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Genere e progettazione grafica, viaggio nell’Atelier ter Bekke & Behage
Un progetto di Fabio Milesi
Genere e progettazione grafica, viaggio nell’Atelier ter Bekke & Behage
Fabio Milesi 762782 Scuola del Design Corso di laurea in Design della Comunicazione Laboratorio di Sintesi Finale e Preparazione Elaborato di Laurea, a cura di Fulvia Bleu, Francesco Guida e Chiara Bersanelli A. A. 2012 / 2013
Milano, 23 luglio 2013
Indice // 1. Introduzione (pag. 7)
// 5. Mostra (pag. 106)
concept tag
concept ricerche manifesto fotografie applicazione stendardo invito mood pixel
// 2. Wisual (pag. 13) naming concept concept del marchio progetto grafico riferimenti marchio applicazioni
// 3. Autrice (pag. 54) atelier ter bekke & behage opere riepilogo opere un giorno a parigi intervista
// 4. “Beyond the glass cieling� (pag. 80) intro women in graphic design 1890-2012 beyond the glass cieling stats il punto di vista di cheryl buckley l’importanza dei gender studies caso studio: la primavera araba conclusioni
// 6. Sedicesimo (pag. 126) concept analisi realizzazione riferimenti opere
// 7. Comunicazione 2.0 (pag. 134) concept percorso progettuale contenuti riferimenti
// Ringraziamenti (pag. 150) // Bibliografia e sitografia (pag. 151)
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Introduzione
Concept Un Museo itinerante del Graphic Design. Uno spazio virtuale. Un non-luogo che sfugge alle logiche della fisicità, del tempo e dello spazio e a cui tutti, designer, studenti, professori e cultori di progettazione grafica, possono accedere. Un modo per creare interesse, per diffondere la cultura del graphic design e per arricchirla. Un viaggio che attraversa culture e popoli differenti, che si muove su precise coordinate spaziotemporali, ma che al tempo stesso è ovunque. Un’evoluzione concettuale per restare al passo con i mutamenti socioculturali del mondo contemporaneo, una forma espositiva dinamica, virtuale, condivisibile, interattiva, digitale, social. Un modo per abbattere ogni barriera fisica e trasformare l’immaginario legato al concetto di “museo”, da evento parzialmente accessibile, limitato a un luogo, a evento open, raggiungibile e fruibile da ovunque, da qualunque parte del mondo, a qualunque ora della giornata. Uno spazio espositivo nato da un approccio progettuale
Uno spazio che è al tempo stesso web, wiki, world, visual sperimentale e innovativo, che abbatte i confini fisici e mentali legati al concetto di esposizione e di museo, che non esclude, ma include, diventando un contenitore di eventi. Una sorta di collettivo internazionale di utenti e artisti in continuo contatto, in continuo dialogo e alla continua ricerca
di migliorare il graphic design e la percezione che ne si ha di esso. Uno spazio che è al tempo stesso web, wiki, world, visual. Questo spazio è Wisual.
Tag
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virtuale non-luogo condivisibile viaggio ovunque graphic design cultura interesse evoluzione dinamica interattiva digitale social immaginario accessibile open fruibile sperimentale interattivo contenitore collettivo utenti web wiki world wide visual vision Un elenco di tutte le parole chiave che hanno contribuito a definire il concept del Museo itinerante del Graphic Design, estrapolate dal testo della pagina precedente.
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Wisual
Naming Per la definizione del naming, si è partiti da sette termini chiave, attorno ai quali creare collegamenti in fase di brainstorming. All’interno di questa rete di collegamenti si sono creati dei legami anche tra i termini chiave stessi, creando campi e temi in comune tra due o più termini. Durante la fase di brainstorming sono stati trovati differenti termini, in grado di ricoprire un ruolo importante nella fase di ricerca e successivamente di definizione del naming. Nelle pagine seguenti seguenti sono rappresentati graficamente i termini di partenza, per i quali è stato tracciato un arco esterno, mentre all’interno di questo spazio sono riportati i termini più importanti e
I sette termini da cui si è partiti sono: visivo, cultura, sperimentale, contemporaneo, non-luogo, collettivo, internazionale
Nelle pagine successive per ogni termine chiave di partenza sono dedicate tre pagine: la prima che elenca tutti i termini nati in fase di brainstorming attorno a quella determinata parola; una seconda pagina con le parole più decisive nella successiva definizione del naming, con un arco per ogni parola, la cui lunghezza varia in base all’importanza del vocabolo stesso; una terza pagina evocativa che contestualizza i termini riferiti a una parola chiave iniziale.
decisivi. Ogni termine interno al tema principale ha una lunghezza variabile, proporzionata al peso che il termine ha ricoperto nel momento della definizione e della scelta finale del naming. La perentuale massima di importanza è data dall’arco nero esterno al grafico. I sette termini da cui si è partiti sono: visivo, cultura, sperimentale, contemporaneo, non-luogo, collettivo, internazionale.
“Visivo” Il termine “visivo” ha suggerito principalmente termini riguardanti l’estetica (kitsch, impatto, colore), oppure nuovi aspetti della comunicazione visiva, come il social network Pinterest. “Visivo” è stato anche associato a termini legati alla psicologia della Gestalt, che in seguito risulteranno decisivi nella definizione del naming. Le parole chiave, per quanto concerne il mio progetto, sia per la definizione del naming che per la progettazione del marchio sono state: “grafica”, “percezione”, “Gestalt”, “psicologia”.
Psicologia, foto, pittogramma, percezione, grafica, Pinterest, kitsch, Gestalt, type, impatto, stile, brutto, colore, forme, linea. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “visivo”.
GRAFICA PSICOLOGIA PERCEZIONE GESTALT
“Cultura” Il concetto principale derivante dall’analisi del termine “cultura” è quello di condivisione. Nella nostra società la divulgazione della cultura, la scoperta e la ricerca possono avere un forte vantaggio dalla condivisione. una condivisione low cost, accessibile a tutti, dunque open e divulgabile da tutti, dunque wiki. “Interesse”, “informazione”, “wiki”, “condividere”, “open”, “ricerca”. Sono questi i termini chiave selezionati dall’analisi di “cultura”.
Interesse, informazione, stimolo, open, consultazione, investimento, futuro, passato, storia, free, RT/condividi, educare, ricerca. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “cultura”.
OPEN WIKI CONDIVIDERE RICERC A INFORMAZIONE INTERESSE
“Sperimentale” Uno dei termini più significativi dell’approccio alla definizione e studio del naming è stato “sperimentale”. Questo termine racchiude infatti gran parte delle caratteristiche che avrà il nuovo museo itinerante del graphic design: un laboratorio, inteso come luogo di sperimentazione e progettazione, nuovo e aperto. Le parole chiave derivanti da “sperimentale” sono: “apertura”, “progettazione”, “novità”, “innovazione”, “laboratorio”.
Coraggio, apertura, laboratorio, progettazione, accademia, scienza, improvvisare, avanguardia, imprevedibile, novità, invenzione, rischio, innovazione. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “sperimentale”.
APERTURA PROGET TAZIONE INNOVAZIONE NOVITÀ LABORATORIO
“Contemporaneo” È curioso notare come per il termine “contemporaneo”, siano emersi temi e parole sostanzialmente recenti, come social, digital, insta. termini riferibili soprattutto ai social network, espressioni di un nuovo mondo comunicativo. Le parole chiave sono “social”, “digital”, “insta” e “viral”.
Materiale, digital, social, insta, tech, popolare, viral. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “contemporaneo”.
SOCIAL DIGITAL INSTA VIRAL
“Non luogo” Il fatto di parlare di “non-luogo” può far pensare a un risvolto immaginario, surreale, onirico, oppure a un’entità esistente ma non tangibile, che si adatta perfettamente al web. Le parole selezionate derivano principalmente da questo secondo aspetto: “ovunque”, “web”, “open”, “virtuale”, “immaginario”.
Onirico, piattaforma, immaginario, ovunque, web, open, virtuale. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “nonluogo”.
OVUNQU E WEB OPEN VIRTUALE IMMAGINARIO
“Collettivo” La sostanza del design, della progettazione di qualsiasi artefatto comunicativo: il fatto di essere il risultato di un percorso che è stato pensato collettivamente e non individualmente. Una collettività è una comunità o una totalità di individui che fanno gruppo, in base a obiettivi o interessi. Il collettivo si adatta perfettamente alla rete. Anche per questo termine, le parole chieve selezionate sono riconducibili al tema della rete e della condivisione collettiva: “condivisibile”, “sociale”, “comunicazione”.
Valori, sociale, condivisibile, comunità, gruppo, attività, comunicare, eventi. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “collettivo”.
CONDIVISIBILE SOCIALE COMUNICAZION E
“Internazionale” Il risultato degli altri termini si può racchiudere nel termine finale: “internazionale”. Molto legato a “collettivo”, a “non-luogo” e a “contemporaneo”, questo termine ha suggerito concetti che trasformassero il museo in un viaggio, che attraversa e raggruppa culture differenti. “Culture”, “integrazione”, “moderno”, “globale”, “viaggio” sono le parole estratte dal brainstorming.
Culture, integrazione, moderno, globale, viaggio, relazione, interazione, inglese, poliglotta. Sono questi tutti i termini nati in fase di brain storming dal termine “internazionale”.
MODERN O GLOBALE VIAGGIO INTEGRAZ IONE CULTURE
Concept Wisual è il risultato dell’accostamento di altri termini, significativi e funzionali al Museo itinerante del Graphic Design. Wisual infatti è innanzitutto “Visual”. Visual si riferisce al contenuto e ai contenuti che determinano l’identità del museo. La comunicazione attraverso l’immagine e attraverso qualunque artefatto visivo di concetti, pensieri, informazioni o semplici messaggi costituisce nella società contemporanea un potente e sempre più importante modo di comunicare. Da “visual” ci si può ricondurre anche a “vision”. A una nuova visione del concetto di museo, a una visione futura applicata ad uno spazio virtuale e contemporaneo. Il passaggio da “Visual” a “Wisual” è costituito dalla lettera W. La potremmo definire la lettera del terzo millennio. Una lettera che rappresenta un nuovo sistema comunicativo, un nuovo sistema di reti e interazioni sociali che si sono affermate e radicate nella nostra società da quache decennio. World Wide Web. Tre termini che indicano un luogo, piuttosto indefinito, la vastità di quel luogo, difficilmente misurabile data la sua immensità, e web che indica la complessa struttura comunicativa e interattiva interna a questo spazio. Wisual è world, wide e web. Wisual però può essere anche “virtual”. Uno spazio sì itinerante dunque fisicamente tangibile ed esistente, ma al tempo stesso lo spazio di Wisual è estremamente più grande ed illimitato di un singolo concreto luogo espositivo. Wisual è geolocalizzabile, ma al tempo stesso è internazionale, è un non-luogo. È virtuale. Infine “Wisual” è anche “Wiki”. Wiki è un termine ampiamente diffuso negli ultimi anni, caratterizzati
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da un nuovo modo di archiviare contenuti, di pubblicarli e di condividerli. Sostanzialmente il termine “wiki” viene accostato a una nuova concezione di raccolta di documenti e informazioni relative a un contenuto. Si tratta di una raccolta di informazioni aggiornata e modificata direttamente dai suoi stessi utilizzatori, solitamente volontari. Questo nuovo rapporto interattivo e virtuale ha contribuito a diffondere termini come “comunità
Lo spazio di Wisual è estremamente più grande ed illimitato di un singolo luogo espositivo virtuali”, e ha permesso la nascita di un nuovo modo di collaborazione poiché si utilizza un nuovo spazio collaborativo, il web, dunque virtuale e digitale. In conclusione Wisual si propone come spazio espositivo, ma al tempo stesso interattivo, dove utenti interessati al graphic design contemporaneo possano fruire di contenuti e informazioni. Inoltre Wisual permette agli utenti stessi di gestire questi contenuti, all’interno di una comunità virtuale sempre in contatto e dialogo, per condividere e diffondere la cultura del graphic design.
Definire il naming di un’istituzione culturale come può essere il Museo itinerante del graphic design, deve tener conto di differenti ma ugualmente importanti aspetti. Il nome innanzitutto dovrebbe conferire un’identità ben precisa al luogo, evitando ambiguità di significati e riferimenti. Analizzando il naming di musei e istituzioni culturali già esistenti e affermate nel panorama artistico mondiale, si nota la presenza di varie tipologie di naming. Si passa da nomi personali, come il Guggheneim Museum, dal nome dell’omonimo collezionista d’arte, a nomi descrittivi, che ne esplicano chiaramente i contenuti artistici o l’epoca di riferimento come il Museo del Novecento a Milano. Inoltre molti di questi nomi vengono talvolta semplificati in sigle e abbreviazioni, come il MoMA di New York o il MAXXI di Roma. In ogni caso il naming è il primo aspetto da definire e progettare nel momento in cui si inizia a esprimere l’identità di un’istituzione culturale. Ciò di cui bisogna tener conto e da cui si deve necessariamente prescindere è il luogo all’interno del quale nasce e si evolve il Museo, ma ancor prima i contenuti che costituiscono la vera identità del Museo. A definire l’identità di un museo dunque non è soltanto il contenitore, ma soprattutto i contenuti che lo compongono.
A definire l’identità di un museo è soprattutto l’insieme dei contenuti che lo compongono
Wisual, come detto in precedenza fa infatti riferimento innanzitutto ai contenuti, principalmente visivi, che lo caratterizzano. Ma Wisual è inoltre un naming che deriva dalla commistione di Visual, termine riferito ai contenuti del Museo, con termini come Wiki, Web, World, Virtual, che fanno riferimento da un lato al contenitore, e dall’altro all’aspetto fondamentale e innovativo del Museo: le modalità di fruizione e di condivisione dei contenuti.
Concept del marchio Un taglio, un’apertura e al tempo stesso una rottura. Il marchio di Wisual si propone come elemento formale che rappresenta i concetti di accessibilità, dinamismo, nuova modalità di fruizione e virtualità. La linea immaginaria che divide nettamente le lettere del logotipo simbolicamente spezza gli elementi solitamente riconducibili al concetto di museo, rompendone la forte staticità su cui si è sempre basata un’esposizione artistica o culturale: un luogo fisico, reale e ben definito. La linea che attraversa interamente la composizione è anche
Un taglio, un’apertura e al tempo stesso una rottura sinonimo di accessibilità, in quanto luogo, o meglio non-luogo e dunque virtuale e accessibile a tutti gli utenti. Il concept del marchio di Wisual nasce dunque da questi elementi innovativi e di rottura con il passato. Elementi che derivano da concetti legati a una nuova idea di museo, ma anche da concetti legati al linguaggio visivo, grafico e geometrico. In fase di brain-storming il termine “visivo” ha suggerito anche l’idea di psicologia della Gestalt. Il concept del marchio di Wisual nasce anche dal concetto di percezione e esperienza visiva, che permettono di riconoscere le lettere del marchio nonostante siano parzialmente “occultate” dalla linea bianca che percorre l’intera composizione, e che nasce dalla lettera “W”. Inoltre, nonostante la linea spezzi nettamente la composizione, la leggibilità del marchio e la sua riconoscibilità non sono messe in discussione, anzi gli conferiscono
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una certa eleganza formale. Alcuni principi della Psicologia della Gestalt affermano infatti che determinati elementi, talvolta incompleti o sovrapposti, vengono completati dalla percezione e dall’esperienza umana. Tra queste leggi troviamo: la legge del destino comune, secondo cui in una configurazione tendono a unificarsi le linee con la stessa direzione, orientamento o movimento, secondo l’andamento più coerente, a difesa delle forme più semplici e più equilibrate; e anche la legge dell’esperienza passata, secondo cui elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra di loro tendono ad essere uniti in forme.
Progetto grafico Esprimere graficamente attraverso un marchio l’identità di un museo è uno dei punti fondamentali nel processo di definizione e progettazione della brand image di una qualunque istituzione, specie se culturale e specie se questa istituzione tratta contenuti strettamente legati al graphic design e dunque al linguaggio visivo. Oltre a definire l’identità dell’ente che va a rappresentare, il marchio deve anche delinearne la personalità, attraverso un linguaggio grafico coerente con i suoi contenuti, chiaro e immediatamente riconoscibile, al fine di proporre un elemento che sia unico e distintivo nei confronti dei competitor. Il marchio ha inoltre l’obiettivo di interpretare il luogo da comunicare. Come afferma il docente Francesco E. Guida in un articolo su Progetto Grafico 17, dell’aprile 2010, non è necessario adattarsi al luogo e al contesto fisico, bensì è necessario decodificare quel luogo, con un vocabolario visivo in grado di far
“È necessario decodificare quel luogo” comprendere all’utente i contenuti e per farlo entrare in contatto e relazione con il luogo. Nel particolare caso di Wisual peraltro, dove il luogo è un’entità relativa dato che il Museo è itinerante e l’unico luogo fisso è un luogo virtuale (un non-luogo), il marchio ha un’importanza decisiva nella definizione e comunicazione della personalità del Museo. Il solo contenitore non basta. A tal proposito è significativa la citazione di Ruedi Baur riguardo
all’identità di un luogo culturale. “In molti casi il progetto grafico funge da collante per questi elementi, nel tenere insieme contenuto e contenitore, contenuto permanente ed eventi occasionali. Deve quindi trasporre la specificità di un luogo in un linguaggio visivo che conferisca una identità e che possa essere utilizzato su media differenti.” Gli elementi concettuali da considerare per la progettazione del marchio di Wisual sono stati gli stessi che hanno portato alla scelta del naming. Dal punto di vista invece geometrico e formale, si è pensato di rappresentare questi concetti in maniera piuttosto minimale, per comunicare attraverso un forte impatto e riconoscibilità tutto ciò che ruota attorno e soprattutto all’interno di Wisual. Chiramente il percorso grafico del marchio è passato innanzitutto attraverso la ricerca di marchi museali e di istituzioni culturali già esistenti, ma anche effettuando una ricerca più generica e ampia, su marchi che contenessero elementi formali legati ai concetti di “visuale”, “web”, “world” e agli altri termini decisivi nella definizione del Naming. Dopo aver sperimentato diverse ipotesi grafiche che proponessero come elemento formale principale la lettera “W”, ripetuta o ruotata in modo tale da generare una sorta di struttura tipo rete (il web), si è deciso di proporre un progetto grafico che tenesse conto di elementi maggiormente legati al concetto di “visivo”, come la percezione e la psicologia della Gestalt. Ecco dunque che la proposta dalla quale si svilupperà il marchio definitivo nasce dall’idea di semplificare qualsiasi elemento grafico e rendere il marchio un elemento riconoscibile e d’impatto. La struttura deriva dalla suddivisione della parola
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“Wisual” in tre gruppi da due lettere, allineate a bandiera con l’asta a sinistra. Il prolungamento di una delle aste oblique della lettera “W” disegna
Un progetto grafico che tenesse conto di elementi maggiormente legati al concetto di “visivo”, come la percezione e la psicologia della Gestalt un rettangolo che, se prolungato, va a tagliare l’intera composizione, occultando alcune parti delle lettere. Le lettere di Wisual sono in Gotham Bold. Nella composizione è poi presente un logotipo, Graphic Design Museum che accompagna il logotipo alla sua destra. Anch’esso allineato a bandiera, con l’asta a sinistra, è volutamente costituito da tre parole, per disporle ognuna su una delle tre righe della composizione, con un’interlinea piuttosto ristretta. “Graphic design museum” è sempre in Gotham, ma Thin, e a differenza del marchio che è realizzato in nero al 100%, è all’80% di nero. Si è pensato inoltre a una versione verticale del marchio, che è un’alternativa da utilizzare nel momento in cui, per motivi di leggibilità o di spazio, la versione orizzontale è poco leggibile o non ha abbastanza margine di respiro. In questa versione anche il testo “GRAPHIC DESIGN MUSEUM” è al 100% di nero.
Infine durante la realizzazione del manuale del marchio, si è pensato di proporre anche un’ipotesi in scala di grigi e una cromatica. La versione in scala di grigi prevederebbe per i tre raggruppamenti orizzontali delle lettere tre differenti tonalità di grigio. In questa variabile il logotipo avrà sempre e comunque il testo sulla destra a una percentuale di nero dell’80%. La versioni a colori del logotipo deriverebbe direttamente dalla versione in scala di grigi, dato che per la versione principale (monocromatica nera) non esiste una versione a colori del logotipo. Come per la versione in scala di grigi, anche in quella a colori le lettere variano in tre differenti tonalità di colore. In questa variabile il logotipo avrà sempre e comunque il testo “GRAPHIC DESIGN MUSEUM” a una percentuale di nero dell’80%.
Riferimenti
Alcuni riferimenti visivi di logotipi concettualmente e formalmente importanti durante la progettazione grafica del marchio di Wisual. Si va da segni presenti in logotipi di aziende private (Spectrum, Deutsche Bank) a logotipi di istituzioni culturali e museali (MusÊe d’Orsay, Centre Pompidou, Rijksmuseum di Amsterdam).
Marchio Il marchio in positivo prevede sia la versione orizzontale (originale), sia quella verticale. Nella versione in negativo del marchio inizialmente il logotipo era bianco con il logotipo “GRAPHIC DESIGN MUSEUM” a una percentuale di nero al 20%. Successivamente per questioni di leggibilità anche il logotipo è stato realizzato completamente bianco.
In queste due pagine è stato applicato il marchio su differenti fotografie, per mostrare le differenze tra la versione in positivo e in negativo. Ogni fotografia si riferisce al concept di Wisual.
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Applicazioni
Qui di seguito vi sono alcune applicazioni del marchio di Wisual. A seconda dell’oggeto su cui viene applicato, il marchio si adatterà al meglio con la versione orizzontale o verticale e in positivo o in negativo
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Inizialmente ho applicato il marchio su oggetti da ufficio, piuttosto corporate, legati a un contesto museale o istituzionale. Talvolta, se applicato su oggetti di piccole dimensioni come matite o penne, può essere utilizzato solo il segno del marchio.
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Ho infine applicato il marchio su oggetti meno corporate, come semplici t-shirt bianche. Ăˆ possibile in tal modo vedere le possibili applicazioni, su uno stesso supporto, prima del marchio vero e proprio e successivamente solo del segno.
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Autrice
Atelier ter Bekke & Behage L’Atelier ter Bekke & Behage è il frutto dell’incontro di due grafici, Evelyn ter Bekke e Dirk Behage. Focalizzato sul graphic design, l’Atelier lavora principalmente nel settore della comunicazione visiva detto “di utilità pubblica”: progettazione di identità visive, edizioni e pubblicazioni stampate, tipografia e creazione di caratteri tipografici, immagini e segni, pubblicazioni elettroniche e siti multimediali, scenografia e segnaletica.
Immagini tratte da fotografie scattate a Evelyn ter Bekke e al marito Dirk Behage durante il viaggio a Parigi, presso il loro Atelier.
Evelyn ter Bekke
Dirk Behage
Nata nei 1966 nei Paesi Bassi, Evelyn Ter Bekke studia grafica alla St Joost academy of visual arts and design di Breda (Paesi Bassi) dal 1985 al 1990. Poi si trasferisce a Rotterdam dove progetta e realizza diversi cataloghi d’arte, identità grafiche, manifesti e inviti per il centre d’Art de la Ville de Rotterdam, per l’Institut nationa de la photographie, e per diversi editori. Adesso lavora e vive a Parigi dal 1996.
Nato in Paraguay, Dirk Behage studia grafica presso l’Academy of visual arts and design di Groningen (Paesi Bassi) dal 1981 al 1986. Si unisce nel 1987 a Parigi al collettivo Grapus e fonda con Pierre Bernard e Fokke Draaijer “l’Atelier de Création Graphique”. Ha progettato e realizzato anche l’identità grafica del Musée du Louvre e quella dei Parcs nationaux de France. Dal 1991, insegna presso l’École nationale supérieure des Arts décoratifs (ENSAD) di Parigi.
Opere
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In un booklet che Evelyn e Dirk hanno realizzato per raccogliere i loro più significativi lavori nell’Atelier, sono presentati i vari progetti attraverso informazioni come gli anni di realizzazione, l’ambito al quale appartiene ogni lavoro e una descrizione dell’ente per il quale hanno lavorato. Inoltre sono descritti i vari lavori attraverso differenti fotografie fatte agli artefatti comunicativi. Nelle pagine seguenti sono riportati gli undici lavori presenti nel bookletportfolio che Evelyn e Dirk hanno realizzato e che, durante il mio viaggio a Parigi presso il loro Atelier con due miei compagni, mi hanno regalato. Inoltre ci hanno omaggiato con un altro booklet che costituisce una sorta di dialogo attraverso delle citazioni tra di loro e il committente di ogni lavoro, le cui immagini fanno da sfondo a ogni doppia pagina. Per ogni lavoro, riporto la descrizione che loro danno del committente e una loro citazione sul concept e sull’approccio a quel determinato lavoro o sul modo in cui essi intendono il graphic design, da un punto di vista più generale, al fine di delineare le principali caratteristiche sia formali che concettuali dell’Atelier ter Bekke & Behage.
Le immagini inserite al termine dell’elenco dei lavori sono fotografie che ho scattato alle pagine del booklet/portfolio che l’Atelier ci ha regalato. Ogni fotografia si riferisce all’opera corrispondente.
1. Musée national de Préhistoire “Quello che amiamo, è essere sorpresi dalla qualità del soggetto.” Ai primi posti dei musei d’archeologia nel mondo, il Museo di Preistoria è un luogo d’avanguardia per quanto riguarda la ricerca, adattandosi alle ultime scoperte della comunità scientifica internazionale.
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2. MAC / VAL “Ciò che amiamo è la qualità. Per ottenerla bisogna controllare bene tutti i passaggi di un progetto. Dal soggetto al pubblico. Il livello di qualità dipenderà dall’elemento più debole.” Inaugurato nel 2005, il MAC/VAL è l’unico museo di arte contemporanea nell’immediata periferia parigina. La collezione è dotata di una personalità unica e forte: la creazione artistica in Francia dagli anni ’50 a oggi.
3. Maison Européenne de la Photographie “Oggi ci sembra più interessante incrociare gli sguardi, piuttosto che fonderli. Quello che ci sembrava più interessante era avere delle letture multiple, è una situazione più contemporanea.” Situata nel pieno cuore di Parigi, la Casa europea della Fotografia è un edificio culturale che ospita tra le altre cose un centro espositivo dedicato alla fotografia contemporanea.
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4. Henri Cueco, peintre et écrivain “Quello che amiamo fare è trovare una giusta forma in funzione del contenuto, svelare ciò che è la ricchezza di un soggetto e portarla in superficie. Dare un senso.” L’Atelier ter Bekke & Behage si occupa inoltre di diverse pubblicazioni. Un committente di questi lavori è Henri Cueco, pittore e scrittore.
5. Marinette Cueco, artiste
“Quando realizziamo un libro, ci sono molti dettagli, piccole cose e queste piccole cose unite fanno che tutto diventi importante. Pensiamo che sia piacevole lavorare con certi artisti che abbiano una comprensione di questa fragilità. È quello che dà finalmente qualità a un lavoro.” Inoltre l’Atelier ha spesso lavorato per la moglie di Henri Cueco, Marinette Cueco, un’artista parigina.
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6. Le Nez du Vin “Quello che amiamo è quando il senso del soggetto si esprime e che il realizzatore della grafica o della comunicazione visiva vada in secondo piano.” Le Nez du Vin (“L’odore del vino”) è uno strumento d’intrattenimento per la memoria olfattiva per esercitarsi e imparare a degustare i vini.
7. Orchestre national d’Ile-de-France “Quello che non amiamo è quando il committente si mette sullo stesso piano del soggetto. Il grafico perde così la sua autonomia e diventa mero esecutore.” La missione principale dell’Orchestra nazionale de l’Ile-de-France è di diffondere l’arte sinfonica nel territorio regionale con particolare attenzione alle giovani generazioni.
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8. Marc Barani “Era la prima volta che avevamo un committente così: fare un libro che parlasse d’architettura. E quello che è molto difficile quando si ha un libro cartaceo, è che è statico, non c’è altro che carta, un dorso, delle pagine da girare. Ma come spiegare un soggetto talmente complesso, un progetto d’architettura, con l’ausilio di un solo oggetto statico?” Dopo aver ricevuto il premio d’architettura nel 2008 in Francia per la stazione dei treni di Nizza, l’architetto Marc Barani è stato finalista per il premio Mies va der Rohe nel 2009 (premio dell’Unione Europea
per l’architettura contemporanea) con questo progetto.
9. Musée ToulouseLautrec “Quando lavoriamo con un’istituzione, bisogna fare attenzione che il direttore o la direttrice dell’ente non si consideri il soggetto. Con un’artista, è diverso è al tempo stesso cliente e soggetto, è lì che risiede la difficoltà.” Il Museo riunisce la più importante collezione al mondo dell’artista Henri de Toulouse-Lautrec.
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10. Musée de l’agglomération (d’Elbeuf) “Quello che amiamo è il contesto sociale della grafica. Deve esistere nella società. E non deve essere soltanto destinata ai muri bianchi dei musei.” Il Museo dedicato alla storia dell’industria tessile e dell’archeologia della Regione Elbeuf.
11. La Coliine théâtre national “Abbiamo dunque messo il logotipo al centro che, per noi, simboleggiava il soggetto comunicante, il ragionamento di tutti questi titoli e contenuti. Il centro che non è uno spazio neutro. È da lì che nasce tutto.” La Colline, alto luogo di teatro contemporaneo, è uno dei cinque teatri nazionali di Francia.
Riepilogo opere
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La Colline - théâtre national
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Musée de l’agglomération d’Elbeuf Musée Toulouse-Lautrec
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Marc Barani Orchestre national d’Ile-de-France Le Nez du Vin
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Marinette Cueco, artiste Henri Cueco, peintre et écrivain Maison Européenne de la Photographie
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Musée d’Art Contemporain du Val-de-Marne Musée national de Préhistoire
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09 Ho realizzato, per ognuno di questi lavori, una sorta di infografica che collochi ogni lavoro su una timeline che ripercorre l’arco di tempo da quando l’Atelier è stato creato fino ai nostri giorni. È così visibile in modo generale e intuitivo l’ambito generale all’interno del quale spazia l’Atelier, i suoi committenti e l’intensificarsi dei lavori intorno a un certo periodo.
Un giorno a Parigi Una casa singola, ricoperta di edera, con richiami liberty visibili nelle finestre che si affacciano su Cité Voltaire, a poco più di dieci minuti di metropolitana dal centro di Parigi. La sobrietà del campanello racchiusa in una font piuttosto minimale, con la scritta di piccole dimensioni “Atelier ter Bekke & Behage”. Un’ospitalità impensabile, una disponibilità al dialogo, ad aprire una finestra sulle loro vite, sulle loro opinioni, sui concept di alcuni loro importanti lavori. Un giardino che trasmette un’intimità e una tranquillità necessaria per stimolare serenità e creatività. Un aperitivo, composto da noci, formaggi tipici francesi, pane e cedrata. Victor, un enorme gatto grigio, adorabile a prima vista e una complicità e complementarietà tangibili tra Evelyn e Dirk. L’Atelier, un unico lungo locale, con un tavolo in legno massiccio lungo quanto l’ambiente, con ai lati e
La casa di Evelyn ter Bekke e Dirk Behage, nonché loro Atelier. La casa si trova al 4 bis, cité Voltaire, non lontano dalla fermata della metropolitana Rue des Boulets.
La consapevolezza di assistere a un incontro che non dimenticheremo mai sulle pareti manifesti, edizioni, booklet e tantissime altre loro realizzazioni. Un ambiente fantastico, in cui ci immergiamo con la curiosità e la consapevolezza di assistere a un incontro che in qualche modo non dimenticheremo mai.
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In queste pagine dedicate all’intervista a Evelyn e Dirk, ho inserito alcune fotografie scattate nel loro Atelier.
Il 22 e 23 maggio 2013 sono stato con due miei compagni di corso, insieme ai quali ho trattato la vita e le opere della designer olandese Evelyn ter Bekke nel corso del Laboratorio, a Parigi, per un’intervista programmata presso l’Atelier ter Bekke & Behage. L’esperienza già di per sé utile e interessante si è rivelata un momento importante che ci ha arricchito parecchio dal punto di vista dello studio della cultura e della pratica del graphic design, grazie alla disponibilità sorprendente di una coppia di grafici celebre e famosa in tutta Europa. Nonostante avessimo un format di domande già preparate, mirate soprattutto a conoscere e scoprire maggiori informazioni riguardo ai temi trattati nei rispettivi approfondimenti, si è creata una situazione di aperto dialogo e discussione su una serie svariata di temi e argomenti. Dal mio punto di vista, ad esempio ero particolarmente interessato a conoscere i pensieri e le opinioni di Evelyn e Dirk sul tema riguardante il
rapporto uomo-donna nel design e il ruolo della donna nel design. Riportare esclusivamente la parte di dialogo riguardante questo tema mi sembra riduttivo, dal momento che sia Evelyn che Dirk hanno strutturato un discorso molto più ampio, che ha toccato una vastità e una profondità di argomenti davvero sorprendente per tre studenti, che mai avrebbero pensato di essere accolti in questo modo in un Atelier come il loro. Si è parlato del ruolo che il graphic design dovrebbe avere all’interno della società moderna, del loro rapporto con i committenti e i soggetti dei loro lavori, dei concept di alcuni tra i loro lavori più importanti, del motivo per il quale hanno deciso di vivere e lavorare a Parigi, del concetto di qualità, della vita e del lavoro dei designer, del loro rapporto in quanto uomo donna e di molti altri temi connessi al graphic design. Qui di seguito ripropongo alcuni degli stralci, suddivisi per tema, che considero più significativi del discorso.
Intervista Il committente si pone in maniera differente nei vostri confronti a seconda che si rivolga a Evelyn o a Dirk? Cosa vi sentite di dire sul vostro lavoro, voi che vivete e lavorate insieme?
Evelyn: È molto difficile spiegarlo. Di sicuro all’inizio c’era il problema della lingua e della cultura. Dirk è a Parigi da più tempo di me quindi all’inizio non avevo molta esperienza. Appena ho iniziato a parlare meglio il francese e conoscere meglio la cultura, però lavorare in coppia è diventata una cosa molto positiva poiché il committente si sente a suo agio, a volte vuole parlare con Dirk, altre volte con me. Magari io sono più seria, rifletto di più e quando parlo la gente mi ascolta, quindi penso che lavorare in coppia sia un qualcosa di molto buono e costruttivo. Per esempio nel teatro non ci sono molte donne che scrivono i copioni e così è anche nel mondo del design. Anche se ci sono molte studentesse nelle scuole di grafica, non so per quale motivo, durante il loro percorso molte di loro si perdono. Non ci sono così tante donne nel graphic design, dunque è strano anche per i clienti perché sono abituati a parlare con gli uomini. Qualche volta, specialmente quando i committenti sono maschi anziani, preferiscono parlare con Dirk, perché sono più confidenti con l’uomo. Dirk: Abbiamo i nostri ruoli, le nostre personalità e pensiamo che quest’ultima sia la principale caratteristica individuale rispetto all’essere uomo o donna. Qualche volta, quando si creano tensioni, visto che durante la progettazione non tutto è semplice dato che ci sono dei momenti nei quali si deve discutere per eliminare le contraddizioni esistenti nel progetto e trovare un compromesso, devi essere radicale, prendere una posizione, fare delle scelte e fare in modo che il committente sia d’accordo e convinto, altrimenti il lavoro si blocca.
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È vero che ho un carattere più provocatorio, non sono impaurito dal confronto, per Evelyn invece è più complicato, ha una personalità più morbida ed essendo donna prova a capire il problema degli altri mentre a volte io non voglio entrare nella logica
A volte mi presentano come “la moglie di Dirk” degli altri. La nostra è una buona coppia, non dico che il mio ruolo sia più importante perché entrambi siamo fondamentali, è come un elastico, devi tenderlo fino al massimo e quando si arriva al momento di rottura entra in gioco Evelyn per abbassare i toni. Noi non siamo l’unica coppia di graphic designer, come ad esempio i Ramalho di cui siamo anche amici. Evelyn: Penso che in generale la donna riesca a fare più cose contemporaneamente, mentre l’uomo si concentra su di una cosa alla volta. In più gli uomini sono meno dettagliati delle donne. È molto interessante quando si lavora in coppia: uno può concentrarsi sul generale, l’altro sui dettagli. Dirk: Penso che non sia solo il fatto che io sia un uomo e lei una donna, ma viviamo insieme e abbiamo una vita privata, per molte persone è un grosso dubbio. Come si fa a lavorare con la persona con la quale vivi? Evelyn: A volte inoltre mi presentano come “la moglie di Dirk”. Si potrebbe anche pensare che lui sia mia marito.
Dirk: In architettura ci sono molte coppie. La cosa da sottolineare, secondo me, è che essendo sposati ci possano essere più contrasti. Adesso però penso che ci sia una nuova generazione di donne graphic designer che sta venendo a galla e migliora sempre più. Penso che le donne non debbano essere una specie di uomo per resistere o per sembrare più serie. Evelyn: Molti lavori da uomo sono ora svolti anche da donne, per esempio il lavoro in ufficio, e possono avere anche un ruolo fondamentale. Perché non potrebbe succedere lo stesso anche nel graphic design? Dirk: Penso anche che i committenti abbiano cominciato a pensare diversamente riguardo al lavoro che si svolge con un graphic designer. Dobbiamo capire che prima dell’era digitale c’era bisogno, non di due persone, ma di dieci. Per esempio per produrre un poster ci si mettevano tre giorni, ora tre ore, quindi servivano spazi più grandi per permettere a ciascuno di avere un sufficiente spazio di manovra. Ora basta una scrivania dove appoggiare il computer. Questo cambia sia il modo di lavorare, sia il modo di vedere il lavoro da parte dei committenti. Diventa un rapporto molto più faccia a faccia, un contatto diretto ed è per questo che secondo me sono più propensi ad accettare una donna e la sua influenza nel lavoro, perché una donna, come lo è l’uomo, è una persona, non è uno studio né una struttura. La società deve capire che l’uomo e la donna vanno premiati se dovessero meritarlo, a prescindere dal genere e dal sesso. Evelyn: non riesco a capire perché nelle scuole ci siano così poche insegnanti donne.
Dirk: Alla scuola di arti dove insegno, su venti insegnanti ci sono solo due donne. In tutte le professioni la situazione sta migliorando ma soprattutto nell’ambito scolastico per le studentesse è un buona motivazione vedere una donna che insegna. Tutti i giorni comunque ci svegliamo molto presto e andiamo a dormire molto tardi, senza pensare al fatto che siamo uomo o donna, l’importante è che lavoriamo.
Perché avete deciso di vivere e lavorare in Francia? Perché proprio a Parigi? Evelyn: Questo è il motivo per il quale ho deciso di trasferirmi in Francia: in Olanda era troppo poco stimolante, ci sono un sacco di graphic designer. In Olanda il design è visto come un lavoro. Dirk: La cosa più importante e urgente è pagare le tue bollette, le tasse, la macchina, la casa e sfrutti il fatto di essere un graphic designer. Ma in Olanda il lavoro del graphic designer è molto conosciuto: è come andare dal dottore. In Francia, invece, questa professione non è affatto conosciuta e diffusa. Evelyn: Quando dici di essere un graphic designer ti chiedono se sei un stampatore o se lavori nella pubblicità. Dirk: È interessante capire perché il modernismo non si sia diffuso in Francia ma è rimasto nei paesi adiacenti. Non è arrivato nemmeno in Italia, e nei paesi del sud Europa, né nella grafica, né nell’architettura. L’Olanda è stracolma e questo è poco stimolante.
A volte è importante mettersi in gioco. Evelyn: Io ho lavorato per un po’ di tempo in uno studio grafico olandese, ma dopo cinque anni ho deciso di andare via. Se fossi stata lì non mi sarei mai realizzata. Ero molto attratta dal lavoro grafico ma in Olanda non riuscivo a esprimermi, quindi ho trovato fondamentale arrivare qui con la mia storia, la mia cultura e le mie idee olandesi e fare una specie di fusione con la cultura francese. Fino a qualche anno fa molti svizzeri venivano in Francia, ma erano come dei missionari che venivano a dire come dovevamo svolgere il lavoro e penso che non sia una buona idea. Trovo sia più interessante confrontarsi, così nascono nuove idee. Dirk: Nasce sempre qualcosa di nuovo poiché ognuno ha un background storico diverso. Come quando i missionari andavano in Africa con la Bibbia, gli svizzeri venivano qui in Francia. Quando sono venuto qui ho adorato questo posto perché ho scoperto qualcosa di nuovo rispetto a quello che stava facendo il design olandese. I grafici olandesi progettano, ma non sono coinvolti in quello che producono, perdendo così il pensiero originale di questa professione: il voler cambiare in meglio le cose. È un po’ strano dirlo alla vostra generazione che è cresciuta con i computer e Facebook, e questa idea sta diventando sempre meno perseguita, poiché sta diventando sempre più facile lo scambio culturale. Evelyn: Qualche anno fa, quando non c’era ancora internet, gli studenti francesi erano chiusi nei negozi di libri non potendo vedere cosa succedeva nel mondo.
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Dirk: Oggi con internet tutto è cambiato e si può trovare un’enorme quantità di giovani talenti in Francia. Ma non è solo talento, è anche coinvolgimento, cosa che manca agli studenti olandesi. Evelyn: I francesi non sono mai veramente soddisfatti del risultato finale, non si accontentano. Fanno le cose sempre più complicate ma analizzano, procedono e retrocedono.
A volte rifiutiamo dei lavori, poiché se il soggetto non è interessante non ci lavoriamo Dirk: L’unico motivo per il quale siamo venuti in Francia è perché abbiamo voluto metterci in gioco. Ci sono due cose che sappiamo di questa faccenda: siamo curiosi e non siamo stupidi e crediamo di avere talento per creare e riconoscere progetti grafici rispetto ad altri che non ne capiscono.
Cosa deve avere un progetto per essere considerato di qualità? Dirk: È importante capire cosa vuol dire qualità. Si può considerare il processo di progettazione e produzione grafica come se fosse una catena. Se mettiamo tutti i pezzi del lavoro del graphic design dobbiamo partire dal soggetto. Senza il soggetto noi non lavoriamo. Se il soggetto è di buon livello, è già qualcosa di buono. Se il soggetto non è di buon livello, il lavoro è già compromesso, inizia ad essere complicato. Dopo il soggetto c’è il cliente. (Un direttore di museo non è il soggetto. È il cliente.) Evelyn: A volte sembra che i committenti si sentano il soggetto. Ad esempio possono dire “non mi piace il giallo”. Non c’è problema se a te non piace il giallo, se noi pensiamo che il giallo sia appropriato per il progetto noi usiamo il giallo.
Dirk: C’è un malinteso tra il direttore che pensa di essere il soggetto, ma non lo è poiché quando va in pensione qualcun altro sarà direttore e il museo o il teatro continueranno ad esistere. Non sono il soggetto, sono solo i clienti. Anche loro però devono essere di buon livello, poiché è necessario capirci a vicenda, così si possono fare cose veramente bene. Dopo c’è la figura del graphic designer. Se è di buon livello, hai già tre cose di buon livello, buon soggetto, buon cliente, buon designer. Se invece il designer non è bravo non otterrai mai la buona qualità. Dopo hai il fotografo, o l’illustratore o qualunque persona che contribuisca alla realizzazione grafica. Anche loro devono essere a un buon livello. È importante anche la figura dello scrittore, poiché se le tue grafiche sono belle, ma la parte testuale è scritta male, tutto il lavoro sarà terribile. Poi arriva lo stampatore. Quando la carta non è buona è un problema. Quando lo stampatore non è bravo è un problema. Se tutti
In Francia la grafica non è stata introdotta da architetti, da avanguardisti o da modernisti, ma da pittori questi hanno un livello buono, tutto avrà un livello buono. E ciò ha un impatto non solo su colui che compra, ma anche sul pubblico. Questo è molto importante. Di fatto quello che fai è portare la qualità dal soggetto al pubblico. È per questo che a volte rifiutiamo dei lavori, poiché se il soggetto
non è interessante non ci lavoriamo. Per esempio non lavoriamo in pubblicità.
Durante la vostra formazione culturale e artistica, ritenete decisive alcune influenze? Quali? Evelyn: Penso che la storia sia molto importante per conoscere cos’è successo prima di noi e per noi sono importanti gli anni 20, il Bauhaus. Ho studiato in Olanda. Il Bauhaus ha influenzato molto la cultura olandese e dei paesi del nord. Oltre al Bauhaus ci sono stati i manifesti di Toulouse-Lautrec. Per me è importante anche tutto quello che è successo negli anni 80. Quando avevo 14 anni e ascoltavo molta musica, andavo a ballare e guardavo le copertine degli album. Sapevo di voler andare in una scuola d’arte, ma non ero sicura di cosa voler fare poiché mi piaceva creare artefatti e vedere gli artwork degli album mi ha spinto ad intraprendere questa strada. Trovo interessante l’essenzialità del Bauhaus. Dirk: Penso che tutto questo sia la base da dove un designer deve iniziare: l’inizio del ventesimo secolo, partendo dalla Russia, Lissitzky e il costruttivismo russo, e arrivando in Germania, al Bauhaus, a Weimar. In Olanda c’era Piet Zwart. Le cose interessanti da sapere sono due: la prima è che si parte da un’utopia, cioè quella di creare una società migliore. Tutti sognavano una società migliore, dagli olandesi, ai russi, al Bauhaus. In secondo luogo, i pionieri del design erano architetti, (El Lissitzky, Bauhaus) e, per creare edifici, si utilizzano sassi,
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materiali, luci, movimenti, metalli, plastiche. Quando si progetta una composizione grafica, si utilizza la tipografia, la fotografia, la carta, i pieni e i vuoti. È normale utilizzare questi elementi per creare un artefatto grafico-comunicativo. Ma per noi c’è un posto più importante, ed è la Francia. È per questo che siamo qua. In Francia la grafica non è stata introdotta da architetti, da avanguardisti o da modernisti, ma da pittori, come Lautrec. Bisogna capire cosa significa quando un pittore comincia a fare graphic design. Quando a un pittore si chiede di fare un’immagine, lui disegna l’immagine. Quando crea dei caratteri, li disegna. E l’artefatto di graphic design più vicino alla pittura è il manifesto.
Cosa è fondamentale per diventare dei buoni designer?
Io, alla destra di Evelyn, con Marco e Denis, all’interno dell’Atelier ter Bekke & Behage.
Dirk: Ogni tanto ci si sente come un cow-boy, tutti che ti sparano addosso. Inoltre si guadagna sempre meno, ma i soldi non sono il principale obiettivo del lavoro, perché sei ripagato anche con la soddisfazione.
una cosa da sottolineare però è che noi non lavoreremo mai gratis, perché meno un lavoro è pagato, meno è apprezzato e valorizzato. È importante trovare il giusto prezzo. Come tu hai fatto uno sforzo per lavorare, il committente deve fare uno sforzo per pagare. Ciò che abbiamo imparato in fretta è di non fare mai le cose gratis. Se partecipiamo a un concorso, non partecipiamo se non è pagato, perché se partecipi senza essere pagato è inutile e il committente non farà lo sforzo di lavorare con te sul progetto; è come se dicesse: “fammi un regalo con il tuo talento” e poi non gli piace e butta via tutto senza spendere. Ma se sa che il lavoro svolto può costare, ad esempio, 10.000 € può non piacergli, ma cercherà un modo per migliorarlo. Sfortunatamente molti nostri colleghi decidono di lavorare gratis, distruggendo il mercato e il processo del lavoro e, soprattutto, la professionalità. Quando le associazioni vengono nella nostra scuola ad offrire un tirocinio non pagato, noi rifiutiamo, perché vogliono far lavorare molte mani gratis. Il giornalismo aiuta a dare l’input alla democrazia ma la comunicazione visiva, che è il nostro lavoro, è anch’essa importante per la democrazia e la propaganda, che può essere veramente pericolosa quando manipolata, com’è successo in Germania o in Russia o come sta facendo Berlusconi in Italia. È molto importante credere nelle giovani generazioni perché, quando io lavoravo e Evelyn studiava negli anni 80, non c’erano molti soggetti che ti coinvolgevano nella grafica. Adesso posso vedere come gli studenti, dato che insegno da vent’anni, stiano ritornando a mostrare un certo interesse e questo è un buon segno.
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“Beyond the glass cieling�
Intro “Perché agli uomini non viene chiesto come si sentono ad essere uomini designer? Forse dovremmo iniziare a chiederlo anche a loro.” Trovo particolarmente interessante introdurre il tema relativo al ruolo delle donne nel graphic design, citando una domanda che si pone Astrid Stavro in un articolo che ha curato recentemente, in cui ha intervistato alcune tra le designer donne più famose al mondo. Astrid Stavro si pone questa domanda perché stanca di sentirsi chiedere come ci si sente ad essere una “designer donna”. Effettivamente già il fatto di distinguere una professione, perlopiù creativa e progettuale, dal punto di vista del genere dell’individuo appare piuttosto strano, ma questa distinzione e discriminazione esiste ed è ben radicata nella nostra società. Negli ultimi decenni, sono diverse le progettiste grafiche che hanno lavorato attivamente e con successo, ma l’identificazione storica del genio creativo con la mascolinità ha, con poche eccezioni, impedito alle donne di ricevere il degno e meritato riconoscimento dei loro lavori negli annali ufficiali della storia del design. Ancora oggi infatti solo una piccola percentuale di donne designer godono di successo e di visibilità. Inoltre le poche donne che appaiono nella letteratura del design sono solitamente etichettate come designer in relazione al loro genere o come consumatrici di prodotti femminili, oppure sono presentate sotto il nome del loro marito, amante, padre o fratello. Come ho potuto constatare personalmente infatti, in un’intervista
che ho realizzato in prima persona a Parigi nel maggio 2013 presso l’Atelier Ter Bekke / Behage, anche Evelyn Ter Bekke mi ha confidato che spesso incontra clienti e committenti che la ricordano come “la moglie di Dirk Behage” (il marito invece viene ricordato normalmente con il suo nome e cognome). Prima di capire il motivo di questa distinzione è necessario ricordare che il problema non risiede in un’esclusione, nel corso della storia, preventiva e reiterata delle donne e del loro lavoro dalla teoria e pratica del design. Diverse donne infatti hanno contribuito a scrivere la storia del graphic design come riportato e raccontato in “Women in graphic design 1890-2012”, il problema deriva invece da una mancanza storiografica, che ha la colpa di aver omesso la maggior parte delle testimonianze riguardanti il ruolo delle donne. In questo approfondimento ho analizzato innanzitutto la storia del graphic design in rapporto alle donne, al loro ruolo e ai loro decisivi contributi, successivamente ho citato diversi articoli recenti, che cercano di analizzare e spiegare le mancanze storiografiche accennate in precedenza (l’intervista a Cheryl Buckley su tutti), anche attraverso citazioni di figure che raccontano le loro personali esperienze, fondamentali per capire il problema. Infine ho dedicato diverso spazio al ruolo che i gender studies hanno svolto in questa situazione e ho riportato diversi esempi che testimoniano la possibilità di cambiare la situazione, affinché la storiografia non commetta più l’errore di omettere informazioni soltanto sulla base del genere o del sesso degli individui che operano all’interno del graphic design.
Women in graphic design 1890-2012
Women in Graphic Design 1890-2012. Edito da Gerda Breuer, Julia Meer. Testi di Sabine Bartelsheim, Gerda Breuer, Ute Brüning, Jochen Eisenbrand, Ellen Lupton, Julia Meer, Ada Raev, Bettina Richter, Patrick Rössler, Martha Scotford, Judith Siegmund.
“Questo libro sulle graphic designer donne è stato realizzato con il difficile obiettivo di richiamare l’attenzione sulla vita e sulle conquiste delle donne in una disciplina - il graphic design che è stata osservata in modo relativo da una prospettiva di genere. Dà così un importante contributo agli studi di genere o femminili alla Bergische Universität Wuppertal, il cui approccio di genere mira a promuovere la diversità della ricerca di prospettive e integrare gli aspetti di genere nel processo di apprendimento e conoscenza scientifica come sinonimo di qualità di ricerca. [...]”. Con queste parole Christel Hornstein, coordinatrice delle uguali opportunità alla Bergische Universität Wuppertal, presenta il libro “Women in graphic design 1890-2012”, edito da Julia Meer e Gerda Breuer nel 2012. Il libro raccoglie tantissime testimonianze sul tema dei lavori e dei ruoli che le donne hanno svolto nella storia del graphic design. Come affermato nella presentazione, nonostante la storiografia ci lasci poche testimonianze che attestino un ruolo operativo e decisivo delle donne nel graphic design, il loro ruolo è stato significativo e molto importante. La co-editrice Julia Meer infatti afferma che attraverso questo lavoro di raccolta di testimonianze, articoli e significative interviste, “si rende evidente al lettore che ci sia una storia del femminismo pure, che si fonde con quella del graphic design”. Già nel primo vero movimento precursore del design moderno, il movimento Arts and Craft inglese, le donne iniziarono a essere coinvolte come vere e proprie progettatrici. Il movimento Arts and Crafts inglese fu un insieme di influenze artistiche, architettoniche e filosofiche, che, come nota lo scrittore Steven Adams, “incorporò un’ampia varietà di artisti,
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scrittori, artigiani e di donne. Alcuni dei suoi precursori erano profondamente conservatori e guardavano con nostalgia al passato medievale, mentre altri erano socialisti e ardenti riformatori”. Le donne sono citate, in quanto solitamente l’arte e la creatività sono quasi sempre state appannaggio del mondo maschile, e le donne sono sempre state considerate come figure che rifinissero i lavori, o che comunque svolgessero un ruolo piuttosto marginale e secondario nel processo di progettazione. Il movimento Arts and Crafts infatti, oltre a lavori riguardanti l’artigianato e il design del prodotto, volse decisamente lo sguardo e l’attenzione a nuovi campi come la tipografia, l’editoria, la calligrafia e l’illustrazione. Il suo stile piuttosto raffinato in contrapposizione alla nuova industrializzazione inglese che stava caratterizzando i decenni di fine ‘800 si prestava perfettamente alle caratteristiche femminili della decorazione e della sinuosità delle forme. Le donne furono ampiamente coinvolte nell’Arts and Crafts grazie alla sua apertura, motivata dall’idea che questo tipo di lavoro artistico fosse un’occupazione appropriata per una donna e che elevasse lo spirito. Se un movimento come quello Arts and Crafts fosse considerato adatto per l’inclusione di diverse donne, nei primi decenni del XX Secolo le donne faticarono a guadagnarsi l’ingresso nelle Avanguardie europee di quegli anni, come Futurismo, Costruttivismo, Surrealismo e Bauhaus. Uno dei pochi contesti che costituì un’eccezione e nel quale le donne trovarono una loro importante collocazione e svolsero un ruolo decisivo fu il Costruttivismo Russo. Nei primi decenni del Novecento infatti in Russia alcune donne, tra cui Ekster, Goncarova,
Popova, Rozanova e Stepanova, poterono mettere in mostra un eccezionale talento creativo. Come ricorda Mariella Pasinati, in Mezzocielo n. 2 (aprile-maggio 2012), però le donne erano viste in modo quasi distorto, sempre rapportate all’uomo, in base alle caratteristiche di genere e di sesso: “per definirle il poeta loro contemporaneo Benedikt Livsic usò una locuzione suggestiva ma limitante: “vere Amazzoni, cavallerizze scite”, forse anch’egli vittima, in una cultura segnata dal maschile, dell’incapacità di trovare parole adeguate a rendere conto di quelle straordinarie esperienze estetiche. Non a caso il critico d’arte Tugendkhold, sincero estimatore di Goncarova, così diceva dell’artista: “la caratteristica basilare [...] è la sua espressività mascolina, aspra, energica [...] il suo occhio maschile domina la sua poeticità femminile”. In entrambi i casi siamo di fronte alla difficoltà a confrontarsi con la differenza sessuale: essere donna e creatrice di immagini poteva risultare inconciliabile [...]. La difficoltà a confrontarsi con la soggettività femminile non avrebbe impedito, però, che sulla scena artistica venisse riconosciuta l’autorevolezza di queste donne sulla cui
“Creare arte ed esporla in un mondo di uomini richiede una certa dose di coraggio” determinazione Exter avrebbe scritto “creare arte ed esporla in un mondo di uomini richiede una certa dose di coraggio [...] specialmente se sei una giovane artista, schiacciata fra due
rivoluzioni russe!”. Donne coraggiose, dunque, che rispetto alle artiste delle avanguardie occidentali godettero di una posizione di rilievo: molto diversi furono il rapporto con i propri compagni d’arte (e di vita) e la posizione – di primo piano – all’interno dei movimenti che contribuirono a creare: il Neoprimitivismo, il Raggismo, il Cubismo, il Futurismo, il Suprematismo, il Costruttivismo, esperienze linguistiche diverse che le artiste praticarono passando liberamente dall’una all’altra, senza aderire a un unico gruppo organizzato. Ad esempio è significativo ricordare come il Bauhaus, una delle scuole più moderne e progressiste dei primi decenni del Novecento, nonostante la celebre frase di uno dei fondatori della scuola, Walter Gropius: “Non ci deve essere alcuna differenza tra il sesso più bello e quello più forte”, limitò drasticamente l’ingresso delle donne ai corsi. Per le donne accedere alla Scuola fu talmente tanto limitante che a molte di esse venne negato l’accesso ai corsi ritenuti più importanti, quali pittura, incisione e design industriale e furono quindi dirottate ai laboratori “femminili”: ceramica, tessitura, rilegatura di libri. Nonostante queste restrizioni, nel corso dei decenni centrali del Novecento alcune donne divennero celebri per i loro lavori nel design grafico. Basti pensare a Carol Devine Carson, Elaine Lustig Cohen, Barbara de Wilde, Carin Goldberg e Louise Fili tutte impegnate principalmente nella progettazione di copertine di libri. Secondo Carson il libro fu un oggetto in cui le donne poterono trovare una loro collocazione professionale sia dal punto di vista della loro creatività sia dal punto di vista della retribuzione. È soprattutto nel settore delle riviste comunque che le donne hanno
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trovato una disciplina in cui si sono potute affermare in maniera decisiva. L’esempio più importante è costituito da Cipe Pineles (23 giugno 1908 – 3 gennaio 1991), graphic designer e art director di origine austriaca, che ha trascorso la sua carriera a New York in riviste come Seventeen, Glamour e Mademoiselle. Nel 1943, Pineles diventò il primo membro femminile dell’Art Directors Club. In seguito è entrata a far parte dell’Art Directors Club Hall of Fame
“Non ci deve essere alcuna differenza tra il sesso più bello e quello più forte”
Cipe Pineles (23 Giugno 1908 – 3 Gennaio 1991) è nata in Austria e ha trascorso la maggior parte della sua carriera a New York. Nel 1943, Cipe Pineles è diventata il primo membro femminile dell’Art Directors Club.. In seguito, nel 1975, è stata introdotta nella Directors Club Hall of Fame.
nel 1975 e nel 1996 ha inoltre ricevuto la medaglia dell’AIGA. Pineles fu una sperimentatrice come dimostra la copertina di Vogue che Pineles realizzò nel 1939, in cui compose il nome della rivista con gioielli e tagliò nettamente il modello fuori dal bordo della pagina. Nel 1942 Pineles divenne art director di Glamour, una rivista di Condé Nast rivolta a donne più giovani. In questo contesto Pineles mostrò uno stile più flessibile e più popolare, in base ai principi modernisti di struttura e di astrazione: le immagini e il testo erano disposti in modo quasi giocoso. Il suo amore per il modernismo ha continuato ad evolversi nel suo lavoro come art director di Seventeen (1947-1950), Charm (19501959), e Mademoiselle (1959-1961). Si è servita parecchio della fisicità dei servizi fotografici di moda e del loro impatto a due dimensioni, utilizzando una tipografia in grado di mettere in evidenza le immagini. Considerando la rivista come
un qualcosa con una propria scala e delle proprie misure, Pineles spesso ha messo sulla pagina oggetti tridimensionali come si trattasse di una scena. Altre celebri art director di famose riviste come Rolling Stones e Esquire nella seconda metà del Novecento influenzando il graphic designe l’editorial design fino ai nostri giorni sono state Bea Feitler e Rhonda Rubinstein. Una menzione particolare merita Martha Stewart Living, probabilmente la rivista più influente degli anni ‘90, concepita e realizzata da donne. Questa rivista infatti ha avuto un notevole impatto oltreché cartaceo anche sui futuri media elettronici. Lanciata nel 1991, Martha Stewart Living ha rivoluzionato il genere della rivista di stile e arredamento. Qualsiasi successiva pubblicazione riguardante cucina, giardinaggio o decorazione, così come qualsiasi catalogo di alto livello dedicato all’arredamento per la casa, è stato costretto a confrontarsi con lo stile di Martha Stewart Living: colori tenui e organici, tipografia sovrapposta e atmosfera fotografica. Gael Towey ha contribuito a creare questo look romantico e nostalgico, che è diventato il carattere distintivo di Martha Stewart Living, e a incrementarne la tiratura che arriva oggi a 1,2 milioni di Euro. Un aspetto molto particolare che è curioso analizzare dal punto di vista di una prospettiva femminile è quello della comunicazione pubblica e politica. È interessante notare i registri stilistici e i toni utilizzati dalle donne stesse per portare avanti storiche battaglie di uguaglianza e emancipazione attraverso la comunicazione pubblica e politica. È curioso vedere le differenze dello stile visivo utilizzato in differenti epoche riguardo a un tema comune: il suffragio. Agli inizi del XX Secolo ad
Paula Scher (6 Ottobre 1948) è una designer americana grafica, illustratrice, pittrice e docente di design. Nel 1991 è diventata la prima donna a capo della sede new yorkese della società di consulenza di design, nota a livello internazionale, Pentagram.
esempio come ha fatto notare la storica d’arte Paula Harpe, i manifesti degli anni intorno al 1910 tendevano ad essere conservatori nella loro retorica e soprattutto nel loro stile visivo, i manifesti “non mirano tanto ad agitare quanto a rassicurare”. Molte femministe ottocentesche invece avevano preso una posizione completamente diversa, rivoluzionaria contro le norme e le istituzioni della società. A differenza del movimento di inizio Novecento, il movimento femminista degli anni ‘60 e ‘70 è sempre stato visto come un fenomeno di controcultura, incluso nel generale contesto di protesta per i diritti civili, contro la guerra in Vietnam e la rivoluzione studentesca e sessuale. In questo contesto i manifesti realizzati ricordano di più sicuramente quelli delle proteste ottocentesche, anche se con slogan e immagini più dichiarati e radicali. Una delle figure più importanti e decisive in quanto a conquiste professionali nel campo del graphic design per le donne è senza dubbio Sheila Levrant de Bretteville. Nel 1971, de Bretteville fondò il primo programma di design per le donne, presso il California Institute of the Arts, e due anni dopo ha co-fondato la Woman’s Building, un centro pubblico di Los Angeles dedicato all’istruzione e alla cultura delle donne. Nel 1973, de Bretteville fondò il Women’s Graphic Center e co-fondò il Feminist Studio Workshop (insieme a Judy Chicago e Arlene Raven). Nel 1980 ha avviato il programma di design della comunicazione presso l’Otis College of Art and Design. Inoltre diverse donne hanno agito nel settore del design grafico inteso come mezzo di sensibilizzazione sociale, come Marlene McCarty, e nel settore delle identità di istituzioni culturali o di eventi. A tal proposito è
bene ricordare il lavoro di Paula Scher, che nel 1991, come riportato in Women
Paula Scher nel 1991 divenne l’unica donna della società internazionale di design Pentagram in graphic design 1890-2012” divenne l’unica donna tra più di una dozzina di uomini, partner della società internazionale di design Pentagram, facendo di lei quella che lei stessa ha chiamato “l’unica ragazza della squadra di football. Questo non fece di me una cheerleader ma un uguale giocatrice in un team di pesi massimi”. In Pentagram Paula Scher ha portato un livello di visibilità e peso culturale praticamente irraggiungibile per una donna che lavora da sola, mentre, il suo nuovo approccio, energico, ha costituito un punto di forza per Pentagram, la cui reputazione si incominciò a stabilizzare. Molte delle donne di cui abbiamo già discusso in questo saggio come professioniste che hanno cambiato la storia del graphic design hanno anche ricoperto ruoli accademici e didattici piuttosto significativi, tra cui Cipe Pineles, che hanno insegnato nel corso del 1960 alla Parsons School of Design e Sheila Levrant de Bretteville, che nel 1990 divenne direttrice del programma di graphic design presso la Yale University School of Art. La nomina di De Bretteville a Yale segnò l’inizio di un cambiamento e di una spaccatura all’interno del mondo del graphic design. Alla fine degli anni ‘50, a Yale era molto radicata la teoria modernista, derivante in particolare
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dal lavoro e dalla filosofia di Paul Rand (New York, 16 agosto 1914 – Norwalk, 26 novembre 1996), celebre designer del XX Secolo. De Bretteville arrivò a Yale proponendo un approccio critico, più impegnato socialmente e orientato a una progettazione tesa a soddisfare le esigenze del pubblico. Rand, in seguito alla nomina di de Bretteville, si è dimesso e ha convinto altri importanti docenti a fare altrettanto. In un manifesto pubblicato dall’AIGA Journal of Graphic Design, Rand si scaglia contro la violazione del modernismo. Dietro ogni sfida al modernismo si trovava una donna importante: Paula Scher era contro lo storicismo, dietro il decostruttivismo vi era Katherine McCoy e Sheila Levrant de Bretteville era contro l’attivismo. Proprio Katherine McCoy, co-direttrice del corso di design presso la Cranbrook Academy of Art di Bloomfield Hills, Michigan, 1971-1995, risultò fondamentale nel proporre un nuovo modello di approccio alla tipografia definito da lei stessa e dai suoi studenti ‘tipografia come discorso’. Gli ultimi campi in cui si descrive il ruolo della donna, in “Women in graphic design 18902012”, sono il settore museale e il più moderno settore del digitale. Per quanto riguarda il settore museale Mildred Friedman è stata probabilmente la figura che è emersa di più tra le donne. Design director presso il Walker Art Center di Minneapolis dal 1970 al 1991, nel 1989 ha curato la prima mostra su larga scala di graphic design negli Stati Uniti, un evento che ha notevolmente ampliato la conoscenza pubblica del graphic design negli USA. Dal punto di vista del digital invece una delle designer di maggiore visibilità è stata Elaine Bass, ricordata spesso come la moglie del grande Saul Bass con il quale, a partire dal 1960,
ha realizzato dei capolavori di title design per film celebri come Cape Fear di Martin Scorsese. Attualmente infine molte donne stanno eccellendo nella progettazione di interfacce digitali e di media elettronici, tra cui Burns Red, capo del programma di Tecnologia Interattiva della New York University, Jessica Helfand, critica e designer di media interattivi e Loretta Staples, che è a capo della “U dot I”, specializzata in progettazione di interfacce grafiche (GUI). A tal proposito è interessante notare come questo settore sia considerato tradizionalmente un settore adatto alle donne, spesso associate a lavori di mediazione e di interfaccia. Questa veloce panoramica che attraversa la storia del graphic design e ne osserva l’evoluzione da una prospettiva femminile non vuole essere una sintesi di secoli di storia. Si tratta soltanto di un percorso storiografico che accenna alla biografia e al ruolo decisivo che hanno svolto solo alcune tra le figure femminili più celebri, ma che sicuramente non va considerato esaustivo in quanto le donne che hanno contribuito a scrivere la storia del graphic design sono molte di più di quelle citate qui. Questa presentazione si pone come un documento, una sorta di attestazione del fatto che il graphic design è una disciplina in cui anche moltissime donne hanno giocato un ruolo fondamentale e decisivo. Quello che ora ci interessa capire è perché, nonostante siano parecchie le graphic designer ad aver avuto un ruolo fondamentale nel corso della storia, sussista ancora una sorta di preclusione per le donne e capire il motivo per il quale, ad eccezione della raccolta “Women in graphic design 1890-2012” i lavori della donna in questo settore siano sempre stati un po’ messi in disparte.
Beyond the glass ceiling Sempre in “Women in Graphic Design 1890-2012”, Astrid Stavro propone una riflessione intitolata “Beyond the Glass Ceiling: An Open Discussion” e condita da diverse interviste a famose designer contemporanee, che raccontano le loro esperienze in rapporto al graphic design in quanto donne. Mia Frostner racconta: “un esempio che ho ritenuto essere degno di nota è stato quando il Royal College of Art a Londra stava cercando un nuovo membro della Communication Art Departement e tutti gli otto candidati nominati erano uomini. Forse nessuna donna aveva fatto richiesta, non ne sono sicura, ma è stato significativo che sembrò che nessuno avesse notato questa dominanza maschile nei dibattiti seguenti all’evento”. Astrid Stavro racconta: “Cinque anni fa, Michael Bierut fu moderatore di un panel con Milton Glaser, Chipp Kidd e Dave Eggers chiamato “The Art of the Book: Behind the Covers”. Dopo le presentazioni una delle domande del pubblico per tutti gli uomini del panel fu: “Perché tutti voi supponete che ci siano così poche graphic designer donne, o così poche donne famose nel graphic design?” Milton Glaser rispose che il motivo era: “Le donne rimangono incinte, hanno figli, stanno a casa e si prendono cura dei loro figli. E in quegli essenziali anni in cui gli uomini stanno costruendo la loro carriera, le donne decidono (per forza di cose) di stare a casa”. Questo fu pubblicato online in “Design Observer”, in un articolo intitolato The Graphic Glass Ceiling. Dopo aver descritto cosa è fondamentale per diventare una celebrità nel design, Michael Bierut scrive che “l’osservazione di Milton Glaser fu scioccante solo nella sua chiarezza”. Quello che fu scioccante non ha niente a che fare con il commento di Glaser, o con la maternità, o con i diversi
commenti della gente che sembrava dimenticarsi il nocciolo della questione. La cosa scioccante è il fatto che, con l’aumentare del numero di eccezionali donne designer nel campo
“Le donne rimangono incinte, hanno figli, stanno a casa e si prendono cura dei loro figli” delle pubblicazioni, nessuna di loro fu presente in “Behind the covers”. Questa situazione preoccupante dimostra il fatto che, nonostante le idee come quella di Milton Glaser secondo cui le donne “sprecano” o hanno impegnato il loro tempo accudendo e facendo crescere i figli e dunque sacrificando la carriera, questi stereotipi portano inesorabilmente a condizionarne il ruolo e la considerazione. In “Beyond the Glass Ceiling: An Open Discussion” inoltre vengono fatte delle riflessioni interessanti riguardo a questo aspetto: perché le donne hanno meno fama e successo degli uomini? A tal riguardo le designer interpellate rispondono in maniera differente. Paula Scher ad esempio riflette sul rapporto tra successo e fama: il successo secondo la designer infatti è una condizione basata sul merito, mentre la fama deriva dalla visibilità pubblica o politica dell’individuo: “Ci sono molte donne di successo nel design. Stai confondendo «successo» con «fama». I designer diventano famosi parlando alle conferenze. Molte donne hanno figli e non hanno tempo per questo. Recentemente molte donne designer, i cui figli sono adesso cresciuti, hanno
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avuto il tempo per parlare alle conferenze, e come risultato sono diventate più famose. La maggior parte degli uomini che sono speaker alle conferenze hanno le loro mogli a casa con i figli. È per questo che diventano famosi”. La Frostner invece fa un confronto in cui ammette che “ci sono senza dubbio più designer uomini famosi. Da una certa età, anche piuttosto giovane, i ragazzi sono incoraggiati a essere ascoltati più delle donne. C’è anche da citare lo stereotipo secondo cui le qualità maschili sono spesso considerate più desiderabili. Io penso
“Ci sono molte donne di successo nel design. Stai confondendo «successo» e «fama». I designer diventano famosi parlando alle conferenze” che la celebrità per se stessi non sia desiderabile e non dovrebbe essere confusa con il successo”. Ancora, Marieke Stolk, di Experimental Jetset, parlando della situazione attuale in Olanda, dove vive e lavora, afferma: “La celebrità non è certamente una condizione maschile, specialmente non dentro il contesto olandese. L’icona del graphic design contemporaneo in Olanda adesso è sicuramente Irma Boom, mentre la più conosciuta product designer è probabilmente Hella Jongerius. Il fotografo contemporaneo olandese più famoso è ancora una donna: Rineke Dijkstra, mentre Marlene Dumas è probabilmente la più famosa artista che sta lavorando
adesso ad Amsterdam. La persona più conosciuta nel cinema olandese adesso è l’attrice Catrice van Houten, mentre in pubblicità, la “trendwatcher” Lidewij Edelkoorts è un nome importante. In altre parole, penso che la «celebrità» possa essere uno stato tanto per le donne quanto per gli uomini.” Infine, simile al pensiero della Frostner, Liza Defossez Ramalho descrive l’approccio all’autoreferenzialità come qualcosa di diverso in base al genere dell’individuo: “Le donne non si promuovono bene quanto gli uomini e le persone hanno più fiducia negli uomini”. Da queste riflessioni è possibile dedurre che, nonostante diverse donne famose abbiano fiducia nel proprio genere e sesso considerandolo alla pari dell’altro o addirittura più celebre come afferma Marieke Stolk sulla situazione olandese, molte donne hanno ancora l’idea ben radicata di una differenza troppo marcata tra loro e gli uomini. Una differenza d’approccio, di promozione di sé stessi, che nasce talvolta dalla mancanza di modelli e dalla mancanza di coraggio. Sempre la Frostner ammette: “Ho sempre pensato a come tutti i bravi graphic designer fossero uomini. È un peccato che la storia del graphic design sia scritta in questo modo. È impossibile dire come sarebbe avere più modelli di riferimento femminili, ma probabilmente mi avrebbe reso una donna più sicura di me stessa e tranquilla nella mia professione.” La domande iniziale di Astrid Stavro talvota disturba l’interlocutrice a cui viene posta. innanzitutto perché la si discrimina a priori e inoltre anche perché questa domanda presuppone sempre quell’idea retrograda che la carriera professionale di una donna è e sarà sempre in qualche modo
preclusa a causa della sua natura di possibile mamma. Questo è sicuramente un aspetto da prendere in considerazione e da non ignorare. La possibilità per una donna di avere un figlio è un fatto reale, il fatto che questa possibilità possa limitarne la carriera è un pensiero piuttosto ridicolo e bigotto. Prendiamo come esempio le parole di Sonya Dyakova: “Avevo appena avuto un bambino e questo ha cambiato radicalmente la mia vita. La decisione di avere un figlio è personale. Credo sia assolutamente possibile avere successo pur avendo un bambino, e spero di continuare a raggiungere i miei obiettivi, ma ve lo dirò più avanti. Avere un bambino è una grande responsabilità e l’ho affrontato come un altro importante passo della mia vita. Devi mettere te stessa al 100%. Se sei una che ci mette l’anima tutto è possibile”. Inoltre in quanto uomo, trovo necessario aggiungere che la parità dei sessi e il riconoscimento delle stesse opportunità sia per gli uomini che per le donne deve necessariamente passare da una complementarietà all’interno delle mura domestiche e fuori da queste. È impensabile distinguere e differenziare su livelli diversi due individui solo perché di generi diversi. “Gli individui vanno giudicati sulla base dei loro meriti in quanto persone, non in quanto uomo o donna”, così mi spiegò personalmente il suo pensiero Dirk Behage, marito di Evelyne Ter Bekke. Tra di loro ad esempio la complementarietà che si è creata nei rapporti con i committenti, con Dirk più loquace e diretto e Evelyne più discreta e diplomatica, è diventata un punto di forza e del loro lavoro e del loro rapporto extra-professionale. A tal proposito concludo questo variegato capitolo, frutto di differenti prospettive sempre derivanti da un
punto di vista femminile, con una risposta tanto diretta quanto senza replica che Kerr Smith prova a dare alla domanda che spesso viene fatta alle donne designer, “Come ci si sente ad essere una designer donna?”. Kerr Smith risponde: “Mi fanno spesso questa domanda e forse è curioso aver accettato di fare questa intervista e al tempo stesso essere così infuriata per questa domanda. Non sono mai stata un uomo, non ho idea di come ci si senta ad essere «una designer donna». So come ci si sente a essere una designer. Questo non è negare che il mio genere contribuisca a definire una larga parte di quello che sono, ma è un elemento di un qualcosa di più complesso”. Perché il design e la creatività sono stati considerati per secoli come sinonimi di mascolinità? Perché nonostante lo straordinario lavoro di Julia Meer e Gerda Breuer in “Women in graphic design: 1890-2012” le testimonianze e le informazioni sul lavoro delle donne nel graphic design sono state quasi sempre omesse? “Perché”, come chiede Astrid Stavro,
“Non sono mai stata un uomo, non ho idea di come ci si senta ad essere una designer donna” “agli uomini non viene chiesto come si sentono ad essere uomini designer?” In parte, alcune di loro hanno provato a rispondere a queste domande, raccontando le loro esperienze direttamente connesse al tema del rapporto uomo-donna-design.
Stats
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45% 55%
97% 3%
Nel primo grafico a fianco: le percentuali di laureati nel 2011, sulla base del sesso, in facoltĂ di design. Nel secondo grafico: le percentuali di quanti uomini e quante donne sono art director. Il 55% dei laureati sono donne ma solo il 3% raggiungono il ruolo di art director.
53% 12% 35%
Design of the year, Exhibition at the Design Museum London: di tutti i progetti esposti solo il 12% ha coinvolto esclusivamente donne, il 53% ha visto coinvolti esclusivamente uomini e il restante 35% ha coivolto ambo i sessi.
Il punto di vista di Cheryl Buckley Ora vediamo invece una nuova analisi e diagnosi del problema da un punto di vista più generale, analizzando aspetti storiografici che spiegano le cause più o meno profonde che hanno portato a questa situazione. Proviamo a rispondere alle domande poste precedentemente e a quella di Astrid Stavro citando un articolo di Cheryl Buckley, docente di Storia del Design alla Northumbria University, Visiting Professor di Storia del Design allo Smithsonian Cooper-Hewitt Museum National Design e alla Parsons School of Design di New York. Cheryl Buckley infatti nell’articolo “Made in Patriarchy: Toward a Feminist. Analysis of Women and Design”, estratto da Design Issues, Vol. 3, N. 2 (Autumn), The MIT Press, Cambridge 1986, tradotto da Marinella Ferrara ed Elena Guazzone, prova a fare una diagnosi profonda del problema, dal punto di vista storico e storiografico e infine propone anche delle possibilità e delle soluzioni per migliorare e risolvere questa condizione. In questo articolo Cheryl Buckley sostiene che la responsabilità del ruolo subalterno e della condizione precaria che ha caratterizzato per secoli il panorama delle donne impegnate nel design derivi da un sistema di patriarcato su cui si è basata la società nel corso degli ultimi secoli. Cheryl Buckley sottolinea inoltre che la costruzione del concetto di “femminile”, già di per sé discriminante, deriva da secoli in cui il patriarcato ha circoscritto le possibilità della donna di partecipare pienamente a tutte le aree della società, e più specificatamente in tutti i settori del design. In questi secoli e in questo sistema è stato invece messo in luce il lavoro domestico e le attività non professionali come aree cruciali
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della storia della donna, creando stereotipi secondo cui certe occupazioni e certi ruoli fossero come inappropriati per le donne. Ecco dunque che Cheryl Buckley trova le cause di questa esclusione preventiva o di questa distinzione
Il patriarcato ha circoscritto le possibilità della donna di partecipare pienamente a tutte le aree della società nei confronti delle donne nel sistema patriarcale che ha retto la società occidentale per secoli. Il patriarcato è risultato dunque decisivo nel definire il quadro di riferimento per il ruolo delle donne come designer. In secondo luogo viene espresso il rammarico verso il trattamento che gli storici in generale e gli storici della teoria e della pratica del design hanno riservato alle donne. È impensabile credere che la scarsa documentazione storica sui lavori che le donne hanno svolto nel design e che hanno contribuito a migliorare sia uno specchio della realtà. Abbiamo infatti visto in precedenza gli innumerevoli casi di donne coinvolte nel processo di progettazione grafica e i loro importanti contributi sia operativi che accademici. Le donne inoltre sono state coinvolte nel design in vari modi: come professioniste, teoriche, storiche ma anche come consumatrici e oggetti di rappresentazione eppure i metodi storiografici specifici ne hannoquasi sempre omesso la maggior parte dei dati e delle informazioni.
Le poche donne, che hanno occupato ruoli nel mondo del design inoltre, hanno pagato metodi storiografici basati sul patriarcato, e di conseguenza discriminanti. Ad aggravare questa omissione, le poche donne che appaiono nella letteratura del design sono prese in considerazione all’interno del contesto di pensiero del patriarcato; esse sono etichettate come designer in relazione al loro sesso o come consumatrici di prodotti femminili, oppure sono rese presenti sotto il nome del loro marito, amante, padre o fratello. Un altro aspetto curioso e importante dell’articolo di Cheryl Buckley
Le donne sono etichettate spesso come designer in relazione al loro sesso, oppure sono presentate sotto il nome del loro marito, amante, padre o fratello di conseguenza più importanza e visibilità ad alcune di queste aree rispetto che ad altre. Inoltre classificando le varie tipologie di design si etichettano in qualche modo anche i due sessi, inserendoli in determinate aree di progetto e escludendoli l’uno dall’altro. Come Parker e Pollock hanno discusso nel loro libro Old Mistress: Women, Art and Ideology, “Conoscere la storia della donna in relazione all’arte è in parte rappresentare il modo in cui è stata scritta la storia dell’arte. Per spiegare i valori fondanti, le
è l’associazione che viene fatta tra il patriarcato e il capitalismo: questo rapporto è risultato decisivo nella definizione della cornice entro cui relegare il ruolo delle donne anche nell’ambito del design. Gli interventi delle donne nel design sono stati ignorati dalla storiografia, poiché abituata a metodi che hanno da sempre classificato le varie tipologie di design, attribuendo di conseguenza più importanza e visibilità ad alcune di queste aree
“Bisogna comprendere il modo in cui le artiste femmine sono note e descritte nella storia dell’arte: è cruciale per quanto riguarda la definizione di arte e di artista nella nostra società.” rispetto che ad altre. Inoltre classificando le varie tipologie di design si etichettano in qualche modo anche i due sessi, inserendoli in determinate aree di progetto e escludendoli l’uno dall’altro. Come Parker e Pollock hanno discusso nel loro libro Old Mistress: Women, Art and Ideology, “Conoscere la storia della donna in relazione all’arte è in parte rappresentare il modo in cui è stata scritta la storia dell’arte. Per spiegare i valori fondanti, le ipotesi, i silenzi e i pregiudizi, bisogna comprendere che il modo in cui le artiste sono note e descritte è cruciale per quanto riguarda la definizione di arte e di artista nella nostra società.”
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È interessante notare come l’etichetta di “femminile” che viene data a una tipologia di lavoro, fosse un settore del design oppure no, coincide spesso con uno stereotipo che rende lo stesso lavoro dequalificato. Questa situazione
In una società industriale avanzata in cui la cultura è considerata superiore alla natura, i ruoli maschili sono visti come più culturali che naturali; i ruoli femminili sono considerati all’opposto presuppone un pregiudizio ben radicato nella nostra società che è solito far coincidere, generalmente, il lavoro femminile con un territorio secondario e relativo. I problemi legati al patriarcato, le conseguenti mancanze storiografiche sul tema delle donne nel design e sulla loro distinzione di genere, antropologica e sociale sono racchiusi in questa diagnosi fatta da Cheryl Buckley, nella quale si parla anche del rapporto tra patriarcatocapitalismo e della distinzione delle varie categorie del design: “[...] per esempio al design industriale è stata data più importanza che al design dei tessuti lavorati a maglia. Le ragioni di questa distinzione sono complesse. In una società industriale avanzata in cui la cultura è considerata superiore alla natura, i ruoli maschili sono visti come più
culturali che naturali; i ruoli femminili sono considerati all’opposto. Come conseguenza della loro capacità di riproduzione biologica e dei loro ruoli, all’interno del patriarcato, di cura e nutrimento della famiglia, le donne sono viste come vicine alla natura. Come ha sostenuto Sherry Ortner, “femminile sta a maschile come natura sta a cultura”. Anche le designer donne, che attraverso il processo progettuale trasformano la natura in cultura, sono legate alla loro biologia dalle ideologie patriarcali, che considerano la loro abilità nel design come una conseguenza del loro sesso, come naturale e innata. Si crede che le donne posseggano abilità specifiche del loro sesso che determinano la loro bravura nel design; esse sono, apparentemente, accorte, meticolose e decorative. Queste attitudini significano che le donne sono considerate come fatte su misura per certe aree del design, vale a dire le cosiddette arti decorative, che comprendono attività come la gioielleria, il ricamo, l’illustrazione grafica, la tessitura, il lavoro a maglia, la ceramica e la moda. Tutte queste attività sono considerate per natura femminili; i prodotti di design che ne risultano sono indossati o prodotti dalle donne, essenzialmente per assolvere ai loro compiti domestici. Significativamente, gli uomini possono essere designer di vestiti, tessuti o ceramiche, ma in primo luogo le attività di design vanno ridefinite. La moda, per esempio, è sempre stata vista come un’area “naturale” in cui la donna poteva lavorare. È stato visto come un ovvio veicolo della loro femminilità, del loro desiderio di decorare e della loro ossessione di apparire. Il fashion design, comunque, è stato ritenuto appropriato per designer uomini che erano considerati geni –
Christian Dior, Yves Saint Laurent e, più di recente, Karl Lagerfeld. La moda, come processo di design, è pensata per trascendere le abilità sessualmente specifiche come l’accuratezza, la pazienza e la capacità decorativa associata alla moda. Invece, richiede immaginazione creativa e business aggressivo e capacità commerciali che sono parte dello stereotipo maschile. Questo definire le abilità delle donne nel design secondo la loro biologia è rafforzato dalle nozioni di maschile e femminile costruite dalla società, che assegnano a donne e uomini differenti caratteristiche. Sonia Delaunay, pittrice e designer, è ricordata dagli storici per
“Qualche volta ci si chiede perché un ragazzo sia più interessato al tuo sedere piuttosto che al tuo lavoro” la sua percezione istintiva del colore, mentre a suo marito, Robert, è stato attribuito il merito di aver formulato una teoria sul colore. Robert Delaunay rappresenta lo stereotipo di uomo come logico e intellettuale, Sonia rappresenta lo stereotipo di donna come istintiva ed emozionale [...].” La diretta conseguenza di questa situazione, cioè dell’interazione tra patriarcato e design, è il fatto che si sia stabilita una gerarchia di valori e capacità basata sul sesso. In un patriarcato, le attività dell’uomo sono infatti tenute più in considerazione rispetto a quelle della donna. Emblematico il caso di Verena Gerlach, tedesca, residente e lavoratrice a Berlino, trentottenne, disegnatrice di
caratteri tipografici. In un’intervista realizzata da Soili Semkina e tradotta da Francesca Pischedda, nel 2012, afferma: “Il mio mestiere è ancora un campo dominato dal maschio bianco eterosessuale. Senti ogni sorta di assurdità; un tipografo svizzero ha detto che le donne non sono brave come gli uomini perché finiscono sempre con una gravidanza. Qualche volta ci si chiede perché un ragazzo
La pubblicità crea sia un uso ideale del prodotto, sia un consumatore ideale sia più interessato al tuo sedere piuttosto che al tuo lavoro, anche se la maggior parte dei miei colleghi sono molto gentili. [...] Mi chiedevano dove fossero le donne, così decisi di essere un modello e mostrare che esistono anche designer donne [...] Mi sono tenuta in contatto con molte grandi designer e ci sono già state molte collaborazioni». Verena Gerlach ha inoltre creato un sito internet, Typeladies, che è una piattaforma aperta dove le designer di tutto il mondo possono presentare i loro lavori. Abbiamo dunque analizzato il problema storiografico riguardante l’attribuzione di un determinato lavoro a un determinato genere e la conseguente gerarchia che si crea tra i vari settori di un’area generale comune come quella del design. È necessario però ricordare anche che questo non è stato l’unico aspetto ad aver contribuito alla discriminazione della donna e alla creazione di diversi stereotipi intorno alla sua figura. La rappresentazione dei bisogni della donna, in quanto consumatrice, e
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l’utilizzo che si è fatto della figura femminile in pubblicità ha contribuito a relegare la donna in disparte e a collocarla su un livello inferiore, subordinato e dipendente. Sempre nel suo articolo Cheryl Buckley fa questa attenta riflessione: “Come ha detto Jane Root riguardo alla rappresentazione delle donne nella pubblicità televisiva, «Le donne sono spesso rappresentate come assurdamente entusiaste per dei prodotti molto semplici, come se un nuovo tipo di detergente per i pavimenti o di deodorante potesse davvero fare differenza nella loro vita». La pubblicità crea sia un uso ideale del prodotto, sia un consumatore ideale. Le realtà del prodotto e del consumatore non sono importanti se confrontate con una fantasia di maggior impatto, l’immagine di un’immacolata cucina con una superdonna al comando, si abbina perfettamente al ruolo della moglie perfetta e della donna in carriera.
In molte occasioni il gruppo si è servito del design per giustificarne lo stile visivo e renderlo accettabile all’opinione pubblica Come la televisione e il cinema, anche la pubblicità si è appropriata del corpo delle donne. Le donne sono oggetti da guardare; esse sono oggetti, con un sesso, il cui status è determinato da come si presentano fisicamente. “Queste pubblicità aiutano ad approvare la forte attitudine maschile che le donne siano corpi passivi da guardare
costantemente, in attesa che il loro ‘richiamo’ si scontri con il desiderio sessuale maschile”. Il fatto che le donne siano viste e considerate in questo modo è una diretta conseguenza di due aspetti secondo Cheryl Buckley. In primo luogo come abbiamo visto i codici culturali delle donne derivano dal patriarcato. Le loro aspettative, i loro bisogni e desideri, sia come designer che come consumatrici, sono costituiti in un patriarcato che, già in partenza, stabilisce il ruolo della donna come dipendente e assoggettato. Il secondo punto, più profondo e importante risiede nel fatto che il design è stato spesso utilizzato per legittimare questo processo di codificazione culturale. Il design è stato spesso utilizzato per definire se qualcosa fosse bello o brutto, di buono o di cattivo gusto, esclusivamente sulla base dell’estetica del tempo e in molte occasioni è stato il gruppo dominante a servirsi del design per giustificarne lo stile visivo e renderlo accettabile all’opinione pubblica del suo tempo. Come ha spiegato Rosalind Coward, questa è infatti “nient’altro che l’espressione individuale del gusto della classe dominante e la particolare idea promossa da questa classe”. Cheryl Buckley termina questa sua profonda e dettagliata analisi proponendo una soluzione al problema, affinché possano cambiare innanzitutto i metodi storiografici riguardanti il design grafico e in secondo luogo il pensiero stereotipato che avvolge il tema del rapporto tra donne e graphic design: “Le donne e il design come soggetto di studi sottolineano un’intera serie di fatti e problemi che devono essere confrontati dagli storici se si vuole articolare una storia del design femminista. Il desiderio di una storia del design femminista diventa
sempre più urgente man mano che ci rendiamo conto della pochezza della storia di donne e design che è stata presa come nozione patriarcale delle abilità delle donne come designer, della stereotipata percezione dei bisogni delle donne come consumatrici e della rappresentazione basata sullo sfruttamento del corpo della donna nella pubblicità. È cruciale che queste analisi storiche della donna e della loro relazione con il design siano basate sul femminismo. Senza il ricorso alla teoria femminista per delineare l’azione del patriarcato, e alla storia femminista per tracciare il passato delle donne, è impossibile comprendere pienamente il modo in cui le donne interagiscono con il design e il modo in cui gli storici hanno registrato questa interazione. Le intenzioni di analizzare il coinvolgimento delle donne con il design che non si confrontano con il genere, con la divisione del lavoro in base al sesso, con i pregiudizi sulla femminilità e con la gerarchia esistente all’interno del design, sono destinate a fallire”. Sul finire del suo articolo Cheryl Buckley cita il gruppo di architetti femministi Matrix, che sostiene che il ruolo della donna all’interno degli spazi urbani e domestici derivi da lavori di architetti e ingegneri che hanno sempre organizzato gli spazi secondo valori patriarcali. Matrix ha dunque voluto mettere in mostra che le donne che vogliono diventare architetto prima o poi dovranno fare i conti con questa situazione e adottare un punto di vista simile a quello dell’uomo, che a sua volta deriva dal patriarcato. Questa situazione di passaggio di codici e valori patriarcali di decennio in decennio, di generazione in generazione, pare un circolo vizioso difficile da cambiare, al quale si è abituati e che si è soliti accettare.
L’importanza dei Gender Studies
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La situazione inizia a migliorare con la nascita tra gli anni Settanta e Ottanta nel Novecento dei Gender Studies e la loro diffusione prima in Nord America e poi in Europa Occidentale. I Gender Studies hanno infatti contribuito a migliorare visibilmente la condizione professionale della donna nel design
di oppressione razziale ed etnica, allo sviluppo delle società postcoloniali e della globalizzazione”. Un aspetto molto importante dei Gender Studies è la distinzione che questi hanno tracciato per quanto riguarda il concetto di genere e il concetto di sesso.
Il sesso, è un qualcosa di innato, riferito all’aspetto biologico di un individuo, mentre il genere, è un concetto culturale
La diffusione dei Gender Studies è differente a seconda delle zone geografiche: nei Paesi anglosassoni l’attenzione ai Gender Studies è stata maggiore rispetto ai Paesi del Sud Europa come Italia, Grecia e Spagna
e a proporre un approccio nuovo a diverse discipline. Come scritto da Marinella Ferrara in un articolo per Pad Journal nel giugno 2012, “gli Studi di genere si sviluppano a partire da un certo filone del pensiero femminista e trovano spunti fondanti nel poststrutturalismo e nel decostruzionismo francese, negli studi che uniscono psicologia e linguaggio e in una prospettiva postlacaniana. I Gender Studies non costituiscono un campo di sapere a sé stante, ma una modalità di interpretazione dei diversi aspetti della vita umana, della formazione delle identità e del rapporto tra individuo e società e tra individuo e cultura. Per quanto detto sono applicabili a qualunque branca della conoscenza. Negli anni Settanta e Ottanta la diffusione dei Gender Studies è stata caratterizzata da un intento di attivismo politico connesso alla condizione femminile e teso all’emancipazione sociale, ma anche connesso a quella degli omosessuali e di altre minoranze etniche e linguistiche in relazione a problematiche di discriminazione,
Questi due concetti non coincidono, dal momento che uno, il sesso, è un qualcosa di innato, riferito all’aspetto biologico di un individuo, mentre l’altro, il genere, è un concetto culturale, il riflesso delle convenzioni sociali e della cultura di uno specifico luogo in un determinato momento, dunque in continua evoluzione. I Gender Studies si sono rivelati fondamentali nel sostenere e proporre un modello d’approccio al design o a qualunque altra disciplina che tenga conto dell’uguaglianza dei generi, e delle differenze socio-culturali d’appartenenza. In questo modo lo studio che adotta questo tipo di approccio può proporre un modello di osservazione, analisi, ricerca e progettazione più eterogeneo, che tenga conto di prospettive differenti e
che finalmente si distacchi da un modello retrogrado come quello tipico del patriarcato. Sempre nel suo articolo, Marinella Ferrara spiega: “fondamentale è stato il lavoro svolto da Judy Attfield, Cheryl Buckley e Pat Kirkham, riconosciute come le maggiori teoriche del design in relazione ai Gender Studies, alle quali si deve non solo una mappatura di opere e biografie di donne designer e artigiane, ma soprattutto la rivendicazione del ruolo della donna e della specificità della creatività e progettualità femminile nei contesti socioculturali in cui si è espresso il design, segnando il passaggio da un women designer approach a un feminist approach, come sostiene Judy Attfield (1989). L’approccio femminista ha esplicitato la necessità di mettere in discussione i paradigmi culturali della cultura moderna che ha escluso l’attività delle donne dalla sfera pubblica della produzione e del design, per relegarle nella sfera privata della cura e della riproduzione”. È importante sottolineare il lavoro che hanno portato avanti alcune figure, come Ellen Lupton che ha analizzato i segni, le immagini e gli artefatti comunicativi delle pubblicità, del visual design e dei prodotti di largo consumo. Queste ricerche svolte negli anni Novanta, anche grazie al ruolo che hanno svolto i Gender Studies in precedenza, hanno indagato sul ruolo subordinato della donna nella società dei consumi: la donna è consumatrice di prodotti, l’uomo è colui che disegna questi prodotti. Sono anche queste alcune tra le cause che costruiscono l’identità di genere e la conseguente discriminazione di genere. Queste ricerche e analisi dimostrano come negli ultimi decenni il design, soprattutto grazie ai Gender Studies
abbia avuto il merito di elaborare idee, metodi e approcci provenienti da altri ambiti come la storia, la geografia, la politica, la linguistica, la psicologia. Tuttavia la diffusione dei Gender Studies è differente a seconda delle zone geografiche: nei Paesi anglosassoni ad esempio l’attenzione ai Gender Studies è stata maggiore rispetto ai Paesi del Sud Europa come Italia, Grecia e Spagna. Il motivo di questa differenza prova a cercarlo ancora una volta Cheryl Buckley, che in un’intervista a Marinella Ferrara, afferma: “Non ho una chiara opinione sul motivo per cui questo sia accaduto, particolarmente nel caso dell’Italia nonostante il suo forte impegno nella disciplina del design. La natura secolare dei paesi anglosassoni è probabilmente un fattore che spiega il perché del maggiore sviluppo dei Gender Studies, come lo sono le circostanze specifiche della sua storia e della sua politica. Italia, Grecia e Spagna, per esempio, hanno avuto prevalentemente dei regimi politici di destra prima o nel dopoguerra; si potrebbe argomentare che per tali motivi le idee di giustizia sociale – come quelle che stanno all’interno del discorso del femminismo - non abbiano avuto la stessa diffusione in
Caso studio: la primavera araba È curioso, sotto questo aspetto analizzare e approfondire una zona geografica in particolare, che ultimamente ha subito profonde trasformazioni sociali e culturali: l’area mediterranea, in particolare il Nord Africa e alcuni Stati asiatici. Quest’area geografica come sottolineato in precedenza non ha conosciuto un grande sviluppo dei Gender Studies come ad esempio negli stati anglosassoni. Eppure negli ultimi anni, in particolar modo dopo la cosiddetta “primavera araba” sembrava che per le minoranze sociali fino ad allora discriminate si potessero aprire nuovi scenari, più sereni e di maggiore uguaglianza. Gli avvenimenti della primavera araba, con le annesse proteste di piazza e sul web, avevano
La primavera araba ha costituito un’importante possibilità per le donne per far sentire le propria voce visto come protagoniste anche parecchie donne. Il cambiamento imminente e tanto atteso però si è bloccato, lasciando una situazione e un quadro socio politico parecchio confusi. Ecco dunque la speranza e la possibilità concreta che un settore come il design possa contribuire a migliorare questa situazione e la condizione generale delle donne. Il design, infatti come visto in precedenza, è l’espressione di valori e codici visivi e comportamentali che riflettono la situazione sociale, culturale e politica di uno Stato in un determinato periodo storico. La stessa creatività del singolo
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individuo può essere qualcosa di innato, ma parzialmente dipende sempre dal contesto storico in cui viene chiamata ad esprimersi. Per migliorare la condizione femminile e promuovere attraverso il design questi cambiamenti è necessario cercare di perseguire contemporaneamente diversi obiettivi: eliminare gli stereotipi che etichettano la donna come occupatrice di ruoli professionali secondari e superare gli stereotipi che troppo spesso trasformano la figura femminile in un oggetto nella comunicazione visiva. Probabilmente questi due aspetti sono troppo dipendenti tra loro, per credere che basterebbe soltanto perseguirne uno per risolvere anche l’altro. Il fatto che le donne abbiano e continuino ad avere un ruolo secondario in determinati lavori e che la loro immagine in pubblicità e in televisione sia ancora quella di un individuo relegato al servizio della famiglia e dell’altro sesso sono uno la conseguenza dell’altro. Dal punto di vista dell’occupazione o del ruolo sociale, la primavera araba, nonostante non abbia avuto una precisa conclusione, ha costituito un’importante possibilità per le donne per far sentire le propria voce, dichiarare il proprio malcontento per porre fine a secoli di discriminazioni e preclusioni. In questo contesto le nuove tecnologie, i social network e un nuovo sistema comunicativo, virtuale e globale, hanno dato loro la possibilità di combattere e “i loro sforzi si sono tradotti in una reazione che da virtuale si è fatta reale” come afferma Sondès Ben Khalifa, giornalista a Radio Tunisienne. Inoltre dal punto di vista dell’occupazione è importante sottolineare come, rispetto a qualche decennio fa, quando una piccola minoranza delle figlie delle élite riceveva una formazione universitaria,
oggi le donne rappresentano più della metà degli studenti nelle università egiziane e più del 60% in quelle iraniane (Esfandiari). La situazione dunque pare migliorata, e in miglioramento anche in Paesi storicamente discriminanti per le donne, come i Paesi arabi, in cui l’emancipazione femminile è sempre stata vista come un tabù per questioni religiose e integraliste oltreché culturali. La dimostrazione dell’inversione di tendenza che si sta verificando in questi Paesi, anche nel settore del design, inoltre è tangibile in importanti lavori che recentemente hanno realizzato alcune donne nel settore soprattutto del product e service design. Ad esempio Sahar Madanat Haddad, designer freelance giordana, nel 2011 ha ottenuto un importante premio e riconoscimento al concorso A’Design Awards di Milano, per il progetto Heart Aid, un defibrillatore cardiaco portatile, per anziani, in grado di aumentare le possibilità di sopravvivenza del 50-74%.
Conclusioni Questo lavoro non vuole essere un’esaustiva documentazione dei lavori delle designer donne che hanno contribuito a riscrivere la storia del design o del graphic design. Con questo approfondimento ho ripercorso l’evoluzione che ha caratterizzato la figura della donna nel design, o più semplicemente l’evoluzione che hanno subito i metodi storiografici grazie a una società più moderna e meno patriarcale, basata sul riconoscimento del merito dell’individuo, a prescindere dal sesso o dal genere della persona. Come abbiamo visto le donne che hanno avuto dei ruoli fondamentali nel design sono state parecchie, alcune hanno goduto di fama e visibilità nel corso della loro carriera e anche dopo, moltissime altre hanno lavorato in silenzio, nell’ombra, ricoprendo ruoli relativamente importanti e di loro non è rimasta traccia. Ho voluto integrare questo percorso
L’unico aspetto del design, che necessita ancora di parecchie revisioni, è la comunicazione visiva e pubblicitaria, che troppo spesso promuove una discriminazione di genere attraverso una rappresentazione stereotipata della donna
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con le varie citazioni delle designer moderne maggiormente famose, tratte dall’articolo curato da Astrid Stavro “A glass cieling”, per mettere in mostra anche le differenti prospettive e opinioni, all’interno del panorama femminile. Notiamo che, nonostante la domanda “Come ci si sente ad essere designer donne?” continuerà ad essere posta e i pregiudizi sul genere di un individuo continueranno a sussistere, la figura della donna pare essersi definitivamente emancipata in questo campo. Forse l’unico aspetto del design, che necessita di revisioni e miglioramenti necessari, è la comunicazione visiva e pubblicitaria, che troppo spesso propone e promuove una discriminazione di genere attraverso una rappresentazione stereotipata della donna. Il Design della Comunicazione è chiamato necessariamente a intervenire in questa situazione, al fine di superare definitivamente il modello patriarcale e poter misurare le qualità di un individuo esclusivamente dal punto di vista dei meriti e non del sesso.
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Mostra sull’autrice
Concept “Travailler au sein d’un duo homme/femme présente des avantages. Le client peut choisir de s’adresser à qui bon lui semble et changer d’interlocuteur en cas de tensions. Le graphisme touche aux champs de la création et de la psychologie. Les rapports entre le graphiste et le commanditaire constituent des paramètres décisifs quant à la qualité d’un projet. Les deux sexes peuvent jouer de leurs capacités à convaincre ou à “séduire”. Dans cette relation, Dirk est plus loquace, je me positionne avec davantage de recul, dans l’observation et l’analyse. Nous sommes complementaires. À plusieurs reprises, un client a souhaité que nous donnions un caractère plus féminin à nos réalisations. Pour cette personne, “plus féminin” répondait à un cliché et rimait avec “plus rond”, “plus doux”. C’est souvent Dirk qui a contenté cette demande. Au début de notre collaboration, j’ai eu l’impression d’être discriminée en tant que femme. Pendant le réunions, je me sentais ignorée Aujourd’hui, j’ai pris conscience des raisons de ce malaise: je parlais à peine le français et je connaissais trop peu la culture pour m’investir pleinement dans les projets. J’ai désormais trouvé ma place.”
“Lavorare in un duo uomo/donna comporta dei vantaggi. Il cliente può scegliere di confrontarsi con chi gli sembra meglio e cambiare l’interlocutore in caso di tensioni. La grafica tocca i campi della creazione e della psicologia. I rapporti tra il grafico e il committente costituiscono dei parametri devisivi tanto quanto la qualità di un progetto. I due sessi possono servirsi delle loro capacità per convincere o per sedurre. In questa relazione, in cui Dirk è più loquace, io mi posiziono con ulteriori esperienze, nell’osservazione e nell’analisi. Noi siamo complementari. Più volte un cliente ha sperato che noi dessimo un carattere più femminile alle nostre realizzazioni. Per questa persona, “più femminile” corrispondeva a un cliché e a un qualcosa di “più morbido”, “più dolce”. È stato spesso Dirk che ha soddisfatto questa richiesta. All’inizio della nostra collaborazione ho avuto l’impressione di essere discriminata in quanto donna. Durante le riunoni, io mi sentivo ignorata.Oggi, ho preso coscienza delle ragioni di questo malessere: parlavo a mala pena il francese e conoscevo troppo poco la cultura per immedesimarmi pienamente nei progetti. Ormai ho trovato il mio posto.”
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Da questa intervista realizzata a Evelyn Ter Bekke, per Étapes (n. 139), nasce il concept della mostra sull’autrice. Attraverso queste parole la designer traccia un percorso evolutivo della sua figura professionale in quanto donna. Il suo ruolo è strettamente collegato a quello del marito Dirk Behage, con il quale lavora da anni, e le sue parole analizzano soprattutto le differenze d’approccio che i vari committenti hanno dimostrato nei confronti del loro interlocutore, fosse Evelyn o il marito Dirk. In particolar modo la mostra verte sul ruolo della donna e sul rapporto intercorrente tra uomo e donna nel processo di progettazione grafica e di approccio e confronto con i committenti. L’intervista che costituisce un periodo professionale della vita di Evelyn, è stata decisiva nella definizione del concept della mostra, in quanto evidenzia un aspetto non trascurabile della carriera professionale del mondo femminile. La posizione poco chiara, il ruolo
Un effetto “pixel”, che rendesse quasi irriconoscibile la figura rappresentata non definito e subalterno di Evelyn nel corso dell’inizio del suo rapporto collaborativo con Dirk rendono la sua figura un qualcosa di relativo, un qualcosa che passa quasi in secondo piano rispetto al contesto in cui lavora e alle persone con cui collabora. Per esprimere visivamente questo concetto si è pensato di applicare a
un’immagine fotografica di Evelyn Ter Bekke un effetto che potesse renderla poco definita. In conclusione ho deciso di utilizzare un effetto “pixel”, che rendesse quasi irriconoscibile la figura rappresentata. Un effetto che solitamente costituisce un aspetto negativo delle fotografie, sinonimo di scarsa risoluzione e quindi di scarsa qualità. Applicato ad un manifesto questo effetto permette un’approssimativa riconoscibilità da lontano, ma da vicino, nei dettagli, si rivela in tutta la sua scarsa chiarezza. Evelyn si sentiva così: ignorata e discriminata. Questo intervista, in particolar modo questo stralcio di intervista, in cui Evelyn ammette grandi difficoltà di approccio al mondo progettuale e della grafica per quanto riguarda le donne, costituiranno il tema lungo il quale si è snodata la progettazione prima della mostra sull’autrice e in seguito del sedicesimo sull’autrice.
Ricerche Nella prima fase di progettazione del manifesto della mostra su Evelyn Ter Bekke, sono stati analizzati tutti i manifesti realizzati dalla stessa Ter Bekke nel corso della sua attivitĂ professionale, sia quando era in Olanda ancora giovane, sia quando ha
Nel periodo parigino sono stati realizzati vari manifesti soprattutto per istituzioni culturali
La maggior parte di questi manifesti realizzati dall’Atelier ter Bekke & Behage è stato realizzato per istituzioni culturali (musei, orchestre).
iniziato a lavorare nell’Atelier parigino con il futuro marito Dirk Behage. La ricerca ha permesso di delineare un carattere piuttosto omogeneo nel suo primo periodo, legato alla scuola olandese, mentre nel periodo parigino sono stati realizzati vari manifesti soprattutto per istituzioni culturali, culminati con la vincita di un concorso nel 2010 per il teatro La Colline, uno dei cinque teatri nazionali francesi.
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Dopo varie proposte grafiche che cercassero di conciliare il concept scelto e un carattere grafico già espresso dalla Ter Bekke, ho deciso di ispirarmi a un manifesto realizzato nel 2008 per Henri Cueco, pittore e scrittore parigino, per il quale è stata curata la campagna di comunicazione
Ho deciso di ispirarmi a un manifesto realizzato nel 2008 per Henri Cueco
Manifesto e libro realizzati nel 2008 dall’Atelier ter bekke & Behage per Henri Cueco, pittore e scrittore parigino. Il libro è stato premiato al Concorso dei più bei libri francesi nel 2009.
del libro “La nature des choses”. In questo libro Henri Cueco dialoga con il filosofo Chereye-Méjan, e l’Atelier ter Bekke & Behage ne ha realizzato oltre al libro, anche questo manifesto per l’esposizione delle sue opere riguardo al tema espresso nel libro.
Delle poche immagini fotografiche presenti sul web, tutte ritraggono Evelyn ter Bekke insieme al marito Dirk Behage, a sottolineare la loro unione inscindibile sia dal punto di vista professionale che da quello extra-lavorativo. Dopo aver scelto la fotografia che meglio si prestava a un effetto simile a quello del manifesto per Henri Cueco, per una questione soprattutto cromatica, ho applicato diversi effetti per creare quel senso di relativismo della sua figura in quanto donna.
Manifesto
Il manifesto per la mostra su Evelyn ter Bekke. Tema principale: “la relazione tra uomo e donna nella progettazione grafica�. Misure originali: 70x100 cm.
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Applicazione
Alcune fotografie scattate in laboratorio che mi ritraggono con il manifesto realizzato.
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Fotografie La scelta dell’effetto da applicare all’immagine è ricaduta su un effetto non troppo marcato, comunque visibile e che alterasse in modo decisivo e non compromettente la fotografia. Dal punto di vista tipografico invece, la scelta del carattere è ricaduta su una tipologia di font ampiamente utilizzata nei lavori dell’Atelier, un carattere stencil, che anche Evelyn e Dirk hanno spesso applicato su
uno sfondo fotografico. Il tema della mostra riguarda il rapporto intercorrente tra uomo e donna nella progettazione grafica e il titolo della mostra è: “Voyage dans l’Atelier ter Bekke & Behage” (“Viaggio nell’Atelier ter Bekke & Behage). Queste due informazioni (titolo e sottotitolo) sono disposte su una riga di testo che taglia diagonalmente la composizione, partendo dall’angolo in alto a sinistra, e sono parallele al
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segno che caratterizza il marchio disposto in basso a sinistra. A fianco di titolo e sottotitolo, è posizionato il nome dell’autrice che “incornicia” la sua citazione, concept della mostra. Sempre in caselle di testo parallele all’impostazione tipografica di titolo e sottotitolo sono riportate anche le informazioni riguardanti data e luogo della mostra.
Stendardo Lo stendardo è stato realizzato con gli stessi elementi del manifesto, con la sola differenza delle dimensioni. Essendo sviluppato verticalmente e essendo piuttosto stretto, sono state adattate al formato le frasi informative, anche se l’inclinazione delle frasi è identica a quella delle frasi del manifesto. L’immagine a effetto pixel di sfondo invece, a differenza del manifesto è più approfondita, andando a cogliere maggiormente un dettaglio del viso e poiché lo stendardo viene posizionato ad una distanza maggiore dallo spettatore i singoli pixel sono di dimensione maggiore.
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Lo stendardo per la mostra su Evelyn ter Bekke. Misure originali: 150x4000 cm.
Invito
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L’invito, come il manifesto e lo stendardo, presenta l’immagine di Evelyn con lo stesso effetto pixel, ma a differenza dei due supporti da ambienti esterni, l’invito presenta dei particolari grafici e tipografici un po’ più dettagliati e curati. I pixel hanno innanzitutto una dimensione minore, essendo un supporto uso mano e dunque comprensibile e leggibile da una distanza abbastanza ridotta. Le frasi informative del retro sono in una casella di testo allineata non più al segno del marchio di Wisual ma allineate normalmente in orizzontale, mentre il titolo della mostra posto sul fronte è allineato al segno che buca l’invito per gran parte della sua
altezza. L’invito alla mostra si trova all’interno di una busta quadrata trasparente. Questa trasparenza permette di vedere attraverso il taglio che “apre” uno scorcio sull’invito, metafora del concept del museo.
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Une exposition consacrée à Evelyn Ter Bekke.
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Une voyage dans l’Atelier Ter Bekke & Behage pour découvrir la rélation entre les hommes et les femmes dans la conception graphic.
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L'exposition est présentée tous les jours du 2 Décembre 2012 au 2 Février 2013 au Centre Pompidou, Paris, 19 Rue Beaubourg. Ouverture de 9h à 22h.
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Sedicesimo
Concept Dall’intervista di Evelyn Ter Bekke, rilasciata a Étapes (n. 139), traspare il suo pensiero e una sua profonda riflessione riguardo al rapporto che intercorre innanzitutto tra cliente e progettisti grafici e in secondo luogo tra lei stessa e il marito nell’ambito della progettazione grafica. Inizialmente Evelyn sottolinea i vantaggi che comporta lavorare in uno studio composto da una coppia uomo - donna in quanto il cliente ha la possibilità di scegliere con chi rapportarsi e di decidere se cambiare interlocutore nel corso del progetto grafico. Evelyn evidenzia questo aspetto poiché considera decisivo nel percorso di progettazione il rapporto intercorrente con il cliente quanto la realizzazione e il risultato finale. Evelyn inizia così a distinguere le diverse qualità che appartengono rispettivamente a lei e al marito Dirk, i loro difetti, confutando stereotipi come quello secondo cui la richiesta di progetti più morbidi e femminili debba essere soddisfatta da lei in quanto donna. Di questi progetti infatti, al contrario, si occupa solitamente Dirk.
Evelyn traccia una sorta di linea del tempo che ripercorre il suo percorso professionale dal punto di vista di donna Successivamente Evelyn sottolinea vantaggi e svantaggi di questa distinzione che i committenti sono soliti fare. Tra i vantaggi lei ricorda la complementarietà della coppia uomo - donna e le doti differenti sue e
di Dirk, che colmano i difetti dell’uno e dell’altro. Inoltre traccia una sorta di linea del tempo che ripercorre il suo percorso professionale dal punto di vista di donna: inizialmente si sente discriminata, messa in secondo piano a causa della difficoltà di ambientamento in una città nuova come Parigi. Successivamente il suo ruolo e la sua posizione si chiariscono costantemente, fino al punto di concludere la sua intervista con un’emblematica frase: “J’ai désormais trouvé ma place” (“Ormai ho trovato la mia posizione”).
Analisi Nel caso di Evelyn Ter Bekke vi è un continuo ed evidente cambiamento in relazione al contesto in cui si trova e al tipo di committente con cui si interfaccia. Si può dire che la sua crescita professionale coincida con un percorso nel corso del quale ha sempre cercato di adattarsi. Allo stesso tempo Evelyn mantiene caratteristiche costanti nel corso del tempo: una fra tutte è sicuramente la sua discrezione, la sua posizione definita ma discreta, per osservare e analizzare meglio il soggetto
La crescita professionale di Evelyn coincide con un percorso nel corso del quale ha sempre cercato di adattarsi
Alcune delle pagine realizzate dall’Atelier ter Bekke & Behage per la gamma di carta BVS. Ogni doppia pagina è composta o da una fotografia unica o da due fotografie che però abbiano elementi formali di continuità tra di loro. Inoltre sopra ogni immagine fotografica è applicata una leggera illustrazione e una frase, talvolta in trasparenza, per sottolineare la qualità della carta.
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della progettazione e le richieste dei committenti. È proprio da questo rapporto di adattamento e al tempo stesso di una personalità definita, coerente e unitaria, caratteristiche costanti nel corso della crescita professionale di Evelyn Ter Bekke, che nasce il sedicesimo. Il riferimento grafico e visivo al sedicesimo deriva da un lavoro realizzato dall’Atelier per la gamma di carta BVS, per la quale sono state realizzate illustrazioni e fotografie apposta.
Realizzazione Le pagine di questo lavoro sono costituite infatti da 3 elementi: una fotografia solitamente astratta di sfondo, un’illustrazione (solo outline) bianca e un testo che ne spieghi le caratteristiche. Essendo il sedicesimo un racconto sull’autrice, una sorta di narrazione che ne racconti i lavori e la personalità, si è deciso di utilizzare come elementi compositori delle pagine gli stessi elementi che hanno caratterizzato le pagine della brochure per la gamma di carta BVS. Testo, illustrazioni e fotografie infatti, se ben assortiti e coerenti, possono rappresentare visivamente un’efficace e significativo insieme di elementi narranti. Come testo è stata utilizzata la sua intervista, ambientata in un contesto in continuo mutamento (metafora dei contesti in cui si è trovata e ha lavorato Evelyn), mentre le illustrazioni sono legate a una frase dell’intervista e sono tratte dai lavori dell’Atelier.
Come testo è stata utilizzata la sua intervista, ambientata in un contesto in continuo mutamento (metafora dei contesti in cui si è trovata e ha lavorato Evelyn) Un lavoro poco invasivo: come la sua personalità. L’intervista tratta dal numero 139 di Étapes, che ha già costituito il concept della mostra sull’autrice, si può adattare perfettamente al sedicesimo. Infatti è costituita da 14 frasi, che corrispondono al numero di pagine del sedicesimo (escluse copertina e
quarta di copertina). Le illustrazioni sono esplicitamente tratte dai lavori realizzati dall’Atelier mentre le fotografie sono perlopiù astratte, di paesaggi naturali, che facciano da coerente contesto alle frasi dell’intervista e alle illustrazioni. Talvolta le fotografie sono a pagina doppia (così come il testo), mentre altre volte sono a singola pagina ma sempre con elementi di continuità tra di loro. La copertina e la quarta di copertina invece, si distaccano dallo stile fotografico delle pagine interne e, anch’esse tratte da un altro lavoro dell’Atelier, una copertina per un libro commissionato da Henri Cueco, sono esclusivamente tipografiche, con il testo inclinato come il segno del marchio di Wisual. Il carattere utilizzato sia per la copertina che per le pagine interne è il DINCond-Medium.
Riferimenti opere
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I segni grafici inseriti in ogni doppia pagina costituiscono il soggetto del sedicesimo. Ogni doppia pagina deve creare un ambiente evocativo e astratto, coerente con il discorso di Evelyn ter Bekke, che si snoda come una sorta di mini narrazione all’interno di diversi contesti. Qui di seguito riporto le opere da cui sono stati tratti i segni grafici: il legame che questi ultimi hanno con le immagini e le frasi di Evelyn è talvolta riferito all’ambito da cui proviene l’opera, altre volte deriva direttamente dalla forma espressiva del segno stesso. 4.
1. +m+k (studio di design) 2. Association Française des Orchestres 3. Mois Européen de la photographie a Pàris 4. Affiche, “Les Artistes Pérégrines” 5. Musée Toulouse-Lautrec 6. Musée National de Préhistoire 7. Orchestre National d’Ile de France
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Comunicazione 2.0
Concept Come detto in apertura di questo lavoro, il nuovo museo itinerante della grafica si pone come un nuovo spazio espositivo, sperimentale e virtuale. Essendo un non-luogo il suo spazio è un luogo virtuale: il web. Il sito web di Wisual deve necessariamente tener conto di questo aspetto, dato che la sua natura originaria è esattamente il luogo in cui è possibile visitarne il sito. Di conseguenza le caratteristiche del sito devono adattarsi alle caratteristiche del Museo e esprimerne l’identità, ancor prima dei contenuti. L’identità di Wisual lo ha reso un qualcosa di dinamico, facilmente raggiungibile e consultabile, visivamente d’impatto, social e personalizzabile.
L’identità di Wisual lo ha reso un qualcosa di dinamico, facilmente raggiungibile e consultabile, visivamente d’impatto, social e personalizzabile Il sito wisual\gdm.com si propone dunque di essere un sito facilmente usabile, adattabile ai vari device e con un albero di navigazione piuttosto semplice. Inizialmente pensato come un grande contenitore di informazioni più simile a blog che a sito istituzionale, wisual\gdm.com diventa successivamente un sito che tenta di conciliare un carattere abbastanza
istituzionale ad un carattere dinamico, molto fotografico e visivamente d’impatto.
Percorso progettuale Inizialmente sono stati definiti dei punti chiave di cui tener conto durante la realizzazione della home e delle sue pagine interne:
- ogni pagina è caratterizzata da un’immagine fotografica di sfondo, ispirata all’identità dinamica e virtuale di Wisual - la sezione dell’autrice in home deve avere una buona visibilità, essendo la sezione più importante - si è pensato anche di rappresentare nel sito il concetto di luogo - gli elementi costanti e presenti in ogni pagina del sito di Wisual sono: la sezione personale, il calendario del museo, il tasto “cerca”, i ink per i vari collegamenti agli account ufficiali di Wisual di Facebook, Twitter, Flickr, Vimeo e Foursquare e il logo di Wisual
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Contenuti Intro
Prima di accedere alla home di Wisual l’utente passa attraverso un’intro, dove la struttura della pagina fa da preludio a quella del sito web. In questa intro c’è un’animazione con un’icona del mondo che ruota, dove un localizzatore segna il luogo in cui si trova il Museo allo stato attuale. L’intera pagina è occupata da un’immagine fotografica di sfondo che può variare a ogni apertura dell’intro, ma che ritrae sempre un contesto urbano o naturale con un ponte come soggetto principale, in linea con il concept originale di Wisual (interattività, rete, virtualità).
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Home
La home è costituita da quattro link principali che conducono alle quattro sezioni del sito: informazioni, eventi, visita e autrice. Quando con il cursore si sale sopra ai vari link, lo spazio riservato alla casella del link aumenta, dando delle informazioni sui contenuti che si trovano all’interno di quel collegamento.
Home
Attraverso dei bottoni di scorrimento posizionati sulla sinistra è possibile visualizzare il contenuto della mostra in esposizione al momento e le informazioni riguardanti quella mostra. In questo caso, essendo la mostra dedicata a Evelyn Ter Bekke, vengono richiamate le informazioni sulla sua mostra e la relativa grafica del manifesto, invito e stendardo
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Autrice
La sezione più importante del sito è quella sull’autrice, dove si possono scorrere le informazioni attraverso una barra di scorrimento posizionata a sinistra, mentre sulla destra per ogni contenuto della sezione c’è un’etichetta che indica in che sezione ci si trova e quanti altri contenuti ci sono. Le sezioni sono cinque: bio, in cui sono inserite le informazioni sulla vita dell’autrice, atelier, dove si trovano le informazioni sull’Atelier Ter BekkeBehage, Caractère, dove è inserito un articolo sul lavoro e sul carattere grafico dell’Autrice e dell’Atelier, Interview, dove è riportata l’intervista di Evelyn Ter Bkke da cui è nato il progetto del Sedicesimo e infine la sezione Seizième.
Sedicesimo
In quest’ultima sezione è possibile scorrere orizzontalmente le doppie pagine del Sedicesimo attraverso dei bottoni sottostanti che indicano a che punto ci si trova.
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Approfondimento
Sono state anche pensate due più approfondite e interattive possibilità di fruizione dei dati riguardanti le opere dell’autrice citate nel Sedicesimo. Una modalità di fruizione consiste nel passare con il cursore sopra al riferimento grafico delle illustrazioni del Sedicesimo, in modo tale da far apparire delle informazioni riguardanti l’opera dell’autrice.
Approfondimento
Inoltre è possibile fruire degli stessi contenuti d’approfondimento attraverso realtà aumentata, per mezzo di altri device (smartphone e tablet). Inquadrando con fotocamera l’illustrazione è infatti possibile riconoscere il segno grafico, per ottenere le informazioni sull’opera venendo direttamente reindirizzati sul sito dell’Atelier dell’autrice.
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La pagina Facebook di Wisual è un’ulteriore possibilità di promuovere la sua identità social.
Diversi device
Wisual è anche Responsive Web Design, come si può vedere nell’immagine sotto che mostra differenti device con un’interfaccia grafica adattabile a ognuno di questi device.
Riferimenti
http://ats-vs-world.cadillac. com/
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Ringraziamenti Questo progetto è il coronamento di tre anni intensi e importanti della mia vita, che sono corrisposti a tre anni di crescita personale umana e professionale. Prima di tutto sento di dover ringraziare le persone che mi hanno permesso concretamente di vivere questa esperienza: i miei genitori. Senza di essi non avrei mai potuto vivere questi tre anni. Li ringrazio per la serenità e la tranquillità che mi hanno sempre trasmesso e per la libertà che mi hanno concesso nel prendere scelte per il mio futuro, responsabilizzandomi e rendendomi consapevole dei miei pregi e dei miei limiti. Ringrazio inoltre tutte le persone che mi hanno costantemente supportato nel corso di questi tre anni, inizialmente difficili ma alla fine molto soddisfacenti: ringrazio mia sorella, unica nel farmi sentire sempre e comunque importante e orgoglioso, e Fabiano, che insieme a mia sorella, mi ha regalato momenti indimenticabili di svago e serenità, indispensabili nell’affrontare al meglio questi tre anni. Una menzione particolare va ai miei nonni (a chi c’è ancora e a chi non c’è più), sempre interessati, “appassionati” e tifosi del nipote nel corso dei suoi studi, e a Federica che mi ha aiutato in modo decisivo nel mio adattamento e inserimento in una realtà, quella milanese, completamente nuova. Un ringraziamento speciale va a Chiara, la dolce costante di questi tre anni, con la quale ho condiviso la maggior parte dei miei momenti importanti, che mi ha supportato e sopportato e che, soprattutto negli ultimi periodi, mi ha dato una grande spinta d’orgoglio e sicurezza. Mi sento anche di ringraziare tutti i docenti che mi hanno accompagnato in questo percorso e che mi hanno arricchito da un punto di vista prima
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di tutto umano e poi professionale. Ringrazio in particolar modo i docenti Bleu, Guida e Bersanelli, per gli stimoli che mi hanno dato e per avermi accompagnato in questo laboratorio finale. Ringrazio Evelyn ter Bekke e Dirk Behage, senza i quali questo progetto finale non mi avrebbe dato gli stessi stimoli che ho avuto; li ringrazio per la loro disponibilità e la loro umanità, per aver fatto vivere a me, Marco e Denis due giornate fantastiche, in una città fantastica come Parigi. Infine ringrazio tutti i miei compagni d’avventura, su tutti Ludovica, Marco, Deppo, Denis e Gionni, per i momenti di spensieratezza, di ozio, di goliardia e anche (soprattutto) per le nottate pre-consegna e i momenti di intenso e collaborativo lavoro. Una menzione particolare va infine a un’altra costante di questi tre anni (in realtà dei miei 23 anni), un po’ astratta ma comunque sempre presente: l’F.C. Internazionale. Grazie al suo lento e costante declino ho potuto riporre maggiormente le mie attenzione sui progetti universitari e professionali, con la speranza che un giorno tutto ciò si possa conciliare al meglio. Ringrazio infine tutte le persone che in questi tre anni hanno mostrato interesse nei miei studi e nei miei progetti, e tutte quelle persone che hanno contribuito anche solo per un minuto a insegnarmi qualcosa di nuovo, crescere e migliorare.
Bibliografia e sitografia - Gerda Breuer, Julia Meer, Women in graphic design. 1890-2012, Jovis, 2012 - Armin Vit, Women of Design, F&W, 2008 - http://www.cig-chaumont.com/ - http://www.terbekke-behage.com/ - http://www.behance.net/ - http://www.a-g-i.org/ - http://etapes.com/ - http://slash-paris.com/evenements/ atelier-ter-bekke-behage-et-sescommanditaires - http://www.unesaisongraphique.fr/ - http://www.intramuros.fr/ - http://www.dailymotion.com/video/ xm5xur_la-trame-aleatoire_creation#. UeLRrmRCdax - http://design.nl/item/graphic_ design_for_culture_at_pompidou_ centre - https://www.facebook.com/video/ video.php?v=355003967895865 - https://www.facebook.com/media/se t/?set=a.417830564910758.116054.2117 86498848500&type=3 - http://ats-vs-world.cadillac.com/#!/ patagonia - http://www.unaltrostudio.it/ francesco-e-guida-la-grafica-e-lariscoperta-del-genius-loci/ - http://www.aiap.it/ documenti/13466/295/ - http://padjournal.net/design-andgender-studies/?lang=it - http://padjournal.net/womens-design-will-save-the-arabworld/?lang=it - http://padjournal.net/made-inpatriarchy/?lang=it - http://padjournal.net/ communication-design-for-gendercultures/?lang=it - http://padjournal.net/themediterranean-of-women/?lang=it - http://www.girlgeeklife.com/2011/10/ graphic-women-another-caringoldberg/ - http://www.graphicgirls.it/
blog/2008/07/il-potere-dei-ricordi/ - http://www.milanwomenbookshop. com/news/articoli/contrib130612_ mezzocielo.htm - http://www.cafebabel.it/societa/ articolo/verena-gerlach-il-font-designe-un-campo-dominato-dal-maschiobianco-eterosessuale.html - http://loveswah.com/2011/07/somethoughts-on-the-gender-inequality-ingraphic-design/ - http://www.eyemagazine.com/blog/ post/graphic-birdwatching - http://www.graphicbirdwatching. com/