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Fabio Salvadori - matricola n°1105 Marcello Signorile corelatrice: Valentina Rachiele tesi di laurea: diploma accademico di I livello A. A. 2015 > 2016 composto in: Input - Zenon finito di stampare: marzo 2017 studente: relatore:
ISIA Urbino
elementi circa l’interazione naturale nel disegno digitale
L’intento della tesi è di ricercare la naturalezza nell’interazione con una macchina, e analizza gli aspetti attraverso i quali si può raggiungere un risultato specifico. Specifico perché l’analisi di un problema generale non spetta a me: per raggiungere un buon grado di concretezza è necessario collocarsi in un ambito circoscritto, in cui individuare tratti caratterizzanti e su cui costruire un percorso logico. La nicchia di riferimento è il disegno, e le interfacce legate ad esso. La ricerca della naturalezza sta nella progettazione di un interfaccia finalizzata al disegno di un drone su pareti. Per questo trovo pertinente l’utilizzo dei metodi esplorativi che l’art writing impone al novellino, metodi non accademicamente canonizzati dove non esistono veri e propri canoni estetici, ma regole basate sull’equilibrio e coerenza tra forme, requisiti interessanti se visti come obiettivo nella progettazione di un’interfaccia.
< interfaccia digitale - movimento - disegnare - feedback - naturalezza >
Abstract
Indice 1.-
Introduzione
Aerosol art
--------------------------------------------
naturalezza
--------------------------------------------
2.-
1.a > Il Contesto -------------------------------> 19 1.b > linez -------------------------------------> 26
3.-
2.a > Complementarietà --------------------------> 45 2.b > Difficoltà di utilizzo --------------------> 56 2.c > User Derived Interaction ------------------> 59
4.-
5.-
6.7.8.9.-
specialized
3.a 3.b 3.c 3.d
m, d, a
> > > >
--------------------------------------------
Cos’è un dispositivo ----------------------> Information Appliances --------------------> Data interchange --------------------------> Body Horror ------------------------------->
67 70 74 78
------------------------------------------------
4.a > I criteri ---------------------------------> 87 4.b > Powerglove --------------------------------> 90
Azione e Retroazione
5.a 5.b 5.c 5.d 5.e
HARDWARE
6.a 6.b 6.c 6.d 6.e
Schema ------------------------------------> Slip’s classification ---------------------> Feedbacks ---------------------------------> In-air gestures ---------------------------> Interfaccia aptica ------------------------>
99 104 110 114 120
> > > > >
Multiuser ---------------------------------> Disegnare ---------------------------------> Affordance --------------------------------> Conceptual model --------------------------> Metafore ---------------------------------->
127 132 136 140 143
> > > > >
State transtion model of input ------------> Direct, hybrid touch ----------------------> Thoughtful examples -----------------------> Natural User Drawing ----------------------> Input Multimodale ------------------------->
149 153 159 162 170
-----------------------------------------------
Input/output
7.a 7.b 7.c 7.d 7.e
-----------------------------------
> > > > >
-------------------------------------------
Conclusioni RIFERIMENTI RINGRAZIAMENTI
dei contenuti -----------------------------> 18 -----------------------------> 44
-----------------------------> 66
-----------------------------> 86 -----------------------------> 98
----------------------------> 126
----------------------------> 148
< Introduzione >
L’interfaccia grafica è nata per facilitare il rapporto tra l’uomo e la macchina, per fare da interprete tra i linguaggi: sistemi come il menu a tendina
e le finestre pop-up erano usati all’interno dei sistemi di telecomunicazione, come la televisione e l’ATM,
protocollo di rete basilare per comunicazioni legate
a internet. è importante premettere che l’interfaccia
grafica standard attuale, ossia quella che prevede appunto l’uso di menu e finestre, non è nata con l’intento di divenire la principale architettura grafica
a livello mondiale, fu semplicemente la naturale conclusione di un processo di progettazione ad hoc. La stessa premessa
si verifica per la logica WYSIWYG, in cui alcune importanti innovazioni sono state introdotte con software di “document processing” ossia strumenti per la riproduzione
e l’elaborazione di dati testuali, riconoscimento di grafie manuali, durante gli anni novanta. Un’interfaccia filtra
l’interazione, distorce, enfatizza e annulla informazioni. Pelle e faccia sono l’interfaccia umana principale.
Oltre ad essere punti codifica, le interfacce sono filtri, distorcono segnali. Nessuno strumento è davvero neutrale. L’orizzonte percettivo che possediamo è molto legato alla nostra concezione del mondo, confine tracciato dai processi sensoriali. La tecnologia contribuisce
a formare i processi sensoriali e le cognizioni umane, premendo quindi sui processi di sviluppo.
L’individuazione di una nicchia in cui sviluppare
un software è importante in quanto contesto ben definito dove può avere luogo una lavorazione con presupposti specifici e concreti.
Una metafora che ho trovato adatta riguarda l’evoluzione della specie: siamo abituati a vedere un’evoluzione
unidirezionale, in cui la vita sempre più “avanzata”
ed “evoluta” soppianta quella che la precede; è utile
pensare invece a sistemi minori, e che la vita si sia invece adattata alla propria nicchia, creando quindi un proprio
relativo rapporto di predazione e competizione con il resto del sistema, trovando il proprio posto.
Le intefacce naturali promettono di ridurre ulteriormente le barriere tra l’uomo e la macchina, umanizzando quest’ultima e, in qualche modo, creando un rapporto più intimo con l’utente, soprattutto reciproco.
La mia nicchia è allora il disegno: disegno come attività
conoscitiva, che differisce dal dipingere perché non assume una propria concreta entità, e, a differenza della tela dipinta, non costituisce un evento, un’opera esibita, da qui ne consegue che davanti all’opera finita,
lo spettatore tende a immedisimarsi con il soggetto del quadro, nel disegno lo spettatore si immedesima con l’artista.
La focalizzazione dev’essere quindi su cosa fa l’utente con l’interfaccia e cosa prova mentre lo fa (touch e multitouch per esempio sfruttano la memoria spaziale: se tocco
un oggetto, nella mia mente si instaura un sistema di
rapporti spaziali che con il tempo facilitano la confidenza con il mezzo), ma dev’essere in ogni caso un’esperienza nuova, sia per esperti che per novellini, così come la tavoletta grafica è stata per me.
In questo processo di trasformazione, sebbene non biologico, vengono offerti spunti sui limiti che abbiamo e su come
superarli. Un lampante esempio risiede nell’ambito della
ricerca sulle disabilità, dove protesi fisiche e cognitive, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, hanno radicalmente cambiato delle vite. Ogni dispositivo, biologico e non, possiede un’interfaccia filtrante, e come tale, rende
l’interazione tra uomo e calcolatore in grado di produrre il cosidetto “simbionte cognitivo”, in cui certe facoltà sono enfatizzate, modificate e anche atrofizzate.
L’attività richiede la focalizzazione sul contenuto,
non sull’interazione. Guardare la matita mentre si disegna è un atto innaturale, non si pone tra le possibilità di approccio, e così per qualsiasi dispositivo infrastrutturale, creato quindi per fare
da tramite nell’ottenimento di un risultato. Secondo studiosi ed esperti che approfondiremo in seguito, il progetto di un’interfaccia naturale dovrebbe essere ricaclcare quella di un videogioco, avendo tuttavia
l’obiettivo di un processo progettuale reciprocamente inverso: un videogioco è creato per sfidare l’utente
e presentargli sempre nuove difficoltà, l’interfaccia naturale è fatta per abbreviare e rimodellare i tempi di apprendimento, con il fine svolgere e apprendere
un’attività, non il modo in cui il computer la ricrea.
In questo progetto vediamo cosĂŹ una ricerca della poesia e della coreografia che giace sotto i tasti di un computer,
concretamente trasposta nel tentativo di realizzare un drone disegnatore, che risponda quindi a necessitĂ semplici e personali.
“Siamo per l’espressione semplice di pensieri complessi. Siamo per il grande formato perché ha la potenza dell’inequivocabile. Vogliamo riaffermare la superficie pittorica. Siamo per le forme piatte perché distruggono l’illusione e rivelano la verità Mark Rothko 7 giugno 1943 lettera a Edward Alde
In psicologia, il flusso (in inglese flow) o esperienza ottimale è uno stato di coscienza in cui la persona è completamente immersa in un’attività.
1.-
Aerosol Art “Le regole e i limiti sono quelli delle lettere:
se tu riesci a spingerti oltre, fino a dove la lettera diventa un’altra cosa, allora lì fai il wildstyle.”
S
1.a > Il contesto
in dalle primissime tag di New York risalenti all’inizio degli anni settanta, il writing, in qualità di espressione artistica avulsa da limiti istituzionali e commerciali, si basa sulla diffusione del proprio gusto e della propria originalità, dalle connotazioni fortemente agonistiche. Va precisato che il nome di un writer ha un ruolo piuttosto marginale nella composizione: riconoscere lo stile a prescindere dal contenuto semantico, che non viene necessariamente escluso. è un linguaggio espressivo basato sulla sull’unicità dell’individuo, un continuo studio nella deformazione delle lettere, e dall’inizio degli anni ottanta la sua planetaria diffusione ha fatto sì che gli stili assumessero le più svariate forme a seconda del contesto in cui venivano inseriti.
> 20 1. 5 Pointz: The Institute of Higher Burnin’ La cosidetta “Mecca dei graffiti, si tratta di un edificio di grandi dimensioni situato a Long Island, NY, luogo di culto per tutti coloro che hanno praticato il writing e museo a cielo aperto, di artisti provenienti da tutto il mondo. La più libera espressione artisti, sotto la tutela e il controllo di Johnathan Cohen, in arte “Meres”.
Con le lettere il writer comunica la propria individualità nella misura in cui egli conosce sé stesso. Si tratta di un vortice auto-esplorativo in cui l’artista, spinto dall’assoluta libertà, dalla competizione e dal gruppo, si evolve interiormente. Nei graffiti questa evoluzione si rispecchia e si dimostra attraverso il disegno, attraverso lo scrivere e il deformare lettere, essendo un punto di partenza comune, come un “via”, dove a fare da guida ci sono solo conoscenza, progetto e intuizione. è un rapporto sinergico e trasversale tra l’io e il mondo esterno, in cui il contesto gioca sia il ruolo di tela che di base culturale e formativo del writer, in un continuo scambio di messaggi, che sempre di più vibrano nelle vie cittadine. Trattandosi di un processo fortemente personale, si trova ad essere anche fortemente individualizzante, nella ricerca espressiva in cui forma e contenuto coincidono sempre, in cui si vede emergere un linguaggio personale che colmi la mancanza di un sistema universale di espressione; il writing è individuale quanto è individuale l’uomo, nel presente istante. Nel suo essere una modalità di imparare a conoscersi attraverso il disegno di lettere, il writing può ricoprire un ruolo disciplinare vero e proprio, dove tuttavia le regole non sono esattamente quelle convenzionali, ma del tutto personali.
1.-
> 23
2. esempi e contesti
Non esistono infatti vere e proprie linee guida “accademiche” per l’inseguimento dello stile: l’unico riferimento comune è lo studio dei grandi maestri del passato e del presente, coloro che dalla fine degli anni settanta hanno iniziato a scrivere il proprio nome e soprattutto coloro che negli anni successivi hanno evoluto la ricerca dello stile, introducendo gli stili a cui tutt’ora chi pratica writing si appella, come un codice che si tramanda, un genoma. Le forme all’interno di un disegno mutano a seconda delle esperienze che lo precedono, l’auto imposizione di criteri è fondamentale, laddove vi è un obiettivo concreto. L’evoluzione del proprio stile finisce nel momento in cui esso si trasforma in punto di riferimento per i futuri praricanti, implicitamente uno dei traguardi è quindi la fama planetaria, non personale, ma stilistica. Tralasciando infatti rari esempi, non sono i volti o le personalità dei writer a diventare famose, ma unicamente il loro stile. Il sistema di tramandare tecniche stilistiche di generazione in generazione costituisce l’elemento culturale fondante del mondo dell’art writing, ed esattamente come un genoma, lo spazio per anomalie e deformazioni è estremamente ampio, spesso è addirittura al centro della ricerca personale, spesso l’obiettivo è rappresentare l’anomalia.
1.-
> 25
3. MTA Crew Gruppo residente in California, i Metro Transit Assassins nel 2009 hanno realizzato un colossale artwork, che ancora oggi detiene il primato di tag più grande al mondo.
4. Noce - flying school Tribe MAGAZINE 1995 Milano - importanti manifestazioni di coraggio, dove NOCE iniziò a rendere evidente come non sia la tecnica grafica l’unico fattore di enfatizzazione nella scala di valori in questione.
La natura illegale di questa pratica fa sì che le vengano attribuite accezioni artistico/simboliche o vandaliche, a seconda del pubblico che le sta guardando. Entrambe le visioni non colgono la natura complessa del writing, che non vuole rientrare nella street art, in quanto del tutto disinteressata alla trasmissione di messaggi che non siano il proprio stile. Sfondi culturali legati all’attualità dirigono l’atto verso altri tipi di traguardi, e per quanto in termini di linguaggio, contesto e medium ci siano degli evidenti punti in comune, si tratta di somiglianze squisitamente superficiali. Ancor meno il writing vuole essere catalogato come banale vandalismo, fermo semplicemente al creare segni in sfida con la legge, senza un vero criterio. La visibilità è l’obiettivo primario di un writer, e si parla di visibiltà all’interno del contesto a cui appartiene, alla scena della propria città, in alcuni casi della propria nazione, ma in entrambi i casi vediamo che la fama interessi prettamente la competizione con altri writers. Se la fama è l’obiettivo, i modi per raggiungerla sono molti, e non sono semplicemente legati all’abilità tecnica e procedurale nella realizzazione di un’opera: un fattore forse ancora più importante è la locazione dei pezzi, che divengono più o meno meritevoli anche nel momento in cui sono realizzati in situazioni evidentemente precarie, in luoghi pericolosi, o sono di enormi proporzioni; sintetizzando, si può affermare che un’opera nata e svolta completamente nel contesto cittadino parla di sé su tanti livelli di lettura, e attraverso la conoscenza del luogo, se ne può desumere l’orario di svolgimento, il tempo impiegato, le modalità di realizzazione.
> 26 5. Linez raccolta di elementi grafici tipici suddivisi in tipologie legate agli usi dello spray, che a seconda della fase di realizzazione dell’opera, viene utilizzato in con diverse modalità.
spot: nel gergo si intende in genere una superficie adatta a uno scopo performativo, che in questo caso è dipingere con gli spray
1. b. 2
1. b. 1
action: la realizzazione di un pezzo in una situazione precaria che presuppone velocità, controllo e rischio intensi
1.b > Linez Le action (1. b. 1) in metropolitana, enormi pezzi realizzati nei dieci minuti di sosta di un treno, l’impiego di imbragature o di abili arrampicate cittadine per raggiungere spot (1. b. 2) significativamente visibili e pressoché intoccabili, in alcuni casi anche pezzi sulle auto delle forze dell’ordine hanno fatto la differenza nel contesto. Questi aspetti fanno assumere al writing una valenza “sportiva” dove sono importanti abilità, ingegno e furbizia; già nella realizzazione “grafica” del pezzo, l’agilità sia importante. L’impiego di tutto il corpo è scontato in ogni situazione, richiedendo anche una sorta di allenamento fisico per arrivare a tracciare certe linee, relativo al proprio stile; ipotizziamo di dover tracciare una linea lunga due metri, magari con una curvatura poco accentuata, e con delle altre linee ad essa relative, che ne seguono l’andamento. La precisione con cui queste si realizzano rende evidente quanto l’artista abbia il controllo prima sul medium, e poi sul proprio corpo, che deve raggiungere un certo livello di coordinazione per dimostrare l’oltrepassamento dei limiti fisico-grafici del caso. La coerenza di una linea dipende da quanti sono armoniosi, controllati e coerenti i movimenti che la realizzano. La deformazione cosciente delle lettere può portare a renderle irriconoscibili, e l’osservazione più comune che si possa fare si interroga sul modo in cui si possa riconoscere chi ha svolto un pezzo. La risposta risiede sempre nella natura della ricerca dove, che la manifestazione sia leggibile o illeggibile, in ogni caso rimane un simbolo delle speculazioni filosofiche, concettuali e formali del writer: la lettera si rapporta prima di tutto con la coerenza formale di sé stessa all’interno del gruppo di lettere che appartengono al nome, e poi con la coerenza rispetto alla lettera all’interno dell’alfabeto. Il processo in genere prevede l’esecuzione della forma a partire dall’alfabeto, poi la combinazione di forme ed infine la comprensione dei loro equilibri reciproci, relativi alla singola opera.
> 32
background: è lo sfondo dell’opera, con cui essa può interagire in varie misure e modalità, un modo per enfatizzare
1. b. 5
outline: la linea di contorno che delimita la lettera, ciò che ne decreta la forma finale
1. b. 4
1. b. 3
fill-in: si intende la modalità grafica con cui si riempiono le aree confinate all’interno dell’outline
Numerosi sono gli esempi di lettere sfociate nell’astrattismo più tecnico, dove non si percepisce più nulla della lettera. A questo punto ciò che emerge non è neanche più il nome, ma lo stile con cui viene rappresentato, il rapporto con cui le forme comunicano tra loro, creando legami che collegano fill-in (1. b. 3), outline (1. b. 4) e background (1. b. 5). Perché è proprio nella rappresentazione personale di un nome la ricerca, è portare le lettere in una dimensione fortemente pittorica, che vede la funzione della forma e la composizione di forme come mezzo di introspezione e affinamento dell’individuo, aspetto che lascia intravedere rimandi a temi e suggestioni del mondo orientale, dove la pratica della calligrafia, che assume diverse declinazioni a secondo di luoghi e culture; affinare la precisione calligrafica placando quindi le accezioni negative dell’autoreferenzialità, portando la fama in una dimensione più fine, più costruttiva nella crescita artistica.
! «
Any application of typography can be divided into two
arenas: micro and macro. Understanding the difference between the two is especially useful when crafting
a reading experience, because it allows the designer to
know when to focus on legibility and when to focus on readability. Microtypography has to do with the details;
setting the right glyph, getting the appropriate kerning
and tracking, and making stylistic choices such as when to use small-caps. Micro techniques have received a lot
of attention recently, as browser makers adopt new CSS attributes that allow for finer control over Web type.
Microtypography deals mainly with legibility and can be thought of as the design of letters and words."
1.-
> 33
1. b. 6
king: writer che evolve il proprio stile fino ad assurgere a esempio formale per le nuove generazioni
"Macrotypography focuses on how type is arranged on
the page. Most macro techniques have been achievable through CSS for quite some time, but because our under-
standing of the Web page is changing, the way we use these techniques must adapt. Macrotypography deals mainly with
readability and can be thought of as the design of paragraphs and the page.
»
Nathan Ford (2012) - articolo su Smashing Magazine
Paradossalmente questa disciplina vede l’artista sospendere i propri abituali giudizi estetico-morali e seguire regole di coerenza visiva del tutto indipendenti, in cui tuttavia può, e spesso deve, sfruttare modalità del tutto personali, attraverso criteri non accademici ma comunque formali e concettuali, creando un punto di vista puro, dove la sperimentazione gioca un ruolo chiave. Sono pittogrammi e ideogrammi relativi a una personalità, ad un’espressività individuale, che cercano di emergere dall’interiorità del writer, e che si avvalgono di una base derivante dalla storia del writing in quanto metodo di indagine, di esercizio e di calcolo, nell’uso della retorica visiva come mezzo di comunicazione. L’azione deve essere quindi preceduta dalla conoscenza perché il processo sia efficace e sensato, si tratta di un’attività tradizionalista sotto tanti aspetti, ben radicata nelle sue origini, con appellativi come king (1. b. 6) descrive e nomina i più famigerati. Sono coloro che più hanno contribuito a formare l’identità visiva del movimento, giocando attraverso le forme hanno creato dei presupposti perché la scena si espandesse rimanendo alla portata di tutti, essendo le città comunemente fruibili; sono la pratica e l’esercizio, la ricerca e lo studio a lasciare che l’individuo si crei la propria strada.
> 34
!
graffiti research lab: gruppo di artisti di Brooklyn che si dedica all’uso della tecnologia open source per la comunicazione urbana
6. Eyewriter I membri di Free Art and Technology (FAT), OpenFrameworks, il Graffiti Research Lab, e le Comunità Ebeling Group si sono uniti a un leggendario writer di Los Angeles, di nome TEMPTONE. Gli è stata diagnosticata la SLA nel 2003, una malattia che lo ha lasciato quasi completamente paralizzato... tranne che per gli occhi. www.graffitiresearchlab.com
1. b. 7
cap: comunemente definito tappino, componente successiva alla valvola dello spray, che ne modula la pressione
Negli anni a seguito della creazione e dell’espansione degli stili, svariate implementazioni hanno avvicinato e facilitato giovani leve: spray a pressione più e meno modulabile, decine di cap (1. b.7) differenti, adatti a qualsiasi uso, migliaia di colori e qualità diverse di vernice. La scena si è evoluta nella stessa misura in cui si sono evoluti i suoi strumenti, permettendo ai writer di eliminare virtualmente quasi qualsiasi limite dalle proprie mire. Le forti radici del movimento hanno fatto sì che l’evoluzione continuasse sia nella fenomenologia dello stile, sia nella creazione di strumenti finalizzati al formalismo più accurato. Ciò che ho sempre trovato paradossale è tuttavia la mancata diffusione di strumenti adatti ad oltrepassare limiti fisici: esistono vari metodi e strumenti per enfatizzare la velocità di esecuzione di un’opera, per produrre enormi tratti e riempire le lettere in modo omogeneo e rapido, la precisione è unicamente nelle mani di chi disegna, così come la locazione dei pezzi e la loro visibilità. Negli anni sono però state fatte delle sperimentazioni a riguardo, ricercando un punti in comune tra le macchine e l’arte, gli spray e i “bracci meccanici”. L’intento della presente ricerca sarà in questa direzione: l’analisi e la creazione di un supporto digitale finalizzato al disegno di grandi dimensioni, dove le distanze non sono più a misura d’uomo, dove l’ utensile può diventare un mezzo per oltrepassare i nostri limiti fisici.
> 36
!
Sonice Development: duo che inventa e costruisce installazioni cinetiche. Le loro opere sono spesso realizzate per un luogo specifico, con l’intento di influenzare e porre interrogativi.
7. Facade Printer Il Facadeprinter utilizza proiettili di vernice per disegnare immagini enormi sulle pareti. Punto a punto, crea così opere murali; una stampante ink-dot in dimensioni architettoniche, e prima stampante a distanza nel mondo.
2012 - Trial Record Trial Record è un’installazione robotica di disegno dal vivo. Il dispositivo si guida lungo la parete cercando i confini del suo campo di applicazione. i marker registrano tutti i suoi passaggi sulla parete.
> 38
!
Jürg Lehni: artista/designer svizzero di nascita, viaggiatore tra i piani del coding, dell’arte e della grafica, noto per le sue macchine disegnatrici
8. Hektor è un dispositivo di output vernice spray portatile per computer. Il suo meccanismo consiste in due motori, cinghie dentate e un supporto bomboletta spray. Con algoritmi di triangolazione e sfruttando la gravità, il software muove lo spray lungo percorsi predefiniti di disegno. Hektor è stato acquistato nel 2014 dal MOMA di San Francisco
> 40
L’esistenza di questi progetti lascia presupporre che alcune potenzialità latenti emergano, dove la precisione, il tempo, il fisico umano non arrivano, possono arrivare dei dispositivi tecnologici, le relative proiezioni, i relativi bracci. Gli esempi precedenti si sono avvalsi di linguaggi, medium e contesti relativi all’aerosol art come capisaldi nella progettazione, così i criteri di scelta. è interessante notare come le declinazioni del tema siano state sviluppate secondo modalità del tutto differenti, utilizzando, come nel caso dei Graffiti Research Lab, addirittura oggetti che non lasciano un segno permanente, ma che ad esempio siano visibili di notte, siano enormi e comunque inconfondibili manifestazioni urbane underground. La tecnologia non esclude il disegno, così come sicuramente il disegno non escluderà la tecnonologia
2.-
Naturalezza An information appliance (IA) is any device that can process information, signals, graphics, animation,
video and audio; and can exchange such information with another IA device. Itâ&#x20AC;&#x2122;s designed to perform a specific user-friendly function, as opposed to a personal computer that is intended as a general purpose computer.
N
2.a > Complementarietà
onostante le premesse circa l’aerosol art e le opere da esso derivanti, è pertinente ragionare sulla natura dell’utente come obiettivo della ricerca, sulle sue qualità e doti, sul suo rapporto passato, attuale e probabilmente futuro con le macchine. L’essere umano è biologico, impreciso per natura, e paradossalmente si è creato poco spazio per l’errore: l’organizzazione collettiva richiede precisione e accuratezza. Cerchiamo il significato delle cose, ma ogni lavoro richiede precisione, così come le macchine che abbiamo costruito per aiutarci. La precisione è l’unico mezzo con cui possiamo realmente comunicare, creare sistemi semplici, complessi e quindi regole. Il potere di adattamento rende l’utente potenzialmente dipendente dalle macchine.
> 46 9. primo modello di tuata spaziale 1953
Andando ancora più a fondo, se il problema è l’approccio tecnologico che segue e consegue la società, il compito di chi la crea è andare incontro all’utente, in modo da non vincolarlo alla necessaria precisione, valorizzando così espressioni più personali. Una lingua si può imparare in modo completamente naturale, perché derivante dall’evoluzione culturale avvenuta nei secoli assieme all’uomo stesso, non esiste un gap d’istruzione. L’interazione “naturale” con dispositivi digitali tuttavia non sempre è sinonimo di semplicità e intuizione: elimina le difficoltà aggiunte dal medium, che filtra secondo i propri parametri; è utile pensare che la naturalezza sia riscontrabile a posteriori e non necessariamente nell’apprendimento, ma anche quando ciò che abbiamo appreso è difficile da dimenticare, come la bicicletta o il nuoto. Allo stato tecnologico attuale non esistono macchine biologiche, ma il termine biologico in questo contesto offre una direzione. La tecnologia nel momento in cui è analogica si avvicina all’uomo, perché in fondo noi siamo analogici, come i segnali che i nostri sensi ricevono. Siamo in grado di riconoscere, selezionare ed estrarre voci dal rumore, individuare persone nella folla, non ci interessano i dettagli dei segnali, ma il significato di ciò che ci circonda. La naturalezza di un’interazione si può avvalere di questi aspetti, che eliminano la precisione richiesta all’utente, e che si basano sulle qualità umane, che ne siano complementari. Gli utensili che l’uomo ha inventato nella storia sono serviti a migliorare il modo in cui i compiti si svolgono, a renderlo sempre più forte, veloce e intelligente; in fondo sono le macchine ad essere appena arrivate, l’uomo è frutto di millenni di evoluzione, in cui infiniti fattori l’hanno portato all’età contempoaranea. Sempre nell’aspetto dell’evoluzone della civiltà, i passi compiuti dalla specie umana sono stati estremamente importanti, radicali.
> 48
Simobionti cognitivi: creatura fittizia che ha base biologica e ma protesi cognitive tecnologiche
2. a. 2
2. a. 1
Giuseppe Longo: informatico, scrittore, divulgatore scientifico. Ha introdotto la teoria dell’informazione nel panoramam scientifico italiano
Lo straordinario risultato è una conoscenza cumulativa, per la quale più il tempo passa, più si moltiplicano le informazioni. Da un punto di vista prettamente culturale, questo è il vero miracolo della mente umana, millenni di storia della civiltà preceduti da miliardi di anni di esistenza della terra, preceduti a loro volta dalle ere successive alla nascita del tempo stesso. Se inserissimo concretamente questo ammontare di dati in una mente, l’aspetto evolutivo e cumulativo della storia non apparirebbe più positivo, e dato il bisogno di decenni per la formazione di un cittadino effettivamente consapevole, cosciente: ogni nuova generazione differisce dalla precendente, le viene aggiunto qualcosa. Ogni individuo sceglie quindi la propria strada in base alle proprie esperienze, attitudini, contesti, preferenze e obblighi, e così viene inevitabilemente a crearsi una specializzazione. è un aspetto basilare della civiltà in quanto dimostrazione di organizzazione, il singolo è fondamentale perché la sua soggettività venga valorizzata. Proprio in questa direzione l’utensile è stato inventato, per rimediare alla presenza di strutture limitate. L’uomo e le macchine sono talmente diversi da poter essere complementari, l’ormai offuscato e sfuggente motivo per cui sono state inventate. Il rapporto di causa ed effetto non è sempre chiaro, data la planetaria diffusione di dispositivi a cui, in realtà, siamo noi ad adattarci: se le macchine venissero ancora una volta create a misura d’uomo, i gap d’istruzione sarebbero minori e l’interazione sarebbe più naturale. Il bisogno è di una controparte precisa e calcolatrice, ciò che ci manca; l’essere umano dà valutazioni qualitative, siamo soggetti all’errore, ragioniamo in base al contesto, ci adattiamo e approssimiamo, ma credo che la complementarietà tra uomo e macchina funziona se quest’ultima si avvicina all’individuo. Giuseppe Longo (2. a. 1), nel suo libro “Homo Technologicus” delinea il ritratto dei simbionti cognitivi (2. a . 2): nell’ambito della modifica del corpo umano, il nostro corredo genetico ne traccia i limiti nella durata di un ciclo vitale, dato che le nostre
2.-
> 49
Daniel Wigdor: professore associato di informatica e co-direttore del Dynamic Graphic project presso l’Università di Toronto.
2. a. 4
2. a. 3
NUI: Natural User Interface
cellule si possono riprodurre un numero limitato di volte, ma la modifica parziale lascia spazio alla concretezza, riuscendo ad eliminare barriere e sfruttando potenzialità latenti, come visto precedentemente. Parlando di NUI (2. a. 3) si intendono tutte quelle modalità di interazione che non sono limitate a particolari tecnologie di input e output standard, ma libere, in fase di progettazione, da vincoli fisici e virtuali. Ogni esperienza possiede delle peculiarità uniche. L’interfaccia naturale permette di basare sull’esperienza la progettazione di una relazione forte e soddisfacente tra l’uomo e l’oggetto, dove a risaltare sono gli aspetti peculiari di ogni singola attività.
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Dal mito di Prometeo si ripropone lo stesso problema.
Da una parte l’uomo trasgredisce, dall’altra ha il
timore che così facendo venga punito il suo oltraggio
alla sacralità: degli dèi o della natura. Ma la sacra-
lità della natura viene a cadere non appena parliamo di post-umano. Perché esso postula l’insignificanza dei limiti naturali. Gli uomini hanno sempre tentato
di trascendersi, solo che oggi la tecnologia è talmente
pervasiva che questo oltrepassarsi è diventato trauma-
tico. L’uomo, come scriveva Anders, è ormai antiquato. Non ce la fa a stare dietro a se stesso. La confusione tra naturale e artificiale dilaga perché la tecnologia ci invade. L’artificio entra nel corpo.
»
Giuseppe Longo, articolo di Franco Marcoaldi su Repubblica, 2013
Credo che la definizione più corretta per definire l’interfaccia naturale sia stata data da Daniel Wigdor (2. a. 4):
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Il contenuto è l’interfaccia.
»
> 50 10. Eadward Muybridge The Humane Figure in Motion
2. a. 5
Henry Dreyfuss, 1904-1972: Industrial designer americano, la cui filosofia si basò sull’applicare il buon senso e principi scientifici nella ricerca sul consumatore
Sebbene la definizione non sia assolutamente chiara in sede scientifica, lo è nel momento in cui si instaura e prende forma nella mente. è il contenuto a dettare la forma che la nostra interazione deve avere, così come la forma del nostro dispositivo: l’interfaccia potrebbe tendere a non essere percepita come tale, ma anzi, semplicemente a non essere percepita. Si tratta infatti di un tramite, un’infrastruttura, un mezzo per portarci a manipolare i nostri contenuti in modo espressivo, manovrandoli come fossero vite e cacciavite. Altro presupposto basilare è che gli utenti non sono tutti uguali, così come non lo sono i contesti in cui dovrebbero usare i dispositivi. La direzione è quella degli strumenti specifici, prima per i diversi campi, poi per le diverse attività, poi per i diversi utenti, la strada rimane la “human centered” che già negli anni cinquanta portò Henry Dreyfuss (2. a. 5) a prendere un posto di rilievo nell’ambito della progettazione; egli modellò le linee guida per la creazione di oggetti semanticamente sensati, e soprattutto lo fece prima dell’era digitale vera e propria. Lui iniziò a proporre metodi legati alla misura d’uomo, in modo da centralizzare i processi produttivi verso il comune obiettivo della complementarietà reale, contro ogni “barocco” nella tecnica.
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La rilevanza della centralità umana è evidente nel momento in cui gli utensili sono diventati tanto complessi da permetterlo, e se non esistono linguaggi espressivi universali, allora è lecita la ricerca di mezzi che possano sopperire a questa mancanza, cercando di avvicinarsi ad una soggettività più profonda di quella che i dispositivi comuni permettono di raggiungere. Questo pensiero non è però da presumere come applicabile a tutti i campi in cui le intefacce vengono create: »» nell’intrattenimento ad esempio lo scopo è divertire l’utente, e il cambio di ruolo dell’utente è sempre possibile, quindi non c’è bisogno di un riconoscimento “personale”, inoltre i giochi necessitano di regole, limiti, la soggettivtà emerge con le scelte che si compiono e con la capacità di apprendimento, non attraverso l’interazione; »» una situazione simile avviene in sedi commerciali: ci sono ruoli di cliente e negoziante, ma l’interazione con il sistema sarà simile per entrambi, e nei canoni di un rapporto di contabilità e di organizzazione, la rigidità è consona; »» in campo finanziario il riconoscimento personale è fondamentale, ovviamente. è un campo più ambiguo, dove non è fondamentale che l’interfaccia sia basata sull’utente , ma al contempo è strettamente riservata, quindi può essere semanticamente consona un’ottimizzazione del modo in cui si accede alle informazioni.
> 56 11. Chimera d’Arezzo leggendaria figura mostruosa, con parti del corpo di animali diversi
2.b > Diffcoltà di utilzzo Inizialmente il telefono fu introdotto per sistemi di emergenza, infatti sebbene fosse stato ufficialmente introdotto nel 1871 dal fiorentino Antonio Meucci, solo dopo la prima guerra mondiale venne reso uno strumento “pubblico”, casalingo, fuori da uffici, fabbriche e caserme. Aveva in principio scopi finemente diversi, professionali e di emergenza, per la comune comunicazione civile esisteva il telegrafo ed il telefono assumeva il ruolo di via più comoda e veloce; in effetti, il telefono è piuttosto intrusivo oggi, e difficile da gestire, sebbene comodo. Allo stesso modo anche la segreteria, quando fu inventata, era un’arma a doppio taglio, proprio come il telefono: all’inizio esisteva solo negli uffici, in luoghi di lavoro. Erano considerate maleducate, oggetti di cattivo gusto nei confronti dei clienti. Oggi ci sembra strano chiamare compagnie e trovare operatori umani. In questi due esempi risulta evidente come la denaturazione e l’esagerazione di oggetti pensati per uno scopo cambi la percezione e i modi in cui questi modificano le nostre vite. Sicuramente la diffusione dell’energia elettrica e degli impianti civili ha fatto la differenza nel modo in cui percepiamo certi oggetti: è difficile capire dove risiede un problema con attrezzi di cui non vediamo i processi interni, dove tutto è fermo ma succede comunque qualcosa, dove, appunto, una “risposta” da parte dell’oggetto non è scontata quanto la sensazione del filo di una vite che scorre nella sua sede, o di un chiodo che entra nel legno. Una conseguenza estrema di questo problema è il cosidetto creepy featurism, modalità commerciale che ha invaso la tecnologia, dotando di funzioni inutili oggetti relativamente semplici. Tutte le modifiche della rivoluzione industriale sono state fondamentali alla articolazione della vita tecnologica dell’uomo, dove ci sono state modifiche in tutti i campi, dall’agricoltura, all’industria, ai servizi, ma tutto in conseguenza dell’industria, delle innovazioni nelle comunicazioni e con elettricità e motori successivamente.
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12. esempio di interfaccia grafica Screen shot risalente a Windows XP, probabilmente il sistema operativo più utilizzato di sempre
2.c > User Derived Interaction UDI rappresenta una tecnica di creazione di interfacce basate sull’utente, facendo in modo che sia proprio lui a plasmarla, con modalità più o meno dirette e consapevoli. Possiamo dire che non esistono gesture così comuni da essere ben salde nella nostra cultura, come invece sono il click o il tasto return della tastiera, con forse l’eccezione dello zoom e la rotazione attraverso il multitouch. Una sottile motivazione è che mouse e tastiera danno sempre un feedback, quindi consciamente o meno c’è una sicurezza in più nel flusso dell’interazione, sicurezza che sfuma con i dispositivi touch, senza voce. Se questi test vengono messi in pratica, è infatti importante controllare come si comporta l’utente nell’accezione più generale, non solo guardando cosa fa con il dispositivo, ma anche come affronta i problemi legati alle sue scelte. Il metodo di test chiamato Mago di Oz si avvale di questi princìpi, e viene usato per testare nuovi tipi di interfacce, simulando. Se ad esempio è in corso un test su una nuova interfaccia basata sulla voce e non su una tastiera, il metodo mago di Oz mette una cavia a interagire con uno schermo, e, più nascosta, una persona che manovra il computer, il “mago” appunto, e che esegue i comandi digitandoli. Così l’utente crederà di utilizzare dei comandi attraverso la voce, mentre questi sono in realtà digitati dal mago. Questo metodo è basato sull’osservazione dell’interazione stessa, non sulla qualità tecnica del sistema, quindi su come l’utente si comporta e come deve essere modificata la gestualità che l’interfaccia richiede.
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Questo può essere un buon punto di partenza per oggetti che si avvalgono delle proprietà delle information appliances, della loro specificità in sede professionale, con il fine della circoscrizione in un campo. Un sistema in grado di basarsi sul proprio utente rende ancora più specifico l’utilizzo di un utensile: basti pensare, ad esempio, ad un torchio tarato sull’altezza del suo utilizzatore, sull’apertura massima e minima delle sue braccia, sulle dimensioni degli oggetti che l’utente deve comprimere... Il livello di specificità va incontro all’utente, modificandosi insieme allo stesso. Un banale esempio che percorre questa strada è la memorizzazione automatica di parole frequenti, all’interno di vari editor di testo, funzione già attiva con i perentori Nokia 3310 e probabilmente ancora precedente; sebbene in questo caso si tratti della memorizzazione di contenuti, ricordo un certo livello di stupore da parte dei primi utenti, in relazione alle potenzialità di macchine anche molto semplici. Un buon sistema dovrebbe quindi contenere elementi di interazione tanto elastici nelle richieste all’utente, quanto rigidi e precisi nella loro esecuzione, per adattarsi e al contempo fornirgli sistematiche sicurezze tali da rendere il soggetto in grado di prevedere le reazioni del dispositivo. Come vedremo infatti esistono delle leggi matematiche volte a strutturare la scientificità di un’interazione, così da rendere la macchina ciò che è, un insieme logico di funzioni in cui il rapporto causa/effetto è sempre evidente. Ciò che bisogna ricercare affinché l’interazione diventi personale, oltre che naturale, è quindi il margine di elasticità che ci possiamo permettere di evidenziare, rimanendo all’interno delle leggi di coerenza, ma lasciando alla macchina una sorta di spazio di apprendimento, lasciando che ci capisca al meglio possibile.
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Al fine di ottenere uno stato di concentrazione sincero, tale da essere definito flow, bisogna considerare l’oggetto dell’interazione come un dispositivo senza ostacoli di apprendimento. Nell’ambito del disegno, questo principio di evince dalla sicurezza con cui le mani dell’utente possono muoversi, attraverso quali oggetti di input delle azioni, e attraverso quali output. Il disegno è un metodo espressivo particolare: grandi differenze emergono anche prima dell’atto: lo strumento scelto, il modo di tenerlo in mano, l’orientamento che gli diamo, l’andamento delle linee che tracciamo, la pressione che utilizziamo. Sono moltissime le variabili da considerare, e proprio qui risiede l’elasticità che il sistema dovrebbe vantare per non ostacolare l’attività, ovvero un necessario adattamento della macchina, che deve capire le nostre intenzioni così come noi dobbiamo capire le sue. Ritorna sempre il rapporto di causa ed effetto nel quale riconosciamo un sistema logico di domanda e risposta che dona la sicurezza relativa alla confidenza. Se proiettiamo l’insicurezza alla base di un normale strumento per disegnare, un’ipotetica matita di gommapiuma, un post-it su cui disegnare con una pennellessa, un compasso senza un sistema di blocco, ciò che ci appare è piuttosto ridicolo, ed è perché la storia della tecnica ne ha modellato i processi di creazione, formando nel tempo sia la pratica che, in vari casi, l’attività stessa. La confidenza che otteniamo con gli strumenti dipende da quanto essi siano predisposti all’utilizzo, e nel disegno, la sensazione di concretezza che una matita dona è convincente per definizione.
Il termine infrastruttura si riferisce ai servizi base che fanno in modo che un sistema funzioni. La scheda di un computer e il suo software sono infrastrutture fondamentali per le applicazioni e le comunicazioni attuali, e quindi dell’utenza dell’individuo. Queste infrastrutture sono spesso visibili, e percepibili, aggiungendo un altro gradino dai percorrere prima di arrivare all’obiettivo. Grazie alle infastrutture moderne la vita è progredita, infatti esse sono in qualche modo simbolo di civiltà, di umanizzazione. Tutto ciò che abbiamo - luce artificiale, riscaldamento, acqua calda, acqua pulita, la possibilità di cucinare, di mangiare - sono esempi di oggetti ottenuti grazie a un buon sistema di infrastrutture. In sintesi dobbiamo essere grati alla mente umana per averle inventate. Dall’altra parte, spesso queste infrastrutture sono sono ben visibili, prendendo spazio riservato al contenuto che dovrebbe emergere durante l’interazione con un oggetto. Il problema arriva quando cattive infrastrutture si radicano nella società, il motivo è la difficoltà di eliminare standard dati ormai per scontati, perche da loro dipendono varie cose, e perche in genere sono oggetti costosi, beni non sostituibili. L’importanza dell’infrastruttura è basilare: da essa dipendono il successo e il senso della tecnologia.
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Specalzed “If we all reacted the same way, we’d be predictable, and there’s always more than one way to view a situation. What’s true for the group is also true for the
individual. It’s simple: Overspecialize, and you breed in weakness. It’s slow death.”
Ghost in the Shell
L
‘
3.a > Cos’è un dispositivo
obiettivo è la creazione di un oggetto che oltrepassi quindi i limiti fisici dell’uomo, e che di conseguenza susciti degli interrogativi e allarghi i i confini in cui il nostro segno può arrivare. Abbiamo ragionato sull’aerosol art, sugli aspetti che la rendono un’attività del tutto peculiare e personale, sul disegno e sulle variabili che permettono alla sua soggettività di emergere, infine come i dispositivi attuali spesso non lascino uno spazio d’interazione sufficiente affinché il disegno possa essere realizzato con confidenza. La premessa probabilmente più importante risiede all’interno di un piccolo scritto di Giorgio Agamben (3. a. 1), il quale ragiona proprio sull’etimologia e l’evoluzione del termine dispositivo all’interno della storiadella teologia e della filosofia.
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3. a. 1
Giorgio Agamben: filosofo italiano, ha smesso di insegnare in Italia ed organizza un seminario annuale presso l’Università di Parigi Saint-Denis
Ciò che emerge è un ragionamento piuttosto articolato, che necessita di uno spazio apposito; L’autore, convinto della necessità di meglio definire il concetto, ne delinea le discendenze etimologiche, tracciando un percorso che ha origine nel termine greco oikonomia (da cui deriva il termine decisamente più familiare “economia”), decisivo in ambito teologico. il termine significa “amministrazione dell’oikos” ossia della casa; in modo pratico, il risolvere problemi e far fronte a situazioni sempre nuove. L’autore ne colloca la valenza teologica nel momento in cui il concetto di Trinità risultava sospetto a chi, durante il tramonto del dominio romano, non ne vedeva che un surrogato politeistico della vera religione cristiana. Teologi come Tertulliano, Ippolito e Ireneo trovarono così il termine oikonomia adatto a definire come Dio amministrasse la sua casa, il suo creato, spiegando che la sua entità è unica, ma la sua modalità di azione è triplice, che delega quindi a Cristo l’amministrazione, l’economia e il governo degli uomini. Oikonomia è così il termine attraverso il quale il concetto di trinità è stato introdotto. La conseguenza di questa introduzione tuttavia ebbe un effetto collaterale, ossia la conseguente scissione di Dio in essere e azione, in ontologia e prassi. Il termine, tutt’ora dall’importanza basilare, viene, già a partire da Clemente di Alessandria, associato anche alla provvidenza, al governo salvifico per i corretti. Il termine latino che traduce questi concetti è dispositio. In seguito Agamben ci riporta a Foucault un’intervista risalente al 1977, il quale cerca di delineare un ritratto contemporaneo del termine dispositivo:
! «
Ciò che io cerco di individuare con questo nome
è innanzitutto un insieme assolutamente eterogeneo che
implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche,
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3. a. 2
Introduction a la philosophie de l’histoire de Hegel: opera postuma risalente al 1940, riporta il corso di lezioni che Hegel, allora docente universitario all’Università di Berlino, tenne nell’anno accademico 1818.
morali filantropiche, in breve:
tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi
del dispositivo. Il dispositivo è la rete che si stabilisce tra questi elementi [...] Il dispositivo è appunto
questo: un insieme di strategia di rapporti di forza, che condizionano certi tipi di sapere e ne sono condizionati.
»
Si tratta quindi di rapporti di potere e di sapere che messi a confronto creano una rete di connessioni e una relativa strategia. Nell’opera “l’archeologia del sapere” Foucault utilizza il termine “positivité”, e non il termine dispositivo. La ragione è da legare agli scritti che il suo maestro Hyppolite lasciò nei suoi studi della società. In particolare nel saggio Introduction a la philosophie de l’histoire de Hegel (3. a. 2) egli utlizza il termine religione positiva per definire l’insieme del tutto
terrestre di credenze, costrizioni, abitudini derivanti da un credo religioso, un rapporto tra comando e obbedienza in cui i valori sono imposti dall’esterno, ma che vengono interiorizzati nei nostri sistemi di sentimenti; a differenza della religione positiva, definisce come religione naturale l’immediata e generale relazione della ragione umana con il divino. Vediamo quindi l’imposizione contro la naturalezza; in questo contesto i termini “naturale” e “positivo” assumono quindi l’aspetto di facce della stessa medaglia, vediamo il lato istintivo del naturale, e la riflessione di questo istinto nella società, normato dall’organizzazione religiosa.
> 70 13. Jef Raskin e Steve Wozniak
3. b. 1
Jef Raskin (1943- 2005): noto per avere avviato Apple negli anni settanta, esperto di interfacce uomo macchina e autore del libro “the humane interface”
La filosofia Hegeliana prevede infine la congiunzione della ragione alla religione positiva: dal momento che in filosofia la terminologia è basilare, sono convinto che l’utilizzo della parola naturale per definire delle interfacce descritte unicamente dal proprio contenuto possa essere, per motivi più o meno arbitrari, in relazione con ciò che Hegel definisce religione naturale, l’aspetto legato all’immediato bisogno umano di un rapporto col divino. Se dalla religione positiva vediamo estratto ed utilizzato proprio il termine positivo per parlare di dispositivi come organizzazione del tutto imposta e artificiosa di abitudini riti e credenze, allora ciò che in questa ricerca si crea è un evidente contrasto tra dispositivo e naturalezza, tra imposizione e istinto, correlazione piuttosto familiare, le due facce della medaglia nella progettazione di un oggetto.
3. b > Information Appliances Il dilemma diventa quindi intrinseco nella definizione stessa di dispositivo, che sembra debba essere un compromesso tra imposizione esterna e invece istinto. Nell’ambito della naturalezza dei dispositivi elettronici fu fondamentale l’idea di Jef Raskin (3. b. 1), che già intorno al 1979 coniò un nuovo termine, iniziando a parlare di Information Appliances, tecnologie adibite a svolgere un’attività particolare e ben specifica, in un’ottimizzazione della comodità del lavoro. Pensiamo al pc come un mezzo senza limiti: dal lavoro in ufficio, al design, all’ingegneria, alla gestione di eventi, al disegno e alla scrittura. Con l’ottica di realizzare progetti sensati, basta questo generico elenco per capire come si tratti di un compromesso: per accontentare più utenti possibili bisogna adattare i lavori alla funzione di un computer, che è appunto computare, calcolare, e quindi al suo hardware. I computer sono strumenti estremamente versatili, tuttavia si tratta sempre dello stesso schermo, della stessa tastiera e dello stesso mouse, strumenti di per sé adatti a certi usi, ma non a tutti.
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14. Server di Google I server di Google sono distribuiti su 10 datacenter, di cui 6 negli Stati Uniti, 2 in Europa e 2 in Asia, lampante esempio di infrastruttura “invisibile”.
3. b. 2
Infrastruttura: struttura o complesso di elementi che costituiscono la base di sostegno o comunque la parte sottostante di altre strutture
Un motore da solo non è realmente utile, è un mezzo per raggiungere altri scopi, è infrastruttura (3. b. 2). Se infatti al motore leghiamo oggetti supplementari, più appropriati per il nostro scopo, questo diventa incredibilmente utile. L’ambito casalingo è saturo di motori di tutti i tipi, e un aspetto interessante di questo è che si tratta di sistemi non percepiti come tali: macchine del caffè, aspirapolveri, orologi, ventilatori, frullatori... Un motore, e spesso un piccolo computer, fanno funzionare il sistema, ma sembra quasi anacronistico parlare di motori in questa circostanza. Il motivo è che questi oggetti sono costruiti per svolgere un compito, non per essere tecnologia, dei motori e basta, e sono quindi invisibili perché associamo l’oggetto direttamente alla sua funzione, nel momento in cui l’interfaccia si avvicina al contenuto e viceversa. Allo stesso modo, anche un computer senza uno specifico compito è solo un’infrastruttura, da solo serve a poco, se allora vengono aggiunte le diverse applicazioni specifiche, questo viene reso utile. Un computer diventa così un motore con infiniti potenziali accessori diversi, il lavoro viene svolto, ma costa complessità e spesso inconvenienze in quanto tastiera e mouse vengono “adattati” dai software al fine di rendere il pc uno strumento pertinente. Nel modello delle appliance ogni attività ha il suo specifico strumento, costruito su misura rispetto al lavoro che deve svolgere, così non vi sono sostanziali differenze tra l’imparare a svolgere l’attività e imparare a usare un computer.
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sequencer: è un dispositivo di tipo sia hardware che software, utilizzato per la creazione e la riproduzione di segnali di controllo
3. c. 2
3. c. 1
MIDI: Musical Instrument Digital Interface
3.c > Data Interchange Ripartendo dal particolare che colloca la nascita e la trattazione di questi presupposti alla fine degli anni settanta, il lasso di tempo trascorso da allora ha prodotto la nascita di molteplici formati standard adibiti unicamente a facilitare la comunicazione: il caso esemplare è all’interno dell’industria musicale, ossia l’invenzione del MIDI, protocollo standard per l’interazione tra dispositivi musicali elettronici nato negli anni ottanta, che si avvale di un linguaggio informatico comune e di un’interfaccia fisica dipendente dallo strumento. è fondamentale precisare che non si tratta di un formato audio digitale, ma di un vero e proprio linguaggio che permette di controllare strumenti che generano audio, senza tuttavia escluderne altri: grazie ad esso possono essere prodotti strumenti musicali di ogni genere, e sopratutto essere legati a oggetti che non riguardano direttamente la musica, ognuno con il proprio compito e quindi uno specifico hardware; attraverso dei software dedicati chiamati sequencer si possono registrare, modificare e riprodurre performance sottoforma di sequenze MIDI, e numerosi sono gli esempi di luci, oggetti di scena, scenografie elettroniche che si avvalgono di questo linguaggio legato agli strumenti per, ad esempio, muoversi a tempo o accendersi e spegnersi sulla base delle azioni svolte agli strumenti musicali. Supporta 16 canali, ovvero un singolo messaggio MIDI può controllare 16 diversi moduli sonori.
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> 75 15. Schema esempio di interfaccia MIDI e di un relativo sistema per la creazione di flusso di dati
Supponiamo così di poter eliminare il bisogno di uno schermo e di un’interfaccia in cui sono da apprendere i vari adattamenti che il software apporta all’hardware; attraverso sensori diversi sarà virtualmente possibile che tutti i compiti possano essere svolti in modo programmato e organizzato, così saranno eliminate chiavi di casa, ufficio, macchina, probabilmente addirittura il denaro. Se le virtù di questo modello sono molte, non si può non considerare la perdita nella versatilità del mezzo. L’aspetto forte è la specializzazione, il che significa circoscrivere il mezzo all’interno di un cerchio che non può oltrepassare. Il computer come lo intendiamo attualmente ha comunque essenziali lati positivi: velocità, flessibilità, serendipità, uso di uno stesso documento per diversi scopi e vastità nelle vie di comunicazione. Ovviamente possedere queste peculiarità riassunte all’interno di un computer è comodo in diverse situazioni. Si tratta di mettere a paragone un coltellino svizzero e strumenti come coltelli e cavatappi, o un camper con le varie stanze di una casa e la macchina. è il contesto, ovviamente, a suggerire la strada migliore, tuttavia in data odierna ancora di rado si vedono mezzi elettronici multimediali dichiaratamente specializzati, per cui in effetti non esiste ancora una vera propria facoltà di scelta, sia per l’utente medio che per il professionista. Con le appliances siamo costretti a fare una scelta, possiamo avere quello che vogliamo, a seconda dei nostri scopi e dei contesti in cui ci troviamo ad attuarli. Ciò che può fare in modo di realizzare questi strumenti è la comunicazione tra loro, approssimativamente un corrispettivo del MIDI, un linguaggio che interconnetta tutti gli oggetti, semanticamente legati o meno; la vera forza di questo sistema starà nel vedere tutti gli strumenti in potenziale collegamento, è nella comunicazione che gli standard sono fondamentali, nulla di più che infrastrutture tra le infinite infrastrutture.
Monitor
Computer
interfaccia Audio
interfaccia MIDI
Strumento analogico
out port
MIDI
thru port
analog
in port
digital
Teste Mobili
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mixer luci
Sequencer 1
Sequencer 2
Loopstation
Sequencer 3
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3.d > Body Horror Nel mercato delle macchine fotografiche, per esempio, oltre al corpo macchina servono obiettivi, schermi, più o meno estesi e performanti, metodi per gestire suoni divisi da immagini, in modo da poterli trattare in modo ottimale. I dispositivi faranno parte di diverse famiglie in sistemi minori, e per questo è necessaria un’onnipresente ed invisibile infrastruttura, in modo da rendere possibile la combinazione di informazioni di un oggetto e di un altro, da un campo ad un altro, introducendo nuove associazioni, nuove arti e nuovi giochi. Nuove tecnologie introducono sempre nuove modalità di utilizzo, la serendipità è sicuramente un aspetto fondamentale nell’umanizzazione di una macchina. In una parentesi più marginale per questa tesi, ma da menzionare necessariamente, uno dei vantaggi di questi strumenti può essere anche l’eliminazione di un controllo monopolistico dei computer: ci sarebbe luogo per l’eliminazione delle oligarchie industriali che sempre più limitano i nostri acquisti, ma case produttrici nei rispettivi campi faranno da sé, e in ogni caso sarà il linguaggio ad essere monopolistico, prescindendo comunque anche dalle case di produzione. Ci sono due tipo di beni, quelli sostituibili e quelli non sostituibili. Quelli sostrituibili seguono le regole del mercato tradizionale, dove differenti compagnie si contendono il mercato. Quelli non sostituibili sono in genere infrastrutture, e sono legati a pochissime, enormi case di produzione, ed è lo stato attuale delle cose, parlando di sistemi operativi. Per questo, in realtà anche oggi la condivisione libera di informazioni è discretamente possibile, ma solo finché è la casa produttrice a deciderlo. Per fare la differenza le appliances devono abilitare l’universalizzazione massima, altrimenti sono solo più scomode. In questo modo l’utente può liberarsi di queste infrastrutture non sostituibili. Nei mercati di beni sostituibili, i beni creati da una compagnia possono essere sostituiti da
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beni di un’altra compagnia. Questo dà luogo ad un mercato competitivo, in cui possono coesistere in modo virtualmente armonioso diverse case con stabilità, e se oggi scelgo il prodotto di una compagnia, domani potrò sceglierne uno di un’altra. Con il mercato dei beni non sostituibili invece è diverso, perché prima di tutto è molto difficile cambiare da una compagnia a un’altra, e non è così importante quanto sia buono il prodotto, ma quanto riesce a radicarsi e a diffondersi: vige la regola del “è sufficientemente adatto”, perché questo deve essere basato sul bisogno dell’utente medio, non sulla tecnologia migliore perché il campo di lavoro sia agevolato, non sulla tecnologia che porta all’evoluzione e a nuove prospettive. In genere i beni non sostituibili sono infrastrutture, sono strumenti che supportano l’utilizzo per svolgere certe attività. Queste sono possibili da cambiare un domani, ma costa tempo di apprendimento, denaro e grandi sforzi. Una casa produttrice di beni non sostituibili può potenzialmente ricoprire l’intero dominio del consumo, giungendo quindi a una sorta di monopolio, questo significa che più individui comprano questi beni, più la casa si evolve, si potenzia, e quindi avrà più possibilità di creare nuovi beni, nuove infrastrutture legate a quelle precedenti. In mancanza di regolamentazioni statali e governative, la casa maggiore prende tutto il dominio quindi, e sistemi alternativi possono sopravvivere al massimo in nicchie, dove la mancanza di conformità con il produttore principale non è importante in modo sostanziale. Per questo in molti casi i governi danno delle linee guida, stabiliscono delle regole di mercato in modo da evitare monopoli, e questo spesso succede quando i beni sono infrastrutture chiave (come sistemi postali o di trasporti). In ogni caso, la standardizzazione delle infrastrutture è fondamentale per l’industria e per il suo successo, oltre che per la comodità degli utenti.
> 80 16. eXistenZ screenshot dal film, scene e rimandi di natura sessuale.
Il Pasto Nudo (1991): ispirato al romanzo “Pasto nudo” dello scrittore statunitense William S. Burroughs
3. d. 3
eXistenZ (1999): ambientato in un futuro imprecisato, interessante visione del videogioco in relazione al periodo in cui è stato prodotoo
3. d. 2
3. d. 1
David Cronenberg: regista canadese, pioniere nel linguaggio “body horror” che affronta la mutazione del corpo umano, la sua contaminazione, spesso attraverso la fantascienza
La breve digressione sul mercato dell’elettronica non vuole denunciare e speculare, ma semplicemente constatare. Ciò che vorrei emergesse sono i motivi alla base delle creazioni attuali, e il decentramento dell’uomo come obiettivo primario nella progettazione degli strumenti. David Cronenberg (3. d. 1) nella sua filmografia più volte enfatizza aspetti meno scontati circa la tecnologia e i suoi antefatti, con le relative conseguenze. Nel lungometraggio eXistenZ (3. d. 2), precursore del più celebre “inception” e dal gusto decisamente legato al suo tempo, emerge una bramosia quasi sessuale riguardo la tecnologia, rappresentata in modo decisamente organico: la trama vede il lancio e la sperimentazione di un videogioco neurale, dove i dispositivi sono simili a feti che, attraverso un “cordone dorsale” si collegano a bioporte collocate nella zona lombare degli utenti, ossia orifizi organici artificiali attraverso cui sono indotti stimoli sensoriali, che quindi permettono di viaggiare con la mente in modo del tutto reale, stando semplicemente seduti su una sedia. Vediamo un umano con una sorta di appendice esterna che funge da potenziamento e inganno neurale, e che assume il controllo dell’utente facendolo entrare nelle vesti di un personaggio prestabilito, che ha quindi degli aspetti caratteriali già fissati. In questo film, ma anche in altri lavori come il celeberrimo Pasto Nudo (3. d. 3), il regista mette alla base della trama le grandi compagnie sviluppatrici di software, e i sotterfugi spesso violenti scaturiti dallo spionaggio industriale, dove il prodotto diventa un reale strumento di potere e quindi di minaccia. Questo è per certi aspetti coerente con la definizione di Agamben, e vediamo quindi come il dispositivo sia prima di tutto l’oggetto, e poi anche la sua diretta conseguenza, in una relazione di forza assolutamente relativa.
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M, D, A â&#x20AC;&#x153;if you think about the game you lost the gameâ&#x20AC;?
S
4.a > I criteri
econdo Daniel Wigdor e Dennis Wixon (4. a. 1) un campo da tenere nel mirino nello sviluppo di un’interfaccia naturale è il mondo dei videogiochi, dove la comodità e la confidenza con hardware e software sono fondamentali per il divertimento dell’utenza, in quanto la strada che tutti percorrono per imparare a giocare è proprio giocare. Generalmente vengono utilizzati livelli di difficoltà graduali, spesso anche personali, e nel momento in cui il rapporto tra impegno richiesto e interazione con il mezzo è pertinente all’attività, il gioco riesce nel suo intento. Questo probabilmente accade per via dell’interazione “disinteressata” che avviene nel momento in cui un utente non è costretto ad usare software in sede professionale, bensì a casa, in comodità.
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Dennis Wixon: assieme a Daniel Wigdor è l’autore del libro “brave NUI World”, autore di diversi metodi di testing e professore alla University of Southern California, Los Angeles)
Un presupposto come questo lascia meno spazio agli sviluppatori, in quanto se in sede professionale esistono più limiti per cui l’utente può trovarsi a non poter scegliere che dispostitivi usare, per svariate e intuibili ragioni. Un utente di videogiochi sceglie un gioco e una piattaforma secondo i propri personali criteri, quindi è più comune che su questo si basi la relativa progettazione. Il mondo ludico richiede immediatezza, non si deve imparare prima di giocare, ma giocando. Esiste un modello progettuale che gli sviluppatori di videogiochi utilizzano per plasmare i propri prodotti, si chiama MDA (Mechanics, Dynamics, Aesthetics) dove questi tre termini sono stati utilizzati in modo informale per molti anni per descrivere i vari aspetti del gioco. Il quadro MDA fornisce tuttavia definizioni precise e cerca di spiegare come si relazionano tra loro, quindi come influenzano l’esperienza del giocatore. »» La meccanica sono gli aspetti di funzionamento principali del sistema, quelli che negli scacchi sono il numero di pezzi, le regole, gli obiettivi. una volta assodati questi aspetti, gli scacchi possono essere trasposti in versioni digitali e quant’altro, pur rimanendo sempre scacchi. Nel mondo dell’interfaccia gli oggetti sono quelli virtuali, i “primari” sono testo, grafiche, ecc. mentre box, menu ecc sono secondari. Lo scopo delle applicazioni è la modifica dei primari attraverso i secondari, e sta ai designer progettare bene i secondari. »» Negli scacchi i movimenti dei pezzi sono la dinamica. Seguono delle regole, per cui in qualche modo le mosse sono prevedibili, ma mai completamente determinate, una partita di scacchi infatti non è mai uguale all’altra. Segue che il gioco degli scacchi è piuttosto semplice da apprendere, ma complesso da padroneggiare con reale cognizione. La correlazione della dinamica vede l’utente, che ha la propria esperienza e i propri obiettivi da applicare alla macchina.
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Infine l’estetica è il risultato della dinamica, si tratta di considerazioni personali, intellettuali ed emotive del caso, la fase risolutiva, nonché più personale dell’interazione.
Le interfacce naturali hanno la possibilità di creare la meccanica, di renderla ottimale in funzione della prevista dinamica e successivamente della possibile estetica. Un importante aspetto nel gestire questi aspetti è l’intenzione di creare un prodotto di cui si può apprendere l’utilizzo in modo graduale, dato che in ogni caso, come negli scacchi, un’interazione naturale non è sinonimo di intuitiva, per l’utente che non conosce il gioco. L’obiettivo sono meccaniche lineari, dinamiche morbide e ed estetica positiva. è fondamentale ragionare sui primitivi del software e dell’hardware, i movimenti base dell’interazione. Esistono elementi talmente radicati nell’interazione con il computer che non si tiene in conto di non basarsi sul click, o sulla meccanica dei link, perché si da per scontato che sia ormai impossibile soppiantarli. Ovviamente è quasi superfluo affermare che se il mouse è così diffuso il motivo è semplice: le interfacce grafiche più diffuse sono tarate su di esso. Il bisogno è di nuovi primitivi, se si vuole arrivare ad un’interazione “espressiva” è fondamentale non basarsi sullo standard nell’usabilità, e quindi non dare per scontato niente di ciò che conosciamo.
> 90 17. Powerglove packaging e comunicazione del dispositivo, che nei suoi anni fu un vero e proprio fenomeno commerciale per via della sua estemporaneità.
Tom Zimmermann: inventore americano, tra i primi ad iniziare a parlare di realtà virtuale, e iniziatore di svariati progetti circa la l’interazione in-air
4. b. 2
4. b. 1
Dataglove: Collegato a un computer, che elabora le variazioni di intensità luminosa dovute alle flessioni delle dita, permette di trasformare i segnali tattili in segnali elettrici e di ricostruire i movimenti della mano.
4.b > Powerglove Il Nintendo Powerglove fu un controller accessorio per nintendo, introdotto nel 1989, un guanto pensato per sostituire i classici controller nintendo. L’oggetto discende dal progetto Dataglove (4. b. 1) dell’inventore Tom Zimmermann (4. b. 2), che introducendo questo dispositivo proiettò la compagnia letteralmente 20 anni avanti agli altri, e di fatto svilupparono un oggetto degno di nota, che si rivelò tuttavia un complessivo fallimento. Il controller funzionava attraverso due teste sonore sulle nocche del guanto, e a tre ricevitori di segnale posti sul televisore. Attraverso questo sistema era così possibile dedurre l’inclinazione, la rotazione e la traslazione dell’utente. Essi svilupparono un hardware dalla grande innovazione nell’espressività di gioco, senza creare giochi che ne supportassero le potenzialità: la modalità d’uso del guanto era pressoché identica a quella del classico controller, fallendo quindi nell’introduzione nuove tecnologie senza nuovi metodi di interazione. Il progetto rientra quindi in una meccanica del tutto innovativa e rivoluzionaria, ma la sua dinamica non ha avuto altrettanto spazio in quanto la console associata allo strumento esisteva in precedenza rispetto a questa invenzione, e quindi tutta l’interfaccia era già stata tarata su un altro controller; ne consegue un’estetica negativa.
> 92
1.-
> 93
> 94
Come premesso, questa ricerca parte da aspetti ludici. Un drone, per quanto di stirpe bellica, è un elicottero radiocomandato. Non possiede aspetti differenti da tutte quelle macchine con cui da piccoli si giocava, se non per lo spazio di interazione e le potenzialità che esso possiede. è infatti piuttosto complesso prenderci confidenza poiché si tratta di un oggetto completamente nuovo per tutti, e quindi stupisce. Le modalità con cui viene utilizzato sono generalmente finalizzate alle riprese con fotocamere, e ovviamente ciò che dona il drone è una vista completamente nuova, come se ci fosse realmente una persona al suo interno, che vede paesaggi da dove nessun altro ha mai potutto osservarli. Così perché non estendere questo dono ad altri sensi? Toccare posti mai toccati, ascoltare suoni mai uditi, e ancora più in là, rispondere all’ambiente circostante, lasciando un segno. Questo aspetto è più a portata di mano di quanto si possa percepire esternamente, ma per evitare l’effetto Powerglove è scontato sia necessaria una progettazione attenta allo scopo iniziale, ossia il disegno.
5.-
Azione e retroazione “The fingers you have to dial are too fat. To obtain a special dialing wand,
please mash the keypad with your palm now.” The Simpsons (“ King Size Homer”)
M
5.a > Schema
entre i primi stili di graffiti nascevano e si evolvevano, nel corso degli anni ottanta Donald Norman, citato in precedenza in relazione agli information appliances, scriveva circa lâ&#x20AC;&#x2122;organizzazione del sistema motorio e dei suoi sistemi di input e output, suddividendo e motivando le cosidette action slips, errori nella traduzione tra intenzione e azione. Il nostro corpo, secondo aspetti come la selezione, i sistemi di input/output, la previsione, il controllo centrale di oggetti periferici, è relativamente simile ad un circuito computerizzato, in cui a segnali in entrata corrispondono segnali in uscita; nel momento in cui esistono situazioni accomunate da alcuni aspetti, gli errori avvengono quando il nostro sistema nervoso arriva a svolgere output indesiderati.
> 100
Un action slip diventa quindi l’errore che avviene nel momento in cui una persona svolge un’azione che non intendeva svolgere, e questo può anche dare luogo a differenti interpretazioni. Da queste interpretazioni sarà possibile quindi capire il rapporto tra azione pensata e azione svolta, rientrando comunque nei limiti di teorie che, se pur condivise, di sovente faticano ad essere scientificamente categorizzate. Una suddivisione tra errori nel commettere azioni, nell’ometterle e nel sostituirle esiste, ma manca di un corrispettivo nella meccanica corporea, dando così luogo a mancanza di reali certezze a riguardo. Di contro, una completa categorizzazione dovrebbe tenere conto di aspetti come memoria, abitudini presenti e passate del singolo, processi cognitivi relativi a conscio e subconscio, al controllo e all’intenzione. Questo tipo di errore è semplice da esemplificare in forma di linguaggio verbale e parlato, nel momento in cui confondiamo, mescoliamo e omettiamo parole all’interno di una frase, per svariati motivi che possono essere somiglianze grammaticali, etimologiche, fonetiche e logiche. Lo svolgimento di azioni prevede tre stadi semantici: »» activation; »» trigger; »» schema system.
5.-
> 101
memoria procedurale: è la memoria di come si fanno le cose e di come si usano gli oggetti; la perdita di essa comporta la difficoltà nelle più semplici azioni
5. a. 2
5. a. 1
schema: struttura relativamente stabile su cui è basata la memoria, attraverso cui ricostruisce i ricordi. il termine venne introdotto da Frederic Bartlett, primo professore di psicologia sperimentale all’Università di Cambridge
Questo sistema presuppone l’esistenza di “pacchetti di azioni”, i cosidetti schema (5. a. 1), strutture di conoscenza e cognizione fisica. L’attivazione di questi pacchetti motori avviene successivamente ad una raccolta di input esterni attraverso i nostri sensi, poi tradotti in una risposta selezionata attraverso un trigger, uno di catalogazione e innesco. La novità di questa suddivisione soggiace tra le righe, vedendo le applicazioni nel sistema motorio, nel ruolo che l’intenzione assume, nello svolgimento di azioni simultanee e nella loro interpretazione e categorizzazione. In questa sede è utile vedere quindi gli schemi d’azione come veri e propri corpi organizzati di conoscenza, includendo quella procedurale (5. a. 2). Capire in che modo intenzione ed errore cognitivo si riversano nel sistema motorio offre sicuramente basi scientifiche solide nella creazione di un sistema d’interfaccia che sia percepito come naturale. Ogni schema copre un range limitato di azioni da svolgere, palesando così una sorta di natura concatenata di queste. Alcuni schemi, a seconda degli input, richiedono l’intervento di altri sottoschemi, che sopperiscono alle mancanze dei primi, creando una concatenazione che in fasi successive può diventare abitudine o confidenza.
... cerco altra carta rinuncio ed esco Disegnare per me
cerco una matita
Disegnare per lavoro
cerco una penna
Scarabocchiare
cerco un pennarello
Scrivere per me
cerco la prima cosa utile
Scrivere per lavoro
...
Fare una palla di carta Fare un aeroplano
cerco un altro foglio
Metterlo via
mi siedo
Buttarlo
sto in piedi
Portarlo a qualcuno
posso fare piĂš aeroplani
Bruciarlo
vado in un altra stanza
...
provo a inventarne uno cerco schemi di piega controllo comâ&#x20AC;&#x2122;è il foglio ...
rinuncio a disegnare
...
la cerco in camera
guardo nellâ&#x20AC;&#x2122;astuccio
la cerco in cucina
ne ho una sullâ&#x20AC;&#x2122;orecchio
la chiedo ai coinquilini
guardo sul fondo
cambio strumento
cerco in tasche inusuali
cerco nei dintorni
rinuncio e la chiedo
guardo nel mio zaino
mi spazientisco
controllo che ore sono
...
...
li faccio tutti uguali li faccio tutti diversi cerco altra carta
...
rinuncio e mangio
cerco in cucina
spezzo il foglio
...
...
> 104
5.b > Classificazione Una suddivisione più accurata vede infatti un compito generale, uno schema padre, da suddividere in tutte quelle azioni, e quindi tutti quegli schemi figli necessari a completare un’operazione. Questa microsuddivisione tra migliaia di schemi permette la complementarietà e l’elasticità nei nostri comportamenti, se il sistema sensoriale ci restituisce input simili, è probabile che svolgiamo azioni simili, spesso collegando tematiche e situazioni apparentemente diverse. Nel momento in cui si tratta di azioni con cui si possiede confidenza, è necessaria solo l’attivazione dello schema padre, e i compiti subordinati vengono svolti automaticamente. Un chiaro esempio si denota nell’apprendimento della guida di un veicolo: dai primi giorni di prove in cui si cerca di individuare una coordinazione intuitiva e comoda, succede una conoscenza procedurale sempre più elevata in cui la volontà di svoltare a destra, ad esempio, richiede solo un pensiero intenzionale e sempre meno “motorio”, spostando quindi l’attenzione unicamente sull’attività e sui punti critici che richiedono ulteriori attenzioni esterne alla consuetudine. Il cosidetto flow non è altro che uno stato di massima concentrazione verso un’attività, e questo può avere luogo a partire dallo strumento in utilizzo. Se questi permettono un processo sereno e intuitivo, allora può avere luogo un flusso in cui l’attenzione riguarda unicamente l’attività del disegno. è necessario un passaggio di selezione, il trigger appunto, che mette a fuoco il necessario e quindi elabora risposte appropriate attraverso corrispondenze di schemi comportamentali, valutando quindi la natura del percepito, il contesto, la memoria e le abitudini. Gli errori comportamentali, secondo la classificazione di Donald Norman, derivano dall’analisi di circa 1000 casi, di cui circa 200 presi direttamente dallo stesso, e si suddividono in tre categorie: errori nella formazione di un’intenzione, errori nell’attivazione ed errori nella selezione corretta di una risposta appropriata.
Disegnare per me Disegnare per lavoro Scarabocchiare Scrivere per me Scrivere per lavoro Fare una palla di carta Fare un aeroplano Metterlo via Buttarlo Portarlo a qualcuno Bruciarlo ...
> 106
5. b. 1
fenomeno Stroop: termine conosciuto in psicologia, il cui classico esperimento consiste nello scrivere nomi di colori, attraverso inchiostri di altri colori rispetto a quelli scritti (così il nome “giallo” verrebbe scritto in blu ad esempio, e così via), e la sfida consiste nel dire velocemente il nome del colore dell’inchiostro.
Nel primo elemento della classificazione, emergono due tipi di errore: »» errori nel valutare in modo esatto la situazione; »» errori dovuti ad intenzioni poco chiare, ambigue. In entrambi i casi l’errore non riguarda direttamente i difetti motori, ma consiste in veri e propri errori nell’ elaborare soluzioni, conducendo allo svolgimento dell’azione corretta in relazione all’elaborazione di input, ma essendo gli input compromessi, l’azione si rivela inadatta al contesto. Per questo all’interno della prima suddivisione non si parla direttamente di action slip bensì di errori valutativi che prescindono dalla classificazione del capitolo. Il secondo elemento tratta gli errori causati dalla sbagliata attivazione di uno schema: »» attivazione non intenzionale, che può avere luogo per svariate ragioni, tra cui quelle legate al primo tipo di errore. Sono tuttavia più interessanti errori scaturiti dai dati ricevuti in un contesto adatto, che innescano azioni e associazioni; »» attivazione scaturita dall’abitudine, dove la ragione è piuttosto semplice: i presupposti dell’azione da svolgere si avvicinano a quelli relativi ad un’abitudine, dato che sono i più semplici da innescare, in modo più o meno parziale; »» attivazione esterna: avviene quando è il contesto a forzare l’errore, inducendo il nostro sistema nervoso ad elaborare una risposta ritenuta pertinente, che in realtà pertinente non è. Tra questi action slip, è conosciuto il fenomeno Stroop (5. b. 1); »» attivazione associativa: l’attivazione avviene richiamando schemi che, a causa di un’associazione con altri schemi, richiamano proprio questi ultimi. Si tratta di action slip slegati dall’abitudine, indipendenti quindi dalla prima categoria; »» mancata attivazione: gli schemi appropriati si attivano, tuttavia, essendo la memoria umana fragile, possono verificarsi omissioni o azioni svolte in ordine errato. I risultati dipendono strettamente dalla natura della mancanza.
5.-
> 107 18. Phrenology Diagrams Wells Samuel R. (Samuel Roberts), 1820-1875 è una dottrina pseudoscientifica introdotta e propagandata dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1758 - 1828), secondo la quale le singole funzioni psichiche dipenderebbero da particolari zone o “regioni” del cervello
La terza categoria di errori riguarda l’incorretezza nel sistema di trigger, di rielaborazione e risposta da parte del sistema nervoso e di conseguenza di quello motorio. Sono quei casi in cui si pensa ad un’azione e ci si convince di averla svolta, nonostante questo non sia avvenuto, e sebbene quest’esempio si riferisca più ad una mancanza d’azione che ad una sostituzione, le cause sono le stesse, e il pensiero in qualche modo assume le veci di azione sostituente. Nel disegno, gli errori cognitivi relativi ad attivazione non intenzionale, associativa e mancata sono piuttosto comuni. è infatti semplice in sede creativa non avere perfettamente in mente dove si vuole andare, il risultato che si vuole ottenere ad esempio. Allo stesso livello vediamo anche come schemi abituali possano portare a risultati aspettati, ma anche non desiderati; siamo portati a tracciare linee secondo il nostro stile, descritto anche dagli schema che attiviamo quando ci muoviamo nel disegno. Allo stesso modo una mano che ha confidenza con la matita e con i propri disegni può dare per scontati dei passaggi. di tutto questo ci si rende conto a posteriori, quando si guarda il disegno finito, la sezione finita, la linea finita, si notano gli errori. Se l’obiettivo è quindi migliorare i limiti dell’uomo nel disegno, i sistemi digitali possono essere programmati per restituire feedback, e quindi segnalare nell’immediato una possibile slip. Inoltre, data la mancanza di chiarezza e spesso di movimento all’interno di qualsiasi dispositivo elettrico, dove succedono eventi sebbene apparentemente nulla si muova, il feedback diventa necessario.
> 110
5.c > Feedbacks In seguito alla digressione circa errori cognitivi relazionati al movimento, il feedback è comunemente percepito come criterio fondamentale. All’interno di questo ambiente l’intenzione e l’azione sono più che mai soggetti all’incomprensione reciproca. Un aspetto interessante della relazione si esemplifica nell’astrattismo della volontà dell’utente, che si trova a spesso a voler, ad esempio, “richiamare il menu”, desiderio che nell’interfaccia grafica può avere diverse implicazioni. è quindi utile considerare che l’atto è reso attraverso fibre nervose, quindi arti, muscoli, movimenti e infine interagisce con il dispositivo, che ha anch’esso i propri snodi; per confrontare intenzioni e azioni, i due devono essere allo stesso livello di specificazione in termini di linguaggio, per cui una conoscenza procedurale relativa ai compiti da svolgere è basilare.
! «
It is apparent that industrial designer’s task is twofold - to fit a client’s wares to Joe’s and Josephine’s
anatomies, and to explore their psychology and try to
lessen the mental strains os this pressure age. It is not enough to seat them comfortably at their work. There is a responsability also to remove the factors that impair digestions, cause headaches, backaches, fatigue, and
give them a feeling of insicurity. There is likelihood that their problems will never be solved once and for all.
Already new ones are emerging on the horizon. Travelers in jet transports, where the speed is greater than
the sound of the engine, say the quiet disturbs them. Accustomed to the interminable drone, they find they
become uneasy at the sensation of floating noiselessly, vibrationlessly, through space.
Henry Dreyfuss, Designing for People, Joe and Josephine
»
5.-
> 111
Da questo esempio si può desumere come il silenzio non sia sempre positivo. è il rapporto causa/effetto. rimane tuttavia paradossale pensare a molti sistemi di interfaccia si avvalgano di feedback del tutto artificiali perché siano percepiti come naturali dall’utente. Quest’aspetto diviene meno paradossale pensando ai principi della dinamica dei corpi, e a quali siano le conseguenze dell’applicazione di una forza ad un corpo, e quindi a come applicare ad un software regole di coerenza tali da far sentire l’utente come immerso in fluido viscoso, come se ci fosse aria all’interno del dispositivo, come se gli oggetti dell’interazione fossero reali; con i tasti hardware un buon feedback è fornito, con il touch ovviamente è tutto relativo al software e a feedback in genere visivi e/o sonori. Grazie a questa considerazione possiamo pensare al feedback come la resa di una legge fisica con modalità artificiali, e se il comportamento di un oggetto digitale è simile a quello di un oggeto reale, allora i nostri sensi possono percepirlo, prevederne il comportamento come se esisistesse un movimento interno, una relatà parallela. Il fallimento o il successo di un’interazione dipendono da quanto il dispositivo “parla” all’utente. Se l’applicazione risponde in modo ottimale agli input con dei feedback completi, allora sarà alta la consapevolezza che l’utente avrà riguardo le proprie azioni. Questo significa che l’utente ha la possibilità di comprendere in modo chiaro il rapporto tra causa ed effetto che la sue azioni producono all’interno del software. Il tracking, ad esempio, quando presente, prevede un buon sistema di feedback; la sua presenza e il suo movimento sono un punto di partenza per capire se il sistema risponde in modo efficiente. Il feedback può essere quindi: »» un eco di dati non processati (questo è ciò che vede il sistema); »» una rappresentazione semantica dello stato dell’utente (questo è ciò che il sistema sa).
5.-
leggi di coerenza: identità: interazione diretta con l’oggetto, non passando per un’applicazione; negazione: possibilità di annullare un’operazione in corso; reciprocità: ritorno al precedente stadio commutazione: l’ordine delle azioni non ha importanza
5. c. 2
5. c. 1
overcaptured: sovraccarico di input
> 113
Un eco di dati non processati equivale spesso ad un feedback negativo, vale a dire la risposta del sistema ad un input non pertinente. Nella progettazione di interfacce, l’utente è in costante ricerca di esso, e se una causa viene a mancare, i pilastri su cui si basa la logica interna al dispositivo ovviamente cadono. I problemi di feedback in genere sono causati da: »» conferma di attivazione: il fisico e iconico click, con il touch è necessaria una conferma inequivocabile, e lo stesso discorso vale per trackpad e tablet; »» fat fingers: coprono lo schermo e prendono un’area più estesa, il feedback non dovrebbe comparire necessariamente sotto il dito, non necessariamente quando tocca lo schermo, non deve essere necessariamente visuale; »» non-attivazione: un feedback anche per il tocco “inerte”, dando attenzione anche al feedback dell’overcaptured (5. c. 1). Questo è il caso per cui anche gli insuccessi vanno segnalati con la stessa importanza dei successi, seguendo anch’essi le stesse leggi di coerenza (5. c. 2). La sicurezza che va trasmessa si misura in quanto le intenzioni dell’utente abbiano significato per il dispositivo e di conseguenza per il sistema, che quindi traduce ciò che ha compreso in una risposta, positiva o negativa.
> 114 19. esempi e schemi di funzione pig-tail e l’input multimodale nella gestione di un’applicazione digitale per il disegno e la manipolazione di oggetti virtuali
5. d. 1
Ken Hincley: ricercatore alla Microsoft Research dal 1997, dove lavora nella categoria hardware e input, con relative modalità di interazione
5.d > In-air gestures Sulle orme del Nintendo Powerglove visto in precedenza, vediamo sistemi wireless, bluetooth e Wi-fi che si avvalgono del movimento del corpo per ricevere input. Questi movimenti possono essere parziali, delle sole dita o delle sole braccia ad esempio, o totali, che quindi richiedono il movimento di tutto il corpo per essere significativi. Sistemi come Microsoft Kinect, controller Wii o Leapmotion si adattano a nuove nicchie, ampliano i campi in cui interfacce naturali possono applicarsi, esattamente come il complessivo sistema touch ha fatto, in relazione alle interfacce grafiche. Emerge quindi che la classificazione non è temporale e basata sulla tecnologia, ma una nuova esperienza da parte dell’utente. Così la gestualità in-air può essere utile nel momento in cui il touch, la stylus e sistemi più “tradizionali “sono di ostacolo all’esperienza dell’utente. Esattamente come le tradizionali interfacce naturali tuttavia, i cosidetti sistemi in-air non sono da valutare come sostitutivi rispetto ai più comuni input, ma come alternative nel momento in cui si presenti il bisogno. Il problema forse più importante delle gestures in-air è la selezione, come si rende comprensibile il cambio di stato? Che basti puntare l’oggetto da selezionare con il dito è una soluzione ingenua, proprio come andare a caccia armati di un fucile che spara automaticamente e di continuo. In un linguaggio più tecnico, il problema è che i sistemi in-air sono dispositivi one-state input, che hanno bisogno di un’interfaccia ad hoc. Per fronteggiare questo problema sono stati adottati diversi metodi, Ken Hinckley (5. d. 1) ad esempio sviluppò un sistema già precedentemente, chiamato Pig-tail, che consiste nel richiamare il menu attraverso un movimento “coda di maiale”. Sicuramente si tratta di una modalità interessante da un punto di vista gestuale, in quanto un movimento poco usuale e al contempo estremamente semplice, nell’ottica della memoria spaziale che è più vicina ai disositivi touch.
1.-
> 118
Un’altra tecnica è stata chiamata clutch, che consiste nell’anticipare con una gesture quale sarà la scelta successiva. è simile al paradigma B+C nel capitolo precedente, la combinazione di due o più gesture limita la possibilità di equivoco: l’input va riconosciuto il prima possibile. Come se attorno a noi volasse un piccolo aereo giocattolo: il clutch consiste nel cercare di prenderlo attraverso le dita. I limiti in questo caso sono che input troppo vicini possono dare luogo a input falsi-positivi, e troppo lontani falsi-negativi, a causa del troppo o del poco segnale, fuori scala. Inoltre si tratta comunque spesso di gesti che possono essere fatti senza l’intenzione di attuare una clutch. Questi progetti sono comunque accomunati da sensori che rilevano segnali di natura diversa, danno la possibilità di combinazione, l’input multi-modale: gli smartphone nella maggioranza dei casi, oltre agli input touch possiedono alcuni tasti hardware. L’input touch va a tutto il sistema e può avere traduzioni differenti a seconda delle singole applicazioni, direttamente. I comandi hardware si dedicano invece al controllo di paramentri “universali” per il telefono, come il volume, il tasto home e la navigazione base in generale, non sono relativi alle applicazioni. Questa soluzione è da analizzare in modo trasversale dato che questi tasti sono coloro i quali, in caso di blocco o emergenza, hanno la prerogativa. Nei sistemi touch, nel momento in cui è il sistema ad avere problemi, rischiamo di essere tagliati fuori dal dialogo in quanto non può più avvenire alcun feedback. I tasti rimasti nell’hardware hanno il potere di ricoprire un ruolo di sicurezza in questi casi, presenti per dare risposte all’utente. Per quanto riguarda le in-air una soluzione può essere essere la combinazione di gesture e della voce, o nel caso di Wii, di tasti e movimento. In questo modo non è necessario limitare i movimenti che l’utente può attuare, e al contempo, con la combinazione, si limita la possibilità di errore nell’interpretazione del sistema.
> 120
5.e > Interfaccia Aptica All’inizio di questo progetto, l’obiettivo era di mimare, ricreare e rielaborare i movimenti base che la bomboletta richiede, che coinvolgono tutto il corpo e si riferiscono a regole di coerenza e allo stile dell’artista. L’idea coinvolgeva quindi sensori di movimento in-air, ma come verrà argomentato nel capitolo seguente, la penna è per gli utenti l’oggetto migliore per strutturare e quindi controllare la precisione di un percorso. Se l’ottica è verso il superamento dei limiti, perché ricreare gli stessi movimenti che risentono di quei limiti? La ragione più sottile, insita nello stesso problema, è anche quindi al feedback che riceviamo nel momento in cui muoviamo le braccia nell’aria: esso può essere reso da output visivi, tattili e sonori, ma essendo il progetto del tutto legato alla creazione di un disegno, e alla maneggevolezza con cui si realizza, l’input tattile sembra l’unico davvero pertinente, l’attività è disegnare.
! «
Il disegno è in sostanza un lavoro privato,
che ha a che fare solo con i bisogni dell’artista;
la statua o la tela “finita” è in sostanza un’opera
pubblica, esibita, che ha a che fare in modo assai più
diretto con le esigenze della comunicazione. Ne consegue che dal suo punto di vista, lo spettatore opera un’au-
tentica distinzione. Davanti a un quadro o a una statua tende
a identificarsi con il soggetto, a interpretare
le immagini in quanto tali; davanti a un disegno si identifica con l’artista, usando le immagini per acquisire
l’esperienza consapevole di vedere attraverso gli occhi di chi le ha create.
John Berger, Sul Disegnare, Dal Vero
»
5.-
> 121
Il termine aptico indica un dispositivo con cui si interagisce attraverso il tatto, aspetto di per sé scontato in quasi qualsiasi hardware, ma una definizione meno scontata mette alla luce un altro aspetto, il sistema che restituisce feedback tattili. Sono convinto ci siano feedback adatti o meno adatti a svolgere una data funzione, non basta che ci siano. Feedback visivi per input tattili potrebbero non essere l’unica soluzione possibile, soprattutto se un drone nella realtà sta svolgendo un’attività gestita dai nostri input immediati. Si parta dal presupposto che se gli input possono, e conviene spesso che siano multimodali, anche i feedback dovrebbero corrispondere ad una “retroazione” uguale e contraria, quindi può essere opportuno che non siano solo visivi come nella maggior parte dei casi. Già a partire dal semplice utilizzo del drone attraverso la sua applicazione standard, è evidente come sia fondamentale non guardare lo schermo dello smartphone se si vuole avere una sicurezza nella precisione del percorso del drone. Esso possiede due coppie di luci, una verde e una rossa, per distinguere con facilità il davanti dal dietro, anche a grande distanza; la luce verde dà un altro tipo di informazione, infatti nel caso di malfunzionamenti di ogni tipo, diventano anch’esse rosse. è un sistema immediato di risposta, in cui il verde è confermativo, “rassicura” l’utente dicendogli che è tutto al proprio posto. Superate le luci dell’orientamento del drone, i feedback che abbiamo sono: »» spostamento: se il drone risponde ai comandi lo si evince nell’immediato, e qui la natura artificiosa del feedback viene eliminata (il paradosso secondo cui per percepire come naturale un’azione bisogni usare dei feedback del tutto artificiali), lasciando spazio ad una veste “analogica” dell’interazione. Ciò che può essere poco evidente, a grande distanza, è la vicinanza del drone rispetto alla superficie da dipingere, e quindi la qualità del tratto che ne può risultare, aspetto basilare in questa ricerca. Da qui consegue il prossimo punto;
> 122
»»
»»
tatto: la variabile in questione è l’asse z del drone, lo spostamento è avanti e indietro sul piano orizzontale al suolo. La variabile che tecnicamente dovrebbe scandirne i parametri è la pressione della penna sulla tavoletta, ed essendo questa a livelli, un feedback dovrebbe essere presente: »» hover, il cui inizio viene segnalato da un led sulla sinistra della tavoletta, che da blu diventa bianco dal momento in cui la penna arriva a circa un centimentro dal piano; »» livelli di pressione, che in questo caso è una variabile del tutto arbitraria in termini di retroazioni, dato che, a parte il led, non esistono sistemi di feedback sull’hardware della tavoletta. è tuttavia necessario rendere nota l’intensità del tratto in esecuzione, così da poterne, con l’esperienza, controllare precisamente la modulazione e la sensibiltà. suono: le eliche producono un rumore piuttosto intenso, e i nostri sensi ci permettono di localizzare oggetti basandoci anche sul suono. Inoltre nel momento in cui questo diventa irregolare a causa di urti in corso o malfunzionamenti, la differenza è nettamente percepibile.
6.-
Hardware An information appliance (IA) is any device that can process information, signals, graphics, animation,
video and audio; and can exchange such information with another IA device. Itâ&#x20AC;&#x2122;s designed to perform a specific user-friendly function, as opposed to a personal computer that is intended as a general purpose computer.
S
6.a > Multiuser
e la direzione del progetto segue i presupposti riguardo le information appliances, ogni dispositivo avrà forma in dipendenza dal compito specifico che deve assolvere, non è possibile prevedere strutture comuni. Solo di tre aspetti più generali bisogna tenere costantemente conto, in comune tra tutti i dispositivi: »» semplicità: la complessità deve essere nell’attività, non nell’utenza: il computer deve essere invisibile; »» versatilità: è la possibilità di connettere “oggetti” in modo libero, universale. Le operazioni specializzate, senza eliminare questa forza, devono essere studiate in modo da potersi avvalere di linguaggi comuni;
> 128
piacere: queste applicazioni dovranno essere divertenti, il loro uso non deve pesare. Usare buoni strumenti in genere incoraggia il loro uso appunto, se sono fatti con cura, vengono usati con orgoglio e rispetto. Il discorso è sempre quello del martello, è perfetto per il suo uso, e se usato bene, non può che dare soddisfazioni sia nella mente che nel corpo. Nel seguire queste basi, è importante tenere conto di altri aspetti dell’hardware com le misure, l’orientamento (durante l’utilizzo e non), la risoluzione. Sono forse gli aspetti più determinanti, da cui strettamente dipende il rapporto tra macchina e utente, anche prima di tutto ciò che riguardi sensori e input/output. »»
Il multitouch su smartphone ad esempio avviene nella maggior parte dei casi con il dispositivo in una mano, la disposizione dei comandi ovviamente prevede dove le dita possono arrivare, il loro grado di precisione, l’area che coprono, il loro raggio d’azione. Questo è piuttosto evidente su nuovi modelli più ingombranti dalle eccessive misure, dove è possibile traslare in basso lo schermo attraverso il software, nel momento in cui non si riesce a raggiungere la sommità di esso. Ovviamente si tratta di una soluzione semplice ad un problema invece piuttosto complesso, e costituisce un esempio piuttosto banale, ma importante, su come avvicinare la macchina all’uomo permetta di utilizzare prodotti di dimensioni maggiori con relativa dimestichezza, allargare quindi i limiti che circoscrivono gli oggetti. è in questo modo che ad esempio il concetto di telefono cellulare è sostanzialmente scomparso, lasciando spazio ad una versione ibrida di smartphone che spesso permesso la sostituzione del laptop. è emersa infatti la comodità di smartphone e tablet nella gestione delle comunicazioni, ma risulta piuttosto complesso se l’attività richiede tempo e concentrazione, gestire software più complessi rimane un compito da laptop.
6.-
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20. Raffaello D’Andrea Ingegnere svizzero che nella ricerca e nello sviluppo di multirotori sperimentali. Nelle scene mostra come possa simulare, attraverso i droni, di fare il giocololiere su marte, con una differente forza di grafità, e quindi farci evincere come le leggi della fisica siano percettivamente oltrepassabili da questi ggetti
6. a. 1
chassis gestures: categoria introdotta da Wigdor e Wixon, sono le gesture che sfruttano i sensori magnetici e di posizione del dispositivo, quindi il suo orientamento, spostamento ecc.
Così per ogni dispositivo, ogni utente ha i propri metodi di interazione derivanti dal proprio scopo, per questo anche misura e forma sono strettamente collegati e devono essere adatti allo scopo. Può essere di fondamentale importanza una conoscenza precisa del funzionamento dei muscoli, delle consuetudini nell’interazione, gestualità nella nicchia di riferimento. Se il dispositivo si trova in verticale ad esempio, le nostre dita al momento del tocco copriranno un’area di un certo tipo, che in genere rimane piuttosto costante, non si verificano i cambiamenti di contatto che invece avvengono con dispositivi in orizzontale: in questi infatti il dito può toccare il dispositivo con la punta, il fianco, oppure piegarsi leggermente e toccare con tutta la falangetta. Inoltre è ovvio che l’interazione cambi anche a seconda della grandezza dello schermo, che può essere più o meno adatta a certi usi. Basti banalmente pensare ad uno schermo in verticale largo almeno 1,5 m: è necessario l’uso delle gambe, per camminare da una parte all’altra. Per schermi orizzontali i problemi derivano dai possibili falsi segnali, positivi o negativi: l’area di tocco, nel caso del touch, varia a seconda di postura, grandezza, forma della mano. Un’altra evidente differenza riscontrabile è tra display fissi e mobili, dove all’interno dei software, nei secondi non esistono finestre in genere, ma app a tutto schermo e attive o no in background, oltre che possedere accelerometri, barometri, magneti, giroscopi ecc. grazie a questi strumenti infatti, interazioni basati sull’orientamento e il movimento sono sempre più comuni. Basta pensare all’ormai onnipresente rotate o a shake to undo e a come questi gesti, chiamati chassis gestures portino l’interazione ad un livello più a contatto con la realtà, dato l’effetto dei suddetti strumenti, è possibile far sentire la reale forza di gravità anche ad oggetti virtuali, e questo porta i nostri sensi ad aspettarci meglio cosa possa succedere durante un’ipotetica interazione.
> 132
clicking: selezione attraverso un dispositivo
6. b. 2
6. b. 1
pointing: un dispositivo che permette il pinting permette l’immissione delle coordinate posizione in un computer
6.b > Disegnare Il sistema di input principale, con i relativi hardware che interessano questa ricerca è: »» tablet/tavoletta: device supplementare rilevato dal sistema e che in genere possiede una propria specificità, dipendente dal modello; riconosce a sua volta due tipologie di input: »» »» touch diretto: le dita possono essere usate come »» in modo supplementare, ricoprendo il ruolo di »» hover o di modificatore/acceleratore. »» »» penna: da differenziare dagli oggetti per le sue eccellenti doti di precisione e i suoi sistemi di input “scritti”. Il sistema penna+tavoletta deriva dal trackpad e in ogni caso forma ibrida derivante dal mouse, ed è opportuno trattare di quest’ultimo; esso è stato progettato per due scopi: pointing (6. b. 1) (portare il cursore da un punto a un altro) e clicking (6. b. 2) (schiacciare pulsanti) in tutti i sistemi il click viene registrato se il mouse si trova sopra un oggetto. Il mouse è infatti il mezzo per eccellenza per il pointing, ed è tuttavia quello meno indicato per seguire un percorso, infatti, ricordando le prime fanciullesche esperienze con l’intramontabile Paint, è semplice capire quanto possa essere arduo disegnare con esso, per quanto affascinante. Nella struttura dell’interfaccia grafica desktop non c’è una vera e propria situazione basilare nella quale la precisione del percorso è richiesta; tutte le azioni sono assimilabili in pointing e clicking, appunto. La penna è ottima nel seguire un percorso, e questo implica la mancata pertinenza nelle comuni interfacce grafiche. Per la creazione di sketch, disegni, attività di brainstorming la penna è tuttavia fondamentale. Basta immaginare come sarebbe l’interfaccia grafica se al posto del mouse si fosse evoluta sulla base della penna.
6.-
> 135
21. Crossy esempi sul funzionamento dell’interfaccia basata sulla penna
primitivi: movimenti base su cui si costruisce il sistema logico dell’interfaccia, che sia grafica o no
6. b. 4
6. b. 3
Georg Apitz: come Ken Hinckley ricercatore nei sistemi di input alternativi
Se il click fosse sostituito dal “crossing” ad esempio, l’interfaccia sarebbe basata sulla linea, sulla fluidità. Per un principiante esiste un piccolo ritardo di 200 ms tra quanto la penna inizia a scendere sul piano e quando tocca la superficie, cifra traducibile in esitazione e coordinazione ragionata del movimento. Georg Apitz (6. b. 3) alla Maryland University ha sviluppato e teorizzato una piccola applicazione per disegnare, basata sulla penna e non sul mouse. Ciò che è ripensato è il sistema con cui vengono descritte le modalità di selezione e consultazione dei menu, dove è il percorso a decidere la selezione, e non il point e il click. Sono stati creati dei marching menu, dove è importante specificare che per un computer non c’è differenza tra principiante e esperto, la differenza sta solo nella velocità, in ogni caso nell’utente, non nel sistema. Le implementazioni multitouch per la penna avvengono all’inizio della fase di continuazione della gesture, dove appare un menu che guida l’utente. A volte però la postura dell’utente, il modo in cui tiene la penna e altre variabili “minori” possono comunque comunicare qualcosa al sistema, questo implica che anche lo stato di registrazione ha bisogno di essere spiegato, e per farlo bisogna utilizzare l’hover. Si potrebbe credere che moltissime azioni naturali possano diventare primitivi, dato che quando indichiamo un oggetto spesso diciamo anche il suo nome oppure usiamo aggettivi dimostrativi. In realtà le gestures davvero naturali e non artificiose sono poche. Per l’apprendimento veloce in fretta è utile avere pochi primitivi (6. b. 4), la migliore lezione è quella di mouse e tastiera, dove il mouse ha point, click, doppio click, scroll e tasto destro, la tastiera ha invece tutti i suoi tasti e le combinazioni speciali tra tasti e tra tasti e mouse. Le combinazioni speciali sono per utenti esperti. Pochi primitivi prevedono un apprendimento veloce, molti primitivi implicano tempo d’apprendimento maggiore ma ovviamente una padronanza più elevata.
> 136
6. c. 1
affordance: relazione tra utilizzatore e oggetto, dove è possibile la deduzione di funzionalità o di meccanismi di funzionamento
6.c > Affordance Proprio nell’ambito di un apprendimento rapido e concreto, in concetto di affordance (6. c. 1) ci viene in aiuto; ricreare tridimensionalità in un tasto virtuale con l’intento di renderlo riconoscibile non è affordance, è un’ombra sotto un tasto. Non si tratta di una proprietà relativa all’oggetto, ma di una relazione che si instaura tra utente e oggetto: una roccia può essere spostata, mossa, calciata, fatta rotolare, tenuta in mano in certo modo piuttosto che in un altro; noi capiamo immediatamente quale forma si può adattare al bisogno. Nell’interfaccia grafica si sono instaurate diverse pietre miliari che con il tempo hanno iniziato a parlare da sé: si tratta di scrollbar a destra, ombre sui bottoni virtuali, link evidenziati e sottolineati. Lentamente il postulato dell’evidenziazione di oggetti interattivi ha assunto il concetto di affordance.
! «
I have described the environment as the surfaces
that separate substances from the medium in which
the animals live. But I have also described what the
environment affords animals, mentioning the terrain,
shelters, water, fire, objects, tools, other animals, and human displays. How do we go from surfaces to
affordances? And if there is information in light for the perception of surfaces, is there information for the perception of what they afford?
Perhaps the composition and layout of surfaces constitute what they afford. If so, to perceive them is to
perceive what they afford. This is a radical hypothesis, for it implies that the “values” and “meanings”
of things in the environment can be directly perceived.
Moreover, it would explain the sense in which values and meanings are external to the perceiver.
6.-
> 137
The affordances of the environment are what it offers
the animal, what it provides or furnishes, either
for good or ill. The verb to afford is found in the dictionary, but the noun affordance is not.
I have made it up. I mean by it something that refers
to both the environment and the animal in a way that no existing term does. It implies the complementarity of the animal and the environment. The antecedents
of the term and the history of the concept will be treated later;
»
James J. Gibson, The Ecological Approach to Visual Perception, capitolo 8
Come abbiamo già visto, lasciare i dogmi dell’interfaccia grafica è uno degli obiettivi di questa ricerca; a seconda del medium ovviamente il nostro processo creativo e quello di utilizzo cambiano. In genere nei programmi televisivi vige la sintesi e a volte la generalizzazione, a differenza della lettura o della scrittura di un libro, dove ci si può prendere molto spazio temporale per raffinare ed elaborare le informazioni. Telefoni e computer non implicano questo tipo di riflessione, si utilizzano in modo repentino. Ci sono quindi certi tipi di linguaggio che si adattano o meno a certi tipi di media. Non ci sono accezioni positive o negative della cosa, ma si tratta di quello che è adatto fare, e come il sarcasmo è adatto a un linguaggio veloce, la riflessione è adatta a qualcosa di più duraturo, così l’elasticità tra i due estremi è l’obiettivo nell’interazione con un oggetto specializzato. In questo modo la specializzazione diventa elastica e non costituisce più un limite ma una forza, dove l’esistenza di dispositivi specifici permette di riporli quando si smette di svolgere l’attività.
strumento pericolo lancio ostacolo ... .. .
nascondiglio ostacolo
nascondiglio ostacolo
> 140
portanza: è la componente della forza aerodinamica globale calcolata in direzione perpendicolare alla direzione del vento relativo.
6. d. 2
6. d. 1
frequenze: in genere infrarossi, wifi, GPS
6.d > Conceptual model Quando non si parla più di ambiente naturale, ma quindi artificiale, l’affordance emerge nel momento in cui emerge il modello concettuale, il problema con la tecnologia si pone nel momento in cui non percepaimo il controllo su di essa, e quindi le azioni sembrano arbitrarie, non si percepisce una logica. Se le leggi dell’affordance risiedono così nell’ambiente che circonda l’oggetto e dipendono dall’utente in questione, allora all’interno di questa ricerca l’output di disegno deve possedere l’agilità di muoversi libermente nello spazio, disegnare in tre dimensioni. La ricerca di luoghi irraggiungibili come meta e tela su cui stendere l’opera, allora l’oggetto che più si avvicina a questi requisiti è il quadricottero. Abbiamo visto come la penna sia lo strumento adatto a rendere digitali i movimenti del disegno, grazie alla sua progettazione basata sulla resa di un percorso. Il drone è un mezzo non vincolato al movimento in due dimensioni, a differenza dei progetti analizzati in precedenza, in genere la sua struttura meccanica comprende quattro rotori collegati alle quattro estremità di due bracci ortogonali, al centro dei quali vi sono la batteria e l’hardware che riceve ed elabora le frequenze in uso. Il controllo di assetto, velocità e quota avviene tramite la variazione di portanza delle eliche: »» throttle: tutti i rotori accelerano/decelerano in contemporanea, così da ottenere salita e discesa nell’asse verticale; »» pitch: si inclina in avanti o indietro, abbassando la velocità dei rotori anteriori/posteriori è possibile avanzare o indietreggiare, muoversi quindi sull’asse trasversale; »» roll: il movimento longitudinale del drone, che gli permette di spostarsi verso le proprie destra e sinistra senza una rotazione sul proprio asse verticale; »» yaw: è la rotazione attorno all’asse verticale, dove i rotori diagonali accelerano/decelerano contemporaneamente.
throttle
pitch
Roll
Yaw
Terminale Node.js
6.-
> 143
6. e. 1
brushed engine: motore a spazzola, comune nella categoria dei droni ludici di piccola taglia, basato su una bobina chiamata armatura che agisce come un elettromagnete a due poli
6.e > Metafore Nell’interfaccia grafica il dilemma della trasposizione da complessità a semplicità è stato risolto attraverso l’uso di metafore visive che descrivessero funzioni altrimenti incomprensibili ai non addetti ai lavori. Così è nato il sistema scrivania, l’uso di cartelle, file, finestre, menu. Creare un’interfaccia naturale per la guida del drone richiede un progetto legato alla realtà e non alla sua resa virtuale, di cui quindi non dobbiamo seguire l’esempio in termini di metafore: compiti semplici richiedono sforzi semplici, e una metafora digitale sarebbe sfacciatamente superflua nel controllo di un disegno. Il pennello e la tela vanno visti contemporaneamente perché il controllo reale avvenga, così la dichiarazione d’intenti di eliminare l’interfaccia grafica da questo progetto e di lavorare unicamente sul controllo del tratto e la sua resa. Così l’elaborazione di un prototipo prevede l’utilizzo di una tavoletta grafica e quindi la relativa penna, un computer che possa ricevere i dati in input, processarli e tradurli in movimenti del drone. Questo è possibile attraverso sistemi compatibili: »» Parrot AR Drone 2.0: quadricottero di piccola taglia introdotto nel 2012 che passiede un Brushed Engine (6. e. 1); la sua comodità risiede nel sistema di comunicazione, dato che si avvale di segnali wi-fi per il pilotaggio. Il drone viene venduto senza un controller, poiché viene comandato attraverso smatphone e la relativa app “Freeflight”. Il ricevitore wi-fi permette che altri dispositivi lo possano guidare, attraverso sistemi secondari. »» Terminale/Node.js: il terminale dei macbook permette, attraverso l’installazione di diverse implementazioni, la comunicazione con il drone; uno di questi è la piattaforma runtime Javascript Node.js, costruita sul motore Javascript V8 e che si avvale dell’ambiente NPM per l’installazione di librerie open source.
> 144
é importante specificare che la scelta migliore porrebbe, in ogni caso, la costruzione di un drone personale all’inizio del progetto, in modo da non dover adattare sistemi e modificare oggetti già esistenti, quindi basare per davvero la progettazione sul modello concettuale elaborato. In questa sede sono stati scelti questi strumenti per via della loro adattabilità al ruolo proposto, per i loro costi relativi alla qualità. L’elaborazione di un prototipo è servita alla conoscenza relativa alla precisione dei mezzi presi in esame, quindi alla loro pertinenza in questa sede. Un valido aiuto telematico è stato fornito dalla squadra Nodecopter, che organizza eventi legati all’hacking di droni, in modo da esplorarne le possibilità. Consultando il loro sito è stato così possibile comprendere quale fosse il giusto modello da testare e quale fosse il miglior metodo di comunicazione, oltre che evincere e provare diversi codici precostruiti che adattano i droni ad essere utilizzati secondo modalità differenti, con console differenti e con diversi controller. L’esistenza di questo gruppo che si muove nell’open source ha fatto sì che questo progetto potesse avere un riscontro pratico davvero concreto, che mi ha introdotto nei meccanismi di funzionamento dei droni e del relativo hacking, in un mare di droni presi in considerazione unicamente per fare riprese e paesaggi.
7.-
Input/Output So Midas, king of Lydia, swelled at first with pride
when he found he could transform everything he touched to gold; but when he beheld his food grow rigid and his drink harden into golden ice then he understood
that this gift was a bane and in his loathing for gold, cursed his prayer.
7.a > State transition model of input
S
pesso, a seconda dell’applicazione, è possibile trovare prima e seconda fase unite, dove quindi non è possibile specificare parametri: un buon sistema di gesture completamente uniche è fondamentale perché l’utente non rischi l’ambiguità. Questo è ad esempio lo stadio iniziale di un input multimodale, tipologia che verrà approfondita in seguito. Una gesture è normalmente composta da 3 stadi: »» registrazione: il tipo di azione è deciso; »» continuazione: si specificano i parametri dell’azione;
> 150
tracking: resa grafica e numerica del pointing, che restituisce quindi una coppia di coordinate e la relativa rappresentazione.
7. a . 3
scroll: spostamento della schermata
7. a . 2
7. a . 1
idle: stato di quiete del dispositivo, con cui l’utente quindi non compie azioni
I dispositivi con cui ci relazioniamo sono molto diversi tra loro in materiali, forme, gradi di libertà dell’utente. Se li suddividiamo secondo lo state transition model of input dei vari modelli, è possibile individuare poche categorie e rendere quindi più evidenti aspetti comuni, per scoprire che strumenti apperentemente diversi in in realtà possiedono comuni aspetti dell’interazione. Uno smartphone non sa dove si trova l’utente nel momento in cui le dita non toccano lo schermo. Con un mouse, grazie al cursore invece è possibile lo stato idle (7. a. 1), in cui è in atto una costante comunicazione passiva tra l’hardware e il software. Un’altra situazione si riscontra quando il tocco avviene ma non comporta cambiamenti di stato, eventi eterogenei che vanno dallo scroll (7. a. 2) al puro tracking (7. a. 3), movimenti base dell’interfaccia grafica più comune. Questo sistema è utile per capire meglio la specificità dei vari mezzi di input e le reali proprietà delle varie interfacce, oltre che le sottili ma basilari differenze tra sistema gesture/touch e mouse. »»
»»
tracking: proprietà del mouse, esso è in mano all’utente, riconosce il movimento e lo riferisce all’avatar virtuale, espediente metaforico utile a fornire un’anteprima dell’azione che si sta per compiere, permettendo la creazione di feedback visivi precedenti e successivi all’azione. engaging: il tasto sinistro del mouse è abbassato, l’evento con cui si seleziona un oggetto. Appena il tasto viene rilasciato, si ritorna sul tracking.
Questi sono i due stati principali dei sensori di input più comuni, relativi ai più comuni software. Grazie a tracking e selezione, e i conseguenti comandi connessi, è possibile l’interazione base con oggetti virtuali, senza la necessità di ulteriori specifiche. Tutto ciò che ne deriva è la costruzione dipendente da come il software e l’applicazione in uso è costruita.
IDLE
IDLE
muovo la penna in aria
Active
muovo la penna in hover
avvicino la penna al tablet
IDLE
tocco il tablet con la penna
tracking
lascio lâ&#x20AC;&#x2122;area di hover
trascino
engaged
lascio il tablet con la penna
7.-
> 153
7. b . 1
HALO: Uno dei più celebri videogiochi per Xbox, pubblicato nel 2001 e ambientato in utmosfera fantascientifica, dove una specie aliena invade la Terra
7.b > Direct, Hybrid Touch Il touch diretto si definisce come privo di tracking: un mouse necessita di un avatar virtuale, con questo sistema il problema non si pone, il dispositivo degli input tattili coincide con quello di output visuali, ogni tocco conta. Da questa categoria vengono esclusi i trackpad, i quali rientrano in una classe ibrida che emula il mouse, in una sorta di ricostruzione hardware e software della sensazione del mouse. Nella tipologia Hybrid rientra anche la tavoletta grafica, dispositivo di input principale all’interno di questa ricerca, adatto al disegno e al controllo del percorso. Il caso del videogioco HALO (7. b. 1), sparatutto in prima persona, è un buon esempio di come i diversi dispositivi di input condizionano in modo significativo l’interazione. Il problema è emerso durante la trasposizione del gioco, progettato per Macintosh, nel mondo della Microsoft Xbox. Il mouse, come argomenterò in seguito, è un ottimo strumento per “puntare” con precisione (control position x/y), progettato sulla base di questo scopo; i comuni controller per videogiochi possiedono invece potenzialità del tutto differenti (rate control ossia orientamento e velocità). Analogamente, con dispositivi di touch diretto si crea un problema di trasposizione: il mouse infatti seleziona un pixel che ovviamente prescinde da quanto grande sia il dito dell’utente. Il sistema touch da luogo a questa situazione, più è grande il dito, più è grande l’area selezionata. Altra difficoltà consequenziale è che grandi dita possono potenzialmente coprire la porzione di schermo che si va a selezionare, dando luogo a possibili segnali input falsi positivi o falsi negativi. Nei termini di una ricerca per la creazione di un prodotto industriale, l’approccio corretto potrebbe essere l’organizzazione di una metafase di test su un numero sufficiente di campioni.
> 154
WIMP: Windows Icon Menu and Pointing device
7. b . 3
7. b . 2
stati: modalità in cui l’utente si trova durante l’interazione, ad esempio selezione o quiete
La selezione comporta un campio di stato, in cui dalle nostre azioni non dipende più solo la posizione del cursore, ma avviene anche una manipolazione. In questo frangente, le modalità di selezione sono A, B, C, D. Per ottenere uno stato engage in genere si adotta la combinazione B+C, dove B serve da anteprima di selezione, e quindi C, il rilascio, dà la conferma. In questo modo l’utente viene agevolato nel risolvere il problema dei fat finger, avendo una ridotta ricostruzione del tracking del mouse, che dà l’opportunità di correzione a segnale input già iniziato. Un altro sistema comune per l’eliminazione di questo problema è di mantenere il feedback di conferma per un istante dopo che il dito lascia lo schermo, così da mostrare meglio l’avvenuta azione. Per quanto sia effettivamente una scelta presa, e quindi non più annullabile nel corso dell’azione, è interessante valutare il modo in cui interagiamo con questi oggetti, dato che contrariamente alla normale percezione dell’interfaccia, è C il reale metodo di selezione, il rilascio è la conferma di un’interazione ultimata, e quindi si tratta dell’evento definitivo. La combinazione di diverse gesture permette la navigazione dell’utente attraverso stati (7. b. 2) del dispositivo, in cui esso, come diverse modalità nell’interfaccia grafica WIMP (7. b. 3). Attraverso il numero e il movimento delle dita si afferma in che stato si vuole andare e cosa comunicare al dispositivo. Sulla tavoletta grafica, le dita che toccano la superficie corrispondono ad un hover, e il click è dato dal tap, l’hover con la penna invece si ottiene avvicinandola senza toccare la superficie, e lo stato engaged avviene toccandola. I dispositivi sono accomunati dalla difficoltà nel riconoscimento di input analogici imprecisi, e le difficoltà di progettazione si verificano banalmente a partire da input direzionali: quando l’utente muove un dito, il mouse, la penna, il percorso difficilmente segue direzioni precise.
A
B
C
D
7.-
> 157
»» termine: la funzione viene eseguita. Il gioco è in tutti i casi evitare l’ambiguità, e fare in modo che l’hardware rilevi il prima possibile l’intenzione. Ovviamente, come già premesso, se l’interfaccia deve “capire” l’uomo avvicindandosi, l’aspetto degli input è quello più direttamente connesso a quest’ultimo, e quindi il primo in cui l’utente deve trovare naturalezza. Il numero di contatti simultanei possibili con la sorgente di input è fondamentale. Con le dita si attivano diverse modalità di input,e di conseguenza si può creare un alfabeto gestuale, un linguaggio sempre più espressivo con cui comunicare con la macchina: »» single user manipulation: semplice, un punto di contatto, più un altro, talvolta, per lo zoom; »» single user gestural: molteplici possibili punti di contatto sui quali si può creare un alfabeto di gesti. Il disegno è espressione personale, e l’uso di modificatori può rivelarsi utile nelle modalità in cui il drone dev’essere controllato; »» multi user gestural: molteplici possibili punti di contatto che predispongono l’hardware all’uso di più utenti contemporaneamente. In termini di modes, la classica interfaccia grafica WIMP offre due tipi di combinazione, dando luogo a una sorta di multimodalità, aspetto delicato che vedremo in seguito: »» modificatori: un tasto in combinazione con un’altra azione, e questo innesca qualcosa di leggermente diverso ( tipo alt+trascino=copia); »» acceleratori: si tratta delle shortcut (cmd+c, cmd+v...) che danno un’alternativa più breve a un percorso nel software, nella ricerca di un comando. Il celeberrimo software Photoshop è un ottimo esempio di come l’uso di acceleratori sia fondamentale in termini produttivi ed espressivi, in una complessiva velocizzazione del lavoro unita ad un’interzione più intima con il mezzo.
7.-
> 159
FFD: FreeForm Deformation
7. c . 2
7. c . 1
Takeo Igarashi: professore al Department of Computer Science di Tokyo
7.c > Thoughtful Examples Takeo Igarashi (7. c. 1) e il suo studio nel 2009 hanno creato un piccolo
software di animazione in cui un personaggio, disegnato o fotografato, può essere deformato secondo diverse modalità di interazione. L’applicazione è chiamata Rigid, per esteso As-rigid-as-possibile. è un sistema che permette all’utente di muovere e manipolare una forma bidimensionale senza stabilire manualmente uno scheletro o uno schema di deformazione (FFD (7. c. 2)) in anticipo. La forma è rappresentata da una maglia triangolare e l’utente muove diversi vertici della maglia attraverso maniglie vincolate. Il sistema quindi calcola le posizioni dei vertici che rimangono libere, minimizzando la distorsione di ogni triangolo. L’aspetto interessante dell’applicazione è che permette l’animazione in tempo reale attraverso dei gesti, agendo quindi sulla fotografia. L’obiettivo primario del gruppo non fu direttamente l’animazione, ma in primo luogo l’arricchimento dell’interfaccia grafica, implementando in seguito il sistema con le gesture. La versione touch del software non necessita di hover e pressione, ma tiene semplicemente conto dello stato engaged, quello che riguarda la selezione e il trascinamento. Il passo successivo si deduce possa essere l’azione su oggetti digitali tridimensionali, che aumenterebbe quindi il percepito della realtà dell’utenza, senza bisogno di reali spiegazioni per l’apprendimento. Sebbene questo progetto possa risultare oggi obsoleto, nel suo momento di uscita gli strumenti comuni non consentivano un grado così ampio di lebertà, il multitouch era ancora tecnologia per pochi dispositivi e per usi limitati.
> 160 21. DiamondTouch screenshot circa le dimensioni e gli utenti che la macchina vede e supporta.
7. c . 3
Circletwelve: compagnia che sviluppa hardware e software per supportare la collaborazione in piccoli gruppi
Se l’applicazione di Takeo Igarashi lascia spazio ad una visione plastica e fluida dell’interfaccia grafica, una visione significativamente più articolata è il progetto DiamondTouch di Circletwelve (7. c. 3), che sorprende sotto molti altri aspetti. Si tratta della prima tecnologia touch multiutente, e come ognuno dei progetti citati nel volume, è incredibilmente semplice: azione simultanea di più utenti, che rende il computer più simile ad un pezzo di carta. Le potenzialità del sistema tuttavia si estendono dando luogo all’interazione simultanea da luoghi differenti, ed è proprio qui che emerge la natura vera e propria del computer, che come abbiamo visto, rimane lo strumento di comunicazione per eccellenza. Immaginiamo allora DiamondTouch come un vero e proprio foglio intercontinentale, che permette infinite applicazioni in campi eterogenei, abbattendo barriere e limiti spazio temporali. Ogni azione è contrassegnata dall’utente, e risulta evidente come nel campo della progettazione, dell’ingegneria o di qualsiasi altro con presupposti che prevedono l’utilizzo di team di lavoro, questo progetto possa essere incredibilmente utile. La sua struttura permette diversi strumenti di input, lo scontato uso di più dita per richiamare menu, ma nessuno stato di hover per lo stesso motivo del precedente progetto.
> 162
7.d > Natural User Drawing Nei sistemi multitouch è il numero delle dita a fare la differenza tra modes. Avendo le interfacce delle potenzialità espressive altissime, l’interazione deve essere espressiva e completa il più possibile. Sfruttare bene il dispositivo è fondamentale, dato che le tecnologie di input si stanno evolvendo verso l’espressività, così come i device, che si evolvono nei rispettivi campi d’azione. Input come hover, pressione, tono della voce sono segnali che vengono percepiti naturali, sia per la loro rarità percepita, sia perché si discostano in modo significativo dal mouse, e quindi dall’interfaccia grafica comune. Gli input che troviamo utili a completare questo progetto sono: »» dati di contatto: l’orientamento ad esempio, da sfruttare unito ad altre key per sbloccare nuove funzionalità, come l’uso delle dita in combinaizone con la penna per utilizzare funzioni diverse dal normale movimento con il mouse; »» hover: generalmente usata come “anteprima”, restituisce il movimento ma non la selezione. Questa tipologia di input è comune nei sistemi WIMP, ma si trova ad essere completamente fuoriluogo nei sistemi touch in cui sorgente di input e di output visivo coincidono, come ad esempio gli schermi touch. In questa tesi si rivela invece fondamentale, ideale per il volo sugli assi x e y del drone; esso si divide generalmente in due tipologie: »» discrete hover: l’oggetto di input è in contatto il rilevatore di segnale, e lo stato è semplicemente binario, corrispondente quindi alla tipologia presente in trackpad e mouse. »» continuous hover: tiene traccia di un valore z, frutto della misura della distanza tra oggetto/dito e rilevatore; quest’aspetto, nel caso del drone non dona particolari possibilità: l’hover deve servire a spostare il quadricottero sui due assi senza che questo lasci un segno, che viene modulato attraverso altri parametri.
7.-
10 mm
> 163
> 164
7. d . 1
Ramos et al.: http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/ download?doi=10.1.1.160.3731&rep=rep1&type=pdf
»»
Pressione: aspetto basilare e strettamente legato al disegno, la modulazione della forza con cui si imprime il segno sul foglio, da cui possono scaturire variabili come l’intensità del tono e lo spessore del tratto. La corrispettiva forza con cui l’utente tocca un sensore è necessaria nella libertà dell’interazione. Anche la pressione si divide in due tipi, ossia assoluta, quando c’è una scala di “potenza”, e quindi due tocchi della stessa intensità danno luogo allo stesso risultato, altrimenti relativa dove a seconda del contatto cambia la scala di riferimento. La scala assoluta ovviamente è la più semplice da padroneggiare, proprio perché più lineare. Altro interessante aspetto della pressione è la modulazione secondo criteri simili a quelli dell’hover: »» continuous: dove l’asse z è sempre rilevato, e l’utente può aggiustare la propria gesture in corso; »» discrete: rende la pressione attraverso livelli di forza: »» one bit, dove i livelli di pressione sono due: bassa e alta, e quindi in sostanza si avvicina al mouse, dove la bassa è il pointing e l’alta è il click; »» three bit, ossia sette livelli di pressione (decisione scaturita dal fatto che alcuni studi (7. d. 1) dimostrano che l’uso di più di 7 livelli è piuttosto controinuitivo e difficile da gestire). Se la nostra pressione in input è misurata secondo livelli di forza impressa dalla penna sul piano, allora questo valore deve essere poi tradotto con la distanza del drone dalla superficie da disegnare; come abbiamo visto, a seconda del cap in utilizzo, il tratto cambia in modo radicale. La regola generale, strettamente dipendente dalla struttura dei cap, prevede tuttavia che la lontanza della bomboletta dalla superficie provoca in ogni caso l’ingrandimento del tratto.
input - pressione
output - distanza
100 cm
90 cm
80 cm
70 cm
60 cm
50 cm
40 cm
30 cm
20 cm
10 cm
> 166
»»
jitter: irregolarità nel tratto che possiamo implementare nel disegno digitale, si parla di differenze di spessori o macchie d’inchiostro ad esempio
7. d . 3
7. d . 2
spaziatura: irregolarità nel tratto che possiamo implementare nel disegno digitale, si parla di differenze di spessori o macchie d’inchiostro ad esempio
tilt: si tratta della variabile che restituisce l’inclinazione, altro aspetto basilare nel disegno personale, che dipende dalla postura, dall’impostazione manuale, dalle dita effettivamente coinvolte e dal loro impiego. Quando si utilizza una penna Wacom con il relativo tablet, è possibile tradurre nel software il cambio di inclinazione della penna in diverse rese: »» cambio di larghezza: quanto maggiore è l’inclinazione, più ampiezza copre la linea; »» opacità: maggiore è l’inclinazione, più è opaca la linea tracciata; »» spaziatura (7. d. 2): maggiore è l’inclinazione, maggiore è la spaziatura tra i tocchi; »» angolo del tratto: maggiore è l’inclinazione, maggiore è il valore dell’angolo del tratto; »» jitter (7. d. 3): maggiore è l’inclinazione, maggiori sono di oscillazioni sulla linea. L’inclinazione si misura attraverso l’angolo che la penna forma con l’asse x, che rappresenta l’inclinazione destra e sinistra, e l’asse y, che rappresenta inclinazione superiore e inferiore, entrambi relativi al piano d’appoggio. In genere nei software la misurazione di questi valori è comunque opinabile, rendendo così possibile la considerazione di un solo asse ad esempio, oppure l’inclinazione fissa del tratto, così da scegliere una rotazione del drone sull’asse y e mantenerla senza il bisogno di ulteriori specifiche. Nella realtà concreta, l’ipotesi di applicare tutte queste varibili all’output è piuttosto lontana, dato che nel disegno che cerchiamo di creare, solo angolo del tratto e spaziatura possono dare luogo a una reale transazione input/output, le altre variabili sono più legate a fattori esterni come la scelta dello spray o la qualità e grandezza del cap.
z y
x
7.-
»»
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spray: l’ultima variabile in gioco, definibile solo in output, è la bomboletta in quanto singolo strumento, che produce, come abbiamo dedotto nel primo capitolo, effetti diversi a seconda della tipologia di spray e della tipologia di cap in utilizzo. In normali circostanze è ovviamente determinante la sensensibilità tecnica dell’artista, in questa sede è fondamentale ricrearla e implementarla attraverso le variabili analizzate in precedenza. Negli anni sono stati inventati molteplici spray adatti a svariati usi, partendo da bombolette a bassa pressione con cap dal tratto fine e dalla semplice modulazione per ottenere tratti fini e precisi, o pesantissimi spray dall’alta pressione per riempire vaste aree in poco tempo. Con l’uso corretto delle variabili viste in precedenza, ossia un corretta corrispondenza tra la pressione sul tablet e distanza del drone dalla superficie, e se quest’ultimo possiede livelli di precisione adatti a gestire questo compito, è possibile una modulazione. Come emerge analizzando la variabile pressione, il getto di vernice di una bomboletta è conico, e a seconda del cap e della pressione interna della bomboletta in utilizzo, esso può coprire aree di superficie più o meno significative. Dal rapporto tra tratto piu spesso e tratto piu sottile possibile con la stessa bomboletta dipende direttamente il risultato finale, la linea.
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7.e > Input Multimodale Le modalità sono l’unico vero aiuto che possiamo ottenere, infatti nel modo in cui l’unione di varie gesture può generare una maggior comprensione, riducendo di fatto il loro numero, fare in modo che lo stesso comando, lo stesso movimento dia luogo a più risultati lascia spazio a possibilità. Per multimodalità si intende combinazione, un largo intervallo di possibili fusioni tra input per permettere allo stesso hardware di compiere più azioni, con questo non si esclude quindi l’utilizzo della voce e del movimento del corpo, così come sensori termici o ottici. Nello specifico, il drone disegnatore può adattarsi allo stile del suo utente, ricordando l’ampiezza delle curve che abitualmente genera, quindi aumentare di fatto la precisione tecnica degli artefatti finali. Essendo questo strumento un riassunto di proprietà matematiche, si dovrebbe avvalere di esse fino in fondo. Il solo disegno libero potrebbe essere limitato, non sfruttando lo spazio di una vera evoluzione, sarebbe ripercorrere il disegno, e più in là, l’interfaccia atta al disegno; le modalità di interazione possono essere suddivise da un semplice tasto, e nel momento in cui questo viene attivato, ha luogo il passaggio. La differenza può stare tra la modalità disegno libero, in cui l’utente manovra manualmente la penna, e il drone riporta lo stesso movimento. La seconda modalità possibile sarà quindi il movimento assistitito, dove la natura digitale dell’oggetto entra in gioco permettendo la stesura di segmenti. Seguendo gli aspetti di complementarietà tra uomo e macchina, coerenza di segno tratte in precedenza nel volume, la naturale conclusione sarebbe di perfezionare il tratto umano, andare a lavorare su quei limiti legati alla precisione, e quindi correggerli. Segmenti paralleli, curve coerenti e controllabili. Sono parametri che vengono controllati tutti i giorni con estrema facilità dagli utenti nel disegno analogico e digitale, che nel reale potrebbero essere trasposti attraverso un sistema del tutto user centered.
7.-
Newton: la famiglia di computer palmari prodotta da Apple, precurosori ancestrali di iPhone
7. e . 3
US Robotics: società fondata nel 1976 a Schaumburg (Illinois), è uno dei maggiori produttori di apparecchiature per il networking
7. e . 2
7. e . 1
Jeff Hawkins: fondatore della Palm Computing e Handspring, ora orientato verso le neuroscienze
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Un’altra modalità sarebbe quella del percorso automatico, interessante nel momento in cui possono entrare in gioco altri fattori, oltre che quelli dell’input della mano libera. Nel 1997, Jeff Hawkins (7. e. 1) e il suo team, alla US Robotics (7. e. 2) hanno iniziato a lavorare ad un software per il riconoscimento e traduzione di scrittura manuale in scrittura digitale, Palm Pilot, dove il concetto basilare è piuttosto semplice: comporre testi manualmente in input che diventano testi battuti in output. Il progetto originale risale in realtà al 1989, quando Apple lavorò al fallimentare Newton (7. e. 3), mirato a riconoscere grafie personali. Hawkins riconobbe da subito i limiti della tecnologia a sua disposizione, creando così un linguaggio di input chiamato, guarda caso, Graffiti. Di fatto questo linguaggio riduce in modo significativo il numero di input riconoscibili dal sistema, ma al contempo quelli che lascia sono piuttosto simili alle reali lettere dell’alfabeto, e quindi piuttosto semplici da apprendere. Oggi questo sistema è piuttoso comune negli smartphone, marisulta assolutamente inefficace, credo per le dimensioni ridotte di questi, e per i relativi contesti di utilizzo: la velocità di battitura in un cellulare è fondamentale. In sede artistica, e soprattutto nel writing tuttavia l’importanza di una lettera è basilare, così digitare input calligrafici per poi farli tradurre in percorsi programmati corrispondenti alle relative lettere è un aspetto da tenere a mente.
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Altro aspetto da considerare, sebbene non trattato in termini concreti dal prototipo, è la modalità di guida del drone nel momento in cui non disegna, ma deve semplicemente raggiungere il punto dove la superficie da disegnare è situata. Nell’uso più comune dei quadricotteri, le riprese in sede professionale necessitano comandi relativi all’ottica e comandi relativi alla guida, quindi utilizzano strumenti di input diversi, poiché inutilizzabili se uniti o sintetizzati. Ovviamente si tratta di una soluzione ponderata, l’input multimodale e l’unione non sono pertinenti perché se la specificità lascia spazio all’espressività, allora questa va ovviamente va osservata per ogni compito, e se un compito è complicato, allora sarà complicata l’interfaccia adatta. Nel caso invece di un quadricottero disegnatore, pensare alla guida standard di un drone attraverso il medesimo hardware di input, la penna, e quindi portare il drone a destinazione attraverso gli stessi comandi è assolutamente incoerente. è fondamentale chiarire come la specificità dei mezzi in analisi prometta la comodità unicamente nel momento del disegno, senza tuttavia fare in modo di essere limitante, ovviamente lo strumento migliore per gestire il disegno non è lo strumento migliore per la guida: basti pensare alla differenza di scala che vi può essere tra coordinate x, y e la variabile pressione. Questo non porta limiti allo strumento, il quadricottero è stato scelto in quanto adatto a raggiungere locazioni improbabili per l’uomo, per questo motivo è da considerare al pari della sezione “disegno” anche una sezione “volo libero”.
< Conclusioni >
L’idea di un drone per dipingere le strade mi attrae, destando tuttavia sentimenti peculiari; partendo
dall’atmosfera utopica e fantascientifica che inizialmente lo circondava, e vedendo la sua evoluzione, mi sono
ripromesso di andare sempre più a fondo nella ricerca di una legittimità del mezzo, una sua ragion d’essere. Il disegno mi ha sempre accompagnato durante gli anni di studi, e se
prima era anche un obiettivo, oggi persiste come costante.
Una visione quasi oggettiva del proprio operato è pressoché impossibile da ottenere, ma una riflessione sull’uso della
tecnologia come strumento di disegno offre sicuramente nuove domande a cui cercare di rispondere. Purtroppo gli strumenti e la passione non sempre danno luogo a risultati completi
e utili, e in questo caso la divagazione e la speculazione teorica hanno pesato sulla concretezza di un progetto che
nasceva come semplice divertimento, ma che si è trasformato
in un’intricata impresa, facendomi perdere di vista il punto centrale, per infittire la trama con differenti aspetti
legati in modo più o meno marginale. è tuttavia emersa sin dai primi giorni di ricerca l’importanza del nostro segno in quanto espressione del tutto individuale; non esistono sistemi universali di comunicazione, non esiste un codice
formale da rispettare, non esisistono così dei reali limiti se non quelli spaziali, il nostro corpo è il nostro unico perimetro, e il nostro primo strumento.
Questa ricerca ha voluto così indagare come possa e si
possa plasmare per raggiungere nuovi obiettivi, chiedendosi se il raggiungimento di una vera complementarietà sia l’unica strada possibile. L’uso della tecnologia e la
trattazione di temi su un ritorno ai vecchi utensili e
alla loro indiscutibile efficacia non sono che uno sguardo
ingenuo e sopratutto ludico, che non ha voluto porsi limiti di alcun genere e che ha voluto ricercare la poesia e il fascino nei tasti e nei circuiti. Ho voluto così fornire
una visione trasversale di ciò che è il disegno rapportato all’elettronica, un’attività conoscitiva, di autoanalisi e discussione che in questa ricerca si avvale di strumenti
complessi per porsi ancora più domande, con l’augurio che
generino a loro volta nuovi limiti avulsi da ogni ambiguità teorica, concreti nell’applicazione. L’obiettivo rimane la propria personalità nell’ambiente, senza mezzi termini.
L’augurio quindi va a chi, guardandosi le mani, non vede che un prolungamento di sé stesso e delle proprie possibilità, teso verso l’esterno.
< bibliografia > Jonas Löwgren - Erik Stolterman, Thoughtful Interaction Design, A Design Perspective on Information Technology, The MIT Press 2004 Noe Alva, Action in Perception, The MIT Press, Cambridge, 2006 Donald A. Norman, The invisible Computer, The MIT Press, Cambridge, 1998 Daniel Wigdor - Dennis Wixon, Brave NUI World, Morgan Kaufmann, Burlington, 2011 Henry Dreyfuss, Designing For People, Allworth Pr, New York 2003 Golden Krishna, The Best Interface Is No Interface, New Riders Pub, 2015 Marshall Mcluhan, The Medium Is The Message, The MIT Press, Cambridge, 1994 Alessandro Ferri, Teoria del Writing, Professional Dreamers, Trento, 2016 John Maeda, Le Leggi della Semplicità, Mondadori, Milano, 2006 Mark Rothko, Scritti, Abscondita, Milano, 2002 Jon Kolko, Thoughts on Interaction Design, Brown Bear, Savannah, 2007 James Jerome Gibson. The ecological approach to visual perception. Houghton Mifflin, Boston, 1979 John Berger, Sul Disegnare, 24 Ore, Milano, 2008 Jef Raskin, The Humane Interface, ACM Press, Roma, 2000 Giuseppe Longo, Homo Technologicus, Meltemi, Roma, 2001
< filmografia > Getting Up, Atari and Ecko, 2002 Getting Up: The TEMPT ONE Story, Caskey Ebeling, 2012 Style Wars, Tony Silver, 1983 Nero Inferno, “Robin” e Falco Rasoli, 1999 Un Gioco da Ragazzi, Joe Nico e Pane, 2000 Minority Report, Steven Spielberg, 2002 eXistenZ, David Cronenberg, 1999 Naked Lunch, David Cronenberg, 1991 Ghost in the Shell, Mamoru Oshii, 1995
< indice delle immagini > 1. http://archinect.com/news/gallery/86311570/2/5-pointz-graffiti-mecca-in-long-island-cityfaces-imminent-destruction 2. https://grafffunk.de 3. http://www.lataco.com/gang-injunction-against-mta-los-angeles/ 4. https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10154968268320682&set=a.35577655681.44177.650505 681&type=3&theater 5. https://grafffunk.de 6. http://www.graffitiresearchlab.com/blog/ 7. http://sonicedevelopment.com/facadeprinter/ 8. http://juerglehni.com/works/hektor 9. https://it.pinterest.com/pin/132434045268943503/ 10. http://www.joshuanava.biz/figures-in-motion/the-human-figure-in-motion.html 11. https://archeonatura.files.wordpress.com/ 12. https://www.chargify.com/blog/feature-creep/ 13. http://www.vintagecomputing.com/index.php/archives/1120/retro-scan-of-the-week-apple-iiswyftcard 14. http://conniezhou.com/portfolio/portfolio/google 15. http://www.mercatinomusicale.com/ 16. frame dal lungometraggio eXistenZ 17. https://it.pinterest.com/pin/366269382171772783/ 18. https://collections.countway.harvard.edu/onview/items/show/6190 18. frame dal video di presentazione di Scriboli http://www.patrickbaudisch.com/projects/ scriboli/ 19. frame dal video https://www.youtube.com/watch?v=w2itwFJCgFQ 20. http://www.cs.umd.edu/hcil/crossy/ 21. https://www.youtube.com/watch?v=YstE4v8Mr3o
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