Soccer
Direttore responsabile Flavia Colli Franzone
www.fashionillustrated.eu
11 momenti di grande calcio
Una rassegna di istantanee dedicate alla Coppa del Mondo voluta da Sisal a Milano, sul Naviglio Grande.
Moviola
Legendary Accessories
UOMINI E GOL
PALLONI MONDIALI
I Mondiali azzurri tra vittorie e sconfitte, rigori decisivi e sbagliati. Pag. 6
Dal primo del 1930 a Brazuca del 2014. Pag. 8
Allegato Issue #27 luglio/agosto 2014
Fashion&Soccer
CALCIO DI STILE L'eleganza sportiva scende in campo. Pag.10
Futbolandia
A COLPI DI STADIO
in Italia gli stadi di proprietà sono ancora pochi. Pag. 12
Di SIMONE CHIODO
CALCIO&CINEMA
“Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO-MI”
CALCIATORI IN PRIMA FILA Una volta avuto l’incarico di preparare una mostra fotografica sui Mondiali in concomitanza con “Diretta Mondiale”, la kermesse voluta da Sisal.it a corredo del grande appuntamento brasiliano nella cornice del Naviglio Grande, mi aspettavo solo soddisfazioni. Raccontare invece la storia del Mondiali in undici immagini è molto complicato. L’amico Meda diventa meno amico, lui i suoi “ricordati gli arbitri” e “questo non può mancare” e quello “è fondamentale”. La mostra trova i suoi presupposti partendo dai grandi calciatori, dai loro gesti atletici. Poi contano le espressioni, la gioia o il disappunto che fissano “Istanti mondiali” (la rassegna così si chiama) nella memoria di ciascuno. Qualsiasi nostra scelta, di Meda e mia, è opinabile perché chiunque si avvicini al calcio dei Mondiali ha nella retina e ancor di più nel cuore istanti mondiali tutti suoi, cui è molto affezionato. Ci auguriamo che la maggior parte dei visitatori condivida le nostre scelte e che qualcuno le apprezzi. Qualcuno, ne siamo certi, se ne lamenterà, speriamo con toni civili. Non vi anticipiamo nulla perché questo accenno a “Istanti mondiali” è solo un invito a visitare la mostra sul Naviglio vivendo le emozioni che ha suscitato in noi, ma qui possiamo ricordare alcune tonalità fondamentali. La prima si lega alla memoria sportiva: proprio in questi giorni si ricorda la prima vittoria italiana nella Coppa Rimet. Sono trascorsi ottant’anni da quel successo azzurro. Poi, ad avvalorare quel primo successo così chiacchierato, è venuto, quattro anni dopo, il secondo titolo mondiale in Francia, suffragato dalla vittoria olimpica della nostra Nazionale nel 1936. Il mattatore di quei successi è stato Giuseppe Meazza, cui hanno dedicato lo stadio milanese, per molti il più grande giocatore italiano che abbia calcato i campi di calcio: Giuanin (o Pepp, è uguale) era un grandissimo talento, fuori dal campo uno sciupafemmine, uno che amava circolare con auto potenti e dormiva sino a tardi, la mattina, tanto che l’Ambrosiana Inter lo dispensò dal presentarsi agli allenamenti quando questi erano per lui “fuori orario”. Nonostante una malattia circolatoria che lo colpì alle estremità, Meazza continuò a segnare e a far segnare gol sino alla fine della carriera, in pratica giocando con un piede solo. Se Meazza fosse vissuto ai giorni nostri avrebbe avuto gli stessi osanna di Pelè e Maradona, sarebbe stato oggetto di mille discussioni nei migliori Bar Sport della penisola. Di storia in Storia, con il placet della dirigenza Sisal, abbiamo pensato di dedicare la mostra ai caduti azzurri della Grande Guerra di cui tra qualche mese ricorrerà il centenario. Un tributo a chi vi ha perso la vita con l’augurio di confrontarsi sempre in altri campi, in erba (non in sintetico), con righe di gesso, porte e bandierine del corner. A quel punto va bene anche Meda come arbitro.
Rodrigo Santoro nel fim Heleno del 2011, diretto da José Henrique Fonseca.
Dentro e fuori gli stadi sono al top della popolarità. Grazie anche ai social media che amplificheranno ancor più i Mondiali. C’era però negli anni Quaranta Heleno, altrettanto popolare in Brasile, pur non disponendo di questi mezzi.
Il potere mediatico dei calciatori non è un fenomeno solo dei nostri giorni. Oggi ci sono i vari Beckham e Ronaldo, Messi e Marchisio, Balotelli o Chiellini, questi ultimi due i più attivi della rete in Italia. Sono loro le star che si dividono il palcoscenico con le celeb hollywoodiane, richiestissimi come testimonial di blasonati brand della moda, immancabili nel parterre delle sfilate e ai party
che contano. Sono loro i più attivi sui social, tanto che - si dice – questo sarà il primo mondiale di twitter, con oltre 300 giocatori attivi, di cui Ronaldo è ancora il re indiscusso per numero di followers. Eppure anche nella Rio degli anni Quaranta c’era un calciatore di eguale notorietà, senza avere a disposizioni neppure uno dei media attuali. Quella stella era Heleno de Freitas, re di Rio sia di
giorno sia di notte, dentro e fuori lo stadio. A lui nel 2011 è stato dedicato il film Heleno, prodotto e interpretato da Rodrigo Santoro con la regia di José Henrique Fonseca, che ne racconta la vita ricca di successi, ma anche la sua fine solitaria in ospedale. Personaggio irascibile e dedito agli stravizi, finì per compromettere la propria immagine, tanto da aggiudicarsi l’appellativo di “prin-
cipe maledetto”. Notissimo in Brasile, lo fu decisamente meno fuori dal suo paese, a causa dei mancati appuntamenti della Coppa del Mondo negli anni Quaranta. Al centro della biopic non c’è tanto l’Heleno calciatore che mandava in delirio gli stadi – e le donne – piuttosto il de Freitas uomo, che sembrava fare terra bruciata intorno a sé e alla propria vita sentimentale.
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L'EDITORIALE
Italianitudine
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a storia del più coinvolgente sport planetario viene scritta puntualmente ogni quattro anni. I protagonisti non sono solo i calciatori e i loro goal ma centinaia di migliaia di persone che per due ore si fermano e fermano il mondo, uniti da un'unica fede e un' unica divinità: il dio calcio. Forse anche per l'Italia si può coniare il termine di "Italianitudine" come il Belgio ha creato quello di Belgitudine che ha il volto delle migliaia di ragazzi che hanno riempito le piazze del loro paese per festeggiare la qualificazione al Mondiale. Il termine era stato coniato nel 1976 dallo scrittore Pierre Mertens e si riferiva alla perenne incompiutezza dell’identità belga, divisa fra fiamminghi e valloni. Ora il concetto è stato ribaltato: l’odierna Belgitude rappresenta il rinnovato patriottismo che, complice il pallone, Bruxelles sta riscoprendo. Ma sicuramente si potrà parlare di Francitudine, Germanitudine e così via, perché ognuno con il calcio riscopre l' orgoglio di appartenere al proprio Paese. E protagonisti sono le piazze, i quartieri, i locali che diventano luoghi di aggregazione dove guardare la partita, gioire e soffrire tutti insieme. Anche Milano per questi mondiali ha un nuovo fulcro per la socializzazione e la condivisione. Con Naviglio Mundial 2014, la più vasta area pedonale della città si trasforma in un grande villaggio globale dove è possibile vivere ogni momento di questa grande kermesse, che vede SISAL fra gli sponsor, attraverso maxi schermi, giochi e intrattenimenti e tanti altri eventi che trovate a pag. 30. Un fiume di persone si riverserà nelle strade per vivere un brivido collettivo e per vedere gli idoli del calcio del presente, attraverso le partite, e del passato nella mostra Istanti Mondiali, e metterà in campo le proprie conoscenze per prendere parte al quiz Bar Sport condotto da Antonio Cabrini, guest star di questa super movida milanese e indimenticato protagonista di Spagna 82, amatissimo anche dal pubblico femminile, tanto da guadagnarsi l'appellativo di Bell'Antonio. Un ulteriore esempio della grande popolarità dei calciatori, diventati anche icone di stile dentro e fuori il campo di calcio. E' proprio questa la storia che Soccer Illustrated vuole raccontare: non il mondo del calcio giocato e urlato, ma il lifestyle che porta con sè a dimostrazione che, anche lontano dallo stadio, i riflettori si accendono su alcuni calciatori per farne dei campioni di stile, richiestissimi alle serate mondane e nel parterre delle sfilate. Stilisti e grandi aziende del menswear fanno a gara per firmare le divise ufficiali fuori campo, per vestirli nel tempo libero, certi che il potere mediatico è assicurato. Ancor più oggi che i social media ne amplificano la popolarità. Non c’è giocatore che si rispetti che non comunichi attraverso i social media e non abbia migliaia di followers. In Italia un esempio su tutti Giorgio Chiellini, cliccatissimo con 1.3 milioni di followers su Facebook e un milione su Twitter. I Mondiali, in Italia come in tutti i paesi del mondo, diventano quindi una parentesi ludica e di alleggerimento delle tensioni sociali del paese, come ha ricordato Antonio Cabrini durante la conferenza stampa di presentazione di Naviglio Mundial riferendosi ai mondiali del 78 in Argentina giocati sullo sfondo della tragedia dei desaparecidos. Si spera che così possa avvenire per il Brasile che oggi li ospita, agitato da tensioni sociali che ci si augura l’inebriamento del calcio possa sopire; e tutto sommato anche per noi Italiani la parentesi mondiale può rappresentare una utile pausa dai problemi della crisi economica, dai dati della disoccupazione e dalle incertezze di questi tempi, dalla quale tutti speriamo di riprenderci abbracciando la mitica e agognata Coppa. @fcollifranzone
Sommario 4
MOVIOLA
POST STADIUM LOOK
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Storie di uomini, prima che di gol
Look da campione
I mondiali azzurri fra vittorie, sconfitte, rigori decisivi e sbagliati. Un romanzo che si scrive ogni quattro anni, al quale manca ancora il capitolo Brasile.
Icone di stile senza tempo, oltre che atleti fuori classe. I calciatori mantengono un appeal da vere star.
LEGENDARY ACCESSORIES COMUNICAZIONE
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Palloni mondiali
Dal primo pallone del 1930 a Brazuca 2014, una storia di evoluzioni tecnologiche, firmate negli ultimi 40 anni da Adidas.
Comunicazione a tutto tondo La gestione dell’immagine di ogni calciatore d eve essere a 360°.
FASHION & SOCCER DIGITAL
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L’ eleganza sportiva scende in campo
Videogame e calcio: dal realistico al troppo reale
Il peso dello sport nel nostro paese spinge i brand di moda a sponsorizzare i look dei giocatori, che diventano veri e propri modelli di stile.
Il gioco virtuale è a pieno titolo una componente, anche economica, del pallone moderno.
FUTBOLANDIA
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LIBRI
A colpi di stadio
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Se le squadre straniere hanno la loro “casa”, in Italia gli stadi di proprietà sono ancora pochi. Un passo importante che implica un cambiamento nella mentalità, nel marketing, nel merchandising, nella gestione della sicurezza.
Le ultime novità nelle pubblicazioni del calcio.
ZOOM
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PLACE OF MITH
La moda mondiale h24
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Maracanà più che uno stadio, un’ icona
SOCCER CHI LEGGE
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Protagonista dell’immaginario collettivo di milioni di appassionati di calcio, pochi altri luoghi al mondo sono diventati il simbolo di un paese e una leggenda per il mondo.
Una coppia “Mundial”
I Mondiali uniscono, dicono, ma siamo così sicuri? Io (italiano) e la mia ragazza (spagnola) vi confermiamo che non è proprio così.
GLAMOUR FANS
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Mondial Politically Correct
Il calcio è uno strumento moderno di coesione sociale e forte identità nazionale. Politici e sovrani di tutto il mondo si uniscono alle masse.
Nell'immagine i 10 palloni da calcio dei designer italiani coinvolti in “Design nel Pallone”, evento tenutosi durante il Festival dell'Economia Creativa 2013 a San Paolo, Brasile.
Direttore responsabile FLAVIA COLLI FRANZONE f.colli@fashionillustrated.eu Caposervizio GIOVANNA CAPRIOGLIO g.caprioglio@bibliotecadellamoda.it
Redazione Corso Colombo 7 20144 Milano Tel. +39 02 87365694 www.fashionillustrared.eu- info@fashionillustrated.eu
Hanno collaborato Diana Barbetta, Federico Bertani, Simone Chiodo, Beniamino Franceschini, Nicola Gobbetto, Lello Gurrado, Marco Magalini, Sergio Meda,Valentina Mascarello, Alice Notarianni, Stefano Andrea Suzzi
Concessionaria esclusiva per la pubblicità MILANO FASHION MEDIA Via Alessandria 8 20144 Milano Tel. +39 02 58153201 www.milanofashionmedia.it info@milanofashionmedia.it
Impaginazione MICHELA CLERICI m.clerici@fashionillustrated.eu
Responsabile testata PAOLA CORDONE pcordone@milanofashionmedia.it
Stampa MCAZIENDAGRAFICA SRL info@mcaziendagrafica.it La pubblicazione Fashion Illustrated è edita in Italia e all’estero da BIBLIOTECA DELLA MODA Corso Colombo 9 20144 Milano Tel. +39 02 83311200 info@bibliotecadellamoda.it www.bibliotecadellamoda.it Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano n. 138 del 22.03.2010 © 2012, tutti diritti riservati.
Photo credits Per le immagini senza crediti l'editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. L'editore è a piena disposizione per l'assolvimento di quanto occorre nei loro confronti.
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STORIE DI UOMINI, PRIMA CHE DI GOL I Mondiali azzurri fra vittorie, sconfitte, rigori decisivi e sbagliati. Un romanzo che si scrive ogni quattro anni, al quale manca ancora il capitolo Brasile. Testo di SERGIO MEDA
Dino Zoff e re Juan Carlos–Spagna, Mondiali 1982. Nella pagina accanto in senso oraraio, foto di gruppo ai Mondiali di calcio del 1938, Francia; Baggio e Baresi a Mondiali del 1994; l’allenatore Vittorio Pozzo e la nazionale Italiana – Italia, Mondiali 1934.
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’unica volta in cui gli azzurri non si qualificarono alla fase finale di un Mondiale, in programma in Svezia nel 1958, coincise con un gesto apprezzabile dopo l’ultimo incontro del Gruppo 8 (avversari il Portogallo e l’Irlanda del Nord) in programma a Belfast: la partita finì 2-2, il pareggio sarebbe bastato a qualificare l’Italia, ma la gara venne declassata ad amichevole perché la nebbia bloccò a Londra l’arbitro ungherese Szolt. Al suo posto diresse l’irlandese Mitchell, protagonista di alcune decisioni vistosamente di parte. Il clima era dei peggiori, la stampa irlandese nei giorni precedenti aveva dipinto gli azzurri come una squadra “farcita di oriundi” azzardando che ricorressero sistematicamente alla chimica. Tutti dopati, secondo loro. Per questo la Federcalcio consentì la ripetizione della gara, e mal gliene incolse: la seconda volta finì 2-1 per gli irlandesi, considerati la Cenerentola del calcio britannico e sulla stampa italiana per la prima volta comparve, a caratteri di scatola, la parola “vergogna”, un termine cui ci abitueremo. La parola che fa arrossire ritornò prepotente quando la Corea del Nord ci cacciò
dal Mondiale inglese 1966 e pure quattro anni fa, dopo l’incolore spedizione azzurra in Sudafrica. Vergogna (e gogna) meritano gli arbitri che danno scandalo: un buon esempio lo diede Byron Moreno, fischietto ecuadoriano che concorse all’estromissione degli azzurri dal Mondiale coreano-nipponico 2002 dirigendo a modo suo Italia-Corea del Sud. Il resto lo fecero gli errori degli azzurri. Nulla di strano, gli arbitri si sono sempre distinti nell’agevolare il cammino della squadra che organizza il Mondiale, a volte sospinti dai regimi totalitari che fanno il possibile per aggiudicarsi il Mondiale giocato in casa: successe a noi nel 1934, capitò all’Argentina dei colonnelli nel 1978, ma anche chi vive di democrazia non disdegnò un aiutino: l’Inghilterra vinse il suo Mondiale grazie al celebre “gol fantasma”, peraltro convalidato, di Hurst. I tedeschi se la legarono al dito. Il Mondiale è un romanzo che aggiorna ogni quattro anni i suoi capitoli con chiaroscuri inevitabili. Troppi gli interessi in gioco, che tale non è più da decenni. Il gol rimane la ragione di vita del calcio ma i tatticismi propongono un verdetto sempre più affidato alla “lotteria dei rigori”, dopo 120
minuti a volte senza storia. Ben due volte nelle ultime cinque edizioni i tiri dal dischetto hanno deciso per il titolo. Una volta ci andò malissimo (Usa 94), una volta benissimo (Germania 2006). Negli Stati Uniti gli azzurri agguantarono la finalissima grazie alle giocate di Roberto Baggio, ma persero per gli errori dal dischetto dello stesso Baggio e di Franco Baresi. In Germania vinsero contro ogni pronostico, dopo la bufera di Calciopoli che fece dire a non pochi che sarebbe stato meglio restare a casa. Come capita, le avversità e il clima ostile compattarono una squadra solida che crebbe strada facendo e raggiunse il quarto titolo mondiale senza aiuti esterni ma con un pizzico di fortuna, dopo i soliti balbettii nella fase a gironi, dove il gioco latitava. Gli azzurri superarono i tedeschi in semifinale, non senza qualche affanno, poi se la giocarono con la Francia. Tutti, di quell’incontro, ricordano il gesto di Zidane, costato più del previsto, perché l’espulsione dopo la testata a Materazzi nei supplementari privò i galletti di un rigorista che avrebbe fatto comodo. Dei penalties azzurri impressiona ancora l’ultimo, una fucilata di sinistro di Fabio Grosso che si
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infila all’incrocio dei pali. Le polemiche che accompagnano spesso gli azzurri furono anche la spinta verso il terzo titolo, in Spagna nel 1982. La bufera di critiche che si abbattè sui nostri, rei di “non gioco”, li indusse al silenzio stampa. Non parlarono sino al termine del torneo e di successo in successo lasciarono spazio alle sole interpretazioni, spesso fantasiose, dei giornalisti. Zittirono tutti battendo Argentina e Brasile grazie ai gol di “Pablito” Rossi, ispiratissimo, e la finale fu quasi una formalità contro i tedeschi (3-1), peraltro reduci da un match senza respiro con la Francia, superata dopo i tempi supplementari. Le polemiche non aiutarono invece nel 1970 in Messico, quando dopo i buoni risultati della staffetta Rivera-Mazzola che fruttarono anche il celeberrimo 4-3 con la Germania in semifinale, la finale con il Brasile vide lo stesso Rivera impiegato per i 6 minuti finali, quasi a volerlo coinvolgere nel naufragio azzurro contro i verde oro, quel pesantissimo 4-1 in altura. Ben altra sorte ebbero le polemiche in occasione del secondo titolo mondiale, colto in Francia nel 1938, che ribadiva quello del 1934. La squadra azzurra espressione del regime ebbe tutti contro ma dalla sua aveva qualità e un commissario tecnico, Vittorio Pozzo, senza eguali nel motivare i suoi. Un grande condottiero di uomini.
1934-2014 80 ANNI DALLA PRIMA VITTORIA ITALIANA La scelta dell’Italia quale Paese organizzatore della seconda edizione dei Mondiali è pressoché obbligata perché nel 1932, quando la Federazione internazionale la assegna, la Svezia ritira la candidatura. Se ne giova il regime fascista che si garantisce così una grande vetrina: può dimostrare efficienza organizzativa e, in caso di successo, acquisire enorme prestigio, interno e internazionale. Mussolini è spesso presente agli incontri di calcio, ha capito che il pallone è uno strumento di possibile controllo delle masse. Nel 1934 la gente porta la farfalla al posto della cravatta, indossa scarpe a punta e s’impomata i capelli dopo averli tagliati come Rodolfo Valentino, l’idolo delle donne. In Italia non ci sono i campioni in carica dell’Uruguay, non hanno digerito le defezioni delle squadre europee nel
1930 e rendono la scortesia. Anche l’Argentina, pur presente, schiera le terze e quarte scelte del suo campionato per evitare i “saccheggi all’italiana”, già avvenuti dopo la prima edizione del Mondiale 1930, con la scusa che si trattava di oriundi italiani. Non si presentano, al solito, le squadre britanniche, ad eccezione dell’Irlanda peraltro estromessa nella fase di qualificazione. Gli azzurri schierano un grande stratega in panchina: Vittorio Pozzo, già giornalista, valorizza i campioni nostrani, capeggiati da Meazza, e oriundi italiani del calibro di Orsi, Monti e Guaita, con tasso tecnico elevatissimo. Dopo aver sepolto di gol (7-1) gli Stati Uniti, gli azzurri fanno gli straordinari con la Spagna. Occorrono due partite giocate nell’arco di 24 ore (1-1 e 1-0) per accedere alle semifinali dove l’Italia incontra l’Austria delle
meraviglie. Dopo un gol rubacchiato al 21’, messo a segno da Guaita mentre Meazza caricava il portiere, gli azzurri alzano le barricate e gli austriaci non riescono a segnare. A Roma nel contempo la Cecoslovacchia regola la Germania con un perentorio 3-1, propiziato da due gol del capocannoniere Nejedly.Il 10 giugno a Roma la partita che vale il titolo, fra ceki e azzurri. I nostri sono più rapidi in contropiede, i boemi fanno possesso palla. Dopo i brividi per i due pali colpiti da ceki nel primo tempo, viene il gol boemo a venti minuti dalla fine ma gli azzurri reagiscono e Orsi su passaggio di Guaita pareggia a 8 minuti dalla fine. Nei supplementari Schiavio estrae dal cilindro una malefica parabola che s’insacca alle spalle del portiere Planicka. L’Italia può esultare.
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PALLONI MONDIALI
Dal primo pallone del 1930 a Brazuca 2014, una storia di evoluzioni tecnologiche, firmate negli ultimi 40 anni da Adidas.
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a storia del pallone usato ai mondiali si divide nettamente in due parti, prima e dopo il 1970: da quella data il monopolio è interamente di Adidas. Il mondiale del 1930 si disputò in Uruguay. Parteciparono 13 squadre e la finale avvenne fra due eterni rivali, Uruguay e Argentina. La disputa iniziò subito nella scelta del pallone. Entrambe le squadre, per mille motivi, volevano utilizzare il proprio. Siccome i due capitani non raggiunsero un accordo, l'arbitro decise di usare quello dell'Argentina per il primo tempo e quello dell'Uruguay nel secondo. Il caso vuole che l'Argentina si portasse in vantaggio il primo tempo per 2-0 ed è proprio con l'utilizzo del pallone uruguagio, fatto con cuoio più spesso, che conferiva maggior peso al pallone, che la nazionale nel secondo tempo riesce a ribaltare sul 3-2 il risultato diventando così la prima squadra campione del mondo. I palloni rigorosamente in cuoio e cuciti a mano molto spesso non erano nemmeno perfettamente sferici; venivano prodotti da artigiani locali. Già al tempo si distingueva per la sua particolare capacità di produrre palloni di qualità l'Inghilterra, che organizzò e vinse i mondiali del 1966. Nel 1970 fa il suo ingresso nei Mondiali il colosso tedesco e ogni quattro anni è stato un crescendo di migliorie e nuove tecnologie apportate ai palloni. Se Telstar per Mexico 70 era tutto in cuoio, aveva però 32 sezioni cucite a mano che lo rendevano più arrotondato. Per Argentina 78 nasce Tango con venti pannelli con le “triadi” che hanno creato un effetto ottico di dodici cerchi identici. E’ stato anche il primo pallone resistente alle intemperie. Il cuoio va in soffitta per Messico 86, quando viene sostituito dal sintetico. In quell’anno Azteca diventa il primo pallone ufficiale della FIFA World Cup e si caratterizza per la resistenza all’usura evitando anche i problemi di assorbi-
2014 BRAZUCA Il pallone ufficiale dei Mondiali in Brasile.
mento dell’acqua. Con Italia 90 Adidas presenta Etrusco Unico, il primo pallone con all’interno un substrato di schiuma in poliuretano nero, che lo rende più resistente all’acqua e più veloce. Per Usa 94 si passa a uno strato di schiuma di polietilene capace di dare un ritorno in termini di energia: è più soffice e veloce al calcio. L’innovazione di Francia 98 è la schiuma sintattica che consente traiettorie più controllabili da parte dei calciatori. Se per le partite del 2006 in Germania il pallone è più che altro rivisitato nella grafica, nel 2010 in Sudafrica la nuova superficie Grip’n’Groove fornisce più stabilità in volo e un grip perfetto nelle difficili condizioni climatiche del paese. Inoltre, con soli otto pannelli 3D termosaldati il pallone è perfettamente sferico. E veniamo al 2014. Brazuca (termine informale che significa brasiliano) è stato sottoposto a un meticoloso processo di test durato due anni e mezzo che ha coinvolto oltre 600 calciatori di caratura mondiale e 30 squadre sparse attraverso 10 nazioni e 3 continenti. E’ il pallone più testato della storia Adidas, per garantire prestazioni impeccabili in ogni condizione. La tecnologia utilizzata per la camera d'aria e la carcassa di Brazuca è identica a quella presente nei palloni Tango 12 (UEFA Euro 2012T), Cafusa (2013 FIFA Confederations Cup) e nel famosissimo pallone ufficiale della UEFA Champions League. Tuttavia, l'innovazione strutturale rappresentata da una particolare simmetria formata da sei pannelli identici e la diversa struttura della superficie migliorano il grip, il controllo, la stabilità e l'aerodinamica in campo. I colori e la grafica dei pannelli del pallone simboleggiano i tradizionali e coloratissimi braccialetti portafortuna diffusi nel paese (fita do Senhor do Bonfim da Bahia), oltre a riflettere l'allegria e il divertimento da sempre associati al calcio brasiliano.
I PALLONI ALLA FIFA WORLD CUP DAL 1970
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La creatività ha fatto gol
rima che in campo Italia e P Brasile si sono incontrate a San Paolo nel 2013 al Festival
Un'azione della finale Uruguay-Argentina.
COPPA RIMET: UNA STORIA AVVOLTA NEL MISTERO
John Langenus, l'arbitro della finale mondiale Uruguay-Argentina del 1930 con lo storico pallone.
1930 IL PRIMO
Il pallone ufficiale dei Mondiali del 1930, in Uruguay.
Nasce nel 1928 da un’ idea di Jules Rimet presidente della Federazione Calcio che incaricò un orefice parigino di creare il trofeo. Una vittoria alata che sostiene un piatto ottagonale alta 30 cm, 3800 gr di peso di cui 1800 di oro 18 carati. “Il trofeo vinto dall'Italia nel 1938 fu affidato all' ingegnere Barassi, segretario della Federcalcio – racconta Roberto Bassan, - che riesce a sviare SS e Gestapo spiegando che il CONI l'aveva portata a Milano e invece l’aveva nascosta sotto il letto di casa sua proprio a Roma. Ne esce indenne dallo smarrimento del 1966 in Inghilterra poiché venne ritrovata una settimana più tardi (voci dell'epoca raccontano che in quel lasso di tempo la coppa sia stata replicata e l'originale fatto sparire). Dopo la sua definitiva assegnazione, decisa dalla FIFA, al Brasile quando vinse il suo terzo titolo nel 1970, la coppa fu conservata a Rio De Janeiro. Nel 1983 cinque
individui fecero irruzione nella sede della Federazione e rubarono il trofeo che venne fuso in lingotti e rivenduto, senza tenere conto del suo valore affettivo, si dice a un quarto del suo valore, 1800 grammi d'oro che valevano al tempo 200 milioni. In seguito venne fatta una replica (nella foto) ricavata dal calco di mezza coppa recuperato in Uruguay dalla " targa " consegnata a Washington Ortuno, uruguagio campione del mondo 1950. Le dimensioni e i materiali sono quelli del trofeo ufficiale e frutto di una ricerca durata più di un anno riproducendo in maniera speculare anche le scritte della base con gli stessi difetti di quella originale (replica di Sebastiano Calì di Catania). Nel 1974 la coppa Rimet viene sostituita dalla FIFA World Cup e assegnata ai Mondiali che in quell’anno si svolsero in Germania. E a vincerla fu proprio la nazionale tedesca di Franz Beckenbauer. Fino al 2006 i vincitori della
coppa ne restavano in possesso fino all'edizione successiva, ma la FIFA da questa edizione ha deciso di cambiare regolamento. L'originale viene consegnato al vincitore solo per la premiazione e per le due ore successive sotto stretta sorveglianza. Subito dopo il pezzo unico è ritirato e custodito in Svizzera, nella sede della FIFA e alla nazionale vincitrice viene consegnata la copia laminata in oro.
dell’Economia Creativa per una sfida di design: 10 palloni da calcio trasformati e rielaborati da una squadra di designer italiani under 35 chiamati a cogliere l’essenza del progettare all’italiana. Guidati da Giulio Iacchetti, nel ruolo di “allenatore”, e da Francesca Molteni, “direttore sportivo”, i designer coinvolti in “Design nel Pallone” sono: Federico Angi, Paolo Cappello, Maddalena Casadei, Chiara Moreschi, Brian Sironi, Alessandro Stabile, Vittorio Venezia, Giorgia Zanellato, Zaven, Matteo Zorzenoni. Punto di partenza il pallone Super Santos, uno dei giocattoli più conosciuti e diffusi nella larga distribuzione, nato nel 1962 dall’idea di un dipendente di un’importante azienda italiana produttrice di giochi, dopo la vittoria del Brasile nei Campionati del Mondo.
Paolo Cappello,Stolinho
Replica della coppa Rimet di Sebastiano Calì di Catania
Enrica Cavarzan e Marco Zavagno, Banda
Giorgia Zanellato, Attrazione
Vittorio Venezia, Ariaperta
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CALCIO DI STILE
L'ELEGANZA scende in campo Il peso del pallone nel nostro Paese spinge le maison a sponsorizzare i look dei giocatori, che diventano veri e propri modelli di lifestyle. Testo di MARCO MAGALINI (1) (2)
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e in Italia esistono ben tre quotidiani interamente dedicati allo sport (per non dire al calcio), significa con tutta evidenza che il fenomeno soccer ha un suo peso a dir poco rilevante. La conseguenza diretta è una corsa contro il tempo, per le case di moda, per aggiudicarsi il monopolio di stile sulle squadre e i loro giocatori. Ecco che divise tecniche da gioco firmate da brand dello sportswear e divise ufficiali disegnate dai grandi nomi della sartoria italiana diventano modello di buongusto. Ci sono addirittura marchi che hanno fatto del modello calcistico il loro punto di riferimento, come Dirk Bikkembergs, che dal 1986 ha intuito l’enorme potenziale che il soccer aveva in termini di impatto lifestyle collettivo. Anche la storia tra Dolce&Gabbana e il pallone è ormai cosa del tutto ufficiale: sponsor dal 2006, il marchio ha creato le divise della Nazionale Italiana di Calcio per i Mondiali Brasile 2014. Il guardaroba è completo: look formali, casual e accessori a tutto il team. Parlando di stile, la divisa formale rivisita la tradizione sartoriale del marchio che trova espressione nell’abito a tre pezzi e fit Martini realizzato in fresco di lana blu navy. La giacca a due bottoni è caratterizzata da rever punta a lancia, da bottoni della stessa tonalità del tessuto e dal piping interno azzurro per celebrare i colori della Nazionale. La camicia è rigorosamente bianca, con bottoni in vera madreperla e polso smussato. La cravatta presenta un inedito tricolore italiano posizionato in verticale e in tutta la sua lunghezza per onorare l’Italia anche nello stile. Scarpe stringate in vitello nero e cintura abbinata completano il look. Eguale approccio tailor-made anche per Lubiam, che ha scelto una squadra siciliana: il Catania Calcio. Per studiare a pieno le necessità dei campioni Demetrio Cogliandro, responsabile del servizio su misura
di Lubiam, aveva trascorso cinque giorni con i giocatori e seguito passo dopo passo la realizzazione dei capi. “Per noi, azienda storica con cento anni di tradizione, il futuro è quello di aggiornarsi e di seguire anche la parte più giovane del mondo classico e una partnership come quella con la squadra rossazzurra è sicuramente un modo per esprimere al meglio le potenzialità di un servizio chiave come il su misura, su cui l’azienda sta puntando moltissimo – aveva raccontato”. I completi, rigorosamente made in Italy e dalla matrice inconfondibilmente sartoriale, sono stati realizzati con due diverse vestibilità: slim, più asciutta e sciancrata per i giocatori, e taylor, dal sapore più classico, per i dirigenti. Anche Replay entra nel mondo del calcio in qualità di sponsor ufficiale di abbigliamento calzature del FC Barcelona realizzando per i giocatori e per lo staff del Barça gli esclusivi abiti formali e una linea smart casual. In occasione delle uscite ufficiali i giocatori e lo staff del FC Barcellona indossano gli outfit formali: due total look caratterizzati dal colore indaco, da vestibilità asciutte e da tessuti innovativi che, reinterpretando il denim, ridefiniscono il concetto di eleganza. Mentre per la linea casual il pezzo forte sono i jeans Replay Denim Zero° con vestibilità regular a quattro bottoni, ottenuti con l’innovativo trattamento a cristalli di ghiaccio, tecnologia a basso impatto ambientale che consente un significativo risparmio energetico ed una riduzione del 90% del consumo d’acqua. Ogni denim è caratterizzato da una salpa in pelle con placca FC Barcelona e dai colori ufficiali del Barça, blu e granata, sul passante anteriore. Tra i tanti altri esempi di soccer passion, Brooks Brothers che veste l’Inter, Trussardi la Juventus e Hugo Boss, sponsor ufficiale dello stile della nazionale tedesca, anche ai mondiali.
1. LA NAZIONALE ITALIANA AI MONDIALI VESTITA DA DOLCE&GABBANA 2. IL CATANIA IN LUBIAM 3. LA NAZIONALE TEDESCA IN HUGO BOSS 4. I GIOCATORI DEL BARCELLONA IN REPLAY 5. LA JUVENTUS IN DIVISA TRUSSARDI 6. FREDY GUARÍN DELL' INTER IN BROOKS BROTHERS
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UN LIBRO BENEFICO In occasione dei mondiali, Dolce&Gabbana pubblica un libro fotografico che raffigura i giocatori della Nazionale con sia la divisa composta dal tradizionale abito tre pezzi. Il libro andrà a sostenere un progetto benefico promosso da FIGC: la ‘Fundaçao Vida a Pititinga’ (www.pititinga.org), Onlus fondata nel 2004 nel Nord Est del Brasile con lo scopo di raccogliere fondi per offrire aiuto concreto alla comunità di Pititinga, un piccolo villaggio di pescatori situato a 65 km da Natal, capitale del Rio Grande, dove la Nazionale italiana giocherà il 24 giugnocontro l’Uruguay. Il volume sarà protagonista di speciali vetrine nelle principali boutique Dolce&Gabbana nel mondo a partire dall’inizio del Campionato Mondiale.
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Futbolandia 12
A colpi di STADIO
Se le squadre straniere hanno la loro “casa”, in Italia gli stadi di proprietà sono ancora pochi. Un passo importante che implica un cambiamento nella mentalità, nel marketing, nel merchandising, nella gestione della sicurezza. Testo di BENIAMINO FRANCESCHINI
Un rendering del progetto del nuovo stadio della Roma e in basso l'esterno dello stadio Allianz Arena sede del Bayern Monaco.
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a anni gli stadi di proprietà sono invocati come soluzione alle problematiche del calcio nostrano e meta inevitabile per mantenere il passo a livello internazionale. Se si pensa alle maggiori squadre europee, è automatico avere di fronte l’immagine delle loro “case”: Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Manchester United, Arsenal e Chelsea, oltre a Borussia Dortmund, Tottenham, West Ham, e addirittura Osasuna ed Everton. In sostanza, fuori dal nostro Paese possedere un impianto è per i club una circostanza diffusa, poiché consente di gestire con autonomia e organicità il destino dei propri interessi. In Italia la situazione è più complicata. Analizzando le squadre di Serie A – ed è bene sottolineare la voce autorevole del presidente di Lega B, Andrea Abodi, per una svolta – per ora soltanto la Juventus e il Sassuolo dispongono di uno stadio di proprietà, costruito di sana pianta il primo, acquistato il secondo. In dirittura d’arrivo è il nuovo campo dell’Udinese. Tra gli altri club, il Milan ha espresso una manifestazione d’interesse per alcuni lotti nell’area Expo 2015, mentre l’Inter è ferma alla sola intenzione. A Firenze resta aperta la diatriba tra i Della Valle e il Comune. Il Napoli pensa all’ammodernamento del San Paolo. A Cagliari c’è un contenzioso con strascichi penali. Più avanzato è il cammino della Roma, perché il presidente James Pallotta ha presentato recentemente in Campidoglio il pro-
getto per la costruzione di un ampio complesso a Tor di Valle, con un investimento privato di circa 1 miliardo di euro (300 milioni per lo stadio, 700 per le infrastrutture) sostenuto dalla partecipazione di importanti soggetti internazionali, da Nike a Goldman Sachs, passando per Disney. Al momento, pertanto, sono in corso le valutazioni da parte del Comune di Roma e della Regione Lazio. La Legge di Stabilità del Governo Letta (n. 147/2013) stabilisce infatti che i promotori dei progetti per la realizzazione di impianti sportivi (non solo calcistici) debbano ricevere l’approvazione prima dell’Amministrazione comunale entro 90 giorni, quindi di quella regionale entro 180 giorni. Lo studio deve prevedere anche le infrastrutture e le opere pubbliche connesse, ma non è possibile attuare un principio di compensazione che garantisca ai costruttori privati concessioni per edilizia residenziale. Quest’ultimo punto, teso teoricamente a evitare speculazioni, è tuttora considerato controverso dalle società e dagli organi di governo del calcio, ma così è: sì ad attività commerciali e servizi nell’area dello stadio, no a case e palazzi. La speranza è che il movimento d’opinione per la realizzazione di campi di proprietà non sia soltanto una tappa congiunturale del dibattito per deviare l’attenzione dalle reali problematiche del nostro pallone, in crisi politica (nel senso etimologico del termine) ed economica, prima ancora che di risultati. Possedere un impianto sportivo significa in-
nanzitutto modificare radicalmente la mentalità, affrontando una completa rivoluzione nel marketing, nel merchandising, nell’amministrazione del marchio, nella gestione della sicurezza. A fronte di un calo degli spettatori dovuto alla fatiscenza dei nostri stadi e al rischio per l’ordine pubblico, il modello europeo garantirebbe ai club il ritorno della gente – l’aumento degli abbonamenti allo Juventus Stadium è emblematico, – con una diversificazione degli introiti e migliori orizzonti imprenditoriali, senza che si debba continuare a ripiegare solo sui diritti televisivi. Il tutto parallelamente a una conseguente modificazione del rapporto con le curve (le società avrebbero responsabilità piena nel contrasto alla violenza) e a una nuova disciplina fiscale che consideri investimenti e utilità sociale. Il grande distacco rispetto all’Europa occidentale è nelle lacune a ogni livello che mantengono il nostro sistema calcistico fuori dal tempo. La priorità – anche per i tifosi – è raggiungere la consapevolezza che lo stadio debba essere vissuto quotidianamente dalla comunità. Di per sé non conta se si ottiene questo obiettivo tramite parchi commerciali o zone di memoria storica: gli scopi sono da un lato integrare gli impianti sportivi nel tessuto urbano, dall’altro lato liberare il calcio italiano dai disastri delle bombe carta e dei collassi fiscali, rendendo i club realtà dinamiche e multidimensionali. I risultati sul campo, nel frattempo, possono attendere.
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Schedine
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OLTRE 65 ANNI SULL'ONDA DELL'INNOVAZIONE
Dall’INVENZIONE della schedina Sisal a Sisal.it
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rande appassionato di sport e di calcio in particolare, il giornalista triestino Massimo Della Pergola nel 1938 è stato espulso dall'albo professionale e costretto a lasciare La Gazzetta dello Sport. La sua colpa: essere ebreo. Da lì a qualche anno, venne anche obbligato a lasciare il Paese. Fu internato in Svizzera come clandestino, numero 21915, in un campo di lavoro a Pont de la Morge, vicino a Sion, nel Valais. Correva l’anno 1943 ed era in corso il secondo conflitto mondiale. Della Pergola aveva trentun anni e mille idee nella sua testa vulcanica. Fu lì, in un campo di lavoro svizzero, che nacque l’intuizione del gioco a pronostici più amato dagli Italiani, quello che ha fatto sognare con i suoi ricchi premi generazioni su generazioni. L’idea della schedina poté essere concretizzata solo diversi anni dopo, a guerra finita e, soprattutto, con la ripresa del campionato di calcio. Insieme ai colleghi Fabio Jegher - scrittore, armatore, produttore cinematografico, ippico e comproprietario, con il fratello Giorgio, dell’ippodromo di Trieste – e Geo Molo – radiocronista per la svizzera romanza, fra i primi in Europa, editore di giornali sportivi – fondò la Sisal, ottenendo dal CONI l'incarico di "attivare, organizzare e gestire" un concorso a pronostici sulle partite di calcio, i cui ricavi avrebbero contribuito alla ricostruzione degli stadi danneggiati dalla guerra. La prima schedina Sisal ha
data del 5 maggio 1946. Settimana dopo settimana gli Italiani si appassionarono sempre più al gioco dell'1x2 e la compilazione della schedina divenne un rito obbligato del sabato, al quale seguiva il certosino lavoro degli scrutinatori che, la domenica sera, verificavano a mano i tagliandi di gioco, uno ad uno. L’idea, nata per gioco oltre 65 anni fa, è divenuta presto sinonimo di svago e voglia di stare insieme, elementi che caratterizzano ancora oggi il grande impegno di Si-
sal volto ad offrire ai propri consumatori occasioni di gioco e divertimento sempre nuove ed al passo con i tempi (Totip, Superenalotto, Scommesse Sportive, Win for Life, EuroJackpot). Fortemente ancorata all’innovazione, Sisal ha implementato e sviluppato una delle più importanti infrastrutture tecnologiche italiane: da una rete capillare con decine di migliaia di punti vendita collegati ad un ambiente digitale che veicola l’offerta di gioco anche online.
L’offerta digitale - web e mobile - veicolata tramite Sisal.it, il portale di gioco del Gruppo, è ad oggi un’area significativa e si caratterizza per la sua completezza e l’attenzione all’esperienza di gioco del cliente: oltre 265 giochi (Scommesse, Casino e Slot, Poker, Skill e Quick Games, Lotterie, Bingo e Virtual Race), grafica accattivante, aggiornamento costante dei contenuti di gioco, accesso immediato all’area riservata, sono gli ingredienti principali del suo successo. Il design e l’architettura informativa sono il risultato di un processo continuo di studio ed aggiornamento sui percorsi di navigazione e di una continua e rinnovata indagine condotta anche attraverso la collaborazione degli stessi giocatori. L’offerta di gioco online, disponibile anche mobile con app dedicate per prodotto, è garantita da certificazioni da parte di enti terzi e da un continuo innalzamento degli standard di sicurezza e protezione dei clienti, in linea con il Programma di Gioco Responsabile, punto cardine del Gruppo che, fin dalle sue origini, fonda il proprio successo su innovazione, responsabilità e sostegno al Paese.
Sopra i nuovi supporti digitali di Sisal. A fianco la prima schedina.
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Place of Myth 19
MARACANÀ più che uno stadio, un,icona Protagonista dell'immaginario collettivo di milioni di appassionati di calcio, pochi altri luoghi al mondo sono diventati il simbolo di un Paese e una leggenda per il mondo. Testo di FEDERICO BERTANI
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Un dettaglio dello stadio Maracanà di Rio de Janeiro nel 1950 e in basso lo stesso stadio nel 2014.
hiamare uno stadio “tempio del calcio” è un luogo comune, ma ce n’ è uno cui non si può rifiutare questo appellativo: il Maracanà di Rio de Janeiro. Non è semplicemente uno stadio: è qualcosa di sacro, quasi di divino per un popolo, quello brasiliano, che fa del calcio una sorta di religione profana. Una religione che sconfina nel sacro, come mostrano le messe celebrate, in più occasioni, da Giovanni Paolo II nel Maracanà stesso, o la spettacolare vista del Cristo Redentor sulla collina del Corcovado, a brevissima distanza. Uno stadio, in realtà, più che celebre: una leggenda. La Mecca degli appassionati di calcio brasiliani e non solo, devi andarci almeno una volta nella vita. Appena entri, l’adrenalina sale alle stelle e le pulsazioni vanno a mille. Ufficialmente il suo nome è Estádio Jornalista Mário Filho, ma da tutti è conosciuto come Maracanà, dal nome di un fiume locale che a sua volta trae il proprio appellativo da una specie di pappagallo dal piumaggio, non a caso, verdeoro, come la nazionale brasiliana, altro segno del fortissimo valore simbolico che questo stadio ha per il paese. Costruito nel 1948, nel 1950 ospita la sua prima partita, la gara d'esordio dei Mondiali disputati nel paese sudamericano (che vede un brillante successo della nazionale brasiliana per 4-0 contro il Messico). Fin dal momento della sua costruzione, il Maracanà ha qualcosa di speciale: è il più capiente stadio del mondo (sebbene non lo sia più oggi, a causa di opere di ristrutturazione per il miglioramento della sicurezza), con i suoi 165.000 posti originari e una capienza che arriva ai 200.000 spettatori della finale degli stessi Mondiali del 1950. Proprio a questa occasione è legato un episodio drammatico della storia del calcio brasiliano, il cosiddetto Maracanaço, ovvero “dramma del Maracanà”, a lungo una ferita nei cuori
dei tifosi brasiliani. 16 luglio 1950, al Brasile basta battere l'Uruguay per aggiudicarsi il titolo di campioni del mondo; la nazionale brasiliana parte con i favori del pronostico, anzi, i brasiliani sono certi di vincere. Alla vigilia del match, già ci sono festeggiamenti che assomigliano a quelli, di cinque mesi prima, del Carnevale. Le prime pagine dei quotidiani esaltano la squadra, sicuri che quella compagine conquisterà il trofeo. Qualcosa, però va storto: nelle parole del presidente della Fifa di allora, Jules Rimet, «Era stato tutto previsto, tranne la vittoria dell'Uruguay». Una vittoria, quella uruguaiana, per 2-1, dopo che è stato il Brasile stesso a passare in vantaggio: una tragedia per l'intero Brasile, e una tragedia non solo sportiva. Infranto il sogno di vincere il primo Mondiale della storia nella nazionale sudamericana davanti ai propri tifosi, l'evento rappresenta un autentico dramma umano: si parla di almeno una decina di decessi per infarto all'interno dello stadio, oltre ai suicidi di due tifosi gettatisi dagli spalti. Molti hanno scommesso gran parte dei propri beni sulla vittoria della nazionale verdeoro: verranno certificati 34 suicidi e 56 morti per arresto cardiaco in tutto il Brasile. Qualche curiosità per capire quanto la sconfitta sia giunta inaspettata: la Federazione brasiliana aveva già fatto coniare medaglie d'oro commemorative per la propria squadra, il presidente FIFA Rimet aveva preparato un discorso in portoghese per complimentare la vittoria brasiliana, e alla premiazione dei vincitori non è stato suonato l'inno uruguaiano, poiché alla banda non è stato consegnato lo spartito. Tra i titoli dei giornali brasiliani dell'indomani c'era “La nostra Hiroshima”. La storia del Maracanà è fatta anche di tanti momenti gioiosi per il popolo brasiliano, come il millesimo gol del mito brasiliano Pelè, o i numerosi centri di Zico, il calciatore che detiene
il record di segnature nel Maracanà. Lo stadio, però, non è stato teatro di soli eventi sportivi: ricordiamo i concerti di cantanti quali Frank Sinatra, Paul McCartney, Madonna, o le visite di Papa Wojtyla cui abbiamo già accennato. Insomma, più che uno stadio, un'icona; negli ultimi anni lo stadio è stato interessato da lavori di ristrutturazione per prepararlo a ospitare la Confederations Cup, svoltasi in Brasile a giugno 2013, i Mondiali di quest'anno che avranno sempre luogo nel paese sudamericano, e le Olimpiadi e Paraolimpiadi che saranno ospitate dalla stessa Rio de Janeiro nel 2016. Grande attenzione è stata posta sulla questione della sicurezza: i posti disponibili sono stati ridotti a circa 73.000, e si calcola che la struttura attuale permetterebbe di evacuare lo stadio in appena otto minuti in caso di emergenza. In molti temono che, attraverso queste modifiche, il fascino del “vecchio” Maracanà sia condannato ad essere perduto: al pubblico brasiliano la sfida di restare all'altezza del calore e dell'entusiasmo che hanno fatto dello stadio di Rio un protagonista dell'immaginario collettivo di milioni di appassionati di calcio.
CARTA D'IDENTITÀ Nome: Estádio Jornalista Mário Filho Luogo: Rio de Janeiro, Brasile Inaugurazione: 16 giugno 1950 con la partita tra le rappresentative di Rio de Janeiro e San Paolo, 1-3 Capacità attuale: 73.531 secondo la FIFA (165.000 nel 1950) Dimensioni del campo: 105 m x 68 m
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Glamour Fans 21
GENTE DA STADIO
Mondiali Politically Correct Il calcio è uno strumento moderno di coesione sociale e forte identità nazionale. Politici e sovrani di tutto il mondo si uniscono alle masse. Di MARCO MAGALINI
La Regina Elisabetta d'Inghilterra incontra la formazione tedesca, il Re (ex) di Spagna Juan Carlos premia la Roja e Nicolas Sarkozy allo stadio con Leonardo e Nasser Al Khelaifi.
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Il calcio unisce generazioni, corone e sforzi economici ingenti. Un esempio celebre è quello legato al Duca di York, incoronato Giorgio VI, che dedicò un'area del suo Wembley Park Golf Club alla costruzione dell’Empire Stadium. Si tratta di una struttura che doveva rendere gloriosa la nazione in dell'Esposizione dell'Impero Britannico del 1924. Il primo evento che ospitò fu la finale della FA Cup di quell'anno durante la quale si raggiunse la capacità massima, pari a 126.945 spettatori, un record da allora imbattuto. Arrivando ai giorni nostri, i Royal fans non si fanno attendere. Tra gli esempi più in vista, le teste coronate spagnole Juan Carlos, la regina Sofia e il principe Felipe che, in occasione della vittoria della prima Coppa del Mondo in Sudafrica nel 2010, aveva ringraziato la Roja (il soprannome dato alla squadra iberica) per aver fatto vibrare tutta la Spagna e aver realizzato uno dei loro sogni. Nella storia rimarrà la chiusura del suo discorso: "viva la seleccion, viva Espana" e il bonus economico di 600.000 euro dato ad ognuno dei 23 giocatori della nazionale spagnola. Anche la Regina Elisabetta, secondo indiscrezioni, sarebbe una tifosa di calcio. La notizia è trapelata qualche tempo addietro e la schiererebbe tra i più discreti sostenitori dell'Arsenal. Una fonte anonima della casa reale avrebbe detto che la sovrana sarebbe una tifosa da almeno 50 anni e che anche sua madre era tifosa dei Gunners e ammirava l'ex giocatore Denis Compton. Più certo è invece il fatto che si sia mossa per la tutela di un côté più sociale. Ha infatti premiato l’ex calciatore professionista Aslie Pitter per il costante impegno nell’affermazione dei diritti lgbt in Gran Bretagna e per la tenace lotta all’omofobia che da sempre lo contraddistinguono. Tra i politici non coronati, il cancelliere tedesco Angela Merkel che, nel maggio scorso, ha preso parte alla finale di Champion's League tra Borussia Dortmund e Bayern Monaco. Non si sa per che team abbia tifato, ma è noto alla cronaca che il suo preferito sia Bastian Schweinsteiger, centrocampista del Bayern e della Nazionale tedesca. Tempi duri invece per il tifoso Monsieur Sarkozy, che, secondo la rivista France Footbal, nel 2010 avrebbe organizzato un pranzo segreto con, tra gli altri, il principe del Quatar per influenzare i vertici del calcio mondiale e caldeggiare l'assegnazione dei mondiali del 2022 al Qatar, che oggi detiene il Paris Saint-Germain. Tra gli italiani non possono mancare Matteo Renzi, fan sfegatato della Fiorentina, e Silvio Berlusconi, indiscusso leader del calciomercato dai tempi in cui mosse i primi passi in Serie A. Gary, lo zio di Kate Middleton, infine, in una intervista al rotocalco inglese Sun ha fatto sapere che per la nascita del piccolo bebé reale ha regalato delle azioni del Chelsea. Certamente per non incappare in regali doppi, vista l’abbondanza di cadeau al piccolo, ma anche come azione goliardica nei confronti di William, accanito tifoso dell’Aston Villa. @magalinimarco
Post Stadium Look 22
Look DA CAMPIONE
Icone di stile senza tempo, oltre che atleti fuori classe. I calciatori mantengono un appeal da vere star. Testo di MARCO MAGALINI
Dall'alto in senso orario Paul Breitner, George Best, Socrates e Antognoni, Gigi Meroni.
“L
a prima regola, e forse l'unica, del buono stile è che si abbia qualcosa da dire: con questa regola si va lontano!”. Con queste parole Arthur Schopenhauer definiva lo stile. Qualcosa da dire appunto, oltre la griffe pura e semplice. Per definire una storicità dello stile fuori dal campo da calcio occorre fare un passo indietro negli anni, con un flashback nei Quaranta dell'hipster style. Passione per il vintage, stampe iconiche comprese, e grande adorazione per la musica di nicchia. Oltre che la palese disapprovazione per tutto ciò che è di massa. Tra i più alternativi Joey Barton, l'ex giocatore del Manchester City, fan sfegatato degli Smiths (il gruppo alternative rock inglese nato nel 1982), Paul Breitner, George Best, Gigi
Meroni o il pluridiscusso Gianfranco Zigoni (per alcuni suoi comportamenti piuttosto bizzarri). Per avvicinarci ai giorni nostri, non si possono non citare i completi eleganti e gli accessori raffinati di Pelè (nel giugno 1994 Goodwill Ambassador dall'UNESCO) e Maradona, il Pibe de Oro, il cui stile fuori dal campo si è sempre contraddistinto per un’eleganza che potremmo definire a dir poco creativa. È passata alla storia la mise di Maradona che indossa un intero completo a pois, con tanto di camicia abbinata, in occasione di una premiazione. Look tra l’altro ripreso da Messi per ritirare il quarto Pallone d'Oro, indossando una giacca a pois di Dolce&Gabbana. Giungendo invece al presente, il campione di stile è da più fronti considerato
David Beckham, il giocatore-leggenda che ha dichiarato di lasciare il campo. Ed ora? Dopo aver appeso le scarpette al muro nel momento in cui era all’apice della sua carriera, il player è candidato ad ambasciatore dei mondiali del Qatar e non si esclude che possa addirittura comprare una squadra. Ma non si penserà a Beckham solo come calciatore, ma soprattutto come icona di stile timeless: marito di Victoria, l’ex Spice Girls, padre di quattro bimbi (Harper Seven, Brooklyn, Romeo e Cruz), modello, fashion victim, testimonial di stilisti celebri. Chi non ricorda l’acconciatura codino e orecchini di brillanti sfoggiata a Tokyo nel 2003, o la campagna di underwear Emporio Armani del 2008 e di H&M, i tantissimi look griffati Burberry, Lanvin,
Louis Vuitton o Belstaff ? Zlatan Ibrahimovic è poi il portavoce dell’hairstyle. Non si contano i tagli di capelli che nel corso del tempo si sono succeduti. Per non parlare del grande ego, che ha portato l'attaccante del Paris Saint-Germain a dire del collega Beckham: “Sono certo che si ispirerà al mio modo di essere e vestire”. Continuando sul filone street, non possiamo non parlare del giocatore olandese Clarence Seedorf, icona di stile contesa nei parterre di ogni evento, come le sfilate di John Richmond o Louis Vuitton a Parigi, o di Kevin-Prince Boateng, il calciatore tedesco naturalizzato ghanese, centrocampista del Milan. Una gran parte del suo appeal deriva dal suo impegno di cuore con Melissa Satta, l’ex velina. @magalinimarco
Comunicazione 23
Comunicazione a tutto tondo La gestione dell’immagine di ogni calciatore deve essere a 360°. Intervista a Carlo Diana, Direttore Generale di Reset. Testo di GIOVANNA CAPRIOGLIO
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calciatori, si sa, possono essere delle vere e proprie star. David Beckham e Cristiano Ronaldo sono l’esempio più lampante di come unire alla performance sportiva una strategia di marketing ben ponderata. In Italia, invece, la gestione dell'immagine dei calciatori è sempre stata storicamente in mano ai Club, a differenza, ad esempio, dell'Inghilterra, dove ogni calciatore ha un manager che lo segue, affiancando la figura del procuratore. In questo scenario sono ancora pochi i giocatori che affidano la propria immagine a una società specializzata, anche perché, nonostante il mercato si stia evolvendo, sono ancora solo i top players a sentirne la necessità. La Juventus è stato senza dubbio il primo Club ad avere una gestione più evoluta dei suoi giocatori. Davide Lippi, procuratore tra i più affermati in Italia, che con la società ha collaborato molto, è stato il primo a capire la necessità di affiancare alla sua competenza anche quella di esperti di marketing e di comunicazione come Carlo Diana, con il quale ha fondato nel 2007 la Reset, che si occupa di gestire l'immagine di molti sportivi ed offrire alle società servizi di consulenza per campagne di comunicazione multi canale. Ma come si costruisce l'immagine di un calciatore a livello "commerciale"? “È necessario partire da ricerche di mercato mirate”, conferma Carlo Diana, che con l’agenzia Reset cura molte campagne di comunicazione e ha la piena gestione di molte stelle dello sport, tra tutti Giorgio Chiellini, Gianluigi Buffon e Marcello Lippi. “Ogni giocatore deve capire prima di tutto che tipo di pubblico attira e su questo va costruita la sua immagine e vanno avvicinate le aziende in target”. La Reset si occupa di fare un grande lavoro di promozione dei propri calciatori verso le aziende, essendo anche in grado di studiare e proporre loro delle vere e proprie campagne di
comunicazione, attuando un lavoro a tutto tondo, dall’immagine reale a quella dei social network di ogni personaggio. “La comunicazione diretta attraverso i social network è indubbiamente fondamentale, anche se in Italia il web rappresenta ancora solo il 10% della quota di mercato – continua Diana – in quanto con i social si dialoga direttamente con il pubblico e soprattutto si riesce a dare un valore diverso a ciò che il calciatore dice e indossa, poiché ha un percepito molto più reale di quanto non lo sia una comunicazione istituzionale, come quella della pubblicità classica”. Per ciascuno dei suoi clienti Reset cura tutti i profili dei social network, accorpando persino i “fake profiles” grazie ad un accordo quadro con Facebook, a testimonianza della fondamentale importanza di mantenere una coerenza nella comunicazione e nell’immagine di ciascun personaggio. Un esempio è Giorgio Chiellini, molto seguito su Facebook e Twitter, con rispettivamente 1.3 e 1 milione di followers e per questo molto apprezzato dalle società che si occupano di tecnologia. “Senza dubbio le campagne pubblicitarie e i concorsi a premi fanno ancora la parte del leone nella comunicazione, ma i social network e Youtube in particolare, non ancora così sviluppato ma su cui io credo molto, stanno diventando sempre più rilevanti”, conferma Diana, che conclude: il lusso, invece, nonostante sia ancora un settore che guarda con un certo distacco al mondo del calcio, grazie all’evoluzione della comunicazione può contare su esempi di grande successo, uno tra tutti la campagna che ha visto il pallone d’Oro Messi collaborare con Dolce&Gabbana.
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1. GIORGIO CHIELLINI TESTIMONIAL DI M&M'S. 2. CARLO DIANA, DIRETTORE GENERALE RESET. 3. MARCELLO LIPPI IN UNO SCATTO DEL LIBRO. 4. LEO MESSI POSA PER DOLCE&GABBANA IN UNO SCATTO PUBBLICATO NEL LIBRO EDITO DA RIZZOLI. 5. LA COVER DEL LIBRO, DOLCE&GABBANA, LION ANDRÉS MESSI CON FOTOGRAFIE DI DOMENICO DOLCE.
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Videogame e calcio: dal realistico al troppo reale
Il gioco virtuale è a pieno titolo una componente, anche economica, del pallone moderno. Testo di BENIAMINO FRANCESCHINI
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videogiochi sul calcio sono ormai una pietra miliare nella formazione delle generazioni post-1968: dagli interminabili tempi di caricamento delle prime console, alla potenza della PlayStation, passando per le manopole unte delle sale giochi e i tornei dal sangue amaro tra amici, il calcio virtuale è a pieno titolo una componente – anche economica – del pallone odierno. Attrazione per i più e meno piccoli, i videogame hanno allietato pomeriggi e sere, rafforzato o incrinato amicizie – perché sullo 0-4 cominciano a volare i joystick, – portato coppie sull’orlo della crisi, al punto che un adagio rivolto alle signore recita lapidario: «Se il vostro uomo sospende la partita per ascoltarvi, allora è vero amore». Comunque sia, il virtual football è tra noi da almeno trent’anni, permettendo ai giocatori di immedesimarsi nei migliori calciatori o in un re del mercato, oppure di prendersi cura della propria squadra locale dalla Lega Pro alla Champions League – e se si perde la finale è anche meglio, perché il racconto è più epico. Trent’anni di costante progresso, si diceva: era il 1983 quando esordì International Soccer, per Commodore 64 – la preistoria. Si inseriva la cassetta. Si scriveva «load». Si attendeva. Si ascoltava Beat it. Si attendeva. Si faceva merenda. Quindi finalmente arrivava il momento di giocare. La rivoluzione cominciò negli anni Novanta, in concomitanza con il termine del bipolarismo internazionale e il passaggio alla nuova generazione di console: Player Manager (prodromo del genere manageriale), Kick Off 2 e Sensible Soccer. Nel 1993 il dirompente FIFA International Soccer di Electronic Arts (EA), il primo della serie FIFA, fu il definitivo balzo nella modernità: grafica e gameplay strabilianti per l’epoca, un avanzamento superiore rispetto alle previsioni. Nello stesso periodo, seppur con un’ eco minore, fu realizzato anche International Super Soccer, della Konami, antesignano di Pro Evolution Soccer (PES), gigante dei nostri giorni del quale già si intravedeva l’attenzione alla giocabilità. Per tutto il decennio la sfida tra EA e Konami si risolse a vantaggio della prima (FIFA 98 Road to World Cup è un capolavoro), ma col nuovo secolo la situazione s’invertì. PES (che secondo i Club Dogo tiene «lontano dallo stress») offriva infatti una maggiore complessità soprattutto con le eccellenze delle versioni 5 e 6: intelligenza artificia-
Vita Lifestyle shoot, PlayStation.
le molto cauta, grande realismo, necessità di tecnica da parte dei player, nonostante qualche debolezza sulla parte visiva. Konami, comunque, non riuscì a innovarsi negli anni successivi, cosicché dal 2009 il mercato sta assistendo al ritorno in forze della serie FIFA, che, dopo un iniziale testa a testa, ha definitivamente distanziato la concorrenza con le edizioni 2011-2012. Al di là di una grafica che ormai di poco differisce dalle immagini televisive, il videogame della EA dispone di sistemi estremamente raffinati, quali il Tactical Defending, che rende più verosimili i movimenti dei calciatori in prossimità dei portatori di palla avversari. La tendenza per il futuro è proprio in questa direzione: esasperazione del realismo e trasposizione delle leggi della fisica nel mondo virtuale. Il rallentamento del ritmo di gioco (introdotto da Konami nel 2005) in favo-
re di tatticismo e muscoli impone ai player lo studio del metodo e delle combinazioni, quasi come nei celebri scacchi tridimensionali di Star Trek. Per impegno, una sorta di sport parallelo. Tuttavia, qualcuno rimpiange i videogame fumettistici del passato dalle situazioni irreali. I veri intenditori, per esempio, si ricorderanno dell’amato/odiato cabinato Virtua Striker (SEGA), un gioco dalle mille tare che attribuiva a ogni goal un punteggio del quale nessuno comprendeva i criteri, stilando poi una classifica giornaliera oggetto di dibattito sulle spiagge. I portieri erano imbarazzanti e non era raro subire una rete con un colpo di testa da centrocampo, vedendo svanire nel nulla le 500 lire. A margine della sensazione di iperdosaggio tecnologico nella vita odierna, anche per i giochi comincia infatti a manifestarsi un’ indigestione da perfezionismo. Il calcolo infi-
nitesimale dei parametri e la qualità grafica muovono talvolta all’impressione che si stia confondendo la realtà con la fantasia, che i videogiochi stiano diventando qualcosa di dannatamente serio, ossia che, parafrasando Johan Huizinga, si stiano annullando la libertà dell’atto del gioco e il suo valore di evasione dal quotidiano delle leggi di natura, con il risultato che la tendenza alla perfetta replica del mondo tangibile sia percepita come una stucchevole sovrabbondanza di regole e informazioni – tutto troppo vero. In sostanza, per chi ha conosciuto il mondo prima della PlayStation, è come se l’esasperata ricerca della perfezione affidata a intelligenze artificiali infinitamente profonde trasmettesse un senso di minore spensieratezza, un costo d’ingresso troppo elevato, non da videogiochi, ma da sistemi d’intrattenimento videoludici.
LE APP DA NON PERDERE FIFA OFFICIAL APP
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Il countdown della World Cup 2014 in Brasile è ormai iniziato e la FIFA implementa la sua app ufficiale per quest’occasione. Risultati in tempo reale, con statistiche dettagliate sia delle squadre che dei singoli giocatori, e una maggiore interazione con i tifosi, sono gli ingredienti principali della “nuova” Fifa App. Gli appassionati di calcio infatti, possono seguire le loro squadre preferite e i FIFA.com Club members possono condividere online la propria visione sul calcio. Uno strumento che in pochi click vi consente di accedere a tutte le informazioni necessarie per essere sempre aggiornati con i campionati del mondo 2014.
Un‘app completamente gratuita scaricabile dall'App store, da Google Play e da Windows Phone Store. Un “tool” interattivo che fornisce a tutti gli appassionati di calcio una connessione 24 ore su 24 con la World Cup 2014. Oltre all’aggiornamento dei risultati delle partite, con One football Brasil potrete fare pronostici e votare il vostro giocatore preferito. Ovviamente l’animo social dell’app garantisce la condivisione online dei vostri commenti sui principali social network, ed eroga tutti i contenuti (video, testi, informazioni) in 15 lingue.
In vista dei campionati del mondo di calcio 2014, l’azienda Itnext ha sviluppato l’app Coppa del Mondo 2014 Pro, che permette ai tifosi di essere sempre aggiornati sulle news relative alla squadra azzurra. Uno strumento semplice con informazioni chiare e sempre aggiornate per non perdersi neanche un minuto dell’evento sportivo più importante dell’anno. Oltre a seguire l’Italia nei campionati mondiali l’app fornisce informazioni utili relative alle città e agli stadi brasiliani dove si svolgeranno le partite.
COPPA DEL MONDO 2014 PRO
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L’applicazione di uno dei siti più seguiti per conoscere i risultati di calcio in tempo reale con tutti i dati, rank presi globalmente da tutti i siti di questo mondo. 45 milioni di user che ogni mese utilizzano questi servizi e informazioni facendo parte di un grande network. In un anno quest’applicazione è stata scaricata da 2 milioni di persone, garanzia di efficienza e affidabilità. La versione attuale è gratuita e dà l’accesso illimitato ai punteggi del calcio internazionale. La versione futura sarà diversa poiché saranno introdotte nuove opzioni che si potranno aggiungere a pagamento.
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Libri 25
DI ANTONIO CABRINI
ATLANTE DEI MONDIALI 1930-2014 A CURA DI MASSIMO COPPOLA
BUR VARIA, 110 PAGINE, € 9,90
ISBN EDIZIONI, PP. 352, € 35.00
Ventidue voci raccontano i mondiali
Non aver paura di tirare un calcio di rigore
11 parole per diventare campioni (prefazione di Cesare Prandelli)
ntonio Cabrini, quello della A celebre filastrocca degli anni 80 - “Zoff, Bergomi, Cabrini, Gentile,
Collovati, Scirea, …” - ha riassunto se stesso e il calcio in undici parole chiave, decisamente valoriali, che danno luogo ad altrettanti capitoli di un volume molto godibile: si comincia con passione, si prosegue con gioco, talento, fatica, ascolto, istinto, paura, tenacia, mentalità, lealtà e stile. Ogni capitolo vede un’analisi interpretava che lo chiude, grazie ad efficaci interpretativa
dei mental coach che ne danno la chiave psicologica. Tra i termini chiamati in causa mancano sincerità e schiettezza, che il Bell’Antonio dei tempi andati mette in campo in ogni pagina. Cabrini parla a cuore aperto, ogni spunto riflette episodi e personaggi che hanno attraversato e segnato la sua vita di calciatore e di uomo, a partire dagli allenatori. Si scoprono i meriti di Babbo Nolli, l’uomo che per primo a Cremona gli diede fiducia, le straordinarie lezioni di Giovanni Trapattoni – epici i suoi discorsi nello spogliatoio - e l’umanità di Enzo Bearzot. Non a caso “Non aver paura di tirare un calcio di rigore”, il titolo del libro, fa esplicito riferimento al rigore malamente tirato a lato nella finalissima di Madrid, cui seguirono, nell’intervallo della partita, le parole del ct friulano: «Cabro, non hai capito che adesso, dopo il tuo errore, questa partita non la perdiamo più?». In tema di talento, di quel dono nascosto «che chi sa fiuta a prima vista», Cabrini garantisce che da solo non
basta. Senza disciplina, abnegazione, voglia di andare oltre i propri limiti non si arriva da nessuna parte. È vero però anche il contrario: con scarso talento non basta la sola forza di volontà. Un buon esempio viene da Platini, che passava ore ad allenare i tiri di punizione per i quali è diventato famoso e in direzione opposta Michel Laudrup, talento cristallino, cui difettava la costanza e lo spirito di sacrificio. Lasciando al lettore il gusto di analizzare parola per parola le convinzioni di Cabrini, filtrate dall’esperienza, ci piace qui ricordare il suo attuale ruolo di commissario tecnico della Nazionale femminile, cui dedica passaggi importanti: «Anche le donne, e non solo gli uomini, hanno piedi buoni! Ciò che cambia, naturalmente, è l’approccio del tecnico: con le donne, ancor più che con gli uomini, occorre mettere il talento a proprio agio. Le calciatrici vanno convinte, bisogna conquistare la loro testa per ottenere la magia dei loro piedi». Sergio Meda
DI SERGIO MEDA EDIZIONI DEL CAPRICORNO , PP. 148 E 191 IMMAGINI, € 9,90
CAMPIONI, quattro volte mondiali SERGIO MEDA
V
Cover del libro.
entidue scrittori contemporanei raccontano venti coppe del Mondo tracciando una mappatura dell’evento sportivo che più di ogni altro è divenuto nel tempo un fenomeno sociale in grado di catalizzare il contemporaneo.Ventidue voci narranti che esplorano le venti leggendarie edizioni calcistiche tenutesi dal 1930 in poi, lasciando spazio al ricordo di incontri, personaggi e curiose avventure. Un Atlante dei Mondiali creato ad hoc, in occasione del tanto atteso appuntamento in Brasile, per celebrare la grande manifestazione calcistica che rappresenta insieme alle Olimpiadi, un evento sportivo in grado di influenzare il costume e di captare l’attenzione al livello planetario. Un esito straordinario e probabilmente lontano dalle aspettative di Jules Rimet, il dirigente calcistico passato alla storia per aver ideato nel lontano 1930 il moderno campionato mondiale di calcio. Una caleidoscopica visione sul calcio offerta da autori differenti per stile e approccio letterario: Mario Sconcerti, Massimo De Luca, Giancarlo De Cataldo, Paolo Condò, Gigi Riva Giorgio Porrà, Alberto Piccinini, John Foot, Tommaso Pellizzari, Simon Kuper, Massimo Coppola, Giuseppe De Bellis, Mario Desiati, Francesco Pacifico, James Montague, Fabrizio Gabrielli, Daniele Manusia, Cesare Alemanni, Tim Small, Simone Conte, Francesco Costa e Davide Coppo. Diana Barbetta
SERGIO MEDA milanese, classe 1949, giornalista professionista, è stato a lungo redattore della Gazzetta dello Sport. Ha poi fondato con Beppe Viola l’agenzia di comunicazione Magazine. Dopo felici esperienze nei territori della medicina dello sport (si è occupato dell’ufficio stampa di Also Enervit fra il 1984 e il 1989, seguendo le imprese di Francesco Moser, Reinhold Messner, Sara Simeoni e Maurizio Damilano), è rientrato in Gazzetta a metà degli anni Novanta, questa volta all’ufficio stampa delle manifestazioni in rosa, in particolare del Giro d’Italia, di cui ha retto le sorti sino al 2009, l’edizione del centenario. Dal 2003 è contitolare con il figlio Federico di Hand&Made, un’agenzia di comunicazione. Dirige il magazine on line di cultura sportiva www.sportivamentemag.it. Tra i suoi libri: Il mio Coppi (con Adriano Dezan, 1981), Un Mundial da favola (con Gianni Poli, 1982), Amici sportivi e non sportivi (con Dan Peterson e Franco Re, 1989), La Grande Enciclopedia dei Giochi Olimpici (cinque volumi, 1993) e Un secolo di passioni. Giro d’Italia 1909-2009 (2009). Per Edizioni del Capricorno ha pubblicato Ayrton Senna. Le immagini del mito (2014).
CAMPIONI QUATTRO VOLTE MONDIALI
SERGIO MEDA
CAMPIONI QUATTRO VOLTE MONDIALI 1934, 1938, 1982, 2006: per molti di noi, non sono date come tutte le altre. Sono i Mondiali di calcio vinti dall'Italia. In questo volume, uno straordinario racconto fotografico con immagini tratte dagli archivi ANSA ripercorre la storia della Nazionale nella massima competizione calcistica. Dalla fortissima squadra degli anni Trenta di Piola e Meazza, capace di vincere per due edizioni di fila sotto la guida di Vittorio Pozzo, all'epopea del Mundial spagnolo di Bearzot e Paolo Rossi, fino al gruppo inossidabile di Marcello Lippi, trionfatore in Germania contro tutto e tutti, gli avversari e i veleni di Calciopoli. E poi tutti gli altri Mondiali: gli anni difficili del dopoguerra, segnati da spedizioni fallimentari e polemiche; la rinascita di Mexico 70 e il leggendario 4-3 contro la Germania, «el partido del siglo», divenuto un mito sportivo senza confini; e ancora le delusioni degli anni Ottanta e Novanta, fra rigori sbagliati e squadre non sempre all'altezza; il mondiale giapponese-coreano di Byron Moreno e il naufragio sudafricano. Le partite, le azioni entrate ormai nell’immaginario collettivo, i personaggi simbolo, le curiosità, i momenti più emozionanti. Tutti i mondiali di calcio dell'Italia. Come non li avete mai visti.
CAMPIONI QUATTRO VOLTE MONDIALI
ISBN 978-88-7707-216-0
9 788877 072160
www.edizionidelcapricorno.com
€ 9,90
Campioni, quattro volte mondiali regala i momenti più emozionanti delle 19 edizioni sin qui disputate del torneo che ogni quattro anni calamita l’attenzione del mondo intero. Il volume racconta il romanzo del calcio per nazioni attraverso immagini selezionate dall’archivio dell’Ansa e un corredo, sintetico ma efficace, di testi a cura di Sergio
Meda che riepiloga, edizione dopo edizione, le curiosità, le evenienze sportive, sociali e talvolta politiche che hanno attraversato il Mondiale. Un unicum in Italia, un vero e proprio album di ricordi che riepiloga le istantanee che vanno dagli anni Trenta del Novecento a Sudafrica 2012, in una carrellata di immagini che raccontano le squadre e i protagonisti di autentiche prodezze - fenomeni come Pelé, Maradona, Platini o Ronaldo – ma anche di alcune nefandezze. I Mondiali si possono leggere in chiaroscuro, basta riferirsi agli arbitri che hanno agevolato il cammino della Nazionale di casa sino a orientare persino la vincitrice del titolo mondiale. In alcuni casi ne hanno fatto le spese gli azzurri: il britannico Ken Aston in Cile nel 1962 e l’ecuadoriano Byron Moreno nel 2002, quando il Mondiale si giocava in Giappone e Corea, ne hanno combinate ben più dell’ammissibile pur di agevolare il Paese ospitante. Il massimo dell’attenzione è ovvia-
mente dedicata ai quattro Mondiali vinti dall’Italia, di cui i primi due sono un concentrato di emozioni: i titoli vinti nel ‘34 e nel ’38 sono testimoniati da immagini in bianco e nero che ci consegnano un mondo remoto e sconosciuto ai più. E poi, passo dopo passo, dai Meazza e i Piola del condottiero Pozzo si arriva al Mundial spagnolo di Bearzot e Paolo Rossi, fino al gruppo inossidabile di Marcello Lippi, capace di andare nel 2006 oltre gli avversari e i veleni di Calciopoli. Non mancano le edizioni sottotono, in rapporto agli azzurri: gli anni difficili del dopoguerra, con spedizioni fallimentari e un’infinità di polemiche, la rinascita di Mexico 70 e il leggendario 4-3 contro la Germania, «el partido del siglo» non soltanto per noi; e ancora le delusioni degli anni Ottanta e Novanta, fra rigori sbagliati e squadre non sempre all'altezza. Un libro dapprima da sfogliare e poi da leggere con la massima attenzione. Gianni Poli
IN BREVE a cura di Diana Barbetta UN SECOLO AZZURRO Cent'anni di Italia raccontati dalla nazionale di calcio
Di Alfio Caruso Longanesi Editore, pp.592, € 18.80
Un secolo di storia visto attraverso lo sguardo del mondo calcistico. Cent’anni connotati da innumerevoli episodi storici e politici indissolubilmente legati alla realtà del calcio. Alfio Caruso focalizza la sua attenzione sul
complesso legame tra il pallone e la politica e le conseguenti ripercussioni sulla sfera sociale e culturale del nostro Paese. Episodi e retroscena che hanno caratterizzato il Novecento, un secolo protagonista di vittorie e sconfitte politiche che hanno messo in atto grandi cambiamenti. Il libro “Un secolo azzurro” racconta di episodi, come quello che vede protagonista Edoardo Agnelli, che nel 1925 spiega a Mussolini come poter espandersi politicamente in futuro, aprendo le porte del campionato ai figli degli emigrati in America. Il calcio come strumento o veicolo di propaganda politica, usato anche in certi casi per magnificare una fazione, come narra l’episodio del secco 3-0 dell’Ungheria sull’Italia nel delicato equilibrio politico italiano degli anni Cinquanta.
1982. IL MIO MITICO MONDIALE
Di Paolo Rossi e Federica Cappelletti Feltrinelli, pp. 256, € 8,50 Come dimenticare il leggendario mondiale di calcio del 1982? E soprattutto come dimenticare le ardite prodezze di Paolo Rossi? Dopo trent’anni il campione del mondo della Nazionale Italiana del 1982 si racconta, e lo fa attraverso il ricordo di quei mitici giorni che hanno non solo rivoluzionato la sua vita ma anche reso eterna la sua leggenda. Una vita professionale e privata pregna di ricordi, aneddoti che colorano il raccconto di quegli anni, fino a giungere alla finalissima tra Italia e Germania Ovest con cui la prima si aggiudica il campionato mondiale di calcio vincendo 3 a 1. Una vittoria rima-
sta nella memoria degli italiani, vissuta in un momento storico tra i più delicati, in cui tensioni e conflitti politici si alternavano al quotidiano, ma anche anni di grandi vittorie come quella vissuta dal protagonista di questo racconto. Paolo Rossi attraverso la sua coinvolgente narrazione ci porta indietro nel tempo, come inchiodati davanti al televisore, facendoci rivivere l’esultanza di quella ormai mitica vittoria.
DI CALCIO NON SI PARLA
Di Francesca Serafini Bompiani, pp. 144, € 10.00 “Di calcio non si parla” edito da Bompiani è l’ultimo romanzo dell’autrice romana Francesca Serafini, sceneggiatrice, linguista e grande tifosa sportiva che sceglie il tema del calcio come spunto per sviluppare una narrazione appassionante e coinvolgente. Una passione per la scrittura e per il calcio, tema che in questo libro si rivela essere fonte inesauribile di spunti, riflessioni e divagazioni non solo letterarie ma anche linguistiche. Un racconto ricco di contaminazioni, in cui ricordi autobiografici dell’autrice si intrecciano con suggestioni attinte dal mondo letterario per poi perdersi in digressioni saggistiche che spaziano dal cinema alla televisione. Una narrazione che
va a rafforzare la convinzione per cui il calcio non rappresenta semplicemente uno sport di squadra ma soprattutto un fenomeno sociale dalla grande forza attrattiva in grado di aggregare le forme più insolite del quotidiano.
I libri recensiti si possono trovare al Libraccio
Zoom LA MODA MONDIALE H24 26
A cura di ALICE NOTARIANNI
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Una t-shirt per ogni giornata di campionato
32 squadre, 64 partite per 32 giorni di campionato. Per vivere quotidianamente i mondiali di calcio la t-shirt è il capo più semplice e pratico da indossare. Diverse le reinterpretazioni a tema mondiali in edizione limitata. Concept tecnico per Lotto che vestirà ai mondiali la nazionale del Costa Rica. La prima maglia dei calciatori di San Josè è rossa con inserti blu e bianco a contrasto. La tenuta è realizzata in un innovativo tessuto con trattamento nano dry tech, un finissaggio che garantisce rapida asciugatura e massima traspirabilità che migliora la termoregolazione del corpo. Classico il concept di Franklin & Marshall. Il marchio veronese, ispirato allo stile universitario americano e appassionato di vintage sportivo, presenta 20 magliette dedicate alle bandiere delle principali nazioni protagoniste. Creativo l’approccio Erreà. Il brand di sportswear italiano, fondato in provincia di Parma nel 1988, realizza la collezione “Back to Brazil”. La linea maschile di magliette ha come protagonista il Cristo redentore di Rio De Janeiro e racconta un abbraccio ideale ed internazionale tra popoli di diverse identità. Stravagante ed eccentrico il modello t-shirt firmato Versace. Donatella pensa ad un capo d’eccezione che unisca il glamour del brand alla sportività. In crepe de chine per lei e in jersey per lui, caratterizzato da una stampa barocca ipercolorata ispirata al carnevale brasiliano. Rivisitata l’iconografia del brand: la medusa, qui in versione rock, le catene dorate e le stampe leopardate si uniscono alle immagini di fiori, palloni di calcio e giocatori sagomati.
Il Brasile ispira la moda mare
I l Br asil e si pre par a ad ospitare la FI FA wo r l d cu p 2014 e m entre g li stad i d i S an Pao lo, Br asil ia e Rio De Janeiro inizian o a p op ol ar si, l a r ivier a nord -est sud am e r ic an a si p re par a a god ersi il mare, il s o le e il re l ax . Al legr ia, spensier ate zz a e d e asy at t it u de da sem pre ispir ano V ileb re q u in . I l br an d fr ancese d i swimwear, p e r u omo e bambino, presenta il b oxer “ Mo o re a Baie De Rio” , un mod el lo con fit re gu l ar e c in tur a elastic a r av v ivato da l la st amp a a ge tto d ’ inc h iostro ispir at a a l l a sp iaggia di Copac ab ana in tinte p a s t el l o. L a st il is ta F lavia Pad o v an, italia n a di n ascit a ma b r asiliana d i ad o zion e, pe n sa inve ce a r affinati b ikini d onna im p re z io sit i da p er line applic ate a m ano is p ir at i al t r icol ore italiano. Gli occ h iali da s ol e son o fir mati Police. I l b r and d i p un ta de l G r u pp o De Rigo d ed ic a una s p e c ial e dit ion al c alciatore Ne y mar Jr, g io van e t al e n t o d el Barcel lona convoc at o a i mon dial i n e l la nazionale b r asiliana. L a lin e a u omo e d onna si d istingue per u n de sign de c iso e mod er no. I l m od el lo p re s en t a u n’ast a a f orc h etta b icolore con fin itu re a con t r asto, mat e crom ate, elem e n t i in me t al l o, d oppio ponte e lenti la vo r at e a spe cc hio nel le piccole por zioni s u p er io r i. A l l e infr ad ito per uomo, d onn a e bambin o, fin o al b aby, pensa il b r and I p a n e ma. L e f l ip flops d ed ic ate ai color i d el Br asil e son o realizz ate in Melflex, u n p ar t icol are p vc free-f talato, anal lerg ic o e r icic l abil e al 100%, ecolog ico c h e p e r m e t t e u n a p ar ticolare flessione e un o t t imo c omf o r t . Th ink P ink pro voc a anc o r a u n a vol t a con il colore e pensa ad un t e lo mare di spu g na mor b id a in ed izione lim itat a n e l l e t onalità d el verd e e d el l ’o-
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1. ERREÀ 2. FRANKLIN & MARSHALL 3. LOTTO 4. ERREÀ 5. VERSACE
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1. CRUCIANI C 2. POLICE 3. IPANEMA 4. Obag 5. THINK PINK 6. VILEBREQUIN
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ro. Per g l i ac c es s or i m a re Cr u c i a ni C pens a a l b r ac c i a l etto i n pi z z o m ac r a m è “ E s trel a s Do B r a s i l ” , u n toc c o s em pl i c e d i l u c e e d i a l l eg r i a , s i m b ol o d i u ni one inter na z i ona l e c h e i nter preta l a s a u d ad e b r a s i l i a na . Per por ta re tu tto i n s pi a g g i a , l ’a z i end a Fu l l s pot pens a ad u n’ed i z i one spec i a l e d el l a O b a g. L’u l ti m a ver s i one d e l l a b or s a m or b i d a e l eg ger a i n gom m a el a s tom er a , res i s tente ed i d rorepel l ente, av r à l a s c oc c a verd e pr a to e i m a ni c i i nterc a m b i a b i l i g i a l l o s ol e.
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LA MODA MONDIALE H24
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Sporty chic per la sera
Per le occasioni formali lo sportswear si fa smart e il capo ideale è la polo. La maglietta in piqué di Boggi Milano della linea sportiva BM39 arricchisce con patch e ricami a tema flag di Spagna, Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Brasile il cotone in tinta unita. Nella versione Nero Giardini, la maglietta tradizionalmente per il golf e per il tennis sviluppa l’italian style in due versioni colorate auspicando una finale di campionato Italia-Brasile. Lo stile minimalista di Yoshi Yamamoto firma la polo “Tango” per la capsule collection Y-3 primavera-estate 2014 ispirata al mondo del calcio. Insieme alla t-shirt “Shake Hands”, il bomber “Letterman”, le sciarpe, i palloni e le sneakers, nei modelli classici “Honja Hi” e “Sprit”, si compone un mood in bianco e nero con inserti in pelle, materiali sofisticati e satin. Il concept “In football we trust” è sviluppato con uno stile anni Cinquanta e con il simbolo del fair game della stretta di mano. Il marchio di buenos Aires La Martina, dedicato al lifestyle del polo, il secondo sport nazionale in Argentina dopo il calcio, offre un abbigliamento tecnico dedicato alle nazionali protagoniste della world cup 2014. Armata di Mare, il brand del seaside style e dello sportswear, coniuga il gusto sportivo con quello urbano in una linea dedicata agli azzurri.
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1. Y-3 2. ARMATA DI MARE 3. LA MARTINA 4. BOGGI MILANO
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1. ASICS 2. SUPERGA 3. DIRK BIKKEMBERGS
Ai piedi per l’allenamento
Per chi oltre a tifare vuole anche fare sport, l’anima sana in corpore sana di Asics trae ispirazione dai colori elettrizzanti del Brasile per rieditare due modelli classici di sneakers che hanno fatto la storia del running anni Ottanta-Novanta. La “Gel lyte V” è realizzata in verde brillante con rinforzi in suede e linguetta a calza in blu con interno giallo mentre la Epirus è sviluppata nelle tonalità del blu acceso, entrambe giocano con lacci a contrasto. L’idea di Dirk Bikkembergs è invece quella di personalizzare le running con sorprendenti stampe digitali ipercolorate dedicate a solo dieci tra le nazioni in gara. Il concept “World Cup Second to No One” prende vita nel modello di sneaker a bande laterali con serigrafia trasparente 3d, lacci, suola in gomma, patch traslucido sul tallone e logo personalizzato sulla linguetta. Il designer belga unisce da sempre il contenuto moda allo sport, per il Sudamerica il modello dedicato al Brasile “Amazonica” si ispira alla flora e alla fauna della più grande foresta tropicale al mondo, per il modello dedicato all’Argentina invece “El Tango” si ispira al pizzo delle vesti e all’iconica rosa rossa dei tangheri. Per chi non vuole corre ma solamente passeggiare Superga rivisita la scarpa classica e unisex 2750 con stampe bandiera. La tomaia è in cotone extraforte stampato e la suola in gomma naturale vulcanizzata. La proposta “New Chuck Taylor Brasil Flag” di Converse veste la classica scarpa in canvas con i colori brillanti della bandiera brasiliana e di uno stile used ottenuto con particolari tecniche di lavaggio.
SOCCER CHI LEGGE
Una coppia “Mundial”
I Mondiali uniscono, dicono, ma siamo così sicuri? Io (italiano) e la mia ragazza (spagnola) vi confermiamo che non è proprio così. di STEFANO ANDREA SUZZI E REYES JIMÉNEZ MORENO illustrazione di NICOLA GOBBETTO
S
tefano - Ecco, già iniziamo con lo spagnolo! Mundial! Ormai è tutto spagnolo quando si parla di calcio. Triplete, remontada, mundial …eppure quelli che hanno vinto 4 mondiali siamo noi, non loro! Reyes - Sì, scherzi! Come quando abbiamo visto Italia-Spagna di Confederations Cup e mi sono trovata da sola in un angolo con la mia bandierina spagnola mentre tu e i tuoi amici tifavate come matti. Ti ricordi, no? Che poi infatti mi hai chiesto scusa. Se la Confederations Cup ha creato qualche problemino, figuriamoci un Mondiale, anche se tutto dipenderà da quanto le due squadre andranno avanti. Io tiferò Italia e spero tu Spagna. Ovvio che tutto cambierebbe nel momento in cui dovessimo giocare contro. Quel giorno saremmo nemici, tra battute e dispettucci sin dal mattino. Di certo inviteremmo degli amici a vedere la partita, ma farei diventare la casa un feudo spagnolo. Potrei anche pensare di creare il giusto “clima”, con birra spagnola e tapas! Stefano - Allora speriamo che giochino contro, non mi sembra male come programma. Poi magari stavolta vinciamo noi, no? Così poi dopo non ci sono più problemi e tifiamo entrambi Italia. Reyes- Io mi aspetto che fra partite, tifo e passione sarà un mese divertente, anche se sarà un po’ strano vivere un Mondiale lontana da casa. Poi già so che tra Stefano, gli amici e i colleghi, vorranno tutti obbligarmi a tifare solo Italia. Stefano - No, questo mai! Però è ovvio che cerchi di italianizzarti un
po’, ma solo per farti sentire a tuo agio! Ad esempio, dovrai imparare a memoria “Notti Magiche” Altro che “Waka Waka”! Cosa facevi nel 2010 quando la Spagna ha vinto i Mondiali? Reyes - Nel 2010, quando ha vinto la Spagna, era il giorno che tutto il Paese aspettava da sempre. Io ero all’università e avevo appena festeggiato la fine degli esami, ma anche per me era molto più importante alzare quella coppa. Ho visto la partita in casa di mio fratello, tutto era Spagna al 100%, compresi noi che ci eravamo disegnati le bandiere sotto gli occhi. Al fischio finale siamo usciti a festeggiare come mai prima, Madrid sembrava impazzita. Anche se a pensarci oggi, nessuno si era ancora reso conto che avevamo davvero vinto il Mondiale, sembrava più un sogno. Stefano - Nel 2006, quando ha vinto l'Italia, ero al primo anno di università. La finale era il 9 Luglio e il giorno dopo avevo l’esame più difficile dell’anno, ma ovviamente quel giorno non mi importava nulla. Ho visto la partita con degli amici e poi sono stato in giro tutta la notte per le strade di Milano a festeggiare. Sono tornato a casa alle 7, ho fatto la doccia, sono andato all’esame e sono stato pure promosso. Meglio di così… Reyes: E questa volta chi vincerà i Mondiali? Qui in Italia ho imparato molto bene cos’è la scaramanzia, quindi ti dico che non li vincerà la Spagna. Ma in Spagna la scaramanzia praticamente non esiste, quindi “Vamos España!!” Stefano: Tutti ma non loro! Vi prego!
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