ARTE MODERNA Prato, 4 Dicembre 2021
In copertina: Giorgio Morandi, lotto 560
ASTA DI OPERE D’ARTE MODERNA PROVENIENTI DA RACCOLTE PRIVATE
ASTA N. 214 II
INFORMAZIONI PER I PARTECIPANTI Tutti i clienti non registrati, per partecipare all’asta dovranno fornire: - PERSONE FISICHE: un documento di identità valido con foto identificativa e codice fiscale. - PERSONE GIURIDICHE: visura camerale, documento valido e codice fiscale del legale rappresentante. Tali documenti dovranno essere accompagnati dai seguenti dati bancari: - Nome e indirizzo della banca - Iban - Nome e telefono della persona da contattare Per assistenza si prega di contattare: Amministrazione: Cecilia Farsetti e Maria Grazia Fucini - tel. 0574 572400
OPERAZIONI DI REGISTRAZIONE E PARTECIPAZIONE ALL’ASTA Compilando e sottoscrivendo il modulo di registrazione e di attribuzione di una paletta numerata, l’acquirente accetta le “condizioni di vendita” stampate in questo catalogo. Tutti i potenziali acquirenti devono munirsi di una paletta per le offerte prima che inizi la procedura di vendita. É possibile pre-registrarsi durante l’esposizione; nel caso l’acquirente agisca come rappresentante di una terza persona, si richiede un’autorizzazione scritta. Tutti i potenziali acquirenti devono portare con sè un valido documento di identità ai fini di consentire la registrazione. Le palette numerate possono essere utilizzate per indicare le offerte al Direttore di vendita o banditore durante l’asta. Tutti i lotti venduti saranno fatturati al nome e all’indirizzo comunicato al momento dell’assegnazione delle palette d’offerta numerate. Al termine dell’asta l’acquirente è tenuto a restituire la paletta al banco registrazioni. Ogni cliente è responsabile dell’uso del numero di paletta a lui attribuito. La paletta non è cedibile e va restituita alla fine dell’asta. In caso di smarrimento è necessario informare immediatamente l’assistente del Direttore di vendita o banditore. Questo sistema non vale per chi partecipa all’asta tramite proposta scritta.
ACQUISIZIONE DI OGGETTI E DIPINTI PER LE ASTE Per l’inserimento nelle vendite all’asta organizzate dalla Farsettiarte per conto terzi: chiunque fosse interessato alla vendita di opere d’arte moderna e contemporanea, dipinti antichi, mobili, oggetti d’arte, gioielli, argenti, è pregato di contattare la nostra sede di Prato o le succursali di Milano e Cortina (l’ultima solo nel periodo stagionale). Per le aste della stagione autunnale è consigliabile sottoporre le eventuali proposte sin dal mese di giugno, mentre per la stagione primaverile dal mese di dicembre.
ANTICIPI SU MANDATI Si informano gli interessati che la nostra organizzazione effettua con semplici formalità, anticipi su mandati a vendere per opere d’arte moderna e contemporanea, dipinti antichi, mobili, oggetti d’arte, gioielli, argenti, in affidamento sia per l’asta che per la tentata vendita a trattativa privata.
ACQUISTI E STIME La FARSETTIARTE effettua stime su dipinti, sculture e disegni sia antichi che moderni, mobili antichi, gioielli, argenti o altri oggetti d’antiquariato, mettendo a disposizione il suo staff di esperti. Acquista per contanti, in proprio o per conto terzi.
ASTA PRATO Sabato 4 Dicembre 2021 ore 16,00
ESPOSIZIONE MILANO (selezione di opere) 18 - 24 Novembre FARSETTIARTE - Portichetto di via Manzoni (angolo Via Spiga) Orario (festivi compresi) dalle ore 10,00 alle ore 19,30 Ultimo giorno di esposizione Mercoledì 24 Novembre, fino alle ore 17,00 PRATO 27 Novembre - 4 Dicembre Orario (festivi compresi) dalle ore 10,00 alle ore 19,30 Ultimo giorno di esposizione Sabato 4 Dicembre, fino alle ore 13,00
PRATO - Viale della Repubblica (Area Museo Pecci) - Tel. 0574 572400 - Fax 0574 574132 MILANO - Portichetto di Via Manzoni (ang. Via Spiga) - Tel. +39 02 794274 /+39 02 76013228 info@farsettiarte.it www.farsettiarte.it
CONDIZIONI DI VENDITA 1) La partecipazione all’asta è consentita solo alle persone munite di regolare
paletta per l’offerta che viene consegnata al momento della registrazione. Compilando e sottoscrivendo il modulo di registrazione e di attribuzione della paletta, l’acquirente accetta e conferma le “condizioni di vendita” riportate nel catalogo. Ciascuna offerta s’intenderà maggiorativa del 10% rispetto a quella precedente, tuttavia il banditore potrà accettare anche offerte con un aumento minore.
2) Gli oggetti saranno aggiudicati dal banditore al migliore offerente, salvi i limiti
di riserva di cui al successivo punto 12. Qualora dovessero sorgere contestazioni su chi abbia diritto all’aggiudicazione, il banditore è facoltizzato a riaprire l’incanto sulla base dell’ultima offerta che ha determinato l’insorgere della contestazione, salvo le diverse, ed insindacabili, determinazioni del Direttore della vendita. È facoltà del Direttore della vendita accettare offerte trasmesse per telefono o con altro mezzo. Queste offerte, se ritenute accettabili, verranno di volta in volta rese note in sala. In caso di parità prevarrà l’offerta effettuata dalla persona presente in sala; nel caso che giungessero, per telefono o con altro mezzo, più offerte di pari importo per uno stesso lotto, verrà preferita quella pervenuta per prima, secondo quanto verrà insindacabilmente accertato dal Direttore della vendita. Le offerte telefoniche saranno accettate solo per i lotti con un prezzo di stima iniziale superiore a 500 €. La Farsettiarte non potrà essere ritenuta in alcun modo responsabile per il mancato riscontro di offerte scritte e telefoniche, o per errori e omissioni relativamente alle stesse non imputabili a sua negligenza. La Farsettiarte declina ogni responsabilità in caso di mancato contatto telefonico con il potenziale acquirente.
3) Il Direttore della vendita potrà variare l’ordine previsto nel catalogo ed avrà
facoltà di riunire in lotti più oggetti o di dividerli anche se nel catalogo sono stati presentati in lotti unici. La Farsettiarte si riserva il diritto di non consentire l’ingresso nei locali di svolgimento dell’asta e la partecipazione all’asta stessa a persone rivelatesi non idonee alla partecipazione all’asta.
4) Prima che inizi ogni tornata d’asta, tutti coloro che vorranno partecipare saranno tenuti, ai fini della validità di un’eventuale aggiudicazione, a compilare una scheda di partecipazione inserendo i propri dati personali, le referenze bancarie, e la sottoscrizione, per approvazione, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 C.c., di speciali clausole delle condizioni di vendita, in modo che gli stessi mediante l’assegnazione di un numero di riferimento, possano effettuare le offerte validamente.
5) La Casa d’Aste si riserva il diritto di non accettare le offerte effettuate da acquirenti non conosciuti, a meno che questi non abbiano rilasciato un deposito o una garanzia, preventivamente giudicata valida da Farsettiarte, a intera copertura del valore dei lotti desiderati. L’Aggiudicatario, al momento di provvedere a redigere la scheda per l’ottenimento del numero di partecipazione, dovrà fornire a Farsettiarte referenze bancarie esaustive e comunque controllabili; nel caso in cui vi sia incompletezza o non rispondenza dei dati indicati o inadeguatezza delle coordinate bancarie, salvo tempestiva correzione dell’aggiudicatario, Farsettiarte si riserva il diritto di annullare il contratto di vendita del lotto aggiudicato e di richiedere a ristoro dei danni subiti.
6) Il pagamento del prezzo di aggiudicazione dovrà essere effettuato entro 48
ore dall’aggiudicazione stessa, contestualmente al ritiro dell’opera, per intero. Non saranno accettati pagamenti dilazionati a meno che questi non siano stati concordati espressamente e per iscritto almeno 5 giorni prima dell’asta, restando comunque espressamente inteso e stabilito che il mancato pagamento anche di una sola rata comporterà l’automatica risoluzione dell’accordo di dilazionamento, senza necessità di diffida o messa in mora, e Farsettiarte sarà facoltizzata a pretendere per intero l’importo dovuto o a ritenere risolta l’aggiudicazione per fatto e colpa dell’aggiudicatario. In caso di pagamento dilazionato l’opera o le opere aggiudicate saranno consegnate solo contestualmente al pagamento dell’ultima rata e, dunque, al completamento dei pagamenti.
7) In caso di inadempienza l’aggiudicatario sarà comunque tenuto a corrispondere a Farsettiarte una penale pari al 20% del prezzo di aggiudicazione, salvo il maggior danno. Nella ipotesi di inadempienza la Farsettiarte è facoltizzata: - a recedere dalla vendita trattenendo la somma ricevuta a titolo di caparra; - a ritenere risolto il contratto, trattenendo a titolo di penale quanto versato per caparra, salvo il maggior danno. Farsettiarte è comunque facoltizzata a chiedere l’adempimento.
8) L’acquirente corrisponderà oltre al prezzo di aggiudicazione i seguenti diritti d’asta: I scaglione da € 0.00 a € 20.000,00 28,00 % II scaglione da € 20.000,01 a € 80.000,00 25,50 % III scaglione da € 80.000,01 a € 200.000,00 23,00 % IV scaglione da € 200.000,01 a € 350.000,00 21,00 % V scaglione oltre € 350.000 20,50 % Diritto di seguito: gli obblighi previsti dal D.lgs. 118 del 13/02/06 in attuazione della Direttiva 2001/84/CE saranno assolti da Farsettiarte.
9) Qualora per una ragione qualsiasi l’acquirente non provveda a ritirare gli
oggetti acquistati e pagati entro il termine indicato dall’Art. 6, sarà tenuto a corrispondere a Farsettiarte un diritto per la custodia e l’assicurazione, proporzionato al valore dell’oggetto. Tuttavia in caso di deperimento, danneggiamento o sottrazione del bene aggiudicato, che non sia stato ritirato nel termine di cui all’Art. 6, la Farsettiarte è esonerata da ogni responsabilità, anche ove non sia intervenuta la costituzione in mora per il ritiro dell’aggiudicatario ed anche nel caso in cui non si sia provveduto alla assicurazione.
10) La consegna all’aggiudicatario avverrà presso la sede della Farsettiarte, o nel diverso luogo dove è avvenuta l’aggiudicazione a scelta della Farsettiarte, sempre a cura ed a spese dell’aggiudicatario. 11) Al fine di consentire la visione e l’esame delle opere oggetto di vendita, queste verranno esposte prima dell’asta. Chiunque sia interessato potrà così prendere piena, completa ed attenta visione delle loro caratteristiche, del loro stato di conservazione, delle effettive dimensioni, della loro qualità.
Conseguentemente l’aggiudicatario non potrà contestare eventuali errori o inesattezze nelle indicazioni contenute nel catalogo d’asta o nelle note illustrative, o eventuali difformità fra l’immagine fotografica e quanto oggetto di esposizione e di vendita, e, quindi, la non corrispondenza (anche se relativa all’anno di esecuzione, ai riferimenti ad eventuali pubblicazioni dell’opera, alla tecnica di esecuzione ed al materiale su cui, o con cui, è realizzata) fra le caratteristiche indicate nel catalogo e quelle effettive dell’oggetto aggiudicato. I lotti posti in asta da Farsettiarte per la vendita vengono venduti nelle condizioni e nello stato di conservazione in cui si trovano; i riferimenti contenuti nelle descrizioni in catalogo non sono peraltro impegnativi o esaustivi; rapporti scritti (condition reports) sullo stato dei lotti sono disponibili su richiesta del cliente e in tal caso integreranno le descrizioni contenute nel catalogo. Qualsiasi descrizione fatta da Farsettiarte è effettuata in buona fede e costituisce mera opinione; pertanto tali descrizioni non possono considerarsi impegnative per la casa d’aste ed esaustive. La Farsettiarte invita i partecipanti all’asta a visionare personalmente ciascun lotto e a richiedere un’apposita perizia al proprio restauratore di fiducia o ad altro esperto professionale prima di presentare un’offerta di acquisto. Verranno forniti condition reports entro e non oltre due giorni precedenti la data dell’asta in oggetto ed assolutamente non dopo di essa.
12) Farsettiarte agisce in qualità di mandataria di coloro che le hanno commissionato la vendita degli oggetti offerti in asta; pertanto è tenuta a rispettare i limiti di riserva imposti dai mandanti anche se non noti ai partecipanti all’asta e non potranno farle carico obblighi ulteriori e diversi da quelli connessi al mandato; ogni responsabilità ex artt. 1476 ss cod. civ. rimane in capo al proprietario-committente.
13) Le opere descritte nel presente catalogo sono esattamente attribuite entro i
limiti indicati nelle singole schede. Le attribuzioni relative a oggetti e opere di antiquariato e del XIX secolo riflettono solo l’opinione della Farsettiarte e non possono assumere valore peritale. Ogni contestazione al riguardo dovrà pervenire entro il termine essenziale e perentorio di 8 giorni dall’aggiudicazione, corredata dal parere di un esperto, accettato da Farsettiarte. Trascorso tale termine cessa ogni responsabilità di Farsettiarte. Se il reclamo è fondato, Farsettiarte rimborserà solo la somma effettivamente pagata, esclusa ogni ulteriore richiesta, a qualsiasi titolo.
14) Né Farsettiarte, né, per essa, i suoi dipendenti o addetti o collaboratori, sono
responsabili per errori nella descrizione delle opere, né della genuinità o autenticità delle stesse, tenendo presente che essa esprime meri pareri in buona fede e in conformità agli standard di diligenza ragionevolmente attesi da una casa d’aste. Non viene fornita, pertanto al compratore-aggiudicatario, relativamente ai vizi sopramenzionati, alcuna garanzia implicita o esplicita relativamente ai lotti acquistati. Le opere sono vendute con le autentiche dei soggetti accreditati al momento dell’acquisto. Farsettiarte, pertanto, non risponderà in alcun modo e ad alcun titolo nel caso in cui si verifichino cambiamenti dei soggetti accreditati e deputati a rilasciare le autentiche relative alle varie opere. Qualunque contestazione, richiesta danni o azione per inadempienza del contratto di vendita per difetto o non autenticità dell’opera dovrà essere esercitata, a pena di decadenza, entro cinque anni dalla data di vendita, con la restituzione dell’opera accompagnata da una dichiarazione di un esperto accreditato attestante il difetto riscontrato.
15) La Farsettiarte indicherà sia durante l’esposizione che durante l’asta gli
eventuali oggetti notificati dallo Stato a norma del D.lgs del 20.10.2004 (c.d. Codice dei Beni Culturali), l’acquirente sarà tenuto ad osservare tutte le disposizioni legislative vigenti in materia. Tale legge (e successive modifiche) disciplina i termini di esportazione di un’opera dai confini nazionali. Per tutte le opere di artisti non viventi la cui esecuzione risalga a oltre settant’anni dovrà essere richiesto dall’acquirente ai competenti uffici esportazione presso le Soprintendenze un attestato di libera circolazione (esportazione verso paese UE) o una licenza (esportazione verso paesi extra UE). Farsettiarte non assume responsabilità nei confronti dell’acquirente per eventuale diniego al rilascio dell’attestato di libera circolazione o della licenza. Le opere la cui data di esecuzione sia inferiore ai settant’anni possono essere esportate con autocertificazione da fornire agli uffici competenti che ne attesti la data di esecuzione (per le opere infra settanta/ultra cinquant’anni potranno essere eccezionalmente applicate dagli uffici competenti delle restrizioni all’esportazione).
16) Le etichettature, i contrassegni e i bolli presenti sulle opere attestanti la proprietà e gli eventuali passaggi di proprietà delle opere vengono garantiti dalla Farsettiarte come esistenti solamente fino al momento del ritiro dell’opera da parte dell’aggiudicatario.
17) Le opere in temporanea importazione provenienti da paesi extracomunitari
segnalate in catalogo, sono soggette al pagamento dell’IVA sull’intero valore (prezzo di aggiudicazione + diritti della Casa) qualora vengano poi definitivamente importate.
18) Tutti coloro che concorrono alla vendita accettano senz’altro il presente regolamento; se si renderanno aggiudicatari di un qualsiasi oggetto, assumeranno giuridicamente le responsabilità derivanti dall’avvenuto acquisto. Per qualunque contestazione è espressamente stabilita la competenza del Foro di Prato.
19) Il cliente prende atto e accetta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 22 D. Lgs n.
231/2007 (Decreto Antiriciclaggio), di fornire tutte le informazioni necessarie ed aggiornate per consentire a Farsettiarte di adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela. Resta inteso che il perfezionamento dell’acquisto è subordinato al rilascio da parte del Cliente delle informazioni richieste da Farsettiarte per l’adempimento dei suddetti obblighi. Ai sensi dell’art. 42 D. Lgs n. 231/07, Farsettiarte si riserva la facoltà di astenersi e non concludere l’operazione nel caso di impossibilità oggettiva di effettuare l’adeguata verifica della clientela.
GESTIONI SETTORIALI ARTE MODERNA Frediano FARSETTI Franco FARSETTI ARTE CONTEMPORANEA Leonardo FARSETTI DIPINTI ANTICHI Stefano FARSETTI Marco FAGIOLI DIPINTI DEL XIX E XX SECOLO Sonia FARSETTI Leonardo GHIGLIA SCULTURE ED ARREDI ANTICHI Stefano FARSETTI Marco FAGIOLI GIOIELLI E ARGENTI Cecilia FARSETTI FOTOGRAFIA Sonia FARSETTI Leonardo FARSETTI
GESTIONI ORGANIZZATIVE PROGRAMMAZIONE E SVILUPPO Sonia FARSETTI
ARCHIVIO Francesco BIACCHESSI COORDINATORE SCHEDE E RICERCHE Silvia PETRIOLI UFFICIO SCHEDE E RICERCHE Silvia PETRIOLI Elisa MORELLO Chiara STEFANI CONTABILITÀ CLIENTI E COMMITTENTI Cecilia FARSETTI Maria Grazia FUCINI RESPONSABILE ORGANIZZATIVO SUCCURSALE DI MILANO Costanza COSTANZO DIRETTRICE SUCCURSALE MILANO CHIARA STEFANI SEDE DI CORTINA D'AMPEZZO Paola FRANCO SPEDIZIONI Francesco BIACCHESSI SALA ASTE E MAGAZZINO Giancarlo CHIARINI GESTIONE MAGAZZINO Simona SARDI
COMMISSIONI SCRITTE E TELEFONICHE Silvia PETRIOLI Elisa MORELLO Chiara STEFANI
ASTE ON LINE Federico GUIDETTI
CATALOGHI E ABBONAMENTI Simona SARDI
UFFICIO STAMPA FARSETTIARTE (Costanza COSTANZO)
Per la lettura del Catalogo Le misure delle opere vanno intese altezza per base. Per gli oggetti ed i mobili, salvo diverse indicazioni, vanno intese altezza per larghezza per profondità. La data dell’opera viene rilevata dal recto o dal verso dell’opera stessa o da documenti; quella fra parentesi è solo indicativa dell’epoca di esecuzione. Il prezzo di stima riportato sotto ogni scheda va inteso in EURO. La base d’asta è solitamente il 30% in meno rispetto al primo prezzo di stima indicato: è facoltà del banditore variarla.
Offerte scritte I clienti che non possono partecipare direttamente alla vendita in sala possono fare un’offerta scritta utilizzando il modulo inserito nel presente catalogo oppure compilando l’apposito form presente sul sito www.farsettiarte.it Offerte telefoniche I clienti che non possono partecipare direttamente alla vendita in sala possono chiedere di essere collegati telefonicamente. Per assicurarsi il collegamento telefonico inviare richiesta scritta via fax almeno un giorno prima dell’asta al seguente numero: 0574 574132; oppure compilare il form presente sul sito www.farsettiarte.it
Si ricorda che le offerte scritte e telefoniche saranno accettate solo se accompagnate da documento di identità valido e codice fiscale.
Ritiro con delega Qualora l’acquirente incaricasse una terza persona di ritirare i lotti già pagati, occorre che quest’ultima sia munita di delega scritta rilasciata dal compratore oltre che da ricevuta di pagamento. Pagamento Il pagamento potrà essere effettuato nelle sedi della Farsettiarte di Prato e Milano. Diritti d’asta e modalità di pagamento sono specificati in dettaglio nelle condizioni di vendita. Ritiro Dopo aver effettuato il pagamento, il ritiro dei lotti acquistati dovrà tenersi entro 15 giorni dalla vendita. I ritiri potranno effettuarsi dalle ore 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30, sabato pomeriggio e domenica esclusi. Spedizioni locali e nazionali Il trasporto di ogni lotto acquistato sarà a totale rischio e spese dell’acquirente.
III SESSIONE DI VENDITA Sabato 4 Dicembre ore 16,00 Dal lotto 501 al lotto 598
501
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Maurice Utrillo Parigi 1883 - Dax 1955
Rue de Banlieue, 1914 ca. Carboncino su carta applicata su cartoncino, cm. 21,5x29,6 Firma in basso a sinistra: Maurice Utrillo. V. Storia Sotheby’s, Londra, 26 marzo 1986, lotto n. 338; Collezione privata Certificato su foto di Gilbert Pétridès, Galerie Gilbert et Paul Pétridès, Parigi, 13 aprile 1985, con n. 18.118; certificato con foto di Jean Fabris, Wildenstein Institute, Parigi, 30 gennaio 2002. Stima E 9.000 / 14.000
502
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Alberto Giacometti Borgonovo di Stampa 1901 - Coira 1966
Studio di nudo, 1922-24 Matita su carta, cm. 50,3x32,6 Firma e data in basso a destra: Alberto Giacometti 1922-24. Storia Christie’s, Londra, 7 febbraio 2013, lotto n. 251; Collezione privata
Certificato con foto Fondation Alberto et Annette Giacometti, con n. 2241; opera pubblicata nel catalogo online Alberto Giacometti Database al n. AGD 2241. Esposizioni Alberto Giacometti, Paris sans fin ed altre opere grafiche, Torino, Galleria I Portici, 25 gennaio - 15 febbraio 1972. Stima E 12.000 / 18.000
503
Otto Dix Untermhaus 1891 - Singen 1969
Nudo di donna, 1931 Sanguigna con rialzi a biacca, cm. 41,6x54 Data e firma in alto a destra: 1931 / Dix. Al verso, su un cartone di supporto: etichetta Regione del Veneto / Città di Asiago / Assessorato al Turismo / e alla Cultura / I grandi maestri del Novecento / Da Pablo Picasso a Virgilio Guidi / Museo Le Carceri / Asiago 3 luglio - 25 settembre 2005; timbro Pro Loco Asiago e Sasso. Storia Galerie Valentinen, Stoccarda; Peter Raczeck Fine Art, New York; Collezione privata 503 Certificato su foto di Marzio Cortinovis. Bibliografia Ulrike Lorenz, Otto Dix. Das Werkverzeichnis der Zeichnungen und Pastelle. Herausgegeben von der Otto Dix Stiftung Vaduz. Band III, VDG, Weimar, 2003, p. 1412, n. Nsk 11.4.10. Stima E 6.000 / 9.000
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George Grosz Berlino 1893 - 1959
Passeggiando con il cane, 1912 China e acquerello su carta, cm. 20,4x28,3 Firma e data in basso a sinistra: Grosz 12; al verso: timbro George Grosz Nachlass, con n. 3/27/7. Storia Christie’s, New York, 13 maggio 1992, lotto n. 268; Collezione privata Stima E 5.000 / 8.000
504
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André Derain Chatou 1880 - Garches 1954
Paysage de Donnemarie en Montois, 1942-43 Inchiostro su carta, cm. 33x50,6 Firma in basso a destra: A. Derain. Storia Sotheby’s, Londra, 20 marzo 2002, lotto n. 80; Collezione privata Certificato su foto di Michel Kellermann, Parigi, 9 gennaio 2002. Stima E 7.000 / 10.000
Ottone Rosai al tempo del “Bargello”
Tra i ritratti di Ottone Rosai resi dagli amici scrittori quello che più impressiona, accanto alla testimonianza di affetto profondo del “racconto” di Romano Bilenchi I silenzi di Rosai, appare senza dubbio il ricordo scritto all’indomani della morte del pittore da Indro Montanelli. Montanelli aveva avuto conoscenza di Rosai fin da giovanissimo, da quando egli con Berto Ricci, fondatore e direttore de L’Universale, rivista mensile “rosaiana”, che “s’era messo in testa di fargli fare la pace con Soffici”, si recava quasi ogni giorno a trovarlo allo studio. Scriveva Montanelli: “Quando nacque sessantadue anni or sono, ne aveva già a dir poco settecento. Perchè Rosai veniva dritto dritto dal medioevo, dopo aver saltato a piè pari rinascimento e età moderna, e nei momenti di sincerità confessava che Giotto gli pareva un “deviazionista” rispetto a Cimabue, il quale gli andava molto più a sangue. Non parliamo poi di Raffaello e del Pollaiuolo. “Eh, son bravi, son bravi…”, diceva. “Sono bravi come tutt’i pittori perbenino...” Lui perbenino non era. Era anzi, a voler essere sinceri, un autentico teppista. E lo dico senza punto timore di recargli offesa, perché ci teneva moltissimo”1. Appare già qui, in pagine che sembrano “di colore” ma in realtà sono impresse dalla cronaca del vero, uno degli elementi centrali della figura di Rosai, il suo essere “un primitivo”, che pone sopra a tutti Cimabue e al quale già Giotto sembra un “deviazionista”, fino poi a definire arditamente − un avverbio che a Rosai si attaglia bene − Raffaello e Pollaiolo “pittori perbenino”. E Montanelli connota la categoria tutta rosaiana degli “omini perbenino” con quel tratto negativo che oppone il “perbenino” al plebeo, il piccolo borghese al popolano, quei popolani di San Frediano, di via Toscanella, “socialisti e comunisti arrabbiati”, con il quale egli fascista della prima ora era arrivato spesso alle mani: “S’intendeva benissimo con gli avversari, perchè ne parlava la lingua. S’intendeva meglio con loro che con gli alleati di via Tornabuoni. Anche quando li picchiava”. E tra gli uomini “perbenino” Rosai avrebbe finito poi per includere anche Soffici, dopo la rottura del loro rapporto, e a seguito della nomina di Soffici Accademico d’Italia, anche se l’antica amicizia era rimasta. Su Rosai “primitivo” è stato costruito un mito che dagli scrittori suoi sodali è finito poi nella critica intorno a lui: Bilenchi, Betocchi, Delfini, Luzi, Leoni, Parronchi, Santi, Pratolini, Vittorini, e da lì Masciotta, Valsecchi, Santini, Baldacci, si sono variamente esercitati sul “primitivismo” di Rosai. Classificare Rosai come un pittore primitivista nonostante certe suggestioni della pittura di Henri Rousseau il Doganiere sarebbe un errore: Rosai sembra non aver mai manifestato, a differenza di Boccioni o Carrà, un interesse specifico per le forme di arte delle culture extra europee, africane e oceaniche. Il primitivismo di Rosai è senza dubbio invece classificabile alla luce della rivalutazione berensoniana dei primitivi italiani, da Cimabue a Giotto e Duccio, visti però contro i pittori “bellini”, come racconta Montanelli, del Rinascimento. La definizione di Primitivismo nell’arte è nata in opposizione a quella del Rinascimento e si fonda sui caratteri arcaici, sintetici e astratti dell’arte del Due-Trecento rispetto al cosiddetto “Naturalismo” e alla rappresentazione prospettica dello spazio della pittura del Quattro-Cinquecento. La coniugazione Rosai-Primitivi senesi e fiorentini ritorna spesso negli scrittori a lui vicini e viene riportata esemplarmente in un dialogo riferito dalla memoria di Bilenchi nel suo I silenzi di Rosai: “[...] Dicono che dipingo fangoso, ma non è vero. Fra dieci anni ogni tono più lieve sarà percettibile. I miei vecchi quadri sono diventati già preziosi come uno smalto. Io sono puro come un antico pittore senese”2. Questa idea della “purezza” della pittura di Rosai si affaccia anche nell’altro testimone biografico del pittore, Piero Santi, che però la colloca coniugandola con l’opposta “impurezza”, della pittura come “prostituta e vergine” insieme: “[...] ma Ottone mi richiamava alla pittura, maledetta e adorata, prostituta e vergine”3. Al mito di Rosai primitivo e maledetto è stato collegato poi il rapporto tra la sua pittura e quella di Francis Bacon, secondo una intuizione di Luigi Carluccio in occasione della grande mostra di Bacon alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino nel 1962. Questo rapporto “tra i dannati di Bacon e le figure, i nudi, i ritratti e soprattutto gli autoritratti” di Rosai, che per Carluccio era il solo pittore che in mezzo secolo d’arte italiana avesse avuto il coraggio della sgradevolezza. E sarebbe inutile ricordare Viani − “[...] l’espressionismo vàgero di Viani non somiglia affatto a Bacon, mentre Bacon somiglia moltissimo a Rosai”− fu ripreso nella recensione che Luigi Baldacci dedicò nel 1984 al libro di Carluccio, La faccia nascosta della luna4. Sul rapporto Rosai-Bacon e sul primitivismo del pittore fiorentino, Baldacci sarebbe poi tornato in modo preciso in una recensione alla mostra per il centenario della nascita alla Galleria Pananti del 1995: “[...] fino alla morte continuò a darci degli autoritratti che non hanno niente da spartire col populismo che gli è stato imputato, ma si collocano nella stessa chiave espressionistica di un Bacon: accostamento non inedito”5. Questa interpretazione di Rosai in rapporto a Bacon non convinceva affatto Alessandro Parronchi che insisteva invece sulla linea del rapporto con i Primitivi toscani, calcando la mano sulle suggestioni da Giotto, dall’amatissimo Masaccio della Cappella Brancacci e da Andrea del Castagno, le grandi figure dell’affresco l’Ultima cena di Sant’Apollonia e dagli incantati paesaggi del Beato Angelico, che Rosai ricordava a proposito della piazzetta del Giramontino, “un Beato Angelico sceso a terra”. Qui si tocca inevitabilmente un altro problema della critica su Rosai: il carattere sociale, rilevante per il mondo di figure, degli “omini” e delle “donnine” che popolano le sue vedute delle strade fiorentine, delle piazze con i “giocatori di
toppa”, i muratori, le osterie e le sale di biliardo. Che Rosai non sia stato un rivoluzionario ma piuttosto un rivoltoso, per seguire una definizione usata da Jean-Paul Sartre nella distinzione tra Baudelaire, rivoltoso che non sovverte l’ordine esistente ma ha addirittura bisogno delle sue istituzioni per elevare la sua protesta, e Arthur Rimbaud rivoluzionario, che invece vorrebbe distruggerlo completamente, non risolve il problema della definizione del carattere ideologico della sua pittura, che attrasse così i più giovani e che coinvolse fortemente Bilenchi, Pratolini e Grazzini. E questa definizione passò dalla pittura alla figura stessa del pittore, prima come alfiere del Lumpenproletariat, come diceva Renzo Federici, quindi cantore degli operai degradati, poveri e cattivi, dei ladri, dei giocatori e delle prostitute, vissuti, da lui omosessuale, nella loro impura eppur pura umanità, poi forse con maggior chiarezza come canaille, nell’autentica accezione francese della parola − “Ramassis de gens méprisables on considérés comme tels” (Paul Robert, Dictionnaire, 1972) − difficilmente traducibile con l’italiano canaglia o malandrino. Secondo la morale aristocratica e poi borghese anche i lavoratori parigini della rivoluzione del 1848 appartenevano a la canaille, ma questa accezione politica non è presente in Rosai che tuttavia Ottone Rosai, Il libro di un teppista, Vallecchi Editore, Firenze, 1919 corrispondeva a quel tipo di uomo antiborghese secondo una definizione resa nell’Ottocento da Anatole France: ”Il amait à fréquenter la canaille”. È stata questa ancora un’intuizione di Baldacci secondo il quale Rosai “[...] ha sentito immediatamente la necessità di un linguaggio canaille, popolare e populista fino alla cifra del primitivo”. Baldacci collegava questa condizione di Rosai a una precedente intuizione del malpensante Domenico Giuliotti che, “attraverso il filtro di Tozzi” scriveva in una lettera a Berto Ricci nel 1930 “[...] che le presunte scorrettezze dei quadri rosaiani di figura erano volontarie, cioè inseribili in un recupero del primitivo” e che Rosai “[...] è il poeta della miseria, e delle miserie e delle miserie della miseria [...] come i primitivi (mi viene in mente la Tebaide degli Uffizi), dipinge con la punta dell’anima”, sottolineando anche che il suo colore preferito, quello livido-violaceo delle ecchimosi, col quale, mirabilmente egli può ritrarre tutta una moltitudine [...] di poveri cristiani martugiati dalla vita”6. E questa canaille di Rosai ha spinto a volte a collegare il suo mondo a quello delle borgate, dei ragazzi di vita, ritratti da Pier Paolo Pasolini. Senonché la differenza, profonda, è che l’autore del Libro di un teppista, teppista lo era stato davvero, così come era stato un ardito con il pugnale stretto tra i denti nella grande guerra, mentre Pasolini non lo era stato affatto. E ancor più, nella definizione del fascista Frullini, Rosai era “una fulgida figura di squadrista di San Frediano”. Ma qui il discorso su Rosai si allargherebbe alla storia della sua vita, da fascista della prima ora a critico del regime poi e infine, all’opposto della storia di Soffici, a ospitante nella clandestinità di giovani gappisti comunisti fiorentini, rischiando la vita. Le vicende alterne del rapporto Soffici-Papini e Rosai sono note, dalla polemica scatenata dalla pubblicazione del pamphlet Alla ditta Soffici-Papini & Compagni, 1931, al sostegno dato a Rosai dal gruppo dell’Universale con la pubblicazione del pamphlet Il Rosai, firmato da Berto Ricci, Bruno Rosai, Dino Garrone, Gioacchino Contri, Edoardo Persico: “Conterranei d’Ottone Rosai, e suoi figli spirituali, non conta che i nostri nomi siano conosciuti [...]
Rosai, bestemmiatore, negatore micidiale delle virtù borghesi è immediatamente più vicino a Dio degli onesti atei e cattolici [...] Ora hanno voluto rinserrare l’arte d’Ottone in una cornice pittoresca d’ometti e di stradine, col solito folklore che è il paradiso dei decadenti [..] Contro questa degenerazione e rovina, più altamente di chiunque altro si rivolta Rosai [...] Rosai non è anarchico, anzi è l’opposto, perchè rappresenta e diffonde una legge di molto superiore a tutti i regolamenti di polizia: rappresenta l’ordine sostanziale e non formale, inteso dai fanciulli e dai santi, e qualche volta dai pazzi e qualche volta dai poeti. [...] Poeta dunque più di tutti i poeti oggi vivi, eguagliato soltanto da Palazzeschi e dal pazzo bellissimo Campana, Rosai è quello che dà a noi e a tutti più umanità”7. Erano questi i tratti della figura di Rosai che esercitavano sui giovani di allora quella capacità unica di attrazione che egli ebbe dagli anni Trenta fino alla morte. L’altra figura di riferimento era senza dubbio Soffici a cui guardarono molti tra i giovani pittori, ma ai giovani vicini a Rosai Soffici non andava a genio. Che Soffici, che pure aveva compiuto con gli scritti di Scoperte e massacri (1919), un’opera di “igiene artistica” (Luigi Baldacci) scegliendo Courbet, Cézanne, Degas, Renoir, Rousseau, Medardo Rosso, Pissarro e Sisley, scoperte, contro Bistolfi, Canonica, Chini, Sartorio, Tito, Trentacoste, bersagli dei suoi massacri, scegliendo quindi la cultura artistica francese contro quella italiana, fosse diventato poi, dopo il Ritorno all’ordine, di nuovo assertore di un’arte italiana, risultasse agli occhi dei giovani rosaiani come Pratolini e Grazzini, un artista accademico, pare oggi naturale. Soffici non aveva mai inteso la Rivoluzione Fascista come rivoluzione popolare antiborghese ma come opera di pulizia e instaurazione di un nuovo ordine, e quindi era lontano da quel fascino di sinistra a cui si ispiravano i “frondisti” fiorentini. Rosai invece, volontario ardito della grande guerra, decorato con due medaglie al valore, seguendo l’interpretazione resa da Bilenchi, dopo un’adesione iniziale al fascismo sansepolcrista si era ritirato caratterizzandosi sempre più in senso anti borghese e antiperbenista. Ma era soprattutto l’uomo Rosai, amico di Giuseppe Bottai, ad andare lontano dal fascismo in marsina e cilindro del Mussolini arrivato al governo: Rosai appariva allora come “il teppista”, un ribelle al potere in ogni sua forma. L’estraneità di Rosai a quel Ritorno all’ordine, dopo la fine del Futurismo, teorizzato da Soffici nella ricerca di una pittura misurata su la grande tradizione classica interpretata come fondamento della modernità, fu forte. Non stupisce quindi l’assenza di Rosai anche in un libro importante sul Novecento come quello di Elena Pontiggia, Modernità e classicità, 2008, in cui invece è dato largo spazio a Soffici, che del Ritorno all’ordine fu uno degli artefici. Rosai all’ordine non tornò perché nell’ordine non ci sarebbe mai stato. Tuttavia bisogna riflettere anche sulla lettura della pittura di Rosai come “espressionista” coniugandolo con Federico Tozzi (quello di Bestie che Giacomo de Benedetti paragonava a Franz Marc) e alla poesia di Dino Campana, accostamenti questi che hanno attratto anche Baldacci ma che, come quella di un Rosai pre-Bacon, possono fuorviare dalla specificità della sua pittura. Rosai fu un frutto puro nella cultura artistica del Novecento e ogni interpretazione altra della sua pittura rischia di limitarne la purezza. Anche il Rosai scrittore, con quella sua scrittura antiletteraria, anti-intellettuale, “un linguaggio canaille, popolare e populista fino alla cifra del primitivo”, come Baldacci, 1989, definì anche la sua pittura; una scrittura recentemente ben analizzata da Giuseppe Nicoletti, che altrimenti rischierebbe di essere incasellata in una definizione di genere, quando Rosai non appartenne ad alcun genere se non a quello di essere fino in fondo se stesso. Rosai appartenne sì a quella cultura in cui prima, dopo e a fianco del Futurismo, si andarono configurando le esperienze poetiche di Tozzi e Campana, ma non è riconducibile a queste. Santi ha raccontato di un Rosai antidannunziano, che rende appieno la cifra del personaggio, in una pagina del suo ritratto: “Ottone ed io eravamo muti, prendemmo una scorciatoia sotto la piazza Desiderio e fummo presto nella via D’Annunzio. “Guarda quel porco” fece Ottone, indicandomi la targa col nome dell’abruzzese; e io dissi: “Fiorenza, giglio di potenza, virgulto primaverile”. “Virgulto fa rima con singulto” riprese Ottone “e il tutto fa un bello schifo”8. Le lettere di Rosai a Grazzini sono tra le più belle dell’intero epistolario rosaiano e illuminano sullo spirito dei giovani verso il pittore negli anni Trenta. In una lettera datata 15 maggio 1935, Rosai si sfoga con Grazzini di come i critici abbiano recensito la sua presenza alla Quadriennale e ancora una volta il suo bersaglio è Ojetti: “[...] Ma i critici imperanti tipo Ojetti dicono che la mia arte ha del volgare; la mia forza la chiamano becerismo, la mia fede il mio spirito non esistono perchè non rientrano nel loro mondo borghese mentre esiste e s’infiammano davanti alle porcellane di Carena e di Conti. [...] So da ieri che quella specie di attaccapanni da albergo che risponde al nome di Michelucci va dicendo che i miei disegni delle case coloniche infamano l’architettura e il sacro delle stesse case” [Si trattava dei disegni per il libro di Mario Tinti]. In una lettera precedente del 28 gennaio 1935 Rosai spiega a Grazzini, che prestava servizio militare ed era stato incitato da Rosai a partire volontario in Africa, il suo credo di artista: “L’artista non ha età, è sempre giovane e sempre vecchio quando pensa e quando non pensa. L’artista è per me una sintesi di tutto il dolore e di tutta la gioia della vita. Insomma ancora di più in questa tua ultima lettera dimostri e affermi la tua fede [...] t’invidio quasi e t’amo perché dalle tue parole imparo”. Queste idee di Rosai, al di là del rapporto che avevano con la sua pittura, erano le idee levatrici e formative della generazione di Pratolini, Grazzini e Becchi e del loro appassionato essere rosaiani. L’influsso di Rosai, della sua pittura ma anche delle sue idee sui giovani pittori fiorentini fu così deciso e a volte “prepotente” che oggi si stenta a credere: la miglior parte della gioventù artistica a Firenze tra il 1930 e 1945 fu dunque fortemente rosaiana e Rosai attrasse questi giovani artisti molto più di Soffici, che era l’altra figura dominante, e di Carena e Conti. La lezione di Rosai che pure aveva partecipato alla seconda mostra del Novecento italiano nel 1929 con i grandi dipinti Giocatori di toppa, 1928, e Suonatori, 1929, svolta in direzione antinovecentesca e antiaccademica, fu decisiva per loro. Sul rapporto intercorso tra Rosai e Il Bargello, settimanale della federazione provinciale fascista di Firenze, stampato dal 1929 al 1943, ha reso un’analisi fondamentale Giuseppe Nicoletti rivalutando il posto che i circa duecento disegni, frutto di tale collaborazione, hanno avuto nella storia di Rosai. Nicoletti ha esaminato non solo il contesto culturale e politico in cui tale collaborazione si svolse ma ha anche posto con chiarezza il legame tra disegno, pittura e scrittura in Rosai, rivendicando il carattere organico e la coerenza di questo legame che ad altri esegeti di Rosai era sfuggito9.
Che questi disegni, tutti ispirati a fatti e idee riguardanti la società e la politica di quegli anni, e quindi il regime fascista, avessero per Rosai un significato importante lo dimostra la pubblicazione della loro raccolta in volume, edito da Vallecchi nel 1930. Il testo introduttivo di Gioacchino Contri rendeva conto dell’importanza che i disegni avevano nel ruolo politico del settimanale, voce di quei fascisti che si erano già raccolti intorno a Berto Ricci e alla rivista L’Universale, alla quale aveva collaborato con scritti anche Rosai nel 1931 e che avevano redatto nel giugno 1930 l’opuscolo Il Rosai, un manifesto in difesa del pittore contro gli attacchi che gli erano venuti non solo dai borghesi e benpensanti ma anche dalla ditta Soffici-Papini e Compagni ai quali Rosai avrebbe poi risposto nel 1931 con il noto Pamphlet. I firmatari di Il Rosai erano stati Berto Ricci, Bruno Rosai, Dino Garrone, Gioacchino Contri e Edoardo Persico e in questo gruppo Contri non rivestì un ruolo certo secondario, animato da ideali sì fascisti ma antiborghesi, anticapitalisti e in rivolta alle gerarchie burocratiche del partito e del regime. Si cullavano insomma, in polemica con tali gerarchie, nell’illusione di riprendere i caratteri “proletari” del primo fascismo e di cambiarlo dall’interno, illusione che coinvolse tutto il gruppo di L’Universale, e anche scrittori come Romano Bilenchi e Indro Montanelli e che fu poi miseramente vanificata dagli eventi di uno sviluppo apertamente sempre più reazionario del regime e trovò − tale illusione − un simbolo, come diceva Bilenchi, nella morte di Ricci, in guerra, nel cielo africano10. Il carattere di critica politica che animava i disegni di Rosai per il Bargello non fu dunque gratuito e analizzando meglio il rapporto di questi disegni con i commenti e i titoli sotto apposti si capisce che Rosai operò tale rapporto in piena sintonia e le diverse illustrazioni mostrano quel carattere organico che solo la grande satira politica sa restituire. Riconducendo gli enunciati politici e propagandistici al suo “stile” Rosai non violò né i primi né il secondo, e raramente nel disegno politico italiano del Novecento altri artisti, ad eccezione di Mario Sironi, con stile completamente diverso ma eguale sintonia con la pittura, hanno raggiunto quel livello di organicità dei due registri, la polemica politica e l’espressione della stessa. Si prenda ad esempio il foglio con la scena dell’albero della Cuccagna attorniato dalla folla sanfredianina sotto il titolo Impressioni e ricordi delle tradizionali feste di S. Rocco in Oltrarno, ripristinate dal gruppo rionale fascista “G. Luporini”: qui la folla bramosa alza le braccia verso la sommità del palo ove, appesi ad una ruota, pendono salami, prosciutti e salsicce, e un concorrente si arrampica verso la cima; si avverte l’ironia di una gara per il cibo di un popolo gioioso ma con la fame. Gioacchino Contri
Certo il sarcasmo “fascista” di certe vignette, come quella contro Gaetano Salvemini − “Vox clamantis in deserto” per il successo del libro Terrore fascista − definito ex-italiano ed ex-professore dell’Università fiorentina, la fila di neri africani con il libro sottobraccio che guardano l’unica palma nel deserto − non si può che rifiutare, ma certe caricature di grandi gerarchi graffiano all’interno del regime. Il paese più colpito dalla satira del Bargello rimane comunque l’Inghilterra, “la perfida albione, e i suoi partiti” − “Moda inglese. Il laburismo torna al potere” − in cui il conservatore, il liberale, il laburista, vengono indicati insieme come “vestiti” diversi dello stesso potere11: Nicoletti ha segnalato le reazioni di critica negativa sui disegni del Bargello già al tempo dell’uscita del libro. Dino Garrone in una lettera del 26 ottobre 1930 a Persico scriveva: “L’idea del Vallecchi di pubblicare i disegni politici del Rosai (la leggo sul “Bargello” è una cosa infelicissima. È un’altra alzata d’ingegno del becerismo di S. Frediano)”. In tempi più recenti Nicoletti rimanda alla “stroncatura” del Rosai del Bargello da parte di Luigi Cavallo: “L’impegno politico nuoce al suo linguaggio, ferma l’immediatezza lirica e appesantisce il segno: Rosai non è un grande disegnatore satirico, come Grosz, Ben Shahn o Maccari. Nei disegni del Bargello ci colpisce sfavorevolmente il tono caricato di farsa che domina la rappresentazione dei personaggi, un tono che ridicolizza l’insieme al punto dal svuotarlo di qualsiasi importanza e credibilità. Le fisionomie tendono a una verve colorita e d’effetto, ma esteriore; solitamente misurato e di moderna sensibilità − anche nei disegni dello stesso periodo non eseguiti per il Bargello − è qui costretto a delle macchiette di humor legnoso, che trasforma assurdamente il senso del disegno in torvo o idioti sogghigni: anche quell’umanità desolata, notata da Rosai come da Chaplin − la maschera in tubino e scarpacce − i reietti, i miserabili, gli offesi, divengono personaggi tetri, burattini balordi e deformi, poiché non è dosato il sarcasmo e la derisione. Siamo lontani dai burattini atroci e assurdi di Brecht, da quel clima di allegoria provocatoria; Rosai sbaglia rapporto sul piano dell’arte, crede di essere sprezzante, di usare acidi e veleni per i nemici dell’ideologia, si batte per la purezza rivoluzionaria del fascismo e pensa di lavorare con strumenti affilati, taglienti come un’arma e qualcuno lo illude in questo senso, invece cade nel convenzionale, ed è quasi un atteggiamento masochistico, una perfida curvatura dello specchio in cui riflette le sue invenzioni polemiche”12. Oggi, a distanza di novanta anni dalla loro uscita, questo giudizio andrebbe rivisto: i disegni del Bargello confermano il carattere unitario, organico, del Rosai disegnatore e la sua natura di “Primitivo” anticlassico, che giunge alla caricatura mantenendo intatta questa vena. Tali “stroncature critiche” dei disegni del Bargello mostrano oggi una oggettiva debolezza. Nei disegni del Bargello Rosai unisce al genere della caricatura, intesa da lui in modo particolare, quello del disegno infantile già presente nella sua pittura degli inizi come nel dipinto Guerra più rancio, 1916, e nella copertina del Libro di un teppista, 1919. Soffici si era accorto per primo di questa voce particolare presente nel carattere di Rosai quando, in un testo del 1920, scriveva: “Ora arte vera è, appunto, l’arte di Ottone Rosai [...] il quale è spontaneità. Spontaneità di visione, di elaborazione e di espressione [...] brio non disgiunto da un certo spirito malinconico che pure è suo; come in Vallesina e in Villaggio sorprendo la sua nostalgia di sogni, meglio che primitiveggianti, infantili, sogni di soldato ancora un po’ ragazzo il quale cerca di vedere battaglie e paesi con gli occhi e l’anima fatta ai balocchi e alle fiabe”13. Il modo di intendere il disegno satirico di Rosai non è dunque di ridurlo al genere della caricatura tout court, ma di inserirlo nel quadro complesso della sua pittura di cui costituisce una voce. Questa voce, di una riduzione ironica spinta fino al sarcasmo, si fa sentire in Rosai anche nei ritratti come quelli degli amici scrittori della serie cosiddetta dei “Tondini” che suscitarono la viva attenzione anche di Vasco Pratolini in una bella recensione, I Tondini di R., apparsa su Omnibus, il 22 gennaio 1947. Marco Fagioli
Indro Montanelli, Belle figure (Incontri), Longanesi, Milano, 1959, pp. 320-22. Romano Bilenchi, Opere, a cura di Benedetta Centovalli, Massimo Depaoli e Cristina Nesi, prefazione di Mario Luzi, Rizzoli, Milano, 1997, p. 731. 3 Piero Santi, Ritratto di Rosai, lineamenti di un’esistenza, De Donato, Bari, 1966, p.80. 4 Luigi Baldacci, I quadri da vicino. Scritti sulle arti figurative, a cura di Alessio Martini, Rizzoli, Milano, 2004, pp. 127-29. 5 Ibidem, p. 246. 6 Ibidem, pp. 248-49. 7 Il Rosai, in L’Universale, rivista mensile, Firenze, s.d., pp. 3-9. 8 Piero Santi, Ritratto di Rosai, cit., p. 81. 9 Ottone Rosai. I disegni del “Bargello”, con due scritti di Giuseppe Nicoletti, Pananti, Firenze, s.d.; Giuseppe Nicoletti, Scritture Novecentesche a Firenze, Ricciardi editore, Milano-Napoli, 1998. 10 Giuseppe Nicoletti, Scritture Novecentesche a Firenze, cit., pp. 85, 88, 89, n. 95, n. 96, n. 107, n. 109. 11 Gioacchino Contri - Ottone Rosai, I disegni del “Bargello”, Vallecchi, Firenze, 1930, pp. 25, 27, 67. Il volume riprodusse i disegni con gli stessi cliché della rivista. 12 Giuseppe Nicoletti, Scritture novecentesche a Firenze, cit., p. 96; Luigi Cavallo, Ottone Rosai, Edizioni Galleria il Castello, Milano, 1973, p. 80. 13 Ardengo Soffici, Trenta artisti italiani e stranieri, Vallecchi, Firenze, 1950. Sul “primitivismo” di Rosai si sono variamente cimentati Alessandro Parronchi, Pier Carlo Santini, Luigi Cavallo e Giovanni Faccenda. Per un’analisi compiuta del problema si rimanda alle considerazioni svolte da Giuseppe Nicoletti, Storia breve di Ottone Rosai scrittore, in Scritture novecentesche a Firenze, cit., pp. 64-66, che rimane uno scritto fondamentale anche per capire Rosai pittore. 1 2
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Alla conferenza di Londra: chiarezza fascista che ha completamente confuso i malintenzionati, 1929-30 Inchiostro e matita su carta, cm. 20,5x15,2
Illustrazione per la rivista Il Bargello.
Al verso: schizzo di figura a matita: scritta Bargello / cm 7.
Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 78.
Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata
Stima E 1.000 / 2.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Tre disegni per Il Bargello, 1929-30 A) «Carta stampata». Rassegna di Alberto Luchini, inchiostro e matita su carta, cm. 22,4x14,7. Scritta al verso: Luchini; B) Henriot ha traversato l’Italia senza accorgersi degli orrori del regime fascista, inchiostro e matita su carta, cm. 20,9x15. Scritta al verso: Bargello / cm 7; C) Contadino, inchiostro e matita su carta, cm. 20,5x14,4. Firma in basso a destra: Oerre. Scritta al verso: Bargello / cm 3. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 58 (B), p. 67 (A).
507 - B
Stima E 3.500 / 5.500
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Tre disegni per Il Bargello, 192930 A) Per una lettera fascista. Basta con le traduzioni!, inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x20,3. Scritta al verso: Bargello / cm 7; B) Dal merciaio, inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x18,3. Firma in basso a destra: Oerre. Scritta al verso: Bargello / cm 3½; C) Concorso di bellezza, inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x20,7. Sigla in basso a sinistra: O.R.; titolo e scritta al verso: Concorso / di bellezza / Bargello / cm 7.
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Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 79 (A). Stima E 3.500 / 5.500
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Sei disegni per Il Bargello, 1929-30 A) Storia del «Pianerino». Articolo di Alessandro Pavolini (Contadino al dazio), inchiostro e matita su carta, cm. 20,5x15,3. Titolo e scritta al verso: Contadino al / dazio / Bargello / cm 7 / (tutto foglio); B) Redenzione della terra e degli uomini. Col 1 luglio 1930 è entrata in vigore la «Legge Mussolini» per la bonifica integrale, inchiostro e matita su carta, cm. 17,9x13,9. Al verso scritta: Bargello / 14 cm; C) Storia del «Pianerino». Articolo di Alessandro Pavolini (Contadino che lascia il paesello), inchiostro e matita su carta, cm. 20,8x15,3. Titolo e scritta al verso: Contadino che / lascia il paesello: Bargello / cm 7 / conta segno turchino / per la riproduzione; D) Rubrica cinematrografica (P. F. Gomez), inchiostro e matita su carta, cm. 14,8x10,4. Scritta al verso: Bargello / cm 3½; E) Per «Il cannone di San Paolino» di Sandro Volta, inchiostro e matita su carta, cm. 18x14. Scritta al verso: Bargello / 7 cm; F) Il Bargello è il giornale del fascismo fiorentino. Dovete abbonarvi, inchiostro e matita su carta, cm. 14,8x10,4. Scritta al verso: Bargello / cm 3½.
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Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 37 (B), p. 65 (E), p. 68 (A, C), p. 70 (F), p. 71 (D). Stima E 6.000 / 9.000
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Tre disegni per Il Bargello, 1929-30 A) Per il discorso del Duce il 14 settembre 1929 - VII: «O lo scioglimento che mi annunziasti?» «L’ho avuto io», inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x20,8. Scritta al verso: Bargello / cm. 7; B) Briand tenta di rimettere in circolazione la «Federazione europea», inchiostro e matita su carta, cm. 19,3x15,1. Sigla in basso a destra: O.R.; scritta al verso: La solita patacca / del Signor Briand / Bargello / cm 4; C) Per il discorso del Duce il 14 settembre 1929 - VII: Ah! Il
fascismo! Istantanea presa all’ingresso dei congressisti del convegno radico-massonico di Reims, inchiostro e matita su carta, cm. 15,2x20,7. Al verso: schizzo di altra composizione a matita: scritta Processione di Reims / Bargello / cm 7. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 84 (B), p. 52 (C), p. 53 (A). Stima E 3.500 / 5.500
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Tre disegni per Il Bargello, 1929-30 A) «Fischi agli orecchi» (Rubrica periodica), inchiostro e matita su carta, cm 20,8x15,3; scritta al verso: Fischi negli orecchi / Bargello / cm 3½; B) Chiave, inchiostro e matita su carta, cm. 19,2x15,2. Scritta al verso: Bargello / cm 2½; C) Le assai magre e dure questioni sulle quali «nobilmente contendono» oggi i partiti inglesi, cm. 20,7x15,2; scritta al verso: Bargello / cm. 7. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 71 (A), p. 33 (C), quarta di copertina (B). Stima E 3.500 / 5.500
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Quattro disegni per Il Bargello, 1929-30 A) Lo spintone, inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x13,2. Scritta al verso: Bargello / cm. 7; B) Il Bargello è il giornale del fortissimo fascismo rurale e provinciale. Dovete abbonarvi!, inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x10,7. Scritta al verso: Bargello / cm 3½; C) «Elogio del lampione a gas» di Lorenzo Bracaloni, inchiostro e matita su carta, cm. 15,2x9,5. Sigla in basso al centro: O.R; scritta al verso: Bargello / cm 2 (solo figura); D) Spacciatori di barzellette, in guardia!, inchiostro e matita su carta, cm. 15,3x14,6. Scritta al verso: Conseguenze / alle barzellette / Bargello / cm 7. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 35 (A), p. 72 (B), p. 78 (D), p. 96 (C). Stima E 5.000 / 8.000
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Sei disegni per Il Bargello
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A) Records americani. In base a una recente statistica, negli USA si consuma in media un delitto ogni 40 minuti, inchiostro e matita su carta, cm. 20,8x15,3. Sigla in basso a destra: O.R.. Scritta al verso: Bargello / cm 7; B) «Bollettino del lavoro» e «Botteghe artigiane» (Artigiano), inchiostro e matita su carta, cm. 20,8x15,3. Scritta al verso: Artigiano / Bargello / cm 3½; C) G.R.F. «Foscari» (S. Niccolò - Colonna - Bandino), inchiostro e matita su carta, cm. 20,8x15,3. Scritta al verso: San Niccolò / Bargello / cm 3½; D) Impressioni e ricordi delle tradizionali feste di S. Rocco in Oltrarno; ripristinate dal gruppo rionale fascista «G. Luporini». L’albero della cuccagna, inchiostro e matita su carta, cm. 21x15. Scritta al verso: Bargello / cm 7; E) Debiti e crediti di guerra. Ecco l’esattore più interessato e più intransigente di una partita non ancora chiusa!, inchiostro e matita su carta, cm. 22,5x14,7. Scritta al verso: L’americano / a sacchi vuoti / e vede le stelle / Bargello / cm 7; F) Storia del «Pianerino». Articolo di Alessandro Pavolini (Contadino che chiede al portiere di essere ricevuto da un imprenditore di lavori), inchiostro e matita su carta, cm. 20,7x15,4. Scritta al verso: Contadino / che chiede al portiere / di essere ricevuto da / un imprenditore di lavori / Bargello / cm 7 / tutto foglio. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 31 (E), p. 68 (F), p. 72 (B), p. 78 (C), p. 79 (A). Stima E 6.000 / 9.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Sei disegni per Il Bargello, 1929-30 A) Rapporti dai borghi e dal contado (Strada), inchiostro su carta, cm. 13x10,3; al verso scritta: Bargello / 3 cm; B) Ronda in città, inchiostro su carta, cm. 10,3x7,4; scritta al verso: Bargello / 3 cm; C) Rapporti dai borghi e dal contado (Campagna), inchiostro su carta, cm. 12,4x8,3; al verso disegno a matita a soggetto Figura maschile di profilo: scritta Bargello / 3 cm; D) Snowden cammina appoggiandosi a due bastoni, inchiostro e matita su carta, cm. 14,3x11,3; scritte al verso: Contorni tra / le ruote / Bargello / 7 cm; E) Campi sportivi, inchiostro su carta, cm. 10,3x7,4; scritta al verso: Bargello / 3 cm; F) Lettore de Il Bargello, inchiostro su carta, cm. 15,5x9; al verso: altro disegno a inchiostro a soggetto Figura maschile: scritta Bargello / cm 3½. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata 514 - A
Bibliografia Gioacchino Contri, Ottone Rosai, I disegni del Bargello, Vallecchi Editore, Firenze, 1930, p. 51 (D), p. 70 (A, C), p. 71 (E), p. 73 (B), copertina (F). Stima E 6.000 / 9.000
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Marino Marini Pistoia 1901 - Viareggio (Lu) 1980
Danzatrici, 1969 Penna e inchiostro su carta, cm. 29,5x21 Firma in basso a destra: Marino. Certificato su foto Fondazione Marino Marini, Pistoia, 5 dicembre 2007, con n. 516.
Esposizioni Sogni di carta. Dipinti, disegni e incisioni dei maestri del ‘900, Riccione, Galleria d’arte moderna e contemporanea Villa Franceschi, 25 giugno - 11 settembre 2011, cat. p. 59. Bibliografia Gualtieri di San Lazzaro, Marino Marini, l’opera completa, introduzione H. Read, saggio critico di P. Waldberg, Silvana Editoriale d’Arte, Milano, 1970, pp. 179, 521. Stima E 7.000 / 10.000
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Marino Marini Pistoia 1901 - Viareggio (Lu) 1980
Miracolo, 1969 Penna e inchiostro su carta, cm. 29,3x20,7 Firma in basso a destra: Marino. Certificato su foto Fondazione Marino Marini, Pistoia, 5 dicembre 2007, con n. 517.
Bibliografia Gualtieri di San Lazzaro, Marino Marini, l’opera completa, introduzione H. Read, saggio critico di P. Waldberg, Silvana Editoriale d’Arte, Milano, 1970, pp. 239, 521. Stima E 7.000 / 10.000
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Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Grande natura morta con la lampada a petrolio, 1930 Acquaforte su rame, es. 14/40, cm. 30,5x36,2 (lastra), cm. 38,4x50,7 (carta) Firma e data a matita sul margine in basso a destra: Morandi 1930, tiratura in basso a sinistra: 14/40, dedica in basso verso sinistra: a Gioacchino Contri / Morandi. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Bibliografia Lamberto Vitali, L’opera grafica di Giorgio Morandi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, n. 75; Michele Cordaro, Morandi incisioni. Catalogo Generale, Edizioni Electa, Milano, 1991, p. 86, n. 1930 8. Stima E 25.000 / 35.000
Era ben difficile sottrarsi al fascino di quella apparente semplicità, che, nella casa di via Fondazza, rispecchiava l’ordine e la misura di un costume antico e di una solitudine addirittura claustrale, così le descrizioni non sono mancate nel salotto, dove si conversava davanti a una tazza di caffè, prima d’incamminarsi verso lo studio, attraversando un corridoio buio e la stanza delle sorelle. Il rituale morandiano non mutava col mutar delle visite. E lo studio, col tavolo rotondo e l’armadio delle bottiglie, col cavalletto in cui si stratificavano i colori levati dalla tavolozza con la spatola; con la finestra aperta sull’orlo di casa, è descritto in tante pagine, fotografato, documentato in ogni particolare, perché Morandi, prima di morire, era diventato un personaggio per un pubblico vasto. “Quello delle bottiglie” diceva la gente, meravigliata di vedere un uomo tanto serio e diverso dagli artisti che si disputano l’onor delle cronache dei rotocalchi: un uomo con la frangetta bianca del domenicano e con l’occhio notturno e misterioso. Pochi tuttavia immaginavano il Morandi incisore, curvo sulla lastra di rame, a tracciare il preciso intrico dei segni o a sorvegliare gli effetti delle morsure, in un’atmosfera non turbata, di totale distacco dal mondo. Infatti in quei momenti esistevano soltanto i gruppi delle scatole, delle bottiglie, dei bricchi e delle caffettiere, con le luci e le ombre, che li situavano nello spazio, e la lastra affumicata, da trasformare con la punta fermissima in un tessuto rivelatore di segni poetici. Nessuna concessione agli effetti esteriori: ma invece la ricerca in profondità di una immagine, al di là degli oggetti che l’avevano ispirata di cui il contafili avrebbe rivelato soltanto la tecnica perfetta. Giuseppe Marchiori, Giorgio Morandi. Le incisioni, 1969
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Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Paesaggio, 1961 Matita su carta, cm. 16,5x24 Firma in basso al centro: Morandi. Dichiarazione di autenticità al verso: Bologna, 21.6.1978 / Questo disegno è opera di Giorgio Morandi / Anna Morandi / Maria Teresa Morandi. Storia Collezione G. Balboni, Parigi; Collezione privata, Bologna; Collezione privata Esposizioni Giorgio Morandi 1890-1964. Disegni, acqueforti, acquerelli, oli da 1908 al 1964, Sasso Marconi, La Casa dell’Arte, 9 maggio - 11 giugno 1981, cat. p. 24, illustrata; Omaggio a Morandi nel ventennale della morte, oli acquerelli disegni grafiche, Sasso Marconi, La Casa dell’Arte, 1984, cat. p. 84, illustrata; Morandi, 100 opere su carta, Milano, Pinacoteca di Brera, 30 novembre 1985 - 2 febbraio 1986, poi Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna, 22 febbraio - 14 aprile 1986, cat. p. 73, n. 56, illustrata; Giorgio Morandi, antologica, Parigi, Hotel de La Ville, 12 giugno - 20 agosto 1987, cat. n. 74, illustrata;
Progetto Morandi Europa, sette mostre in sette musei europei, antologica organizzata dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna Giorgio Morandi di Bologna, Tempere, Sara Hildénin Taidemuseo, 4 novembre 1988 - 9 gennaio 1989, cat. n. 109, illustrata, poi San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage, 21 gennaio - 19 febbraio 1989, cat. p. 145, n. 105, illustrata, poi Mosca, Galleria Centrale dei Pittori, 14 marzo - 16 aprile 1989, cat. p. 145, n. 105, illustrata, poi Londra, Accademia Italiana delle Arti, 2 - 23 maggio 1989, cat. n. 105, illustrata, poi Locarno, Pinacoteca Civica Casa Rusca, 3 giugno 20 agosto 1989, poi Tübingen, Kunsthalle, 23 settembre 26 novembre 1989, cat. n. 172, illustrata, poi Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, 20 gennaio - 18 marzo 1990, cat. n. 172, illustrata; Giorgio Morandi 1890-1990, Mostra del Centenario, Bologna, Galleria Comunale d'Arte Moderna, 12 maggio-16 settembre 1990, cat. n. 233, illustrata. Bibliografia Efrem Tavoni, Morandi disegni, primo volume, La Casa dell’Arte, Sasso Marconi, 1981, pp. 75, 195, n. 236; Giuliano Briganti, Ester Coen, I paesaggi di Morandi, Umberto Allemandi, Torino 1984, p. 68; Efrem Tavoni, Marilena Pasquali, Morandi disegni. Catalogo generale, Electa, Milano, 1994, p. 200, n. 1961 35. Stima E 9.000 / 14.000
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Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Natura morta, 1961 Matita su carta, cm. 16,3x24 Firma in basso a destra: Morandi. Dichiarazione su un cartoncino al verso della cornice: Dichiaro che il presente / disegno è stato direttamente / ritirato da mio padre dalle mani / del pittore Giorgio Morandi / 3/9/73 Maria Grazia Tavoni. Storia Collezione privata, Bologna; Collezione privata
Esposizioni Omaggio a Giorgio Morandi, Sasso Marconi, La Casa dell’Arte, 22 ottobre - 30 novembre 1977, cat. p. n.n., illustrata. Bibliografia Efrem Tavoni, Morandi disegni, primo volume, La Casa dell’Arte, Sasso Marconi, 1981, pp. 77, 202, n. 253; Efrem Tavoni, Marilena Pasquali, Morandi disegni. Catalogo generale, Electa, Milano, 1994, p. 191, n. 1961 6. Stima E 12.000 / 18.000
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
La rinascita dell’aviazione, 1946 Acquerello su carta applicata su cartone, cm. 35x27 Firma in basso a destra: G. de Chirico. Al verso: etichetta e timbro Arte Centro, Milano, con n. 9556. Esposizioni Sogni di carta. Dipinti, disegni e incisioni dei maestri del ‘900, Riccione, Galleria d’arte moderna e contemporanea Villa Franceschi, 25 giugno - 11 settembre 2011, cat. p. 58; Giorgio de Chirico. Myth and Mystery, Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art, 15 gennaio - 19 aprile 2014, cat. pp. 82, 83, n. 27, illustrato a colori. Bibliografia Claudio Bruni Sakraischik, Catalogo Generale Giorgio de Chirico, volume secondo, opere dal 1931 al 1950, Electa Editrice, Milano, 1972, n. 154. Stima E 25.000 / 35.000
Alberto Savinio, Les Anges Batailleurs, 1930
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Amedeo Modigliani a Montparnasse nel 1911
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Amedeo Modigliani Livorno 1884 - Parigi 1920
Tre figure, (1916) Matita su carta, cm. 43,5x26,5 Firma in basso a destra: Modigliani. Storia Collezione Francesco Anfuso, Roma; Collezione privata Esposizioni Aria di Parigi. Tre toscani a La Ruche, Soffici, Modigliani, Viani, a cura di Luigi Cavallo, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 7 - 31 agosto, poi Milano, Farsettiarte, 24 settembre - 21 ottobre 2003, cat. n. 18, illustrata a colori. Stima E 65.000 / 85.000 L’opera qui riprodotta è assai rara in quanto solo in pochissimi altri disegni compaiono tre figure. Osvaldo Patani individua nella figura al centro il pittore André Derain. Un altro importante disegno di Modigliani raffigurante Derain si trova al Museo di Grenoble.
Amedeo Modigliani, Portrait d’homme, (Portrait de Derain), 1915 ca., Museo di Grenoble
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Amedeo Modigliani Livorno 1884 - Parigi 1920
Nudo femminile con una gamba piegata, 1919 Matita su carta, cm. 42,4x25,7 Firma in basso a sinistra: Modigliani. Storia Collezione George Cheron, Parigi; Collezione Emilio Jesi, Milano; Collezione E. Zevi, Milano; Collezione privata Esposizioni Mostra di Modigliani, Milano, Associazione fra gli amatori e cultori delle arti figurative contemporanee, aprile - maggio 1946, cat. n. 59, illustrata; Mostra di Amedeo Modigliani, a cura di Franco Russoli, Milano, Palazzo Reale, novembre - dicembre 1958, cat. p. 42, n. 136; Modigliani Disegni e Acquarelli, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 7 - 31 agosto 2002, poi Milano, Farsettiarte, 25 settembre - 12 ottobre 2002, cat. n. 34, illustrata a colori; Aria di Parigi. Tre toscani a La Ruche, Soffici, Modigliani, Viani, a cura di Luigi Cavallo, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 7 - 31 agosto, poi Milano, Farsettiarte, 24 settembre - 21 ottobre 2003, cat. n. 23, illustrata a colori.
Prassitele, Afrodite Cnidia, copia romana, II secolo a.C., Parigi, Louvre
Bibliografia Lamberto Vitali, Quarantacinque disegni di Modigliani, Einaudi, Torino - Grove Press, New York, 1959, tav. 43; Joseph Lanthemann, Modigliani 1884-1920. Catalogue raisonné, sa vie, son oeuvre complete, son art, Gráficas Condal, Barcellona, 1970, pp.151, 364, n. 892 (con titolo Nu debout); Osvaldo Patani, Modigliani. Disegni, Edizioni della Seggiola, Oggiono, 1976, pp. 133, n. 57, fig. 57; Osvaldo Patani, Disegni di Modigliani, Mazzotta, Milano, 1982, p. 117; Osvaldo Patani, La voce del disegno, disegni italiani 19101970, Leonardo Editore, Milano, 1990, p. 69; Werner Schmalenbach, Amedeo Modigliani. Malerei, Skulpturen, Zeichnungen, Prestel-Verlag, Monaco, 1990, p. 49, n. 7; Osvaldo Patani, Amedeo Modigliani catalogo generale, disegni 1906-1920, Leonardo Editore, Milano, 1994, p. 286, n. 524. Stima E 60.000 / 80.000
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Massimo Campigli: le donne, i gioielli, la moda
Max Ihlenfeld − che modificherà il proprio nome in quello di Massimo Campigli nel 1919 − cresce a Firenze in casa del patrigno Giuseppe Bennet, cittadino inglese titolare di un colorificio. L’origine dei soggetti femminili ritratti da Massimo Campigli affonda le proprie radici nella sua infanzia trascorsa insieme a una madre, una zia e delle cugine che da adolescente scoprirà essere in realtà la nonna, la madre e le sorelle. Da questa rivelazione comincia il suo lavoro, incentrato su soggetti di donne inconoscibili e sul tema della dea-madre. Inviato del Corriere della Sera a Parigi, rimane affascinato dal Cubismo e passa ore al Café du Dôme a disegnare, ma saranno i reperti egizi del Louvre prima e soprattutto quelli etruschi di Villa Giulia a Roma poi, a provocare in lui un’emozione profonda, tanto da indurlo a dichiarare nel suo scritto autobiografico Scrupoli: “Era successo questo, che il cubismo con le sue pretese di eternità mi aveva condotto al museo a vedere gli Egizi e i Greci; ma al museo avevo dimenticato il cubismo, ero ricaduto nel vecchio sogno e m’ero ritrovato antichissimo, arcaico, asociale innamorato delle donne-idolo prigioniere”. L’ambiente parigino da un lato suggerisce una sintetizzazione compositiva al limite dell’austerità astratta, dall’altro muove verso un ricorso alle arti primitive per rispondere, come scrive Campigli, al desiderio di qualcosa di “meraviglioso”. La sua scelta del “meraviglioso” si colloca su un richiamo alla monumentalità classica, sulla chiarezza compositiva, sulle simmetrie, su schemi geometrici astratti che strutturano immagini che possiedono l’essenzialità elementare della raffigurazione arcaica e la sua straordinaria sinteticità. Immagini d’una stesura misteriosa, ricca di significati ermetici a cui corrisponde l’uso di una pittura corposa e opaca, decisa a mantenere viva l’aspirazione a una semplicità primordiale anche nei materiali usati, come le terre rosse, gialle, brune, che conferiscono ai suoi quadri una certa aria di affresco. La donna nella pittura di Campigli è sempre elegante, veste con gonne lunghe, ha capelli raccolti in trecce e ama adornarsi di gioielli grandi e pesanti quasi fossero catene, di perle che tagliano il collo, di orecchini tintinnanti, a tal proposito l’artista affermerà: “La mia passione per i gioielli va compresa nel senso simbolico. […] Il gioiello è sempre stato, e lo era tanto più in origine, il segno, al tempo stesso, della femmina e della schiava. L’anello alla caviglia abbelliva e infamava, i braccialetti sembrano manette; l’anello è legame. Io che sento questi simboli sono naturalmente portato ad amare gioielli strani e rari, che vengano da paesi lontani o da tempi antichi” (Massimo Campigli, in Nuovi Scrupoli, Allemandi, Torino, 1995, pp. 80, 81). In dipinti come Ritratto di Mrs. April Akston, 1953, riaffiorano così sotto mentite spoglie i gioielli preistorici e gallo-romani che Campigli aveva avuto modo di vedere al Museo di Saint Germain-en-Laye; la posa ieratica della giovane donna è resa ancora più monumentale dall’uso di orecchini, collane, anelli e bracciali e la preziosità dell’oro e dell’ornamento richiamano alchimie e associazioni astrologiche, diventando simbolo di sovranità universale. Questi accessori seguono comunque la moda, verso cui l’artista ha sempre mostrato molta attenzione: la figura femminile − resa per lo più con una forma a clessidra e con dei fianchi sporgenti che rimandano a un’idea sacra di maternità − indossa abiti con gonne di forma trapezoidale spesso scanalate come le colonne classiche, con motivi a pettine che richiamano le divinità minoiche. I colori delle terre, vero segno distintivo di Campigli, sono intervallati da blu e verdi che spezzano la cromia generale, il tutto associato al bianco dell’intonaco dello sfondo. Willy Maywald fotografa nel 1948 un abito di Dior e la fotografia ritrae una donna in un elegante interno seduta su un divano in stile rococò; è da notare che dallo stesso anno un certo numero di opere di Campigli sembrano un riflesso di questa scena, sebbene egli raffiguri sempre due donne. Nell’opera del pittore sono presenti sia prima che dopo coppie femminili, ma è a partire dal 1948 che si nota in questi soggetti la fusione tra i contorni fluidi del divano e il loro abito, che sembra del tutto naturale ma che è perfettamente calcolata, ed è proprio questo aspetto che interessa Campigli, cioè le infinite possibilità e letture che scaturiscono dall’elemento compositivo della fotografia. In Donne sul divano, 1952, due figure sono sedute sul medesimo sofà, lo sguardo fermo e sereno è rivolto verso lo spettatore, la loro postura è elegante e regale, con l’unica eccezione dell’informalità nel volto appoggiato al braccio della figura sdraiata. Nella struttura prevale la linea curva e morbida dei corpi che si fonde in un tutt’uno con la spalliera della seduta. Entrambe le donne indossano una collana che segue l’andamento curvilineo del loro décolleté, la composizione è pervasa da un clima di particolare complicità, che dimostra come Campigli sappia penetrare nel profondo dell’universo femminile e ne sappia restituire il sentimento.
Pur in una stilizzazione e semplificazione estrema delle forme, i corpi e i volti di dipinti come questo non sono mai stereotipati e trasmettono tensione o stasi, come in un doppio ritratto ideale, permeato di pace e serenità. Da questo momento in poi costante sarà la preoccupazione di Campigli di porre in risalto le implicazioni psicanalitiche, “Io poi mi picco di psicologia e psicanalisi” (in Nuovi Scrupoli, cit.); la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1958 rappresenta per lui un ulteriore progresso sia di notorietà che di fortuna sul mercato, la sua vita si svolge tra Milano, Roma e Saint-Tropez, ma Parigi lo richiama spesso, poeti come Ungaretti e Sinisgalli, scrittori quali Bontempelli, Repaci o Parronchi e i più importanti critici da Russoli a Chastel, Argan e Ragghianti si occupano di lui con ammirazione per i suoi idoli mediterranei ricchi di colore e ornamento che assumono l’aspetto di carte da gioco o elementi di una scacchiera. In dipinti come Maison/Casa, 1960, le figure emergono da uno scenario alquanto mutato: Campigli schiaccia il colore sulla tela con la spatola, interviene con il manico del pennello grattando la superficie e facendo affiorare altre cromie dal fondo trattato con febbrile emotività. La forma è un unicum con il colore, poche figure totem sono ritagliate dentro ad uno spazio colmo di segni e vibrante di luce, e si stagliano isolate, silenziose e regali. Delle braccia levate o conserte, delle lunghe gonne e dei sorrisi accennati resta solo memoria, come una visione ormai distante. A far compagnia a queste figure negli spazi troppo vuoti e di solo colore si affiancano arcani tatuaggi, segni a zig zag ed elementi criptomorfici. La Grecia arcaica, l’Egitto, Bisanzio e l’Etruria si eclissano per far spazio a nuove sollecitazioni che guardano all’arte dei Maya e alla cultura della Nuova Guinea. Le convinzioni junghiane sull’esistenza dell’inconscio porteranno Campigli a cercare un modello femminile che oltrepassi i confini storici delle civiltà e delle culture, che diventi la sostanzialità della forma stessa, tanto da affermare “Resterò fedele alle mie donne come Morandi alle sue bottiglie. Posso solo ambire alla perfezione della forma”. Silvia Petrioli
Un particolare dello studio di Massimo Campigli
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Massimo Campigli Berlino 1895 - Saint-Tropez 1971
Ritratto di Mrs. April Akston, 1953 Olio su tela, cm. 85x50 Firma e data in basso a destra: Campigli / 53. Al verso sul telaio: etichetta The North Carolina Museum of Art / Raleigh, N.C. Storia Collezione Mrs. April Akston, New York; The North Carolina Museum of Art, Raleigh; Brunk Auctions, Asheville; Galleria Tega, Milano; Tornabuoni Arte, Firenze; Farsettiarte, Prato; Collezione privata
Ritratto di mummia, Fayyum, I - II sec. d.C., Parigi, Louvre (part.)
Certificato su foto di Nicola Campigli, Saint-Tropez, 14 ottobre 2004, con n. 532911046. Bibliografia Maestri moderni e contemporanei. Antologia scelta 2005, Firenze, Tornabuoni arte, 2004, p. 59; Catalogo dell’Arte Moderna. Gli artisti italiani dal primo Novecento ad oggi, n. 44, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 2008, p. 39; Nicola Campigli, Eva Weiss, Marcus Weiss, Campigli, catalogue raisonné, vol. II, Silvana Editoriale, Milano, 2013, p. 643, n. 53-015. Stima E 25.000 / 35.000
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Massimo Campigli Berlino 1895 - Saint-Tropez 1971
Donne sul divano, 1952 Olio su tela, cm. 115x88,5 Firma e data in basso a destra: Campigli 52. Al verso sulla tela: etichetta con n. 3442 e timbro Galleria dell’Annunciata, Milano: etichetta Galleria Schettini, Milano: etichetta e timbro Galleria d’Arte Selezione, Milano; sul telaio: etichetta Capolavori d’Arte Moderna / nelle Collezioni Private / Mostra inaugurale della / Civica Galleria d’Arte Moderna, Torino, novembre 1959: etichetta Arte italiana del XX secolo: timbro Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Milano: etichetta di trasportatore con indicazione Mostra Massimo Campigli, Darmstadt / Mathildenhöhe Institut. Storia Collezione F. Schettini, Milano: Collezione Cesare Tosi, Milano; Galleria Brera, Milano; Collezione E.P., Milano; Galleria Gian Ferrari, Milano; Galleria Marescalchi, Bologna; Collezione privata, Padova; Collezione privata Certificato su foto di Nicola Campigli, Saint-Tropez, 01/01/2007, con n. 541001109. Esposizioni Italian Art of the 20th Century, Perth, Art Gallery of Western Australia, marzo - aprile 1956 (poi Adelaide, Melbourne, Hobart, Sidney e Brisbane), cat. p. 13, n. 11, illustrato;
Fotografia di Willy Maywald, Abito di Christian Dior, 1948
Capolavori di Arte Moderna nelle raccolte private, a cura di Marco Valsecchi, Torino, Mostra inaugurale della Civica d’Arte Moderna, 31 ottobre - 8 dicembre 1959, cat. p. 53, n. 3, tav. 78, illustrato; Massimo Campigli. Essere altrove, essere altrimenti, a cura di Flaminio Gualdoni, Milano, Museo della Permanente, 26 ottobre 2001 - 27 gennaio 2002, cat. pp. 94, 95, 217, n. 71, illustrato a colori; Massimo Campigli. Mediterraneità und Moderne, a cura di Klaus Wolberg, Darmstadt, Institut Mathildenhöhe, 12 ottobre 2003 18 gennaio 2004, cat. p. 275, n. 163, illustrato a colori. Bibliografia Galleria degli Artisti Italiani: Massimo Campigli, con testi di Massimo Campigli e Carlo Cardazzo, in La Fiera Letteraria, anno XI, n. 1, 1 gennaio 1956, p. 8 (primo stato, con data errata); Guido Ballo, Pittori italiani dal futurismo a oggi, Edizioni Mediterranee, 1956, p. 69; Raffaele Carrieri, Massimo Campigli (I Maestri della Pittura Contemporanea in Italia), in Epoca, anno X, n. 459, 19 luglio 1959, p. n.n. (primo stato); Marco Valsecchi, Le donne imbalsamate nate da un sogno, in Il Giorno, Milano, 5 giugno 1971, p. 9; Campigli 1895-1971, Il Tempo dell’Arte, supplemento de Il Tempo, Roma, 2004, pp. 42-43; Catalogo dell’Arte Moderna. Gli artisti italiani dal primo Novecento ad oggi, n. 44, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 2008, p. 38; Nicola Campigli, Eva Weiss, Marcus Weiss, Campigli, catalogue raisonné, vol. II, Silvana Editoriale, Milano, 2013, p. 638, n. 52-064. Stima E 70.000 / 120.000
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Massimo Campigli Berlino 1895 - Saint-Tropez 1971
Maison / Casa, 1960 Olio su tela, cm. 93x116,4 Firma e data in basso a destra: Campigli 60. Al verso sulla tela: etichetta con n. 3577 e due timbri Galleria d’Arte Sianesi, Milano. Storia Galerie de France, Parigi; Galleria Sianesi, Milano; Galleria Valle, Roma; Collezione privata Certificato su foto di Nicola Campigli, Saint-Tropez 25/11/1991, con n. 4426576. Esposizioni Les idoles de Campigli, Parigi, Galerie de France, maggio 1961, cat. p. 25, illustrato (primo stato, con dimensioni errate).
Figura Bioma, Golfo di Papua, Kiwai
Bibliografia Franco Russoli, Campigli pittore, con un ritratto dell’artista di Raffaele Carrieri, Edizioni del Milione, Milano, 1965, tav. 84 (primo stato, con dimensioni errate); Il Poliedro. Rassegna mensile d’arte, aprile 1967, p. 11 (primo stato, con data 1961); Cesare Maccari, Campigli, C.E.M. Editrice, Parma, 1970, p. 117 (primo stato, con tecnica e data errate); Nicola Campigli, Eva Weiss, Marcus Weiss, Campigli, catalogue raisonné, vol. II, Silvana Editoriale, Milano, 2013, p. 743, n. 60-036. Stima E 60.000 / 80.000
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Gino Severini Cortona (Ar) 1883 - Parigi 1966
Natura morta con uccelli e fruttiera con mele, 1942 ca. Olio su cartone, cm. 32,6x43 Firma in basso a destra: G. Severini. Al verso: timbro Vittorio E. Barbaroux / Milano: timbro Galleria [del Milione], Milano, con n. 5649: timbro Volos Arte Moderna. Storia Collezione Brezza, Venezia; Collezione privata Certificato su foto di Romana Severini Brunori, Roma, 27/9/2019, opera n. 01 del settembre 2019 (con tecnica errata). Esposizioni Gino Severini. Geometrie e visioni, a cura di Daniela Fonti, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 1 agosto - 5 settembre 2021, poi Milano, 11 settembre - 2 ottobre 2021, cat. n. 31, illustrato a colori. Bibliografia Daniela Fonti, Gino Severini. Catalogo ragionato, MondadoriDaverio, Milano, 1988, p. 486, n. 707. Stima E 50.000 / 70.000
Gino Severini nell’atelier di Meudon, 1948-50
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René Paresce Carouge 1886 - Parigi 1937
Tetti, 1917 Olio su tela, cm. 81x65 Firma e data in basso a destra: R. Paresce / 1917. Bibliografia Rachele Ferrario, René Paresce. Catalogo ragionato delle opere, Skira editore, Milano, 2012, p. 159, n. 10/17. Stima E 28.000 / 38.000
René Paresce nel suo studio, Parigi, prima metà anni Venti
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René Paresce Carouge 1886 - Parigi 1937
Paesaggio francese, 1921 Olio su tela, cm. 65x54 Firma e data in basso al centro: R. Paresce / 1921. Al verso sulla tela: scritta “Paresce (18)”. Esposizioni Artisti toscani a Parigi tra le due guerre, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 28 dicembre 2006 7 gennaio 2007, poi Milano, Farsettiarte, 17 gennaio 17 febbraio 2007, cat. n. 18, illustrato a colori. Bibliografia Rachele Ferrario, René Paresce. Catalogo ragionato delle opere, Skira editore, Milano, 2012, p. 165, n. 5/21. Stima E 20.000 / 30.000
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Roberto Marcello (Iras) Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Ritmi di ballo, 1918-19 ca. Olio su carta applicata su cartone, cm. 15,4x11 Firma in basso a sinistra: R.M. Baldessari. Storia Collezione Vasari, Messina; Collezione privata Certificato con foto Archivio Unico per il Catalogo delle Opere Futuriste di Roberto Marcello Baldessari, Rovereto, 14 gennaio 2008, con n. B19 - 42. Esposizioni Baldessari, Opere 1915 - 1934, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 27 dicembre 2008 - 7 gennaio 2009, poi Milano, Farsettiarte, 15 gennaio - 14 febbraio 2009, cat. n. 39, illustrato a colori. Stima E 8.000 / 12.000
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Roberto Marcello (Iras) Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Natura morta con frutta (Omaggio a Picasso), 1920 ca. Olio su cartone, cm. 46,7x34,5 Sigla in basso verso destra: R.M.B. Storia Collezione Emgler, Duisburg; Collezione privata Certificato con foto Archivio Unico per il Catalogo delle Opere Futuriste di Roberto Marcello Baldessari, Rovereto, 24 febbraio 2012, con n. B20-55. Stima E 15.000 / 25.000
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Fortunato Depero Fondo, Val di Non (Tn) 1892 - Rovereto (Tn) 1960
Danza della sedia, seconda metà anni Quaranta Tecnica mista su carta, cm. 58,5x47,8 Al verso: dichiarazione di autenticità di Rosetta Depero. Certificato su foto Istituto Finanziario per l’Arte, Finarte, Milano, 6 aprile 1973.
Esposizioni Fortunato Depero. Opere 1914 - 1953, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 9 - 31 agosto 2008, poi Milano, Farsettiarte, 18 settembre 15 ottobre 2008, cat. n. 26, illustrata a colori. Stima E 8.000 / 12.000
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Fortunato Depero Fondo, Val di Non (Tn) 1892 - Rovereto (Tn) 1960
Cinese, anni Cinquanta Tempera su carta applicata su tela, cm. 80,3x63,5
verbalmente l’autenticità dell’opera; certificato su foto di Bruno Passamani, Brescia, 5 gennaio 1982.
Firma in basso a destra: Depero. Al verso sul telaio: etichetta Galleria Transarte, Rovereto, con n. CSP/Dep.For/0187.
Ripresa degli anni Cinquanta di uno dei costumi realizzati nel 1916-17 per il balletto Le Chant du Rossignol.
Si ringrazia Maurizio Scudiero per aver confermato
Stima E 10.000 / 15.000
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Roberto Marcello (Iras) Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Natura morta (Bottiglia e bicchiere), 1916 ca. Matita grassa su carta, cm. 20,7x14,9 Firma in basso a sinistra: Iras. Certificato con foto Archivio Unico per il Catalogo delle Opere Futuriste di Roberto Marcello Baldessari, Rovereto, 18 febbraio 2008, con n. B16 - 75. Esposizioni Baldessari, Opere 1915 - 1934, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 27 dicembre 2008 - 7 gennaio 2009, poi Milano, Farsettiarte, 15 gennaio 14 febbraio 2009, cat. n. 9, illustrata a colori. Stima E 5.000 / 7.000
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Roberto Marcello (Iras) Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Ciclisti in corsa, 1916-17 Matita grassa su carta, cm. 17,4x25,1 Firma in basso a destra: Iras. Esposizioni Baldessari, Opere 1915 - 1934, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 27 dicembre 2008 - 7 gennaio 2009, poi Milano, Farsettiarte, 15 gennaio 14 febbraio 2009, cat. n. 33, illustrata a colori.
534
Stima E 6.000 / 9.000
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Roberto Marcello (Iras) Baldessari
Storia Collezione privata, Firenze; Collezione privata
Innsbruck 1894 - Roma 1965
Composizione cubo-futurista. Natura morta con giornali e bicchieri, 1917 ca. Tempera e collage su cartoncino, cm. 28,5x20,5
Certificato con foto Archivio Unico per il Catalogo delle Opere Futuriste di Roberto Marcello Baldessari, Rovereto, 28 novembre 2012, con n. B17-76.
Sigla in basso al centro: R.M.B.
Stima E 5.000 / 8.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Studio per donna alla toilette, 1912
Ardengo Soffici, mostra per il centenario della nascita, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Galleria Farsetti, maggio - giugno 1979, cat. p. 133, n. 80, illustrato.
Inchiostro su carta applicata su cartone, cm. 15,5x11 Firma in basso a destra: Soffici. Al verso: timbro Galleria del Milione, Milano, con n. 2408/3. Esposizioni Ardengo Soffici. L’Artista e lo scrittore nella cultura del 900, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 1 - 30 giugno 1975, cat. n. 54, illustrato;
Bibliografia Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1967, n. 157, tav. CCCXXI; Piero Pacini, Carlo Carrà - Ardengo Soffici, opere dal 1907 al 1960, Ediz. Galleria Farsetti, Prato, 1983, p. n.n. Stima E 4.000 / 6.000
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Donna seduta + spazio, 1918 ca.
Certificato su foto di Elena Gigli, Roma, 10 febbraio 2006, Archivio Gigli serie 2006, n. 233.
Matita su carta, cm. 35x50 Firma in basso a destra: Balla. Su un cartone al verso della cornice: scritta a penna “= Donna seduta + spazio = 1918”: etichetta di Casa Balla con n. 486. Storia Casa Balla, Roma (agenda n. 486); Archivio Cambellotti, Roma; Collezione privata
Esposizioni Follie cromatiche futuriste, presentazione di L. Canova, Roma, Il Cenacolo, novembre - dicembre 2002, cat. n. 3, illustrata a colori; Sogni di carta. Dipinti, disegni e incisioni dei maestri del ‘900, Riccione, Galleria d’arte moderna e contemporanea Villa Franceschi, 25 giugno - 11 settembre 2011, cat. p. 58. Stima E 10.000 / 15.000
Ardengo Soffici, Casolari, 1912-13 Dal 1900 al 1907 Ardengo Soffici compie un lungo soggiorno a Parigi durante il quale collabora con importanti riviste, tra cui La Plume, Revue Blanche e l’Europe Artiste, stringe rapporti di amicizia con artisti e intellettuali, come Apollinaire, Ferat, Braque, Jacob, Picasso e Archipenko, e compie una profonda ricerca sull’arte simbolista, impressionista e post-impressionista. Pittore, ma anche critico e letterato, al suo rientro in Toscana, preoccupato per la mancanza in Italia di artisti moderni e di una critica aperta a nuovi linguaggi, e deciso a divulgare le innovative poetiche europee, compie una meditazione intellettuale su poesia e pittura pubblicando numerosi articoli, contribuendo così in modo significativo al mutamento del clima culturale del paese. La ricerca artistica di Soffici risente in modo prorompente dell’esperienza francese. Inizialmente affine alla pittura simbolista, si avvicina alle nuove suggestioni atmosferiche e cromatiche degli Impressionisti, per raggiungere poi una profonda unità compositiva, di derivazione cézanniana, avvolta in un lirismo derivato dal primitivo Rousseau, che privilegia gli elementi del quotidiano resi con concreta pesantezza. Soffici elabora un linguaggio moderno profondamente legato alle proprie origini, alla cultura, alla tradizione formale e al realismo toscani, alla natura e alla vita quotidiana e popolare, resi con semplici mezzi costruttivi e con una materia asciutta, dall’intenso cromatismo. Convinto che per raggiungere un rinnovamento figurativo sia necessario mantenere una linea di continuità con la pittura dei maestri del passato, Soffici esorta l’arte italiana a prendere spunto da Cézanne, come scrive nell’articolo sull’artista, pubblicato nel 1908, in Vita d’Arte: “Senza legge, senza scrupoli il suo stile accusa le asperità dei contorni degli esseri e di ciò che li circonda […]. Iniziatore [...] di una nuova epoca pittorica […] ha fatto vedere come dai capolavori dei suoi antichi maestri […] si possa dedurre una pittura libera, feconda, sincera e meravigliosamente moderna”. Nel 1911, dopo un nuovo viaggio a Parigi, Soffici pubblica su La Voce un articolo dedicato alla rivoluzione cubista di Picasso e Braque. Consapevole dell’originalità della pittura di Picasso e della difficoltà nell’essere compresa dai contemporanei, ma convinto dell’importanza che essa avrà in futuro, spiega in una lettera del 12 giugno 1911 al direttore della rivista Prezzolini, preoccupato per la divulgazione di una tale sconvolgente proposta figurativa, che “se l’Italia dovrà un giorno capire che cosa voglia dire arte, avremo l’onore di essere stati i primi a indicarle i buoni creatori moderni”. Prezzolini, tuttavia, temendo che La Voce possa perdere credibilità, si rifiuta di pubblicare le immagini delle opere. Soffici trova le più importanti ispirazioni nelle opere di Picasso, innovative scomposizioni prospettiche degli elementi del reale, cariche del potere suggestivo della composizione, esaltato dall’armonia tra linee,
Paul Cézanne, La mer à l’Estaque, 1878-79, Parigi, Musée Picasso
colori e luce, e nelle raffinate, severe e musicali composizioni di Braque, ricercando i valori plastici nei semplici elementi del reale e compiendo una scomposizione dei piani che riporta sempre a una salda visione dell’oggetto. In questi anni Soffici, alla ricerca di un’arte libera dai limiti della tradizione accademica, trova nel movimento futurista l’unica “forza d’avanguardia” italiana. Così, dopo gli scontri avvenuti a Firenze nel 1911 tra Vociani e Futuristi, per le aspre critiche del pittore toscano alla pittura del gruppo e alla loro superficiale smania di modernità, nel 1913 vi aderisce, convinto di poter indirizzare il movimento verso un approccio più efficace, che trovi le fondamenta in una profonda e aperta cultura, che permetta di sviluppare, attraverso una ricerca attenta e rigorosa, il linguaggio più assoluto e rivoluzionario. Nel 1913 Soffici, per avere una totale libertà di parola, fonda con Papini la rivista Lacerba, a cui collaboreranno anche molti intellettuali e artisti conosciuti a Parigi. In questo stesso anno pubblica l’articolo Cubismo e oltre (Abbecedario), in cui esprime la volontà di superare la lezione di Picasso e Braque allargando la dottrina cubista alla poetica futurista per approdare a forme che possano identificare lo spirito italiano di modernità. Per ottenere questa evoluzione figurativa è necessario per Soffici trovare nuove suggestioni, analizzando più a fondo la sostanza delle cose, interpretare il reale con maggiore libertà e compiere un’audace rottura degli schemi figurativi moltiplicando i piani, gli elementi e le variazioni cromatiche, evitando “ogni anche più vaga tendenza all’arcaismo”. La sua ricerca approda adesso a uno stile cubofuturista, in cui i solidi volumi cubisti si fondono con una maggiore accumulazione formale degli elementi figurativi. L’opera Casolari, realizzata tra la fine del 1912 e l’inizio del 1913, ispirata ai paesaggi eseguiti da Picasso nel 1909 a Horta de Ebro, è eseguita negli anni in cui Soffici, profondamente influenzato dalla lezione di Cézanne e memore del cromatismo di Derain, Dufy e Léger, sviluppa una personale interpretazione del Cubismo. Incoraggiato da Picasso, in una lettera del 1911, a superare definitivamente le sovrastrutture decorative di derivazione simbolista, egli riesce ad avvicinarsi alla profondità del reale attraverso una visione essenziale degli elementi. In Casolari pennellate decise e vitali definiscono con linee sintetiche le forme degli edifici che s’intersecano e si sovrappongono tra loro secondo un equilibrato ritmo compositivo, sviluppando una forte potenza plastica dei volumi fondata su una solida struttura architettonica. La materia asciutta e opaca e il cromatismo intenso e vibrante, reso grazie al contrasto tra colori decisi e ampie zone chiare, esaltano il linguaggio puro e limpido, mentre la vegetazione, definita con pochi vitali tocchi, arricchisce la composizione di una componente dinamica che ne esalta l’armonia. In questa tela emerge la ricerca compiuta da Soffici per sviluppare un proprio mondo poetico, che approda a una “sincera e appassionata applicazione di lettura formale e lirica, un accordo di serenità e di schietta aggressività emotiva, quella armonia e ruvida grazia che nutre, sempre, l’intelligente equilibrio della” sua “scrittura figurativa” (F. Russoli, in catalogo V Biennale internazionale della grafica d’arte, Firenze, 1976, p. 36). Elisa Morello
Fernand Léger, Paysage, 1914
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Casolari, 1912-13 Tempera su cartone, cm. 58,2x48,7 Al verso su una tavola di supporto: etichetta Comune di Acqui Terme Assessorato alla Cultura / Ardengo Soffici / Mostra Antologica / Palazzo “Liceo Saracco” 5 Luglio - 13 Settembre 1992 / cat. n. 21: timbro e etichetta Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente / Ente Morale / Palazzo Sociale, Milano / Ardengo Soffici 1879-19[6]4 / cat. n. 21. Esposizioni Ardengo Soffici. L’artista e lo scrittore nella cultura del ‘900, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 1 - 30 giugno 1975, cat. p. 80, n. 28, illustrata; Ardengo Soffici (1879-1964). Mostra per il centenario della nascita, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Azienda Autonoma di Turismo e Galleria Farsetti, maggio - giugno 1979, cat. p. 85, n. 70, illustrata a colori; Soffici 1911-1915. Cubismo e Futurismo, a cura di Luigi Cavallo, Galleria Farsetti, Cortina d’Ampezzo e Milano, dicembre 1986 - gennaio 1987, cat. tav. IX, illustrata a colori; Ardengo Soffici, a cura di Luigi Cavallo, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 4 luglio - 13 settembre 1992, cat. p. 80, n. 21, illustrata a colori; Ardengo Soffici. Un percorso d’arte, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 24 settembre - 6 novembre 1994, cat. pp. 70, 104, n. 54, illustrata a colori; Ardengo Soffici, un’arte toscana per l’Europa, a cura di Luigi Cavallo, Firenze, Galleria Pananti, 4 ottobre - 20 novembre 2001, cat. pp. 120, 225, 226, n. 37, illustrata a colori;
Ardengo Soffici, Studio per Casolari, (1912)
Ardengo Soffici. L’Europa in Toscana, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 13 ottobre 2012 - 27 gennaio 2013, cat. p. 96, illustrata a colori; Ardengo Soffici. Giornate di paesaggio. 50 opere a cinquant’anni dalla scomparsa e 15 paesaggi di pittori italiani, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 26 aprile - 27 luglio 2014, cat. p. 54, illustrata a colori; Soffici e Rosai, realismo sintetico e colpi di realtà, a cura di Luigi Cavallo e Giovanni Faccenda, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 7 ottobre 2017 7 gennaio 2018, cat. p. 83, n. 14, illustrata a colori. Bibliografia Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Franco Russoli, Ardengo Soffici e il cubofuturismo, Edizioni Galleria Michaud, Firenze, 1967, p. 44 (opera datata 1914); Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1967, p. 89, n. 182, tav. CXCI (opera datata 1914); Luigi Cavallo, Soffici. Immagini e documenti, Vallecchi, Firenze, 1986, tav. XLIX; Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, collaborazione di Luigi Corsetti, redazione di Oretta Nicolini, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Poggio a Caiano, 2011, p. 6 e copertina. Stima E 65.000 / 85.000
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Certificato su foto di Elena Gigli, Roma, 7 settembre 2020, archivio Gigli n. 942 dell’anno 2020.
Antiaustriaco - bozzetto, 1915 ca. Vernice e matita rossa su carta applicata su tela, cm. 44,5x32,3 Firma e data in basso a destra: Balla 1915. Al verso sul telaio: etichetta di Casa Balla, con n. 215: scritta Bozzetto antiaustriaco / Fa parte dei quadri delle dimostrazioni interventiste: etichetta Galleria Civica d’Arte Moderna - Torino / Mostra Giacomo Balla, con n. 130: timbro Galleria F. Russo, Roma. Storia Casa Balla, Roma (agenda n. 215); Collezione Luce Balla, Roma; Collezione Francesca Marcucci Tosti, Roma; Collezione privata, Roma; Collezione privata
Giacomo Balla, Manifesto per la mostra alla Sala d’Arte Angelelli, 1915
Esposizioni Giacomo Balla, a cura di Enrico Crispolti, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna, 4 aprile 1963, cat. p. 80, n. 130, tav. 50, illustrata; Giacomo Balla. Dal primo autoritratto alle ultime rose, a cura di Fabio Benzi, Roma, Galleria Russo, 15 aprile - 8 maggio 2021, cat. pp. 80, 81, n. 22, illustrata. Bibliografia Maria Drudi Gambillo, Teresa Fiori, Archivi del Futurismo, volume secondo, De Luca Editore, Roma, 1962, pp. 108, 163, n. 190; Giovanni Lista, Balla, Edizioni Galleria Fonte D’Abisso, Modena, 1982, pp. 238, 239, n. 431. Stima E 28.000 / 38.000
28 giugno 1914: scoppia la Prima Guerra Mondiale. L’Italia si proclama neutrale, mentre i Futuristi sono per l’intervento: intendono la guerra come “igiene del mondo”. Giacomo Balla, dal canto suo, considera l’interventismo come una posizione morale, ma anche come colorata sintesi dell’entusiasmo giovanile. Nel corso del 1915, Balla viene arrestato due volte. Il 18 febbraio, in occasione della riapertura della Camera dei Deputati, insieme a Filippo Tommaso Marinetti, Guglielmo Jannelli, Francesco Cangiullo e Auro d’Alba; due mesi dopo è di nuovo arrestato: “A Roma, il 22 aprile 1915 Mussolini, Marinetti, Settimelli e Giacomo Balla sono arrestati durante la 3° dimostrazione interventista” (da Costruire, 1931). Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra. Balla scrive, in un appunto riportato dalla figlia Elica: “Tutti i futuristi sempre in prima linea danno la loro energia per la grandezza dell’Italia. Dalla casa di Balla partono bandiere, cartelli, con scritte eccitanti, manifesti paroliberi, simultaneità di partenze ed arrivi” (Con Balla, 1984, p. 378). Contemporaneamente ai grandi quadri interventisti presenti nella Sala Angelelli a Roma nel 1915 (XX Settembre; Le insidie del 9 Maggio; Forme-volume del grido “Viva l’Italia”; Bandiere all’Altare della Patria; Sbandieramento + folla; Canto tricolore; Battimani + gridi patriottici), Balla esprime il suo risentimento antiaustriaco in questa carta intelata dove rappresenta, con l’uso anche della matita rossa, i due sovrani della Triplice Alleanza. A destra troviamo raffigurato I’Imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe (1830-1916) con i suoi grandi baffi, a sinistra il Kaiser Guglielmo II di Germania e Prussia (1859-1941) schiacciati dal peso degli eventi e adagiati sul simbolo asburgico dell’Aquila Bicipite. Elena Gigli
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Giacomo Balla nel 1914 circa
Giacomo Balla, L’automa in costume - Piedigrotta
“Anche i minimi tentativi futuristi possono essere il principio della nuova arte futura. E con questo, con una superstrafede indistruttibile, a rivederci tra qualche secolo”. Così scrive Giacomo Balla nel 1927 e questo si vuole dimostrare scegliendo questi “minimi tentativi futuristi” di Balla per rappresentarlo all’interno della sua produzione artistica degli anni Dieci del Novecento. Alla vigilia della Grande Guerra Filippo Tommaso Marinetti proclama: “II Teatro di Varietà è oggi il crogiolo in cui ribollono gli elementi di una sensibilità nuova che si prepara. Vi si trova la scomposizione ironica di tutti i prototipi sciupati del Bello, del Grande, del Solenne, del Religioso, del Feroce, del Seducente e dello Spaventevole, ed anche l’elaborazione astratta dei nuovi prototipi che a questi succederanno [...] Gli autori, gli attori e i macchinisti del Teatro di Varietà hanno una sola ragione d’essere e di trionfare: quella d’inventare incessantemente nuovi elementi di stupore” (dal manifesto II Teatro di Varietà, in Daily-Mail, 21 novembre 1913). Agli inizi del 1915, con Settimelli e Corra, Marinetti proclama un teatro “sintetico, cioè brevissimo. Atecnico. Dinamico, Simultaneo cioè nato dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice. Autonomo, Alogico, Irreale. La sintesi teatrale sarà autonoma, non somiglierà che a se stessa, pur traendo dalla realtà elementi da combinarsi a capriccio” (dal manifesto II Teatro Futurista Sintetico, 11 gennaio 1915).
Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery (part.)
Scriverà Enrico Prampolini nel 1927: “L’arte scenica contemporanea si sviluppa in piena atmosfera futurista. L’arcoscenico del teatro tradizionale è definitivamente crollato al grido di rivolta lanciato da noi futuristi nel 1915. Quell’anno, contemporaneamente al manifesto di Marinetti e Settimelli sul teatro sintetico futurista, gettai per primo le basi della nuova tecnica scenica futurista, nel mio manifesto su la scenografia e coreografia futurista (pubblicato dalla Balza futurista, marzo 1915) […] Io considero l’attore come un elemento inutile all’azione teatrale, e pertanto pericoloso all’avvenire del teatro” (in Teatro, n. 3, Milano, marzoaprile 1927). Ma già nel 1913 i Futuristi si riuniscono, si truccano da bohémien del secolo passato, mettono in scena veloci e improvvisi Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912, Milano, Museo del Novecento (part.) avvenimenti del futuro. Sono pittori e poeti, scenografi e musicisti, pronti a “realizzare quell’arte che definisse l’espressione vera di un popolo e lasciasse l’impronta di un’epoca”; ma, e qui parla Balla in un Appunto autobiografico, “datosi uno sguardo d’attorno, vidi vivissimi, audacissimi, ribelli, soli fra le folle assonnate e l’indifferenza degli scettici, Marinetti, Boccioni, Russolo, Severini e con loro unitesi incominciò il nuovo tormento (la nuova lotta)”. Sono le cosiddette Serate Futuriste, nate in coincidenza con le mostre al Teatro Costanzi di Roma (la prima è del 21 febbraio). E proprio in questo 1913 l’arte di Balla si concentra sull’ingranaggio del movimento. Nel febbraio al Ridotto del Teatro Costanzi, Balla presenta per la prima volta i tre quadri dedicati al movimento, con dei titoli che potremmo dire più “concettuali” che descrittivi: 1. Guinzaglio in moto; 2. I ritmi dell’archetto; 4. Bambina moltiplicato balcone. Il salto per arrivare alle ruote dentate presenti nei piedi del collage Piedigrotta è veramente corto: il ponte di collegamento è da ritrovarsi nelle ruote dentate della carta intelata acquistata dal KröllerMüller Museum di Otterlo intitolata Forme rumore di motocicletta e datata 1913 sul retro. Se nelle due opere del 1912 l’analisi del movimento viene da Balla studiata attraverso il dipanarsi nell’aria di un elemento naturale quale le gambe della bambina o la coda del cagnolino al guinzaglio, nel 1913 è la sensazione della forma rumore a prendere il sopravvento attraverso la raffigurazione di forme puntate dentellate dai colori metallici, argentati. Durante tutto il 1914 la Galleria Sprovieri di Roma si trasforma in “Cabaret Sprovieri”: dalla declamazione esplosiva di Zang tumb tumb di Marinetti a Piedigrotta. Parole in libertà di Francesco Cangiullo, dove Balla, vestito da nano, con “il vascello variopinto che portava sulla testa”, è il “signor putipù”. Nel 1914, è proprio l’amico Cangiullo a organizzare la performance collettiva futurista Piedigrotta presso la sede napoletana della Galleria Permanente Futurista Sprovieri in via dei Mille, “con declamazioni a più voci, corteo di scugnizzi, pianoforte, strumenti piedigrotteschi, fuochi d’artificio; tutto sul magico fondale di Balla...”. Giacomo Balla, Forme rumore di motocicletta, 1913-14 (part.)
A questo punto Balla, oltre che a realizzarne la scenografia, inventa un bozzetto di costume, forse pensando al ballerino Léonide Massine in cui utilizza matita, inchiostro e pennello con collage di carta argentata. Perfettamente si inserisce – quindi – in questo contesto di AUTOMA IN COSTUME la spiegazione che ne diede Giovanni Lista nel 2013: “Evidenziando la sfera del dinamismo fisico e sonoro, Balla interviene sulla figurazione antropomorfa semplificandola in un impianto formale sintetico, generato dall’intrecciarsi rapido di grottesche movenze scandite da scatti repentini e slanci veloci tipici di quella gestualità popolare, buffonesca e sovradeterminata, alla Pulcinella, che anima la teatralità napoletana. La riduzione sintetica si condensa nell’intersezione di forme sventagliate e sovrapposte che traducono il dinamismo ampio delle braccia e delle gambe, tagliato da segni geometrici che ne descrivono il tracciato vettoriale. Quest’ultimo è ulteriormente dilatato dall’apertura del costume che ne prolunga la proiezione cinetica nello spazio, rimanendo tuttavia sempre nei limiti di una figurazione unitaria e scomposta, ma dotata ancora di una scansione densa e materica, che si disincarna nel vortice del Catalogo della mostra Collezione Massine nel foyer del Teatro Costanzi di Roma, febbraio 1917. Al n. 6 figura Costume, da identificarsi con Piedigrotta movimento senza tuttavia cedere agli effetti di trasparenza e compenetrazione perseguiti dal dinamismo pittorico futurista sul modello suggerito dalle danze serpentine di Loie Fuller”. Varie sono le testimonianze dei rapporti tra Balla e i Balli Russi, volti a un teatro “sintetico, atecnico, dinamico, alogico”: il 12 aprile 1917 su musica di Igor Stravinskij, al teatro Costanzi in Roma, nella buca del suggeritore, Balla dirige la sua azione scenica di suono e luci in movimento Feu d’artifice. Il movimento e la vitalità vengono dati dalla luce sviluppatasi dietro le “forme” trasparenti, solidi geometrici realizzati in legno e ricoperti di satin a colori vivaci, obelischi e piramidi, parallelepipedi con forme dinamiche appuntite ricoperte di carte colorate e fogli argentati applicati. Il giorno prima, l’11 aprile, viene inaugurata nel foyer del Teatro Costanzi la mostra della collezione del giovane coreografo Léonide Massine (Mosca 1894 - Borken, Romania, 1979). Il catalogo è un semplice foglio di carta a mano ripiegato in due. Sulla copertina, sotto il titolo, il ritratto di Massine eseguito da Picasso. Nelle pagine interne l’elenco delle 51 opere dei 18 artisti italiani, francesi, russi, spagnoli e messicani. Apre la mostra il ritratto di Leonide Massine eseguito da Leon Bakst. Le sette opere di Balla figurano accanto a sei di Carrà e cinque di Depero: dopo Le printemps (1916) troviamo il collage della Unicredit Collection La Guerre (1916). Dopo La Demonstration (1916) del Museo di Madrid viene citato come Costume (1915) il collage Piedigrotta. Sia La Guerre [Inv. 0286639] che Piedigrotta presentano nel retro la stessa targhetta della collezione Massine. Elena Gigli Etichetta del Wadsworth Atheneum con indicazione Collezione Massine al verso del lotto 540.
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Piedigrotta, 1913-15 Olio, collage di carte bianche, inchiostro e matita su lamina metallica e su carta, cm. 48,8x32,6 Firma in basso a destra: Balla / Futurista. Al verso, su un cartone di supporto: cartiglio 47 / Balla / Costume Prete Grotto / Festival: etichetta Wadsworth Atheneum con scritta Massine Collection e n. 47: etichetta E.V. Thaw & Co., New York: etichetta Peggy Guggenheim Collection / Exhibition Gino Severini: The Dance 1909-1919 / 25th May - 28th October 2001, con n. XXII: etichetta Fonte d’Abisso Arte, Milano: etichetta Balla coloratissimo e luminosissimo / I collage 19141925 / Galleria d’Arte Cinquantasei Bologna / 6 aprile 1 giugno 2013; sulla cornice: etichetta Picasso / e la sua eredità / nell’arte italiana 12 10 2019 / 12 01 2020 / Palazzo Salmatoris / Cherasco: timbro città di Cherasco. Storia Collezione Léonide Massine, Roma-Parigi; E.V. Thaw & Co., New York; Collezione privata Esposizioni Collection de tableaux de Léonide Massine, Roma, Foyer del Teatro Costanzi, 1917, cat. n. 6; Massine Collection, Hartford, Wadsworth Atheneum, n. 47; Gino Severini. La danza 1909-1916, a cura di Daniela Fonti, Venezia, Peggy Guggenheim Collection, 26 maggio - 28 ottobre 2001, cat. p. 194, n. XXII, illustrato a colori; Ricostruzione futurista dell’universo. Giacomo Balla Fortunato Depero, Rovereto, Galleria Transarte, 12 ottobre 26 novembre 2006, poi Palermo, Palazzo Steri, 7 dicembre
Verso del lotto 540
2006 - 5 gennaio 2007, cat. p. 72, n. 8, illustrato a colori; Balla. La modernità futurista, a cura di Giovanni Lista, Paolo Baldacci, Livia Velani, Milano, Palazzo Reale, 15 febbraio 2 giugno 2008, cat. p. 183, n. III, 23o, illustrato a colori; Giacomo Balla. Coloratissimo e luminosissimo, a cura di Elena Gigli, Bologna, Galleria d’Arte Cinquantasei, 6 aprile 1 giugno 2013, cat. pp. 21, 40, 41, n. 6, illustrato a colori; Dada 1916. La nascita dell’antiarte, a cura di Luigi Di Corato, Elena Di Raddo, Francesco Tedeschi, Brescia, Museo di Santa Giulia, 2 ottobre 2016 - 26 febbraio 2017, cat. p. 85, illustrato; Il corpo con le ali. Edward Muybridge - Dirk Baumanns e il disegno futurista, Roma, Futurism & Co Art Gallery, 8 febbraio - 30 aprile 2018, cat. pp. 58-71, 111, illustrato a colori; Picasso e la sua eredità nell’arte italiana, Cherasco, Palazzo Salmatoris, 12 ottobre 2019 - 12 gennaio 2020. Bibliografia Maurizio Fagiolo dell’Arco, Elena Gigli, Balla a sorpresa astrattismo dal vero, decor pittura, “realtà nuda e sana” 19191929, Mazzotta Editore, Milano, 2000, p. 12, tav. d; Giacomo Balla: futurismo in scena. Bozzetti e altri materiali del Museo Teatrale alla Scala, a cura di Ada Masoero, Museo Teatrale alla Scala, Milano, 2001. Opera in temporanea importazione artistica. Stima E 450.000 / 650.000
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Gino Severini Tango argentino, 1913-14
Quando l’11 febbraio 1910 Gino Severini, insieme a Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo, figura tra i firmatari del Manifesto dei pittori futuristi, seguito l’11 aprile dal Manifesto tecnico, apparsi un anno dopo il celebre Manifesto del Futurismo di Marinetti del 1909, egli è l’unico membro del movimento a risiedere stabilmente a Parigi. Vi si era trasferito infatti in maniera definitiva nel 1907, e al momento dell’adesione al gruppo, legata principalmente al rapporto d’amicizia con Balla e Boccioni, conosciuti negli anni romani allo scorcio del nuovo secolo, egli non aveva ancora visto le opere dei compagni d’avventura. Si tratta dunque di un’affiliazione in un certo senso anomala, continuando Severini a lavorare non in Italia accanto ai suoi sodali, ma nella città allora coacervo di tutte le esperienze innovatrici in campo letterario, figurativo e sociale. Più che con le scomposizioni di Boccioni egli entra in contatto diretto con le opere dei Fauves Matisse e Derain, con quelle del primo Cubismo di Picasso e Braque e del secondo di Derain, Léger, Lothe, Gleizes e Delaunay. Saranno questi i suoi principali modelli visivi, accanto alla possibilità di studiare da vicino le opere del maestro a cui la sua produzione di quegli anni è stata più volte avvicinata dalla critica, ossia il pointillisme di Seurat, protagonista nel 1908 di un’importante retrospettiva alla Galleria Bernheim-Jeune. In questi anni, accanto alla possibilità di toccare con mano i risultati che stavano ottenendo i pittori d’avanguardia, Severini entra nell’orbita dell’impresario LugnéPoe, direttore del teatro L’Oeuvre e della Gino Severini e Jeanne Fort, agosto 1913
rivista omonima, per la quale l’artista realizza con continuità illustrazioni a partire dal 1909. È tramite questa figura che nasce il rapporto con Félix Féneon, direttore della Bernheim-Jeune, dove il 5 febbraio 1912 si tiene la prima leggendaria mostra del movimento allora pressoché sconosciuto, Les peintres futuristes italiens, che dalla capitale francese farà il giro d’Europa, passando per L’Aja, Amsterdam, Monaco, Berlino e Londra. Vivere a Parigi gli farà dunque percorrere il primo tratto della strada futurista pressoché in solitaria, e rispetto alle città italiane che si affacciavano alla modernizzazione solo in quegli anni, il contesto in cui nasceranno i suoi dipinti è una metropoli che già ha salutato la modernità, con la vita animata dei boulevard illuminati dalla luce elettrica, le rumorose stazioni ferroviarie sempre affollate di convogli e ovviamente la febbrile atmosfera dei teatri e dei locali notturni, già fra i soggetti d’elezione della pittura parigina moderna nei decenni precedenti, a partire dalle formidabili opere impressioniste. È di fronte allo scenario di Parigi che egli cercherà di liberare l’arte italiana dai “decoratori da strapazzo”, di combattere “accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei” per inneggiare “ai tangibili miracoli della vita contemporanea […] alla frenetica attività delle grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottambulismo, alla figure febbrili del viveur, della cocotte, dell’apache e dell’alcolizzato” (Manifesto dei pittori futuristi, 11 febbraio 1910). Per i pittori futuristi “tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono […] Lo spazio non esiste più, una strada bagnata dalla pioggia e illuminata da globi elettrici s’inabissa fino al centro della terra […] Le sedici persone che avete intorno a voi in un tram che corre sono una, dieci, quattro, tre; stanno ferme e si muovono; vanno e vengono, rimbalzano sulla strada, divorate da una zona di sole, indi tornano a sedersi, simboli persistenti della vibrazione universale” (La pittura futurista. Manifesto tecnico, 11 aprile 1910). Questa “vibrazione universale” Boccioni la cercherà nelle stazioni affollate dagli stati d’animo di viaggiatori che incessantemente vanno, restano, si salutano, o in un cantiere di una città in crescita che “sale” come i suoi nuovi palazzi in costruzione, o in una figura in movimento che con i suoi passi fende l’atmosfera. Balla studierà le infinite rifrazioni di una lampada ad arco, la corsetta veloce di una bambina che corre su un balcone o di un cane al guinzaglio, la dinamica delle ruote di un’automobile in corsa. Carrà la troverà nelle luci di Milano, con la folla che esce dai teatri o che cammina lungo la Galleria Vittorio Emanuele, o nelle risse scatenate ai funerali degli anarchici. Severini invece sceglierà come chiave di interpretazione del dinamismo e della modernità il mondo delle sale da ballo, e la figura danzante diverrà la radice simbolica della sua ricerca all’interno del movimento futurista, la sillaba primaria del suo linguaggio d’avanguardia. La danza che gli interessa non è ovviamente quella stereotipata del balletto Georges Seurat, Lo Chahut, 1889-90, Otterlo, Museo Kröller-Müller
Gino Severini, Danza del Pan Pan al Monico, 1911 / 1959-60, Parigi, Centre Georges Pompidou
d’accademia, ma quella nuova che animava le sale fumose di locali ormai leggendari come Le chat noir, Les Folies Bergère, l’Horloge o il Tabarin, ossia “le chahut”, le danze spagnole, la danza dell’orso e il tango argentino che, partito dalle Americhe, aveva scatenato a Parigi una vera e propria febbre. È nella ballerina e nella coppia in movimento, che tanto aveva affascinato anche Degas, Seurat e Toulouse-Lautrec, che Severini prova a rendere sulla tela e sulla carta i concetti teorizzati nei manifesti, rendendo così la sua produzione immediatamente riconoscibile all’interno del gruppo. Non a caso i massimi sforzi nella fase iniziale della sua esperienza futurista sono concentrati nella realizzazione di una tela monumentale con protagonista una folla danzante, la Danza del Pan Pan al Monico – presentata alla mostra da Bernheim-June del 1912, distrutta dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale perché considerata arte degenerata e faticosamente ricostruita dall’artista nel 1959-60 basandosi sul ricordo e su foto dell’epoca – che Severini considera una summa delle sue prime sperimentazioni. Nel Pan Pan, opera “eseguita unicamente quasi sotto l’influenza dei rumori suoni dell’ambiente” quello che interessa all’artista è proprio rendere l’atmosfera del locale che ospita la scena in tutti i suoi rumori, colori e luci, e la folla danzante costituisce l’alfabeto che gli permette la “realizzazione della pittura dei suoni e del movimento” (lettera ad Ardengo Soffici, 27 settembre 1913). Severini descrive le figure che affastellano la composizione in una sorta di horror vacui mediante piccoli tasselli di colore a incastro, un’evoluzione della tecnica divisionista di cui aveva acquisito padronanza già negli anni romani e che aveva avuto modo di approfondire sulle opere di Seurat e Signac. Nelle opere immediatamente seguenti il turbinio vorticoso della folla festante progressivamente si depura, e protagonista assoluta diviene la singola ballerina o la coppia che danza illuminata dagli occhi delle luci dei cabaret parigini. I vari tipi di ballo e le tipologie psicologiche diventano man mano sempre meno contraddistinti da dettagli naturalistici, bensì suggeriti dal cromatismo e da analogie formali: è il ritmo del movimento sotto la luce e trascinato dal suono della musica il focus su cui si concentra il pittore. La piena celebrazione del tema della figura danzante avverrà nell’aprile 1913, in occasione della personale dell’artista a Londra, presso la Marlborough Gallery in cui le trenta opere esposte saranno quasi interamente
dedicate a questo soggetto. Nell’introduzione Severini dichiara esplicitamente la natura astratta e simbolica dei suoi dipinti, “segno caratteristico dell’intensità e della rapidità con cui si vive adesso la vita. Spesso accade che una parola, una frase, basti a sintetizzare un’azione completa, un’intera psicologia. Allo stesso modo un gesto, una caratteristica essenziale, può, come illuminando improvvisamente la nostra intuizione, riuscire a mettere davanti ai nostri occhi l’intera realtà”. La descrizione che egli fa nello stesso catalogo di uno dei dipinti-manifesto della ricerca sulla coppia in movimento, La danza dell’orso al Moulin Rouge, esprime perfettamente l’intenzione che sta alla base di questo ciclo: “Spostamento dei corpi nell’atmosfera. Due corpi ma una sola unità plastica, ritmicamente bilanciata” (Gino Severini, The Futurist Painter Severini Exhibits His Latest Works, Londra, 1913, traduzione dell’autore). Il grande pannello del Tango argentino, realizzato tra il 1913 e il 1914, durante il periodo in cui l’artista fa ritorno in Italia per presentare in famiglia la giovane sposa Jeanne Fort, figlia del poeta Paul, fa parte di una serie di soggetto analogo, che comprende un altro foglio che figurerà il 15 novembre 1913 sulle pagine della rivista futurista Lacerba e sarà molto apprezzato da Marinetti, e un importante olio ora presso la Neumann Family Collection. La coppia danzante, sinuosamente avvinta in un abbraccio, è descritta mediante decise direttrici diagonali dinamiche che spezzano la composizione e si dipanano dal centro verso l’esterno, come guidate da una forza centrifuga. Severini le circonda con calibrati e vibranti filamenti di colore, che accennano al blu acceso delle vesti dei ballerini e al bianco abbagliante delle luci che li illuminano. Gli unici riferimenti al dato reale sono le dita del ballerino che stringono la vita della compagna e le due teste in alto, vicine e parallele. Il corpo è ormai pura forma e puro colore in movimento, guidato dal ritmo, ma allo stesso tempo è capace di evocare tutta la vivacità e la frenesia che animavano le città moderne e i loro abitanti. Chiara Stefani
Gino Severini, Tango argentino, 1913-14, Morton G. Neumann Family Collection
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Gino Severini Cortona (Ar) 1883 - Parigi 1966
Tango argentino, 1913-14 Inchiostro, tempera e pastelli su carta applicata su tela, cm. 106x58 Firma in basso al centro: G. Severini; titolo, data e firma al verso sulla tela: “Tango Argentin” / 1913 / G. Severini; sul telaio: timbro Collezione Guarini, Milano: etichetta [Mostra di Gino] Severini / Premio Nazionale delle Arti - Ministero della Pubblica Istruzione per il 1960 / Roma - Palazzo Venezia, Maggio - Giugno 1961: etichetta Musée National d’Art Moderne / Exposition Severini, con n. 128: etichetta di trasportatore con indicazione Mostra Futurismo e Aeropittura. Arte in Italia 1909-44 / Lisbona. Storia Collezione Prospero Guarini, Milano; Collezione privata Certificato su foto di Gina Severini Franchina, Roma, 11/1/98; dossier storico-artistico di Daniela Fonti, Roma, 8 maggio 2015. Esposizioni Mostra di Gino Severini, Premio Nazionale delle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione per il 1960, Roma, Palazzo Venezia, maggio - giugno 1961, cat. n. 25; Gino Severini, Parigi, Musée National d’Art Moderne, 1967, cat. n. 128; Futurismo e Aeropintura. Arte in Italia 1909-1944, a cura di Stefano De Rosa, Lisbona, Câmara Municipal de Lisboa Pelouro da Cultura, 24 maggio - 24 settembre 1999, cat. n. 31, p. 80, illustrato a colori; Divisionisti e futuristi attorno al “Nudo simultaneo” di Boccioni, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 28 dicembre 1999 - 9 gennaio 2000, poi Farsettiarte, Prato, 15 - 25 gennaio 2000, e Milano, 3 - 23 febbraio 2000 cat. n. 16, illustrato a colori; Artisti toscani a Parigi tra le due guerre, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 28 dicembre 2006 7 gennaio 2007, poi Milano, Farsettiarte, 17 gennaio 17 febbraio 2007, cat. n. 4, illustrato a colori; Gino Severini. Geometrie e visioni, a cura di Daniela Fonti, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 1 agosto - 5 settembre 2021, poi Milano, 11 settembre - 2 ottobre 2021, cat. n. 14, illustrato a colori. Bibliografia Piero Pacini, Gino Severini. I diamanti dell’arte 22, Sadea/ Sansoni Editori, Firenze, 1966, p. 29, n. 19, tav. 19; Piero Pacini, Gino Severini, disegni e incisioni, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1977, scheda n. 10 (cit.); Daniela Fonti, Gino Severini. Catalogo ragionato, MondadoriDaverio, Milano, 1988, p. 158, n. 165. Stima E 350.000 / 500.000
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Due opere di Alberto Magnelli Magnelli, come altri artisti astratti, non è partito dall’astrazione, ma dalla figurazione […] Generalmente si dimentica che un artista, prima di astrarre certi elementi o fenomeni della realtà, osserva con precisione ed assorbe tutto quello che si presenta al suo sguardo […] Non si pensa molto a che cosa si nasconde dietro ad un quadro astratto: l’enorme massa di cose che prima erano figurative; la massa di cose viste, soppesate, esaminate, per essere più tardi spogliate, con una operazione dello spirito, delle loro frange, del loro peso, della loro capacità maggiore o minore di ostruire lo spazio. Astraendo si evita la ripetizione. M. Mendes, Alberto Magnelli, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1964, p. 21.
Alberto Magnelli nel suo studio
Alberto Magnelli, maestro internazionale dell’Astrattismo, nasce a Firenze e studia da autodidatta gli antichi maestri toscani, come Giotto, Masaccio, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Piero della Francesca, dai quali apprende che la pittura è prima di tutto un’architettura, una disposizione di forme semplificate e solide la cui maestosità si rinforza nella linea di contorno che le profila ed esalta. Questi insegnamenti gli permettono di creare composizioni solide e di grande equilibrio, dove linea, forma e colore diventano elementi costruttivi essenziali in tutta la sua produzione. Fondamentale per la sua formazione è la frequentazione del terreno culturale delle nuove avanguardie europee: conosce il Futurismo italiano nell’ambito delle riviste fiorentine La Voce e Lacerba e con la mostra promossa da quest’ultima nel 1913-14 dove sono esposte opere di Balla, Soffici, Carrà, Severini; ha modo di scoprire l’avanguardia parigina con il suo viaggio del 1914, frequentando Apollinaire e gli artisti della sua cerchia, Picasso, Léger, Jacob, e di meditare sulla lezione di Matisse. In questo clima Magnelli, desideroso di sperimentare, si apre a nuove libertà espressive con un continuo di passi avanti e ritorni: “tenta” nel 1915 l’astrattismo con composizioni geometriche animate da un forte dinamismo di forme e colori a contrasto, poi ritorna ad una semi-figurazione nei due anni successivi; nel 1918-19 con la serie delle Esplosioni liriche si libera con una forte esuberanza dei ritmi cromatici degli schemi compositivi geometrici, per riapprodare, in linea con la tendenza generale del Ritorno all’Ordine, alla figurazione in tutti gli anni Venti, nel periodo definito Realismo immaginario. Tra il 1931 e il 1934 Magnelli dipinge “un’importante serie di quadri che costituiscono nella sua carriera il ponte tra il figurativismo e l’astrazione” (M. Mendes, cit., p. 10): le Pietre, la cui ispirazione probabilmente deriva dalla visione delle cave di marmo a Carrara. Qui l’artista traccia dei disegni, che verranno poi sviluppati su tela, in cui emergono rocce come solidi che tendono a diventare geometria piana, “volumetrie irregolari e frastagliate che hanno dimenticato di avere un peso e si sollevano nel vuoto, come in assenza di gravità” (E. Pontiggia, in Alberto Magnelli 1888-1971 Una retrospettiva, a cura di D. Abadie, M. Bianchi, catalogo della mostra, Museo Villa dei Cedri, Bellinzona, 28 luglio-14 ottobre 2001, p. 37). Come disse l’artista stesso in un’intervista del 1965: “Se si resta in “superficie”, l’arte non potrà che essere decorativa. Il solido (come in tutte le fondamenta) si ha quando si tocca la roccia; quando si è andati ad
una certa profondità” (L. Ferrarino, Dieci domande ad Alberto Magnelli, in Civiltà delle macchine, n. 2, Roma, marzo - aprile 1965, p. 34). Magnelli approda così all’astrattismo. Le sue opere dal 1935 appaiono slegate da pretesti figurativi, presentano una compattezza dei piani e una limpida purezza della loro geometria costruttiva; sono composte da infinite locuzioni di forma-espressione-colore, con un largo equilibrio tra vuoto e pieno e densità cromatiche, dettate dalla compresenza di invenzione, luoghi mentali, immaginazione e struttura. Adotta la tecnica del collage, delle incisioni, e studia le sue composizioni in disegni su carta con una ricerca metodica e rigorosa per declinare le forme plastiche in tutte le loro possibilità, per far sì che la loro aggregazione determini lo spazio. Partecipa attivamente alla vita artistica parigina ed espone nelle principali mostre prima di rifugiarsi nelle Alpi Marittime durante il periodo di occupazione nazista, per poi tornare a Parigi dopo la fine della guerra. Nel 1947 la sua prima retrospettiva alla Galerie Drouin lo consacra “il pittore astratto più importante di Parigi”, e a questa seguono numerose esposizioni di successo sia in Italia che all’estero, ora con i gruppi francesi, ora con i gruppi italiani, ora retrospettive, fino alla sua morte. Nel corso degli anni Cinquanta prosegue la sua ricerca nell’astratto grazie al suo ardore creativo: “grandi spazi lirici, colori come evocati dalle forme, molte novità di impaginazione, di soluzioni geometriche dove contorno e linea si trasformano da confine a spazio, a lama di luce” (L. Cavallo, Magnelli dalla formazione fiorentina all’astrattismo, Brerarte, Milano, 1984, p. 60). La composizione, mantenendo Alberto Magnelli, Pietre, 1932 ca. la compresenza di elementi diversi, da multipla tende a raddensarsi in una forma unica, in un solo elemento centrale che occupa lo spazio. Nel 1950 nei dipinti compaiono quelle che l’artista definisce “ampoules” (modulo composto dall’unione di rettangoli), che vengono inizialmente ripetute per creare unità alla superficie dipinta (come in Compénétration, 1950) e successivamente variate per creare diverse composizioni. Construction del 1952 deriva dall’evoluzione di questo motivo che viene alterato nei contorni: così, includendo solamente linee rette perlopiù orizzontali e verticali, le forme si integrano tra loro, con trasparenze ed elementi sovrapposti per creare una composizione omogenea. L’equilibrio ottenuto nella compenetrazione dei piani è strettamente legato all’armonia cromatica: il giallo, l’arancione e il rosso, stesi in campiture esatte, con contrasti netti, senza sfumature o intemperanze emotive, sono in rapporto con l’estensione dello sfondo grigio. Questi stessi colori caldi sono i protagonisti di Peinture (Contrastes N. 2) del 1958 in cui, oltre alla forma poligonale e alla linea curva, è presente l’arco, introdotto dall’artista nelle sue creazioni a partire dal 1955, che avrà in seguito un grande sviluppo. Tali elementi si articolano in modo variegato nello spazio in contrasto con la categoricità delle forme e ci ricordano come la pittura astratta di Magnelli “non smette di indicarci la faticosità del percorso. […] Ci ricordano anzi che l’ordine è sempre un “mettere in ordine”: un dare equilibrio e struttura, fin dove è possibile, agli squilibri e ai contrasti della vita” (E. Pontiggia, cit., p. 48). Alice Nuti Alberto Magnelli, Compénétration, 1950
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Alberto Magnelli Firenze 1888 - Meudon 1971
Construction, 1952 Olio su tela, cm. 81x100 Firma e data in alto a sinistra: Magnelli 52; firma, titolo, luogo e data al verso sulla tela: Magnelli / “Construction” / Paris 1952; sul telaio: etichetta e timbro Galleria La Polena, Genova. Esposizioni Omaggio a Magnelli, Firenze, Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, 14 settembre - 19 novembre 1988, cat. p. 46, n. 31, illustrato a colori. Bibliografia Anne Maisonnier, Alberto Magnelli. L’oeuvre peint, catalogue raisonné, XXe siècle, Parigi, 1975, p. 151, n. 702 (immagine rifilata sul lato destro). Stima E 60.000 / 80.000
Alberto Magnelli
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Alberto Magnelli Firenze 1888 - Meudon 1971
Peinture (Contrastes N. 2), 1958 Olio su tela, cm. 81x100 Firma e data in basso a sinistra: Magnelli / 58; firma, titolo, luogo e data al verso sulla tela: Magnelli / “Contrastes” / N. 2 / Paris, 1958: tre timbri Galleria Martano, Torino; sul telaio: etichetta Martano Gallerie in Torino / novembre 1968 / Mostra Alberto Magnelli / cat. n. 23: etichetta con dati dell’opera e n. 86812 e timbro Martano Gallerie in Torino: etichetta Galleria Lorenzelli, Bergamo. Storia Galleria Lorenzelli, Bergamo; Galleria Martano, Torino; Collezione privata Esposizioni Alberto Magnelli, Torino, Galleria Martano Due, novembre 1968; Omaggio a Magnelli, Firenze, Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, 14 settembre - 19 novembre 1988, cat. p. 48, n. 35, illustrato a colori. Bibliografia Anne Maisonnier, Alberto Magnelli. L’oeuvre peint, catalogue raisonné, XXe siècle, Parigi, 1975, p. 167, n. 812. Stima E 60.000 / 80.000
Personale di Alberto Magnelli, Torino, Galleria Martano Due, novembre 1968; alla parete sinistra è esposto il lotto 543
543
544
Atanasio Soldati Parma 1896 - 1953
Composizione, (1946) Olio su tavola, cm. 45,7x32 Firma in basso a destra: Soldati. Al verso: due timbri Galleria Cadario, Milano: etichetta e timbro Cardelli & Fontana / Arte Contemporanea / Sarzana. Storia Collezione F. Bernardini; Galleria Cadario, Milano; Collezione privata Certificato su foto di Augusto Garau, Milano, 29 gennaio 2003, con timbro Archivio Atanasio Soldati e n. 1171. Esposizioni Reggiani e Soldati, due grandi astrattisti italiani, Cortina d’Ampezzo, Galleria Frediano Farsetti, 26 dicembre 2007 7 gennaio 2008, poi Milano, Farsettiarte, 16 gennaio 13 febbraio 2008, cat. n. 15, illustrato a colori. Bibliografia Luigi Cavadini, Atanasio Soldati. Catalogo generale dei dipinti, BoraArte, Riale, 2019, p. 164, n. 1946 9. Stima E 40.000 / 60.000
Paul Klee, Pallone rosso, 1922
544
545
Emilio Vedova Venezia 1919 - 2006
La casa del ferraio, 1945 Olio su tela, cm. 50x60,2 Firma in basso a sinistra: Vedova; firma, titolo, data e luogo al verso sul telaio: Emilio Vedova La casa del Ferraio 1945 / Vedova Venezia; sulla tela: timbro Galleria Annunciata. Storia Collezione privata, Prato; Collezione privata Opera registrata presso la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Venezia, 20 settembre 2021, al n. FV353. Stima E 15.000 / 25.000
Emilio Vedova, Milena Milani e Giuseppe Santomaso alla mostra Pittura francese d’oggi, Venezia, Ca’ Pesaro, 1946
545
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Arnaldo Pomodoro Morciano di Romagna (Fc) 1926
Senza titolo, 1968 Bassorilievo in argento e ottone cromato montato su legno, es. unico, cm. 30x22x8 Firma e data in basso a destra: Arnaldo Pomodoro ‘68. Storia Galerie Pierre, Stoccolma; Collezione privata; Christie’s, New York, 20 febbraio 2002, lotto n. 120; Collezione privata Opera registrata presso la Fondazione Arnaldo Pomodoro al n. AP 295f. Bibliografia Flaminio Gualdoni, Arnaldo Pomodoro. Catalogo ragionato della scultura, tomo II, Skira Editore, Ginevra - Milano, 2007, p. 544, n. 458. Stima E 25.000 / 35.000
546
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547
Felice Casorati Novara 1883 - Torino 1963
La Vecchia, 1918-79 Scultura in bronzo, es. V/VI, cm. 28 h. Sigla e tiratura sulla base: FC V/VI. Storia Galleria Gian Ferrari, Milano; Galleria La Bussola, Torino; Collezione privata Certificato su foto di G. Bertasso, Galleria La Nuova Bussola, Torino, 7/4/88, archivio FC 721.
Fusione postuma. Edizione di 6 esemplari in numeri romani e 6 in numeri arabi. Bibliografia Claudia Gian Ferrari, Felice Casorati. Le sculture, testo di Luigi Carluccio, Edizioni Gian Ferrari-La Bussola, p. n.n.; Francesco Poli, Giorgina Bertolino, Felice Casorati Catalogo Generale. Le sculture (1914-1933) - aggiornamento dipinti (1904-1963), volume terzo, Umberto Allemandi e C., Torino, 2004, p. 66, n. 12SC. Stima E 9.000 / 12.000
548
548
Giacomo Manzù Bergamo 1908 - Ardea (Roma) 1991
Amanti Scultura in bronzo, cm. 28x39,5x30 Firma a punzone sulla base: Manzù. Foto autenticata dall’artista. Stima E 10.000 / 18.000
549
Giacomo Manzù Bergamo 1908 - Ardea (Roma) 1991
Striptease, 1972 Scultura in bronzo, cm. 70 h. Marchio dell’artista sulla base: Manzù. Certificato con foto firmato dall’artista, Ardea, 21 febbraio 1990, con indicazione: “esemplare variante”. Stima E 45.000 / 60.000
Giacomo Manzù nello studio
549
550
550
Virgilio Guidi Roma 1891 - Venezia 1984
Volto, 1951 Olio su tela, cm. 60x50,5 Firma in alto a destra: Guidi. Al verso sulla tela: timbro Galleria Schettini, Milano: due timbri Salone Annunciata, Milano, di cui uno con n. 14552. Storia Galleria Annunciata, Milano; Galleria Schettini, Milano;
Collezione G. Pessina, Milano; Collezione privata Bibliografia Toni Toniato, Dino Marangon, Franca Bizzotto, Virgilio Guidi. Catalogo generale dei dipinti. Volume primo, Electa, Milano, 1998, p. 432, n. 1951 4. Stima E 9.000 / 14.000
551 551
Charles Camoin Marsiglia 1879 - Parigi 1965
Jeune femme au grand chapeau, 1900 ca. Olio su tela, cm. 41x33 Firma in basso a destra: Camoin. Storia Christie’s, Londra, 26 marzo 1999, lotto n. 16; Christie’s, Londra, 8 febbraio 2013, lotto n. 136; Collezione privata
L’autenticità dell’opera è stata confermata da Anne-Marie Grammont-Camoin (si veda catalogo Christie’s, 8 febbraio 2013). Stima E 7.000 / 12.000
552
Nicolay Diulgheroff Kustendil 1901 - Torino 1982
Santa Sofia, anni Sessanta ca. Tempera su cartone, cm. 50,2x35 Firma in basso a sinistra: Diulgheroff; al verso: Diulgheroff / “Santa Sofia” - Dal ciclo “Composizioni” -1928-; su un cartone di supporto: timbro ed etichetta Arte Centro, Milano, con n. 8325. Parere orale favorevole di Radoslav Diulgheroff. Stima E 2.500 / 3.500
552
553
Graham Sutherland Londra 1903 - Mentone 1980
Composizione, (1950) Tecnica mista su carta, cm. 23x20 Firma in basso a destra: Sutherland. Certificato di K. Sutherland in data 29 marzo 1982.
553
Stima E 5.000 / 8.000
554 554
Graham Sutherland Londra 1903 - Mentone 1980
Composizione, 1958 Tecnica mista su carta applicata su faesite, cm. 30x22 Firma e data in basso al centro: Sutherland 1958. Al verso: etichetta Bottega d’Arte Egisto Marconi, Milano: etichetta Campaiola Studio d’Arte. Certificato con foto Studio d’Arte Campaiola, Roma. Stima E 8.000 / 12.000
Lo studio di Paul Klee a Monaco, 1920
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Paul Klee Münchenbuchsee 1879 - Muralto 1940
Noch eine Tierdressur, 1923 China su carta, cm. 21,9x28,6 Firma, data e titolo in basso al centro: Klee / 1923 // 3/12 Noch eine Tierdressur, scritta in basso a sinistra: 1923.196. Al verso altro disegno a china, Studi, con data in basso a sinistra 1923 3/12. Storia Collezione Bergruen & C., Parigi; Collezione Barnet Hodes, Chicago; Collezione Richard L. Feigen, New York; Collezione privata Certificato su foto di Joseph Helfenstein, Berna, 12 dicembre 1988. Esposizioni Gloires de la peinture moderne. Hommage à James Ensor, Ostende, Palais des Thermes, 1949, n. 80; Paul Klee, Francoforte, Galerie Buchheim-Milton, 1950, cat. n. 24; Drawings by Paul Klee, Londra, The Mayor Gallery, 1952, cat. n. 3; Paul Klee, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna, 26 ottobre 2000 - 7 gennaio 2001, cat. pp. 94-95. Bibliografia Will Grohmann, Paul Klee. Handzweichnungen 1921-30, 1934, n. 27; Paul Klee. Catalogue raisonné. Volume 4, 1923-1926, Paul Klee Stiftung Kunstmuseum, Berna, 2000, p. 127, n. 3290. Stima E 60.000 / 80.000
Verso del lotto 555
555
Nella mia pittura c’è una specie di sistema circolatorio. Se anche una sola forma è fuori posto, la circolazione si interrompe; l'equilibrio è spezzato. Quando un quadro non mi soddisfa, mi sento fisicamente a disagio, come se mi sentissi male, come se il mio cuore non stesse lavorando come si deve, non riuscissi più a respirare, stessi soffocando. [ ... ] lo penso al mio studio come a un orto. Qui, ci sono carciofi. Laggiù, patate. Le foglie devono essere tagliate in modo che le verdure possano crescere. A un certo momento devi sfoltire. Lavoro come un giardiniere o un vignaiolo. Ogni cosa ha bisogno di tempo. II mio vocabolario di forme, ad esempio, non è venuto tutto in una volta. Si è formulato quasi nonostante me. Le cose seguono il loro corso naturale. Esse crescono, maturano. Devi fare degli innesti. Devi innaffiare, come fai per l'insalata. Le cose maturano nel mio animo. Inoltre, lavoro sempre a un gran numero di cose contemporaneamente. E anche in campi differenti: pittura, acquaforte, litografia, scultura, ceramica. [ ... ] Mi piace il surrealismo perché i surrealisti non considerano la pittura come un fine in se stesso. Non ci si deve preoccupare se un quadro durerà, ma se ha piantato semi che daranno vita ad altre cose. Joan Miró
Joan Miró al lavoro
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Joan Miró Barcellona 1893 - Palma di Maiorca 1983
Chien dans la nuit, 1980 Olio, matita e pastello su carta applicata su tela, cm. 23,3x32,8 Firma in basso a destra: Miró. Storia Galerie Maeght, Barcellona; Studio Due Ci di Cleto Polcina, Roma; Collezione privata Certificato su foto Galeria Maeght, Barcellona, 2 luglio 1981. Bibliografia Carmine Benincasa, Cleto Polcina, Miró, elegie per Roma 1981, Editrice 2C, Roma, 1981, p. n.n.; Jacques Dupin, Ariane Lelong-Mainaud, Joan Miró. Catalogue raisonné. Drawings VI 1978-1981, Daniel Lelong - Successió Miró, Parigi, 2018, p. 242, n. 5000. Stima E 60.000 / 90.000
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Fernand Léger al centro, con i suoi studenti nel 1938
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Fernand Léger Argentan 1881 - Gif sur Yvette 1955
Les deux femmes, (1939) Gouache su carta, cm. 63x48 Sigla in basso a destra: F.L. Numero e titolo al verso: D.2 Les deux femmes: timbro Musée Fernand Léger, Biot, con sigla D.L.F: etichetta Galerie Louise Leiris, Paris, con n. 012639 e n. Ph. n. 30115. Storia Asta Galleria Vangelisti, Lucca, 18 dicembre 1980, lotto n. 57 (con indicazione di pubblicazione Galerie Motte); Collezione privata Stima E 70.000 / 100.000
Fernand Léger, Deux femmes, 1934, inchiostro su carta velina, cm 65x50
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Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, due opere provenienti dalla collezione di Felice Carena Tutta la mitologia moderna ancora in formazione ha le sue fonti nelle due opere, quasi indiscernibili nello spirito, di Alberto Savinio e Giorgio de Chirico. André Breton, 1940
Felice Carena al Forte dei Marmi, 1930
Accostati l’uno all’altro, i Cavalli in riva al mare di Giorgio de Chirico (1888-1978) e La sposa fedele di suo fratello Alberto Savinio (1891-1952) rendono testimonianza di quel lungo connubio intellettuale e creativo che corrispose al rapporto ininterrotto, quanto talvolta difficile, tra i due fratelli. Le due opere a tempera appartenevano agli eredi del grande pittore italiano Felice Carena (1879-1966) ai quali pervennero grazie alle comuni frequentazioni di una Versilia “dagli orizzonti aperti”, di “piatte altane/su case basse lungo un ondulato/declinare di dune e ombrelle aperte”, come la ricorda Eugenio Montale (Proda di Versilia, Bufera, 1956). Un litorale che aveva ospitato alcuni tra i maggiori poeti di inizio secolo, come Gabriele D’Annunzio, e che nei primi decenni del Novecento era divenuto una meta privilegiata per gli artisti, tanto che nel 1930 vi avrebbe soggiornato Carena stesso divenendo poi luogo d’elezione per la moglie del pittore, Maria Chessa. In Versilia Maria Chessa, o Mariuccia com’è ricordata nella corrispondenza di uno scrittore come Carlo Emilio Gadda, avrebbe fatto da perno all’interno di un più ampio entourage che raccoglieva alcune tra le figure più rilevanti della cultura del tempo, artisti come Carlo Carrà, e appunto Alberto Savinio. Non lontano dalla mondana Forte dei Marmi, infatti, il fratello di Giorgio de Chirico aveva voluto costruire la propria casa di villeggiatura: un edificio bianco, a forma di chiocciola, “il più casalingo degli animali”, dove ospitava i parenti e accoglieva molti tra gli artisti, i poeti e gli intellettuali che l’estate popolavano il litorale toscano. Forse è proprio al riparo dai “grandi venti metafisici”, come li ricorda Savinio, nel giardino intorno a quella casa ricordata da Savinio come “la [sua] sposa bianca... a un solo piano posata per terra come un granchio bianco sulla sabbia” che fu scattata una fotografia. Un’immagine che ritrae Giorgio de Chirico mentre dipinge alla presenza della moglie di Carena e di altri, tra cui lo scrittore Tommaso Landolfi, che probabilmente partecipavano alle stesse lunghe discussioni sui destini dell’arte da cui ebbero origine anche i due soggetti raffigurati nelle tempere dei fratelli de Chirico qui presentati. È là che io e mio fratello ci ritroveremo quali eravamo vent’anni or sono, quando nulla ci divideva, e in due avevamo un solo pensiero. Alberto Savinio, 1943
Casa Savinio, Poveromo, foto d’epoca
Nati prima dell’inizio del Novecento in Grecia, i fratelli de Chirico non facevano mistero dell’importanza di un reciproco legame di cui si coglierà un’eco costante lungo il percorso di entrambi: per Giorgio de Chirico fin dalle opere della stagione della Metafisica, inaugurata negli anni della Prima Guerra Mondiale, da parte di Alberto Savinio, invece, nella produzione letteraria, prima, e più tardi in pittura, ad esempio ne I Dioscuri del 1929. Il titolo scelto da Savinio per quest’opera non era infatti casuale rispetto al rispecchiamento di entrambi i de Chirico nel mito degli eroi gemelli Castore e Polluce, i Dioscuri appunto, protettori dei naviganti e della poesia. Mariuccia Carena, Landolfi, Montale e de Chirico probabilmente a casa Savinio a Poveromo Del resto nelle sue prime opere lo stesso tema era vagheggiato anche da Giorgio de Chirico nel perseguire idealmente il concetto di “doppio”; per assumere in anni più tardi i contorni di una visione pittorica più evidente con la rappresentazione del mito di Castore e Polluce accompagnati dai loro destrieri. Ispirate ai Dioscuri scultorei del Quirinale a Roma, le due divinità avrebbero popolato una serie di opere realizzate dall’artista allo scadere degli anni Venti. Soggetti ai quali appartengono inoltre le versioni in cui alla presenza fisica dei gemelli de Chirico si sostituisce la coppia di cavalli che ne è la rappresentazione, come avviene nella tempera intitolata Cavalli in riva al mare. La visione dei cavalli accompagnati dai simulacri dell’epoca classica, come i templi o le colonne spezzate, raffigurati vicino a un orizzonte marino che sembra evocare le partenze degli eroi omerici, sarà destinato a divenire una costante nei dipinti eseguiti da Giorgio de Chirico. I fitti scambi dell’artista con l’ambiente surrealista e il rapporto con Léonce Rosenberg, che dirigeva la rivista artistica Bulletin de l’Effort Moderne, lo avrebbero infatti guidato verso una direzione nuova rispetto alle tematiche ampliate dopo la Metafisica. Sospesi momentaneamente i soggetti che più interessavano i Surrealisti francesi, come i manichini geometrici, le opere dell’artista vanno popolandosi di templi, acquedotti e colonne, mentre l’addome dei suoi Archeologi è riempito dei trionfi delle vestigia classiche. Infine, con I Dioscuri e i dipinti con i Gladiatori creati proprio per la casa di Rosenberg, Giorgio de Chirico era giunto a distillare la sua estesa visione di un’epoca primigenia e intoccata da cui trarre invenzioni sempre nuove e fantastiche. Del resto, il pittore nato a Volos aveva passato l’infanzia in Tessaglia dove con il fratello aveva condiviso un’esperienza diretta di quella stessa Grecia cantata dall’epica omerica ed esplorata dagli scavi archeologici. Se la memoria non soccorre, se l’arte non deriva dalla Memoria l’arte è ignobile – plebea – ristretta e piena di noia: vana come i sogni. Alberto Savinio Alla fine degli anni Venti l’immaginario visivo che emerge scorrendo le opere di Giorgio de Chirico combinava le divinità mitologiche e l’arte classica al potere visionario della memoria, ritenuto così importante dai Surrealisti. L’appartamento di Léonce Rosenberg con i Gladiatori di Giorgio de Chirico
Alberto Savinio, partitura, Vita dell’uomo, 1946
L’artista andava infatti approfondendo in maniera più sistematica la conoscenza della statuaria classica, sia guardando attentamente quanto disponibile al suo sguardo a Roma, sia ampliando tali studi ricorrendo ai repertori illustrati. Entrambe le fonti infatti sembrano aver avuto importanza nella genesi dei Cavalli in riva al mare. Un dipinto che, appunto, appare confrontabile con la fortuna di un rilievo che orna il monumento equestre di Marco Aurelio a Roma studiato e riprodotto diffusamente a partire dall’Ottocento. A questo nuovo orientamento di Giorgio de Chirico forse contribuivano le fruttuose discussioni con la sua futura moglie Raissa. Ballerina e interprete teatrale prima, eminente archeologa poi, Raisa Samojlovna Gurevič (1894-1979) poteva infatti aver stimolato il pittore a una più viva analisi dei monumenti romani e al fecondo studio sulle illustrazioni del repertorio della statuaria classica di Salomon Reinach. Una fonte rilevante per la cultura artistica del tempo che tanta parte avrebbe avuto nella costruzione del vocabolario visivo di Giorgio de Chirico proprio insieme agli esempi monumentali dell’arte romana di cui si coglie un’eco puntuale attraverso la sua pittura. Così come era già avvenuto nel corso della biografia del cosiddetto Pictor Optimus, anche nel caso di questo incontro aveva avuto un ruolo importante proprio suo fratello Alberto Savinio. Sarebbe stato infatti quest’ultimo a presentare Raissa all’artista mentre quest’ultima interpretava La morte di Niobe a Roma. Lo spettacolo era infatti musicato da Savinio che, prima di divenire poeta, romanziere prolifico e grande pittore, si era formato come musicista e come tale negli anni Venti aveva già guadagnato un ruolo primario sia in Italia che a Parigi. Alberto Savinio è stato anche lui un fanciullo-prodigio […] egli ha dato un gran strappo alla regola passando dallo stato di fanciullo-prodigio a quello di uomo-prodigio. Giorgio de Chirico, 15 aprile 1940 Il precoce talento musicale e letterario aveva reso Alberto Savinio uno dei principali animatori dei circoli letterari e artistici fin dai primi decenni del Novecento quando giungendo a Parigi recava con sé un’eredità culturale di prim’ordine. Così come il fratello Giorgio, egli l’aveva acquisita da poli diversi. Tra questi la sua origine italiana, dovuta alla famiglia di diplomatici da cui veniva, la grecità classica, assorbita nell’infanzia passata in Grecia, poi gli studi a Monaco. Nella città tedesca Savinio si era infatti avvicinato alla filosofia di Schopenhauer, Nietzsche e di Otto Weininger, mentre studiava la musica di Wagner e la pittura di Arnold Böcklin. Essendo poi a Milano all’inizio del secolo non poteva aver ignorato il contributo alla definizione del Futurismo di Marinetti e una volta giunto a Parigi, alla luce di un tale bagaglio di esperienze, Savinio si sarebbe inserito molto velocemente negli ambienti dell’avanguardia moderna. Ma è solo con lo scadere della Prima Guerra Mondiale che gli impegni di Savinio giungono a toccare ogni aspetto delle sue poliedriche attività intellettuali. Infatti, colui che de Chirico ricorda come un vero “fanciullo-prodigio” da quel momento in poi sarebbe passato dalla letteratura alla musica e dal teatro
Giorgio de Chirico, Ritratto di Paul Guillaume, 1915
alla pittura. Quasi suo malgrado, l’ormai “uomo-prodigio” nel corso degli anni Venti espresse pari genialità in ognuna delle arti, nonostante più tardi, ricordando quel periodo, Savinio abbia abilmente scansato ogni richiesta di essere forzato all’interno di ognuna delle sue molteplici attività. Stando alle parole di Giorgio de Chirico sull’avvio alla pittura del fratello, “Savinio di già dipingeva” nei primi anni Dieci, durante il periodo milanese. Pur tuttavia doveva trattarsi di una pratica saltuaria, condotta intorno agli impegni in ambito teatrale, dedicata allo studio dei personaggi e dei loro costumi. Invece, verso la fine degli anni Venti, spronato dalle richieste insistenti del fratello pittore, Savinio avrebbe ampliato un interesse che fino ad allora era limitato a integrare la sua produzione musicale, per cominciare a dedicarsi più estesamente alla pratica della pittura. La prima esposizione di Savinio ebbe luogo nel 1927 alla Galerie Jacques Bernheim in rue de la Boétie a Parigi e riscosse un successo inaspettato e folgorante. In onore dell’esordio dell’amico Jean Cocteau aveva composto un acrostico doppio, volto a evidenziare il suo interesse per l’esordio di Savinio come pittore, fornendo a quest’ultimo un degno accompagnamento letterario. L’ampia ricezione delle sue opere e il loro successo commerciale avrebbero indotto Savinio a continuare una produzione pittorica che attraverso i ritratti, i cosiddetti “monumenti ai giocattoli”, i Dioscuri, Prometeo e le prime raffigurazioni del tema rappresentato nella tempera con La sposa fedele, gli avrebbe valso il titolo di “novello Esopo” da parte di uno dei critici parigini di punta come Waldemar George. In un solo biennio di attività pittorica Savinio aveva guadagnato un contratto stabile con un gallerista del calibro di Paul Guillaume che da tempo lavorava con de Chirico. Nei dipinti trasfondeva la stessa l’ironia intesa a esplorare e ricombinare le immagini e le sensazioni della memoria di cui erano oggetto i suoi molti racconti. L’acume e la chiave talvolta tagliente che filtra dai suoi scritti sembrava guidarlo verso gli orizzonti immaginativi ironici trasfusi in pittura. È un collegamento tra letteratura e arte che sembra appunto pertinente anche a La sposa fedele: una donna ingioiellata che esibisce il suo abito migliore, seduta in tralice sulla poltrona, nella posa tipica di un ritratto celebrativo, mentre dall’alto della sua testa di struzzo rivolge lo sguardo altero fuori dal quadro. È una “Penelope moderna” elaborata durante la composizione al Capitan Ulisse dato alle stampe nel 1934, in cui Savinio ribalta il significato simbolico dato alla paziente moglie di Ulisse che rappresentava la fedeltà femminile attribuendole tutt’altro contenuto. Giocando con l’antica etimologia del nome di Penelope su cui era basata l’associazione di quest’ultima con la figura animale dell’anatra, Savinio avrebbe riformulato il tema. Il risultato è una sarcastica trasformazione zoomorfa qual è la donna con la testa di struzzo ne La sposa fedele, ribadita in opere come La vedova (1931) o La fidanzata abbandonata (1931): modelli in cui da più parti è stato proposto di riconoscere le figure femminili da cui lo stesso Alberto Savinio era circondato. Alberto Savinio, Penelope, 1940
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Cavalli in riva al mare, seconda metà anni Trenta Tempera su carta applicata su cartoncino, cm. 35,5x48,5 (carta) Firma in basso a destra: G. de Chirico. Storia Collezione Felice Carena; Eredi Carena, Firenze Certificato su foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, con n. 072/12/19 OT. Stima E 50.000 / 70.000
Anonimo, Trionfo di Marco Aurelio, XVIII secolo
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Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
La Sposa Fedele, 1944-45 Tempera su tela, cm. 61x50 Firma in basso a destra: Savinio; titolo e firma al verso sul telaio: “La Sposa Fedele” Alberto Savinio. Storia Collezione Felice Carena; Eredi Carena, Firenze Certificato su foto Archivio Alberto Savinio, Roma, con n. 1944-5,4. Stima E 120.000 / 180.000
Alberto Savinio, Vita dell’uomo: Signorina da marito, 1951
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Giorgio Morandi, Natura morta, 1952 Ricordava Galileo: il vero libro della filosofia, il libro della natura, è scritto in caratteri estranei al nostro alfabeto. Questi caratteri sono: triangoli, quadrati, cerchi, sfere, piramidi, coni e altre figure geometriche. Giorgio Morandi, 1957 Intorno ai primi anni Cinquanta del Novecento Giorgio Morandi inaugura una serie nuova di nature morte, tornando a rappresentare oggetti modellati dal chiaroscuro e ancorati al piano d’appoggio attraverso la proiezione delle ombre. Tra le opere di quel periodo si colloca questa Natura morta: un dipinto in cui la figurazione è sviluppata entro un profilo circolare definito, quasi si trattasse di un’apertura alla visione resa ancora più evidente per il fatto di trovarsi al centro di un quadrangolo stabilito dalla forma stessa della tela. Nella produzione artistica di Morandi la focalizzazione ovale o circolare intesa come espediente compositivo appare scelta più frequentemente nella sua opera incisa, mentre risulta meno assidua in quella pittorica. Qui, infatti, se più spesso è esplorata nei dipinti che rappresentano i Fiori, è solitamente restituita da Morandi approssimando i profili dell’immagine con lo sfondo, giustapponendo quindi colori e pennellate per fonderle progressivamente al fondo monocromo della tela in modo da far affiorare l’immagine della figurazione. Nel caso di questa Natura morta del 1952, invece, la resa degli oggetti allestiti nel dipinto appare circoscritta dal profilo netto che la racchiude. Una circonferenza semi perfetta, quasi si trattasse di una lente visiva, magari studiata con una delle mascherine di cartone con cui era solito stringere il campo di un paesaggio. Una finestra circolare sulla natura morta, volta a evidenziare il gioco accurato dei rimandi geometrici istituito nell’interezza del quadro. Un insieme in cui la rotondità delle scatole e dei vasi sul piano richiama la circonferenza centrata nel profilo quadrangolare della tela. Oltre che nel taglio visivo, le relazioni geometriche esemplate in quest’opera sono mostrate nel vaglio e nella disposizione degli oggetti che appaiono allestiti su un piano strategicamente mostrato nel suo profilo angolare. I cinque oggetti che compongono la
Giorgio Morandi, Fiori, (1947)
natura morta risultano quindi selezionati dall’artista sulla base delle forme geometriche che esprimono. In primo piano si trovano infatti due scatole rotonde e in secondo piano i vasi, appena visibili nella parte superiore, in modo da evidenziare con la luce la circolarità dei loro abbocchi, per ottenere infine un equilibrato contraltare alla pienezza delle scatole. A tale costruzione finemente geometrica degli oggetti segue una scelta cromatica altrettanto puntuale, tra i bianchi e gli ocra, alla quale contribuisce come unica eccezione il celeste polveroso di un vaso che non a caso è collocato esattamente al centro della composizione. Fra i pittori antichi, i toscani sono quelli che più mi interessano: Giotto e Masaccio sopra tutti. Dei moderni ritengo Corot, Courbet, Fattori e Cézanne gli eredi più legittimi della gloriosa tradizione italiana. Giorgio Morandi, 1928 Il ricorso alle forme ideali del cerchio e del quadrato nello sviluppo di questo dipinto riallaccia l’opera alla profonda cultura sul Medioevo e sul Rinascimento italiano della quale Morandi si era nutrito nei primi decenni del secolo quando, attraverso le opere di Giotto, Paolo Uccello o Piero della Francesca, avrebbe cercato la “propria via” artistica. È infatti in una sequenza che comprende gli studi all’Accademia bolognese e la sua partecipazione nel 1914 alla prima mostra romana dei Futuristi che, in una breve nota autobiografica, lo stesso Morandi spiega come il carattere dirompente dei diversi movimenti dell’avanguardia italiana lo “portarono”, per converso, “a considerare con quanta sincerità e semplicità operarono i vecchi maestri, che costantemente alla realtà s’ispirarono” e quanto proprio la realtà stessa potesse suscitargli un “profondo fascino poetico” (1928). Pur tuttavia, nonostante il secondo conflitto mondiale avesse di fatto scardinato quel mondo al quale Morandi era appartenuto partecipando ai vivaci dibattiti intorno all’arte italiana, egli continuava a dedicarsi agli stessi temi che lo avevano interessato nei decenni precedenti e, tra questi, la natura morta e i paesaggi. Soggetti “che dai più antichi ai moderni,” – usando le sue stesse parole − “aveva[no] prodotto opere vive e dense di poesia” e che, in uno scenario culturale del tutto diverso, venivano ora celebrati per il senso di sospensione atemporale che potevano suscitare. Le Nature morte colte in quella luce zenitale che sembrava annullare il valore fisico di ciascuno degli oggetti rappresentati e le opere seguite alla fase della guerra trovavano infatti pieno consenso anche negli anni successivi al conflitto. Nonostante la temperie artistica fosse radicalmente cambiata, le sue opere offrivano spunti di riflessione anche rispetto ai dibattiti condotti in quel periodo sulla validità dell’arte astratta in opposizione al valore e agli obbiettivi di quella figurativa. Suo malgrado, per la ritrosia che gli era attribuita da coloro che lo conobbero da vicino e per la distanza rispetto ai termini della discussione, Morandi si trovò indirettamente coinvolto in una querelle artistica che infiammava la stampa di quegli anni.
Paolo di Dono detto Paolo Uccello (attr. a), Studio prospettico di calice
Mascherina di cartone usata da Giorgio Morandi
Ciò nonostante, il ruolo eminente che aveva guadagnato in Italia nei decenni precedenti e il successo internazionale seguito della sua partecipazione con tredici dipinti e alcune acqueforti alla grande mostra sull’arte italiana al MoMa a New York nel 1949, gli permettevano di proseguire indisturbato a lavorare, con la sua proverbiale riservatezza, così come aveva fatto a partire dal 1907 quando si era iscritto a Bologna all’Accademia di Belle Arti. Per ragioni d’arte e di temperamento inclino alla solitudine; ciò non deriva né da vano orgoglio né da mancanza di solidarietà con tutti gli uomini della mia stessa fede. Giorgio Morandi, 1957 Paul Cézanne, Natura morta con mele e pere, 1891-92
Molto era stato scritto sul suo lavoro precedente agli anni Cinquanta, sull’“immobilità degli oggetti prescelti” da Morandi per le sue nature morte e la dimensione poetica che le caratterizzava agli occhi del pubblico. Ma altrettanto interesse avevano suscitato i rapporti mai interrotti della sua pittura con una tradizione che collegava la pittura antica all’opera di Cézanne e agli esiti della pittura dell’avanguardia francese, passando attraverso lo studio della natura morta d’oltralpe e di Rembrandt. Ma dalla metà del secolo scorso in poi, molto ancora avrebbe interessato gli aspetti più intimi della vita dell’artista. Infatti, nel rendere noto il lungo percorso artistico di Giorgio Morandi, alcuni articoli sulla stampa internazionale ne avrebbero svelato i rapporti con i luoghi in cui era giunto a costruire pazientemente ciascuna delle sue opere. Scandagliate attraverso nuovi contributi, le circostanze del suo lavoro, svolto ancora in senso così tradizionale, e alcune interviste rilasciate da Morandi avrebbero condotto a una costruzione un po’ artefatta della figura dell’artista. Il Morandi descritto al pubblico anglofono sarebbe divenuto un ascetico solitario, metodico al limite della monotonia, i cui ritmi risultavano scanditi tra l’insegnamento, la pittura, le passeggiate sotto i portici bolognesi e le frequentazioni di pochi amici. Un’immagine insolitamente distante da quella resa attraverso le valutazioni sullo stesso artista pubblicate prima del conflitto mondiale, quando Giorgio Morandi risultava un interlocutore privilegiato nello scenario artistico contemporaneo e ben poco filtrava rispetto alla sua vita. Pur tuttavia, malgrado i tempi fossero radicalmente cambiati, l’importanza del suo lavoro si imponeva nei principali centri Peppino Gino Mangravite e Giorgio Morandi, 13 luglio 1955
artistici europei, negli Stati Uniti, o in Brasile, dove nel 1957 vinceva il primo premio per la pittura alla quarta Biennale di San Paolo. Nel tentativo di svelare il mistero della modernità di un artista che molto semplicemente affermava di essere rimasto sempre fedele alla propria ricerca artistica scegliendo pochi soggetti per esprimere le infinite possibilità di rappresentarli, in quel periodo le descrizioni della sua figura cominciano a soffermarsi su aspetti meno considerati fino ad allora. Al suo profilo di artista negli anni si sarebbero infine aggiunte note sulla modestia delle stanze che componevano l’appartamento condiviso da Morandi con le sorelle in via Fondazza a Bologna, sulla camera da letto usata di giorno come atelier, e poi le descrizioni degli strumenti della sua pittura, i colori e i pennelli, ma soprattutto i vasi, le bottiglie, le scatole usate per decenni nelle sue nature morte, i fogli annotati con l’esatta posizione di ognuno di essi. Insomma un vero e proprio laboratorio creativo conchiuso, conservato tuttora nella sua casa museo a Bologna, dove, con gli stessi mezzi degli antichi maestri che tanto ammirava, Giorgio Morandi ha realizzato opere che sono ancora d’ispirazione per gli artisti del terzo millennio.
Il tavolo di lavoro di Giorgio Morandi
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Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Natura morta, 1952 Olio su tela, cm. 40x45 Firma in basso al centro: Morandi. Al verso sulla tela: etichetta con n. 5765 e timbro Galleria Annunciata, Milano; sul telaio: timbro ed etichetta con n. 6609 Galleria del Milione, Milano: etichetta Morandi. Exposición Antológica / Museo Thyssen-Bornemisza. Madrid 1.5-5.9.99, con n. 51: etichetta Giorgio Morandi / Mostra del Centenario / Bologna / Galleria Comunale / d’Arte Moderna / 12.V - 2IX / 1990. Storia Galleria del Milione, Milano; Collezione De Chiara, Milano; Collezione Giacosa, Milano; Galleria Annunciata, Milano; Collezione Raugei, Forte dei Marmi; Galleria La Colonna, Firenze; Collezione Parigi, Firenze; Collezione privata Esposizioni Morandi, Milano, Galleria Annunciata, 15 giugno - 10 luglio 1971, cat. p. n.n., illustrato; Giorgio Morandi 1890-1990. Mostra del Centenario, a cura di Marilena Pasquali, Bologna, Galleria comunale d’arte moderna “Giorgio Morandi”, 12 maggio - 2 settembre 1990, cat. pp. 195, 411, n. 129, illustrato a colori;
Giorgio Morandi
Giorgio Morandi. La grande stagione della natura morta, Milano, Duomo Arte e Cultura, 1993, cat. pp. 36, 37, illustrato a colori; Morandi. Exposición Antológica, Madrid, Museo ThyssenBornemisza, 1 maggio - 5 settembre 1999; Giorgio Morandi. Arte e Poesia, Bologna, Galleria Marescalchi, 2001, cat. pp. 128, 129, n. 27, illustrato a colori; Giorgio Morandi. Dipinti 1922 - 1964, a cura di Marilena Pasquali, Palermo, Palazzo Sclafani, 3 maggio - 16 giugno 2002, cat. pp. 98, 99, illustrato a colori; Giorgio Morandi. Pittore di luce e di silenzio, 50 dipinti dal 1919 al 1963, Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 2 aprile - 31 maggio 2011, cat. n. 35, illustrato a colori. Bibliografia Lamberto Vitali, Morandi. Catalogo generale, volume secondo, 1948-1964, Electa Editrice, Milano, 1977, n. 821; Lamberto Vitali, Morandi. Catalogo generale, volume secondo, 1948-1964, seconda edizione, Electa Editrice, Milano, 1983, n. 821. L'opera è accompagnata da autocertificazione per l'esportazione. Stima E 800.000 / 1.200.000
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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Bozzetto di manifesto pubblicitario per L’Ambrosiano Sera, 1923 ca. Tempera, tempera diluita e matita su carta applicata su tela, cm. 65x46 Firma in basso a destra: Sironi. Al verso sul telaio: etichetta e due timbri, di cui uno con n. 2408 e n. 388, Galleria Cadario, Milano. Storia Galleria Cadario, Milano; Collezione privata, Firenze, Collezione privata Certificato su foto di Willy Macchiati, ottobre 1985; opera archiviata presso l’Associazione per il Patrocinio e la Promozione della Figura e dell’Opera di Mario Sironi, Milano, 2 novembre 2021, al n. 193/21 RA. Stima E 20.000 / 30.000
Mario Sironi, Manifesto per L’Ambrosiano, anni Venti
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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Composizione ocra, 1955-57 Olio su tela, cm. 91x111 Firma in basso a destra: Sironi. Storia Eredi Sironi, Roma; Collezione privata Esposizioni Mario Sironi, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 19 marzo - 30 aprile 1972, cat. n. 65; Sironi. Gli anni della solitudine, a cura di Vittorio Sgarbi, Roma, Palazzo Valentini, Piccole Terme Traianee, 10 maggio 20 luglio 2003, poi Conegliano, Palazzo Sarcinelli, 1 novembre 2003 - 1 febbraio 2004, cat. p. 203, n. 81;
Mario Sironi. Natura Mito e Poesia, a cura di Mariastella Margozzi, Aosta, Museo Archeologico Regionale, 16 giugno 24 settembre 2006, cat. pp. 110, 171, n. 9; Sironi. Mito e modernità, a cura di Romana Sironi e Mariastella Margozzi, Brindisi, Palazzo Granafei-Nervagna, 13 febbraio 2 maggio 2010. Stima E 50.000 / 70.000
Il pittore delle grandi pareti, del far grande, dei messaggi alle masse, negli ultimi suoi anni si ripiega su se stesso ma sceglie ancora superfici superiori a quelle convenzionali. Su uno sfondo ocra-brunastro, i suoi colori preferiti, appaiono come ricordi svaniti nel tempo e nel divenire delle cose piccole figure, accenni di montagne, edifici evanescenti. Nel 1951 Sironi scriveva: “La mia pittura, queste tavole di una legge ignota” ed ecco comparire, come fantasmi della memoria, immagini ormai scheletrite che sembrano nostalgicamente affondare nel mare del colore, quasi all’insaputa dell’artista stesso. È una esperienza nuova che, come diceva Pica nel ‘54-’55, è rimasta tipica di questo maestro. Romana Sironi
Mario Sironi nello studio
Mario Sironi negli anni Quaranta
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Giorgio de Chirico nello studio
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Lampo, 1969 Olio su cartone applicato su tavola, cm. 39,8x49,6 Firma in basso a destra: G. de Chirico. Storia Collezione Giorgio e Isa de Chirico, Roma; Collezione privata Bibliografia Claudio Bruni Sakraischik, Catalogo Generale Giorgio de Chirico, volume quinto, opere dal 1951 al 1974, Electa Editrice, Milano, 1974, n. 731 (con supporto errato). Stima E 40.000 / 50.000
Peter Paul Rubens, Ritratto equestre del Duca di Buckingham
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Venezia - Ponte di Rialto, metà anni Cinquanta Olio su tela, cm. 50x60 Firma in basso a destra: G. de Chirico; dichiarazione di autenticità al verso sulla tela: Questa “Venezia” (Ponte di / Rialto) è opera autentica / da me eseguita e firmata / Giorgio de Chirico: etichetta La Famiglia de Chirico / I geni della pittura / De Chirico - Savinio / Mumi, Museo Michetti / Palazzo San Domenico / Francavilla al Mare (Chieti). Storia Collezione privata, Roma; Collezione privata Foto autenticata dall’artista con dichiarazione dell’Avv. Tito Staderini, Roma, 9 gennaio 1959; certificato su foto Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna, Milano, 15 maggio 2000, con n. di repertorio 3513/00/M; certificato su foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, 23 giugno 2005, con n. 0058/06/05. Esposizioni La famiglia de Chirico. I geni della pittura. Giorgio de Chirico, Alberto Savinio e Ruggero Savinio, Francavilla al Mare, Museo Michetti, Palazzo San Domenico, 24 giugno - 24 settembre 2006, cat. pp. 68, 118, n. 10, illustrato a colori; Ardengo Soffici. Giornate di paesaggio, 50 opere a cinquant’anni dalla scomparsa e 15 paesaggi di pittori italiani, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Scuderie Medicee, Museo Soffici e del ‘900 italiano, 26 aprile - 27 luglio 2014, cat. p. 115, illustrato a colori. Bibliografia Giorgio de Chirico. Catalogo generale, vol. 2/2015, opere dal 1910 al 1975, Maretti Editore, Falciano, 2015, p. 283, n. 730. Stima E 220.000 / 280.000
Francesco Guardi, Il Ponte di Rialto a Venezia, 1780 ca. Parigi, Louvre
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Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia, inizio anni Cinquanta Il pensiero metafisico di Giorgio de Chirico inizia a delinearsi tra il 1909 e il 1910, e trae origine dallo studio di opere poetiche, letterarie e filosofiche, in cui egli ricerca insiemi di parole o espressioni che per il loro valore sonoro o rappresentativo possano suggerire nuove ispirazioni e dare origine, per associazione, a immagini logicamente svincolate dal testo originale ma che mantengano con esso una relazione di analogia. Il processo mentale che porta per intuizione a questi insoliti accostamenti di parole e visioni, divenuti ormai segni, genera un forte senso di stupore che sorprende e apre prospettive sconosciute permettendo di superare il senso comune delle cose e di comprendere sensazioni fino a quel momento inspiegabili. Questo fenomeno, che de Chirico chiama rivelazione, può avvenire anche osservando gli oggetti o gli edifici in momenti di intensa concentrazione, palesandosi all’improvviso agli occhi dell’artista che, dopo meditate riflessioni, trasferisce le impressioni di questo momento sulla tela attraverso inconsueti e sorprendenti accostamenti tra immagini immediatamente riconoscibili evocando lo spaesamento che si prova davanti ai misteri e scardinando ogni certezza del reale. La rivelazione è per de Chirico un enigma inspiegabile, per questo inizialmente le opere vengono chiamate “enigmi”, come la rappresentazione della prima intuizione derivata da un’ispirazione letteraria, L’énigme de l’oracle, 1909, tela che segna la nascita della poetica metafisica. De Chirico inizia ad accorgersi “che vi è una gran quantità di cose strane, sconosciute, solitarie” e ad avere le prime rivelazioni dopo aver letto le opere di Nietzsche, da lui definito “il poeta più profondo che ci sia”, capace di cogliere gli aspetti più insignificanti e insoliti delle cose e di reinterpretarli utilizzando un linguaggio ricco di segni che abbandona la logica, sviluppando un non-senso che può essere tramutato in arte. In Ecce Homo, 1988, nel paragrafo dedicato a Zarathustra, il filosofo spiega l’esperienza della rivelazione: “Qualcosa che, subitaneamente, con indicibile sicurezza e sottigliezza, si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo. […] Un pensiero brilla come un lampo, con necessità, senza esitazioni nella forma”. Per de Chirico solo una rivelazione può generare un’opera d’arte immortale e riflette sul “principio di rivelazione in pittura” ispirato dal pensiero di Schopenhauer che, in Parerga e Paralipomena, 1851, spiega un momento simile: “Per avere idee originali, straordinarie e forse anche immortali, non si deve far altro che isolarsi dal mondo per pochi momenti in modo così completo che gli avvenimenti più comuni sembrino essere nuovi e insoliti e rivelino in tal modo la loro vera essenza”. Nelle opere realizzate tra il 1910 e il 1914, de Chirico riflette sulla metafisica dell’architettura italiana e, ispirato dai palazzi, dalle strade e dalle piazze, elabora in questi anni una delle sue più geniali invenzioni compositive: la piazza d’Italia. L’estetica metafisica trova fondamento nell’architettura, come spiega il pittore: “Noi conosciamo i segni dell’alfabeto metafisico sappiamo quali gioie e quali dolori si racchiudono entro un portico, l’angolo di una strada […] I limiti di questi segni costituiscono per noi una specie di codice morale ed estetico delle rappresentazioni e per di più noi, con la chiaroveggenza, costruiamo in pittura una nuova psicologia metafisica delle cose […] L’impiego minuziosamente accurato e prudentemente pesato delle superfici e dei volumi costituisce canoni di estetica metafisica”; e la piazza è per il pittore un “fenomeno inerente di ogni profonda manifestazione d’arte” (Sull’arte metafisica, in Valori Plastici, 1919). Il tema della piazza d’Italia nasce tra il 1911 e il 1912, quando de Chirico si reca per la prima volta a Torino e rimane affasciato, come era già accaduto a Nietzsche, dall’infinita poesia che pervade la città, tranquilla e ordinata, e dagli enigmi che sembrano celare le vie dritte affiancate da portici: “Queste arcate danno l’impressione che la città sia stata costruita per le dissertazioni filosofiche, per il raccoglimento e la meditazione. A Torino tutto è apparizione. Si sbocca su una piazza e ci si trova di fronte un uomo di pietra […] Tutta la nostalgia dell’infinito si rileva a noi dietro la precisione geometrica di una piazza” (G. de Chirico, in P. Baldacci, Giorgio de Chirico 1888-1919. La metafisica, Milano, 1997, pp. 127, 128). In Piazza d’Italia, inizio anni Cinquanta, de Chirico, come di consueto accade nelle sue opere, attinge dalla propria memoria visiva e reinterpreta con nuovo entusiasmo i segni e i simboli tipici di questo tema, utilizzando un insieme di “astuzie e sciccherie da vecchio routier della sorpresa metafisica”. In questa tela al centro dell’immagine c’è il mito con la scultura ellenistica di Arianna addormentata, soggetto che appare Giorgio de Chirico, L’énigme de l’oracle, 1909
Giorgio de Chirico, La lassitude de l’infini, 1912
per la prima volta nel 1912 in La lassitude de l’infini, raffigurata nel momento in cui, abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso, cade in un sonno profondo. Arianna è l’anima privata della logica e del raziocinio, identificati con Teseo, che attende l’evento inaspettato, l’arrivo di Dioniso, dio dei misteri terreni, che la condurrà alla scoperta degli aspetti irrazionali e misteriosi oltre le forme del reale: l’interpretazione del mito è così capovolta e il filo di Arianna adesso conduce dentro al labirinto dell’inconscio. La mesta figura della principessa, simbolo della malinconia, rappresentata in uno stato di sonno e di attesa accentua l’atmosfera sospesa dell’enigma, dando l’impressione che qualcosa di nuovo debba accadere e che altri segni debbano entrare in scena. Due imponenti edifici, che ricordano i portici dell’Hofgarten a Monaco di Baviera, inquadrano la piazza in uno spazio pervaso da un profondo silenzio dove ogni cosa, spogliata del suo divenire storico e tramutata in segno o simbolo, appare sospesa in uno luogo senza tempo, lontano dal reale, in cui il passato e il futuro sono solo suggestioni temporali suscitate dal passaggio netto dall’ombra alla luce. Le architetture, definite con linee sintetiche, evocano plasticamente idee, sensazioni e ricordi e i portici, per de Chirico eminentemente metafisici, lasciano intuire l’esistenza di misteri nascosti, come spiega Weininger: “L’arco di cerchio, come ornamento, può essere bello: esso non significa la perfetta completezza […]. Nell’arco vi è ancora qualcosa di incompiuto, che ha bisogno ed è capace di compimento; esso lascia ancora presentire” (O. Weininger, in G. de Chirico, Sull’arte metafisica, Valori Plastici, 1919). Il muro all’orizzonte dietro al quale passa un treno, metafora del viaggio dello spirito umano tra gli enigmi dell’esistenza, suggerisce, come la piccola finestra dentro al portico, la presenza di una realtà ulteriore e nascosta, che possono vedere solo rari individui in momenti di astrazione metafisica, in cui si trovano “i misteri che stanno oltre la vita […] le rischiose avventure della mente. Al di qua di esso, invece, in mezzo al rebus delle ombre […] si materializza il turbamento degli uomini attenti alle voci dei presagi e curiosi del mistero che sta oltre il limite dell’universo visibile, segnato dal muro” (P. Baldacci, cit., p. 119). Le piazze d’Italia sono rivelazioni poetiche che riescono a toccare il senso profondo delle cose e, come spiega Briganti, sono rappresentazioni di malinconie e meditazioni, “nostalgiche scenografie di sfuggenti spazi deserti, nel vuoto di favole e mitologie senza tempo, nell’assenza della vita e nel silenzio, nel fascino immaginato di un clima sentimentale che non ha riscontro nella realtà ma solo nella memoria”. In queste piazze, inondate di silenzio, spiega ancora Briganti, rivive il mito “ad un livello completamente diverso, affonda più profondamente e morbidamente le radici nell’ignoto […] Malinconia, nostalgia, sogno, meditazione, incertezza: è […] alla evanescente tonalità di questi sentimenti di sospensione che si abbandona l’artista […]. L’angoscia è assente. Perché l’enigma che de Chirico ama […] rimanda solo a se stesso. È l’enigma dell’enigma. È il mito dell’enigma. È funzione scenica e mistero” (G. Briganti, in De Chirico, Marsilio-Electa, 2019, pp. 23, 24). Elisa Morello Giorgio de Chirico con Ezio Gribaudo a Torino
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Piazza d’Italia, inizio anni Cinquanta Olio su tela, cm. 50x40 Firma in basso al centro verso sinistra: G. de Chirico; dichiarazione d’autenticità al verso sulla tela: questa pittura / metafisica è opera / autentica da me / eseguita e firmata / In fede / Giorgio de Chirico. Certificato su foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, 28 gennaio 2021, con n. 002/01/21 OT. Stima E 200.000 / 280.000
Giorgio de Chirico nello studio
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Ugo Attardi Sori (Ge) 1923 - Roma 2006
Pesaggio con ponte, 1959 Olio su tela, cm. 55x90 Firma e data in basso a sinistra: Attardi 959. Stima E 3.500 / 5.500
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Bruno Cassinari Piacenza 1912 - Milano 1992
Natura morta, 1960 Olio su tela, cm. 54x81 Firma e data in basso a destra: Cassinari / 60. Storia Collezione Bassi, Milano; Collezione privata, Milano; Collezione privata Bibliografia Marco Rosci, Cassinari. Catalogo generale dei dipinti volume primo, opere 1930-1961, Electa, Milano, 1998, p. 305, n. 1960 10. 567
Stima E 9.000 / 14.000
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Mario Tozzi Fossombrone (PU) 1895 - St. Jean du Gard 1979
Figura e dado, 1970 Olio su tela, cm. 55x46,2 Firma e data in basso a destra: Mario / Tozzi / 970; dichiarazione di autenticità al verso sulla tela: È stato dipinto da me / Mario Tozzi / Suna 10-12-970. Storia Collezione privata, Genova; Collezione privata
Certificato su foto Archivio Generale delle Opere di Mario Tozzi, Foiano, con n. 221. Bibliografia Marilena Pasquali, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Mario Tozzi, volume secondo, Giorgio Mondadori, Milano, 1988, p. 275, n. 70/118. Stima E 20.000 / 30.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Studio per La discussione Inchiostro e acquerello su carta, cm. 51x73 Firma in basso al centro: Guttuso. Stima E 6.000 / 9.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Composizione di figure, 1963 Tecnica mista e collage su carta applicata su tela, cm. 70,5x99 Firma e data in basso a destra: Guttuso ‘63. Al verso sul telaio: timbro Vinciana Galleria d’Arte, Milano. Storia Collezione Farnesi, Pisa; Collezione privata Certificato con foto Fabiani Arte, Montecatini Terme.
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Stima E 10.000 / 16.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Esposizioni Guttuso, Milano, Galleria La Colonna, 4 - 17 dicembre 1952.
Nudo, 1952 Olio su carta intelata, cm. 119x76,7 Firma e data in alto a sinistra: Guttuso / ‘52. Storia Galleria Forlai, Firenze; Collezione privata
Bibliografia La Patria, Milano, 23 dicembre 1952; Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, vol. 1, Giorgio Mondadori, Milano, 1983, p. 270, n. 52/53. Stima E 18.000 / 25.000
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Mario Mafai Roma 1902 - 1965
Paesaggio romano, 1957 Olio su tela, cm. 61,5x64,5 Firma e data in basso a destra: Mafai 57. Al verso sulla tela: etichetta e timbro Galleria Annunciata, Milano. Storia Collezione Catanzaro, Roma; Collezione privata Bibliografia Raffaele De Grada, La pittura di Mafai, Editrice Tevere, Roma, 1969, tav. XX. Stima E 30.000 / 40.000
Veduta di Roma
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Renato Guttuso, Natura morta, 1969 La realtà comincia quando un artista si pone di fronte al mondo, all’oggetto, quando questo appare all’artista, quando l’artista si scontra con l’oggetto per conoscerlo. Renato Guttuso Le nature morte rappresentano una tematica essenziale della produzione di Guttuso. Tale tematica alla fine degli anni Trenta e all’inizio degli anni Quaranta espresse, in particolare, l’impegno dell’artista nel testimoniare la drammatica condizione esistenziale imposta dalla dittatura e dalla tragedia della guerra. In seguito essa rivelò il crescente interesse dell’artista nei confronti della sintesi Pablo Picasso, Nature Morte au citron, à l’orange et au verre, 1944 post-cubista picassiana, che esprimeva il suo impegno nel recupero della cultura artistica europea. A partire dagli anni Sessanta si arriva infine ad una nuova fase, che denota una sfera più meditativa, derivante dall’elaborazione dei temi del Realismo e dell’Informale. La pittura realista e impegnata aveva in ogni sua rappresentazione un ruolo fondamentale: l’artista si appropriava di soggetti esplicitamente civili, così come di oggetti d’uso comune, per poi restituirli sulla tela carichi di una loro forma, direzione e di un impegno etico nei confronti del presente. Tramite la scelta di questi elementi Guttuso mette in atto una vera e propria polemica contro la “gerarchia del contenuto”. In questo modo gli oggetti silenziosi scelti, caratterizzati da forme ampie e colori squillanti, attraverso la loro potenza espressiva e la forza cromatica diventano protagonisti indiscussi, acquisendo una propria e singolare dignità. Nella sequenza di quadri simbolici dipinta nel 1966 che illustrava vari momenti della sua vita e che egli stesso chiamò “Autobiografia’’, Guttuso si guarda intorno divorando gli aspetti quotidiani del reale con la volontà di testimoniare le proprie idee al massimo dell’intensità concessa dall’uso e dal contrasto del segno; diventa un uomo ormai giunto alla piena maturità che si ferma un momento per volgersi indietro, sostituendo la meditazione alla partecipazione, un’emozione privata e segreta, più sommessa e struggente rispetto all’emozione collettiva, urlante e violenta. Così come nuovo e differente era il tipo d’amore per le cose rappresentate, nuova e diversa diventa la malinconia dietro di esse. ‘’L’indifferenza suscitata dai semplici oggetti si trasforma in qualcosa che può essere pensato, immaginato, come dotato di una pluralità di sensi, capace di emanare propri significati […]. Guttuso dipingendo quelle cose è in grado di farci percepire l’aura che hanno acquisito, la forza con cui riflettono le conversazioni, […] mescolandosi a irripetibili atmosfere (Fabio Carapezza Guttuso, Le parole, i luoghi, le cose, in Guttuso. La forza delle cose, Skira, 2016). Guttuso allo stesso tempo non abbandonerà mai il suo credo della pittura come figurazione. Figure, cose oggetti: tutto può essere nuovo, ed è nuovo solo se ne Renato Guttuso, Natura morta con lampada, 1940
si rispetta l’oggettività. Alla fine degli anni Sessanta si rende conto che la pittura per la pittura, ovvero il cosiddetto formalismo, è giunto alla fine, e con esso il misticismo dei valori pittorici. Come dichiarerà nell’agosto del 1967 in un’intervista per L’Europeo: “È finita la concezione impressionistica che fa capo a Cézanne, insomma tutta una pittura che è stata grande, bella, importante, di cui siamo nutriti e di cui l’informale è stato l’ultimo estenuato erede” […] Tutto ciò conta ormai come cultura, ma non incide più direttamente nella nostra ricerca”. La nascita della Pop Art come conseguenza è per l’artista il sintomo di una situazione nuova, che stabilisce una comunicazione più immediata, che smitizza la pittura e si riconcilia con la vita. Ma anche se i mezzi sono destinati a cambiare nella rappresentazione della realtà, la materia resta intatta. La sua nuova oggettività si realizza attraverso la scoperta di continue “minime modificazioni” Paul Cézanne, Natura morta con tenda e brocca a fiori, 1895 ca. dell’immagine stessa, partecipe della realtà umana e sociale con la quale egli si pone in dialogo. Per fare questo è necessario uscire dalle vecchie categorie di “soggetto” e “oggetto” contrapposti, e tenere presente che ‘’l’artista è egli stesso parte della realtà e, in uno con essa, costruisce forza di modificazione’’ […]. Guttuso raggiunge così una ‘’piena consapevolezza dei propri mezzi di pittore nella capacità di una sfida figurativa, […] non più legata ad una contingenza ideologica difensiva, né ad una affermazione motivazionale esistenziale. […] Diviene semplicemente conscio della propria capacità d’autonomia della costruzione pittorica dell’immagine quale realtà di una figurazione retoricamente costruita, che sfida nella sua organizzata struttura comunicativa la stessa iconosfera quotidiana’’ (Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, Vol. 3, G. Mondadori, Milano, 1985, p. XXIV). Rispetto alle avanguardie nuove e vecchie entro le quali ritiene di potersi inserire, afferma una propria singolare modalità di organizzata costituzione dell’immagine, attraverso la strutturazione di una retorica comunicativa. Diverse nature morte di questo periodo vengono esposte nell’importante personale del pittore alla Galleria La Nuova Pesa, a Roma, nel marzo del 1969. In occasione della mostra, organizzata attorno ai nuclei tematici del suo lavoro del 1967 e del 1968 viene anche presentata Natura morta, 1969, presente nel nostro catalogo. Questa mostra, dal carattere documentario importante, mette dunque in scena i diversi temi del lavoro di Guttuso di quegli ultimi anni. Le rare opere che dipinge nello stesso 1969, unitamente alla nostra qui presente in asta, verranno esposte alla personale del novembre-dicembre a Brema da Michael Hertz e nella personale a due con Carlo Levi alla Galleria Medea di Cortina d’Ampezzo nell’anno successivo. In questi lavori si manifesta una minor tensione propositiva delle singole immagini e una più complessa organizzazione di macchina scenica, evidente in particolare nelle più articolate composizioni di oggetti in accenni d’interni (libri, telefono, mappamondo, barattoli di colore, insieme a più domestiche macchine per il caffè, fornelli elettrici, bicchieri, piatti o attrezzi da lavoro, sega, martello, in allusivo rapporto con la falce). Costanza Costanzo Renato Guttuso, Natura morta con fornello elettrico (Tramonto e fornello elettrico), 1961
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Natura morta, 1969 Olio su tela, cm. 117,2x146,8, ovale Firma in basso a destra: Guttuso; firma e data al verso sulla tela: Guttuso / ‘69. Storia Galleria Forlai, Firenze; Collezione privata Bibliografia Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, vol. 3, Giorgio Mondadori, Milano, 1985, p. 112, n. 69/18. Stima E 70.000 / 90.000
Renato Guttuso mentre dipinge una natura morta di peperoni
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
La casa dell’Alderighi (Berna), (1963) Olio su cartone telato, cm. 35x50 Firma in basso a sinistra: Soffici; dichiarazione d’autenticità e firma al verso: Autentica / opera di mia / mano / Ardengo Soffici / Confermo / A. Soffici: etichetta e tre timbri Galleria D’Arte Ballerini, Prato.
Esposizioni 100 Opere di Ardengo Soffici, Prato, Galleria Farsetti, 19 ottobre - 18 novembre 1969, cat. p. 55, tav. CXVIII, illustrato. Stima E 9.000 / 14.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Corte al tramonto, (1939) Olio su tela, cm. 72x48 Firma e data in basso a sinistra: Soffici [39]; numero e titolo al verso sulla tela: 15 / Corte al tramonto; sul telaio: etichetta XXV Biennale Internazionale d’Arte / di Venezia - 1950, con n. 235: etichetta Ente Autonomo “La Biennale” - Venezia / Mostra d’Arte Italiana Contemporanea / Catania - Palermo
- gennaio - febbraio 1949: etichetta Gruppo artistico “Leonardo” / Opere di Pittori Italiani Contemporanei / Cremona 3 - 13 marzo 1954; sulla cornice: etichetta XXIV Biennale Internazionale d’Arte / di Venezia - 1948, con n. 77. Storia Collezione S. Marzini, Milano; Collezione Paolo Stramezzi, Crema; Collezione privata, Milano; Collezione privata Esposizioni Mostra d’Arte Italiana Contemporanea,
a cura dell’Ente Autonomo La Biennale di Venezia, Catania e Palermo, gennaio febbraio 1949; Opere di Pittori Italiani Contemporanei, Gruppo Artistico Leonardo, Cremona, 3 - 13 marzo 1954. Bibliografia Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1967, p. 94, n. 361, tav. LXVIII. Stima E 14.000 / 20.000
Filippo de Pisis, Vaso di fiori, 1930 Le mie nature morte ancora prima di un valore pittorico e costruttivo ne debbono avere per me uno lirico ed interiore. Filippo de Pisis, Confessione, L’Arte, Torino, 1931
La stagione parigina (1925-1939) è uno dei periodi più felici e floridi di de Pisis. Non è tuttavia semplice individuare con precisione quale ruolo abbiano avuto gli artisti viventi e operanti in quegli anni, e quali tra questi abbiano avuto un’influenza decisiva sull’artista ferrarese. Emblematica è forse la risposta di de Pisis a Pierre Lagarde in un’intervista del 1927: “J’aime les peintres modernes. J’aime Segonzac. J’aime la couleur. J’aime votre cravate…”. Giuliano Briganti ha individuato il senso dell’esperienza parigina di de Pisis in “un intenso, appassionato innamoramento collettivo per tutte le occasioni che la città generosamente gli offriva, dai musei alle gallerie dei mercanti, una spinta vitale a procurarsi quell’incontro con la bonne peinture, madre meravigliosa dei colori; un incontro che non richiedeva viaggi, […] ma che poteva verificarsi ogni giorno, fragrante, splendente, suscitatore di vita, davanti alla galleria di un gallerista o a una parete del Louvre. È uno straordinario trasporto d’amore per la bonne peinture, ovunque essa si trovi, che traspare da ogni pagina di quegli scritti, uno slancio verso quello che in essa vive e respira nell’aria e nella luce, e che i sensi acuti colgono come intenso e sensuale lirismo” (G. Briganti, De Pisis, Parigi e la “bonne peinteur”, in De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, Mazzotta, Milano, 1987, p. 16). Nei primi anni del suo soggiorno parigino il linguaggio di de Pisis rivela una formazione complessa che, attraverso la conoscenza di Tiziano, Delacroix, Guardi e altri maestri del passato, sa superare la posizione impressionista, riconducendo l’arte alla mediazione culturale incanalandola infine nell’intensità dell’atto creativo. Dunque, anche in virtù dei rapporti mantenuti sia con l’Italia, nelle figure di Carrà e della Sarfatti, che con gli italiani a Parigi, come de Chirico, Savinio, Severini, Tozzi e Campigli, de Pisis ha saputo rappresentare un personale ritorno all’ordine che viene certamente influenzato dal gusto francese, ma che resta comunque ancorato alla tradizione italiana. Tra il 1925 e il 1933 i lavori en plein air delle vedute di Parigi testimoniano la nuova evoluzione del linguaggio. In dipinti come Le Quai Voltaire (1928) la “viva concretezza pittorica […] diventa più concitata, essenziale nei tocchi, a volte con ironia vaga, in chiave lirica. La luce […] si muove con […] una libertà che elude ogni descrizione e porta la facoltà emotiva, tesa a un’espressività che già tende a diventare autonoma” (G. Ballo, De Pisis, Torino, 1968, pp. 190-91). Negli stessi anni il linguaggio delle vedute è riscontrabile anche nelle nature morte dell’artista ferrarese. Qui il fascino delle vedute suggestive della metropoli è lasciato fuori dal balcone della casa-studio di Rue Servadori 7 (vicino a Saint-Sulpice) dove de Pisis, che ha già una lunga esperienza compositiva, soppesa la bonne peinture “con un controllo che ci riporta al museo, in cui il risultato lirico nasce di là dai pregi del soggetto stesso” (G. Ballo, De Pisis, cit., p. 193). Nelle nature morte di questo periodo il colore, assumendo timbri tattili, diviene sostanza corporea di luce, mentre gli spazi chiudono la composizione in un ritmo serrato ma allo stesso tempo dinamico ed equilibrato. Filippo de Pisis, La coupole (Quai Voltaire, Le Quai Voltaire), 1928
Esempi di questo linguaggio sono Natura morta con il Capriccio di Goya (1925) e Natura morta con quadro di El Greco (1926), dove il motivo del quadro nel quadro è una cifra stilistica che è particolarmente presente nei lavori della stagione parigina. “Un tema proposto sempre con l’intenzione di […] sottintendere che l’arte è cosa mentale e la pittura finzione che si rinnova. Anche quando non ritrae quadri propri, ma di altri autori, il fine non cambia: anche in queste circostanze, inscenando il proprio teatro delle meraviglie, de Pisis, vuole infatti significare che la pittura nasce dalla pittura e vive nella pittura” (P.G. Castagnoli, Apertura su de Pisis, in Filippo de Pisis, GAM, Torino, 2005, p. 16). Il dipinto che qui proponiamo, Vaso di fiori (1930), è una natura morta inserita nella sala personale che la Biennale di Venezia del 1956 dedicò a de Pisis, scomparso a Milano lo stesso anno. Lo spazio è quello austero della casa-studio dove la composizione trova posto su una stufa in ghisa, le cui forme nette, che fanno sentire il richiamo degli spazi in contrappunto, sono contrastate dall’armoniosa e ineluttabile tragicità del mazzo di fiori che sembra quasi cancellare la canna fumaria. La complessa Filippo de Pisis, Natura morta con il Capriccio di Goya (Natura morta col composizione floreale lascia trasparire l’attenzione piumino), 1925 dell’artista-botanico che sceglie meticolosamente ogni fiore e collocazione ricercandone, come si è detto, la liricità. Una margherita e bianchi fiori di alisso sono sovrastati da campanule e giacinti, mentre le violette al centro dialogano con le viole poste nel bicchiere di vetro. Nella parte sinistra del mazzo si trovano dei fiori secchi e appassiti che sottolineano il tema dell’effimero ed evidenziano il dialogo tra Eros e Thanatos all’interno della composizione. È dunque evidente in de Pisis “una personale attitudine alla costruzione dell’immagine pittorica che nell’intento di ridare nuova vita mediante la pittura ne evidenzia al tempo stesso l’intrinseca tragicità” (P. Campiglio, Le voyage di de Pisis, in De Pisis en voyage. Roma, Parigi, Londra, Milano, Venezia, Silvana Editore, Cinisello Balsamo, 2013, p. 33). La continua ricerca di un suo incontro con l’anima delle cose, è tradotta da de Pisis in un entusiasmo che accoglie ogni piccola occasione che possa essere analizzata attraverso la sua pittura. È proprio sull’onda di questo entusiasmo che, alla vista di un quadro di Renoir in una vetrina di una galleria di Saint-Germain des Prés, de Pisis scrive: “ma per far onore al cher maître […] val forse meglio mettere dei bei fiori nel vaso […]: un mazzetto di questi narcisi doppi di un giallo zafferano dall’odore acuto, disperato annuncio di primavera, questo tulipe, quest’altro di un viola tenue, quest’altro di un rosa diciamo pure Renoir, questo giacinto bianco quasi incolore ancora, con le dolci campanule ripiegate come testoline timorose, verso il gambo di un tenero verde. Ci pare di vedere il volto del cher maître, tenero, amaro, vergato di piccole rughe, aprirsi ad un sorriso, ed alzare la mano storpiata dall’artrite, a salutare” (Filippo de Pisis, Pensieri su Renoir, in L’Italia letteraria, Roma, 31 luglio 1932). Federico Guidetti Filippo de Pisis, Natura morta con il quadro di El Greco, 1926
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Vaso di fiori, 1930 Olio su tela, cm. 80x62,5 Firma e data in basso a destra: De Pisis / 30. Al verso sul telaio: due timbri Galleria Tega / Milano. Storia Collezione Jesi, Milano; Collezione Cocchi, Milano; Collezione privata Esposizioni XXVIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1956, cat. p. 72, sala XIII, n. 20; Filippo de Pisis, Pittura primo Amore, a cura di Luigi Cavallo, Milano, Farsettiarte, Galleria Tega, 23 marzo - 8 maggio 2010, cat. pp. 114-115, n. 33, illustrato a colori. Bibliografia Guido Ballo, De Pisis, Edizioni Ilte, Torino, 1968, p. 186, n. 243; Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo primo, opere 1908-1938, con la collaborazione di D. De Angelis, Electa, Milano, 1991, p. 240, n. 1930 70. Stima E 90.000 / 130.000
Filippo de Pisis nello studio di rue Servandoni, Parigi, 1932
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Alberto Magnelli Firenze 1888 - Meudon 1971
Femme au bas noir, 1924-28 Olio su tela, cm. 75x100 Al verso sulla tela: Magnelli / Donna alle calze nere. Certificato su foto di Susi Magnelli, Meudon, 25-12-87. Esposizioni Artisti toscani a Parigi tra le due guerre, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 28 dicembre 2006 7 gennaio 2007, poi Milano, Farsettiarte, 17 gennaio 17 febbraio 2007, cat. n. 16, illustrato a colori. Bibliografia Anne Maisonnier, Alberto Magnelli. L’oeuvre peint, catalogue raisonné, XXe siècle, Parigi, 1975, p. 84, n. 223; Marco Fagioli, Passages nell’arte del Novecento. Da Degas a Dubuffet, Aión, Firenze, 2009, p. 192. L’opera sarà inserita nel catalogo ragionato dei dipinti di Alberto Magnelli, di prossima pubblicazione, a cura di Daniel Abadie, Éditions Hazan. Stima E 35.000 / 50.000
Alberto Magnelli fotografato da Hans Hartung
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Quattro dipinti di Ottone Rosai
Lavoro nella tranquillità di chi sa di essere sulla strada che porta a quel certo paese chiamato l’irraggiungibile. Ottone Rosai, Via Toscanella, 1930
La sequenza delle opere di Ottone Rosai qui riunite ha il pregio di restituire l’insieme dei temi che hanno costellato l’intera opera dell’artista. Pittore, letterato e mirabile disegnatore, il fiorentino Rosai ha saputo inserirsi nel più ampio quadro espressionista europeo attraversando le diverse stagioni dell’arte italiana quale vivace interprete dei dibattiti che hanno animato la prima metà del secolo scorso. Dal paesaggio raffigurato in Paese sull’Arno alla rappresentazione della vita rurale della Toscana degli anni Trenta nella Mascalcia, questa serie di dipinti presenta anche un prezioso confronto tra due temi apparentemente contrastanti nell’opera di Rosai come quello della vita del popolo nell’Interno d’osteria, e un’opera che invece rappresenta le gerarchie politiche del tempo come nel caso dell’incontro tra Benito Mussolini e Gabriele D’Annunzio, restituito nella tela intitolata l’Incontro a Gardone. Un’opera, quest’ultima, rimasta a lungo nello studio fiorentino del pittore in via San Leonardo, dove il critico Alessandro Parronchi la ricorda per aver avuto il privilegio di vederla quando era ancora di proprietà dell’artista, reputandola “motivo di intimo diletto”. Ottone Rosai era nato allo scadere dell’Ottocento in uno dei quartieri più poveri della città di Firenze, com’era allora San Frediano. Dopo aver compiuto i primi passi nella bottega del padre, alla sua formazione artistica contribuirono gli anni di studio all’Istituto d’Arte e presso l’Accademia di Belle Arti, dove rimase fino al 1913, e poi la vivacità culturale della città di Firenze che gli fornì gli strumenti per avvicinarsi, ancora adolescente, al Futurismo. È infatti un anno prima dello scoppio del conflitto mondiale che Ottone Rosai espone una decina di dipinti e due sculture in una saletta a breve distanza dal luogo dove si teneva l’esposizione futurista degli artisti vicini alla rivista militante Lacerba. In una nota autobiografica stilata molti anni dopo egli avrebbe spiegato che il favore riscosso in occasione di quella mostra gli valse l’invito ad entrare a far parte del movimento futurista. Ancora giovanissimo, sotto l’egida di Ardengo Soffici, pittore Ottone Rosai, Dinamismo Bar San Marco, 1914
e scrittore di successo, poco dopo Rosai avrebbe infatti raccolto la richiesta partecipando all’Esposizione libera futurista internazionale a Roma presso la Galleria Sprovieri. Le quattro opere presentate, tra cui Dinamismo Bar San Marco, sarebbero rimaste a testimonianza di una sua entusiasta quanto breve adesione al movimento fondato da Filippo Tommaso Marinetti. In questa prima fase Ottone Rosai andava studiando le direzioni e le possibilità che la temperie futurista riconosceva all’opera di Paul Cézanne e a quella del Doganiere Rousseau, ampliando tali ricerche per sperimentare le scomposizioni cubo-futuriste e la tecnica del collage attraverso le esperienze di Braque e Picasso apprendendola attraverso le immagini e i testi pubblicati sulle riviste del tempo. Ma la viva partecipazione a quella stagione così feconda per l’arte Ottone Rosai in divisa da ardito, 1918 ca. italiana fu bruscamente interrotta dallo scoppio del primo conflitto mondiale. Il volontario arruolamento del giovane Rosai e la drammatica esperienza sul campo di battaglia al confine italoaustriaco, nei pressi di Gorizia, dove si distinse per le eroiche prodezze, ne avrebbero indirizzato i temi pittorici verso una vena “disadorna e spietata”, come la definisce la Corti, di cui sono testimonianza i dipinti presentati nel primo dopoguerra e il suo primo sforzo narrativo ne Il libro di un teppista del 1919. Alla fine del 1920 la grafica mordente che accompagnava gli scritti di Rosai, nella forma di interventi resi alle stampe nei periodici militanti dell’epoca, così come il ricchissimo corpus dei disegni e il catalogo dei suoi dipinti, presentava già il fondamento di un repertorio tematico che distinguerà la sua opera per i decenni a venire. Un repertorio iconografico caratterizzato da “figure umili e oscure fra le vecchie case di via Toscanella o delle altre viuzze piazzette d’oltrarno, le mura umide e screpolate di via della Chiesa e di piazza del Carmine” che lo scrittore Aldo Palazzeschi, suo amico fin dai tempi di Lacerba, riconosceva come “colme e riboccanti di luce e di gioia”. Quei lavori sembravano dar corpo al clima seguito alla drammatica esperienza della Prima Guerra Mondiale e avrebbero fatto parte della sua prima e importante esposizione tenuta a Palazzo Capponi a Firenze nel 1920. Una mostra voluta e sostenuta da Ardengo Soffici che, a partire dall’inizio del Novecento, aveva guadagnato un ruolo primario nei destini dell’arte italiana e che avrebbe fornito un’introduzione importante alle opere di Rosai nel catalogo che accompagnava l’esposizione. Ottone Rosai, Giocatori di toppa, 1920
James Ensor, L’intrigo, 1890, Anversa, Museo Reale delle Belle Arti
Tra quelle opere allestite nelle stanze di Palazzo Capponi figuravano già la Partita a briscola o i più celebri Giocatori di toppa celebrati da Soffici per “la spontaneità di visione” sulla realtà popolare e per “la profondità del linguaggio pittorico” che Rosai avrebbe maturato traendo una “schiettezza e sincerità” cromatica e un particolare vigore plastico nella figurazione studiando la tradizione giottesca e il primo Rinascimento (A. Soffici, 1920). I paesaggi toscani e le prime originali composizioni di figure in un interno dimostravano che egli aveva già messo a punto una linea di ricerca propria, svincolata dall’essenzialità geometrica del Cubismo che invece interessava altri tra coloro che come lui erano usciti dall’esperienza futurista. Una linea d’analisi che Rosai sviluppava in sintonia con quel ritorno alla classicità che negli anni Venti era teorizzato e promosso sulle pagine di una nuova rivista, intitolata Valori Plastici, fondata dal critico e artista Mario Broglio. Pur tuttavia, nel rapporto più aderente e disincantato alla realtà degli ultimi di cui erano espressione opere come Via Toscanella, Rosai riusciva a innestare l’apertura alla cultura espressionista europea con la necessità di “entrare sempre più a contatto con le forme più dirette della vita” a cui Carlo Carrà aveva fatto riferimento prima del conflitto mondiale. L’“arte diretta, antiaccademica, antitogata, antimbecille, degli anonimi plebei” che nel 1914 aveva invocato Carrà in un contributo dal titolo Vita moderna e arte popolare, sembrava ancora risuonare nell’opera di Rosai che, nel frattempo, aveva rivolto le proprie attenzioni ad artisti come il tedesco George Grosz o il visionario belga James Ensor, sviluppando, anche per loro tramite, la propria versione degli scorci di vita nel quartiere più povero della città. Le versioni caricate dell’umanità presente nelle opere di quegli artisti avrebbero contribuito ai “volti beffardi” che popolano opere di Rosai come l’Interno d’osteria del 1927. Mentre le note sulla pittura francese fornite da Soffici e lo studio attento sulla pittura antica − dagli affreschi di Giotto, al Trecento senese, fino a Masaccio − gli aveva consentito di acquisire la volumetria “schietta” che per esempio è ravvisabile nel Paese sull’Arno e cromie smaglianti come quelle che interessano l’Interno d’osteria e La stalla (Mascalcia). Le due opere, databili nel biennio tra 1927 e il 1928, furono realizzate nel periodo in cui Ottone Rosai riprese a dipingere più assiduamente dopo che la morte del padre e i problemi finanziari che erano seguiti l’avevano costretto a tornare a occuparsi della bottega di famiglia in via Toscanella. Il suo ritorno alla pittura e il successo che seguì nel decennio successivo corrisposero a una più insistita ricerca sulla tecnica dell’incisione, a una nuova serie di dipinti realizzati lontano da Firenze, e alla partecipazione alla prima mostra fiorentina del gruppo di artisti vicini alla rivista Il Selvaggio di Mino Maccari. In questi tardi anni Venti la dimensione primitiva e vernacolare espressa da Ottone Rosai narratore, disegnatore e pittore, la sua comunanza con la poesia di Dino Campana e i testi critici graffianti prodotti durante la guerra assumevano una portata innovativa per le generazioni più giovani. Inoltre, il mondo al quale Rosai faceva riferimento attraverso la pittura ne faceva un antesignano dell’immagine ideale e antica della tradizione toscana inneggiata sulle pagine di un periodico come Il Selvaggio, fondato a Colle Val d’Elsa nel 1924.
Una volta trasferitosi a Firenze, lo stesso periodico aveva raccolto collaboratori di ampio spessore come Curzio Malaparte o Giovanni Papini e dava spazio al movimento in difesa della tradizione rurale e popolare italiana che prendeva il nome di “Strapaese” opponendosi, anche in chiave satirica, alla sprovincializzazione e alla modernità propugnate invece dai sostenitori di “Stracittà”. Tra le opere di Ottone Rosai pubblicate sulla rivista avrebbero trovato spazio tecniche e temi nuovi per l’artista, come i disegni dedicati al lavoro degli artigiani e le sue prime prove di incisione a puntasecca. La prima pagina de Il Selvaggio del 30 luglio 1927 presenta infatti Lo stallaggio, un’incisione pubblicata in calce, che trova una stretta connessione con il dipinto intitolato Mascalcia qui presentato di cui costituisce la replica esatta, seppure in controparte. Quest’opera, ritenuta da Luca Mansueto un “primo stato” di stampa, per i “segni più decisi e scuri” e “le ombreggiature”, “il fondo nero del locale creato con l’infittirsi delle linee che non seguono un ordine predeterminato” (2016), doveva rivestire una particolare importanza per l’artista. Rosai, infatti, ne avrebbe poi tratto sette esemplari firmati e datati come parte di una serie dedicata alla vita contadina. Sebbene opere come Mascalcia abbiano avuto origine nel periodo in cui la propaganda fascista promuoveva soggetti legati alla celebrazione del mondo dell’agricoltura, l’interpretazione del mondo rurale da parte di Ottone Rosai appare sviluppata su un piano poetico e atemporale, in cui la rappresentazione del paesaggio toscano si attaglia alla sua immagine agreste e “primitiva” piuttosto che agli intenti dichiaratamente politici che il regime cercava di sostenere in pittura. È un registro che, al di là della biografia politica dell’artista, riconosce alla sua pittura una capacità di indagine e svelamento critico pari a quella di un maestro che Rosai aveva largamente studiato, come Goya, e che forse può essere spiegata in un quadro come l’Incontro Mussolini - D’Annunzio (Incontro a Gardone) del 1933. In quell’anno Ottone Rosai aveva infatti finalmente cessato l’attività di mobiliere e abbandonato la bottega in via Toscanella per trasferire il suo studio in via Villamagna, in una casa che era anticamente adibita a dazio. Il ritrovato contatto con la natura aveva alimentato nuove ispirazioni e quegli stessi personaggi messi a punto anni prima nei vicoli più umili di Firenze fra il Carmine, Santo Spirito, San Frediano, venivano trasposti da Rosai su formati di maggiori dimensioni, assumendo carattere monumentale. Rosai poteva ora dedicarsi interamente alla pittura e nell’ambito di questo rinnovato vigore creativo avrebbero trovato spazio temi nuovi, anche politici, composti e sviluppati attraverso le fotografie, come appunto avrebbe fatto per elaborare l’Incontro Mussolini D’Annunzio (Incontro a Gardone). Il dipinto, insieme all’Adunata e il Ritratto di Mussolini, fu esibito a Milano, nel corso di una personale nel dicembre del 1933 per poi essere conservato nello studio di Ottone Rosai in via San Leonardo a Firenze. Qui erano tenuti “in un angolo della cucina, al pianterreno”, celati dallo sguardo del pubblico forse perché più di altri, vista la data, testimoniavano al più alto grado la dissacrante energia della pittura dell’artista. Possedeva un vero “talento caricaturale”, come spiegava Carlo Carrà fin dal 1922: “vero dono che lo studio può accrescere ma non può creare”.
Il Selvaggio del 30 luglio 1927
Francisco Goya y Lucientes, Están Calients, da Los Caprichos, n. 13
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
La stalla (Mascalcia), 1927-28 Olio su cartone telato, cm. 26x40,6 Firma in basso a destra: O. Rosai; al verso: etichetta Eredità Rosai, con firme degli eredi e data 30/5/1957. Storia Collezione S. Favini, Firenze; Collezione Oreste Rosai, Firenze; Collezione Bruno Rosai, Firenze; Collezione G. Mugnai Rosai, Firenze; Collezione privata, Firenze; Collezione privata Esposizioni Rosai. Umanità: pittura e segno, a cura di Luigi Cavallo, collaborazione di Giovanni Faccenda, Arezzo, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Sala Sant’Ignazio e Palazzo Chianini Vincenzi, 9 novembre 2001 - 20 gennaio 2002, cat. pp. 74, 75, 244, n. 21 (opera datata 1922); Ottone Rosai. Dalla stagione futurista agli anni maturi, a cura di Stefano De Rosa, Fiesole, Palazzina Mangani, 10 aprile 4 maggio 2003, cat. p. [22] (opera datata 1922);
Ottone Rosai, Lo stallaggio, puntasecca, 1927
Ottone Rosai. Dalla stagione futurista agli anni maturi, Luzzara, Museo Nazionale delle Arti Naïves «Cesare Zavattini» 23 maggio - 4 luglio 2003, cat. p. 21 e quarta di copertina (opera datata 1922); Lo stupore nello sguardo. La fortuna di Rousseau in Italia / da Soffici e Carrà a Breveglieri, a cura di Elena Pontiggia, Milano, Fondazione Stelline, 24 marzo - 1 giugno 2011, cat. p. 131, n. 26. Bibliografia Michelangelo Masciotta, Ottone Rosai, Edizioni Parenti, Firenze, 1940, tav. XIV (opera datata 1928); Pier Carlo Santini, Rosai, Vallecchi Editore, Firenze, 1960, p. 164, n. 238, tav. 238 (opera datata 1922); Giovanni Faccenda, Catalogo Generale Ragionato delle Opere di Ottone Rosai. Primo Volume, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 2018, p. 351, n. 66. Stima E 45.000 / 65.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Interno d’osteria, 1927 ca. Olio su tela, cm. 46x37 Firma in basso a destra: O. Rosai. Al verso sulla tela: etichetta con n. 53 e timbri Raccolta Lizzola, Milano; sul telaio: etichetta Ottone Rosai / Opere dal 1911 al 1957 / Torino - aprile/maggio 1983, con n. 34: etichetta Ministero per i Beni Culturali e Ambientali / Soprintendenza Speciale alla Galleria / Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea / Mostra Ottone Rosai / 20 luglio - 18 settembre 1983. Storia Collezione Perseo Rosai, Trieste; Collezione privata Esposizioni Peintres d’aujourd’hui France-Italie, Torino, 1953, cat. sotto Rosai, n. 7; O. Rosai, Ivrea, Centro Culturale Olivetti, 1957, cat. p. 88, n. 26, illustrato; Mostra dell’opera di Ottone Rosai 1911 - 1957, Firenze,
Ottone Rosai, Figure al caffè, 1927
Palazzo Strozzi, maggio - giugno 1960, cat. n. 90; Ottone Rosai, opere dal 1911 al 1957, a cura di Pier Carlo Santini, Torino, Palazzo Graneri, aprile - maggio 1983, cat. p. 79, n. 34, illustrato; Ottone Rosai, opere dal 1911 al 1957, a cura di Pier Carlo Santini, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 20 luglio 8 settembre 1983, poi Firenze, Palazzo Strozzi, 13 novembre - 18 dicembre 1983, cat. p. 89, n. 38, illustrato. Bibliografia Massimo Bontempelli, Arte Italiana Contemporanea, 1938, tav. 111; Michelangelo Masciotta, Ottone Rosai, Edizioni Parenti, Firenze, 1940, pp. 18, 45, tav. XIII; Pier Carlo Santini, Rosai, Vallecchi Editore, Firenze, 1960, p. 173, n. 115, tav. 115. Stima E 50.000 / 70.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Case sull’Arno, 1932 Olio su tela, cm. 55x70 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / 32; numero e titolo al verso sul telaio: 25 Case sull’Arno: etichetta Centenario della nascita 1895-1995 / Ottone Rosai / Antologica - 200 opere dal 1913 al 1957 / Farsettiarte / Prato - 23 settembre / 22 ottobre 1995 / Cat. n. 56. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Esposizioni Mostra Rosai, Firenze, Galleria di Palazzo Ferroni, 6 - 21 ottobre 1932, presumibilmente n. 25; Inediti di Rosai, testo di Alessandro Parronchi, Firenze, Galleria Pananti, 1983, cat. tav. 5; Ottone Rosai, 200 opere dal 1913 al 1957, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Farsettiarte, 23 settembre - 22 ottobre 1995, poi Milano, Palazzo Reale, 26 ottobre 1995 - 6 gennaio 1996, cat. pp. 120, 295, n. 56, illustrato a colori (con titolo Paese sull'Arno). Stima E 45.000 / 65.000
La trebbiatura negli anni Trenta
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Incontro Mussolini - D’Annunzio (Incontro a Gardone), 1933 Olio su cartone applicato su tavola, cm. 71,5x100 Firma e data in basso a sinistra: O. Rosai / 33. Al verso: scritta 134 / Venezia: numero 80: etichetta notarile con quattro timbri Eredità Rosai: etichetta Accademia degli Euteleti / San Miniato al Tedesco / Mostra / “Come un paese / in una pupilla” / S. Miniato, 7 - 29 novembre 1992: due timbri Accademia degli Euteleti, San Miniato al Tedesco; sulla cornice: etichetta Centenario della nascita 1895-1995 / Ottone Rosai / Antologica - 200 opere dal 1913 al 1957 / Farsettiarte / Prato - 23 settembre / 22 ottobre 1995 / Cat. n. 69. Storia Eredi Rosai, Firenze; Collezione privata, Firenze; Collezione privata Esposizioni Ottone Rosai, prefazione di Alberto Savinio, Milano, Galleria delle Tre Arti, 2 - 16 dicembre 1933, cat. n. 8; Ottone Rosai 1895-1957, testo di A.B. Del Guercio, Firenze, Galleria Forlai, novembre - dicembre 1985, cat. p. n.n., illustrato; Il Novecento toscano, opere dal 1923 al 1933, a cura di Corrado Marsan, Fiesole, Sala dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, 15 - 31 dicembre 1989, cat. p. 43, illustrato; Ottone Rosai. Dipinti e disegni, testo di Tommaso Paloscia, Torino, Galleria Dantesca, 6 - 24 novembre 1990, cat. n. 9, illustrato; Il Novecento in Toscana 1924 - 1934, a cura di Corrado Marsan, Scandicci, Biblioteca Civica M. A. Martini, 3 - 30 marzo 1990, cat. p. 66, illustrato; Come un paese in una pupilla. Paesaggio e figura nell’arte
L’incontro di Benito Mussolini con Gabriele D’Annunzio, 1930 ca.
a Firenze tra le due guerre, a cura di Marco Fagioli, San Miniato, Sala Grande del Conservatorio di Santa Chiara, 7 - 28 novembre 1992, cat. pp. 66, 67, n. 11, illustrato a colori; Ottone Rosai, 200 opere dal 1913 al 1957, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Farsettiarte, 23 settembre - 22 ottobre 1995, poi Milano, Palazzo Reale, 26 ottobre 1995 - 6 gennaio 1996, cat. pp. 133, 300, n. 69, illustrato a colori; Continuità. Arte in Toscana 1990-2000 e collezionismo del contemporaneo in Toscana, a cura di Jean-Christophe Amman, Prato, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, 24 febbraio - 9 giugno 2002, cat. p. 116, n. 51, illustrato; Ottone Rosai. Dalla stagione futurista agli anni maturi, a cura di Stefano De Rosa, Fiesole, Palazzina Mangani, 10 aprile 4 maggio 2003, cat. p. n.n., illustrato; Ottone Rosai. Dalla stagione futurista agli anni maturi, a cura di Stefano De Rosa, Luzzara, Museo Nazionale delle Arti Naïves Cesare Zavattini, 23 maggio - 4 luglio 2004, cat. p. 25, illustrato; Ottone Rosai. Disegni, acquarelli, dipinti, a cura di Luigi Cavallo, Torino, Fògola Galleria Dantesca, 13 marzo - 13 aprile 2008, cat. p. 61, n. 1, illustrato. Bibliografia Omaggio a Ottone Rosai, testo di Alessandro Parronchi, Galleria Dolomiti, Cortina d’Ampezzo, 1968, p. n.n.; Bolaffi. Catalogo dell’arte moderna italiana n. 17, Giorgio Mondadori e associati, Torino, 1981, p. 390; Giovanni Faccenda, Catalogo Generale Ragionato delle Opere di Ottone Rosai. Primo Volume, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 2018, p. 371, n. 101. Stima E 60.000 / 80.000
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Tre opere provenienti dalla Collezione di Ardengo Soffici … il cammino della vera, autentica arte pittorica è uno, quello che porta senza deviazioni né giravolte, dai Greci ai Pompeiani, da Masaccio a Goya, a Degas, a Fattori, su quel cammino diritto tra il passato e il futuro, e che io chiamo della sintesi realistica, intesi di mettermi, anzi di mantenermi, ma camminando più risolutamente, secondo le mie forze. Ardengo Soffici, 1928 Le due bambine che si tengono la mano nel ritratto intitolato con il nome delle figlie, Valeria e Laura, è l’ultimo in termini temporali di una triade di opere di Ardengo Soffici che proviene direttamente dal mondo familiare dell’artista. A questo gruppo appartengono anche una rara xilografia intitolata Piani e linee di una donna che si pettina (dal vero) del 1912 e uno studio a tempera e inchiostro per La potatura databile al 1907. Le tre opere giungono dallo stesso ambiente domestico entro il quale il pittore volle farsi filmare nel 1943 mentre, davanti a un cavalletto immerso nella campagna intorno alla sua casa di Poggio a Caiano, appresta gli ultimi tocchi a un ritratto della moglie che lo osserva affettuosamente insieme alle figlie (Cinque minuti con uno dei più singolari artisti del nostro tempo, Giornale Luce C / C0315, 16/01/1943). A rimanere come uniche costanti sullo sfondo della ricca biografia di Soffici sembrano infatti restare gli affetti, il paese e la campagna di Poggio a Caiano, a cui tornerà sempre nel corso della vita e dove conserverà la casa materna. Lo scultore e critico d’arte Antonio Maraini la ricorda così: “Bianca e dimessa con il rustico garbato delle case coloniche riadattate, ove ti pare ancora di sentire il profumo sano del forno e il mugghio amico della stalla”. Conducendo il lettore con la sua ricostruzione all’atelier dell’artista per scrivere che “Per anditi e scalette si sal[iva] allo studio, ricavato sotto le travature del tetto in locali destinati forse un tempo a granaio. Lì sulle pareti a scialbo qualche tela finita, sui cavalletti qualche altra in lavoro, delle sedie, un palco per i modelli, la tavolozza, tutto come vien viene, senza la più lontana pretesa di un abbellimento” (1928-29). Qui è plausibile immaginare che Ardengo Soffici abbia completato il Ritratto delle figlie, e molti anni prima lo studio per un’opera fondante per l’artista come La potatura, che avrebbe scelto di inserire tra le poche e selezionate tavole che ricapitolavano la sua esperienza pittorica su Valori Plastici nel 1920. Una “scena agreste” che nelle stesse parole di Soffici, ai primi tentativi di una lunga carriera pittorica, avrebbe “ardito” “di vestire” nella “modernità del [suo] realismo” pur traendo ispirazione dall’armonia “dei colori usati nel Chiostro di Santa Maria Novella dal [suo] maestro Paolo Uccello”. I verdi e i bruniti delle Storie di Mosè effettivamente risuonano nel tono marrone e ruggine scelto da Soffici nello studio qui presentato. La spiegazione de La potatura dell’artista appare volta a collegare la sua primissima attività alle radici storico-artistiche della pittura italiana, Giotto o Masaccio, oltre a Paolo Uccello. Oltre a quei “ricordi culturali”, nel dipinto un acuto conoscitore come Matteo Marangoni avrebbe scorto orizzonti più ampi, riportando l’attenzione sul valore dell’esperienza parigina dell’artista nell’aver saputo accostare ne La potatura la tradizione pittorica rinascimentale all’assimilazione della cultura post-impressionista e a quella di “Millet o Gauguin” (Marangoni, 1920). All’apertura del secolo scorso Ardengo Soffici aveva lasciato la provincia fiorentina per raggiungere Parigi dando finalmente seguito al desiderio di dedicarsi alla pittura. Un indirizzo di vita che per motivi economici non aveva potuto soddisfare. Gli anni parigini lo avrebbero trovato intento a collaborare come illustratore a riviste satiriche come Le Rire, Gil Blas, l’Assiette au beurre e Le Frou-Frou partecipando alla vita di Montmartre proprio quando “si fucinavano le sorti dell’arte moderna” (Maraini, 1926-27). I rapporti stretti in quel periodo con le più originali personalità delle avanguardie letterarie e artistiche, tra cui Pablo Picasso, Georges Braque, Rousseau, Medardo Rosso, Apollinaire o Max Jacob, ne avrebbero fatto un mediatore cruciale tra la cultura artistica e letteraria parigina e l’Italia. Un vero e proprio ponte tra le due culture che Soffici contribuisce a costruire a partire dal 1908 quando, sulla rivista Vita d’arte, pubblica il primo articolo italiano dedicato all’opera di Cézanne inaugurando l’intensa attività di teorico e critico che mai interromperà negli anni a venire. Divenuto un divulgatore e generatore di idee, critico d’arte e pittore, unendosi a un grande animatore della cultura fiorentina come Giovanni Papini, nel 1913 Ardengo Soffici fonda la rivista Lacerba. Il programma della pubblicazione esprimeva da parte di entrambi la volontà di svecchiare il panorama artistico coevo aprendo alla cultura internazionale. Stando alla presentazione del primo Fotogramma da Cinque minuti con uno dei più singolari artisti del nostro tempo, Giornale Luce, 1943
numero della rivista, essa si proponeva come “un foglio stonato […] urtante, spiacevole e personale […] uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi” (1913). Il quindicinale inoltre voleva essere uno spazio aperto agli intellettuali francesi e grazie alla diffusione ottenuta e all’importanza dei collaboratori, in un brevissimo lasso di tempo divenne il principale organo di discussione riguardo all’evoluzione italiana del Futurismo. Dopo aver già sostenuto l’opera di Pablo Picasso e i fondamenti teorici del Cubismo, le ricerche sulla scomposizione e ricomposizione dei volumi, Ardengo Soffici giungerà a teorizzare il superamento di quel movimento. Nei numeri iniziali del 1913 dichiara infatti che se “Cubismo è la parola impropria, ma ormai consacrata, con la quale si designa un movimento pittorico col quale s’inizia uno sconvolgimento e una modificazione radicale dei valori correnti dell’estetica moderna” diverrà necessario trovare una via per superarlo. In questo stesso clima in cui Soffici avrebbe individuato nel Futurismo italiano la possibilità di evolvere rispetto al Cubismo, si colloca la xilografia Piani e linee di una donna che si pettina (dal vero). Un’opera che presenta molti punti di contatto con le ricerche di Picasso e Braque e che infatti Soffici sceglie di inserire all’interno della rivista nel novembre del 1913 riconoscendovi il valore esemplificativo delle riflessioni e di quel ‘superamento’ che egli stesso avrebbe trovato fornendo una chiave nuova al movimento fondato da Marinetti anni prima. Penetrando e scomponendo soggetti Ardengo Soffici, La Potatura, (1907) consueti come il paesaggio, oppure la figura in movimento che è colta in Piani e linee di una donna che si pettina (dal vero) ne avrebbe sperimentato la struttura figurativa secondo la plastica cubista, mentre avrebbe teorizzato il raggiungimento di una “pittura pura”, che Soffici riteneva potesse essere perseguita attraverso l’annullamento dell’importanza assegnata al soggetto. La sua adesione al movimento futurista sarebbe avvenuta poco prima che la guerra scompaginasse la vivacità culturale di quel periodo. Nel 1913 infatti Soffici partecipava con nove opere alla prima esposizione di Pittura Futurista a Roma, alla mostra dei Futuristi a Rotterdam e, con ben diciotto dipinti, all’Esposizione di Pittura Futurista a Firenze alla Galleria Gonnelli, tenuta tra il 30 novembre del 1913 e il 15 gennaio 1914 sotto l’egida del gruppo che aveva aderito alle idee propugnate su Lacerba. Stando a Primo Conti: “La mostra era situata alla meglio in un misero quartierino a terreno, […] dove erano esposti i dipinti Elasticità e Materia di Boccioni, Galleria di Milano di Carrà e alcune tele di Russolo, all’andito con Danzatrici di Severini, Forme in velocità di Balla, Scomposizione dei piani di un lume e sintesi della città di Prato di Soffici, all’ultima sala che appariva la più scandalosa per la Tarantella dei pederasti di Soffici che occupava quasi tutta la parete centrale”. Solo poco dopo, ovvero il 28 febbraio 1914, Soffici avrebbe inaugurato nello stesso luogo la sua prima “esposizione-vendita” con una trentina di opere e 318 tra bozzetti, disegni, xilografie, acqueforti, bronzi. Erano mesi fertili e densissimi, sia per l’artista di Poggio a Caiano che per i personaggi dai quali era circondato. Ma il susseguirsi dei contributi letterari, delle esposizioni e dei dibattiti svolti tra Firenze, Milano e Parigi avrebbe subito poco dopo una drammatica battuta d’arresto con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. All’indomani del primo conflitto mondiale il paesaggio toscano e il mondo contadino divengono per Ardengo Soffici la principale fonte di speculazione pittorica e intellettuale e i quadri dedicati a questi temi sono sempre più numerosi. Attraverso i dipinti e nella prosa pubblicata su Il Selvaggio di Mino Maccari e su L’Italiano di Leo Longanesi, organi di diffusione del movimento di Strapaese, Ardengo Soffici articola la propria interpretazione allo stesso tempo nazionalista e regionalista del paesaggio e delle monumentali figure che popolano trasformando il mondo rurale toscano in un vero e proprio “stato d’animo”. È infatti in questo modo che Soffici lo definisce nel volume intitolato Il Periplo dell’arte. Richiamo all’ordine, dato alle stampe non molto prima di eseguire il ritratto delle figlie Valeria e Laura. La rappresentazione della natura storicamente trasformata dalla civiltà ma sempre protagonista inusitata per la sua vitalità e preponderanza rispetto alle costruzioni dell’uomo, coloro che la plasmano, e l’atmosfera domestica e familiare dei ritratti, divengono per Ardengo Soffici un motivo di continuità tra le radici storico-artistiche della pittura italiana e il concetto della toscanità che in quel periodo era invocato dall’indirizzo “della strada che portava a Strapaese” di Mino Maccari. La sua nuova via, densa di un portato critico che ancora conduceva da protagonista sia come romanziere che come teorico dell’arte, trovava espressione nella liricità di opere come le Donne toscane, dove sua moglie posa con la bambina in braccio, così come nello sguardo delle figlie colte in quelle stesse stanze della casa di Poggio a Caiano in cui Soffici aveva già costruito un ponte saldo e articolato tra la cultura italiana e quella internazionale. Ardengo Soffici, Donne toscane, 1924
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Piani e linee di una donna che si pettina (dal vero), 1912 Xilografia, cm. 27,5x22 (lastra) Firma in basso a destra: Ardengo Soffici. Storia Raccolta Soffici, Poggio a Caiano; Collezione privata
Tirata in poche prove di stampa non ben riuscite, non numerate e non tutte firmate. Bibliografia Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1967, p. 89, n. 178, tav. CCCXXIII; Sigfrido Bartolini, Ardengo Soffici. L’opera incisa, Prandi, Reggio Emilia, 1972, p. 151, tav. XXXV. Stima E 2.500 / 3.500
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Studio per La potatura, (1907) Tempera e inchiostro su cartoncino, cm. 65,7x50,5 (cartoncino) Al verso della cornice: etichetta Galleria Marescalchi, Bologna, con n. 29. Storia Raccolta Soffici, Poggio a Caiano; Collezione privata
Esposizioni Ardengo Soffici 1879-1964, mostra per il centenario della nascita, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Azienda Autonoma di Turismo e Galleria Farsetti, maggio giugno 1979, cat. n. 28, illustrato; Soffici immagini e documenti, a cura di Luigi Cavallo, Milano, Galleria Il Castello, gennaio 1980, cat. n. 59, illustrato; Soffici, 1907/2007. Cento anni dal ritorno in Italia, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Scuderie medicee, 29 aprile - 8 luglio 2007, cat. p. 102, illustrato a colori.
Bibliografia Luigi Cavallo, Soffici. Immagini e documenti, Vallecchi, Firenze, 1986, p. 78; Luigi Cavallo, Ardengo Soffici (18791964) giornate di pittura, con un racconto di Leopoldo Paciscopi, catalogo della mostra, Galleria Marescalchi, Bologna, 1987, p. 112, n. 29. Stima E 7.000 / 12.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Valeria e Laura (Ritratto delle due figlie), 1929-30 Olio su carta intelata, cm. 133x94 Firma e data in basso a sinistra: Soffici / 29 30; firma e luogo al verso sulla tela: Ardengo Soffici / Poggio; firma, titolo e data sul telaio: Soffici - Valeria e Laura - 1930: etichetta XIV Quadriennale di Roma / Galleria Nazionale d’Arte Moderna / 9 marzo - 31 maggio 2005. Storia Raccolta Soffici, Poggio a Caiano; Collezione privata Esposizioni Carrà e Soffici, Milano, Belvedere, 1930, cat. tav. 49; I Quadriennale, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1931, cat. n. 2; Ardengo Soffici. L’artista e lo scrittore nella cultura del 900, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 1 - 30 giugno 1975, cat. n. 65, illustrato; Ardengo Soffici. Un percorso d’arte, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 24 settembre - 6 novembre 1994, cat. n. 74, illustrato;
Maria Soffici con in braccio Valeria e la sorella Ines nello studio di Ardengo Soffici, Poggio a Caiano, (1920)
Figura. L’immagine di un secolo, a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Bologna, Galleria Marescalchi, 27 novembre 1999 31 gennaio 2000, cat. pp. 84-85, tav. 29, illustrato; Ardengo Soffici. Un itinerario plastico, a cura di Luigi Cavallo, Milano, Arte Santerasmo Fidia, 26 ottobre - 25 novembre 2000, poi Lerici, Castello, 10 febbraio - 16 aprile 2001, cat. n. 31, illustrato; Ardengo Soffici. Un’arte toscana per l’Europa, a cura di Luigi Cavallo, Firenze, Galleria Pananti, 4 ottobre - 20 novembre 2001, cat. n. 72, illustrato a colori. Bibliografia Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1967, p. 92, n. 315, tav. CCXL (con tecnica errata e titolo Ritratto delle due figlie); C. Vanzetto, Il lato “duro” di Soffici, Vivimilano, 1 novembre 2000, p. 46. Stima E 30.000 / 40.000
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Pietro Annigoni Milano 1910 - Firenze 1988
L’Orto dei Getsemani Tecnica mista su carta applicata su tavola, cm. 60x80 Firma in basso a destra: Pietro Annigoni; dichiarazione di autenticità e dedica al verso: è opera mia / Pietro Annigoni / ad [..] / con viva cordialità / Pietro Annigoni. Stima E 5.000 / 8.000
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Pietro Annigoni Milano 1910 - Firenze 1988
L’incendio, 1937 Tempera grassa su tela, cm. 62x92,5 Monogramma dell’artista e data in basso a destra: XXXVII. Scheda critica di Emanuele Barletti, Museo e Archivio Pietro Annigoni, Firenze, 13-5-2019. Bibliografia Pietro Annigoni, Gonnelli, Firenze, 1945, p. 14, tav. b (particolare, con titolo Bozzetto). Stima E 25.000 / 35.000
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Filippo de Pisis
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Ferrara 1896 - Milano 1956
Alberto Savinio
Natura morta, 1943
Atene 1891 - Roma 1952
Olio su tavola, cm. 27x41
Testa di bambino, (1932) Tempera su tela, cm. 41x33
Firma e data in basso a sinistra: Pisis 43. Storia Sotheby’s, Londra, 24 marzo 2000, lotto n. 22; Collezione privata Opera registrata presso l’Associazione per Filippo de Pisis, Milano, al n. 01141. Stima E 8.000 / 12.000
Firma in alto a sinistra: Savinio. Al verso sul telaio: etichetta Comune di Ferrara Palazzo dei Diamanti / Direzione Gallerie Civiche d’Arte Moderna: etichetta Savinio / Gli anni di Parigi / Dipinti 19271932 / Verona / Galleria Civica d’Arte Moderna Palazzo Forti / Galleria dello Scudo / 9 dicembre 1990 - 10 febbraio 1991 / Opera Esposta.
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Esposizioni XXXIII Esposizione della Società Torinese degli “Amici dell’Arte”, Torino, Palazzo della Società Promotrice delle Belle Arti, ottobre 1932, sala IV, cat. n. 175; Mostra personale, Firenze, Sala d’Arte de «La Nazione», dicembre 1932; Alberto Savinio, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 5 luglio - 5 ottobre 1980, cat. n. 47, illustrata;
Con Savinio, Fiesole, Fondazione Primo Conti, Palazzo Mangani, 7 luglio - 27 settembre 1981, cat. p. 100, illustrata; Savinio, gli anni di Parigi, dipinti 19271932, Verona, Palazzo Forti e Galleria dello Scudo, 9 dicembre 1990 10 febbraio 1991, cat. pp. 326, 327, n. 100, illustrata a colori. Bibliografia Maurizio Fagiolo dell’Arco, Speciale Savinio. Alberto Savinio, guida all’opera,
in Bolaffi, Catalogo Nazionale d’Arte Moderna n. 16, Giorgio Mondadori & Associati, Torino, 1980, p. 224; Pia Vivarelli, Alberto Savinio, dipinti 1927-1952, Electa, Milano, 1991, p. 24; Alberto Savinio, paintings and drawings 1925-1952, Electa, Milano, 1992, p. 24; Pia Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, Electa, Milano, 1996, p. 129, n. 1932 3. Stima E 25.000 / 35.000
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Giuseppe Migneco Messina 1908 - Milano 1997
Autoritratto, anni Settanta Olio su tela, cm. 55,3x46 589 589
Achille Funi Ferrara 1890 - Appiano Gentile (Co) 1972
Dante Alighieri, 1953
Firma in basso a destra: Migneco; dichiarazione di autenticità al verso sulla tela: Questo dipinto / è opera mia / Migneco / Milano, 4 Febbr. 1985. Storia Collezione privata, Forte dei Marmi; Collezione privata
Tecnica mista su carta, cm. 175x75,5 Foto autenticata dall’artista. Firma, data e luogo in basso a destra: Achille Funi / 1953 Busto. Certificato su foto di Nicoletta Colombo, Archivio Achille Funi, Milano, 17.03.2009, con n. P.96.I.33.
Bibliografia Nicola Carlo Luciani, Migneco, catalogo generale volume II, Bonaparte Editrice, Milano, 1990, p. 289, n. 2 (rep. 1852, con dimensioni errate).
Stima E 3.500 / 5.500
Stima E 8.000 / 12.000
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Aligi Sassu Milano 1912 - Pollença 2000
Ciclista, 1934-39 Olio su tela, cm. 75x60 Firma e data in basso a destra: Sassu / 39; firma, data, titolo, scritta e numero al verso sulla tela: Aligi Sassu / 1934 / “Ciclista” / Sassu / al Dott. [...] / questa mia opera degli anni / verdi con amicizia / Aligi Sassu / 12-5-63 / Alessandria / 1114:
etichetta e tre timbri «Galleria La Maggiolina» / Alessandria / Mostra del pittore Aligi Sassu / da 27 aprile al 13 maggio 1963, con n. 2; sul telaio: etichetta Alessandria / Città delle Biciclette: cartiglio Città di Bene Vagienna, Regione Piemonte, Comune di Cuneo, con dati dell’opera. Stima E 9.000 / 13.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Crocifissione, 1946 Olio su cartoncino applicato su tela, cm. 69,5x49 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / 46. Al verso sul telaio: due timbri, di cui uno con n. 1977, Galleria Santacroce, Firenze. Certificato su foto di Luigi Cavallo, Milano, 19 marzo 1994. Stima E 12.000 / 18.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Paese, 1941 Olio su tela, cm. 24,8x35 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / 41; scritta al verso sul telaio: O. Rosai ‘941 XIX / Ottone Rosai “Paese” 1941 XIX. Storia Collezione Gioacchino Contri, Firenze; Collezione privata Stima E 10.000 / 18.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Fiori, 1928-30 Olio su tela, cm. 41x33 Firma in basso a destra: de Pisis. Numero d’archivio al verso sul telaio: 02233. Certificato su foto Associazione per il Patrocinio dell’Opera di Filippo de Pisis, Milano, 15 gennaio 2004, con n. n. 02233. Stima E 25.000 / 35.000
Filippo de Pisis mentre disegna
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Natura morta, 1945 Olio su cartoncino, cm. 33x56 Sigla, firma e data in basso a destra: S.B. / Pisis / 45. Stima E 6.000 / 8.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Crepuscolo autunnale, 1951 Olio su cartone, cm. 33,5x47 Firma e data in basso a sinistra: Soffici 51; al verso: Crepuscolo autunnale / 51: timbro Galerie / Palette / Zürich: etichetta Esposizione / Soffici / - Milano 1952 -: etichetta Arte Contemporanea / Firenze, con n. 16: etichetta Galleria D’Arte Ballerini / Prato. Esposizioni Soffici, Milano, Galleria San Fedele, 23 gennaio - 15 febbraio 1952, cat. n. 48;
Ardengo Soffici. Giornate di paesaggio, 50 opere a cinquant’anni dalla scomparsa e 15 paesaggi di pittori italiani, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Scuderie Medicee, Museo Soffici e del ‘900 italiano, 26 aprile - 27 luglio 2014, cat. p. 89, illustrato a colori; Soffici e Carena, etica e natura, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, 29 ottobre 2019 11 gennaio 2020, cat. p. 85, illustrato a colori. Bibliografia 100 Opere di Ardengo Soffici, Edizioni Galleria Farsetti, Prato, 1969, tav. XCVI. Stima E 9.000 / 12.000
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Xavier Bueno Vera de Bidesoa 1915 - Fiesole (Fi) 1979
La notte, 1966 Olio e tecnica mista su tela, cm. 160x215 Firma sul lato sinistro: Xavier Bueno; firma, titolo e data al verso sulla tela: Xavier Bueno / “La notte” / 1966. Bibliografia Mario De Micheli, Xavier Bueno, Il Candelaio Edizioni, Firenze, 1976, p. n.n.; Catalogo Generale delle opere di Xavier Bueno, secondo volume (1930 - 1979), Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 1999, pp. 109, 125, n. 321. Stima E 30.000 / 40.000
Xavier Bueno nel suo studio
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Antonio Bueno Berlino 1918 - Fiesole (Fi) 1984
Suonatrici, 1966 Olio su faesite, cm. 60x80 Firma in alto a destra: A. Bueno. Storia Collezione privata, Firenze; Collezione privata Certificato su foto di Isabella Bueno, Fiesole, 7 maggio 2014, con n. AB 015/014. Bibliografia Maria Isabella Bueno, Giovanni Faccenda, Catalogo generale delle opere di Antonio Bueno, terzo volume, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 2017, p. 70, n. 624. Stima E 15.000 / 25.000
Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Concerto, 1597, New York, Metropolitan Museum
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INDICE
A Annigoni P. 585, 586 Attardi U. 566 B Baldessari R. 529, 530, 533, 534, 535 Balla G. 537, 539, 540 Bueno A. 598 Bueno X. 597 C Camoin C. 551 Campigli M. 523, 524, 525 Casorati F. 547 Cassinari B. 567 D De Chirico G. 520, 558, 563, 564, 565 De Pisis F. 576, 587, 594, 595 Depero F. 531, 532 Derain A. 505 Diulgheroff N. 552 Dix O. 503 F Funi A. 589
M Mafai M. 572 Magnelli A. 542, 543, 577 Manzù G. 548, 549 Marini M. 515, 516 Migneco G. 590 Miró J. 556 Modigliani A. 521, 522 Morandi G. 517, 518, 519, 560 P Paresce R. 527, 528 Pomodoro A. 546 R Rosai O. 506, 507, 508, 509, 510, 511, 512, 513, 514, 578, 579, 580, 581, 592, 593 S Sassu A. 591 Savinio A. 559, 588 Severini G. 526, 541 Sironi M. 561, 562 Soffici A. 536, 538, 574, 575, 582, 583, 584, 596 Soldati A. 544 Sutherland G. 553, 554
G Giacometti A. 502 Grosz G. 504 Guidi V. 550 Guttuso R. 569, 570, 571, 573
T Tozzi M. 568
K Klee P. 555
V Vedova E. 545
L Léger F. 557
U Utrillo M. 501
REGOLAMENTO Articolo 1 I soci si impegnano a garantire serietà, competenza e trasparenza sia a chi affida loro le opere d’arte, sia a chi le acquista. Articolo 2 Al momento dell’accettazione di opere d’arte da inserire in asta i soci si impegnano a compiere tutte le ricerche e gli studi necessari, per una corretta comprensione e valutazione di queste opere. Articolo 3 I soci si impegnano a comunicare ai mandanti con la massima chiarezza le condizioni di vendita, in particolare l’importo complessivo delle commissioni e tutte le spese a cui potrebbero andare incontro. Articolo 4 I soci si impegnano a curare con la massima precisione i cataloghi di vendita, corredando i lotti proposti con schede complete e, per i lotti più importanti, con riproduzioni fedeli. I soci si impegnano a pubblicare le proprie condizioni di vendita su tutti i cataloghi. Articolo 5 I soci si impegnano a comunicare ai possibili acquirenti tutte le informazioni necessarie per meglio giudicare e valutare il loro eventuale acquisto e si impegnano a fornire loro tutta l’assistenza possibile dopo l’acquisto. I soci rilasciano, a richiesta dell’acquirente, un certicato su fotografia dei lotti acquistati. I soci si impegnano affinché i dati contenuti nella fattura corrispondano esattamente a quanto indicato nel catalogo di vendita, salvo correggere gli eventuali refusi o errori del catalogo stesso. I soci si impegnano a rendere pubblici i listini delle aggiudicazioni. Articolo 6 I soci si impegnano alla collaborazione con le istituzioni pubbliche per la conservazione del patrimonio culturale italiano e per la tutela da furti e falsificazioni. Articolo 7 I soci si impegnano ad una concorrenza leale, nel pieno rispetto delle leggi e dell’etica professionale. Ciascun socio, pur operando nel proprio interesse personale e secondo i propri metodi di lavoro si impegna a salvaguardare gli interessi generali della categoria e a difenderne l’onore e la rispettabilità. Articolo 8 La violazione di quanto stabilito dal presente regolamento comporterà per i soci l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 20 dello Statuto ANCA.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE CASE D’ASTE AMBROSIANA CASA D’ASTE DI A. POLESCHI Via Sant’Agnese 18 – 20123 Milano – Tel. 02 89459708 – Fax 02 40703717 www.ambrosianacasadaste.com – info@ambrosianacasadaste.com ANSUINI 1860 ASTE Viale Bruno Buozzi 107 – 00197 Roma- Tel. 06 45683960 – Fax 06 45683961 www.ansuiniaste.com – info@ansuiniaste.com BERTOLAMI FINE ART Piazza Lovatelli 1 – 00186 Roma – Tel. 06 32609795 – 06 3218464 – Fax 06 3230610 www.bertolamifineart.com – info@bertolamifineart.com BLINDARTE CASA D’ASTE Via Caio Duilio 10 – 80125 Napoli – Tel. 081 2395261 – Fax 081 5935042 www.blindarte.com – info@blindarte.com CAMBI CASA D’ASTE Castello Mackenzie – Mura di S. Bartolomeo 16 – 16122 Genova – Tel. 010 8395029 – Fax 010 879482 www.cambiaste.com – info@cambiaste.com CAPITOLIUM ART Via Carlo Cattaneo 55 – 25121 Brescia – Tel. 030 2072256 – Fax 030 2054269 www.capitoliumart.it – info@capitoliumart.it EURANTICO S.P. Sant’Eutizio 18 – 01039 Vignanello VT – Tel. 0761 755675 – Fax 0761 755676 www.eurantico.com – info@eurantico.com FABIANI ARTE Via Guglielmo Marconi 44 – 51016 Montecatini Terme PT – Tel. 0572 910502 www.fabianiarte.com – info@fabianiarte.com FARSETTIARTE Viale della Repubblica (area Museo Pecci) – 59100 Prato – Tel. 0574 572400 – Fax 0574 574132 www.farsettiarte.it – info@farsettiarte.it FIDESARTE ITALIA Via Padre Giuliani 7 (angolo Via Einaudi) – 30174 Mestre VE – Tel. 041 950354 – Fax 041 950539 www.fidesarte.com – info@fidesarte.com FINARTE S.p.A. Via Paolo Sarpi 8 – 20154 Milano – Tel. 02 36569100 – Fax 02 36569109 www.finarte.it – info@finarte.it LIBRERIA ANTIQUARIA GONNELLI - CASA D’ASTE Piazza D'Azeglio 13 – 50121 - Firenze – Tel. 055 268279 – Fax 0039 0552396812 www.gonnelli.it – info@gonnelli.it INTERNATIONAL ART SALE Via G. Puccini 3 – 20121 Milano – Tel. 02 40042385 – Fax 02 36748551 www.internationalartsale.it – info@internationalartsale.it MAISON BIBELOT CASA D’ASTE Corso Italia 6 – 50123 Firenze – Tel. 055 295089 – Fax 055 295139 www.maisonbibelot.com – segreteria@maisonbibelot.com STUDIO D’ARTE MARTINI Borgo Pietro Wuhrer 125 – 25123 Brescia – Tel. 030 2425709 – Fax 030 2475196 www.martiniarte.it – info@martiniarte.it MEETING ART CASA D’ASTE Corso Adda 7 – 13100 Vercelli – Tel. 0161 2291 – Fax 0161 229327-8 www.meetingart.it – info@meetingart.it PANDOLFINI CASA D’ASTE Borgo degli Albizi 26 – 50122 Firenze – Tel. 055 2340888-9 – Fax 055 244343 www.pandolfini.com info@pandolfini.it SANT’AGOSTINO Corso Tassoni 56 – 10144 Torino – Tel. 011 4377770 – Fax 011 4377577 www.santagostinoaste.it – info@santagostinoaste.it
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Per partecipare all’asta per corrispondenza o telefonicamente allegare fotocopia di un documento di identità valido, senza il quale non sarà accettata l’offerta. I partecipanti che non sono già clienti di Farsettiarte dovranno fornire i riferimenti del proprio Istituto Bancario di appoggio, per gli eventuali pagamenti Io sottoscritto .................................................................................................................... C.F .................................................................... abitante a ................................................................................................................................................. Prov. ........................................... Via ............................................................................................................................................................ Cap ........................................... Tel. .................................................................................................................................... Fax ................................................................... E-mail ............................................................................................................................................................................................................ Recapito telefonico durante l’asta (solo per offerte telefoniche): ........................................................................................................ ....................................................................................................................................................................................................................... Con la presente intendo partecipare alla vostre aste del 4 Dicembre 2021. Dichiaro di aver letto e di accettare le condizioni di vendita riportate nel catalogo di quest’asta e riportate a tergo del presente modulo, intendo concorrere fino ad un importo massimo come sotto descritto, oltre ai diritti d’asta: NOME DELL’AUTORE O DELL’OGGETTO
N.ro lotto
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A norma dell’art. 22 del D.P.R. 26/10/1972 n. 633, l’emissione della fattura da parte della nostra casa d’asta non è obbligatoria se non è richiesta espressamente dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione.
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CONDIZIONI DI VENDITA 1) La partecipazione all’asta è consentita solo alle persone munite di regolare paletta per l’offerta che viene consegnata al momento della registrazione. Compilando e sottoscrivendo il modulo di registrazione e di attribuzione della paletta, l’acquirente accetta e conferma le “condizioni di vendita” riportate nel catalogo. Ciascuna offerta s’intenderà maggiorativa del 10% rispetto a quella precedente, tuttavia il banditore potrà accettare anche offerte con un aumento minore.
2) Gli oggetti saranno aggiudicati dal banditore al migliore offerente, salvi
i limiti di riserva di cui al successivo punto 12. Qualora dovessero sorgere contestazioni su chi abbia diritto all’aggiudicazione, il banditore è facoltizzato a riaprire l’incanto sulla base dell’ultima offerta che ha determinato l’insorgere della contestazione, salvo le diverse, ed insindacabili, determinazioni del Direttore della vendita. È facoltà del Direttore della vendita accettare offerte trasmesse per telefono o con altro mezzo. Queste offerte, se ritenute accettabili, verranno di volta in volta rese note in sala. In caso di parità prevarrà l’offerta effettuata dalla persona presente in sala; nel caso che giungessero, per telefono o con altro mezzo, più offerte di pari importo per uno stesso lotto, verrà preferita quella pervenuta per prima, secondo quanto verrà insindacabilmente accertato dal Direttore della vendita. Le offerte telefoniche saranno accettate solo per i lotti con un prezzo di stima iniziale superiore a 500 €. La Farsettiarte non potrà essere ritenuta in alcun modo responsabile per il mancato riscontro di offerte scritte e telefoniche, o per errori e omissioni relativamente alle stesse non imputabili a sua negligenza. La Farsettiarte declina ogni responsabilità in caso di mancato contatto telefonico con il potenziale acquirente.
3) Il Direttore della vendita potrà variare l’ordine previsto nel catalogo
ed avrà facoltà di riunire in lotti più oggetti o di dividerli anche se nel catalogo sono stati presentati in lotti unici. La Farsettiarte si riserva il diritto di non consentire l’ingresso nei locali di svolgimento dell’asta e la partecipazione all’asta stessa a persone rivelatesi non idonee alla partecipazione all’asta.
4) Prima che inizi ogni tornata d’asta, tutti coloro che vorranno partecipare
saranno tenuti, ai fini della validità di un’eventuale aggiudicazione, a compilare una scheda di partecipazione inserendo i propri dati personali, le referenze bancarie, e la sottoscrizione, per approvazione, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 C.c., di speciali clausole delle condizioni di vendita, in modo che gli stessi mediante l’assegnazione di un numero di riferimento, possano effettuare le offerte validamente.
5) La Casa d’Aste si riserva il diritto di non accettare le offerte effettuate
da acquirenti non conosciuti, a meno che questi non abbiano rilasciato un deposito o una garanzia, preventivamente giudicata valida da Farsettiarte, a intera copertura del valore dei lotti desiderati. L’Aggiudicatario, al momento di provvedere a redigere la scheda per l’ottenimento del numero di partecipazione, dovrà fornire a Farsettiarte referenze bancarie esaustive e comunque controllabili; nel caso in cui vi sia incompletezza o non rispondenza dei dati indicati o inadeguatezza delle coordinate bancarie, salvo tempestiva correzione dell’aggiudicatario, Farsettiarte si riserva il diritto di annullare il contratto di vendita del lotto aggiudicato e di richiedere a ristoro dei danni subiti.
6) Il pagamento del prezzo di aggiudicazione dovrà essere effettuato en-
tro 48 ore dall’aggiudicazione stessa, contestualmente al ritiro dell’opera, per intero. Non saranno accettati pagamenti dilazionati a meno che questi non siano stati concordati espressamente e per iscritto almeno 5 giorni prima dell’asta, restando comunque espressamente inteso e stabilito che il mancato pagamento anche di una sola rata comporterà l’automatica risoluzione dell’accordo di dilazionamento, senza necessità di diffida o messa in mora, e Farsettiarte sarà facoltizzata a pretendere per intero l’importo dovuto o a ritenere risolta l’aggiudicazione per fatto e colpa dell’aggiudicatario. In caso di pagamento dilazionato l’opera o le opere aggiudicate saranno consegnate solo contestualmente al pagamento dell’ultima rata e, dunque, al completamento dei pagamenti.
7) In caso di inadempienza l’aggiudicatario sarà comunque tenuto a corrispondere a Farsettiarte una penale pari al 20% del prezzo di aggiudicazione, salvo il maggior danno. Nella ipotesi di inadempienza la Farsettiarte è facoltizzata: - a recedere dalla vendita trattenendo la somma ricevuta a titolo di caparra; - a ritenere risolto il contratto, trattenendo a titolo di penale quanto versato per caparra, salvo il maggior danno. Farsettiarte è comunque facoltizzata a chiedere l’adempimento.
8) L’acquirente corrisponderà oltre al prezzo di aggiudicazione i seguenti
diritti d’asta: I scaglione da € 0.00 a € 20.000,00 28,00 % II scaglione da € 20.000,01 a € 80.000,00 25,50 % III scaglione da € 80.000,01 a € 200.000,00 23,00 % IV scaglione da € 200.000,01 a € 350.000,00 21,00 % V scaglione oltre € 350.000 20,50 % Diritto di seguito: gli obblighi previsti dal D.lgs. 118 del 13/02/06 in attuazione della Direttiva 2001/84/CE saranno assolti da Farsettiarte.
9) Qualora per una ragione qualsiasi l’acquirente non provveda a ritirare
gli oggetti acquistati e pagati entro il termine indicato dall’Art. 6, sarà tenuto a corrispondere a Farsettiarte un diritto per la custodia e l’assicurazione, proporzionato al valore dell’oggetto. Tuttavia in caso di deperimento, danneggiamento o sottrazione del bene aggiudicato, che non sia stato ritirato nel termine di cui all’Art. 6, la Farsettiarte è esonerata da ogni responsabilità, anche ove non sia intervenuta la costituzione in mora per il ritiro dell’aggiudicatario ed anche nel caso in cui non si sia provveduto alla assicurazione.
10) La consegna all’aggiudicatario avverrà presso la sede della Farsettiarte, o nel diverso luogo dove è avvenuta l’aggiudicazione a scelta della Farsettiarte, sempre a cura ed a spese dell’aggiudicatario.
11) Al fine di consentire la visione e l’esame delle opere oggetto di vendita,
queste verranno esposte prima dell’asta. Chiunque sia interessato potrà così prendere piena, completa ed attenta visione delle loro caratte-
ristiche, del loro stato di conservazione, delle effettive dimensioni, della loro qualità. Conseguentemente l’aggiudicatario non potrà contestare eventuali errori o inesattezze nelle indicazioni contenute nel catalogo d’asta o nelle note illustrative, o eventuali difformità fra l’immagine fotografica e quanto oggetto di esposizione e di vendita, e, quindi, la non corrispondenza (anche se relativa all’anno di esecuzione, ai riferimenti ad eventuali pubblicazioni dell’opera, alla tecnica di esecuzione ed al materiale su cui, o con cui, è realizzata) fra le caratteristiche indicate nel catalogo e quelle effettive dell’oggetto aggiudicato. I lotti posti in asta da Farsettiarte per la vendita vengono venduti nelle condizioni e nello stato di conservazione in cui si trovano; i riferimenti contenuti nelle descrizioni in catalogo non sono peraltro impegnativi o esaustivi; rapporti scritti (condition reports) sullo stato dei lotti sono disponibili su richiesta del cliente e in tal caso integreranno le descrizioni contenute nel catalogo. Qualsiasi descrizione fatta da Farsettiarte è effettuata in buona fede e costituisce mera opinione; pertanto tali descrizioni non possono considerarsi impegnative per la casa d’aste ed esaustive. La Farsettiarte invita i partecipanti all’asta a visionare personalmente ciascun lotto e a richiedere un’apposita perizia al proprio restauratore di fiducia o ad altro esperto professionale prima di presentare un’offerta di acquisto. Verranno forniti condition reports entro e non oltre due giorni precedenti la data dell’asta in oggetto ed assolutamente non dopo di essa.
12) Farsettiarte agisce in qualità di mandataria di coloro che le hanno com-
missionato la vendita degli oggetti offerti in asta; pertanto è tenuta a rispettare i limiti di riserva imposti dai mandanti anche se non noti ai partecipanti all’asta e non potranno farle carico obblighi ulteriori e diversi da quelli connessi al mandato; ogni responsabilità ex artt. 1476 ss cod. civ. rimane in capo al proprietario-committente.
13) Le opere descritte nel presente catalogo sono esattamente attribuite
entro i limiti indicati nelle singole schede. Le attribuzioni relative a oggetti e opere di antiquariato e del XIX secolo riflettono solo l’opinione della Farsettiarte e non possono assumere valore peritale. Ogni contestazione al riguardo dovrà pervenire entro il termine essenziale e perentorio di 8 giorni dall’aggiudicazione, corredata dal parere di un esperto, accettato da Farsettiarte. Trascorso tale termine cessa ogni responsabilità di Farsettiarte. Se il reclamo è fondato, Farsettiarte rimborserà solo la somma effettivamente pagata, esclusa ogni ulteriore richiesta, a qualsiasi titolo.
14) Né Farsettiarte, né, per essa, i suoi dipendenti o addetti o collaboratori, sono responsabili per errori nella descrizione delle opere, né della genuinità o autenticità delle stesse, tenendo presente che essa esprime meri pareri in buona fede e in conformità agli standard di diligenza ragionevolmente attesi da una casa d’aste. Non viene fornita, pertanto al compratore-aggiudicatario, relativamente ai vizi sopramenzionati, alcuna garanzia implicita o esplicita relativamente ai lotti acquistati. Le opere sono vendute con le autentiche dei soggetti accreditati al momento dell’acquisto. Farsettiarte, pertanto, non risponderà in alcun modo e ad alcun titolo nel caso in cui si verifichino cambiamenti dei soggetti accreditati e deputati a rilasciare le autentiche relative alle varie opere. Qualunque contestazione, richiesta danni o azione per inadempienza del contratto di vendita per difetto o non autenticità dell’opera dovrà essere esercitata, a pena di decadenza, entro cinque anni dalla data di vendita, con la restituzione dell’opera accompagnata da una dichiarazione di un esperto accreditato attestante il difetto riscontrato.
15) La Farsettiarte indicherà sia durante l’esposizione che durante l’asta gli
eventuali oggetti notificati dallo Stato a norma del D.lgs del 20.10.2004 (c.d. Codice dei Beni Culturali), l’acquirente sarà tenuto ad osservare tutte le disposizioni legislative vigenti in materia. Tale legge (e successive modifiche) disciplina i termini di esportazione di un’opera dai confini nazionali. Per tutte le opere di artisti non viventi la cui esecuzione risalga a oltre settant’anni dovrà essere richiesto dall’acquirente ai competenti uffici esportazione presso le Soprintendenze un attestato di libera circolazione (esportazione verso paese UE) o una licenza (esportazione verso paesi extra UE). Farsettiarte non assume responsabilità nei confronti dell’acquirente per eventuale diniego al rilascio dell’attestato di libera circolazione o della licenza. Le opere la cui data di esecuzione sia inferiore ai settant’anni possono essere esportate con autocertificazione da fornire agli uffici competenti che ne attesti la data di esecuzione (per le opere infra settanta/ultra cinquant’anni potranno essere eccezionalmente applicate dagli uffici competenti delle restrizioni all’esportazione).
16) Le etichettature, i contrassegni e i bolli presenti sulle opere attestanti la proprietà e gli eventuali passaggi di proprietà delle opere vengono garantiti dalla Farsettiarte come esistenti solamente fino al momento del ritiro dell’opera da parte dell’aggiudicatario.
17) Le opere in temporanea importazione provenienti da paesi extraco-
munitari segnalate in catalogo, sono soggette al pagamento dell’IVA sull’intero valore (prezzo di aggiudicazione + diritti della Casa) qualora vengano poi definitivamente importate.
18) Tutti coloro che concorrono alla vendita accettano senz’altro il presente regolamento; se si renderanno aggiudicatari di un qualsiasi oggetto, assumeranno giuridicamente le responsabilità derivanti dall’avvenuto acquisto. Per qualunque contestazione è espressamente stabilita la competenza del Foro di Prato.
19) Il cliente prende atto e accetta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 22 D.
Lgs n. 231/2007 (Decreto Antiriciclaggio), di fornire tutte le informazioni necessarie ed aggiornate per consentire a Farsettiarte di adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela. Resta inteso che il perfezionamento dell’acquisto è subordinato al rilascio da parte del Cliente delle informazioni richieste da Farsettiarte per l’adempimento dei suddetti obblighi. Ai sensi dell’art. 42 D. Lgs n. 231/07, Farsettiarte si riserva la facoltà di astenersi e non concludere l’operazione nel caso di impossibilità oggettiva di effettuare l’adeguata verifica della clientela.
Camille Pissarro Verger à Varengeville avec vache (Un clos à Varengeville). 1899. Olio su tela, 46,5 x 55,3 cm Cat. rais.: Pissarro/Durand-Ruel Snollaerts 1293. Colonia, 3 dicembre
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CALENDARIO ASTE 3 dic. Fotografia 3/4 dic. Modern and Contemporary Art Evening Sale /Day Sale 18 nov.–8 déc. Contemporary online. lempertz:projects 11 dic. Arte Asiatica 25 nov.– 15 dic. Arte Asiatica online Neumarkt 3—50667 Colonia, Germania — Info T 339 866 85 26— milano@lempertz.com T +49 221 92 57 290—www.lempertz.com
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