Geografia di eventi

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geografia di eventi Simone Braschi, Francesco Ferretti, Carlotta Mazzi, Fabio Venneri Non lo spazio fisico della città, non la forma, non la misura nè le distanze, quanto piuttosto i suoi aspetti qualitativi all'interno di un processo dinamico di evoluzione/involuzione hanno costituito il tema di indagine. Un nastro rosso di più di 100 metri disposto ordinatamente in un rettangolo di dimensione predeterminate (30x42) come idea di tessuto urbano già vedeva prevalere il carattere qualitativo-­‐processuale dell’analisi, in cui saltavano subito all'evidenza i temi urbani per eccellenza: la densità e i rapporti pieni-­‐vuoti, la flessibilità e la polivalenza funzionale, la disposizione regolare-­‐irregolare in una maglia. Nel suo svolgersi al di fuori dei suoi limiti di partenza il nastro perdeva qualunque valenza spaziale si potesse rintracciare in esso per mostrarsi solo come processo: di espansione, di limitazione, di diffusione qualitativa, fino a poter abbandonare completamente lo spazio nel quale era costretto e organizzare le aree omogenee giustapposte, per conferire ad esse unità, organicità, identità, ponendo la questione sul piano dell’impianto urbano piuttosto che sull’analisi dei singoli tessuti. La suggestione iniziale, che scaturiva dalla fotografia zenitale, di zone omogenee rappresentanti le diverse idee di tessuto, è stata riorganizzata sulla carta in un reticolo urbano generico in cui zone di grande estensione rispetto allo spazio complessivo, vanno a conformare una città ben definita nelle sue parti e nei suoi limiti. ASTRAZIONE Quali sono i rapporti tra la forma del costruito, cosa sono al loro interno queste zone, e che rapporti instaurano tra di loro per organizzare la città? Nella sua genericità, la città così definita è un’anti-­‐città, è anti-­‐urbana? Le diverse aree omogenee che compongono l’immagine risultano facilmente distinguibili l’una dall’altra, connotando una diversità tanto spaziale quanto funzionale, e organizzano la città secondo una geografia di eventi variabile di momento in momento, in cui ogni parte può raggiungere lo status di centro o essere relegato a un ruolo periferico, all’interno di un disegno in cui d’altra parte non è rintracciabile un fuoco fisso e univoco. E’ il disegno di una città multipla, abitata da una molteplicità di gruppi sociali etnici economici professionali che non trovano più unità nella piazza centrale e nella chiesa che su di essa si affaccia, nè nel palazzo del comune, ma nello spazio organizzato dalla nuova moltitudine di attività umane comuni a tutti: lo shopping, lo sport, il lavoro, il tempo libero. Un disegno in cui specifico e generale coesistono, un disegno in cui quartiere e città sono in un rapporto stretto di dipendenza/simbiosi. Sono i ritmi urbani delle attività quotidiane dell’uomo a dare centralità e gerarchia, sempre variabili, in cui il centro non è più spaziale e i luoghi sembrano essere organizzati in sequenza temporale. Le centralità sono punti di riconoscibilità, identità, concentrazione, necessari ad una città, per quanto “generica”. Servendoci del disegno e della sua possibilità di manipolarlo come strumento di indagine, la frammentare delle macro-­‐zone in parti molto più piccole, ha fatto sì che le qualità e le funzioni si siano sparse per tutta l’immagine dando luogo ad un disegno omogeneo in cui tutto è dappertutto, facilmente raggiungibile,


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