1 GENERALITÀ e CLASSIFICAZIONE
Uveiti ed altre flogosi oculari
Generalità L’uveite è una malattia poco comune, ma rappresenta una delle patologie più complesse in oftalmologia. Le uveiti comprendono un gruppo numeroso ed eterogeneo di malattie di tipo infiammatorio a partenza dall’uvea, ma che spesso si estendono a coinvolgere le strutture limitrofe. L’interessamento di quelle più esterne, come la sclera, l’episclera e la congiuntiva, assume essenzialmente un valore semeiologico-diagnostico. Il coinvolgimento diretto o indiretto delle strutture più interne, epitelio pigmentato, retina, vasi retinici e nervo ottico, a volte complicato da alterazioni della trasparenza corneale, da cataratta e da glaucoma secondario, può comportare una compromissione anatomica con danni funzionali di gravità variabile fino alla cecità. Le uveiti hanno un’incidenza che, a seconda degli Autori, va da 17,5 a 52,4 nuovi casi ogni 100.000 abitanti per anno, maggiormente frequenti nell’infanzia e nei giovani adulti. La maggior parte dei casi ha inizio durante l’età lavorativa (dai 25 ai 64 anni). Le ripercussioni socioeconomiche sono evidenti, se si pensa che le uveiti sono responsabili di circa il 15-20% dei casi di cecità nei paesi industrializzati e del 25% nei paesi in via di sviluppo; i costi sociali per le uveiti sono paragonabili a quelli per la retinopatia diabetica. La diagnosi di uveite è soprattutto basata sul quadro clinico oftalmologico, ma la stessa diagnosi ed il trattamento richiedono un approccio multidisciplinare con la collaborazione, a seconda dei casi, di uno o più specialisti, quali: immunologo, reumatologo, infettivologo, pediatra, neurologo, dermatologo, urologo, ginecologo, gastroenterologo, e con l’ausilio di esami strumentali e di laboratorio mirati. L’uveite può rappresentare la prima manifestazione di una malattia sistemica, quale l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la sarcoidosi, la sclerosi multipla, ed altre la cui diagnosi precoce può influire in modo determinante sulla prognosi a lungo termine. L’uvea (dal latino uva) è una tunica vascolare dell’occhio densamente pigmentata, ricca di elementi immunocompetenti, situata tra la sclera e la retina, comprendente l’iride, il corpo ciliare e la coroide. La funzione principale del tratto uveale è quella di fornire nutrimento ai tessuti dell’occhio, in particolare alla retina attraverso la coriocapillare e al cristallino attraverso l’umore acqueo, che svolge anche un ruolo determinante nel mantenimento del tono oculare. I muscoli dell’iride e del corpo ciliare, attraverso il controllo del diametro pupillare e dell’accomodazione, supportano l’attività refrattiva dell’occhio. L’uvea ha un’origine embriologica complessa. L’iride, porzione più anteriore del tratto uveale, ha una duplice origine embriologica: i tre quarti anteriori come lo stroma sono di origine mesodermica, il quarto posteriore come i muscoli e l’epitelio pigmentato sono di origine ectodermica. I muscoli sfintere e dilatatore della pupilla derivano dalla lamina esterna del disco ottico primitivo, mentre l’epitelio pigmentato deriva dalla lamina interna. L’orletto pupillare rappresenta il margine anteriore della coppa primitiva. Il corpo ciliare è situato tra l’iride e l’ora serrata retinae e comprende due sezioni, anteriore, pars placata e posteriore, pars plana; l’epitelio del corpo ciliare deriva dalla porzione 12
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intermedia della coppa ottica primitiva, mentre lo stroma e i muscoli derivano dal mesoderma. La coroide è una sottile lamina vascolare (con uno spessore che va da 0,2 mm ad 1 mm in corrispondenza della macula), spongiosa e pigmentata, localizzata tra la sclera e la retina, che si estende tra l’ora serrata e la papilla ottica; essa deriva dal mesoderma che circonda la porzione posteriore della coppa ottica primitiva. La coroide può essere suddivisa in quattro strati: quello più esterno, costituito dai vasi di diametro maggiore (strato di Haller), poi lo strato di Sattler, con vasi di medio calibro, infine la coriocapillare e la membrana di Bruch. Fra la sclera e la coroide si trova la lamina sopracoroideale, una guaina pigmentata che racchiude lo spazio pericoroideale e nella quale passano i nervi, le 2 arterie ciliari lunghe (una mediale e una laterale) e da 10 a 20 arterie ciliari corte; questi vasi derivano dalle arterie ciliari posteriori, rami dell’arteria oftalmica. La “barriera emato-oculare” è un filtro fisico-biologico che impedisce il passaggio delle cellule e di grosse molecole tra il sangue e alcuni comparti dell’occhio. Si conoscono due barriere. Anteriormente, a livello dei vasi iridei, quella fra sangue e umore acqueo, realizzata dalle tight junctions o giunzioni serrate fra le cellule endoteliali e fra le cellule dell’epitelio non pigmentato del corpo ciliare. Posteriormente, la barriera emato-retinica, realizzata dalle tight junctions fra le cellule endoteliali dei vasi retinici e da quelle che serrano fra loro le cellule dell’epitelio pigmentato. Un’infiammazione o un altro fattore anche non infiammatorio possono rompere queste barriere, facendo sì che cellule e proteine passino liberamente nell’umore acqueo, nel vitreo, negli spazi e nei tessuti corioretinici. La conoscenza sulla patogenesi delle malattie infiammatorie oculari ha compiuto rapidi progressi permettendo di fare una diagnosi accurata più frequentemente rispetto al passato, fino al 70% dei casi, e riducendo notevolmente la percentuale di casi classificati come idiopatici. Attualmente si è in grado di riconoscere nuove forme di uveite di cui si ignorava l’esistenza anni addietro. Sebbene la maggior parte dei casi di uveite, fino a qualche decennio fa, fosse attribuita essenzialmente alla tubercolosi e alla sifilide, oggi si sa che può essere sostenuta da svariate e innumerevoli condizioni. L’uvea, per le sue caratteristiche anatomiche di elevata vascolarizzazione e ricchezza di elementi immunocompetenti, è un crocevia fisiopatologico che la rende vulnerabile a una pluralità di noxae endogene ed esogene di tipo infettivo, immunitario, traumatico, postoperatorio e linfoneoplastico. Può essere un’espressione esclusivamente locale oppure preceduta, accompagnata o seguita da un coinvolgimento sistemico. Numerosi sono gli agenti infettivi (parassiti, virus, miceti, batteri) implicati nella patogenesi delle uveiti, ma sicuramente un ruolo predominante è svolto dai meccanismi immunologici, soprattutto di tipo autoimmune. Anche nelle uveiti chiaramente infettive i meccanismi immunologici possono assumere un ruolo determinante; infatti gli antigeni microbici agiscono spesso soltanto come iniziatori della flogosi, la cui gravità e perpetuazione dipendono da una disfunzione immunitaria secondaria. Studi sperimentali ed evidenze cliniche hanno documentato il ruolo dei linfociti T CD4+ ed altre cellule, di alcune citochine, in particolare il TNF (fattore di necrosi tumorale), quali mediatori dei processi flogistici endoculari e potenziali bersagli della terapia. Negli ultimi anni si sono accumulate evidenze che la degenerazione maculare legata 13
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all’età (DMLE) e la retinopatia diabetica (RD) possono avere uno o più meccanismi eziopatogenetici di tipo infiammatorio. La presenza di macrofagi nelle lesioni maculari, insieme a proteine dalla cascata del complemento, suggerisce la possibilità che un processo infiammatorio cronico di basso grado possa svolgere un ruolo nella patogenesi della DMLE. L’attivazione della via del complemento da parte di drusen o di frammenti di lipofuscina può rappresentare il primo stimolo che induce le cellule dell’epitelio pigmentato retinico a rilasciare citochine; la loro attività chemotattica e angiogenica provoca un afflusso di macrofagi proinfiammatori ed infine una neovascolarizzazione coroideale. Il danno ossidativo delle proteine della retina determina la formazione di “neo-antigeni” che scatenerebbero una risposta autoimmune. Non è ancora ben chiaro se il processo flogistico autoimmune sia il primum movens oppure consegua ad un danno retinico instauratosi sulla base di altri meccanismi, quali i fenomeni ossidativi. Anche la RD mostra molte caratteristiche di malattia infiammatoria. Un accumulo leucocitario di tipo flogistico a livello retinico può causare un danno delle cellule endoteliali, con fenomeni di leakage, di non perfusione capillare e anche di neovascolarizzazione. Per l’azione di molecole di adesione intercellulare (ICAM-1 e CD18), nei diabetici i leucociti aderiscono ai vasi: l’edema maculare rappresenta la principale causa di cecità nei pazienti affetti da retinopatia diabetica ed è il risultato di vari fattori, quali alterazioni metaboliche, ischemia, forze idrostatiche e meccaniche; anche l’infiammazione sicuramente gioca un ruolo importante. La rottura della barriera emato-retinica consegue ad una disfunzione delle giunzioni intercellulari (tight junctions), ad un aumento del trasporto trans cellulare e ad un incremento della distruzione delle cellule endoteliali. La neovascolarizzazione è il risultato dell’azione dei VEGF (fattori di crescita dell’endotelio vascolare), che giocano un ruolo nel mediare, sia la neovascolarizzazione correlata all’ischemia, sia la leucostasi retinica. D’altra parte, anche nello sviluppo fisiologico, i leucociti svolgono un’azione di modulazione e di rimodellamento dell’albero vascolare retinico in via di formazione. Il primo approccio diagnostico all’uveite è l’esame clinico oftalmologico, che si avvale di strumentazioni convenzionali, necessarie per ogni consultazione oculistica completa, quali la biomicroscopia alla lampada a fessura, l’oftalmoscopia indiretta, l’esame biomicroscopico del fundus. Gli altri esami strumentali quali l’esame angiografico con fluorescina e indocianina, lo studio dell’autofluorescenza, l’OCT (Tomografia a Coerenza Ottica), gli esami elettrofunzionali quali i Potenziali Visivi Evocati (PEV) e l’Elettroretinografia (ERG), la perimetria manuale e computerizzata, la microperimetria, l’ecografia orbito-bulbare (USG) e altri devono essere richiesti di volta in volta quando si ritenga possano fornire elementi utili all’inquadramento diagnostico e al follow-up. In casi selezionati viene eseguito l’esame PCR (Polymerase Chain Reaction) sulle lacrime o sui liquidi endooculari (umore acqueo e vitreo). La diagnosi esatta di uveite è importante, perché il trattamento dei diversi tipi di uveite può variare notevolmente. L’appropriatezza della diagnosi e l’adeguatezza della terapia farmacologica, oltre ad evitare la necessità di interventi chirurgici riduce e previene gli esiti in cecità. La terapia si avvale di presidi farmacologici, parachirurgici, chirurgici. sia a scopo diagnostico che terapeutico. 14
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Terapia Farmacologica La terapia farmacologica deve sempre essere commisurata alla gravità della flogosi e si devono sempre tener presenti gli effetti collaterali e indesiderati locali e sistemici legati all’uso di ciascun farmaco, tenendo conto anche della durata del trattamento, delle condizioni generali e dell’età del paziente, nonchè della possibilità di allergie. La somministrazione del farmaco può avvenire: – Per via topica con l’uso di colliri, gel o pomate oftalmiche, contenenti antibiotici, chemioterapici, antivirali, antiflogistici corticosteroidei e FANS; un ruolo significativo è svolto da farmaci a duplice azione, midriatica e cicloplegica, quali la tropicamide, la fenilefrina, il ciclopentolato. Da alcuni clinici è sconsigliato l’uso prolungato del ciclopentolato per la possibilità di incrementare il passaggio di cellule in camera anteriore. La midriasi è diretta a risolvere le sinechie fra iride e cristallino, a prevenire la formazione di nuove, a ridurre l’iperemia. L’azione cicloplegica aiuta a risolvere lo spasmo ciliare che quasi sempre si accompagna ad un’uveite anteriore, alleviando il dolore e la fotofobia. Spesso sono necessari farmaci midriatici-cicloplegici a lunga durata d’azione quali l’atropina, l’omotropina, la scopolamina. – Per iniezione sottocongiuntivale, iniezione peribulbare-retrotenoniana, impianti endoculari a rilascio prolungato, iniezioni intravitreale. A seconda della patologia e della tecnica di somministrazione, possono essere utilizzati farmaci antiflogistici, antibatterici e antimicotici, antiflogistici corticosteroidei. I farmaci anti-VEG, quali il pegaptanib (Macugen), il bevacizumab (Avastin) ed il ranibizumab (Lucentis), sono utilizzati per la DMS e per la RD sotto forma di iniezione intravitreale. Nella RD sono particolarmente indicati per il trattamento dell’edema maculare. Sono sempre più numerosi gli studi e l’utilizzo del triamcinolone per iniezione intravitreale (off-label) o per iniezione peribulbare o retrotenoniana. È stata dimostrata la capacità di questo corticosteroide di stabilizzre le tight junctions endoteliali. Tuttavia non va ignorata la possibilità di seri effetti collaterali quali cataratta, glaucoma e flogosi, quest’ultima attribuibile al benzylethanolo, l’additivo stabilizzante presente nelle forme farmaceutiche attualmente in commercio e che andrebbe opportunamente filtrato; sono in arrivo sul mercato preparati che dovrebbero superare alcuni di questi inconvenienti. – Per via sistemica per os e/o per via parenterale. I farmaci corticosteroidei rappresentano il farmaco di prima scelta nelle forme non infettive; affiancano le terapie antibatteriche, antivirali, antimicotiche ed antiparassitarie nei casi di uveite ad eziologia infettiva. Dal 1949, anno dell’assegnazione del premio Nobel a Hench PS, Kendall EC et al. per la pubblicazione “The effect of a hormone of the adrenal cortex (17-hydroxy-11dehydrocorticosterone; compound e) and pituitary adrenocorticotropic hormone on rheumatoid arthritis”, i corticosteroidi sono diventati il farmaco principe dell’immunoterapia. Essi hanno rivoluzionato il trattamento delle malattie infiammatorie, autoimmuni, linfoproliferative e negli ultimi 60 anni milioni di pazienti hanno tratto beneficio dal loro uso. Tuttavia, considerato che circa un quarto dei potenziali pazienti risultano refrattari al trattamento, e dato l’ampio spettro di effetti collaterali, la ricerca si è mossa verso farmaci immunosoppressori alternativi. I cortisonici determinano una soppressione del sistema immunitario ed un’azione antinfiammatoria attraverso vari meccanismi: riduzione dell’attività macrofagica, dei 15
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monociti circolanti, della migrazione dei linfociti, delle amine vasoattive e di interleuchine, dei livelli del complemento, inibizione della via della ciclossigenasi e della lipossigenasi e riduzione della sintesi delle prostaglandine, inibizione della liberazione da parte dei leucociti di mediatori proinfiammatori quali il TNF-α e VEGF. Sono tuttavia numerosi gli effetti collaterali locali e sistemici. Oltre ai corticosteroidi sono disponibili altre categorie di farmaci antinfiammatori, utilizzati sia per affiancare i corticosteroidi sia per sostituirli. Agli antimetaboliti appartengono l’azatioprina, che agisce mediante l’inibizione dell’anello purinico e il methotrexate, analogo dei folati. Alla categoria degli agenti alchilanti oltre al clorambucile ed alla ciclofosfamide, appartengono la ciclosporina, che agisce mediante la riduzione del reclutamento e dell’attivazione dei linfociti T. I farmaci antinfiammatori a disposizione per la terapia dell’uveite sono aumentati negli ultimi anni con l’introduzione di farmaci biologici come gli inibitori del TNF (Tumor Necrosis Factor). Si tratta di anticorpi monoclonali, quali l’infliximab, o del recettore TNF solubile etanercept che sono in grado di inibire l’attività pleotropica del TNF. Sono farmaci già ampiamente utilizzati nel trattamento dell’artrite reumatoide, nell’artrite idiopatica giovanile, nelle spondiloartropatie, nella malattia di Crohn e nella psoriasi, permettendo di interrompere o ridurre il dosaggio di corticosteroidi e/o di immunosoppressori. Più recentemente è emerso un loro ruolo, soprattutto per l’infliximab, nel trattamento di pazienti con uveiti non infettive: flogosi oculari associate alla malattia di Behçet, all’artrite idiopatica giovanile, all’artrite reumatoide, alla spondiloartrite, al Crohn, alla sarcoidosi, all’oftalmopatia di Grave’s. L’infliximab è risultato efficace in alcuni casi di uveite idiopatica e di sclerite, retinocoroidite di Birdshot, in casi di edema maculare per uveite o retinopatia diabetica, e persino nella degenerazione maculare retinica legata all’età. Terapia Parachirurgica Si basa essenzialmente sull’utilizzo del laser, sia ad Argon che Yag. Terapia Chirurgica Può essere effettuata a scopo diagnostico: prelievi di fluidi endooculari (lacrime, umore acqueo e vitreo) o avere finalità terapeutica: vitrectomia ed interventi per distacco di retina, con o senza endofotocoagulazione laser; interventi per glaucoma, sia di tipo fistolizzanti che impianti di sistemi drenanti, cataratta, trapianto di cornea. Il trattamento delle uveiti è in evoluzione e questo enfatizza l’importanza di un continuo aggiornamento in questo campo.
Classificazione La diagnosi corretta di uveite si rivela spesso impegnativa, sia per l’oftalmologo generale, sia per lo specialista in uveiti. I pazienti possono presentare numerosi segni oculari associati a sintomi e segni sistemici. Il primo passo per porre una diagnosi differenziale delle flogosi uveali è quello di classificare dettagliatamente questa patologia. 16
Generalità e classificazione
28-66% 5-15% Anteriori
Intermedie
19-51% Posteriori
Numerose classificazioni sono state proposte per definire i vari tipi di uveite, basandosi su diversi fattori quali: – età (congenite, infantili, giovanili e dell’adulto) – caratteristiche demografiche – coinvolgimento di uno o entrambi gli occhi – decorso (acute, croniche o ricorrenti) – patologia ed aspetto dei precipitati (granulomatosa e non granulomatosa) – associazione o meno a patologie sistemiche – eziologia – risposta alla terapia. Un gruppo a parte per caratteristiche cliniche, frequenza e gravità, è rappresentato dalle uveiti associate a sindromi da immunodeficienza acquisita e da altre forme di immunosoppressione legate a patologie oncologiche, iatrogene per trattamenti immunosoppressivi. La classificazione raccomandata dall’International Uveitis Study Group si basa sulla localizzazione anatomica del processo flogistico: – uveiti anteriori – uveiti intermedie – uveiti posteriori – panuveiti.
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