altro, una vineria dall’atmosfera d’antan. L’idea è di due amici con la passione per il vino e le cose buone, Paolo Mollo e Marco Moglia, che qui propongono vino sfuso di qualità, dal barbera biologico doc a bonarda, grignolino, un eccellente nebbiolo di Barolo: in tutto dieci vini diversi, otto rossi e due bianchi, Pinot grigio e Traminer, più il rosé estivo.Tra i vini in bottiglia, alcune rarità esclusive come il Gamba di Pernice, rosso dall’aroma speziato, coltivato in non più di
5/6 ettari a Calosso d’Asti, grandi passiti di moscato, claret noir. E poi una bella selezione di aceti preziosi dell’Aceteria Merlino di Castelnuovo Don Bosco, compreso l’Aceto dei 4 ladroni su ricetta del Seicento, succhi di mele e sidro, gelatine e mostarde per formaggi e carni, condimenti e confetture artigianali e i biscotti della Forneria Artigiana Cavanna di Villar San Costanzo in Val Maira, prodotti con la farina macinata a pietra al Mulino della Riviera, l’ultimo mulino rimasto in valle: integrali, senza zucchero, al mais, al farro... a Torino si trovano solo qui. maggio / giugno 2011
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dalla colazione al bicchiere della sTaffa. dedicaTo ai golosi
a tavola!
di leo rieser
Perché come si mangia sul fiume, non si mAngiA dA nessunA pArte
C’è speranza se i giovani riprendono a investire nella ristorazione e diventa un “dovere” concedere loro una opportunità. La Locanda Casale è nata al posto dello Zoo Bar in un ampio locale, a pianta rettangolare, a piano strada di un basso fabbricato di corso Casale, a due passi dal Motovelodromo. Il locale, curato ed elegante, incute un po’ di soggezione al passante occasionale e, in fondo, è un peccato, perché l’esperienza al tavolo risulta, alla resa di conti, molto meno formale e costosa di quanto si potrebbe presagire. Barbara Burzio, in sala, e Fabio Rinaldi, ai fornelli, arrivano dal Colombatto, storico istituto alberghiero torinese di bella tradizione, ricco di validi docenti. L’attenzione meticolosa e scolastica sia nel servizio che nella tecnica di cucina è evidente. Tra gli antipasti assaggiati in una visita invernale ricordiamo l’insalata tiepida di cappone con castagne al miele, il flan di cardi di Andezeno con la salsa di topinambur e acciughe, mentre la carta primaverile alleggerisce le preparazioni proponendo il fassone battuto al coltello, il fiocchetto valtellinese con muffin al rosmarino e i
gamberoni al vapore con crema di fagioli. Tra i primi piatti oltre a classici come tajarin al ragù d’agnello e agnolotti del plin, segnaliamo l’attenzione per i cereali, con l’orzotto mantecato al Barbera, e per le zuppe primaverili. Si prosegue con l’agnello delle Langhe al forno con pomodori di Pachino e olive taggiasche, petto d’anatra con pan brioche o con una più lieve rolatina di coniglio primaverile. Non mancano pietanze di pesce: il nasello, proposto con un originale chutney ai pinoli, e la spigola al burro d’erbe. Si chiude con la panna cotta al caffè in coppa con mousse al cioccolato bianco, le mele tatin con gelato alla crema o il cheese cake ai frutti rossi. Segnaliamo infine un menu tematico composto di piatti dedicati ai 150 anni d’Italia, che comprende ricette d’epoca, tra cui la trota al Blo, i tagliolini freschi alle erbe di montagna con castagnole di carne in salsa Barolo, piatto tra i preferiti da Vittorio Emanuele II, e la torta Mazzini (da una ricetta popolare del 1835). Carta dei vini in crescita, con qualche importante bottiglia. Si spendono sui 30/35 euro e si esce con la sensazione di aver speso correttamente i propri soldini. Viva le giovani leve. Locanda Casale corso Casale, 127 tel. 011 8198821 Aperto pranzo e cena. Chiuso lunedì
l’oliva Tutto lo charme del Barolo Luigi Molinaro, da quasi vent’anni alla guida di questa storica enoteca, ne ha recentemente allargato gli orizzonti. Da due anni, a fianco del magazzino di via Perugia, è stato aperto un modernissimo ed elegante punto vendita. Qui, oltre a una ragionata proposta durante la pausa pranzo, è possibile all’ora dell’aperitivo serale stappare una delle numerosissime bottiglie a scaffale o affidarsi alla selezione al calice. Stiamo parlando di una enoteca tra le più fornite in città e poter scegliere tra centinaia di referenze è una opportunità che ben pochi locali possono permettersi. Spazio quindi a grandi bollicine francesi, e al meglio dei vini piemontesi e toscani. L’eccellente selezione di oli extravergine, aceti balsamici, dolci, cioccolati, tè e prodotti gastronomici sugli scaffali rappresenta una ulteriore tentazione: gli appassionati faranno fatica a uscire a mani vuote. Mentre leggete queste righe è imminente l’apertura della mescita anche nella storica sede di via Andrea Doria: un motivo in più per indulgere in centro all’uscita dell’ufficio. Casa del Barolo via Andrea Doria, 7 tel. 011 532038 chiuso domenica e lunedì mattina
via Perugia, 26 tel. 011 2876272 chiuso sabato e domenica
mangia e bevi
que viva marguerita
Di leo rieser
Tre pizzerie “principesche” in una Pizzeria Totò e Macario corso Moncenisio 12N, via Santa Lucia 94, Sant’Ambrogio di Torino Mathi (TO) tel. 011 9323665 tel. 011 9267515 aperte solo la sera dal martedì alla domenica Pizzeria Luigia Rue Adrien Lachenal 24a, Ginevra tel: +41 22 840 15 15 aperta tutti i giorni (sabato solo a cena)
Il principe De Curtis come icona della napoletanità e, di conseguenza, della pizza è sempre stata un’idea ultrasfruttata, ma l’associazione, in questo ambito, a Erminio Macario poteva sembrare azzardata. Correva l’anno 2002 e Franco Rossino, da molti anni timoniere dello storico Caval ‘d Brons, intraprendeva questa avventura insieme a Enrico Coppola, giovane e promettente pizzaiolo e ristoratore in quel di Salerno. La mediterraneità prorompente di Totò e la tradizione subalpina di Macario, dunque, a braccetto in un divertente locale a Sant’Ambrogio, alle porte di Torino. La pizzeria nasce immediatamente con la massima attenzione alla qualità della materia prima: pomodori di Sabatino Abagnale, fiordilatte proveniente da Agerola, olive del Belice, acciughe del Mar Cantabrico, il tutto sostenuto da una preparazione dell’impasto da lievito madre che matura da 48 a 72 ore. Il locale, colorato ed allegro, conosce immediatamente un successo di pubblico e nel 2008 raddoppia, in un vecchio cotonificio dismesso e ristrutturato, a Mathi. L’idea di Enrico Coppola è stata quella di affiancare alle pizze tradizionali vere e proprie specialità gastronomiche. Si parte ovviamente dalle pizze ispirate ai patron: la Macario (di Rossino) con San Marzano, pecorino,
una buta e via
guanciale e cipolle e la Totò (di Coppola) che al pomodoro aggiunge tonno Bonito del Norte, acciughe, aglio e origano. Poi si comincia a giocare sul serio: Piero Alciati di Guido (con le verdure e la salsa della nonna), Gennaro Esposito della Torre del Saraceno (ricotta, spinaci e carciofi fritti), Maurilio Garola del Tornavento (bufala, rucola, tuorlo e tartufo nero), fino alla nostra preferita, la focaccia di Bonci (con la mortadella bolognese e le zucchine in scapece). Quelle di Davide Palluda dell’Enoteca di Canale, della Sora Lella di Roma e dei selezionatori Longino e Cardenal non ve le raccontiamo. Dovrete andarle a provare di persona. Precisato che queste pizze estrose non si servono nei week-end, vi ammoniamo che il loro prezzo (da 10 a 40 euro) ne consiglia un assaggio in più persone, magari dopo un’ottima e più economica Margherita. Non vi basta? Volete la pizza da 300 euro con caviale asetra, foglia d’oro e salmone affumicato? C’è pure quella. Noi confidiamo che si tratti solo di una provocazione, ma fonti informate ci dicono che qualche cliente danaroso e spendaccione l’abbia assaggiata. Strano, invece, non ritrovarla nel menu della nuova pizzeria Luigia, sede elvetica inaugurata pochi mesi fa da Enrico Coppola. Più gioiellieri a Sant’Ambrogio che a Ginevra?
Di bruno boveri
L’oro e le spezie: i buoni bianchi di Spertino Mauro Spertino (Luigi è il papà, fondatore dell’azienda) è una persona seria, schietta, vivace. Come i suoi vini: ruspanti, veraci, senza fronzoli. Conoscevo e amavo i suoi rossi: un grignolino buono (non stupitevi voi, mi sono già stupito io di doverlo ammettere), due barbere stupende (una base e una da appassimento tipo amarone) e un grandissimo pinot noir parecchio borgogneggiante. Ma quello di cui vi parlo oggi è un bianco davvero sorprendente. Si chiama “Vilét Ostrea Edulis” (nome scientifico delle ostriche) millesimo 2009, da uve Cortese. Nessun uso di chimica in vigna (falciano persino l’erba a mano), e nulla in
cantina (per dire: no chiarifica e no filtraggio). Il risultato è un vino dal colore giallo dorato intenso (tendente all’arancio), profumi erbacei e minerali (tira un po’ verso il riesling) e poi albicocca, frutta candita, spezie (coriandolo). In bocca sorprende per morbidezza (malolattica sicuramente fatta) e freschezza al tempo stesso, stessi rimandi olfattivi e lunga persistenza. Vi consiglio di aprirlo e lasciarlo un po’ arieggiare e, soprattutto, non servitelo troppo freddo. Luigi Spertino strada Lea 505, Mombercelli (AT) tel. 0141 959098 maggio / giugno 2011
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ATTORI R A T extraglitter
w w w. h a c c a . i t
photo © Daniele Celona
E
ssere giovani è una pena. Qualche volta. Peccato, perché quando si va avanti negli anni, tutte quelle insicurezze, quelle fragilità diventano un ricordo dolcissimo, una nostalgia. Nell’84, a 25 anni, in teoria fuori tempo massimo per esprimere pensieri adolescenziali, Morrissey e i suoi The Smiths cantavano in Still Ill, con sintesi perfetta, che la vita semplicemente ti prende continuamente qualcosa senza darti in cambio niente. Loro erano infarciti di letteratura ottocentesca inglese e di punk (due cose che non fanno per nulla a pugni, anzi – se scegli gli autori giusti, le parole giuste, perché l’irrequietezza è cosa umana e antica). Giulia e Roman, figure portanti di Denti guasti, sono imbevuti di vita. Non scelgono, si ritrovano nelle cose. Destino? Fate voi, secondo credo o formazione. Lui 19enne moldavo, arrivato in Italia per le solite vie fortunose. Lei, 18enne, un padre morto pochi anni prima, una madre alcolista, un fratellino-cucciolo. Si incrociano casualmente per le vie di Torino, lei ha un gesto bellissimo nei confronti di lui, il clandestino (si dice così, no?). Un gesto protettivo, di persona adulta, abituata a prendersi cura degli altri. Si cresce in fretta, quando serve, quando non si può far altro. In pochi giorni, succedono molte cose a Giulia e a Roman, succedono anche
cose definitive. E intanto l’idea di Giovane e quella di Straniero (che spesso si sovrappongono, basta avere in mente quelle immagini di rivoluzioni magrebine che emozionano come nessun film) prendono forma nei corpi di questi due adolescenti. Smettono di essere concetto astratto, buono per un’indagine sociologica, e si fanno personalità, ricordi, desideri. Roman e Giulia sognano, ognuno per sé, e al di là dell’amore reciproco, sfiorato, di essere cittadino regolare (tra cittadini probabilmente indifferenti, se non ostili) e ragazza di successo, cantante apprezzata e amata. Perché in questo racconto, come è giusto, la televisione ha il suo ruolo fondamentale nell’imprimere sulla carne più giovane immaginari di auto-affermazione legati a doppio nodo (scorsoio) al livello di visibilità raggiunto. Sta a te capire fino a dove puoi darti, fino a quale punto sei disposto a svelare la tua intimità, per rendere reale un sogno. E non si parla di corpi, di pelle, si parla di quale idea ti sei fatto del concetto di “arrivare” nella vita: personale, professionale. De Simone suona e canta in una band torinese che fa rock. I suoni di sottofondo per questa lettura potrebbero anche appartenere a una ballad acustica. Comunque, fate voi. FRANCO CAPACCHIONE
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ART DIRECTION. GRAFICA E ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA. LOGO DESIGN: MAURIZIO CECCATO IFIX
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sili di Pina & Ba o
Matteo De Simone è nato nel 1981 e vive a Torino. È conosciuto ai seguaci del rock indipendente italiano come autore, cantante e bassista dell’apprezzato trio rock “Nadàr Solo” (con Federico Puttilli e Alessio Sanfilippo). Come scrittore ha pubblicato nel 2007 il romanzo Tasca di pietra (Zandegù), accolto con successo dalla critica e inserito dalla rivista «Panorama» tra i migliori esordi dell’anno. Suoi racconti sono apparsi in antologie pubblicate da Terre di Mezzo, Transeuropa, Coniglio Editore, Barbera, Sartorio e sul blog collettivo Nazione Indiana. Denti Guasti è il suo secondo romanzo.
matteo de simone denti guasti
denti guasti
Santo
Roman gli ha insegnato a capire i palazzi. La topografia della roba in città. Non che loro se ne facciano niente di quei giri, ma è importante sempre sapere dove sei, dove ti muovi. Chi ti circonda e chi vive nei posti in cui vai a fare cassa. Perché non si può fare cassa dappertutto. Ci sono posti in cui è meglio di no. E comunque in generale non devi fare troppo casino. Specialmente d’estate, quando è tutto tranquillo. Non bisogna spezzare i ramoscelli, sennò la polizia drizza le orecchie. E se trova te, poi trova un sacco di altre cose che invece devono restare nascoste per il bene di tutti.
matteo de simone
Spirito
Nel cuore di Torino un angolo di cucina casalinga del sud dal 1975 I gusti forti e le porzioni abbondanti ridanno alla cucina verace il posto d’onore Specialità ittiche, ma non solo, in una trattoria insignita di numerosi riconoscomenti e attestati di qualità Con 120 posti a sedere, dehors sul tranquillo e suggestivo piazzale di Largo IV Marzo Chiuso il lunedì È gradita la prenotazione Dehors riscaldato ORARIO: 12.00 - 15.00 19.00 - 24.00 Largo IV Marzo, 11 - 10122 Torino 011.43.60.877 - 334.21.53.804 trattoria-spirito-santo@hotmail.it
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“Silviu capisce perché quei poveretti si sono appartati qui. Si vede tutta la città. Si vedono le montagne e l’ultimo raggio del sole che muore. È bella Torino. Vista da qui fa veramente impressione. Sembra un anello Swaroski incastrato nella terra. Peccato per quella Mole Antonelliana. Se Silviu fosse l’artigiano che l’ha inventata, adesso guardando Torino direbbe tra sé: non ci siamo ancora”. MATTEO DE SIMONE
Denti guasti Hacca edizioni 14 euro in libreria dal 18 maggio 2011
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«Nella distrazione ho mangiato il mio sogno.»
C’è una Milano del futuro, in cui il sole non tramonta mai, il mare di catrame si mangia lembi di città, non c’è cibo se non per i conniventi e la polizia se ti becca, ti scaglia contro i canibabbuino. Lì il Poeta dei graffiti, Andrej Babilonia e il Veggente cercano di sopravvivere come si può in un mondo post-catastrofico, facendo della propria follia personale l’unico viatico per sfidare la follia collettiva del mondo. Avevo sempre pensato che la poesia e la fantascienza non andassero d’accordo. Invece Francesca Genti ha scritto un libro a mezzo tra Ken il guerriero ed Emily Dickinson, poetico ma brutale. Se qualcuno ci salverà dall’apocalisse de “La Febbre”, questa sarà una poetessa. FRANCESCA GENTI
La febbre Castelvecchi euro 16,00
librarsi
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Torino, via Pinelli 45, di fronte a piazza Barcellona: è la storica sede di Backdoor, negozio di musica dedicato soprattutto al vinile e al collezionismo. Ora, la prima cosa da dire sarebbe che si tratta di una nicchia di mercato che difficilmente potrà sopravvivere a lungo, che questa forma di cultura musicale è destinata a scomparire, eccetera. Ma L’ultimo disco dei Mohicani non è questo genere di libro, anche se fra le righe racconta anche di come un venditore di 33 e 45 giri riesca a sfangarla, tra mille difficoltà. Piuttosto, le storielle raccontate da Maurizio Blatto, avvocato mancato sulla quarantina che al fascino della toga ha preferito quello del giradischi, sono spaccati di umanità varia ispirati dalla clientela multiforme che frequenta il negozio, o che semplicemente ci gravita attorno. Probabilmente non vere al 100%, ma poco importa: strambi fino a sembrar quasi surreali, a volte assurdi a volte credibili, questi racconti sono tra le cose più divertenti che vi possa accadere di leggere quest’anno. Il loro grande pregio è quello di saper rendere universali vicende e personaggi che partono da un microcosmo specifico come un negozio di dischi, facendoci capire fino a quali livelli di paradosso si possa spingere un uomo, se ad animarlo c’è una mania, una passione o un’ossessione (non avendo ben chiaro il confine fra le tre). Ma si sa, come dicono i Doors: People are strange… Bizarre MAURIZIO BLATTO
a Cura di FranCesCa Fimiani
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anteprima!
Gli insetti più amati da Beppe Tosco Sdoganate una volta per sempre le parolacce, anche l’ultimo libro di Beppe Tosco urla a gran voce: “Le zanzare sono tutte puttane”. Vogliamo vedere se c’è qualcuno che, in nome del bon ton, osa dargli torto. Il nuovo libro del nostro amico e rubrichista Beppe, che uscirà in maggio edito da Mondadori, è, ancora una volta, tutto da ridere. Non un romanzo, ma una serie di monologhi - invettive contro l’idiozia del genere umano. Il tema che lega tutti i racconti, infatti, è: la vita è bella, ma potrebbe esserlo di più senza una serie di gigantesche cretinate con cui ce la complichiamo e la complichiamo agli altri. Ad esempio, perché chiedere il caffè in quarantamila modi diversi (ristretto, corto, lungo, con latte a parte sì ma mi raccomando che sia scremato), se poi quando andiamo a New York ci lamentiamo perché non troviamo l’espresso? Oppure, chi non si è mai soffermato a leggere gli effetti collaterali dei medicinali, a metà fra il terrorizzato e il divertito, nello scoprire che quelle pillole prescritte dal medico possono provocare “alterazione degli incubi”? Cosa dovrebbe significare, chiede Beppe Tosco, che sogno quattro draghi invece di tre? «Alle volte
mi sono spinto perfino all’ira, cercando gli argomenti per questi racconti – racconta Beppe – Pensate, esiste un accessorio per auto che indica quando fuori piove. Eh, si, nel caso il guidatore non abbia capito subito cosa sono quelle goccioline che gli bagnano il parabrezza.» Insomma, l’abilità di Beppe è quella di analizzare le stranezze della società moderna, in una satira che come da manuale è una pungente critica (che però fa ridere fino alle lacrime), ma non solo. Beppe gioca a ingigantire queste stranezze, a fantasticare fino al punto limite a cui l’uomo può spingersi (che spesso non è così lontano dalla realtà), così come aveva fatto nel suo precedente libro È finita la benzina (Mondadori 2010). «Mi sono divertito ad inventare nuove idee per ognuna delle categorie che analizzo perché, al punto in cui siamo, vale qualsiasi cavolata.» E così, il rasoio da barba arriva fino a nove lame, che prendono anche il pelo spuntato fra una passata e l’altra; l’Autan, nella sua ultima versione, non si limita a uccidere le zanzare, ma violenta e tortura i loro piccoli. Vi sembra surreale? Probabilmente non avete così bene presente le pubblicità della fascia oraria prandiale, quella di Beautiful, per intenderci. BEPPE TOSCO
Le zanzare sono tutte puttane Mondadori euro 18,50
L’ultimo disco dei Mohicani Castelvecchi 240 pagine – euro 15,00 maggio / giugno 2011
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Mirafiori Motor Village e il brivido della guida in pista A quanti di voi sarà capitato di andare in concessionaria, prendere in prova una macchina sportiva e trovarsi a guidarla nel traffico di corso Francia tra un semaforo e l’altro? Dal 2 aprile e fino a fine ottobre, Mirafiori Motor Village offre un’alternativa a tutti gli amanti della guida sportiva: quella di provare una fra le quaranta vetture dei brand Alfa Romeo, Fiat, Lancia e Jeep, sulla storica pista della Fiat. Circa tre chilometri di percorso, due paraboliche di diversa pendenza e un pilota professionista al fianco: un’esperienza (realizzabile nei week-end, su prenotazione da effettuarsi via mail all’indirizzo testdrive_mmv@fiat.com o per telefono al numero 011 0042505) davvero da brivido. www.mirafiorimotorvillage.it
150 DI QUESTE TAZZINE L’Italia e Lavazza sono quasi coetanee. 150 anni l’una, 116 l’altra. Chi meglio della storica azienda torinese, produttrice di uno dei simboli dell’italianità nel mondo (‘o cafè), può dunque celebrare l’anniversario dell’Unità? Vien da sé che non poteva che essere Lavazza il caffè ufficiale della manifestazione Esperienza Italia 150, presente alle Ogr e a Venaria, nonché main soponsor della mostra Leonardo. Il Genio, il Mito, che inaugurerà il 21 ottobre presso le Scuderie Juvarriane della Reggia di Venaria. Ma, cosa più pop di tutte, l’azienda torinese ha creato una speciale tazzina celebrativa, in edizione limitata, tricolore come la bandiera, che ci dicono stia andando letteralmente a ruba. Quindi, viva gli italiani che, come dice Bonolis a una raggiante Julia Roberts, sanno far bene tre cose: fare l’amore, far ridere e fare il caffè.
extradivinazioni i Fondi del CaFFÈ letti da
noemi CuFFia
L’oroscopo del 150° e dell’italianità Ariete
Tricolore. Per questo mese vi consiglio, cari arieti, di avvolgervi per un giorno intero, preferibilmente di domenica, in una bandiera italiana. In questo periodo non sarà difficile trovarne una, persino agli angoli delle strade di periferia. Il semplice gesto basterà a farvi sentire meglio. Tanto più che è decisamente il vostro periodo fortunato! Anche una rapida lettura al vostro fondo di caffè mi dice: tutto bene, nessun problema. Buon per voi.
Toro
Pizza. Con la vostra proverbiale sicurezza in voi stessi, non avrete paura dei luoghi comuni, e saprete svolgere questo semplice esercizio senza imbarazzi: recatevi in pizzeria, ordinate una Margherita, voltatevi verso i tavoli occupati dagli altri clienti ed esclamate: «Adesso sì che mi sento davvero italiano». Tutto chiaro? Non chiedetemi il perché, alcune ragioni le conoscono solo le stelle. Osservando il vostro fondo di caffè leggo: «Ah che bello ‘o cafè, pure in carcere lo sanno fa». Niente male!
Gemelli
Camillo Benso conte di Cavour. Comperate, cari gemelli, un bel paio di occhialini tondi, un cappotto nero e una camiciola bianca. Fatevi quindi cotonare i capelli e applicare un pizzetto posticcio da un abile coiffeur. Con l’autoscatto, immortalatevi nella posa del Conte. Osservate poi la fotografia con intensità. Vi sentite importanti? L’esercizio è riuscito, gli astri sono ancora dalla vostra parte. Sul vostro fondo di caffè trovo questo: andrà tutto moderatamente bene.
Cancro
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Giuseppe Mazzini. Sull’onda dei vostri amici dei gemelli, proponete allo stesso parrucchiere un’acconciatura un po’ più emo, con due ciuffi laterali a incorniciarvi il volto. Una barba folta e un bel paio di baffi completeranno il quadro. Scattatevi anche voi una foto e mettetela su facebook con la didascalia: padri della patria. I vostri amici commenteranno con molti mi piace e questo aumenterà la vostra autostima. Il fondo di caffè mi racconta che, dopo qualche ostacolo, raggiungerete i vostri obiettivi.
Leone
Garibaldi fu ferito. La mattina appena svegli per tutto il mese a venire cantate davanti allo specchio la canzone: «Garibaldi fu ferito / fu ferito ad una gamba / Garibaldi che comanda / che comanda i suoi soldà». Mi raccomando, cambiate poi tutte le vocali (ad es. «Gherebelde fe ferete…»). L’esercizio mi è suggerito dalle vostre stelle che mi chiedono però di tacere sulle motivazioni. Fidatevi. L’altra indicazione che ricevo su di voi è: non bevete assolutamente nessun tipo di caffè, nemmeno decaffeinato!
Vergine
Va’ pensiero. Anche per voi c’è da cantare. Si tratta di Va’ pensiero. Avrete sicuramente guardato in televisione il Nabucco di Verdi di recente. In caso contrario, procuratevi un dvd dell’opera e imparate a memoria note e parole. Solo così, andrà tutto per il meglio. Il vostro fondo di caffè è ottimista e dice solo: «Sull’ali dorate». Sta a voi capire il significato.
Bilancia
Regno delle due Sicilie. Al grido di «tutto il mondo è Piemonte», recatevi in vacanza in Sicilia e proponetevi come emissari di Casa Savoia. Questo è l’unico consiglio che posso darvi questo mese, per via del vostro ingarbugliato tema astrale. Sul vostro fondo di caffè poi leggo: tra cannoli e gianduiotti, sempre occhio alla bilancia.
Scorpione
Carboneria. Siete il segno più spinoso amici dello scorpione. A voi spetta il compito più scomodo. Cercate alcuni amici del vostro stesso segno e radunatevi. Siete i nuovi carbonari e a voi il compito di guidare i moti rivoluzionari dello zodiaco. Anche per questo compito c’è una valida ragione, che scoprirete nei prossimi mesi. Nel frattempo, il vostro fondo di caffè mi dice: evitate accuratamente la Sacher Torte per un po’.
maggio / giugno 2011
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extratorino
extradivinazioni
extratorino num. 18, maggio 2011 supplemento di www.extratorino.it registrazione al Tribunale di Torino n. 6018 del 29/10/2007 dIrettore responsabIle
luca iaccarino
Sagittario
Mandolino. Forse pochi di voi, cari amici del Sagittario, riusciranno a procurarsene uno in tempi brevi. In tal caso, va bene anche un ukulele a buon mercato. L’importante è il gesto tecnico del fare una serenata. Con questo strumento voi dovrete intonare un canto popolare a vostra scelta, di qualsiasi regione. Il motivo per cui vi chiedo questo, sta scritto nel firmamento. Sul vostro fondo di caffè leggo: attenti alle secchiate d’acqua fredda.
Capricorno
Le cinque giornate di Milano. Prendete il primo treno e andate a trovare i vostri amatissimi cugini lombardi. Nel tragitto, mi raccomando, canticchiate La marcia di Radetzky: credo che succederà un quarantotto. Sul vostro fondo di caffè si compone la scritta: Rivoluzione!
Acquario
Sole e Mare. A voi è richiesto l’impegno maggiore, cari acquari. Dovrete dimostrare al mondo intero quanto il nostro paesaggio sia bello, quanto il nostro mare «spiri tanto sentimento». Come fare? Questo io non lo so. Ma le stelle sono generose e vi lanciano una grande idea: se non l’avete già, studiate per ottenere in breve tempo la patente nautica. Dopodiché invitate alcuni esponenti internazionali alla traversata ad esempio di tutto il Mediterraneo, guidando voi la nave come condottieri d’altri tempi. E via così per gli altri mari della penisola. Che senso ha? Nessuno, ma vi sentirete parte di un progetto ambizioso, e la cosa vi gioverà. Sul vostro fondo di caffè leggo: possibile mal di mare, tenetevi leggeri.
Pesci
La spedizione dei Mille. Per voi che amate la compagnia e vi spostate sempre in gruppo, le stelle suggeriscono, un po’ come per i vostri amici dell’acquario, un lungo viaggio per mare. Si tratterà di rievocare, con tanto di abiti d’epoca, proprio l’impresa delle truppe garibaldine. E nonostante le controversie del caso, voi cercherete di vedere il lato positivo della faccenda. Sul fondo di caffè delle vostre tazzine leggo: al ritorno dal viaggio, farete shopping in via Garibaldi.
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francesca fimiani In redaZIone
valentina dirindin hanno collaborato a questo numero
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