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Nel mondo dell’enogastronomia l’unione fa (sempre più) la forza

Non è solo la moda italiana a fare il giro del mondo: anche cibo e vini made in Italy guadagnano nuove quote di mercato fuori dai confini nazionali, tant’è che a investire nel settore ci sono anche imprenditori del fashion. Per scalare i mercati con la forza di realtà strutturate e all’avanguardia la parola d’ordine è aggregazione

DI CARLA MERCURIO

Icone del made in Italy, al pari della moda, i vini pregiati e il cibo di qualità sono diventati una carta sempre più importante da giocare sul terreno dell’eccellenza e della creatività che tanto il mondo ci invidia. Parliamo di un settore, quello enogastronomico, legato a un territorio che vanta oltre il 60% della biodiversità sul fronte globale e la produzione a più alto valore aggiunto. Aspetti sempre più riconosciuti e apprezzati a livello globale, che rendono il comparto quanto mai appetibile agli occhi degli investitori. «Con un valore complessivo che supera i 580 miliardi e oltre 4 milioni di occupati nel 2022, compresa la distribuzione, la filiera agroalimentare è il primo settore per importanza in Italia in termini di Pil - spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti -. Biodiversità, distintività e sostenibilità della filiera produttiva sono i valori che ci contraddistinguono sui mercati e che sono sempre più appetiti dai consumatori di tutto il mondo. Basti pensare che prima dell’Expo di Milano, nel 2015, il valore delle esportazioni raggiungeva a fatica i 30 miliardi di euro, mentre oggi siamo a quota 60 miliardi. Ma siamo solo agli inizi, in uno scenario caratterizzato da aziende di dimensioni diverse, dove anche quelle più grandi, per poter cogliere appieno la sfida dell’inter- nazionalizzazione, spesso non sono ancora abbastanza dimensionate». Aggregare, dunque, è la parola d’ordine per poter scalare i mercati con la forza di realtà strutturate e all’avanguardia sul fronte della logistica e dell’innovazione di prodotto, in uno scenario animato da un vivace ritmo di acquisizioni, che vedono in pole position grandi gruppi o fondi di private equity. Un’arena dove sono scesi anche i big della moda, con gli esempi recenti di Renzo Rosso che ha appena costituito una holding ad hoc e Sandro Veronesi, fondatore di Calzedonia, che ha ampliato i suoi orizzonti nel settore con l’azienda della Valpolicella La Giuva. L’elenco delle case history recenti è lungo. Emblematica, lo scorso settembre, l’operazione condotta da Investindustrial di Andrea Bonomi (tra i tanti terreni di azione anche la moda con Ermenegildo Zegna), che si è aggiudicato il 52% di Eataly. Il deal aggiunge un nuovo tassello al piano ambizioso di scommesse legate al mondo del food del private equity, che negli ultimi anni ha comportato investimenti per oltre 2,5 miliardi di euro. Sempre di recente l’investitore di private equity Advent International si è accaparrato il colosso della pasticceria Irca, Mo- rato Pane (controllato da Aliante Equity) ha acquisito la maggioranza dei prodotti da forno gluten free Nt Food, lo specialista nelle conserve di pomodoro Casalasco ha portato a casa il 73,8% di Emiliana Conserve, JP Morgan ha rilevato Pernigotti. Stesso dinamismo nel mondo dei vini, dove il fondo Clessidra ha creato la holding Argea per gestire le sue operazioni nel settore, Hyle Capital è entrato nel capitale di Contri spumanti e nella frutta secca di Mannuzzi, White Bridge si è accaparrato il controllo della cantina abruzzese Ulisse. Un’animazione che non trascura il mondo delle startup, dove gli investimenti nel food&agritech hanno raggiunto nel 2022 i 149 milioni di euro, come sottolinea Andrea Casati, vice presidente dell’advisor Growth Capital (si veda box in queste pagine). Movimenti che, spesso, sono legati a passaggi generazionali, fa notare Lorenzo Tersi, founder & ceo di LT Wine & Food Advisory, il quale ha curato deal recenti come quello di Renzo Rosso con la cantina siciliana Benanti e di Clessidra con l’abruzzese Zaccagnini «Operazioni come quella di Zaccagnini con Cessidra o di Isole Olena, rilevata lo scorso giugno dal gruppo francese Epi, sono legate proprio a questo aspetto - dice Tersi -. Una transizione che spesso viene gestita con la cessione delle aziende e che di frequente vede i venditori reinvestire e rimanere nel deal come azionisti, diventando in un certo senso proprietari di un’azienda più grande con una quota più piccola. Considerazioni che in tanti stanno facendo, in un comparto che è sempre più dinamico». Uno scenario in cui, ammonisce Ettore Prandini, «è importante garantire una protezione ai marchi di eccellenza dell’agroalimentare italiano. Oc- corre creare le condizioni per cui le filiere non si sentano costrette a dover vendere a fondi o gruppi esteri, dando la chance a chi vuole continuare la sua attività di avere strumenti qualificati legati al credito, oppure favorendo forme di aggregazione che vedono protagonisti i gruppi italiani, in un contesto in cui diventa strategico l’inserimento in azienda di figure manageriali sempre più qualificate». «Tutte le famiglie che ci hanno ceduto la loro maggioranza hanno reinvesti-

UN’ANALISI

Di

COLDIRETTI

Ettore Prandini

Coldiretti

«Il cibo e i vini italiani sono sempre più appetiti dai consumatori di tutto il mondo. Basti pensare che dal 2015 a oggi l’export del settore è raddoppiato da 30 miliardi di euro a 60 miliardi» to nel business e non sono scomparse. Il nostro modello di sviluppo prevede infatti che chi produce vino rimanga all’interno dell’azienda», racconta a questo proposito Andrea Ottaviano, amministratore delegato del fondo di investimenti italiano Clessidra, che di recente come si diceva ha dato vita alla holding Argea focalizzata sul comparto. Un passo importante, dopo avere scommesso su due grandi realtà dell’universo vinicolo come Botter e Mondodelvino (con la famiglia Botter che ha mantenuto una quota importante e una presenza dei Martini nel management) e avere ampliato ulteriormente gli orizzonti con l’abruzzese Zaccagnini. «Dal canto nostro - prosegue - mettiamo a disposizione una struttura in grado di affrontare la sfida dimensionale del mercato globale e

Cibo, prima ricchezza in Italia e il vino è il vanto dell’export tricolore

Nonostante le difficoltà causate dalla pandemia e dalla crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina, il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia, per un valore di 580 miliardi di euro nel 2022 generati dall’intera filiera. Lo rivela un’analisi di Coldiretti, da cui emerge che il settore vale quasi un quarto del Pil nazionale e vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. Uno scenario in cui l’export è andato a gonfie vele, con un aumento record del 17% a quota 60 miliardi di euro, trainato dai prodotti iconici della dieta mediterranea come vino, pasta e ortofrutta fresca. La Germania resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare, con una progressione del 13%, seguita dagli Stati Uniti (+20%) e dalla Francia, con un +17%. Crescita a doppia cifra anche nel Regno Unito (+18%) e in Turchia (+23%), mentre la Cina è scesa del 20% e la Russia del-5%, a causa dei problemi legati alle sanzioni, alla guerra e alla pandemia. Ambasciatore del food tricolore all’estero è il vino (14 miliardi di fatturato), con un un valore delle esportazioni vicino agli 8 miliardi di euro nel 2022, seguito dalla pasta e dagli altri derivati dei cereali (ben oltre i 7 miliardi di euro di export) e, al terzo posto, da frutta e verdura fresche con circa 5 miliardi e mezzo di euro. Cresciuti in modo significativo anche olio extravergine di oliva, formaggi e salumi.

portare il made in Italy nel mondo, nel rispetto degli standard di qualità e sostenibilità». Argea vanta una vasta produzione di vini che va dal barbera al nebbiolo, dal moscato al sangiovese, fino al primitivo e al prosecco, per citare alcuni esempi, e può contare su sei sedi produttive in quattro regioni con ricavi consolidati di circa 420 milioni nel 2021, proiettati verso i 500 milioni con l’arrivo di Zaccagnini. Una realtà che realizza il 95% del giro di affari all’estero e che, sottolinea Ottaviano, «punta a crescere ulteriormente, con un importante piano di investimenti mi-

+17 rato a consolidare i mercati di riferimento, in particolare Usa, Germania, Nord Europa e Far East, mentre si punta ad ampliare gli orizzonti con ulteriori operazioni di M&A». Nuove acquisizioni nel mirino anche per Renzo Rosso, che dopo avere raggiunto il successo nel mondo della moda con il suo gruppo Otb (marchi come Diesel, Jil Sander, Maison Margiela e Marni e un giro di affari di oltre 1,7 miliardi di euro) di recente ha dato vita alla holding Brave Wine, per gestire il suo business nel mondo del vino. Parliamo della Diesel Farm sulle colline di Marostica nata 30 anni fa, dove vengono prodotti i vini Rosso di Rosso, Bianco di Rosso e Nero di Rosso, dei vini della cantina siciliana Benanti, di cui ha rilevato il 40% a fine 2022, e del marchio Josetta Saffirio di Sara Vezza, appena accolto nella sua orbita, in arrivo dall’Alta Langa. Una passione che nel 2021 ha portato Rosso ad acquisire con la sua società di investimenti Red Circle una partecipazione in Masi, la nota azienda produttrice di amarone. «Ho creato la hol-

1. Renzo Rosso con Sara Vezza della cantina Josetta Saffirio, nel cuore delle Langhe, appena entrata nell’orbita della nuova holding Brave Wine fondata dall’imprenditore e, nella foto 2, i vini prodotti nella sua Diesel Farm

Growth Capital

A food & agricolture

l’8% degli investimenti in venture capital

ding Brave Wine per gestire in toto il mio progetto vino - commenta l’imprenditore -. L’obiettivo è creare un polo del lusso, arrivando ad avere un bouquet rappresentativo della ricchezza e dell’eccellenza di questo settore a livello internazionale (si veda intervista in questo numero, ndr)». Tra i player della moda attivi nel mondo dei vini figura anche come si diceva Sandro Veronesi: il fondatore di Calzedonia ha appena rilevato l’azienda storica della Valpolicella La Giuva, che si aggiunge ad altre due cantine in portafoglio e punta a sfruttare a livello distributivo il canale delle attuali 29 enoteche con cucina di Signorvino presenti in Italia. Un’insegna con un giro di affari di oltre 55 milioni di euro nel 2022, in progress del 50% sul 2021, con nuove aperture in arrivo anche all’estero, a partire da Parigi. Tra i deal recenti legati al mondo del vino da citare quello che ha portato Massimo e Chiara Ferragamo a cedere a un family office internazionale (che resta riservato) la splendida tenuta di Castiglion del Bosco, nel cuore della Val d’Orcia, dove si produce un pregiato Brunello di Montalcino. Un’operazione che, sottolinea l’a.d. Simone Pallesi, inserisce il vino in un progetto più ampio, con l’obiettivo di imprimere un’accelerazione all’intera struttura. La tenuta, che si estende su 2mila ettari di

Non solo fondi e grandi gruppi. Il settore alimentare evidenzia una significativa vivacità anche nell’ambito del venture capital. Nel 2022 gli investimenti in startup italiane del food&agritech hanno raggiunto i 149 milioni di euro, l’8% del raccolto dalle startup italiane nell’anno, con una leggera contrazione rispetto ai 160 del 2021, «causata dalla coda lunga del Covid e del difficile contesto macroeconomico globale», spiega Andrea Casati, vice presidente dell’investor Growth Capital. Un settore, prosegue, «intrinsecamente legato al nostro Paese, che ha da sempre rivestito una grande importanza culturale e strategica». Guardando ai focus specifici, chiarisce Casati, è possibile raggruppare società innovative appartenenti a tutti i verticali afferenti al delivery, sia di consegna di cibi pronti o grocery al consumatore finale (Everli, Cortilia, Soul-K, Cosaporto e Macai), sia di B2B (Deliveristo, Cosaporto), che in totale hanno raccolto circa 79 milioni di euro (più del 50% del totale del settore) in 12 round». D’altro canto, prosegue, «startup strettamente legate ad agritech e precision farming hanno raccolto 50 milioni di euro in cinque round, con Planet Farms nel vertical farming (30 milioni di euro) e xFarm nell’agritech (17 milioni di euro)». L’investimento più importante nel 2022 è stato quello di Planet Farm, con lead investor Red Circle (la holding in capo a Renzo Rosso), Nuova Energia Holding e Azimut Investments. Recentemente Planet Farms ha ottenuto un finanziamento di 17,5 milioni da Unicredit

Venture capital: i top round del 2022 nel food & agritech

Fonte: Growth Capital cui 62 di vigneti che fruttano 250mila bottiglie ogni anno, si caratterizza infatti per la presenza al suo interno di un un campo da golf e di un elegante resort gestito da Rosewood Hotels & Resorts. «Un investimento dunque anche nel campo alberghiero, golfistico e di enoturismo, che vede coinvolti valori importanti del made in Italy, come il food, il gusto, l’hospitality di lusso, il territorio», chiarisce Pallesi. Con il sostegno finanziario del nuovo investitore, prosegue l’executive, «amplieremo la struttura alberghiera, che oggi conta 42 suite e 11 ville di lusso con piscine e campi da tennis sparse nel comprensorio, grazie alla ristrutturazione di vecchi casali agricoli, mentre abbiamo già avviato un importante investimento per l’ulteriore miglioramento del campo da golf. Per quanto riguarda il nostro Brunello di Montalcino, di cui siamo il quinto maggior produttore, l’obiettivo è accrescere la presenza all’estero, mentre per il futuro si apre la via delle acquisizioni di altre aziende sia nel Brunello che in altre denominazioni». All’animazione che caratterizza il mondo del vino, ambasciatore dell’enogastronomia italiana con un valore dell’export vicino agli 8 miliardi di euro, fa riscontro un notevole dinamismo nel mondo del cibo, che in questo momento è oggetto di numerose operazioni. «La pandemia e poi la guerra in Ucraina hanno portato in primo piano la necessità per i Paesi di ricentralizzare la propria produzione ed essere autosufficienti, almeno in parte, dal punto di vista alimentare, mentre il cibo è tornato strategico a livello di rapporti internazionali. Noi che siamo il Paese con la più grande biodiversità e la produzione di più alto valore aggiunto dobbiamo cogliere questa opportunità», spiega Gianluca Lelli, amministratore delegato di Cai (Consorzi Agrari d’Italia) controllata del gruppo Bf, colosso da 1,2 miliardi di euro di fatturato. Una holding di partecipazioni quotata alla Borsa di Milano che ha tra i suoi azionisti investitori istituzionali, istituti di credito e imprenditori privati. Una realtà attiva tramite le sue controllate in tutti i comparti della filiera agroindustriale italiana, dalla selezione, lavorazione e com-

14 mld. euro è il fatturato generato dal settore del vino, con l’export vicino agli 8 miliardi mercializzazione delle sementi, alla proprietà di terreni agricoli, alla loro trasformazione e commercializzazione. «Ci sono tante aziende in Italia che hanno la chance di far fare un salto all’economia del nostro Paese e magari non hanno le risorse, il network o la capacità. Noi stiamo cercando di fare questo percorso insieme a loro», puntualizza Lelli. Un itinerario che mira alla salvaguardia delle eccellenze italiane, sottolinea ancora, citando l’esempio emblematico di Verisem, azienda semenziera finita nel mirino di un gruppo cinese, per cui, sottolinea, «lo scorso anno abbiamo presentato una controfferta chiedendo al Governo di far scattare la Golden Power, ricordando l’importanza per il nostro Paese del valore del germoplasma e dalla sua conservazione nelle banche dati di genetica». Tra le acquisizioni recenti, nel luglio del 2022 Bf ha portato a casa il cus cus di Bia, tra i leader europei del comparto, ha rafforzato la presenza nel capitale del Pastificio Ghigi e ha rilevato il 60% del pastificio Fabianelli. A proposito di pasta, il gruppo vanta anche il

1. L’operazione di trapianto delle piantine di pomodoro, step iniziale di un percorso che porterà alla produzione delle passate di Casalasco

2. La pasta di Maltagliati, prodotta dall’azienda Fabianelli, realtà nell’orbita del gruppo Bf

3. La lavorazione dell’uva nell’abruzzese Tenuta Ulisse, recentemente acquisita da White Bridge marchio proprio Le Stagioni d’Italia, che ha rilanciato il grano Senatore Cappelli. «Vogliamo creare un polo verticale di valore nazionale a supporto della filiera, creando aggregazioni. Negli anni ci sono state dall’Italia fughe di grandissimi marchi e questa è stata una perdita per il Paese», conclude Lelli. Ci sono una struttura industriale d’avanguardia e una filiera completa di circa 800 aziende agricole alla base della sensibile crescita di Casalasco, tra i big nel mondo delle conserve di pomodoro in Italia con marchi propri come Pomì e De Rica e rilevanti produzioni per grandi catene e multinazionali. «Una realtà che opera tra Parma, Mantova, Cremona e Piacenza passata in 20 anni da un giro di affari di 30 milioni di euro ai 600 milioni previsti per fine 2023, di cui il 70% è realizzato all’estero - spiega l’a.d. Costantino Vaia -. Una filiera completa che va dal seme allo scaffale, con una grande attenzione a tematiche come ambiente e responsabilità sociale». Una progressione scandita da un percorso mirato alla crescita tramite linee interne e diversificazione dell’offerta, e attraverso acquisizioni, in un contesto sempre più segnato dalla tendenza all’aggregazione. «Basti pensare - chiarisce Vaia - che in Italia 15 anni fa nel mercato della trasformazione del pomodoro erano oltre 200 le aziende attive, mentre oggi siamo scesi a circa 70 realtà. Oltre la metà della produzione avviene nel Nord Italia, dove l’80% di questa quota è realizzata da quattro grandi gruppi». Casalasco, che di recente ha rilevato l’azienda Emiliana Conserve, ha iniziato il suo percorso di ampliamento nel 2007 con Boschi e il suo marchio Pomì, proseguendo nel 2015 con l’incorporazione di Arp, cooperativa storica di Piacenza e poi con il brand De Rica e ancora con la Sac di Carmagnola, società commerciale mirata al presidio dei mercati esteri. Dal 2021 a dare ulteriore slancio alla crescita dell’azienda c’è il fondo QuattroR, che ha rilevato il 49% di Casalasco. «Avere trovato un investitore che voglia valorizzare una filiera come la nostra, tra l’altro tutto italiano e con un approccio più paziente rispetto al mercato del puro private equity, è un fattore strategico per proseguire il percorso di crescita», conclude Vaia, che nel futuro vede ancora molte opportunità. «Basti pensare al tema del falso made in Italy e a quanto spazio ci sarebbe solo andando a occupare quelle posizioni».

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