Alessandro Antonelli 1798-1888 Scrivere di Alessandro Antonelli, senza ripetere quanto già scritto - che non è poco - serve ancora, a mio parere, per fissarne la memoria, analizzandone la figura dal punto di vista di un ingegnere, quale egli in buona sostanza era. Serve inoltre per la singolarità della sua figura, progettista di opere in muratura nel momento della loro fine, superate dalle strutture intelaiate metalliche e poi in cemento armato, a cui si era equiparato, quasi in una gara. Figura straordinaria, che progettava costruendo, costringendo i committenti a seguirlo nelle sue continue varianti. Troppo avanti per il suo tempo dovette combattere giorno dopo giorno, contro chi non riusciva a capire le sue opere e s'impauriva per la loro audacia. Fausto Giovannardi
La monografia è così articolata: Biografia Annibale Rigotti, Ricordo di un architetto moderno italiano dell'800: A. Antonelli I funerali di Alessandro Antonelli, Gazzetta Piemontese 22.10.1888 Crescentino Caselli, Necrologio per Alessandro Antonelli Alessandro Antonelli agronomo Opere Regesto delle opere Vanchiglia Opere di una vita : Santuario di Boca, Cupola di S.Gaudenzio, La Mole Giuseppe Magistrini Il sistema Antonelliano
Biografia Alessandro1 Antonelli nacque il 14 luglio 1798 in una casa di via Novara n°1, a Ghemme, nel Novarese, da Costanzo (1756-1816) e da Angiola Bozzi (1772-1845), sua seconda moglie. Costanzo, originario di Maggiora, era notaio e nel 1774 trovò impiego quale segretario nel tribunale di Ghemme, dove successivamente venne nominato Cancelliere, carica che ricoprì per 25 anni. Sposa Caterina Caccioni, l'11 febbraio 1779, figlia di Carlo Giuseppe, una delle più distinte famiglie di Ghemme, proprietaria di molti possedimenti. Caterina morì di parto il 18 febbraio 1784, e con lei la piccola bambina che doveva nascere. Costanzo si risposò il 9 settembre 1788 con Angela Bozzi, figlia di una sorella della prima moglie, e quindi sua nipote, di 18 anni più giovane di lui. Furono anni di quiete e gioia e nacquero: Caterina 1789, Antonio 1792, Marianna 1794, Isabella 1796, Alessandro 1798. Nel 1799, dopo l'arrivo dei Francesi, fu riconfermato nella carica di Segretario, catastaro ed archivista della Nuova Municipalità di Ghemme. Poco dopo le truppe austro-russe rioccuparono il novarese in nome del Re di Sardegna. Dopo un anno Napoleone entrò trionfalmente a Novara. Costanzo, fedele alla monarchia si dimise dalla carica nell'ottobre del 1800, adducendo motivi di salute. Intanto a Maggiora era morto il padre e nell'aprile del 1801 la famiglia vi si trasferì. Rimasero a Maggiora fino a tutto il 1809, per poi trasferirsi a Milano per far studiare i figli, che intanto erano aumentati: Margherita 1800, Ercole 1802, Giuseppa 1804, Giovanni 1805, Carlotta 1808. A Milano nacque l'ultimo degli undici figli: Francesco, il 12 luglio 1815 Nel 1816, a causa delle non buone condizioni di salute, Costanzo decise di trasferirsi da Milano a Dormeletto, sul lago Maggiore, in una casa della moglie, dove però mori il 16 ottobre dello stesso anno. Lasciava una discreta eredità, ed essendo i suoi figli, quasi tutti minori, nominò tutori la moglie ed il figlio Antonio. Fu Antonio ad occuparsi dell'amministrazione e gestione dei beni di famiglia. Scapolo si occupò della gestione dei terreni, viticoltura e bachicoltura, commercio di vini, accortosi della particolarità delle argille di Maggiora, creò una fabbrica di stoviglie (vasi, statue e bottiglie). Le spese per il mantenimento della numerosa famiglia, per gli studi scolastici, per la dote delle sorelle, portarono difficoltà economiche alla famiglia. Gli Antonelli, tranne le figlie sposate, continuarono a vivere in comunione di beni per molti anni, anche quando ciascuno di loro aveva una famiglia ed una vita propria. Nella sua giovinezza Alessandro divide il suo tempo tra Ghemme e Maggiora, fino a quando viene mandato a studiare nel seminario sull'isola di San Giulio nel lago di Orta, dove rimarrà per tre anni per poi rientrare in famiglia, che intanto si era trasferita a Milano. Qui frequenta il ginnasio e segue anche le lezioni di disegno all’Accademia di Brera. Nel 1816 muore il padre e la numerosa famiglia viene a ricadere sulla madre e sul primogenito Antonio (1872-1876), avvocato ed imprenditore. Terminati gli studi liceali e con la famiglia rientrata a Maggiora, si trasferisce a Torino, con una borsa di studio del Nobile Collegio Caccia2, per iniziare gli studi universitari, presso la Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri e Architetti3, in cui insegna Ferdinando Bonsignore (1760-1843) ,professore di architettura civile, con assistente Giuseppe Maria Talucchi (1782-1863), due insegnanti per lui fondamentali: il primo, raffinato, gran signore, che prediligeva la forma alla sostanza; il secondo più pratico e pragmatico. Dai due impara sia a disegnare che la statica, il calcolo, la sperimentazione. Lo studio comprende anche il corso di matematica, in cui si studiano al primo anno, l’algebra, la trigonometria rettilinea, le applicazioni dell’algebra alla geometria lineare e curvilinea, al secondo il calcolo differenziale e integrale e al terzo la meccanica, mentre nel collegio Caccia studiò privatamente la geometria descrittiva. La sua fu una formazione "politecnica", in mancanza di una Scuola per ingegneri. Come progetto finale dei suoi studi, scelse un soggetto di architettura “pubblica” per eccellenza, un “Ospedale”, di cui purtroppo ad oggi non resta alcuna documentazione. Si laurea il 29 luglio del 1824. "Laureatosi ingegnere architetto nel 1824, entrò negli uffici tecnici del demanio e fu tosto destinato ai lavori per la costruzione del palazzo della Curia Massima." Crescentino Caselli. Necrologio 1888, op. cit.
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Nome completo: Alessandro Pietro Ercole Sigismondo Il Nobile Collegio Caccia, che funzionò dal 1719 al 1820 per lascito del nobile Gian Francesco Caccia, a vantaggio degli studenti di origine novarese. Non era un mero convitto ma una comunità, luogo di studio e di dibattito,. 3 Non era ancora ufficializzata la divisione tra architettura ed ingegneria civile, cosa che avverrà a partire dalla legge Casati del 1859. 2
Il quadro venne esposto per una mostra su Antonelli a Novara nel 1975, e descritto nel relativo catalogo "Novara e Antonelli", Novara, 1975, p. 37, scheda B1. Il quadro, della grandezza di cm. 315 x 210, secondo il catalogo fu realizzato nel 1828 da un anonimo esule politico. L'atto di ricezione della donazione lo attribuisce al pittore Matuszewski. L'architetto è rappresentato seduto mentre tiene per mano un foglio da disegno, recante un progetto accademico, mentre si riconosce la madre Angela Bozzi alle sue spalle. Il quadro venne donato all'Archivio di Stato di Novara dalla famiglia Milanoli, discendenti di Antonelli, nel febbraio del 1976. Notizia fornita dall'Archivio di Stato di Novara A Torino, a quel tempo, le occasioni di impiego per i giovani non mancavano ed entra subito a lavorare come assistente dell'ing. Ignazio Michela, architetto idraulico e civile nonché ingegnere ispettore delle regie finanze. Il tirocinio di Antonelli con l’ing. Michela, che esercitava la professione in termini moderni, come attività a cavallo tra l’architettura e l’ingegneria, sarà di fondamentale importanza per le sue scelte future. A quel tempo l'ing. Michela era incaricato del completamento dei lavori di costruzione del Palazzo dei Supremi magistrati o Curia Maxima4 iniziati su progetto di Filippo Juvarra (1678-1736) e Benedetto Alfieri (1700-1767), di cui si erano perduti i disegni, e quindi sulla scorta di un modello in legno e fu specifico compito dell’Antonelli di ricavare da questo modello i disegni di esecuzione. Nel 1825 dirige i lavori, con alcune varianti, di un progetto dell’architetto Gaetano Lombardi (1793-1868) per una palazzina a 3 piani per il dott. Porta Bava tra corso Vittorio Emanuele II e via Pomba, in fondo ai portici Lamarmora, in Torino. Alessandro è un uomo ambizioso e dal carattere deciso. Di buona famiglia, non ha problemi di soldi. Convinto che per fare carriera fosse necessario entrare nel giro della corte reale e del suo enturage, si muove determinato in questa direzione.
Pensionato Reale a Roma Forse con il sostegno del prof. Bonsignore, decide di partecipare al concorso bandito dal Regno fra i giovani diplomati in architettura, per un pensionato di cinque anni a Roma.
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venne parzialmente completato tra il 1838-1839 a opera di Ignazio Michela.
Il concorso si apre nel 1826 e Antonelli, pur avendo superato di un anno il limite di età, ottiene l’ammissione e con il progetto di una biblioteca, vince. Prima di partire progetta la scala di accesso allo scuròlo di Sant’Agapito, a Maggiora e viene contattato per il progetto del Santuario del Crocefisso, a Boca, che però avrà inizio molti anni dopo. La ricerca dei " pensionati a Roma" era libera, e Antonelli segue i corsi tenuti dagli ingegneri Carlo Sereni, professore di geometria descrittiva e Nicola Cavalieri Sanbertolo professore di architettura statica ed idraulica, della Scuola di applicazione degli Ingegneri pontifici ed alcuni corsi dell'Accademia di S. Luca, di cui era Accademico il Bonsignore, e dove i programmi essenzialmente grafici, comprendevano un corso che oggi diremmo, di tecnica delle costruzioni,secondo i presupposti del citato dualismo architettura teorica e architettura pratica. Ha così modo arricchire le sue conoscenze teoriche e pratiche riguardanti l’arte del fabbricare. Delle relazioni che stringe a Roma, sappiamo che è in contatto con gli scultori Alberto Thorwaldsen e Carlo Finelli5. In questo periodo esegue alcuni lavori, probabilmente saggi di fine anno, tra i quali conosciamo i progetti di una vasca battesimale, un faro, un tempio di Giove Ultore con cupola dedotta dal Pantheon, circondato da un portico rettangolare, un forno per la calcificazione continua della pietra calcare, un ingresso di Villa6, una cappella a forma di piramide, con portico a colonne ioniche e con il campanile ricavato nella cuspide, un teatro con sala a ferro di cavallo ed un progetto di sala delle feste, e due studi di gran mole: il santuario di Boca ed il progetto di Piazza Castello. A Roma entra in contatto con una dimensione europea, soprattutto con gli allievi francesi dell’Académie de France, in una discussione che si interrogava sulla figura dell'architetto, che alla conoscenza dell'arte univa quella della tecnica e sempre più autonomo dalle decisioni del committente. La permanenza a Roma si concluse nel 1931, con un grandioso progetto per l'ampliamento di piazza Castello a Torino, che l'avrebbe fatta diventare la piazza più grande d'Europa, e che sviluppò in diversi disegni e prospettive che pubblicò in Milano dal De Angeli, e gli fruttarono fama tanto da essere inscritto nell’albo delle Accademie di Bologna, di Firenze, di Milano, di Parma e di Torino7. Il progetto, entra anche alla Corte Sabauda, ed i disegni vennero esposti nel Castello del Valentino l'anno successivo nella seconda "Triennale Pubblica Esposizione dei prodotti dell'industria e degli oggetti di Belle arti dei Regi Stati", ma rimase comunque un brillante esercizio di stile.
Giornale del Regno delle Due Sicilie 4 luglio 1832 Stati di Sardegna 16 giugno ... Non è gran tempo che è stata annunziata in questi nostri fogli la nominazione del pensionato Regio d'architettura sig. Alessandro Antonelli a Socio dell'Accademia Bolognese. Questo stesso ingegnoso giovane è stato né di ultimi correnti iscritto fra i soci corrispondenti dell'Imperiale e reale Accademia di Belle Arti di Milano.
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Bertel Thorvaldsen, noto in Italia come Alberto (Copenaghen, 1770 – 1844), Carlo Finelli (Carrara,1785 – Roma, 1853) entrambi affermati scultori emuli di Canova. 6 Progetto con cui partecipa, senza risultato, agli ex-equo per l’ammissione al concorso Balestra del 1829 “L’idea di un ingresso di villa con avvertenza che la fabbrica possa ben figurare tanto all’esterno che dall’interno e dia campo al godimento della veduta da ambedue i prospetti”. 7 Comune di Maggiora: note biografiche dell'architetto Alessandro Antonelli
1821-22 Altare dell’oratorio di San Rocco a Fontanese 1822-88 Santuario del Crocefisso, Boca Novarese. 1825 Palazzina per il dott. Porta Bava a Torino 1826 Scala di accesso allo scuròlo di Sant’Agapito, Maggiora. 1831 Progetto per piazza Castello, Torino.
Il rientro in Piemonte Inizia la professione, con alcuni lavori legati a conoscenze della famiglia, che si diede un gran da fare, tanto che, nel 1832, il capitolo di Santa Maria in accordo con il vescovo di Novara, gli affida il progetto dell'altar maggiore del duomo. Incarico prestigioso, ottenuto superando anche la proposta di Pietro Pestagalli (17761853), architetto della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, ed a cui chiama a collaborare, per la decorazione scultorea, il Thorvaldsen. Progetta l'ampliamento della chiesetta di San Lorenzo a Castagnola di Valduggia, il restauro dell'oratorio dedicato alla Vergine a Soliva ed a Maggiora, suo fratello Antonio, dov'era consigliere comunale riesce a fargli assegnare il riordino della strada della Valeggia e delle strade attorno alla chiesa, salvo poi pentirsene, perché dopo due anni non aveva fatto ancora nulla e di fronte al rischio della perdita dell’incarico, redasse in fretta un progetto che non si limitava a quanto richiesto ma prospettava una riforma generale della viabilità interna allo scopo di migliorarne la percorribilità, per le pendenze molto elevate. Nonostante le aspre polemiche riuscì a condurre a termine i lavori fra il 1835 ed il 1836. Il 16 maggio 1837 viene nominato membro straordinario della Commissione di Pubblico Ornato di Novara, in sostituzione del barone Melchioni, da poco deceduto. Vi rimarrà per 20 anni, occupandosi con passione del rinnovamento urbano della città, compreso una proposta di piano regolatore, che presenterà nel 1840. Nel 1840, la consacrazione professionale in Novara, con l'incarico della nuova cupola per la basilica di San Gaudenzio. Nel febbraio del 1842 viene nominato8 professore all’Accademia Albertina di Belle Arti in Torino, e nell'occasione, fece omaggio al Corpo accademico degli originali del suo progetto di piazza Castello. Vi insegnò Architettura, ornato e prospettiva ed ebbe molti allievi che diventarono importanti artisti piemontesi, e che ricordavano compiaciuti di essere stati suoi allievi. 1832-36 Altare maggiore della Cattedrale, Novara. 1832-36 Lavori nella piazza della chiesa a Maggiora 1834-37 Ingrandimento dell’oratorio della natività della Vergine, Soliva (Valduggia) 1834-37 Ampliamento della chiesa parrocchiale di San Lorenzo, Castagnola (Valduggia) 1935 Nuova chiesa Parrocchiale di Borgolavezzaro (Novara) 1835-88 Modifiche e ampliamenti alla casa Antonelli di Maggiora 1836 Progetto per la chiesa di Sant’Agnese, Novara. 1836 Progetto per la facciata della chiesa della Maddalena, Novara. 1836 Edificio di appartamenti per Giuseppe Ponzio Vaglia a Torino 1836-44 Rifacimento della chiesa Parrocchiale di Bellinzago (Novara) 1838 Completamento dello scuròlo di Sant’Agapito, Maggiora. 1839 Casa Rizzotti, corso Mazzini, Novara 1840 Piano Regolatore Novara. 1840-88 Progetti e realizzazione della cupola di San Gaudenzio, Novara 1840 Palazzo Giovanetti, Corso Cavour, Novara 1841 Ristrutturazione ed ampliamento del palazzo Stoppani, corso Carlo Alberto, Novara 1841 Progetto di Porta per l'ingresso alla città di Novara 1841-50 Scurolo di Sant'Alessandro martire, Fontaneto D'agogna (Novara)
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Il progetto di Piazza Castello fruttò ad Antonelli l'insegnamento presso l'Accademia Albertina, ottenuto per volontà del R e e sancito nella seduta accademica del 13 febbraio 1842. In letterature viene indacata anche la data del 1836 come inizio dell'insegnanto, ma non sembra corretta.
Professore della Regia Accademia Albertina, 1842-1855 Nel 1841 il marchese Ippolito Spinola (1778-1856), divenuto Gran Ciambellano di S.M. Sarda, succedendo alla presidenza della Accademia, attua modifiche sostanziali all’istituzione, partendo dagli insegnanti attraverso un cambio generazionale, con l'uscita di alcune figure centrali come l'ottantenne Ferdinando Bonsignore9, e l'ingresso di nuovi professori, con modifiche anche degli stessi insegnamenti, tra i quali, di nostro interesse, l’Architettura che da insegnamento Superiore si trasforma in scuola preparatoria di “Elementi di Architettura e Prospettiva” ... “essendo stata l’Architettura considerata come scienza, ed in conseguenza stabilita la cattedra nella R. Università, quella che si insegna in questa R.le Accademia, dovrà essere unicamente diretta a quanto può essere necessario ed utile ai Pittori, Scultori ed Incisori, cui sono del pari che agli Architetti, necessari la Prospettiva e l’Ornato”10. Antonelli, nella seduta accademica del 13 febbraio 1842, viene nominato Professore del corso di Architettura e Prospettiva, al quale si aggiunse poi nel 1845 l’incarico dell’Ornato. Contrariamente alla convinzione diffusa che Antonelli fosse troppo preso dalla professione, per occuparsi della didattica, si può invece rilevare un impegno costante prima nel riallestimento dell’aula e poi nell’acquisto di materiale ad uso degli studenti. Il suo programma di studi, stilato agli inizi del 1842, conferma l'importanza che ritiene avere il suo insegnamento e che si differenzia in maniera sostanziale da quello del Bonsignore, basato sui canoni della precettistica neoclassica, cultura formale e teorica che traeva le sue radici dalle teorie illuministe del secolo precedente. Il programma11 è suddiviso in cinque parti: la geometria piana, la prospettiva, il chiaroscuro, il disegno elementare d’ornato, lo studio delle forme e funzioni di importanti edifici pubblici e privati. Inoltre “si metteranno sott’occhio i caratteri essenziali dalle architetture dei diversi tempi, e popoli”, escludendo però “le opere moderne e del maestro le quali potrebbero essere licenziose, e dare delle cattive impressioni al nascente gusto del giovane, difficilissime a correggersi in seguito”. Il corso era diviso in tre sezioni, alle quali faceva alternativamente lezione in giorni diversi, con orario dalle 18 alle 20 in inverno e in estate dalle 6 alle 8 del mattino. Suoi assistenti saranno, negli anni: Giacomo Beltrami, Camillo Righini, e Colombo Delfino. L’attività professionale e di docenza si sovrappose e compenetrò per lungo tempo, cosicché è quindi possibile riscontrare alcune tematiche ricorrenti tra i due percorsi paralleli, e dalla pratica della professione possiamo far derivare l’impronta tecnica dei suoi corsi. Dai recenti studi condotti12 emerge la figura di un insegnante presente nella realtà accademica, e volenteroso di ottenere il suo ruolo all’interno del collegio degli insegnanti. Nonostante l’Accademia Albertina non possa rilasciare titoli professionali e che non le sia più richiesto di formare l’architetto, ma solo di dare all’artista le basi per riprodurre prospetticamente e scenograficamente le sue ispirazioni, Antonelli si muove diversamente e l’incremento del patrimonio librario segue la strada per la formazione teorica di una figura professionale a tutti gli effetti, in un momento in cui tra Accademia e la Scuola di architettura dell' Università non sembrano esserci troppe differenze, se non la possibilità da parte dell’Università di elargire le Patenti professionali agli allievi per poter intraprendere il percorso lavorativo. L’ambizione di Antonelli resta documentata in una lettera del 1853 di Giuseppe Galleani conte di Canelli, Presidente dell’Albertina, al Sovrintendente Generale della Lista Civile della Casa Reale, da cui dipendeva: “Il sig. Antonelli, pel titolo ottenuto nella sua nomina di professore di Architettura, ebbe sempre in mira di avere degli allievi di questo ramo, non avendo fatto caso della cessazione di questa scuola speciale nell’Accademia, ed ha ancora recentemente progettato di attivarla formalmente, come se quella rimasta unita alla R.e Università non avesse fatto cessare quella indicata nel nostro Regolamento organico, ed in opposizione agli art. 22 e 23 delle Discipline delle scuole. Osservo pertanto a V.S. Ill.ma che il progetto del Prof.re sig. Antonelli trarrebbe ad una riorganizzazione radicale dell’insegnamento tracciato dalle Discipline succitate, e si verrebbe a stabilire una duplicazione di cattedra, senza che l’Accademia potesse patentarne i suoi allievi, e qui mi permetto di esporle il mio parere intorno alla necessità di far risultare con R. Decreto, o come voglia credesse opportuno, l’annullamento della scuola speciale d’Architettura nell’Accademia, per le sopra esposte ragioni, essendo propria agli Allievi delle scuole figurative quella preparatoria di prospettiva, già esistente nel detto Regolamento, il cui professore insegnerebbe gli elementi d’architettura, come 9
Con la morte dell’architetto Ferdinando Bonsignore (1843), docente della Scuola Superiore di Architettura sin dal 1802 ed in carica sia in ambito universitario che in quello accademico, vi fu una scissione dei compiti. Alessandro Antonelli nel 1842 fu assunto dall’Accademia per un corso Elementare di Architettura, Prospettiva e Ornato, mentre qualche anno più tardi Carlo Promis prese in carico la disciplina universitaria, che rimase superiore. 10 Archivio storico dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino - Statuti e regolamenti 1822 – 1856. 11 Archivio storico dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, Atti accademici (1841-1846). 12 Zanelli, Beatrice. Op. cit. Accademia Albertina delle belle arti di Torino. Vincoli culturali e materiale didattico ad uso degli studenti della scuola di Alessandro Antonelli (1842 – 1855)
ha già fatto il precedente defunto professore Fea, nel periodo di circa dieci anni non essendo più compatibile, a mio avviso una scuola speciale d’Architettura nell’Accademia cogli attuali ordinamenti agli studi.” Questa ambizione e l'incarico di professore svanirà nel 1855, con l’arrivo del nuovo Presidente Ferdinando Arborio Gattinara Marchese Di Breme che esautorerà tutto il corpo docente in carica sino ad allora, rinnovandolo e ponendo così fine ad un’epoca. Nella sua relazione all’Intendente Generale della Lista Civile, si legge13 : “Il corso di architettura non essendo che un compimento alle cognizioni degli alunni Scultori e Pittori, sembrerebbe conveniente il ridurlo ai soli elementi dell’arte. Il medesimo Maestro sarà incaricato di disimpegnare i due corsi di Prospettiva teorica e di prospettiva pratica. Quest’ultimo studio è, a parer mio, di molta importanza, e pel passato, non è stato nell’Accademia Albertina, l’oggetto dell’attenzione di cui merita.”
Professionista affermato A partire dall'insegnamento nell’Accademia Albertina ebbe molte e continue commissioni a Torino e nel Novarese per l'esercizio della professione, dopo che si era reso conto che il futuro non era più legato al mecenatismo Reale, ma allo sviluppo conseguente alla rivoluzione economica che da qualche decennio, la borghesia portava avanti. Diviene presto un professionista affermato e risiede stabilmente a Torino. Pur vivendo nella capitale sabauda non trascura il suo paese d'origine, Maggiora, dove si rifugia appena può e dove è personaggio di spicco e tenuto in alta considerazione. Nel 1843 a 45 anni, sposa la venticinquenne Francesca Scaccabarozzi14, di nobile famiglia cremonese. Un anno dopo nacque il primo figlio, chiamato Costanzo, come il nonno notaio; e dopo due anni sua sorella Angiola, come la nonna paterna. Costanzo Antonelli nato il 24 giugno 1844 divenne ingegnere nel 1870 e da subito entrò a lavorare nello studio del padre. Sposa Emma Boselli di Mantova (1840-1926) e non ebbero figli. Muore nel 1927. Angiola Antonelli, nata il 26 marzo 1846, che il padre teneva con se e che lo aiutava nei conteggi e nelle scritture, muore giovanissima, a soli diciannove anni, il 16 dicembre 1865, nella casa che gli Antonelli possedevano a Maggiora
1842 Basilica di Castellamonte, Torino 1842-48 Villa Caccia a Romagnano Sesia, Novara 1843-45: Progetto per una Galleria di Opere d'Arte Moderna, Torino 1843 Nuova sede del Collegio delle Province, via Bogino , Torino 1843-45 Palazzo per Giuseppe Ponzio Vaglia, Torino. 1843-45 Fattoria per i baroni Casana a Faule, Cuneo, 1844 Il borgo di Vanchiglia, la casa Antonelli e la fetta di polenta, Torino 1844 Progetto del Monumento al Canonico Cottolengo, Torino 1844 Progetto per la basilica del Santuario, Oropa. 1844-58 Padiglioni vari per l'Ospedale Civile di Alessandria. 1845 Palazzo Avogadro a Novara 1845-58 Chiesa Parrocchiale di Oleggio, Novara 1845-46 Palazzi a Vanchiglia, Torino 1847-51 Ampliamento palazzina del Conte Federico Callori di Vignale, via san Lazzaro Torino. 1847 Progetto di arco provvisorio in onore di Carlo Alberto, Torino. 1847-48 Casa Arrizio e Cantoni,via Vanchiglia, Torino. 1848 Casa Ferino, Viale S. Massimo, Torino. 1849-64 Progetto generale e stralcio nuove infermerie all’Ospedale Maggiore della Carità, Novara. 1850 Collegio Artigianelli in via del Progresso (Vanchiglia-Torino). 1850 Sopraelevazione Casino Birago di Vische 13 In
Archivio di Stato di Torino - Sezioni Riunite - Casa di sua Maestà -Ministero della Real Casa. I Regno di Sardegna - Divisione II: Fabbriche, Parchi e Giardini - Fabbriche e giardini – Reale Accademia Albertina, fasc. 4828, 1852-1860. 14 Nata in Cremona, 5 Aprile 1818/ Morta in Maggiora, 1 Agosto 1908
Se come insegnante e come architetto Antonelli ha lasciato grande traccia di sé, anche come cittadino la sua vita non passò inosservata.
Uomo politico Fu deputato al Parlamento Subalpino per una legislatura15 nel collegio di Vanchiglia dove era subentrato Vincenzo Gioberti che aveva optato per un altro collegio. Alessandro Antonelli Nasce a Ghemme (Novara) il 14 luglio 1798 Deceduto a Torino il 18 ottobre 1888 Laurea in Architettura, Laurea in Ingegneria; Docente universitario, Architetto, Ingegnere II Legislatura del Regno di Sardegna (01.02.1849 - 30.03.1849) Fonte Camera dei Deputati Consigliere comunale della città di Torino dal 1848 fino alla morte16 e del Consiglio provinciale di Novara. Si legge spesso della sua appartenenza alla massoneria, ma al riguardo non ho trovato conferme.
Un'attività frenetica Dal 1840 circa all'anno della morte, per quasi un cinquantennio, Antonelli si occupa di tutto, di architettura religiosa, civile, ospedaliera, pubblica, di urbanistica, senza trascurare gli impegni nel campo dell'insegnamento e della politica. Scelte spesso difficili le sue, da "uno contro tutti", dove quasi ogni opera ha dato origine ad un contenzioso, che con una forza d'animo più unica che rara, riesce sempre a superare. All'inizio si dedica in particolare alla progettazione di case da reddito, cioè case da affittare, la cui costruzione era molto diffusa a quel tempo a Torino. Come questo avvenisse lo possiamo ricavare da uno scritto dell'architetto Carlo Promis17 del 1846. "Gran parte delle case cittadinesche si fanno ora per essere vendute, cioè per lucrarvi sopra ... viene scelto ad architetto non già il capace (scartati alcuni per aver studiato a Roma) ma quegli che sa obbedire alle voglie del committente ... e che con l'opera e col silenzio concorre purtroppo talvolta a tesser frodi agl'inquilini e al futuro compratore." Secondo Roberto Gabetti18 Antonelli lottò e poi vinse anche contro costoro: ... La lotta non fu facile e in questo duro mestiere, le oscillazioni anche frequenti. Le case Ponzio Vaglia del 1836-'37 in piazza M. Teresa (poi dette del Duca di Genova), erano ancora ristrette a ricerche di correttezza, ma non veramente originali: sono (meno che negli androni e nell'attico di tono stranamente romano) una revisione di comuni costruzioni locali. A Torino si costruiva allora assai male (contrariamente a quanto si dice), specie per fare case da pigione, a più piani. Un gruppo di progetti vicini al 1840, è invece di grande interesse: la ricerca ci pare aperta: dal palazzetto per il "caffè del progresso" (1832) ritrovo di carbonari, fatto per conto del Marchese Birago di Vische ... continuata da un « fabbricato rustico con perimetro obbligato »; ed infine realizzata a pieno nella « fetta » di corso S. Maurizio (parte inferiore), negli edifici laterali alla porta di ingresso a Novara (ispirata al Cagnola), nel progetto del palazzo del Demanio in via Bogino (ora distrutto), ed ancora, e specialmente conclusa nell'ampliamento di Palazzo Callori di Vignale, già Viry, in via dei Mille (con cappella interna e scuderie, cortile a colonne, altana), del 1847-51. Opere in cui Antonelli portò a piena maturazione gli insegnamenti romani, e da cui partì per le ricerche successive, quelle della compiuta maturità. Antonelli introduce delle novità. La sua progettazione ruota attorno alla funzionalità degli spazi, che ne determina la distribuzione, tenendo in conto anche la flessibilità: questo avviene attraverso il metodo costruttivo basato su fulcri portanti, cioè una struttura di muratura basata su pilastri e colonne sovrastati abitualmente da sottili volte in mattoni, a vela o a botte, molto ribassate. Quasi sempre prevede un corpo scala a sbalzo inscritto entro un parallelepipedo ed illuminato da un lucernaio. Esternamente, nelle 15
La II legislatura del Regno di Sardegna ebbe inizio il 1º febbraio 1849 e si concluse il 30 marzo 1849. Fonte Museo Torino 17 Carlo Promis (Torino 1808 - 1873) Archeologo, architetto e storico dell'architettura. Valente archeologo, insegnò Architettura alla Scuola di ingegneria di Torino. A lui si deve la sistemazione di piazza Carlo Felice e del parco Cavalieri di Vittorio Veneto a Torino. 18 Problematiche Antonelliane, op. cit. 16
facciate propone la sovrapposizione di ordini differenti senza appesantire l’apparato decorativo. L’insieme si basa su una simmetria sia negli spazi interni, che sulle facciate. A proposito, Roberto Gabetti in Problematiche Antonelliane (op.cit.), cosi ne descrive il sistema costruttivo: credo sia interessante riepilogare il sistema costruttivo: fondazioni (calcolate e dimensionate esattamente) su archi rovesci o su pozzi: ritti collegati nei piani interrati da lunette a monta ribassata (spessa 25 o 12 cm) adatte a sopportare la spinta del terreno e formanti intercapedine; colonne e pilastri in muratura (se il piedritto è isolato viene quasi sempre trattato come colonna dorica liscia), esattamente dimensionati in base ai soli carichi verticali (le volte non sono mai spingenti): orditi secondo una maglia costante, flessibile alle necessità distributive, secondo una modulazione non imposta al progetto, ma ricavata dalle necessità generali dell'opera; pareti esterne a cassavuota con due muricci di cm 12 (uno esterno e uno interno), legati da gambette ogni 70 - 80 cm; volte a monta ribassatissima a vela o a padiglione, ricavate di quarto senza centine, poggianti su archi a monta ribassatissima e piattabande di gran luce (le spinte sono contenute da catene, scaricate agli spigoli solo sui 4 fulcri angolari); scale in pietra incastrate a sbalzo nei muri d'ambito, con alzate e pedate collaboranti alla stabilità, intonacate inferiormente a onde successive, una per alzata; tetti in legno (solo nel suo messaggio finale, colto da Caselli, A. realizzò in muratura l'appoggio diretto delle tegole); balconi a lastre di pietra poggianti su modiglioni in pietra, incastrate di fianco ai fulcri delle volte. Il sistema distributivo di questi edifici è organizzato su di una fluida disposizione di atri, accessi alle scale, disimpegni ai piani: scale molto larghe, spesso illuminate con lucernario dal tetto (usanza non piemontese). L'interno degli alloggi è a corridoio centrale, la manica doppia o tripla, in funzione della profondità del corpo di fabbrica. ... L'unità dell'edificio è accentuata in altezza dalla decrescente sezione dei piedritti, calcolati come solido di ugual resistenza allo sforzo normale. Così che la struttura è, nel suo complesso, resa perfettamente architettonica, cioè chiusa e compiuta. Questa attività lo porta ad indirizzarsi verso una attività immobiliare che gli permetta di avere a disposizione dei terreni per realizzare complessi edilizi su vasta scala, e pone l'occhio sui terreni di Vanchiglia, una zona da risanare e da rivalutare posta alla confluenza della Dora con il Po.
Il borgo di Vanchiglia, la fetta di polenta e la casa Antonelli e la chiesa di San Luca. Intorno al 1843, insieme al collega Giuseppe Perino, Antonelli si interessa della zona di Vanchiglia, al limite di Torino, lungo la Dora, allora un borgo reso gravemente insalubre per la presenza del vecchio cimitero israelitico e soprattutto del cosiddetto ‘canale dei canonici’, una fogna a cielo aperto da cui veniva ricavato concime da vendere lasciando essiccare i putridi liquami di latrine e macelli. Nel 1844 viene costituita da otto soci, tra cui Antonelli, la Società dei Costruttori di Vanchiglia, che compra alcuni terreni e presenta un piano di fabbricazione per la lottizzazione della zona, piano che dopo alterne vicende viene in parte approvato e poi ricompreso in un piano più generale nominato il Piano d’ingrandimento della capitale definito nel biennio 1851-1852 dall’architetto Carlo Promis (1808-1873) incaricato dalle autorità civiche. Intanto nella parte già autorizzata iniziano la costruzione di palazzi di appartamenti da affittare. Antonelli nel 1845, inizia con un palazzo per Carlo Rosso, in Via Vanchiglia, per poi proseguire con due case proprie, la casa Antonelli, lungo Corso San Maurizio ed unica con i portici e la bizzarra casa, conosciuta come la Fetta di Polenta. Il giorno 11 maggio 1846 Antonelli presenta al Consiglio Edilizio il progetto dell'isolato di proprietà Antonelli, Cornaglia e Magistrini, che viene approvato il 15 maggio. Il progetto, per quella che è conosciuta come la Casa Antonelli, prevedeva un edificio libero sui 4 lati, tra corso San Maurizio, via Vanchiglia, via degli artisti e via Giulia di Barolo, alto 4 piani, porticato lungo corso S. Maurizio e composto da 14x14 arcate al Piano terreno. I lavori iniziano a fine 1846, inizio 1847. In seguito i chiede al Consiglio Edilizio l'autorizzazione a costruire un piano in più (d'abbaini), che viene respinta (15 ottobre 1849) ma oramai lo ha già fatto. L'edificio è più piccolo con 7 arcate a portico su corso San Maurizio e 12 ai primi due piani lungo via Vanchiglia, che si riducono di una campata ai due piani superiori. Tutta la struttura ripete il motivo ad arco, che impreziosisce un edificio costruito principalmente come palazzo da reddito. Particolarmente elegante e luminoso il vano scala con ardite strutture di rampe e aperture a "occhio tondo".Nel 1912 il figlio Costanzo, completerà l'intervento, più grande e molto diverso dal progetto originale del padre. Sull'altro lotto di proprietà, distante pochi metri, in via Giulia di Barolo, angolo Corso San Maurizio, dalle dimensioni risultanti da un ritaglio, una sorta di trapezio che misurava 16 metri lungo via Giulia Barolo, 4,35 sul fronte di corso San Maurizio e 54 centimetri sul lato opposto, nell'impossibilità di acquistare terreno dai confinanti, Antonelli a cui non faceva difetto un pessimo carattere, lanciò un'altra sfida e su quella striscia di terreno progettò una casa, in muratura di mattoni di cinque piani,di altezze differenti, che diverranno sette nel 1881, oltre a due interrati. Risultò una casa decisamente impressionante nelle proporzioni che spiccava isolata e vagamente folle nel quartiere: una fetta di polenta sottile, Casa Scaccabarozzi, dal cognome della moglie alla quale la donò. Ogni piano è di 36,5 metri quadrati collegati internamente da una piccola scala in pietra a forbice con le lance sovrapposte e gli scalini larghi a metà, posta nella parte più stretta che non poteva ospitare le stanze. Ci sono due rampe per ogni piano e all'ammezzato sono collocati i bagni, uno per appartamento e un cavedio per la canna fumaria e le condutture idriche. Particolare cura nei dettagli, l'edificio ha ampie finestre e numerosi balconi. Per guadagnare spazio ogni finestra è un bow windows ottenuto ingrossando i muri all'esterno. La vistosa cornice in corrispondenza del quarto piano svela la propria precedente funzione di cornicione sottotetto nella prima fase di elevazione dell'edificio; complessivamente sono presenti otto balconi e all'ultimo piano il ballatoio, che corre ininterrottamente lungo i prospetti delle facciate principali, è stato realizzato sulla base del cornicione del precedente tetto risalente alla seconda fase di elevazione. L'elegante facciata inquadrata da quattro lesene di color giallo paglierino che si staccano dal muro di color rosso persichino, con tre ordini di finestre inquadrate da forti cornici e rastremate verso l'alto. La facciata sul retro non ha finestre. Essendo impossibile portate carichi ingombranti ai vari piani, venne installata una carrucola all'ultimo piano, ancora visibile da via Giulia di Barolo. Una volta terminata, fu detto di tutto; che fosse pericolosissima e che sarebbe crollata al primo soffio di vento, per questo motivo nessuno volle andare ad abitarci. Fu così che la famiglia Antonelli al completo, vi si trasferì in pianta stabile occupando gli ultimi due piani. Ciò pose fine ad ogni dubbio, e la casa trovò subito altri inquilini. Fu tra le poche a non venir danneggiata dallo scoppio del Polverificio di Borgo Dora del 1851 e a non rimaner lesionata durante il terremoto del 1887, e infine fu l’unica a rimanere perfettamente integra durante i bombardamenti dell’ultima guerra.
L'edificio è annoverato tra gli edifici tutelati dalla Soprintendenza per i Beni architettonici del Piemonte. Il progetto presentato nel 1881, reca il seguente testo: Frazione della casa già Colombo e Moreno acquistata dai Soci Mar. Birago Avv. Daziani, prof Antonelli Alessandro, Rosso Carlo, Cornaglia Paolo, Ardy Lodovico, Magistrini Giuseppe aiutante del Genio per far luogo (a loro spesa esclusiva) al prolungo della antica via dei Macelli, ora Barolo nella regione Vanchiglia a beneficio del Borgo da essi promosso nel 1844 sottraendo vari prati all'irrigazione fecciosa i cui miasmi pregiudicavano troppo da vicino i fabbricati in fregio al viale S. Maurizio ed il Palazzo reale, che la signora Francesca Antonelli Nobile Scaccabarozzi, attuale proprietaria intende rialzare di due piani sull'attuale terrazzo AB col disegno del sottoscritto marito. Torino 25 giugno 1881 Sezione e pianta dell'edificio come realizzato. (Fonte Civico 13 architetti associati, autori del progetto di riuso del 2007 per la galleria d'arte Franco Noero)
L'edificio è stato costruito in più fasi: all'inizio vennero realizzati i due interrati ed i primi quattro piani, in un secondo tempo, ne vennero aggiunti altri due; infine nel 1881, venne aggiunto l'attuale ultimo piano, con copertura piana ed in difformità dal progetto presentato. Un particolare discorso merita la casa di via San Maurizio angolo via Barolo adiacente a questo lotto di costruzioni; questo piccolo edificio, assai noto per la indubbia bizzarria di impianto (vennero costruiti ben sei piani su una strettissima area trapezoidale), rappresenta una delle opere più formalmente raffinate dell'Antonelli. Vi è uno studio di modellazione della superficie e di scanditura dei pieni e dei vuoti del tutto particolare; la dimensione verticale delle finestre, continue dal basso all'alto e fortemente aggettanti, dilata le proporzioni reali dell’edificio. Una cura del dettaglio e un così fine trattamento della superficie intonacata si ritrovano assai difficilmente non solo nella restante opera dell’Antonelli ma, in genere, nelle altre costruzioni dell'epoca. Vi è insomma una maestria formale, anche nell'esecuzione, da rendere questa casa simile a certi edifici settecenteschi dove si continua ininterrottamente lo spirito della grande architettura umanistica. Ma, nel contempo, è impossibile trascurare in questo piccolo edificio quella originalità e abilità costruttiva che abbiamo visto essere caratteristiche dell’opera dell’Antonelli;... Vittorio Gregotti Aldo Rossi, L'influenza del romanticismo europeo nell'architettura di Alessandro Antonelli Op.Cit. Nel 1854 l'Antonelli fu incaricato dal curato dell'Annunziata del progetto della chiesa del nuovo borgo, da dedicare a San Luca. Dopo varie vicissitudini, il progetto fu accantonato e nel 1866 venne inaugurata una chiesa dedicata a Santa Giulia, frutto della volontà della Marchesa Giulia Falletti di Barolo, su progetto del giovane ingegnere Giovanni Battista Ferrante.
Sul finire del 1847 prende parte al Comitato organizzatore, per la Società delle Arti Riunite, del ricevimento di Carlo Alberto in Torino dopo la concessione delle riforme, e fu l’anima principale e l’architetto dell’arco di trionfo allora improvvisato in piazza di Po, oggi Piazza Vittorio Emanuele. Idea che ebbe molto successo: un arco a tre luci che avrebbe completato, con i suoi peristili laterali il giro dei portici attorno alla piazza, ma che non verrà realizzata. Su il "Mondo illustrato" del 4 dicembre 1947, compare questo resoconto: Una società di cittadini e di artisti, fra i quali siam lieti di poter nominare l'avvocato Martelli ed il professore architetto Antonelli la sera di giovedì incominciarono a costruire in Piazza di Po un arco trionfale, il quale non poté essere finito se non nella giornata di sabbato alle due pomeridiane... L'egregio Antonelli, il Martelli ed i loro degni amici non risparmiarono fatica per finirlo il più presto possibile: essi sorvegliarono con infaticabile premura i lavori, non badarono a spese, ed a nient'altro pensarono fuorché mostrare al re che la sua diletta e fedele Torino non voleva omettere nessun modo di attestargli la sua figliale ed italiana riconoscenza.
Lasciata l'Accademia Albertina, l'attività professionale lo impegna profondamente, anche se non tralascia le incombenze famigliari e segue con passione la crescita dei due figli. Il lavoro per il borgo di Vanchiglia lo occupa molto, ma anche a Novara è preso da opere importanti, come l'ampliamento dell'Ospedale Maggiore della carità e a Boca il santuario del crocefisso, ma è soprattutto la cupola di San Gaudenzio che lo impegna nel suo desiderio di elevarsi con la leggerezza dell'acciaio, usando invece le murature di mattoni. Mentre lavora alla Casa delle Colonne, in cui porta a compimento il suo "sistema costruttivo", partecipa attivamente alla Commissione del consiglio comunale incaricata del nuovo piano regolatore di Torino e propone, probabilmente interessato da comitati cittadini, tra cui quello di Valchiria, uno studio, disegnato alla perfezione, acquerellato, con l'indicazione dei comparti edificatori, degli spazi pubblici, del verde. Piano che ovviamente rimane sulla carta, ma che aumenta l'importanza di Antonelli nella capitale del Regno e che porta continue commesse.
Piano Generale d'ingrandimento della cittĂ di Torino colle proposte della stazione ossia scalo della ferrovia di Novara sull'asse dell'entrata dalla porta presso la Dora l'una a destra e l'altra a sinistra del fiume presentato al comitato della ferrovia da Alessandro Antonelli il gennajo 1852. Fonte ASCT
Da una lettera del suo "commercialista" di Novara19, del 1854 si ha conferma su come l'Antonelli abbia partecipato al boom edilizio di Torino, non solo in qualitĂ di progettista e direttore dei lavori, ma anche di investitore in proprio. A quella data possedeva infatti un palazzo di appartamenti d'affitto del valore di ben 600.000 lire, ancora ipotecato per un terzo, ed in cui avevano quote anche alcuni suoi fratelli. 1851 Manica interna edificio del Conte Birago in via dei Ripari, Torino 1851 Costruzione di scuderie per il conte Vincenzo Callori di Vignale, via San Lazzaro Torino 1852 Casa Simeom, Torino 1852 Ricostruzione nuovo corpo di fabbrica per il Barone B. Visconti, piazza Maria Teresa Torino 1852-53 Casa Pietro Ropolo, in Viale San Maurizio, Torino 1852-54 Progetto di ricostruzione del duomo e di Palazzo Massel a Casale Monferrato 1853 Lavori al Collegio Convitto Dal Pozzo, Vercelli. 1853-54 Casa delle colonne, corso Umberto, Torino 1853 Progetto di sopraelevazione dei palazzi di Piazza San Carlo, Torino 1853-69 Ampliamento del Duomo di Novara 1854-56 Progetto per la chiesa di San Luca, Torino. 1855 Progetto di dogana internazionale da erigersi a Novara. 1855-56 Progetto per il Santuario di Oropa, Alpi Biellesi. 1857 Progetto di portici per il collegamento del centro con la stazione ferroviaria, Novara. 1857 Progetto e parziale ampliamento del municipio, Mortara (PV) 1857 Torre di villa Solei a Moncanino, San Mauro Torinese 1857- 64 Casa Desanti (poi Bossi), Novara. 1858 Progetto di teatro, Novara. 1859-61 Palazzina per i fratelli Borani, orafi, Corso del Duca di Genova, Torino. 19
ASN Collezione Finazzi. Il causidico Finazzi, che curava gli interesse dell'Antonelli a Novara
1859 Contributo al Piano Regolatore di Torino. 1860 Progetto di Parlamento Nazionale, Torino. 1862 Piano Regolatore di Ferrara. 1862-66 Progetto per la facciata di Santa Maria del Fiore, Firenze. 1862-88 Tempio israelitico (poi mole antonelliana), Torino. 1863 Progetto per la Chiesa Parrocchiale di Vespolate. 1863-64: Progetto per la Cattedrale di Alessandria 1866 Progetto di Manicomio Provinciale Novara 1888 Progetto di Finimento della chiesa parrocchiale di Bellinzago, Novara
Nel 1862-63 è membro della commissione per il concorso internazionale della facciata del duomo di Firenze, Santa Maria del Fiore. A Firenze, in un giorno del 1863, i giurati erano in trattoria, tralasciando per qualche ora i giudizi sui progetti per la facciata di Santa Maria del Fiore. Fosse il Chianti o il gran mangiare, i toni s'alzarono ed Enrico Alvino ebbe una curiosità. Con gioioso accento napoletano chiese a voce alta. " Chi è quel matto che sta facendo la cupola di San Gaudenzio a Novara?. " Quel matto sono io" e un sessantacinquenne, alzandosi squadrò i colleghi mostrando come Alessandro Antonelli fosse ancora battagliero e pronto a tutto. Diego Boca "Alessandro Antonelli, un protagonista dell'architettura", interlinea, Novara 2015 Il concorso, di fatto si protrasse fino al 1866, evolvendosi in concorso ad inviti a cui fu chiamato a partecipare. Presentò una soluzione radicalmente diversa alle altre, per la presenza di un portico, che fu rifiutata tra le aspre polemiche, che infuocarono quegli anni. Nel 1863 la comunità israelitica di Torino, dopo aver esperito un concorso senza successo, gli affida quello che sarà l'incarico più prestigioso della sua vita e che verrà ricordato come la Mole Antonelliana. Non passa molto tempo che una tragedia lo colpisce amaramente. Sua figlia Angiola, muore a soli diciannove anni, il 16 dicembre 1865, nella casa di Maggiora. La giovane, a cui il padre era molto attaccato lo aiutava nei conteggi e nel lavoro d'ufficio. Anni drammatici, mitigati forse dalla presenza continua dell'altro figlio, Costanzo, che nel 1870 si laurea ingegnere ed inizia a lavorare a tempo pieno con lui, oramai settantenne. Il lavoro lo assorbe completamente, tra i tanti cantieri, proseguono e vi si sovrappongono: il santuario di Boca, la cupola di San Gaudenzio ed ora anche il cantiere del Tempio Israelitico di Torino, iniziato nel 1863, che subisce un lungo arresto, una travagliata e contraddittoria epopea relativa la sua stabilità, con la nomina di commissioni su commissioni, ed alla mancanza di fondi sufficienti a proseguirne la realizzazione, fino ad essere ceduta al Comune.
Gli ultimi anni 1873-76 – Asilo infantile ‘De Medici’, Bellinzago Novarese. 1879-80 Progetto di concorso del Monumento alla memoria del Re Vittorio Emanuele II, Roma. 1879-81 Progetto di protezione della cupola del Santuario di Vicoforte, Mondovì Cuneo. 1887 Cimitero di Maggiora. Nel febbraio- marzo 1878 partecipa a Roma, su nomina del governo nella commissione di esame del Concorso per il Palazzo per la Esposizione Nazionale di Belle Arti da eseguirsi in Roma indetto dal Ministro della istruzione pubblica nell' aprile 1877. La Commissione nella prima seduta acclamò a suo Presidente il prof. comm. AntoneIli predetto, l'autore del tempio israelitico di Torino, e della cupola di S. Gaudenzio in Novara. Senonchè, dopo alcuni giorni di lavori e di discussioni, questa Commissione, venuta alla votazione, non potè mettersi d'accordo sulla scelta del progetto premiando, e fu allora che il Presidente, dopo avere esposto lo stato delle cose al Ministro, provocò per parte dei tre enti interessati l'aggiunta alla Commissione di due membri di rispettiva nomina, ...
Cosi raddoppiata, la Commissione riconfermò ad unanimità la presidenza al comm. Antonelli, e ripigliò da capo l'esame dei progetti. Finalmente, in data 16 marzo u. s. questa Commissione presentò al Ministro il resoconto del suo operato, e indicò il progetto N. L come degno del premio. Apprendiamo che la Giunta Superiore di Belle Arti, in unione coi signori Boilo, Ciseri, Micheli e Mussini, membri straordinari aggiunti dal Ministro dell'Istruzione pubblica, ha dichiaralo non accettabile il giudizio della Commissione. In seguito di ciò si sono sollevate aspre polemiche sulle gazzette, e per parte della Provincia e del Municipio si sono domandati schiarimenti al Ministero. E tuttora si attende la pubblicazione della Relazione e di quelle altre notizie che non possono a meno di interessare i 73 concorrenti. Roma, 1° maggio 1878. L'ingegneria Civile e le Arti Industriali Torino 1 maggio 1878 anno IV n.5 Dopo molte polemiche, vincitore risultò il progetto del giovane architetto romano Pio Piacentini contrassegnato con il motto "Sit quod vis simplex et unum". I lavori della costruzione iniziarono nel 1880 e l’edificio venne inaugurato dal Re, con una cerimonia solenne, nel 1883. Nel gennaio 1878 muore a cinquantotto anni, Vittorio Emanuele II, il re che aveva fatto l'unità d'Italia. Dopo il funerale la politica discute di come onorarlo e scaturisce la proposta di un concorso per un grande Monumento a Vittorio Emanuele II. Con la legge 25 luglio 1880 n. 5562 fu bandito il concorso che si concluse nel settembre 1883 con 250 partecipanti, tra cui voleva esserci anche l'Antonelli ma i tempi stretti, gli impegni e soprattutto la mutata richiesta limitata ad un monumento e non un pantheon, non gli permisero di formalizzare la sua idea di cui rimangono alcuni disegni di uno straordinario edificio dalle dimensioni straordinarie, con oltre 220 metri di altezza totale. Chiari i riferimenti alla cupola di san Gaudenzio ed alla Mole. Nel luglio del 1879 viene chiamato dall'amministrazione del Santuario di Vicoforte a Mondovì , per redigere una relazione per l'inserimento della basilica tra i Monumenti del Regno. In tale occasione propone la realizzazione di una contro cupola per proteggere quella esistente affrescata, dalle intemperie. Nel 1881 produrrà un grafico esplicativo della sua idea, che non troverà però attuazione. Tale era la fama conquistata che nel 1881, Fortunato Vegara assessore ai lavori pubblici del Municipio di Palermo indignato per le eccessive spese nella costruzione del teatro Massimo, revocò l'incarico al progettista Giovan Battista Filippo Basile e contattò l'Antonelli per affidargli la prosecuzione dei lavori. Incarico che non fu accettato, oltre che per l'età anche per le controversie cittadine. Tra il 1882 ed il 1884 è impegnato nella Commissione tecnica per l'Esposizione Generale Italiana del 1884 organizzata dalla "Società promotrice dell'industria nazionale" di Torino, che si tenne nel parco del Valentino, articolata in otto Divisioni: Belle arti, Produzioni scientifiche e letterarie, Didattica, Previdenza e assistenza pubblica, Industrie estrattive e chimiche, Industrie meccaniche, Industrie manifatturiere, Economia Rurale, con 14.237 espositori e circa tre milioni di visitatori. Alla mostra partecipa con alcuni progetti esposti nella Galleria Nord.
Nel 1884 fu invitato dal ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Zanardelli a far parte nella Commissione per il Palazzo di Giustizia, a Roma, ed anche in questo caso a causa dei suoi 86 anni, non poté accettare tale incarico. Nell'ultimo periodo della sua vita, alternando le sue occupazioni tra il Santuario del Crocefisso di Boca, la cupola di San Gaudenzio e la Mole di Torino, collabora ad alcuni lavori del figlio, cura la sopraelevazione della "Fetta di polenta" e si interessa al concorso, bandito nel 1884 per il rifacimento della facciata del duomo di Milano, senza però parteciparvi. Il 23 febbraio 1887, il violento terremoto che colpisce Torino lesiona anche la Mole, ed Antonelli è impegnato nelle riparazioni e rinforzi statici. Il 24 luglio sale per l'ultima volta, trasportato a braccia, fino a 149 metri di altezza, in cima alla sua Mole. Nel febbraio del 1888, decide di sostituire alla stella d’Italia, prevista al vertice della guglia, il genio alato dei Savoia, ma non arriverà a vederlo. É di due mesi prima della morte, nell'agosto del 1888, il suo ultimo progetto che riguarda la sistemazione della parte centrale di Bellinzago, con il "Progetto di Finimento della chiesa parrocchiale di Bellinzago, Novara" con un campanile di 105 metri. Indomito fino alla fine, la sua firma, sul disegno datato 17 agosto 1888, è però tremolante. 1877-79 Socio della Cooperativa degli Operai Muratori e Presidente Onorario della Soc. Naz. d'Incoraggiamento. 1880 Consigliere dell'Associazione Liberale Progressista20 di Torino. 1880 viene nominato nella commissione Torino per la nomina del professore di architettura e per la Scuola del Valentino. 1886 è nominato Accademico di Merito, Classe Architettura, dell'Insigne Romana Accademica di Belle Arti, denominata di San Luca.
Nel 1876 fu fondata, a Torino, l’Associazione Liberale Progressista. Essa aveva l’obiettivo di sostenere il governo della sinistra, nato qualche mese prima, e rispondeva alla sentita "necessità che il partito liberale si disciplini e organizzi affine di dare al Governo la necessaria forza a compiere riforme desiderate, nonché di evitare dolorose sorprese". Il programma ..."informato a larghi principi di libertà,prometteva una solida finanza come base necessaria a qualsiasi utile riforma; una politica intesa a tutelare la pace con dignità e a promuovere con un buon indirizzo del commercio internazionale la prosperità economica del paese. Nella politica interna metteva in prima linea i provvedimenti a favore dell e classi meno agiate, con la istituzione di una Cassa-pensioni per gli operai vecchi e inabili al lavoro, con un migliore ordinamento delle Opere pie e del credito agrario, con provvedimenti per migliorare le abitazioni dei contadini; annunziava la riforma della legge comunale e provinciale, di quella sulla pubblica sicurezza e dell’ordinamento giudiziario; prometteva infine di provvedere ai medici-condotti, ai segretari comunali, ai maestri elementari". Davide Tabor - Il cerchio della politica. Deputati, notabili, attivisti a Torino tra '800 e '900, Zamorani2013 20
Alla sua morte, Antonelli era ancora in piena attività malgrado i suoi novant'anni. Muore infatti il 18 ottobre 1888, nell’appartamento situato nell’attico della sua Casa di Via Vanchiglia. Il funerale si tenne in forma ufficiale nel pomeriggio del 20 ottobre nella vicina Chiesa di Santa Giulia. Il 22 infine venne sepolto nel cimitero di Maggiora, dove riposa tutt’ora.
Annibale Rigotti Ricordo di un architetto moderno italiano dell'800: Alessandro Antonelli; Rivista Architettura, Roma, luglio 1942, p. 232·3. Lo ricordo negli ultimi anni della sua vita, Allora avevo sedici anni ed ero allievo del corso di architettura alla R. Accademia Albertina di Torino; ricordo che si faceva tirare su in una cesta (era quasi novantenne) fino a quel punto della Mole dove pochi e affezionati operai lavoravano. Con sensibilità tattile ogni pezzo era palpato dalle sue mani quasi queste avessero il potere di sentire la resistenza e di misurarla, come l'esperto tessile decide della qualità della stoffa fregandola tra il pollice e l'indice. Ai giovani che sovente si recavano lassù, studiosi e curiosi a un tempo, spiegava volentieri la funzione dei tiranti in ferro, di certi archi parabolici o delle piattabande, Ogni particolare della costruzione era una trovata originale. Egli ha sostituito un diverso sistema costruttivo a quello comune in quei tempi, con fede incrollabile nelle sue idee, allontanandosi e capovolgendo idee e soluzioni comuni. La leggerezza dei suoi edifici fu di esempio; e se questa speciale maniera di costruire non ebbe seguito, lo sî deve ai nuovi materiali e agli altri sistemi riconosciuti più utili nell'edilizia. Molte soluzioni sono originali, soprattutto quella della doppia volta della Mole con l'introduzione del sistema cellulare. La cupola di S. Gaudenzio sarà architettonicamente più ben pensata, ma non ci dice altro che la sua maestria nel giocare con i materiali. Negli anni in cui frequentavo i corsi all'Accademia, insegnava architettura il prof. Crescentino Caselli discepolo prediletto dell'A. e nell'insegnamento seguiva quasi esclusivamente il sistema antonelliano. Tutti i progetti erano studiati su un reticolato che determinava la posizione dei pilastri, in funzione con gli archi o le piattabande e le volte, perciò la Mole era la nostra meta di osservazione e di studio. Talvolta ci spingevamo fin sotto il tetto della casa in via Vanchiglia dove Antonelli aveva lo studio. Oltre ai disegni, vi era il modello in legno della parte d'innesto della guglia con la cupola. Quasi ignari di quanto si costruiva altrove, il sistema antonelliano era da noi accettato con una specie di fanatismo che sbollì; appena dopo la scuola si apersero ai nostri occhi nuovi orizzonti e incominciammo a studiare le bellezze passate e ad avere nozione delle nuove forme costruttive e architettoniche che sorgevano negli altri paesi. Data l'epoca, poiché la sua genialità era tutta rivolta alla costruzione e assolutamente negativa la sua sensibilità artistica, non poteva concepire la bellezza nuda della struttura di un edificio. Allievo del Bonsignore, rivestiva le sue opere di un'architettura classica che non era molto appropriata alla sua maniera di costruire. Portato dalla sua mente ragionatrice, ricorreva a puerili artifici allungando per esempio il profilo delle basi in alto perché l'occhio dalla strada ne ricevesse le giuste proporzioni classiche; non poteva concepire i rocchi dei venti esili fulcri interni della Mole in pietra sbozzata a punta senza pensare di rivestirli con stucco e completarli con gli elementi del capitello e della base corinzia. Professore di architettura, prospettiva e ornato all'Accademia Albertina (1836-1857): giudice nei concorsi più importanti di architettura, fra gli altri in quello della facciata di S. Maria del Fiore di Firenze (1863) e nelle gare quadriennali Gori-Ferroni di Siena, per cattedre d'architettura nelle R. Accademie; sempre interpellato quando si trattava di edifici monumentali da restaurare, o ne proponeva l'abbattimento {Casale Monferrato, Duomo, 1852), oppure ne presentava progetti insensati di rifacimento (Mondovi, Santuario di Vicoforte, 1881). ...che la sua potenza nel costruire era pari alla forza nel costringere gli altri a subire la ‘sua volontà. Con un piano ben chiaro e definito nella sua mente presentava dei disegni solo quello che poteva essere approvato, mascherando le sue intenzioni, predisponendo tutto per arrivare a tappe dove voleva. E non solo quando si trattava dei suoi lavori, ma, anche quando era giudice nei concorsi, la sua tenacia fu quasi sempre coronata da successo. Sempre fermo nella sua formula quando costruiva «dove basta Un mattone non metterne due», quando progettava, forse attratto da un nuovo problema costruttivo, l'abbandonava completamente. Quando per un piccolo paese gli si domandò un progetto di chiesa parrocchiale, vennero fuori le fondazioni di una grande cattedrale di cui la parte costruita, la sola sacrestia, funziona attualmente da parrocchia ed è più che sufficiente per la popolazione del paese.
I funerali di Alessandro Antonelli Gazzetta Piemontese 22.10.1888 La sepoltura di Alessandro Antonelli, com'era stato annunciato, ebbe luogo ieri sera alle ore 4,15. L'Antonelli è morto in una camera al 5° piano della sua casa in via Vanchiglia; una camera modestissima, nella quale, oltre ad alcuni ritratti di famiglia, non v'è di notevole che un ritratto del compianto avv. Allis, il più caldo difensore della Mole Antonelliana, ed una lettera di lui incorniciata. Nella camera non c'è quasi altro mobile che un comunissimo letto in ferro, perché l'Antonelli era di gusti semplicissimi, antichi. Anche materialmente, l'Antonelli viveva nell'Excelsior, e da quel balcone al 5° piano poteva contemplare a suo bell'agio la sua opera maggiore. Accanto alla camera da letto sta lo studio dell'illustre ingegnere, in cui vi sono i disegni del tempio, ed un facsimile ridotto in legno della somma parte dell'edificio. Negli ultimi mesi, l'Antonelli, quantunque lucidissimo di mente, era esausto di forze, e non faceva che passare dalla sua camera allo studio. Il pittore Grosso ritrasse iermattina la figura di Antonelli defunto con una rassomiglianza ammirata da tutti i membri della famiglia Antonelli. Preso la maschera il formatore Bonanate, il quale raccolse anche per desiderio dell'ing. Caselli, ammiratore e allievo dell'Antonelli, la forma della mano. Il pittore Garino ne fece la fotografia. La salma fu chiusa in una cassa di noce ricoperta di zinco, e trasportata nel gran carro di gala del Municipio tirato da quattro cavalli bianchi bardati alla spagnuola e condotti a mano da quattro valletti in divisa analoga. Sul carro vennero deposte varie corone; ne notammo una del Municipio di Novara, un'altra del Municipio di Maggiora: in testa del carro ve n'era una che portava l'iscrizione: Moglie e figlio desolati; poi sui fianchi, due altre,, mandate dal cav. Luigi Casalegno, direttore della Banca Popolare, e dalla sua signora delfina Casalegno-Grosso, e da Ermanno e Marianna coniugi Buscaglioni. Una quantità innumerevole di persone si fecero iscrivere nel registro aperto al primo piano della casa. Erano rappresentate con bandiere le seguenti Società: l'Operaia di Maggiora (Lago Maggiore), L'Associazione generale degli operai di Torino, di cui l'Antonelli era socio onorario, le scuole di San Carlo di Torino, le guardie a fuoco di Torino. Fra i consiglieri comunali, oltre il sindaco comun-Voli(?), notammo i seguenti: Benintendi senatore, Gioberti, Bollati, Ajello, favale, casana, Dumontel, D'Azeglio, Rignon, Arcozzi-Masino, senatore Pacchiotti, Peyron, Frescot, senatore Pernati, Tensi, Pellegrini, Roy, laura, Simondetti, Badano. Ceresole, ratti, rabbi, Silvetti, Bignami, Daneo, Badini-Confalonieri. V'era pure una rappresentanza dell'Opera Pia di San Paolo, cavaliere Conelli, e dalla Giunta; Ghemme e Maggiora dal loro sindaco. Il pittore Biscarra rappresentava l'Accademia Albertina e per delegazione l'Accademia di San Luca di Roma. V'erano per far onore al maestro in arte, gli ingegneri Caselli, Brayda, Casana, Ferria, Agucio, Imperatori, gli scultori Ginotti, Tabacchi, Cuglierero, il pittore Grosso, che come abbiamo detto, prese la maschera del defunto, il Garino, che ne fece la fotografia, ed il Gisolfi. Tenevano i cordoni: pel Prefetto, il consigliere delegato Tognola, il sindaco di Torino, il sindaco di Maggiora, il sindaco di Novara, il sindaco di Ghemme. Il pittore Biscarra, il cav. Casana per la Società degli ingegneri, il prof. Reycend per la scuola d'applicazione degli ingegneri, il prof. Ferroglio per l'Ospedale di carità, gli assessori Silvetti e Rignon.
Crescentino Caselli, Necrologio per Alessandro Antonelli ... si può affermare che Antonelli è stato maestro a se stesso, ed è il solo degli architetti italiani che, formatosi nell’epoca in cui tutti giuravano per il greco ed il romano, ha saputo dare alle opere sue una impronta di personalità potentissima, e formarsi in architettura un sistema, direi uno stile, tutto proprio. Nel suo sistema, il muro non esiste altrimenti che come mezzo di chiusura e di riparo; il sostegno e la solidità della fabbrica è tutta raccomandata a pilastri, che danno punti di appoggio principali, ad archi, i quali formano a loro volta il contrasto dei pilastri, offrono nuovi punti di appoggio quando occorrono, e reggono le vôlte; l’ordine e l’equilibrio governano ed armonizzano tutte le masse della fabbrica, un complesso di tiranti invisibile, immerso nella massa delle murature stesse, ne completa la solidità, l’invariabilità del sistema meccanico. A partire dal modo di pensare un progetto e tradurlo in linee, alle manovre, ai ponti di servizio ed altri mezzi d’opera, alla formazione delle fondamente e delle strutture dei piedritti, all’apparecchio delle vôlte, ai modi di impiego e collegamento del ferro, alla struttura e tracciamento delle scale, al sostegno ed alla formazione della copertura, all’uso delle pietre e dei marmi, all’esecuzione degli infissi di porte e finestre, degli arredi e ai più piccoli particolari dell’uso e della decorazione, al tipo ed alla distribuzione planimetrica ed altimetrica dell’edifizio nelle sue varie specie, alla verità, razionalità del sistema estetico sempre ricavato ed intimamente connesso alla verità e bontà del sistema costruttivo, in tutto ciò insomma che riguarda l’arte dell’architetto, Antonelli ha sistemi, procedimenti e convincimenti suoi particolari, che prima si presentiscono, si intravedono, si iniziano nelle sue fabbriche più antiche, e poi gradatamente si accentuano, si sviluppano a un rigore scientifico in quelle che vengono dopo. Molti processi di costruzione, alcune disposizioni della casa che Antonelli fu il primo ad inventare o ad introdurre in Torino ora sono di uso generalizzato non solo a Torino, ma in altri luoghi d’Italia, e più segnatamente a Roma; alcuni poi dei suoi procedimenti sono così originali, così ingegnosi che vorrebbero essere battezzati col suo nome. in: “L’Ingegneria Civile e le Arti industriali” Torino, ottobre, 1888
Per iniziativa dell’Amministrazione comunale di Maggiora, il 7 agosto 1898 venne inaugurato il monumento che ricorda l’illustre architetto, opera dello scultore Giulio Milano, legato ad Alessandro Antonelli da vincoli di parentela, e raffigura l’architetto intento a studiare un progetto. Il comune di Ghemme gli intitola la piazza principale, quand'era ancora in vita. si è pure deliberata una lapide a ricordare il luogo in cui nacque. Il consiglio comunale di Maggiora delibera l’erezione di una statua raffigurante, che viene collocata nella piazza del paese il 7 agosto 1898.
Alessandro Antonelli agronomo Leggiamo su “Itinerari dell’arte nel Novarese – Alla scoperta del Neoclassico attraverso le opere di Alessandro Antonelli”, queste curiosità, che volentieri riportiamo perchè ben inquadra il personaggio, oltre che il progettista: ” Alessandro Antonelli non fu solo progettista di grandi monumenti civili e religiosi, ma si narra abbia dato un contributo importante anche per l’agricoltura delle colline del suo territorio, attraverso la progettazione di un nuovo sistema di coltivazione della vite. E’ una tecnica particolare la sua, conosciuta come ”maggiorina”, visibile ancora oggi nei vecchi impianti viticoli collinari del novarese.” Maggiorina da Maggiora, il paese di famiglia e ove risiedette per molti anni. Infatti i vigneti di Maggiora, come ci ricorda M.G. Virgili nel suo trattato “” Vite e vino, nella nostra terra””, erano… “retti a pali verticali, sotto la spinta del vento, non sempre reggevano il peso del carico e, talvolta, crollavano trascinando nella loro rovina i grappoli quasi maturi. Fu l’architetto Antonelli, il geniale costruttore di statica muraria… a trovare una soluzione pratica: egli per primo, sfidando il sarcasmo dei viticoltori locali, studiò la ”campanatura” dei pali di sostegno, ossia mise i pali stessi obliqui in modo che la loro inclinazione compensasse la forza traente dei tralci, ottenendo così una situazione di equilibrio”.” La maggiorina La tecnica della coltivazione della vite a maggiorina era realizzata piantando 3 o 4 viti molto vicine, al centro di un quadrato di circa quattro metri per lato. I lunghi tralci si allungavano verso i punti cardinali, sostenuti da otto pali di legno conficcati nel terreno. I ceppi potevano essere, a loro volta, sostenuti da un palo centrale ed erano tenuti insieme da legature a salice. Era un sistema adatto per coltivare la vite su terreni in pendenza e spesso battuti da forti venti. In prossimità della vendemmia, il peso eccessivo dei grappoli, soprattutto nelle giornate ventose, poteva far cedere i pali di sostegno, con il conseguente crollo dell’impianto. La struttura a quadrati indipendenti limitava il rischio a poche piante, preservando il resto del vigneto. Tuttavia i danni erano spesso ingenti e fu l’architetto Antonelli, progettista della famosa Mole di Torino e originario di Maggiora, a modificare la forma della maggiorina. Tenendo conto dell’inclinazione dei terreni e del peso dei tralci carichi d’uva, definì il giusto grado d’inclinazione dei pali di sostegno, in modo che potessero sostenere le viti senza rischi. All’interno dei vigneti a maggiorina la densità delle piante è di circa 2000 ceppi per ettaro e spesso nello stesso quadrato convivono diverse varietà. Insieme al nebbiolo capita di trovare viti di vespolina, uva rara e croatina. Una compresenza figlia di un’antica consuetudine, che rispecchia l’uvaggio tipico del territorio, molto lontana dalla rigida monocoltura dei vigneti moderni. Il gambero rosso 9 Feb. 2017, a cura di Alessio Turazza
Grazie Giuliana Baldocchi, Sara Meoni Fondazione Centro Studi Ragghianti,Lucca
Riferimenti bibliografici Daniela Biancolini, a cura Il secolo di Antonelli Novara 1798-1888 Istituto Geografico De Agostini, Novara 1988
Carlo Mollino Incanto e volontà di Antonelli Torino Rassegna mensile della città Anno XXI maggio 1941 XIX numero 5
Diego Boca Alessandro Antonelli, un protagonista dell'architettura Interlinea, Novara 2015 Crescentino Caselli Necrologia Alessandro Antonelli, Architetto L'ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno XIV. Torino ottobre 1888 Num. 10. Ing. Leandro Caselli La Cupola della Basilica di S. Gaudenzio in Novara L'ingegneria civile e le arti industriali Periodico tecnico mensile, Camilla e Bertero editore Torino Anno III. Torino, 1 ° Ottobre 1877 n.10 1 ° Novembre 1877 n.11 Arialdo Daverio Ispirazione romantica nell'architettura di Alessandro Antonelli Atti e Rassegna Tecnica della Società Ingegneri e Architetti in Torino - Nuova Serie - A. 14 - N. 2 Feb.1960 Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane Atti e Rassegna Tecnica della Ingegneri e Architetti in Torino nuova serie A. 16- n.6 - giugno 1962
Società
Bruno Gambarotta Reportage dalla “Fetta di polenta”, la bizzarria di Antonelli è ora aperta a tutti La stampa 9 aprile 2008 Corrado Gavinelli Il Santuario del crocefisso e l'opera Antonelliana a Boca Tipografia del Forno, Maggiora (NO) 1988 Fabio Gedda, Marco Magnone, Ilaria Urbinati A.A.A il diario fantastico di Alessandro Antonelli Architetto espress edizioni Vittorio Gregotti e Aldo Rossi
L'influenza del romanticismo europeo nell’architettura di Alessandro Antonelli Casabella n. 214 marzo 1957
Sergio Monferrini Il notaio Costanzo Antonelli ed i suoi figli In Contributi nel bicentenario della nascita 17981998 Scuola serale di disegno Alessandro Antonelli, Maggiora Società storico archeologica Agamium, Ghemme Itinerari d'arte nel novarese Alla scoperta del Neoclassico attraverso le opere di Alessandro Antonelli Agenzia Turistica Locale della Provincia di Novara, 2008 Annibale Rigotti Ricordo di un architetto moderno italiano dell'8OO: Alessandro Antonelli; Rivista Architettura, Roma, luglio 1942, p. 232·3. Franco Rosso Catalogo critico dell'Archivio Alessandro Antonelli Museo Civico di Torino, 1975 Anna Spinaci Casa Bossi a Novara: Occasione per la valorizzazione e il “Rilancio” di un Circuito Antonelliano Relatore: Cristina Coscia, Correlatore: Cesare Tocci Politecnico di Torino - Dipartimento di Architettura e Design (DAD) Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Restauro e Valorizzazione del Patrimonio Anno Accademico 2018-2019 Beatrice Zanelli Accademia Albertina delle belle arti di Torino. Vincoli culturali e materiale didattico ad uso degli studenti della scuola di Alessandro Antonelli (1842 – 1855) Politecnico di Torino Dipartimento di Architettura e Design Tesi di Dottorato di ricerca in Storia dell'architettura e dell'urbanistica - 2016
Alessandro Antonelli - Sintesi cronologica delle opere Fonti principali: Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane, Atti e Rassegna Tecnica della Società Ingegneri e Architetti in Torino, giugno 1962 Crescentino Caselli, Necrologia Alessandro Antonelli, Architetto, L'ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno XIV. Torino ottobre 1888 Num. 10. Daniele Biancolini, Il secolo d'Antonelli, DeAgostini, Novara 1988 Franco Rosso, Alessandro Antonelli 1798-1888, Electa Milano 1989 Corrado Gavinelli Il santuario del SS. Crocefisso e l'opera Antonelliana a Boca Tip. Del Forno, Maggiora Novara, 1988 1821-22 Altare dell’oratorio di San Rocco a Fontanese In questa data (1822) il giovane Alessandro Antonelli, non ancora diplomato architetto, progetta il nuovo altare. Certamente sollecitato dalla zia materna Lucia Bozzi, vedova dell’ingegnere Giovanni Antonio Cavallazzi di Fontaneto, e dal figlio di questi, Pietro, agente dei Visconti Borromeo e consigliere comunale di Fontaneto, l’Antonelli elaborò l’insieme rifacendosi alla produzione misurata e senza enfasi, di impronta neoclassica,dell’architetto omegnese sacerdote Giuseppe Zanoja, che conobbe a Milano, all’Accademia di Brera, durante gli studi inferiori terminati nel 1819. Fonti: Itinerari d'arte nel Novarese,op. cit. La chiesa di San Rocco - sito ufficiale comune di Fontaneto D'Agogna (No) 1822-1888 Santuario del Crocefisso, Boca Novarese. La storia narra dell'origine del santuario ad una cappella, posta ad un chilometro dal paese di Boca, in cui era conservato un crocefisso che aveva salvato un viandante dai predoni e che continuava a fare devoti, tanto da rendere necessaria la costruzione di una prima chiesa, che poi divenne insufficiente col crescere delle folle. Si arriva così all'attuale maestoso tempio di impianto neoclassico, opera di Alessandro Antonelli, la cui prima pietra fu posta nel 1822, e la costruzione terminò dopo la sua morte. Il progetto antonelliano che prevedeva la realizzazione di un'opera dalle caratteristiche eccezionali: un tempio lungo 45 metri a tre navate con 26 colonne, una navata centrale alta 51 metri, un pronao con 16 colonne alte oltre 10 metri, un campanile di 119 metri, fu poi ridimensionato per ragioni economiche. (VEDI SCHEDA) 1825 Palazzina per il dott. Porta Bava a Torino Dirige i lavori, con alcune varianti, di un progetto dell’architetto Gaetano Lombardi (1793-1868) per una palazzina a 3 piani posta tra corso Vittorio Emanuele II e via Pomba. 1826 Scala di accesso allo scuròlo di Sant’Agapito, Maggiora. Prima di partire per il pensionato a Roma, progetta nel paese della famiglia la scala d’accesso allo scurolo di S. Agapito, una costruzione lungo un fianco della chiesa parrocchiale, edificata a partire dal 1817 su disegno dell’abate Giuseppe Zanoja. La costruzione della cripta sottostante aveva portato il pavimento dello scurolo ad altezza superiore al piano della chiesa e la morte aveva impedito allo Zanoja di predisporre la soluzione al problema. 1831 – Progetto per piazza Castello, Torino. Progetto elaborato a conclusione della permanenza a Roma, che propone l'ampliamento di piazza Castello a Torino, per farla diventare la piazza più grande d'Europa. Progetto sviluppato in diversi disegni e prospettive che lo fece conoscere tanto da essere inscritto nell’albo delle Accademie di Bologna, di Firenze, di Milano, di Parma e di Torino. Il progetto, entra anche alla Corte Sabauda, ed i disegni vennero esposti nella seconda "Triennale Pubblica Esposizione dei prodotti dell'industria e degli oggetti di Belle arti dei Regi Stati", ma rimase comunque un brillante esercizio di stile.
Incisione originale eseguita all’acquatinta a due impressa a Roma nel 1831 da Alessandro Angeli, su disegno di Alessandro Antonelli. Fantastica veduta di Piazza Castello a Torino raffigurata secondo un progetto mai realizzato dell’architetto Alessandro Antonelli. Lo studio si basava sulla demolizione di Palazzo Madama, del Duomo e della Galleria di Beaumont per far spazio a uno stabile a forma di Pantheon (come nuova Chiesa di San Giovanni). Inoltre si voleva migliorare l’aspetto alle aree dei Giardini Reali e di piazza Castello. 1832-36 Altare maggiore della Cattedrale, Novara. All'interno dei lavori di restauro della cattedrale, iniziati dall'architetto Benedetto Alfieri, sospesi nel 1792 e ripresi nel 1831 dall'ingegner Melchioni, Antonelli viene incaricato del progetto dell' Altare Maggiore che sarà inaugurato nel 1833. All’imponente struttura, vero e proprio fulcro visivo della cattedrale, collabora anche il danese Bertel Thorwaldsen (1770-1844), uno dei più celebri scultori dell’epoca. Il progetto assicura all’architetto il favore dei canonici che vent’anni più tardi non esiteranno ad approvare, undici voti a due, la sua proposta di radicale rifacimento della cattedrale. Direttore del cantiere è Giuseppe Magistrini (vedi in Approfondimenti) Il colossale altare del Duomo di Novara, che per le belle sue proporzioni cotanto elegante si mostra ... Gli studi profondi fatti dall'architetto Antonelli su gli avanzi di Roma antica ... romano fu pure il sistema di costruzione adottato ... dato bando al meschino sistema delle impallacciature, si composero le varie sue parti con massi voluminosi di marmo addentellati , e tra loro in singolar modo concatenati, come di leggieri rilevare si puote dallo scomponibile modello in legno ingegnosamente dal maestro legnaiuolo Giuseppe Magistrini operato, che per i suoi meccanici talenti si può chiamare il Zabaglia novarese. Il Duomo e le sculture del corpo di guardia in Novara Antonio Bianchini , Tip. Alberto Ibertis, successore Rasario, 1836 Nell'altare del duomo di Novara, {1832) egli cercò di organizzare una complessa macchina di statue e decorazioni con spunti ambiziosissimi (ci sono persino due bassorilievi del Thorvaldsen, sarebbe come dire oggi di Picasso): riuscì appena a denotare la sua qualità (e i suoi interessi) nel curvo volume verso il coro, che racchiude le rampe di piccole scale. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op. cit. 1832-36 Lavori nella piazza della chiesa a Maggiora Grazie all'iniziativa di suo fratello Antonio, che sedeva nel consiglio comunale di Maggiora, gli viene affidato l'incarico del riordino delle strade attorno alla chiesa. Dopo due anni viene sollecitato e redige in fretta un progetto che prevede un intervento di autentico valore urbanistico con una riforma generale della viabilità con l’intento soprattutto di migliorarne la percorribilità, resa difficile dalle pendenze molto forti. Il progetto prevede l'abbassamento delle strade con una serie di sottomurazioni e di sterri che interessavano vari palazzi, la chiesa parrocchiale ecc. Il progetto non viene approvato dal consiglio comunale, che si spacca. forti. Nonostante le aspre polemiche l’Antonelli riuscì a condurre a termine i lavori fra il 1835 ed il 1836 con un intervento principalmente sulla piazza principale, che, sono parole sue, "dà maestà alla chiesa, alla piazza ed alle case dei confrontanti, e si porta la massima comodità a tutto il paese".
1834-37 Ingrandimento dell’oratorio della natività della Vergine, Soliva (Valduggia) 1834-37 Ampliamento della chiesa parrocchiale di San Lorenzo, Castagnola (Valduggia) Roberto Gabetti in Problematiche Antonelliane, op. cit. dice al riguardo: ...nella chiesa di Soliva impostata su una ricerca tutta romana e palladiana di volte spingenti senza catene e risolta in uno spazio interno di vibrante poesia ed ancora nella chiesa di Castagnola, che le colonne ioniche trasformarono in un vano aulico e luminoso, ricavato a prezzo di veri prodigi. 1935 Nuova chiesa Parrocchiale di Borgolavezzaro (Novara) La Chiesa Parrocchiale dei Santi Bartolomeo e Gaudenzio, fu progettata dall’Antonelli nel 1835 e realizzata successivamente con un nuovo progetto elaborato tra il 1856 ed il 1863, a cui si rimanda. 1835-88 Modifiche e ampliamenti alla casa Antonelli di Maggiora. Questi importanti lavori alla casa di famiglia, pur non completati rispetto al grandioso progetto antonelliano, furono condotti in più anni, con la manica centrale presumibilmente dagli anni ’70. Questa si presenta doppia, di quattro piani fuori terra, affacciata sul giardino e sul viale alberato, con un portico a pian terreno ed una loggia panoramica sulla sommità, di fattura raffinatissima. Ai lati si dipartono altri due edifici più bassi, di differente foggia, che si concludono con due altre costruzioni più piccole, destinate probabilmente a legnaia e deposito attrezzi. L’edificio è caratterizzato da colonne e semicolonne che si concludono con soffitti a volta a botte molto ribassata. Le porte e finestre al piano terra hanno una struttura telescopica, soluzione geniale per la rotazione dei serramenti, impossibile all’interno dare le sottilissime pareti. La scala, con i gradini formati da lastre di pietra incastrate nel muro laterale, da accesso ai vari piani attraverso pianerottoli a doppia altezza. Anche la disposizione degli ambienti, delle volte di differente fattura, ed ogni particolare interno ed esterno sono caratterizzati da una estrema pulizia delle linee, così che forma e struttura tendono a quella perfezione che Antonelli ha sempre ricercato in tutte le sue opere, che ben esprime il “raffinamento quintessenziale della forma, elevata a pura poesia” (Franco Rosso). In Maggiora stessa per dar campo alla sua continua operosità anche nei pochi mesi di vacanza, e anche per beneficare col lavoro operai e manuali suoi compaesani, tutti gli anni fece lavori intorno alla sua casa paterna, che riformò nella parte vecchia, ingrandì con una manica nuova di pianta, e rese più amena con grandi movimenti di terra nel giardino. I muratori di Maggiora avevano così occasione di imparare da Antonelli e quasi tutte le case nuove che si sono fatte o si vanno facendo in quella località, sentono quale più quale meno la maniera particolare di costruire dell'Antonelli. · Crescentino Caselli, Necrologia di Alessandro Antonelli, 1888 op. cit. Nella sua casa di Maggiora, A. fece eseguire lavori lungo tutta la sua vita; il nucleo principale di questi, nella costanza dei coni chiari, nell'assorta bellezza dei porticati terreni e di coronamento, indica una precisa fedeltà a ricerche puriste. Il poetico "disegno generale" si intreccia con ingegnose ricerche: come quella adottata al piano terreno, nel far sporgere le finestre molto all'esterno su sagome
a cannocchiale, affinché, aperte, non ingombrassero nelle stanze (disposizione che ritroveremo nella " fetta" di corso S. Maurizio). Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane, op. cit. Antonelli in un tempo lungo come la sua vita, ricostruisce praticamente la casa paterna che si trova oggi tra via Ing. Gattico e Piazza Antonelli. Molti dei cosiddetti particolari costruttivi, tipici dell'Antonelli, nascono proprio a Maggiora nella ristrutturazione della casa. Il momento più alto della costruzione è il loggiato a terzo piano che guarda verso il Santuario di Boca; un loggiato aereo di grande rigore. Si narra, e la malignità non è priva di fondamento, che il loggiato chiuso verso la strada l'abbia innalzato per togliere visibilità ai suoi dirimpettai. Può anche darsi; ad Antonelli non faceva difetto una certa perfidia intellettuale, ma in fin dei conti a lui interessava modellare e rimodellare le sue costruzioni. Sergio Monferrini, Itinerari d'arte nel Novarese,op. cit 1836 Progetto per la facciata della chiesa della Maddalena, Novara. Antonelli elaborò un progetto di trasformazione della chiesa in Archivio di Stato (Archivium Novariensis), poi realizzato su progetto di Antonio Busser. 1836 Progetto per la chiesa di Sant’Agnese, Novara. Coevo al progetto per la facciatadi Santa Maddalena, insieme furono presentati dall'Antonelli alle autorità comunali, il 2 maggio 1836 dove sono rimasti nell'archivio fino al 1853. 1836 Edificio di appartamenti per Giuseppe Ponzio Vaglia a Torino Giuseppe Ponzio Vaglia, è una figura importante nella corte di casa Savoia e ricorre al Antonelli per la costruzione di un palazzo con appartamenti da affittare, iniziate nel 1837 e terminate negli anni seguenti, in via dello Spedale (Giolitti) angolo via della Rocca. Il primo progetto è per un fabbricato di sei piani, bocciato dal Consiglio degli Edili, a cui ne fa seguito un secondo a cinque piani, fuori terra invece approvato. Al termine dei lavori di costruzione vi sarà un piano attico "abusivo" realizzato solo su Via della Rocca. Ovviamente l'abusivismo del tempo non può essere valutato con i parametri di oggi, lo si segnala solo per mostrare il costante contrasto tra Antonelli ed il Consiglio degli Edili, l'attuale commissione edilizia. Un analogo edificio sarà realizzato nel 1943 (vedi nel seguito). Fonte : Martina Audo Gianotti, Gina Pepe Due case di Alessandro Antonelli in Borgo Nuovo attraverso una ricerca di Digital Urban History : edifici, architetti e committenti in una città che cambia. Rel. Rosa Rita Maria Tamborrino, Fulvio Rinaudo. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura per Il Restauro e Valorizzazione del Patrimonio, 2015 La Casa Ponzio Vaglia del 1836, ... con le analogie riscontrabili con i tipi edilizi parigini ... Il progetto... presenta alcune caratteristiche costruttive e tipologiche che, da questo momento in avanti, diverranno una sorta di elemento di riferimento ... é infatti il primo edificio di tal genere impostato sullo schema dei cinque piani fuori terra (uno dei quali è il piano ammezzato). E si sa che tale schema, che comporta un'altezza complessiva di ventuno metri, verrà riproposto nel corso di tutto l'ottocento. Eleonora Trivellin Storia della tecnica edilizia in Italia: dall'unità ad oggi Alinea editrice, Firenze 1998
1836-44 Rifacimento della chiesa Parrocchiale di Bellinzago (Novara) Realizzata in parte - le navate laterali ed una crociera sormontata da una elegante cupola - per problemi finanziari. I lavori iniziarono il 12 aprile del 1837 e fu consacrata dal vescovo di Novara, il 17 novembre 1844 ivi compreso parte della casa parrocchiale, dipendenza della stessa chiesa, con un porticato a comodo e decoro della piazza circostante e l’oratorio della Confraternita del SS. Sacramento. Il suo busto e una lapide della Fabbriceria ricordano che Antonelli fece i disegni e condusse a compimento gratuitamente i lavori della chiesa. La ricerca purista eccelle nella chiesa di Bellinzago, forse la sua migliore opera giovanile: i disegni del fianco e della sezione, ci illustrano una combinazione di volumi impastati e fluidi, ranssima per A. e per gli architetti neoclassici, che preferirono invece sempre giustapporre. Dall'interno in ordine corinzio, concluso fino nei più bei particolari decorativi, all'esterno rimasto incompiuto (l'architetto aveva in mente di fare poi una grande guglia isolata), l'idea distributiva, la struttura, il gusto d'insieme sono sintetizzati in una visione larga e unitaria: grandi sistemazioni urbanistiche, rimaste anch'e se incompiute, vennero realizzate più tardi, con varianti disegnate dallo stesso A. È importante notare come il cortile della canonica di Bellinzago sia visto come ambiente pubblico, già "nel paese", come piazzetta porticata. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane op. cit. ...la facciata barocca, la torre campanaria del 1827 non furono toccate. Alessandro Antonelli non fece altro che costruire le navate laterali ed una crociera sormontata da una elegante cupola. La navatella laterale, dall’altare del Crocifisso al Battistero, fu ultimata in un secondo tempo, poiché ivi era appoggiata porzione della vecchia casa prepositurale. La chiesa Parrocchiale di Bellinzago, stando ai disegni firmati dallo stesso Alessandro Antonelli nell’agosto del 1888, doveva essere costruita in altro modo, esigeva però uno sforzo finanziario troppo grande ed è rimasta solo nei “Progetti di Compimento e di Finimento” conservati nell’archivio parrocchiale di Bellinzago. ... La prima porzione della casa prepositurale fu costruita sui disegni di Alessandro Antonelli nell’anno 1844, così l’oratorio della Confraternita del SS. Sacramento. La casa fu ampliata nell’anno 1877 per la costruzione della nuova casa coadiutorale, allo scopo di provvedere l’area su cui ampliare la chiesa. In prolungamento della crociera venne costruito in modo antiestetico, sebbene dall’interno della chiesa non appaia, lo Scurolo dei Santini (1891-1892), ad opera del figlio di Alessandro Antonelli, Costanzo. Gian Michele Gavinelli Itinerari d'arte nel Novarese,op. cit Chiesa Parrocchiale di San Clemente Casa Parrocchiale 1838 Completamento dello scuròlo di Sant’Agapito, Maggiora. A Maggiora, sua patria e residenza estiva, Antonelli nel 1838 ultimò lo scurolo di Sant’Agapito, annesso alla chiesa parrocchiale, che è un grazioso tempietto tetrastilo, disegnato dall’architetto canonico Zanoia; ma che
fu eseguito con notevoli migliorie ed aggiunte dell’Antonelli, il quale diede pure il disegno dell’arca monumentale in esso contenuta. Sergio Monferrini, Itinerari d'arte nel Novarese,op. cit 1839 Casa Rizzotti, corso Mazzini, Novara Antonelli fu incaricato di avviare i lavori per convertire il dismesso monastero delle cappuccine in residenza privata, Casa Rizzotti (Marcioni,nel 1988), nel centro storico della città, nei pressi dell’ospedale, gli interventi furono però limitati al tratto di edificio che affaccia su corso Mazzini, e in particolare nell’androne e nel vano scala. Queste opere sono però andate perdute in un recente intervento di restauro che ha sostituito le soluzioni antonelliane con lucide superfici di granito. 1840 Piano Regolatore Novara. Il 16 maggio 1837 viene nominato membro straordinario della Commissione di Pubblico Ornato di Novara, in sostituzione del barone Melchioni, da poco deceduto. Vi rimarrà per 20 anni, occupandosi con passione del rinnovamento urbano della città, compreso una proposta di piano regolatore, che presenterà nel 1840. I progetti urbanistici per Novara sono però rimasti nella maggior parte dei casi, su carta: nel 1840, in seguito all’abbattimento dei bastioni per facilitare l’espansione urbana, egli elabora un Piano Regolatore nel quale adibisce a giardino pubblico la traccia delle antiche mura abbattute per garantire la salubrità ed il ricambio dell’aria nel centro storico; progetta inoltre una circonvallazione esterna ove convogliare il traffico su ruote. Anna Spinaci, Casa Bossi a Novara,... 2018-19 op. cit. All’epoca in cui si occupava del Duomo, studiò un piano regolatore per Novara, creando nuove arterie e disegnando un porticato mediante cui si doveva comunicare al coperto dalla stazione fino alla piazza del Mercato, nel centro della città. ... I caratteri di una nobile e attenta visione urbanistica, si ritrovano anche nel progetto antonelliano per Novara, destinato a risolvere il collegamento della città all' "Imbarcadero": nello sviluppo architettonico è interessante rilevare come, all'inizio del lungo sistema di portici, anche la stazione ferroviaria (luogo comune della retorica ottocentesca) sia vista quale semplice servizio, e non quale tempio. I lavori di A. per Alessandria o per Ferrara del 1862 (poco più di un ex tempore) confermano la fiducia talora eccessiva in questa sua visione urbanistica. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op.cit. 1840-88 Progetti e realizzazione della cupola di San Gaudenzio, Novara. Il progetto e la costruzione della cupola della Basilica di San Gaudenzio ha occupato l’Antonelli da quando, la Fabbrica Lapidea, riprendendo l’idea cinquecentesca di completare la chiesa con la costruzione di una cupola, gli affidò l’incarico. Il cantiere ha conosciuto tempi di costruzione lunghissimi a causa delle molte sospensione dei lavori, legate a difficoltà di carattere finanziario, per le continue varianti elaborate dall'Antonelli. A collaborare, dirigendo il cantiere nei primi vent’anni di lavoro, vi fu Giuseppe Magistrini: esperto in carpenteria ed idraulica, noto anche all'estero per le sue capacità (vedi scheda biografica). Come tutte le sue grandi costruzioni anche questa cupola, che raggiunge i 122 metri di altezza dal piano della Basilica, è neoclassica, ricca di elementi architettonici decorativi. Internamente è costituita da un sistema di cinque cupole autoreggenti incastonate l'una nell'altra a formare un grande cono, dal quale parte il cupolino. La cupola, edificata nel punto più alto della città, è ben visibile un pò dovunque anche grazie alla presenza della statua dorata del Salvatore, opera dello scultore milanese Pietro Zucchi e posata nel 1878. (VEDI SCHEDA)
1840 Palazzo Giovanetti, Corso Cavour, Novara I lavori di ristrutturazione della residenza dell'avvocato Giacomo Giovanetti, figura fra le più in vista della Novara dell'epoca, consigliere di re Carlo Alberto, già dimora patrizia della famiglia Bollini, la cui struttura originale già poggiava su pilastri sormontati da volte a botte e a padiglione. Antonelli vi inserisce lo scalone d’onore sempre a sbalzo e sempre sormontato da un ampio lucernaio, all’incrocio delle due maniche ortogonali dell’edificio. 1841 Ristrutturazione ed ampliamento del palazzo Stoppani, corso Carlo Alberto, Novara Ricostruzione in seguito ad un parziale abbattimento connesso al nuovo piano urbanistico cittadino. Antonelli raddoppia la manica principale, aggiungendo una seconda campata verso il cortile interno riprendendo l’ordine dorico già presente sulla facciata originale per garantire una continuità tra la preesistenza e l’ampliamento e rinforzandone l’assialità con lo scalone d’onore, ristrutturato secondo i suoi canoni con sviluppo a sbalzo, sormontato da un lucernaio. 1841 Progetto di Porta per l'ingresso alla città di Novara
Il primo studio del 1841 per Novara è un progetto di porta per l'ingresso in città, con edifici adiacenti; da questi parte una grande strada larga 63 metti che si innesta alla città. E' evidente in questo progetto un impegno eminentemente monumentale in cui trionfa il concetto neoclassico della importanza celebrativa dell'ingresso alla città; motivo che ritornerà nel piano del '57. Con questo progetto Novara viene unita alla ferrovia e si segue la linea logica dello sviluppo della città; si cerca di rendere organico l'innesto tra la città e la strada ferrata che rappresenta ora, per l'economia cittadina, la principale linea di forza. Il corso Sempione (oggi Cavour), l’attuale corso Umberto I, sono trasformati in ampie vie e portici; da Porta Sempione alla Ferrovia si progetta una grande galleria.... Ma per questo progetto l’Antonelli sosterrà una dura lotta col Consiglio Comunale di Novara, lotta che, purtroppo, non risulterà vittoriosa. Vittorio Gregotti Aldo Rossi, L'influenza del romanticismo europeo nell'architettura di Alessandro Antonelli. Casabella 214 op. cit.
1841-50 Scurolo di Sant'Alessandro martire, Fontaneto D'agogna (Novara) Lo scurolo, come comunemente viene chiamata la rotonda di Sant’Alessandro, si articola a sud della Chiesa parrocchiale della B.V. Assunta di Fontaneto. Ricevute nel 1839 le spoglie del martire, l’arciprete nel 1841 contatta l’ Antonelli, che è di casa a Fontaneto, avendovi, fin da giovane trascorso le vacanze dalla zia materna Lucia Bozzi Cavallazzi. A Fontaneto è residente la sorella Giuseppa ed al momento dell'incarico il cognato Giovanni Morotti è sindaco del paese. Il progetto prevede una struttura circolare coperta da una cupola, la pianta dell’edificio (12 metri di diametro), è definita dalla sequenza di 12 colonne alveolate nei diaframmi murari, secondo il metodo antonelliano caratterizzato dal sistema costruttivo a fulcro, lo stesso che in quegli anni utilizza nel progetto per la cupola di San Gaudenzio. Il 27 novembre viene benedetta la prima pietra e le parti murarie vengono completate nel 1843. Vi lavorano poi lo scultore Giuseppe Argenti alle 12 statue in terracotta, il “marmorino” Stefano Bossi che nel 1849 realizza l’altare con le balaustre, l'intagliatore Bosio di Torino esegue l’urna in legno dorato ed il pittore Giuseppe Raineri dipinge in stucco lucido le pareti e Giovanni Maggi indora i capitelli “di lucido e smorto”. L’11 agosto 1850 la Rotonda è inaugurata con la traslazione solenne delle reliquie del Santo. Ivana Teruggi Rotonda (scurolo) di Sant’Alessandro Martire, Itinerari d'arte nel Novarese,op. cit 1842 Basilica di Castellamonte, Torino Con l'entusiasmo giovanile del nuovo arciprete Don Rattonetti, che fa presa anche sull'autorità pubblica, nel 1842 si pensa alla costruzione di un tempio gigantesco, interpellando in proposito l'Antonelli, il quale offre gratuitamente la sua opera: la parrocchia ed il Comune si inoltrano cosi in un vicolo cieco. Abbattuta senza ulteriori remore l'antica chiesa, ... il 9 giugno dello stesso anno viene posata la prima pietra della nuova basilica. Si lavora cosi fino al settembre del 1845, quando le opere dovranno essere interrotte per mancanza di fondi. Il progetto dell'Antonelli prevedeva la costruzione di un edificio circolare, naturalmente più ampio del Pantheon di Roma, coprente un'area di 5.300 metri quadrati; doveva avere un'altezza di 50 metri ed una lunghezza da sud a nord di 137 metri: la capienza era di 6.000 persone, con 5 altari, 8 confessionali, la sistemazione dell'orchestra e del coro, il confessionale per i sordi ed infine l'archivio. ...Dopo più di vent'anni di stasi, finalmente nel 1871 fu iniziata la costruzione di una nuova chiesa più modesta, su disegno dell'Ing. Tormento, con l'approvazione del Ministero di Grazia e Giustizia e Culti e sotto la sorveglianza di apposita Commissione Governativa. La Rotonda Antonelliana (di circa 42 metri di diametro NdR) è ciò che resta del grandioso progetto di Alessandro Antonelli per la realizzazione della Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, una chiesa che sarebbe dovuta essere grande quasi quanto la Basilica di San Pietro di Roma. Dall'incompiuta» dell'Antonelli alla Chiesa del Formento (1842 -1875) Castellamonte notizie, periodico edito a cura della Pro Loco, n. 2 del 30/6/1975). A Castellamonte, progettando una rotonda immensa (59,40 m di diametro) rimasta senza cupola, A. riuscì a realizzare solo la parte inferiore, divenuta mirabile piazza in fondo alla quale sorge, l'orrenda chiesa di Formento junior costruita quando A. era ancora in vita. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op. cit.
1842-48 Villa Caccia a Romagnano Sesia, Novara Situata su un poggio denominato Monte Cucco, in un punto dominante sulla strada di Varallo, Villa Caccia nasce come residenza di villeggiatura dei conti Caccia di Romentino. La Villa, in cui l’Antonelli abbina il tipico schema di Palladio con le esigenze costruttive dell’Ottocento, recuperando anche la pianta dell’antico convento dei frati Cappuccini, risalente al 1641, fu realizzata tra il 1842 ed il 1848. L’opera presenta una pianta a “U” con corpo centrale, destinato alla residenza, su cui si incontrano due ali con bassi fabbricati occupati da scuderie, fattoria, cantine e alloggi del personale. Fa da contorno alla Villa un parco di circa 23.000 mq con piante secolari di vario tipo, al quale si accede da Largo Antonelli in
fregio alla strada provinciale per la Valsesia. Estinto il casato dei Conti Caccia, la Villa venne alienata nel 1951 a privati. ... villa Caccia di Romagnano: secondo gli esempi palladiani il corpo centrale è destinato all'abitazione del proprietario, quelle laterali a servizi rustici: la villa è alta e bianca, con colonnati esterni (quelli sui lati furono aggiunti in un secondo tempo dallo stesso A.). La casa del gran signore piemontese (ora feudatario, ora ricco proprietario, poi deputato), ricorda i migliori esempi settecenteschi, tradotti in maniera moderna e secondo una splendida lettura di carattere: un edificio che basterebbe da solo a formare la celebrità di un architetto... Il grande volume, coronato da una altana a pianta centrale {un'altra simile A. sovrappose alla villa ora Rossi di M. in Via Pomba a Torino, mentre ambedue ricordano quella del Chateau di Maupertuis di Ledoux), domina fra gli alberi l'imbocco della Valsesia. Chi entra in casa trova una cappella a sinistra, uno scalone a rampa unica a destra, e gira poi nelle grandi sale (con o senza colonne) bianche e liscie: tono di nobile, assorto squallore. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op. cit.
Si può ricordare, ..., la villa Caccia costruita a Romagnano Sesia nel 1842 in cui è accettato pienamente il tema della villa signorile. Benchè questa costruzione non presenti un interesse particolare vi si può ritrovare l'impronta della personalità dell’Antonelli nel modo, si potrebbe dire cittadino, di intendere la villa. Alla facciata tradizionale con pronao a colonne sovrapposte, corrisponde sul retro un prospetto a finestre regolari che fa pensare ad un edificio militare più che a una villa. E' significativo che proprio da questa parte la villa risulti più caratterizzata e nobilmente architettonica; ricca di una suggestione e di un clima del tutto particolare. Vittorio Gregotti Aldo Rossi, L'influenza del romanticismo europeo nell'architettura di Alessandro Antonelli. Casabella 214 op. cit. 1843-45 Progetto per una Galleria di Opere d'Arte Moderna, Torino Roberto Gabetti in Problematiche Antonelliane, la individua tra le opere trascurabili. Così sono trascurabili: il progetto di "galleria di opere d'arte moderna da elevarsi sulla metà opposta della piazza Carlo Alberto", progetto redatto in una notte per incarico del ministro Gallina, che voleva presentarlo a C. Alberto; 1843 Nuova sede del Collegio delle Province, via Bogino , Torino L'edificio fatto costruire da re Carlo Alberto sull’area prima occupata dalle scuderie del palazzo Carignano, al fine di destinarlo a Collegio delle Province, ossia residenza degli studenti universitari provenienti da fuori Torino, costruito tra il 1845 ed il 1851, non fu mai utilizzato per tale scopo avendo ospitato, prima alloggi militari e poi Uffici del Regno Sardo e tra il 1862 ed il 1865 la prima sede della Corte dei Conti del Regno d’Italia. Danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, è stato demolito ed oggi vi è la Biblioteca Nazionale.
Foto dal sito della Corte dei Conti - sedi storiche. 1843/52 – Collegio delle Province, Torino.
Grafico del primo progetto del Collegio delle province in cui le murature continue sono sostituite da un sistema di supporti isolati, individuati da una maglia regolare.
1843-45 Palazzo per Giuseppe Ponzio Vaglia, Torino. Dopo quello realizzato nel 1836, nelle vicinanze, in contrada della Rocca, Antonelli realizza un nuovo palazzo da pigione, il cui progetto viene bocciato dal Consiglio degli edili per il frontone principale, poi approvato con modifiche. Anche in questo caso lo stato finale presenta un piano attico "abusivo". 1843-45 Fattoria per i baroni Casana a Faule, Cuneo, Progetto di grande fabbricato rurale sulla strada Torino Saluzzo.
1844 Il borgo di Vanchiglia, la casa Antonelli e la fetta di polenta, Torino Nel 1843, Antonelli si interessa della zona di Vanchiglia, al limite di Torino, lungo la Dora, allora un borgo reso gravemente insalubre per la presenza del vecchio cimitero israelitico e del cosiddetto ‘canale dei canonici’, una fogna a cielo aperto. Nel 1844 viene costituita da otto soci, tra cui Antonelli e Giuseppe Magistrini, la Società dei Costruttori di Vanchiglia, che compra alcuni terreni e presenta un piano di fabbricazione per la lottizzazione della zona, piano che dopo alterne vicende viene in parte approvato e poi ricompreso in un piano più generale nominato il Piano d’ingrandimento della capitale definito nel biennio 1851-1852 dall’architetto Carlo Promis (1808-1873) incaricato dalle autorità civiche. Intanto nella parte già autorizzata iniziano la costruzione di palazzi di appartamenti da affittare. Antonelli nel 1845, inizia con un palazzo per Carlo Rosso, in Via Vanchiglia, per poi proseguire con due case proprie, la casa Antonelli, lungo Corso San Maurizio ed unica con i portici e la bizzarra casa, conosciuta come la Fetta di Polenta (foto a lato di Fabio Polosa s..s.a.). Nel 1854 gli verrà richiesto un progetto per la costruzione della chiesa del nuovo borgo . (vedi nel seguito). VEDI IN BIO 1844 Progetto del Monumento al Canonico Cottolengo, Torino Monumento da erigersi per soscrizioni al canonico cavaliere Cottolengo Il vivo desiderio manifestato da varie ragguardevoli persone, acciocché si erigesse un monumento ad attestare i sentimenti di gratitudine e di stima, che il Piemonte ha per la memoria del canonico cav. Cottolengo, mossero lo scultore Angelo Brunei a formarne il progetto, e divisarne per via di soscrizioni l'esecuzione. ... Al nome di Bruneri s'associa per la parte architettonica quello di Alessandro Antonelli, professore di architettura e di prospettiva nella R. Accademia Albertina di B; si che tutto ci conferma, che questa riuscerà opera splendida e decorosa. ..... Gazzetta Piemontese, ven. 15 marzo 1844 n.62 Piccola casa della Divina Provvidenza. Complesso assistenziale (ospizio e ospedale) L'opera venne iniziata dal Padre Giuseppe B. Cottolengo nel 1832, riconosciuta nel 1833 ed ampliata in seguito fino a diventare una città nella città. La cappella reca la data 1834 e l'accesso all'intero complesso fu disegnato da Antonelli nel 1844. Da Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, 984 Progetto del monumento al Can. Cav. Cottolengo, Torino 1844 - Archivio edilizio città di Torino 1844 Progetto per la basilica del Santuario, Oropa. Nell’agosto del 1844 il vescovo di Biella diede l’incarico a Canina che faceva parte della corte romana di Maria Cristina di Savoia, benefattrice del Santuario. L’architetto si recò immediatamente a visitare il luogo e, tornato a Roma, fece costruire il minuzioso modello ligneo conservato nel Santuario, che fu sottoposto al giudizio di Pio Nono ed esposto a Roma in una delle sale della Galleria Borghese. Delle 15.000 lire spese per realizzarlo gli vennero più tardi rimborsate dalla regina Cristina solo 10.000 lire. La costruzione iniziò senza indugio nel 1848, ma nell’anno successivo, il 23 marzo 1849, la celebre sconfitta dei piemontesi a Novara spinse il re Carlo Alberto ad abdicare. I tempi non erano quindi propizi per opere così ambiziose e della nuova chiesa si tornò a parlare solo nel 1877, quando l’idea di recuperare il progetto del Canina fu bocciata da una commissione di cui facevano parte Camillo Boito e il conte Carlo Ceppi. Nel frattempo era entrato in scena Alessandro Antonelli, in un primo tempo mostrando con un progetto “ideato per istruzione di un allievo e sviluppato per geniale proprio studio” gli aspetti negativi del progetto del Canina, poi partecipando nel 1876 a quella specie di concorso che si concluse resuscitando il progetto ormai centenario del Galletti. Anche il geniale Antonelli non aveva fatto del suo meglio. Interessante lo sviluppo orizzontale dell’organismo con i due campanili dietro i bracci porticati e chiarissimo l’impianto cruciforme; ma le proporzioni troppo convenzionali negano quelle fughe in altezza che nel San Gaudenzio e nella Mole trasfigurano le esili strutture e riscattano la meccanicità della composizione. Paolo Portoghesi Il tempio delle occasioni perdute AfterVille anno 1, n.3 Biella 2008
La basilica nel progetto di Antonelli Galleria Civica d'Arte moderna e contemporanea, Fondazione Musei Torino 1844-58 Padiglioni vari per l'Ospedale Civile di Alessandria. Fra il 1857 e il 1861, per dare una sistemazione più comoda all’orfanotrofio, che era confinato in alcuni locali appartati dell’ospedale e per far fronte ad altre esigenze funzionali, furono eretti, su progetto dell’architetto Alessandro Antonelli ..., alcuni fabbricati nella parte nord-occidentale del nosocomio, destinati, oltre che all’orfanotrofio, al padiglione pensionanti, al reparto medicina donne e agli incurabili. Tali fabbricati sono quelli che delimitano attualmente il cortile che si trova entrando in ospedale dalla porta carraia di fianco all’ingresso principale di via Venezia. L’Antonelli progettò, poi, anche la prosecuzione della facciata dell’ospedale e i locali per una scuola tecnica annessa all’orfanotrofio, opera che venne, però, stralciata dall’esecuzione dei lavori Giovanni Maconi Storia dell’Ospedale dei santi Antonio e Biagio di Alessandria 2003 Le Mani - Microart’s Edizioni, Recco - Genova 1845 Palazzo Avogadro a Novara Sistemazione e ingrandimento di un palazzo la cui struttura originaria risale almeno al secolo XVIII e che la famiglia nobile degli Avogadro, fra le più note nella vita sociale e politica cittadina, scelse di riadattare a nuove esigenze, incaricandone l'Antonelli, che optò per soluzioni di stampo neoclassico, dal punto di vista estetico, con la sopraelevazione di un piano ed una facciata elegante e sobria. Purtroppo alcuni interventi sono andati perduti a causa di lavori di ammodernamento. Oggi il palazzo ospita la sede della locale Camera di Commercio. 1845-58 Chiesa Parrocchiale di Oleggio, Novara A seguito di un lascito l'arciprete incaricò l’Antonelli di redigere uno studio di progettazione per l’ampliamento della chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo che “…con una capienza di 2000 persone è insufficiente per una popolazione di 8000 anime.”.. Questi propose un primo progetto con forma circolare, poi un successivo di forma basilicale. L'alto costo preventivato trovò la contrarietà del sindaco, con liti che finirono in tribunale. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1848, il successore ebbe un atteggiamento più conciliativo, arrivando ad un accordo, con alcune condizioni sugli aspetti economici. L’edificio venne realizzato negli anni 1853-58, con Giuseppe Magistrini alla direzione del cantiere, senza la costruzione di un maestoso colonnato, previsto nel progetto. Con un secondo cantiere che si concluse nel 1865, venne rifatto il coro, il presbiterio, la sacrestia ed il campanile secondo un ulteriore progetto di Antonelli. A seguire, tra il 1862-69 la ristrutturazione della casa parrocchiale.
1845-46 Palazzi a Vanchiglia, Torino In questi anni progetta e segue i lavori per i palazzi di Gioachino Allocco e Gioanni Paccotto, Carlo Rosso e Ludovico Ardj, fratelli Felice e Giacinto Bogetto 1847-51 Ampliamento palazzina del Conte Federico Callori di Vignale, via san Lazzaro Torino. Sistemazione e ingrandimento del palazzo con un corpo di fabbrica nel cortile verso la via dei Mille con l’interna cappella gentilizia, che sono stati eseguiti di sana pianta dall'Antonelli. La facciata venne pubblicata dal Castellazzi nell’opera: Fabbriche moderne / inventate da Carlo Promis Fratelli Bocca, Torino 1875. 1847 Progetto di arco provvisorio in onore di Carlo Alberto, Torino. Sul finire del 1847 Antonelli prese parte al Comitato organizzatore, del ricevimento di re Carlo Alberto in Torino dopo la concessione delle riforme, e fu l’anima principale e l’architetto dell’arco di trionfo allora improvvisato in piazza di Po, oggi Piazza Vittorio Emanuele. Idea che ebbe molto successo: un arco a tre luci che avrebbe completato, con i suoi peristili laterali il giro dei portici attorno alla piazza, ma che non verrà realizzata. VEDI IN BIO 1847-48 Casa Arrizio e Cantoni,via Vanchiglia, Torino. Palazzo di quattro piani per i signori Gioanni Arrizio e Cantone in via Vanchiglia angolo via degli Artisti. Nota: in alcuni scritti Arrizio è Orizio e la localizzazione è via Vanchiglia, ang. via San Luca. 1848 Casa Ferino, Viale S. Massimo, Torino. Palazzo di 5 piani per Giuseppe Ferino in viale dì San Massimo. 1849-64 Progetto generale e stralcio nuove infermerie all’Ospedale Maggiore della Carità, Novara. L'amministrazione dell'ente nel 1849, forte di una discreta stabilità economica, decide di affidare all'Antonelli un progetto generale di adeguamento ed ampliamento dell'ospedale, da attuare per stralcio. Progetto che
viene presentato il 20 marzo 1850 ed approvato subito dall'ente come " vero piano regolatore del pio luogo ... il valente Perito nel suo progetto fecondato dal grande suo genio ebbe a provvedere mirabilmente a tutte le parti dell'Amministrazione a lui come sopra indicate in modo da lasciare null'altro desiderare...". Nel settembre del 1855 gli viene chiesto un primo stralcio per la costruzione di nuove infermerie. I lavori iniziano nell'aprile del 1856 e proseguono fino al dicembre 1857, fra continue contestazioni all'impresa, per l'impiego di materiale non rispondente al capitolato d'appalto, o cattiva posa. Si apre una causa che viene vinta dall'Amministrazione e l'impresa deve riprendere i lavori nel maggio 1858, fino al 1861 quando ferma i lavori per problemi nel rifacimento di una copertura. Risolta anche questa questione i lavori. proseguono fino al 1864 e con loro si conclude l'intervento di Antonelli sul "Pio Luogo". Antonelli si occuperà anche del progetto di ampliamento dell’antico ospedale, costruito a partire dal 1628 all’interno delle mura cittadine dopo la distruzione da parte degli Spagnoli della struttura originaria, un tempo collocata nel borgo Sant’Agabio. Già all’inizio degli anni Venti l’architetto Stefano Ignazio Melchioni interviene sulla struttura, inserendo in tal modo il Pio Luogo in un più generale discorso di decoro urbano ed eleggendolo a tassello della città ‘nuova’ che sta prendendo forma. Dopo un primo, grandioso progetto (1850), autentico ‘piano regolatore’ del nosocomio, le richieste della committenza vengono ridimensionate. L’Antonelli interviene sulla ‘grande corsia’ ideata dal Melchioni, utilizzandola come punto di aggregazione e progettando un nuovo corpo ad ‘L’, che si collega alla restante porzione di edificio grazie a due corridoi laterali. La struttura è aggiornata sui più moderni criteri di ‘salubrità’ che prevedono l’areazione e l’illuminazione adeguata degli ambienti; un modello di riferimento è l’ospedale torinese di San Luigi Gonzaga, ma non si tralasciano i modernissimi esempi di ospedali a padiglioni separati sorti in Inghilterra e in Francia. La tradizione narra che per questo cantiere, così come per la Cupola, sia stato il meticoloso architetto a curare personalmente la scelta dei materiali. La pioneristica struttura è ancora oggi in uso, nonostante le ‘manomissioni’... Ospedale Maggiore della Carità (1850 - 1864) Itinerari nel novarese 2008 op.cit. Un esempio di architettura civile pubblica Antonelliana a Novara è il corpo delle nuove infermerie dell’Ospedale Maggiore della Carità . Nel 1850 si rende necessario ingrandire il corpo dell’ospedale novarese per far fronte alle necessità di una città in continua crescita: viene così chiamato Antonelli a redigere un progetto di ampliamento definito dall’edificazione di un grande edificio a L. Per quanto riguarda la disposizione interna degli ambienti vi erano già in Italia esempi di architetture ospedaliere moderne: si pensi al San Luigi Gonzaga di Orbassano, in provincia di Torino, progettato da Talucchi pochi anni prima. Antonelli adotta lo schema di una grande corsia centrale affiancata da due corridoi, che si collegano direttamente al corpo principale dell’ospedale, e poi ancora da altri due corpi ribassati ove erano posizionate le camere a pagamento. La nuova struttura si basa ancora una volta su fulcri portanti: l’illuminazione degli spazi, così come la loro aereazione, fondamentale per la salubrità degli ambienti, è garantita da ampie finestre e lucernari posizionati lunghi i corridoi di servizio. Anna Spinaci Relatori: Cristina Coscia, Cesare Tocci Casa Bossi a Novara: Occasione per la valorizzazione e il “Rilancio” di un Circuito Antonelliano Tesi Politecnico di Torino Dipartimento di Architettura e Design (DAD) Anno Accademico 2018-2019
1850 Collegio Artigianelli in via del Progresso (Vanchiglia-Torino). Richiesto dal sacerdote Don Cocchi, il fondatore del Collegio dei Poveri Giovani Artigiani - Collegio degli Artigianelli - progetta un fabbricato per quest’istituto da erigersi in Vanchiglia Il progetto per il Collegio degli Artigianelli ( 1850) indica uno sviluppo di temi già noti nel palazzo del Demanio, che diviene mirabile nei grandi ampliamenti dell'ospedale di Novara (dal 1850 in poi). Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane op. cit. L'edificio sarà poi realizzato nel periodo il 1860-63, in corso Palestro e non è noto se in qualche modo vi abbia preso parte l'Antonelli. 1850 Sopraelevazione Casino Birago di Vische Il marchese Carlo Emanuele Birago di Vische (1797-1862) nel 1847 fece costruire, su progetto dell'arch. Ferdinando Reycend, un "casino" nella zona di Vanchiglia, in un lotto triangolare che definisce l'edificio. Nel 1850 commissiona all'Antonelli un progetto di sopraelevazione di un piano, che però non sarà eseguita, mentre nel 1854 verrà sopraelevata su progetto dell'architetto Trocelli, con un cupolotto. É quasi certo che in questo edificio fu ospitato il "Caffè Progresso" voluto dal marchese e che divenne un covo per i "carbonari" dove l’apparenza confortevole espressa dal bar e dalle salette di biliardo, nascondeva in realtà due passaggi segreti che terminavano uno sotto Palazzo Madama ed uno vicino al Po, lungo gli attuali "Murazzi". 1851 Manica interna edificio del Conte Birago in via dei Ripari, Torino Negli archivi comunali esiste questo intervento di "riordinamento" di casa a 3 piani; richiesta del conte Cesare Birago; via dei Ripari, 7. 1851 Costruzione di scuderie per il conte Vincenzo Callori di Vignale, via San Lazzaro Torino Negli archivi comunali esiste questo intervento di " Costruzione di scuderie in cortile" del conte Vincenzo Callori di Vignale in via San Lazzaro, 33. 1852 Casa Simeom, Torino La famiglia Simeom,nel 1843 abitava in Via di Borgo Nuovo dove vi era un negozio di carta e libri. É stata una famiglia importante nota ancora oggi per la collezione Simeom - collezione privata del bibliofilo Silvio Simeom (1884-1948), acquistata nel 1972 dall'Amministrazione Comunale di Torino e conservata presso l'Archivio Storico della Città, In estate si trasferiva nella grande villa ad Andezzeno, alle porte del Monferrato, costruita alla fine del XVIII secolo. Del palazzo di Antonelli a Torino si riportano i disegni di fonte culturaitalia.redazione@beniculturali.it
1852 Ricostruzione nuovo corpo di fabbrica per il Barone B. Visconti, piazza Maria Teresa Torino Negli archivi comunali esiste questo intervento di "costruzione di due ali laterali e di altro corpo di casa a 3 piani, in cortile" richiesta del barone Bonifacio Visconti, Luogotenente generale"; piazza Maria Teresa. . 1852-53: Casa Pietro Ropolo, in Viale San Maurizio, Torino Negli archivi comunali esiste questo intervento di :"casa a 5 piani; richiesta di Pietro Ropolo; "sotto il Bastione San Carlo", con fronte verso il viale San Maurizio. 1852-54 Progetto di ricostruzione del duomo e di Palazzo Massel a Casale Monferrato A Casale Monferrato Antonelli fu chiamato per un progetto per il Duomo che non ebbe seguito, e dove fece anche un progetto di riforma e ingrandimento del palazzo dei marchesi Di Massel, che fu iniziato e poi fu abbandonato. Per il duomo, la commissione istituita per i lavori incerta sull’opportunità del restauro o della ricostruzione, nel 1852 invitò l’Antonelli che in un primo momento propose di conservare l’atrio e le due navate estreme, riducendo le tre intermedie ad una sola vasta navata, ma poi verificato inattuabile tale progetto, propose poi il rifacimento del Duomo, affermando che lo stesso non era più che un cadavere, che per farlo rivivere non ci voleva meno della potenza di colui che fece uscire dal sepolcro il morto Lazzaro, e presentò due successivi progetti, entrambi poi bocciati dal volere del vescovo contrario alla demolizione del vecchio duomo. Relativamente alla cattedrale vi sono sei disegni di Alessandro Antonelli, custoditi presso l’Archivio Capitolare, testimonianza concreta del dibattito in cui le istanze dell’abbattimento dell’antico duomo avevano prevalso sui temi del recupero e del restauro, poi successivamente attuato su progetto di Edoardo Arborio Mella. Fonti: sito del Comune di Maggiora Monferrato Arte e Storia, Associazione casalese arte e Storia Dicembre 2016 1853 Lavori al Collegio Convitto Dal Pozzo, Vercelli. In letteratura esiste questo riferimento generico a lavori al Collegio Convitto Dal Pozzo di Vercelli, "sulla strada che tende al Castello", ora Liceo-Ginnasio. Il Collegio fu fondato dal medico Francesco Dal Pozzo nel 1564. Nel 1727 Vittorio Amedeo II di Savoia lo scelse quale sede delle regie scuole. Nel 1782 fu trasferito nei locali di via Duomo, già Collegio dei gesuiti. 1853-54 Casa delle colonne, corso Umberto, Torino Palazzo per i signori cav. Giacinto Ponzio-Vaglia, dei fratelli Feroggio e di Antonio Aghemo, in corso Umberto e corso Matteotti, detta volgarmente “la casa delle colonne”. La casa delle colonne, di rilevante valore storico e artistico, palazzo di cinque piani con ampie logge al piano terra, un piano ammezzato sopra di esse, ulteriori quattro piani e numerosi abbaini che servivano a dare luce ai locali del sottotetto. Danneggiata dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale è stata oggetto, nel dopoguerra di diverse opere di ricostruzione, fino ad arrivare al 2014, quando la copertura dell’intero palazzo è stata rifatta e un intervento di riqualificazione energetica ha reso abitabili le mansarde.
Restano suoi capolavori: ... la casa Ponzio Vaglia di corso Matteotti (1853 e segg.) pensata in un progetto unitario per l'intiero isolato e realizzata in parte, detta " casa delle colonne"; Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane op. cit La casa detta "delle colonne" costruita in corso Umberto 15, a Torino nel 1854 rappresenta compiutamente questa situazione. La soluzione del problema distributivo, la soggezione ad una regolamentazione edilizia, la limitazione economica, la natura dell’edificio viene compresa e risolta; si ha una soluzione architettonica nuova e di assoluto rigore. La partitura regolare della facciata in campi rettangolari denuncia e sottolinea la divisione dei locali mentre l'architrave in pietra l’andamento dei solai; le colonne di robusto ordine dorico danno risalto al forte impianto volumetrico, determinato dalla massima occupazione dell’area e dal rispetto dell'andamento viario. Notiamo come, secondo quanto si è fin qui detto, l’Antonelli risolva questi problemi in modo del tutto nuovo senza per questo alterare lo studio neoclassico della facciata, anzi con una cura formale nel disegno dei dettagli che, se si esclude la casa di corso San Maurizio angolo via Barolo, raramente ritroveremo nelle sue opere; d'altro canto l'aver creato, in maniera tanto nuova, un tipo edilizio servendosi dell’esperienza neoclassica può significare non solo il particolare genio dell’Antonelli ma anche la maturità del movimento neoclassico in quegli anni. La potenza di sintesi raggiunta dall’Antonelli nel problema strutturale in ogni sua costruzione è qui di assoluta evidenza; si potrebbe dire che se mai costruzione fu vicina all’ideale schema estetico-funzionale predicato dai teorici del purismo neogreco essa è la "casa delle colonne". Vittorio Gregotti e Aldo Rossi L'influenza del romanticismo europeo nell’architettura di Alessandro Antonelli. Op. cit. Antonelli adotta un sistema strutturale costituito da sottili fulcri laterizi, collegati da archi intirantati e volte a fungo, e caratterizzato dalla disposizione simmetrica e regolare delle parti. Il confronto tra gli spessori della muratura esterna, ricavati sulla base di formule empiriche e regole teoriche di Rondelet e Curioni, e quelli adottati in Casa delle Colonne ha dimostrato una diversità di concezione del fabbricato: il sistema antonelliano si compone di singoli elementi, che nel loro insieme concorrono alla staticità dell’intera struttura. Inoltre, l’analisi degli edifici civili di Antonelli, associata alla conoscenza del sistema strutturale antonelliano, ha permesso di formulare uno studio in merito al grado di economicità della struttura, sulla base di considerazioni formulate da Rondelet e riportate da Milani: con Casa delle Colonne si ottiene un indice di economicità tale da raggiungere la massima economia costruttiva. Carmela Piccoli, Giulia Pittorru Casa delle Colonne, un progetto antonelliano corso di laurea magistrale in architettura per il restauro e la valorizzazione del patrimonio Politecnico di Torino, Tesi meritoria Settembre 2016 Relatori Cesare Tocci Annalisa Dameri
... mentre la suddivisione regolare della fronte in parti rettangolari sottolinea la divisione dei locali e l'architrave in pietra segna con evidenza l'andamento dei solai, le robuste colonne doriche danno risalto all'intero volume. Antonelli insomma costruisce il prospetto soprattutto rendendo "formalmente" apparente il reticolo su cui imposta la struttura della fabbrica. Eleonora Trivellin Storia della tecnica edilizia in Italia: dall'unità ad oggi Alinea editrice, Firenze 1998 1853 Progetto di sopraelevazione dei palazzi di Piazza San Carlo, Torino Entrato in consiglio comunale a Torino , su iniziativa dell’avv. Martelli (Martinelli?), pure lui consigliere, studia un progetto per gli edifici di piazza S. Carlo per farne un pantheon dei grandi italiani, iniziativa probabilmente connessa con i voti del Congresso degli Scienziati Italiani. 1853-69: Ampliamento del Duomo di Novara. L'acceso dibattito che aveva interessato la città, dopo che numerosi interventi sul vecchio duomo, avevano diviso il popolo in due fazioni tra coloro che volevano mantenerlo e quelli che volevano rifarlo ex novo, si risolse con l'incarico da parte del Capitolo all'Antonelli il giorno 11 novembre 1853 Il progetto presentato il 22 luglio del 1854 fu approvato dal vescovo e dal Capitolo per acclamazione tre giorni dopo. Tra il 1857 ed il 1863 fu realizzato l'ampio porticato e tra il 1864 ed il1869 il duomo. Durante l’episcopato di mons. Giacomo Filippo Gentile, dopo i consensi suscitati dalla magnificenza del nuovo altare maggiore, l’Antonelli riuscì, con un’accorata strategia, a fare breccia sul Capitolo per ottenere l’abbattimento delle navate del Duomo romanico. Storia del Complesso della Cattedrale diocesinovara.it Il Duomo o Cattedrale di Santa Maria Assunta di Novara è un maestoso monumento di gusto neoclassico eretto nel periodo fra il 1863 e il 1869 secondo il progetto dell'architetto Alessandro Antonelli. Situato nel pieno centro di Novara in Piazza della Repubblica dove vi era in precedenza una cattedrale romanica dell'XI-XII secolo della quale, dopo la demolizione, rimase parte del mosaico del pavimento del presbiterio. Circoscritto da un colonnato sul lato prospiciente la piazza, l’ingresso si trova sotto un pronao, formato da quattro massicci pilastri con capitelli corinzi, che sostengono il frontone di forma triangolare. Internamente la pianta è in tre navate divise da maestose colonne di stucco marezzato di colore giallo-ocra: la navata principale ha la volta a botte, mentre quelle laterali hanno una copertura a calotta per ogni arcata. Antonelli progettò, tra il 1854 e il 1855, il nuovo edificio della cattedrale per una spesa totale, comprendente il porticato esterno e le navate, di lire 337.994. Gabriele Bignoli, Carmen Falliti La sicurezza antincendio degli edifici dell’800 novarese di Alessandro Antonelli Rifunzionalizzazione di casa Bossi a Novara, op. cit.
Il duomo di Novara (1850-1870), è la più infelice opera di A. Realizzato completando la demolizione della chiesa romanica, rimase interrotto per la non avvenuta demolizione del presbiterio di S. Melchioni. Secondo il progetto di A., il nuovo Duomo doveva essere completamente circondato da un ordine minore di colonne, estendendosi da un antiportico (in cui rimaneva inserito il Battistero romanico) fino al chiostro medioevale retrostante, dove questo ordine minore si sarebbe chiuso ad anello attorno all'abside, (come nel santuario di Boca). Il portico minore costruito solo in parte, servì da un lato la bella piazza del mercato, ed incluse, nella piazzetta di ingresso, il grande atrio a colonne; poichè oggi si arriva nel quadriportico solo di lato, l'effetto è tra i peggiori. Anche all'interno le splendide colonne isolate, mal si accostano al presbiterio del Melchioni (che pare coevo). Nè servono a risolvere l'innesto i due pulpiti antonelliani, con volticelle segnate da un disegno guariniano. Le sezioni costruttive della navata sono molto vicine a quelle del Panthéon di Soufflot: la loro di posizione è prodigiosa, risolta all'esterno con archi in vista, destinati forse a sopportare una cupola o cuspide da innalzare sul presbiterio. Segnalo l'ingegnosa disposizione delle discese verticali dell'acqua, ricavate con un gran foro, che corre a tutta altezza, nelle colonne di granito del portico d'ingresso. Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane op. cit. Per quanto riguarda la costruzione del Duomo proprio la soluzione urbanistica, tralasciando per ora l'impianto dell’edificio, è di grande interesse: l'innesto della costruzione nel tessuto cittadino avviene con la creazione di una piazza tangenziale alla strada, circondata da una serie di portici che raccordano anche, dimensionalmente la scala monumentale della chiesa con i profili del tessuto esistente. Vittorio Gregotti e Aldo Rossi L'influenza del romanticismo europeo nell’architettura di Alessandro Antonelli Casabella n. 214 marzo 1957
Il progetto di Antonelli. Pianta sovrapposta al vecchio duomo, Sezioni e prospetti
Il duomo in una cartolina del 1934
1854-56 – Progetto per la chiesa di San Luca, Torino. Richiestogli da un Comitato promotore redige un progetto di chiesa parrocchiale per il Borgo di Vanchiglia. Il Comitato aveva già adottato questo progetto, incontrando difficoltà nel reperire i fondo necessari, quando intervenne la marchesa Giulia Falletti di Barolo disposta a sostenere quasi tutte le spese per la nuova chiesa ma su un diverso progetto e la dedica a Santa Giulia. ...il progetto medievalista di Giovanni Battista Ferrante e del suo mentore Edoardo Arborio Mella (1862) prevale sulla prima proposta classicista di Alessandro Antonelli. Il progetto di Ferrante per la nuova parrocchiale di Santa Giulia inaugura anche la stagione del forte interventismo del Cattolicesimo sociale subalpino in campo architettonico, fondamentale per comprendere le scelte stilistiche e le ragioni localizzative di molte vicende edilizie dei decenni successivi. Mauro Volpiano, Chiese e templi. i luoghi di tutte le religioni, Rivista MuseoTorino n. 3 giu/2011 Vedi : Il Borgo di Vanchiglia ed il progetto della chiesa di San Luca 1855 Progetto di dogana internazionale da erigersi a Novara. Prima del 1855 fu incaricato di un progetto di Dogana internazionale da erigersi in Novara, ma che fu poi abbandonato per le mutate condizioni politiche. 1855-56 Progetto per il Santuario di Oropa, Alpi Biellesi. Riprendendo quanto già predisposto nel 1844 (vedi) presenta un progetto per la basilica del santuario, su cui stava incontrando forti opposizioni il progetto del celebre architetto Luigi Canina (1795-1856) che morirà di li a poco per un'epidemia di colera. Il progetto per Oropa del 1856, redatto per dimostrare quasi l'inopportunità di eseguire il progetto Canina (rimasto sospeso già nel 1847-48), interessa per la gran cupola doppia, con calotta interna, molto vicina a quella per il San Gaudenzio. Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane, op. cit. 1856-62: Chiesa parrocchiale di Borgolavezzaro (Novara). La Chiesa sorse per volontà dell’allora prevosto, che aveva già interessato l'Antonelli nel 1836 (vedi). L’edificio venne costruito dove già esisteva una chiesa più antica, seguendo modelli architettonici impostati sulla ripresa degli elementi classici, come le grandi colonne di granito dai capitelli corinzi del pronao, il timpano con la nicchia circolare, cornici, lesene e semicolonne che intervallano le superfici in modo regolare. Le quattro grandi colonne del pronao, elemento costante nelle opere antonelliane, sostengono un architrave con timpano e cornice. L’interno si presenta ad unica navata, con copertura a capriate di legno e soffitto a volta a botte, impostata su una doppia fila di colonne poste lungo i fianchi dei muri perimetrali. Il campanile, di costruzione secentesca, è stato inglobato nella nuova costruzione antonelliana. La chiesa, nonostante la guerra del 1859, venne aperta al culto nel 1862 e consacrata nell’aprile del 1866.
1857 – Progetto di portici per il collegamento del centro con la stazione ferroviaria, Novara. Nel lavoro del duomo e delle proposte urbanistiche per la città, Antonelli propone dei portici classici che affianchino gli edifici del lato orientale di Corso Sempione (ora corso Cavour) e che colleghino la stazione ferroviaria ed il centro cittadino lungo il corso. Il progetto sarà approvato ma non realizzato a causa di problemi con gli indennizzi ai proprietari degli edifici prospicienti il Corso. I caratteri di una nobile e attenta visione urbanistica, si ritrovano anche nel progetto antonelliano per Novara, destinato a risolvere il collegamento della città all' "Imbarcadero": nello sviluppo architettonico è interessante rilevare come, all'inizio del lungo sistema di portici, anche la stazione ferroviaria (luogo comune della retorica ottocentesca) sia vista quale semplice servizio, e non quale tempio. Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane op.cit.
Progetto del porticato lungo Corso Sempione. Archivio di Stato Novara 1857 – Progetto e parziale ampliamento del municipio, Mortara (PV) Per la città di Mortara fece tra il 1857 ed il 1860 un progetto del palazzo municipale, che fu poi eseguito in parte colla scorta dei disegni da lui spediti. Un edificio neoclassico con ariosi porticati, realizzato in collaborazione con l'ing. Paolo Troncone. Il Palazzo Comunale di piazza d’Armi sostituì il vecchio Municipio in piazza del Mercato. Fu costruito tra il 1859 e il 1861 e progettato dall’ingegner Paolo Troncone e, in parte, da Alessandro Antonelli. La facciata a tre piani, con il suo ampio porticato, è degna di nota; Fonte Comune di Mortara
1857 Torre di villa Solei a Moncanino, San Mauro Torinese Sulla collina di San Mauro, lungo via Moncanino, sul crinale che separa il centro storico dalla valle di Rivodora, all'interno del parco della villa Solei si trova la Torre, costruita nel 1857, in stile neogotico con pianta ad ettagono regolare di otto livelli di cui gli ultimi tre di sezione variabile, restringendosi ad ogni piano, sulle cui facce si aprono finestre a sesto acuto, bifore, trifore e balconate,completamente costruita in mattoni raggiunge l'altezza di 52 metri sormontata da un angelo metallico che indica la direzione del vento. Si dice venisse usata per ammirare il bellissimo panorama delle colline torinese durante le feste che venivano date a fine ottocento a villa Solei, elegante costruzione neoclassica, di cui la torre ne fa parte. Essendo proprietà privata, attualmente non è aperta al pubblico. Da molti viene attributi ad Antonelli, da qualcuno a Pelagio Palagi (Bologna 1775, Torino 1860), che lavorò alla costruzione della citroseria nel parco della villa. Non vi sono al momento documenti disponibili a sciogliere questo dubbio. Se a vantaggio del Pelagi gioca la costruzione della citroseria e qualche richiamo alla torre da lui realizzata nel parco di Villa Tittoni Traversi a Desio, nel 1835, dalla parte dell'Antonelli pendono le caratteristiche delle strutture, la maestosità dell'edificio, il sistema a fulcri e l'impiego della muratura, aspetti in cui il Pelagi, grande pittore e architetto d'interni non eccelleva. Qualcuno si è spinto ad ipotizzare un legame tra la torre e la casa del vento a Boca, in cui soggiornava dalla sorella durante i sopralluoghi ai lavori del Santuario. Fonti: Comune di San Mauro Torinese studio Masera ingegneria torino, 2012
1857- 64 Casa Desanti (poi Bossi), Novara. “Una grande villa-palazzo di tre piani in stile neoclassico, con la facciata impreziosita da tre ordini di colonne doriche e sormontata da un frontone triangolare, in cui si apre, con una vetrata, la terrazza dell’attico. […] Il pianoterra era il piano delle cucine, delle scuderie e delle lavanderie; ma c’erano alcuni saloni, molto grandi, che affacciavano sul giardino. Le cantine, immense erano destinate a diventare il regno dei fuochisti, che, d’inverno, avrebbero tenuto accesa la fornace per il riscaldamento ad aria calda dei piani superiore. La parte alta dell’edificio era così vasta che dava l’impressione di potercisi perdere come in un labirinto. Il terzo piano, suddiviso in tre appartamenti, era composto da un numero imprecisato di locali: dove il tetto era alto c’erano i saloni, e attorno ai saloni c’erano le stanze e gli abbaini e gli stanzini con i soffitti inclinati, sempre più bassi e sempre più piccoli... Da lassù, nelle giornate di cielo limpido e nelle notti serene, si vedevano l’immensa pianura, le montagne e il cielo piene di stelle ”. Sebastiano Vassalli, Cuore di pietra Torino, Einaudi, 1996 pp. 15-17 Quest'opera è tuttavia, ed ancora per certi aspetti urbani,una delle esperienze più geniali dell’Antonelli: concepita su una maglia di pilastri che sostengono i piani superiori e che stabiliscono effetti di prospettiva ortogonale,essa presenta un esempio tra i più caratteristici della abilità costruttiva dell’Antonelli; il piano terreno libero e aperto, la casa appoggiata su « fulcri», le sottilissime volte delle scale. Vittorio Gregotti e Aldo Rossi L'influenza del romanticismo europeo nell’architettura di Alessandro Antonelli. Op. cit. Casa Bossi di Novara è tra gli edifici di maggiore interesse in città. Riconosciuta dagli studiosi come uno dei maggiori esempi di architettura civile, Casa Bossi è sita in posizione elevata, lungo il margine occidentale della città. L’edificio non si rivolge verso il contesto urbano, bensì verso il vasto paesaggio sottostante. Di notevole interesse sono le soluzioni progettuali operate dall’Antonelli all’interno dell’edificio. I vari ambienti sono stati realizzati tenendo conto della destinazione d’uso; anche l’impianto decorativo è diverso da zona a zona, determinando un forte impatto emotivo nel visitatore. Il succedersi dei proprietari, dopo la morte del committente, Luigi Desanti, fece sì che l’edificio venisse deturpato in molte delle sue parti, cadendo in uno stato di totale abbandono. Arredi originali e decorazioni sono stati oggetto di varie incursioni da parte di vandali. Casa Bossi, prima Casa Desanti, è un palazzo urbano situato a Novara all’angolo tra baluardo Quintino Sella e via Pier Lombardo, e la si può ritenere tra i più significatici esempi dell’architettura civile dell’800 in Piemonte. Questo edificio può essere considerato al pari di un monumento in quanto in esso sono racchiuse delle peculiarità che rappresentano perfettamente lo stile neoclassico e la sua epoca di realizzazione; entrambe queste caratteristiche rappresentano l’anima su cui si è fondata la costruzione della Novara che oggi conosciamo. La realizzazione dell’edificio ebbe inizio nel 1858 ed il committente fu Luigi Desanti, ricco possidente terriero nato in Corsica nel 1786, il quale acquistò il 9 luglio del 1857 dalla Marchesa Amalia Concito di Montiglio una casa in stile barocco, con annesse le pertinenze rustiche a nord ed un giardino che si affacciava verso la parte occidentale della città. Subito dopo l’acquisto del bene il sig. Desanti affidò all’arch. Alessandro Antonelli l’incarico per il progetto della completa ristrutturazione ed ampliamento. Il progetto dell’architetto fu molto raffinato e di altissima qualità; intervenne sull’esistente in maniera precisa e scrupolosa il che denota un’attenta e precisa analisi dello stato di fatto dell’edificio. Il nuovo palazzo ingloba nel piano terra parte della costruzione preesistente,... Tutti gli altri spazi vennero recuperati durante la ristrutturazione, durante la quale Antonelli, con piccole ma importanti modifiche, li integrò nella nuova concezione dello spazio, combinandoli e rivitalizzandoli con nuove e più moderne destinazioni d’uso. Così facendo l’architetto intese realizzare un grande palazzo che svettava dall’alto dei bastioni della città sulla pianura sottostante, risultando visibile da lontano e che formasse un tutt’uno con la retrostante Cupola, anch’essa opera sua. In questo progetto Antonelli, non si limitò solamente ad una ristrutturazione di tipo passivo, ma recuperò intere porzioni di mura, le smontò e riutilizzò numerosi elementi lapidei, spostò alcune aperture con il fine di creare dei nuovi passaggi e collegamenti, determinando un nuovo ordine geometrico che aveva lo scopo di regolarizzare per intero il nuovo edificio. Verso la fine del 1858 vennero ultimate le opere di demolizioni che l’Antonelli aveva previsto per parte del fabbricato e nell’anno seguente iniziarono i lavori necessari per ampliare il secondo piano del nuovo edificio e completare la parte prospiciente alla contrada di Sant’Agata.... era il 1864 e l’edificio risultò ultimato. Gabriele Bignoli, Carmen Falliti La sicurezza antincendio degli edifici dell’800 novarese di Alessandro Antonelli Rifunzionalizzazione di casa Bossi a Novara Relatore: Prof. Ing. Paolo Pietro Setti Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Sistemi Edilizi Politecnico di Milano Tesi di laurea A.A: 2017-18
Casa Bossi in Baluardo Quintino Sella, angolo via Pier Lombardo.Sullo sfondo la cupola di S.Gaudenzio
1858 – Progetto di teatro, Novara. Antonelli propone un nuovo teatro con la fusione del Teatro Nuovo col Teatro Sociale, per accorpare in un unico edificio le varie tipologie di spettacoli. Il maestoso progetto che prevede anche spazi per la Società del Casino ed una scuola di ballo, ed un mercato ortofrutticolo al piano terra, rimarrà sulla carta, perché giudicato troppo costoso e sproporzionato rispetto alle richieste e alle disponibilità finanziarie cittadine.
“…un teatro che fino dal 1858 l’antonelli aveva proposto per la città di Novara: annessa al teatro doveva essere la residenza del Casino che è proprietario del teatro medesimo, e le sale stesse del Casino dovevano attaccarsi colle gallerie del teatro, ed esserne come le dipendenze. Di più, il teatro era tenuto, per così dire, pensile sopra una serie di porticati e botteghe che dovevano servire al mercato della granaglia di Novara, e che l’Antonelli proponeva di ricavare sotto il teatro stesso a ragione della mancanza che si aveva nella città di uno spazio adeguato a questo servizio. Caratteristica di questa composizione è la struttura interamente laterizia, per cui anche il coperto è portato da archi e da volte, le cui linee se fossero tracciate da un altro architetto sarebbero giudicate un sogno, ma che hanno un grande valore quando sono tracciate da un architetto che è Antonelli e di cui molti progetti ben più arditi di questo del teatro, hanno ormai subito la sanzione di un mezzo secolo di vita e nessuno di essi ha mancato alla prova.” Crescentino Caselli Appunti e schizzi di architettura antica e moderna L'ingegneria, le arti, l'industria. Rivista tecnica della Esposizione Nazionale di Torino nel 1884, Torino 1893 pp. 335-339.
Fonte: Franco Rosso, Alessandro Antonelli (1798-1888) Mondadori Electa, 1989 Nel 1858 svolse un progetto di teatro cittadino, con annessi al primo piano i locali per il Casino sociale novarese, progetto molto singolare per essere tutto di struttura laterizia anche nel coperto, e quindi incombustibile nel vero senso della parola, nonché per la facilità e quantità degli accessi e delle uscite, che non si riscontra nemmeno nei più recenti teatri eseguitisi e progettati dopo le immani catastrofi di questi ultimi tempi. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane op.cit. ...il teatro di Novara era stato per lui occasione splendida per concentrare, in un solo complesso, molte elaborate istanze: l'inserimento dei porticati nel tessuto degli spazi pubblici novaresi, la sicurezza distributiva articolata in scale e atrii ben disposti, la struttura di copertura leggerissima, tutta a volte su archi, senza legno nè ferro, denotano prodigi che ritentò in un altro tema, molto simile: il Parlamento di Torino (1860), Anna Spinaci, Casa Bossi a Novara,... 2018-19 op. cit. 1859-61 Palazzina per i fratelli Borani, orafi, Corso del Duca di Genova, Torino. Palazzina privata a due piani, costruita prima del 1859, colla fronte sul Corso del Duca di Genova, verso l’antica Piazza d’Armi, per l’orafo Borani, che comprendeva l’abitazione e il negozio patronale e le officine di fabbricazione; tale palazzina, che in seguito cambiò più volte di proprietario e di destinazione, ha subìto pure diverse modificazioni. Comune Maggiora,Note biografiche dell'architetto Alessandro Antonelli 1859 Contributo al Piano Regolatore di Torino. Essendo stato nominato, membro della commissione comunale per il nuovo piano regolatore di Torino, Antonelli, vi partecipa attivamente, fornendo alcune proposte tradotte in grafici. "Tra i progetti esposti farò appena menzione di un piano regolatore per la città di Torino che l'Antonelli aveva redatto circa il 1859 in occasione che egli aveva fatto parte di una commissione municipale per lo studio di tale questione. Il concetto generale di questo piano dell'Antonelli è questo: che conservando il centro in piaza Castello, la città avesse da estendersi regolarmente verso tutti i punti della periferia in guisa da avvicinare la forma circolare, che è quella di maggiore superficie tra le isoperimetre; lasciare un'ampia zona circolare formante una strada di circonvalazione e una serie di giardini quasi continui tutto attorno alla città in guisa che tutti i quartieri si trovino ugualmente favoriti dai benefici della vicinanza ai giardini. ... Questo piano, che per l'epoca in cui fu redatto poteva sembrare un sogno, quantunque allora Torino fosse la capitale del regno, ha trovato nei fatti molte conferme della sua opportunità. Non dico se fosse stato adottato, ma se solo si fossero fino d'allora prese in serio esame, discusse e risolte alcune questioni che nel piano stesso erano nettamente poste e risolte, forse il presente della pinata di Torino, e anche qualche cosa dell'avvenire, si troverebbe in condizioni migliori." Crescentino Caselli Appunti e schizzi di architettura antica e moderna
L'ingegneria, le arti, l'industria. Rivista tecnica della Esposizione Nazionale di Torino nel 1884, Torino 1893 pp. 335-339. Già il piano di Promis per Vanchiglia poggiava su lavori di A., che nel 1854 aveva studiato un progetto di Piano Regolatore, presentato in Comune nel '65, e discusso ancora nel 1884: una analisi ed un confronto fra questo piano e quelli contemporanei, sarebbero estremamente interessanti, ma porterebbero molto oltre in questa breve indagine esplorativa. Il carattere saliente del lavoro di A. è questo: cercare la comodità pubblica con economia, ma con qualche larghezza: in modo non gretto, ma mai magniloquente o grandioso. Ragione per cui, il suo piano è per antonomasia quello di Torino, sperato, difeso dall'autore, sentito, ma non integralmente adottato dai Colleghi Consiglieri e dai tecnici del Comune: la cinta daziaria è esterna ad un viale "di forma circolare, che è quella di minore sviluppo fra le isoperimetre", pensato come catena verde di giardini contigui al servizio dei quartieri periferici (come il Ring di Vienna, ma molto più esterno al nucleo antico). Fra le proposte che avrebbero resa Torino una città meglio preparata ai futuri sviluppi, c'è una grande strada di collegamento alla collina. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op.cit. 1860 – Progetto di Parlamento Nazionale, Torino. Dopo la promulgazione dello Statuto Albertino, nel 1848, nel salone centrale di Palazzo Carignano, il salone delle feste, viene sistemato dall'architetto Carlo Sada, per la prima seduta, con i banchi a ventaglio per i 204 deputati del Regno di Sardegna. Questa sala viene usata fino al 1860, tra grandi difficoltà dopo le annessioni di Lombardia, Emilia e Toscana, con i deputati diventati 337, quando viene incaricato l'ingegnere Amedeo Peyron di realizzare una sala provvisoria dove il 18 febbraio del 1861 si terrà la prima seduta del parlamento del Regno presenti il re, Cavour e Garibaldi in una struttura in ferro, legno e vetro, con un pubblico di 450 persone. Contemporaneamente all'incarico a Peyron, viene deciso di ampliare il palazzo bandendo un concorso. Il bando è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno del 28 luglio 1860, ed il tempo concesso per la presentazione è il successivo 30 agosto. Alla commissione incaricata della valutazione giungono i progetti di Alessandro Antonelli, Carlo Sada, Domenico Ferri, Ignazio Michela e Andrea Crida. il progetto di Antonelli prevede due saloni per i due rami del parlamento ed uno per le sessioni congiunte. La sua struttura puntiforme si configura come un volume trasparente, ed un immagine di permeabilità ai
luoghi. Il consiglio superiore dei Lavori Pubblici ritiene il progetto il migliore di quelli presentati, ma l'approvazione si scontra con l'inamovibile decisione del ministro di non procedere allo spostamento del monumento a Carlo Alberto e modificare l'assetto generale della piazza. Scartata quella del vincitore morale del concorso, vince la soluzione proposta da Domenico Ferri, che verrà realizzata, anche se mai utilizzata per il parlamento, con capitale spostata a Roma. Antonelli afferma con forza il suo progetto che senza occupare tutto palazzo Carignano, ed ampliarlo fino ad occupare metà piazza Carlo Alberto, non si avrebbe potuto ottenere una sede sufficiente ai bisogni del Parlamento. Ma fu più tardi, una volta ultimato il
progetto del Ferri, nel frattempo affiancato da Giuseppe Bollati , tutti riconobbero che se la sede della capitale fosse rimasta a Torino, la sede delle camere sarebbe stata troppo angusta. Pianta Piano Primo Prospetto e sezione trasversale, Archivio Porcheddu PoliTo 1862 Piano Regolatore di Ferrara. La città di Ferrara, su proposta del deputato Cesare Valerio, nel 1862 richiese Antonelli per lo studio del piano regolatore; recatosi sopra luogo in tre giorni compilò il piano, e da una lettera del conte Baldassare Bergando, allora sindaco di quella città, risulta che il suo progetto fu accolto favorevolmente dal Consiglio. Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op. citate 1862-66 Progetto per la facciata di Santa Maria del Fiore, Firenze. La facciata di Santa Maria del Fiore, il duomo di Firenze, avviata al tempo di Arnolfo di Cambio e fino al Quattrocento, arricchita da sculture, venne demolita nel 1587 e, nonostante i numerosi progetti, mai rifatta fino alla metà dell'Ottocento, quando fu bandito un concorso, costituendo la commissione giudicatrice nel 1862 con i membri provenienti dalle sette maggiori Accademie d'Italia. Per l'Accademia di Torino fu scelto Alessandro Antonelli, Alessandro Manetti e Pietro Camporese (Firenze), Camillo Boito (Milano), Andrea Scala (Venezia), Fortunato Lodi (Bologna), Errico Alvino (Napoli) e il segretario Cesare Guasti. Le riunioni si tennero a partire dal 22 gennaio 1863, giungendo alle conclusioni il 2 febbraio con tre progetti premiati, tra i 44 presentati. La decisione suscitò vivaci polemiche tanto che fu deciso di riaprire il concorso ad inviti, con scadenza ad aprile 1864, tra i tre premiati e altri qualificati professionisti, tra i quali anche l' Antonelli, Boito, Alvino, Scala, Lodi. Il progetto presentato dall'Antonelli, accompagnato da una relazione a stampa in cui sosteneva che il progetto aderiva al sistema strutturale di Arnolfo con il sostegno della facciata tramite pilastri incastrati nel muro e liberi sulla scalinata a formare un portico, mentre la parte superiore della facciata, con un grande occhio circolare, rimaneva al filo attuale. Motivava la scelta del portico, come un effetto "... variato, non diversamente dal portico degli Uffizi del Vasari che si presenta con un bell'effetto alle visuali attraversanti la magica loggia dell'Orcagna sulla piazza della Signoria.".
Le critiche al progetto furono vivaci e la commissione lo escluse, non ritenendolo neppure degno di menzione. Il vincitore del secondo concorso fu Emilio De Fabris (Firenze 1807-1883), ma il risultato fu molto criticato con forti polemiche in seno alla commissione, con la netta opposizione di Camillo Boito, e Errico Alvino. Questo portò ad un terzo concorso, bandito nel 1865 al quale parteciparono dieci invitati del secondo concorso e ventinove concorrenti liberi. La scadenza era prevista per luglio, ma in seguito i termini vennero prorogati di ben due anni, per difficoltà nella composizione della commissione, con il rifiuto di Viollet le Duc. L'esito della gara, che vide escluso nuovamente il progetto di Antonelli, confermò la vittoria di De Fabris, anche se risicata, ottenuta col minimo dei voti, e che non contribuì a placare le polemiche. 1 Sul primo numero della rivista torinese L'ingegneria Civile e le Arti Industriali, del 1 gen. 1875 , appare un articolo che ripropone la validità delle scelte di Antonelli. 1
L'ingegneria Civile e le Arti Industriali, Periodico Tecnico Mensile, Editori Camilla e Bertolero Torino anno I n.1 1 gennaio 1875
Architettura e Belle Arti La facciata di Santa Maria del Fiore in Firenze. Ci scrivono: Mentre dura il letargo in cui dopo tanti accenni di vita ricadde la questione della facciata di S. Maria del Fiore, alcuni si domandano se non potrebbe essere cassata la sentenza che giudicò vinta la lite in favore delle tre cuspidi, sistema il quale pare in verità non desti molte simpatie. Persone autorevoli vorrebbero anzi che si ripigliasse in esame il progetto del chiaro prof. Antonelli, che reputano contenere la soluzione più radicale ed insieme più felice dell'arduo problema. Codesto progetto consiste nel far precedere l'ingresso del tempio da un portico formato di tre grandi arcate a sesto acuto,di differente ampiezza come sono le navate,ed impostate su pilastri della forma degli interni; limitato poi superiormente all'altezza del fianco dell'edificio, e com'esso coronato da quel meraviglioso ballatoio, che ne è la precipua bellezza. I lavori iniziarono nel 1876 e furono anche oggetto di un referendum popolare sulla questione del coronamento a cuspide o di tipo basilicale. Il 5 dicembre 1883 i lavori erano terminati e la facciata veniva presentata al pubblico quando l'architetto De Fabris era ormai morto (3 giugno), ma bisognò aspettare fino al 12 maggio 1887 per l'inaugurazione ufficiale con le autorità. Il progetto per la facciata di Santa Maria del Fiore a Firenze è forse, in questo gruppo di opere, il più importante: si sa la polemica trascinata dal '62 in poi per questa strana idea di completamento, e l'enorme vaniloquio esploso sulla soluzione definitiva, tricuspidata o no. Aveva ragione Viollet le Duc a non voler giudicare i disegni del concorso, perché questi soli non potevano chiarire una concezione costruttiva e compositiva di tipo gotico. A. per intonarsi al gotico fu architetto moderno: in una relazione chiarissima illustrò i criteri del suo progetto: " le fronti di un edificio massime se pubblico sono convenienti, lodevoli, quando chiaramente annunciano le disposizioni dell'interno, ed il carattere che lo informa;... il primo ordine decorativo dei pilastri, messo in armonia coll'intelaiatura esterna mediante opportuni rincassi, riceve l'imposta degli archi e dei volti di un portico od anti tempio;... la parte culminante del fronte del tempio ... sorge sul fondo del portico ... e viene coronata dalla cornice del Brunellesco ". Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane op. cit. "il tipo, o l'idea madre vuole essere derivata dall'ossatura interna, in quella guisa che l'esordio di un'orazione è cavato dalle viscere della causa." Frase di Antonelli a proposito della facciata del Duomo di Firenze, riportata da Crescentino Caselli Fonte: F. Borsi L'Architettura dell'unità d'italia, Le Monnier Firenze 1966. 1862-1888 – Tempio israelitico (poi Mole Antonelliana), Torino. VEDI SCHEDA 1863-75 – Scuròlo della Beata Panacea, Ghemme. A Ghemme, per volontà di Francesco Stoppani, soprannominato l’Americano per aver fatto fortuna a New York, che lasciò un legato di 15.000 lire, l’Antonelli edificò lo Scurolo della Beata Panacea tra il 1864 ed il 1875. Dopo un progetto iniziale nel 1863, l’architetto pensò ad un intervento di rifacimento totale della chiesa, della casa parrocchiale e dell’intera piazza (5 aprile 1864). Questo nuovo progetto, mai realizzato, prevedeva anche un grande pronao a colonne, una piazza porticata ed un edificio esagonale dietro il coro della chiesa, forse un battistero. Lo Scurolo, a pianta circolare, è aperto sul lato sinistro della chiesa seicentesca all’altezza del transetto con un arco serliano ed è accessibile mediante due scale. Dal centro della navata appare in alto l’altare sormontato da una doppia urna con il corpo della beata Panacea, che attira lo sguardo dei fedeli. All’interno dodici colonne disposte circolarmente creano uno stretto deambulatorio anulare e sostengono la cupola ad esagoni schiacciati e triangoli. Sulla cima un lucernario diffonde la luce all’interno dello scurolo, scendendo dall’alto e creando giochi di ombre. Il sacello si affaccia prepotentemente nella chiesa, «sollevato da terra come una scena teatrale» (F. Rosso), evidenziando tutta la sua ricchezza plastica esaltata ancor più dalla struttura traforata di collegamento tra scurolo e chiesa. ... Il cantiere
fu affidato a Giacomo Calcagni, assistente dell’Antonelli anche nella cupola di S. Gaudenzio a Novara. Al termine dei lavori nel 1875 la spesa totale fu di 40.000 lire, di cui solo 400 andarono all’Antonelli per il progetto. I costi di vitto ed alloggio furono sostenuti interamente dal parroco don Felice Rossari, promotore dell’opera, che ideò anche la festa dell’offerta che si teneva alla fine della vendemmia per finanziare i lavori. ... La chiesa di S. Rocco in piazza Castello conserva un’altra opera dell’Antonelli: si tratta di un tronetto processionale, voluto anche questo da Francesco Stoppani. Fu realizzato in legno dallo scultore valsesiano Francesco Sella e dorato dal Ravetta di Novara. ... Sempre al Sella (1888) si deve la pregevole statua della Madonna del Rosario, custodita sull’omonimo altare della Chiesa parrocchiale, che viene portata processionalmente con il tronetto. Scurolo della Beata Panacea - Sergio Monferrini Itinerari d'arte nel novarese, op.cit. 1863 Progetto per la Chiesa Parrocchiale di Vespolate. Per il comune di Vespolate, vicino a Borgolavezzaro, fu richiesto nel 1863 pure di un progetto di chiesa, ma questa poi non ebbe esecuzione. Comune Maggiora,Note biografiche dell'architetto Alessandro Antonelli Dall'esame della pianta conservata presso AAMCT il progetto consiste in una modifica della pianta della chiesa con la costruzione di una cupola circolare, come in precedenti lavori di Antonelli. 1863-64: Progetto per la Cattedrale di Alessandria Circa il 1863 Antonelli fece per Alessandria un progetto per una nuova cattedrale, che poi non fu eseguito. Crescentino Caselli, Necrologia Alessandro Antonelli, Architetto, op. cit. La cattedrale di Alessandria, che risaliva al sec. XIII, fu abbattuta nel 1803 per esigenze militari da Napoleone Bonaparte, che nel 1805 concesse in sostituzione la chiesa di San Marco, in stile gotico con quattro cappelle minori esisteva già nel 1231, ma era però ridotta in pessimo stato e fu necessaria una ricostruzione quasi totale, che avvenne tra il 1807 ed il 1810 su disegno dell’architetto Cristoforo Valizzone, ne risultòuna chiesa di stile neoclassico in stridente contrasto con le parti gotiche conservate. Intorno al periodo in cui Antonelli lavorava all'Ospedale deve essere stato interessato per una cattedrale, che però non ebbe seguito e negli anni 1874-1879, su disegno del conte Edoardo Arborio Mella, architetto di Vercelli, ristrutturò la chiesa in stile bramantesco con cupola dello stesso stile nell’incrocio dei due bracci. 1866 Progetto di Manicomio Provinciale Novara Per ovviare al problema della collocazione dei pazienti viene presentato, sotto la direzione dell’architetto Antonelli, un progetto per l’ampliamento dell’Ospedale Maggiore. La proposta viene abbandonata a favore dell’ipotesi, sostenuta dal Dottore G.L Ponza, di creare un unico complesso interprovinciale per i territori di Novara, Alessandria e Pavia, anche questa bocciata nel 1865 dall’amministrazione dell’Ospedale. Fonte: sito web Architetture Manicomiali, luoghi comuni spazi isolati 1873-76 – Asilo infantile ‘De Medici’, Bellinzago Novarese. Sopra un’area libera, a pochi passi da detta chiesa, più tardi, tra gli anni 1874 e 1876, fece, per legato del compianto avvocato Gabriele Demedici, per iniziativa del sindaco avv. Vandoni e col concorso del Comune e della popolazione, un asilo infantile nel quale si comprendono sale, gallerie e luoghi di ricreazione per 300 bambini, cucina, abitazione delle suore ed ogni dipendenza, mentre il consuntivo della spesa non oltrepassa le 70.000 lire. Comune Maggiora,Note biografiche dell'architetto Alessandro Antonelli L'asilo di Bellinzago, intessuto fra interno ed esterno con una misura mirabile: volte a vela (dal catino un po' segnato), poggiano su capitelli ormai senza cornici: il ritmo di questi ambienti, lo spazio del salone ricavato nel sotto tetto (che ci richiama le sottigliezze di Soane) indicano un congedo da canoni usati e amati, ormai superflui nell'uomo che aveva in sè la propria misura. Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane op. cit.
L’asilo infantile di Bellinzago Novarese rappresenta, nel contesto territoriale della provincia, una delle testimonianze più interessanti dell’opera dell’architetto Alessandro Antonelli, che vi si dedicò in età ormai avanzata, carico di esperienze e di onori. In questa fase egli preferì sviluppare una sintesi delle tecniche costruttive da lui usate in passato con nuovi modi espressivi; questa scelta lo portò lontano dai canoni a lui più congeniali, a favore però di una misura che ormai si rivelava come autonoma, segno distintivo di una personalità ormai affermata. L’ideazione dell’asilo, si deve alla precisa volontà dell’avvocato Gabriele De Medici, bellinzaghese di nascita ma novarese di adozione. Questi, nel suo testamento datato 2 maggio 1859, scrive che: «Volendo disporre delle mie sostanze per atto di ultima volontà, ordino […] che venga istituito nel paese di Bellinzago un Asilo Infantile». Questo documento può essere considerato l’atto di nascita dell’istituzione, anche se dovranno passare 17 anni prima che l’edificio venga inaugurato ufficialmente, il 28 maggio 1876. Nello stesso testamento viene specifi cato che l’asilo dovrà portare il nome del fondatore ed essere aperto entro quattro anni dalla cessazione dell’usufrutto delle sostanze, lasciato a Donna Marietta D’Adda, moglie di De Medici, ed alla sorella di questi, Diamanta. Poiché i quattro anni vennero considerati un tempo ristretto per portare a termine tale impresa, ancora prima della morte di Donna Marietta (1872), si procedette alla scelta dell’area dove fabbricare, avvalendosi della consulenza dell’architetto Antonelli. Allo stesso venne chiesto il progetto per la fabbrica. L’Antonelli era molto conosciuto a Bellinzago in quanto aveva già progettato la chiesa parrocchiale, inaugurata circa 30 anni prima. La sua opera era quindi ritenuta di notevole importanza e il legame che aveva con il paese lo spinse addirittura a fornire il disegno gratuitamente. Tra l’altro, fu tra i primi a progettare un edificio specificatamente destinato a fini educativi per fanciulli in età prescolare che, salvo poche varianti, ancora oggi adempie perfettamente a questo scopo. Tutto l’organismo esprime una spazialità razionale, distribuita in ogni settore in maniera funzionale. In questa fase Antonelli evita i riferimenti stilistici formali, a tutto vantaggio di un’espressione sobria ed originale. Il progetto fu approvato nel 1873 e, dopo qualche difficoltà di tipo economico, si iniziarono i lavori. Tutta la popolazione, memore di quanto fatto in precedenza per la parrocchiale, prestò gratuitamente la propria opera nei giorni di festa; per questo venne concessa l’autorizzazione del vescovo di Novara.I bellinzaghesi concorrevano al trasporto dei materiali e a mano d’opera relativa. L’attività procedette alacremente e il 28 maggio 1876 ci fu la solenne inaugurazione ... Federica Mingozzi, Asilo Infantile De Medici, Itinerari d'arte nel novarese, op.cit.
1879-80 Progetto di concorso del Monumento alla memoria del Re Vittorio Emanuele II, Roma. Nel gennaio 1878 muore a cinquantotto anni, Vittorio Emanuele II, il re che aveva fatto l'unità d'Italia. Dopo il funerale la politica discute di come onorarlo e scaturisce la proposta di un concorso per un grande Monumento a Vittorio Emanuele II. Con la legge 25 luglio 1880 n. 5562 fu bandito il concorso che si concluse nel settembre 1883 con 250 partecipanti. L'idea di realizzare un Pantheon, attorno alla quale si muove l'Antonelli, viene accantonata, di fatto definitivamente il 23 settembre 1880, con la pubblicazione del bando di concorso per un monumento celebrativo, aperto alla partecipazione di tutti e che lascia campo libero sul luogo dove realizzarlo. Vengono presentati 292 progetti, di cui ne vengono scartati oltre l’80% ed il 1 aprile 1882 è premiato l’unico progetto che ha raggiunto la quasi unanimità dei voti, redatto da un giovane allievo dell’Accademia di Francia, HenriPaul Nénot, un secondo premio viene assegnato ex-aequo a due professionisti romani, lo scultore Ettore Ferrari (1845-1929) e l’architetto Pio Piacentini (1846-1928) ed un terzo allo scultore ferrarese Stefano Galletti (1832-1905). Ma le polemiche costringono ad indire un secondo concorso che sarà chiuso, nel luglio 1884, con vincitore il progetto del conte Giuseppe Sacconi, un giovane architetto marchigiano, che localizza il monumento – il Vittoriano – a piazza Venezia. Il cantiere avrà tempi lunghissimi con l’inaugurazione ufficiale del monumento il 4 giugno 1911.
Dai tre disegni conservati presso l'archivio Antonelli in MCT, è verosimile ritenere che l'idea di progetto solo preliminare, fermatasi quando è risultato chiaro fosse non rispondente al bando di concorso, consiste in un grande phanteon, studiato in due versioni in pianta, una più quadrata con abside e pronao, affiancata da due colonne onorarie e l'altra di maggiore dimensione ed articolata in forma di croce greca, a cui si affianca anche uno studio della disposizione strutturale dei pilastri ed una altimetria, metà prospetto e metà sezione. Le dimensioni sono straordinarie, con oltre 220 metri di altezza totale. Chiari i riferimenti alla cupola di san Gaudenzio ed alla Mole.
1879-81 Progetto di protezione della cupola del Santuario di Vicoforte, Mondovì Cuneo. La cupola del Santuario di Vicoforte è la più grande cupola ovata in muratura nel mondo. Antonelli fu chiamato nel 1879 a redigere una relazione per l'inserimento della basilica tra i Monumenti del Regno. In tale occasione propone la realizzazione di una controcupola per proteggere quella esistente affrescata, dalle intemperie. Nel 1881 produrrà un grafico esplicativo della sua idea, che non troverà però attuazione. Nel luglio 1879, invitato dall'Ill .ma e Rev.ma Amministrazione del Santuario dì Maria SS. di Mondovì presso Vico ad esaminare se quell'edificio potesse essere nel numero dei monumentali che interessano l'arte architettonica , mi trovai a Mondovì il giorno 21 luglio scorso, in compagnia del mio figlio Costanzo ingegnere, ospitati dal Rev.m o Canonico Teologo Avvocato Cordero Emilio di Montezemolo suo direttore solerte. ... La murazione della compagine a base ovale, eseguita da Francesco Gallo architetto di Mondovì succeduto al Vitozzi, presentando maggiori difficoltà delle volte a base circolare avuto riguardo alle dimensioni del diametro maggiore di metri 34 e del minore di metri 23 circa, offre un bell'esempio alla necessaria conferma delle teorie costruttorie che formano tanta parte dell'odierno insegnamento. Nel secondo giorno 23 luglio fecimo altra gita al Santuario onde continuare l'esame dello stupendo sacro edificio, il zelante Vescovo di Mondovì volle onorarci di sua presenza, e salire fino al vertice della cupola per mezzo di una delle scalette ricavate nel vuoto degli speroni aggiunti dal Gallo al disegno più classico del Vitozzi. Qui si fecero naturalmente voti, perchè alle diverse falde di tetto provvisorio si surrogasse una copertura stabile che accusasse la forma interna. Questa copertura dovrebbe poggiare sopra altra volta indipendente dalla prima come il Brunelleschi praticò in Santa Maria del Fiore, il Michelangelo nel S. Pietro, il Juvara nella Basilica di Superga ed altri, in altri importanti monumenti per riparare meglio le decorazioni interne, ed elevare il cupolino a trionfare sopra le cuspidi dei campanili. La copertura converrebbe fosse composta di costoloni di granito, e di squame lapidee lamellari incastrate in quelli come vedesi eseguito già da parecchi anni sopra la Basilica Gaudenziana di Novara, che non teme i danni inevitabili dell'ossidazione metallica, i quali obbligano fra un certo lasso di tempo parziale ed anche intiera rinnovazione. ... Torino, 11 ottobre 1879. il Prof . Antonelll Alessandro. In C. Danna e G. C. Chiechio Storia .Artistica Illustrata del Santuario di Mondovi presso Vicoforte 1595 - 1891. Torino Tipografia G. Derossi Via Rossini, N. 12 Bis 1891 L’Antonelli, che era stato sopra luogo, con una sua dotta relazione aveva raccomandato in modo speciale una controcupola di copertura di protezione a quella esistente. In seguito, richiesto, ebbe anzi a compilare un progetto col quale avrebbe impostato la controcupola sul vivo esterno degli speroni collegandoli con apposito colonnato come indica la pianta qui riprodotta in piccolo. La controcupola Antonelliana in muratura avrebbe trasformato la linea superiore del tempio; ma lo avrebbe reso simile a Santa Maria del Fiore ed a San Pietro Vaticano ; vale dire avrebbe trovato nel vano delle due cupole lo svolgimento di un comodo sistema di scale di accesso; e avrebbe assicurata per sempre la conservazione dei dipinti di interno. Il progetto dell’Antonelli non ebbe seguito, il suo consiglio fu accolto solo in parte e la controcupola venne eseguita sì, ma con foglio metallico disteso sopra assicelle e centine in legno che poggiano sulla muratura del Gallo; e il vano permette appena il passaggio a carponi e con molto stento anche, di qualunque operaio. Santuario della Madonna a Vico presso Mondovì’ L'architettura Italiana, Torino anno IV Feb. 1909 n. 5
1882-87 Cimitero di Maggiora. Il figlio di Alessandro, Costanzo (1844-1923), ingegnere e collaboratore del padre, fu incaricato nel 1882. della progettazione del cimitero, per il quale ebbe dal padre preziosi consigli ed aiuto e firmò nel 1887 i disegni definitivi. I lavori terminarono nel 1910, sebbene con modifiche e variazioni.
a Maggiora Antonelli scrive la pagina più bella delle sue invenzioni: il cimitero. E' vero che il progetto è firmato dall'Ing. Costanzo (figlio di Alessandro) e viene realizzato con alcune modifiche tra il 1887 e il 1888,
ma è altrettanto vero che Costanzo, di cui andrebbe ravvivata la memoria, fu un buon cristiano, ombra del padre e dalla genialità paterna oppresso. Lo stampo, l'impronta, l'intuizione del cimitero di Maggiora è dichiaratamente di Alessandro Antonelli. Antonelli chiude il piazzale di accesso all'area cimiteriale con due serie di cappelle gentilizie leggermente interrate e, al di sopra delle cappelle, i due loggiati; spazi aperti di rara armonia destinati alla sosta e alla contemplazione. Giancarlo Giordani Percorsi Antonelliani 14 luglio 1998 http://www.castelloconti.it/archivio/itinerari.htm Il cimitero di Maggiora è dell'ultimissimo periodo di vita (lo aiutò molto Costanzo). Lì sarà sepolto nella prima cappella a destra, circondato dai parenti (ricomposti attorno secondo una poetica cura borghese). Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane, op.cit. 1888 Progetto di Finimento della chiesa parrocchiale di Bellinzago, Novara
Il professore (era chiamato così) ha stavolta un sogno: nobilitare un sito urbano. Benché in centro a Bellinzago una piazza ed una chiesa ci siano già, egli pensa ad un complesso che circondi la parrocchiale con una "casa del clero",parecchie attività religiose e altro ancora ... così organizza un piacevole progetto: davanti mette un elegante emiciclo, e anditi che portano a una simpatica piazzetta interna, con una esedra sul fondo. A legare tutto, una lunga schiera di portici. ... disegna addirittura un campanile, poco armonioso e per niente degno di lui, alto 105 metri.
Diego Boca Alessandro Antonelli, un protagonista dell'architettura Interlinea, Novara 2015
Progetti ed opere non documentate e di datazione incerta Padiglione reale da eseguire sopra la pista delle corse dei cavalli Casa per il signor avv. Martelli, via Lagrange e via Mazzini, 2.Torino Rotonda annessa alla chiesa parrocchiale di Varallo Progetto dell'Ospedale di Ovada Palazzo Grisella, Casale Monferrato Villa Filippar, San Giulio di Orta 1828-31 Piano Regolatore di Genova 1845 Palazzo Gozzani di San Giorgio, Torino 1845 Villa Ronchetti (Vicini), Orta 1848 Progetto di cimitero, Torino 1881-84 Progetto per la sede del Mercato, Novara
Il Borgo di Vanchiglia ed il progetto della chiesa di san Luca Testo tratto dalla: Relazione Storica dell' erezione della Chiesa di S. Giulia in Vanchiglia Fatta ai proprietari di quel Borgo dal Curato della Ss. Annunziata di Torino Per incarico del relativo Comitato e Rendiconto del Tesoriere Torino - Stamperia Reale 1869 Il Borgo di Vanchiglia situato a levante della Città di Torino, cominciò a sorgere nel 1845. Nell'anno precedente parecchi individui avendo fatto acquisto in comune di alcuni terreni, posti tra levante e mezzodì di quella regione, pensarono a trarne maggior profitto con fabbricarvi entro delle case, le quali per la vicinanza al fiume Po, e pel prospetto dilettevole della collina sarebbero state facilmente affittate. Affinché poi non riuscisse col tempo confusa la fabbricazione, essi vennero in pensiero di stabilire norme determinate ed invariabili, cui dovesse attenersi chiunque volesse ivi por mano alla costruzione di case. Onde il Professor d'architettura' Alessandro Antonelli formava già fin d'allora un sistema d'isolati col relativo tracciamento di vie, piazze , ecc. e lo presentava a nome della Società al Consiglio edilizio di questa Città per essere approvato. La predetta Società constava dei signori Antonelli Professore Alessandro del fu Costanzo, predetto, Birago di Vische Marchese Carlo Emmanuele del fu Enrico , Magistrini Giuseppe del fu Gaudenzio, Ardj Ludovico del fu Bartolomeo, Cornaglia Paolo del fu Francesco, Daziani Avv. Ludovico del fu Gio. Battista, Rosso Carlo del fu Francesco, Perino Giuseppe Bartolomeo del fu Giovanni. Intanto mentre si stavano attendendo i provvedimenti municipali sul piano formato dal Prof. Antonelli , essi con istromento in data del 28 aprile 1845 rogato Turvano , addivennero senz'altro alla divisione degli acquistati terreni , e volendo naturalmente che in mezzo al nascente Borgo sorgesse anche una Chiesa in cui i suoi abitanti potessero agevolmente adempiere ai doveri di religione , al n° 5 di quell'atto dichiararono di lasciar in comune ed indiviso fra loro un sito, posto a mezzanotte dell'ideato Borgo, e frapposto ai due lotti marcati nel tipo Antonelli colle lettere U e V toccati nella stessa divisione al sig. Ludovico Ardj, della superficie di tavole 6, piedi 4, oncie 7, punti 4, pari ad are 24. 53 circa, da destinarsi per una Chiesa. L'anno successivo, cioè addì 12 settembre 1846, fu pubblicato il R° Decreto con cui venne approvato il piano regolatore di quel Borgo sì e come risultava dalla planimetria annessa al precitato istromento, fermo l'obbligo ai condividenti (art.2) di mantenere le già date destinazioni ai terreni per le vie, per le piazze , e per la Chiesa. Furono intanto a norma di quel piano fabbricate senza ritardo non poche case specialmente nella parte di levante, mentre dalla parte di ponente ne sussistevano già molte irregolarmente costrutto, ed abitate dalla classe più povera della Città , ed in breve crebbe per modo la popolazione in quel Borgo , che non tardò a manifestarsi il bisogno di erigervi la preconcetta Chiesa ,essendo al tutto insufficiente ed incomoda per la sua distanza e ristrettezza la Chiesa parrocchiale dell'Annunziata in via di Po , da cui il Borgo e I'intiera regione dipendevano. L 'anno 1854 il cholera mieteva non poche vittime in Torino, ed il Borgo di Vanchiglia ne fu naturalmente uno dei più travagliati per un complesso di circostanze che lo rendevano la parte meno salubre della Città. In quei dì il Municipio fu costretto a dare provvedimenti igienici anche in, quella località. Fece aprire alcune vie , sopprimere le fogne, coprire il canalone che attraversava il Borgo allo scoperto e scaricava nei prati attigui le acque immonde della Città, allontanare le acque che irrigavano i prati, chiudere il cimitero degli Israeliti, ed altri provvedimenti che valessero a scongiurare l'azione del morbo. Mentre queste opere si eseguivano per cura del Municipio, il Curato dell'Annunziata credette giunto il tempo opportuno per mettere anche in campo l'opera da lui creduta più necessaria, che è quella della Chiesa, dalla quale doveva dipendere la salute spirituale di
quegli abitanti, immensamente più preziosa che quella del corpo. Comunicò il suo pensiero ai principali del Borgo, e visto che essi non erano alieni da prestargli aiuto e concorso qualora egli stesso ne avesse presa l'iniziativa e si fosse messo a capo dell'opera , non tardò a farlo. Pregò dapprima l'egregio Professore Antonelli a preparare un disegno che fosse modesto ed eseguibile con poca spesa, capace però di ingrandimento per non pregiudicare all'avvenire del Borgo; e quando il diségno si trovò allestito, egli convocò presso di sé i proprietari del Borgo ed alcune altre persone che conosceva favorevoli al suo progetto, e con analogo discorso esponendo loro la necessità di una Chiesa in quel Borgo che conteneva già fin d'allora una popolazione di ottomila anime circa, il vantaggio religioso e morale che ne sarebbe derivato ai suoi abitanti, ed anche materiale, quantunque quest'ultimo non dovesse essere il movente principale del loro operare, la tenuità della spesa che si richiedeva, ed i sussidi che si potevano sperare dal Municipio e da persone anche estranee al Borgo, li animava ad unirsi tutti a lui di cuore a promuovere un ' opera che non poteva certamente fallire perché opera di Dio; quindi presentò loro il disegno eseguito dal prelodato Professore Antonelli, e li invitò ad esaminarlo, ed anche approvarlo se lo credevano di lor gradimento. Piacque a tutti la proposta dell'anzidetto Curato, ed unanimi convennero doversi tentare l'opera e far qualche cosa, ognuno anzi si dichiarò pronto a far sacrifizi per l'attuazione di un' opera di cui già era tanto sentito il bisogno. Piacque pure a tutti il presentato disegno, che dal lato artistico fu giudicato. un capolavoro degno del suo autore, ed ognuno avrebbe desiderato che si fosse potuto eseguire per intiero; ma uditosi come la sua esecuzione non venisse a costar meno di 360 mila lire , si levarono forti dubbi sulla probabilità di raccogliere i mezzi che bastassero all'uopo. Volendosi però tentare ogni via per riuscirvi, fu nominata una Commissione di nove Membri sotto la presidenza del Curato dell'Annunziata, con incarico di cerca re i mezzi necessari per l' erezione della progettata Chiesa , ed a seconda di essi adottare quei temperamenti che sarebbonsi ravvisati opportuni sul disegno presentato dal ·Prof. Àntonelli. Il piano del Prof. Antonelli era un vasto e grandioso edificio di stile moderno, a tre navi, compartito in otto intercolunnii oltre il coro e la sacrestia. La sua lunghezza dalla porta d'ingresso all'abside del coro era di metri 60, e la larghezza dall'uno all'altro lato perimetrale di metri 30; l'altezza interna della nave maggiore metri 27 circa, quella delle navi laterali metri 16, 80. Dietro la curva del coro eranvi due sacrestie trammezzate da un bel campanile di straordinaria altezza. L'edificio dovea coprire tutta l'area riservata per la Chiesa dai costruttori del Borgo, epperciò l'area sua interna, compreso il suolo occupato dalle colonne e dai muri interni, sarebbe stata di m. q. 1674 , capace perciò di contenere tre mila e più persone. L'alloggio del Parroco veniva collocato sopra le due grandi sacrestie (vedi fìg. 1 ). Il Comitato non tardò ad intraprendere i suoi lavori. 'Non valeva il dire che il Comitato non avrebbe intrapresi i lavori della costruzione se prima non era certo della sua riuscita, e che in proporzione delle somme raccolte in soscrizioni si sarebbero presi i dovuti temperamenti in ordine al disegno del Prof. Antonelli; irnperocchè ben molti ripigliavano doversi prima modificare il disegno, formare i calcoli, e stabilir la somma precisa cui sarebbe per montare l'intiera spesa; chè allora solamente, vista la tenuità della spesa,. e la probabilità della riuscita, ognuno avrebbe sottoscritto in proporzione delle sue forze.
A questo punto fu necessità pel Comitato abbandonare le ricerche delle -sottoscrizioni per occuparsi anzitutto del piano della Chiesa. Invitò primieramente il Prof. Antonelli a ridurre il disegno nelle sue proporzioni, osservandogli che un'area anche metà di quella ch 'egli si era proposto poteva bastare per il Borgo di Vanchiglia, poichè nessuno si sarebbe aspettato che in Vanchiglia, Borgo abitato in maggior parte da operai, si dovesse costruire una Chiesa che nella sua vastità ed ampiezza superasse quelle di S. Giovanni, di S. Filippo, di S. Massimo ecc., tanto più che le critiche condizioni dei tempi non lasciavano sperare di poter spendere più di cento mila lire. Ma l'Architetto non credè di potervi annuire, asseverando che il suo disegno in forma basilicale non era suscettibile di riduzione; però per non sembrar irremovibile affatto nelle sue idee, acconsentiva a sopprimere un intercolunnio per lasciar un piccoI tratto di terreno dietro alla Chiesa da servire ad uso di cortile pel Parroco, co anche li sotterranei, ciò che avrebbe cagionato un non lieve risparmio di spese: Ma tal riduzione non bastava ai Membri del Comitato i quali ritenevano che non,si sarebbe potuto fare assegnamento ad una somma maggiore di L . 100 mila , quindi interrogavano il Prof. Antonelli se non vi sarebbe modo di conciliare l'esecuzione .del suo disegno colle ristrette condizioni 'del Borgo. Allora egli spaccò per metà il suo disegno, e propose di costruire solamente una parte, cioè tre intercolunnii, oltre la curva, rimandando l'altra parte a tempj migliori. Lavorò adunque un secondo disegno in questo senso, soppresse i sotterranei, lasciò da parte la facciata , il campanile ed altre opere che non erano di necessità assoluta e potevansi eseguire in altri tempi , e poscia instituendo i calcoli, conchiudeva che colla spesa di 100 mila Iire si poteva costruire quella parte di Chiesa, che era sufficiente pei bisogni attuali del Borgo. Nè egli credeva che tal forma di Chièsa avrebbe fatta cattiva prova nella sua parte estetica , perchè in un disegno a "tre navate scomparisce affatto la mancanza di proporzione tra la lunghezza e la larghezza, e ciò tanto più perché sì nella parte in terna , che nella parte esterna apparivano segni da cui ognuno avrebbe potuto argomentare quella non essere che una parte di un vasto religioso edifizio di cui bisognava attendere il compimento per dame un fondato giudizio. Tal forma di Chiesa non gradiva però intieramente ai Membri del Comitato , ... Tuttavia poiché quel disegno non dispiaceva ad alcuni del Comitato , e questo per altra parte,doveva avere non. pochi riguardi all'Architetto Antonelli che già tanto erasi adoprato a pro di quel Borgo, e per soprappiù aveva lavorato quel suo disegno gratis, disposto anche a prestare gratuitamente l'opera sua per la direzione dei lavori, il Comitato non durò più difficoltà ad accettarlo, non senza qualche dubbio però se la somma di L.100 mila da lui calcolata potesse bastare all'uopo. Ciò' fu fatto néll' adunanza tenuta il 6 ottobre 1856.
In seguito a tale deliberazione il Presidente del Comitato trasmise tosto al Sindaco di Torino il doppio disegno della Chiesa, cioè tanto il primitivo, quanto il secondo, per essere sottoposti all'approvazione del Consiglio edilizio a norma dei regolamenti municipali; e non fu che dopo quattro mesi ch'egli potè ottenerne il ritorno colla debita approvazione; alla quale però questo Consiglio d'arte univa un forte dubbio se l'edifìzio fosse abbastanza solido , atteso il troppo tenue spessore dei muri ; e quindi proponeva che per maggior sicurezza alla volta si sostituisse un plafone colla debita armatura in legname od in ferro. Ciò però non sgomentava il Prof Antonelli, il quale dichiarava d'aver già costrutti ben aItri edifizi simili a questo, e con dimensioni anche più ampie', senza dare ai muri un maggior spessore; bastò però ad intimorire i Membri del Comi tato, i quali giudicarono che troppo grave risponsabilità avrebbe pesato sovra di essi se prima d'intraprendere i lavori non si fossero ben bene cerziorati della sufficiente solidità dell'edifizio. ... il Consiglio permanente (del Ministero Lavori Pubblici ndr) cui per mezzo dell'Intendente generale furono trasmessi i predetti piani, nella sua adunanza del 31 ottobre 1857 facendo prima i ben dovuti encomii al Prof. Antonelli che con quella sua distinta produzione avea dato novella prova di esser sommo maestro nell'arte che professa(1), mentre nel presentato progetto aveva accoppiata a purezza di stile tale armonia di parti, che mandato ad eseguimento non solo avrebbe onorato il. Suo autore , ma accresciuto .altresì lustro a questa Metropoli, dotandola di un elegante monumento, dichiarava però essere d'avviso non doversi adottare tal disegno perché la vastità del concetto ad opera compiuta ecceduto avrebbe i bisogni del Borgo, né forse era proporzjonata ai mezzi di cui si poteva disporre ... (1) Questa lode attribuita al Prof. Antonelli è ben meritata. Tutti convengono essere I'Antonelli uno dei primi architetti d'Italia per la sublimità dei suoi concetti , e per la sua arditezza nell'eseguirli. Sono opere sue in Torino il Palazzo del Demanio in via Bogino , costrutto nel 1842 per essere Collegio delle Provincie, e la Sinagoga degli Israeliti che si sta ora costruendo in via Montebello, la quale considerata nel suo lato artistico non manca di essere un vero monumento. Nel Novarese ha la grandiosa Chiesa di Oleggio, la Cupola di s. Gaudenzio in Novara , ed il Duomo che fu ricostruito quasi per intiero, unitamente alla piazza che gli sta di fronte. Nel Canavese ha la Chiesa di Cnstellamonte, che, al giudizio delle persone tecniche , sarebbe anche un monumento artistico qualora venisse ultimata. Queste, opere bastano a qualificare l'Antonelli maestro nell'arte che professa. Tutto si fermò per anni fino a quando la Marchesa Giulia Falletti si propose per costruire a sua cura e spese la chiesa, che volle fosse dedicata a san Giulia ( e non a San Luca, come in origine) ed incaricò del progetto e della direzione dei lavori il giovane ingegnere Giovanni Battista Ferrante. Ottenute velocemente le autorizzazioni e con l'assenso dei proprietari del borgo, di cui Antonelli non faceva più parte, ebbero inizio i lavori nell'agosto 1862 e la chiesa fu inaugurata il 23 giugno 1866.
Opere di una vita 11882222--8888 S Saannttuuaarriioo d deell S Saannttiissssiim moo C Crroocciiffiissssoo,, B Booccaa 11884400--8888 LLaa ccuup poollaa d deellllaa B Baassiilliiccaa d dii S Saann G Gaauud deennzziioo,, N Noovvaarraa 11886633--8899 D Daall T Teem mp piioo IIssrraaeelliittiiccoo aallllaa M Moollee A Annttoonneelllliiaannaa,, T Toorriinnoo
1822-88 Santuario del Santissimo Crocifisso, Boca In una delle convalli prealpine, a poca distanza dall'abitato di Boca, vicino a Maggiora, un crocifisso, affrescato alla meglio, posto sopra un rozzo piloncino, era presente fino dalla metà del secolo XVII. Un viandante, liberato in quei pressi da una imboscata di briganti, attribuì la sua salvezza all’invocazione fatta al SS. Crocefisso, e fece la prima cospicua donazione cui il Santuario deve la sua origine. Subito venne costruita una piccola cappella che conteneva il piloncino con il crocifisso, che poi fu ingrandita a diventare una chiesa parrocchiale di villaggio, che occupa tutt’ora una parte del presbiterio del tempio attuale. Per ospitare i numerosi devoti, intorno al 1820 era stato incaricato l’architetto novarese, Giovanni Agnelli di progettare una serie di porticati per accoglierli. Il parroco di Boca, reggente del santuario del Santissimo Crocifisso, venuto a conoscenza dei lavori fatti dal giovane Antonelli, in quel di Maggiora, decise di chiamarlo per il progetto di ampliamento del santuario. Antonelli prese in carico i lavori iniziati dall'Agnelli e pensò ad un grande progetto che elaborò in più versioni, mentre era a Roma. I lavori procedettero lentamente a causa del clima freddo e della difficoltà di reperire i materiali. La costruzione dei portici e dell’ingresso si protrasse fino al 1831. La nuova chiesa in stile neoclassico era prevista a tre navate soffittate con volte a botte, sotto una copertura a capanna lunga 45 metri e larga 24, con dodici colonne ad ogni lato a sostegno delle navate laterali, e sopra quella centrale una piccola chiesa con ai lati camerette per il clero. Per l'ingresso al tempio, un grande pronao lungo oltre 40 metri e largo 16 con dodici colonne rivestite di granito di Baveno, con accesso da una scalinata su una grande piazza. Dai fianchi della Basilica doveva staccarsi un giro di portici da concludere, dopo aver percorso un ampio cerchio, con una porta trionfale d’ingresso alla grande piazza. Il tutto costruito con mattoni cotti sul posto. Tra il 1830-31 Antonelli apportava le prime modifiche: il pronao diventava di otto colonne, il campanile si alzava fino a 119 metri ed il piazzale si arricchiva di una vasca centrale con colonne e di una scalea a semicerchio come delimitazione. Intanto i lavori erano iniziati e nel 1831 era stato costruito il porticato semicircolare con la porta trionfale e realizzate le fondamenta, occupando anche il vecchio alveo del torrente Strona. Polemiche con la popolazione ed il Comune e la mancanza di fondi fermarono tutto fino al 1845 quando il nuovo direttore del santuario seppe riguadagnare la fiducia del fedeli. Vennero innalzate le mura perimetrali e le colonne fino ai capitelli, impiegando fino al 1848, per poi coprire le navate laterali (1850) ed a seguire le colonnate interne e le rifiniture (1858). Solo dopo il 1860 i lavori ebbero un’accelerazione e l’Antonelli ripensò completamente al santuario ideato in gioventù. Non potendo più intervenire sulla pianta, lavorò sull’alzato, accentuando la verticalità e andando anche ad incrementare la capienza della basilica, realizzando sulle colonne una galleria che si affaccia sulla chiesa, per contenere molti pellegrini che potevano assistere alle funzioni. Un secondo ordine di pilastri porta poi il cornicione ad oltre 25 metri, su cui, tra il 1871 ed il 1877, venne impostata la spettacolare volta a botte, nei cui fianchi ricavò le celle per ospitare i pellegrini ed un altro ordine al di sopra. Non soddisfatto degli oltre 37 metri raggiunti, convinse l’amministrazione del santuario a realizzare al di sopra un oratorio dove conservare gli ex-voto e così il colmo del grande tetto a capanna, che copre l’edificio raggiungeva la quota di 51,32 metri. La grandiosità del complesso era poi esaltata, nel progetto, da un sottile campanile cilindrico alto ben 119 metri. Nel 1888, alla morte dell'Antonelli, è il figlio Costanzo, da molti anni nello studio del padre, ad assumere la direzione dei lavori, completando il portico, la copertura con volte a padiglione ed arconi in muratura che reggono le capriate in legno del tetto soprastante e costruì completamente la canonica appoggiata al lato di ponente dalla parte posteriore della basilica. Nel 1895 le parti essenziali erano terminata e si tennero i festeggiamenti della buona riuscita dell’opera attraverso l’erezione di un busto a memoria del grande architetto, si posa un busto, ad opera di Giulio Milanoli scultore, nipote dell'Antonelli. Le lavorazioni continuarono, arrivando al 1907 con l'esecuzione delle ultime rifiniture, quando a seguito di un " nubifragio con straordinarie, violenti folate di vento e scariche elettriche con lampi e tuoni" nella notte tra il 15 e 16 agosto, comparvero "lesioni inquietanti nel fusto della quarta colonna a destra entrando e della settima a sinistra della navata centrale". Subito Costanzo dette inizio a lavori di cerchiatura delle due colonne ed a consolidare le parti che vi gravavano, ma il 30 agosto alle tre del pomeriggio crollarono nove delle dodici campate della navata e con esse, tutte le strutture soprastanti.Non vi furono vittime perché gli operai fecero in tempo a porsi in salvo. L’Amministrazione, subito dopo il disastro, dette incarico ad una Commissione tecnica, presieduta dal conte Carlo Ceppi, e di cui facevano parte il prof. Camillo Guidi del Politecnico di Torino, il prof. Modesto Panetti della scuola navale di Genova e gli architetti torinesi Stefano Molli e Crescentino Caselli, di esaminare lo stato delle cose, indagare la causa del disastro e di proporre il da farsi. Le cause del disastro furono attribuite a vari fattori straordinari concomitanti: il fulmine che aveva colpito una catena della volta, le colonne che erano state eseguite da circa cinquant'anni ed esposte alle intemperie. La Commissione con un parere unanime sostenuto da ragioni di statica, di economia e di estetica fu del parere "che il tempio debba essere riattato e propose all’Amministrazione che la compilazione del progetto e la direzione dei nuovi lavori sia affidata al valente architetto figlio, depositario di tutti i disegni e le memorie lasciate dall’architetto-padre." I lavori ripresero, ma il clima non era più quello di prima e Costanzo, disgustato e umiliato per le discussioni sorte intorno al cantiere, il 18 aprile 1915, rassegna le sue dimissioni. Nel successivo ripristino del Santuario, che si concluse nel maggio 1918, il progetto originale dell’Antonelli. venne molto alterato .
Riferimenti bibliografici Roberto Gabetti Problematica Antonelliana Atti e Rassegna Tecnica della SocietĂ Ingegneri e Architetti in Torino N. 6 Giugno 1962
Crescentino Caselli. Santuario di Boca-Novarese (Arch. Alessandro Antonelli) L'Architettura Italiana Torino settembre 1909 anno IV n. 12 SocietĂ Italiana di Edizioni artistiche C. Crudo & C. Torino
Corrado Gavinelli Il Santuario del crocefisso e l'opera Antonelliana a Boca Tipografia del Forno, Maggiora (NO) 1988
Il progetto iniziale di Antonelli da C. Caselli. Santuario di Boca-Novarese. Op. cit.
Il progetto finale di Antonelli
... progetto che con tutte le successive ampliazioni è espresso nella figura ... tratta dalla assonometria eseguita dal giovane architetto Ercole Manfredi con la scorta di disegni originali di Alessandro Antonelli datigli in comunicazione dal figlio Costanzo. da C. Caselli. Santuario di Boca-Novarese. Op. cit.
Vicino al Santuario si trova la casa dei venti, costruita secondo qualcuno dall'Antonelli, per una sorella piĂš giovane rimasta vedova di un ingegnere minerario di Stoccarda, ed in cui soggiornava durante i sopralluoghi ai lavori del Santuario. Il nome Casa dei Venti venne dato probabilmente per gli strani ululati causati dal vento che attraversava la torre dalla curiosa forma.
1840-88 La cupola della Basilica di San Gaudenzio, Novara Storia della costruzione Dopo la peste del 1576, Novara, miracolosamente non colpita, decise la costruzione della Basilica nel punto più elevato della città, dedicata a San Gaudenzio, primo vescovo della città.. Su progetto di Pellegrino Tibaldi, la costruzione ebbe inizio nel maggio 1577 ed ebbe termine con la consacrazione il 13 dicembre 1590. La chiesa si presenta con pianta a croce latina a un'unica navata, affiancata da sei cappelle laterali collegate tra loro, con un ampio transetto e un profondo presbiterio. Il campanile, alto 92 metri opera di Benedetto Alfieri, zio del famoso drammaturgo, fu costruito tra il 1753 e il 1786 ed è il secondo più alto del Piemonte dopo quello del Duomo di Alessandria. L'idea di un coronamento monumentale alla Basilica era nell'aria praticamente da sempre, ma sarà solo dopo il 1825, quando il re Carlo Felice di Savoia concesse alla Fabbrica Lapidea, il diritto di usufruire dei proventi derivati dall'imposta del sesino, che vi saranno i fondi per poter metter mano al progetto. In quell'anno e nell'arco di qualche anno riuscirono così a reperire i fondi per poter dare inizio ai lavori. Nel 1840 i fabbricieri prendono contatti con l’Antonelli, architetto/ingegnere oramai affermato, e novarese, e nella seduta del 21 maggio 1840, il Consiglio di Amministrazione della Fabbrica Lapidea di S. Gaudenzio, unanimemente deliberava: "Considerando che all'abbellimento e perfezione del tempio patronale l'opera più lodevole, la cupola vi manca e che il suo disegno non fu lasciato dal Pellegrini o sfortunatamente si è perduto, e volendo approfittare della scienza ed abilità del valente architetto novarese Alessandro Antonelli, sono (i congregati fabbricieri) venuti in determinazione di commettere al medesimo di formare e presentare il disegno della cupola .... . colla speranza di vederlo effettuato sotto la sua direzione, o se non altro di lasciare ai posteri un eccitamento a farlo proseguire e rendere così compiuta una tanto magnifica e sontuosa basilica che sarà sempre il più bell'ornamento della città... ". L'Antonelli accetta l'importante incarico promettendo '' di nulla risparmiare onde l'opera riuscisse meno imperfetta e corrispondesse il meglio che per lui si potrebbe alla generale architettura". In meno di un anno presenta il progetto, che comprende anche il rifacimento del tetto e della facciata, per metterla in pieno accordo di stile con la cupola. Questo primo progetto (perché ve ne saranno molti altri), consisteva nell'imposizione di una rotonda a colonne esterne ed interne d'ordine corinzio, sormontata da una cupola a sesto rialzato, analoga a quella del Pantheon di Parigi, con la cupola esterna a costoloni di granito e muratura, con sopra una modesta lanterna e nell'interno, due calotte una cassettonata e l'altra dipinta. Il progetto piacque, anche al popolo, e fu accettato immediatamente. La Fabbrica Lapidea , non ne prevedeva però l'immediata realizzazione, ma il progetto gli serviva per dare un inizio all'annoso problema. Nel mentre che l'Antonelli seguiva i lavori del portone principale della basilica, che lasciò tutti soddisfatti per l'eleganza e l'ingegnosità dei meccanismi, il progetto iniziale, esposto in Municipio nell'autunno del 1841, ebbe molto successo, contribuendo alla crescita delle offerte, tanto che nel settembre 1844 erano stati raccolti fondi sufficienti a dare inizio ai lavori, che avvennero con l'amministrazione delle spese e
delle provviste da parte della Fabbrica Lapidea, con appalti parziali di opere in economia e di fornitura di materiali. L'Antonelli non aveva presentato un vero progetto esecutivo, ma solo un disegno di massima, per cui il suo rapporto con la Fabbrica era basato sulla parola e sulla buona fede, inoltre essendo impegnato nella lontana Torino, non poteva garantire la sua presenza costante in cantiere, e pertanto, su suo consiglio, venne assunto come direttore del cantiere il geniale Giuseppe Magistrini (vedi scheda biografica), che fece subito un modello in legno in scala 1/20, comprendente tanto per la parte vecchia, che la nuova ideata dall'architetto, con lo scopo di meglio studiare gli arconi di imposta, con indicate le posizioni delle chiavi in ferro che imbrigliano la costruzione arcata. Il cantiere con lui il cantiere si pienò di trovate ingegnose: portavoce, carrelli mobili, ponti provvisori per fare la cupola quasi senza centine, tiri, argani, grande compasso, ecc. Fin dal principio però l'Antonelli, accertata la debolezza dei vecchi archi, allestì la poderosa struttura dei doppi arconi, capace di sostenere molto di più della cupola del suo progetto. Alla fine del 1845 vennero ultimati gli arconi e dato inizio al tamburo, con l'acquisto di 24 pezzi di granito lunghi m. 6, 15 che dovevano costituire il nucleo delle colonne interne e delle catene in ferro della migliore qualità, per quasi 5.000 kg dalle ferriere del signor Mongenet a Pont-Saint-Martin. I fondi, che dovevano bastare per giungere fino alla prima cupola interna, furono consumati solo per la struttura portante. I lavori furono sospesi e prima che il Comune potesse organizzarsi per il reperimento di quelli necessari al proseguimento dei lavori,intervennero i fatti del '48 a bloccare tutto, poi la morte di 2 Filiberto Tornielli. Di fatto rimasero sospesi i lavori della cupola, ma continuarono quelli del tetto della chiesa sulle navate del transetto e del presbiterio, al fine di utilizzarne il sottotetto ad uso di archivio della Basilica, e nel 1856 quindi restava sommerso, per considerevole altezza, il tamburo della cupola sotto il nuovo tetto. Nel 1856 fu chiesto all'Antonelli di presentare un progetto aggiornato, cosa che fece rapidamente, con il quale allargava le finestre già previste e ne aggiungeva un ulteriore giro alla base portando l'altezza totale dal suolo da 65 a 75 metri. I lavori iniziarono nel 1858, dopo aver richiamato il Magistrini, che provvide subito a ricostruire i ponteggi e riattivare il cantiere. Antonelli, però, invece di impostare subito la base della prima cupola interna a cassettoni, gli fece alzare un ulteriore giro di pilastri in mattoni, alti più di cinque metri. La guerra del '59 rinviò l'evidenza di questa modifica. Nell'ottobre l'architetto, pressato dalla Fabbrica che gli chiedeva i disegni esecutivi, li preannunciò mettendo le mani avanti: " ... l'opera che si sta eseguendo con inevitabili variazioni dipendenti affatto dalla convenienza delle visuali prospettiche, le quali si appalesano chiaramente mentre l'opera sorge mano a mano ..." (NdR Fonte Daverio 1940). Nel marzo 1860 Antonelli uscì allo scoperto consegnando al presidente ing. Ricca il progetto che, salvo leggerissime varianti, sarà poi quello eseguito, non senza difficoltà. A questo progetto, l'Antonelli giunse ragionando sulle critiche da parte di molti che gli obiettavano che la cupola, mentre si poteva accettare sopra una pianta quadrata, circolare, a croce greca, si doveva rifiutare sulla chiesa a croce latina, per la ragione che la nascondeva alle visuali di prospetto. Per togliere di mezzo questo pretesto, l'Antonelli sviluppò, sopra al primo ordine corinzio, una ripetizione di ordini con proporzioni ridotte, un secondo stilobate di pilastri, un secondo ordine di colonne su cui pose l'attico, la cupola, il cupolino. Il tutto da realizzare con uno straordinario schema strutturale:una serie di tazze traforate sostenute da una costruzione conica di pilastri inclinati a reggere la nuova ingente mole del cupolino. Il consiglio della Fabbrica per non affrontare maggiori costi, bocciò il progetto, con sedici voti contro quattro, chiedendo all'Antonelli di rivederlo; cosa che fece, semplificandolo in diversi punti e ripresentandolo nel dicembre 1860,ma i contrari la vinsero nuovamente. Nel marzo 1861 presenta un ulteriore progetto modificato, ed anche questo viene respinto. Per uscire da questa situazione, il consiglio incaricò gli ingegneri cav. Rocco Colli ed Antonio Busser, dell'esame del progetto, sia sotto l'aspetto della stabilità che dei costi. Il risultato dei due periti, datato 10 giugno 1861, fu favorevole all'operato ed all'opera dell'Antonelli. Interessante è l'esame, da questi fatto, sul pericolo allo schiacciamento nelle sezioni ritenute più pericolose. Secondo i loro calcoli il peso totale dell'edificio sui pilastri, sarebbe stato per il progetto a doppio peristilio, di kg. 9,064,372, con una pressione di circa 10 kg per cmq. Dato che materiali simili a quelli dei pilastri di San Gaudenzio provati all'arsenale di Torino, sopportarono, prima di dar segno di lesioni o rotture, da kg. 147 a kg. 83 per cmq. Ritennero di conseguenza che si lavorava con un coefficiente di sicurezza di 1/12 sufficiente a rassicurare chiunque. Ma i problemi non erano finiti. Dopo l'approvazione, il presidente Ricca aveva chiesto ad Antonelli di aiutarlo a sostenere una posizione difficile, rinunciando non solo al cupolino a doppio ordine ma anche ad alcune altre cose per recuperare qualcosa dei numerosi costi non presenti nella perizia. Antonelli, si disse disponibile, cosa che però non avvenne nei fatti. In questo clima "nervoso" Magistrini, con grande senso di 2
NdR. Gli anni 1847 e 1848 furono segnati della cosiddetta «rivoluzione dall’alto» e da manifestazioni che avrebbero portato allo Statuto Albertino. Il Tornielli era il presidente della fabbrica.
responsabilità, rimase al suo posto fino al giugno del 1863, quando, terminata la cupola vera e propria e raggiunti gli 85 metri di altezza, si dimise allegando motivi di salute. Pochi giorni prima si dimisero anche i membri della Fabbrica, " ...ritenuto che non fu loro possibile d'indurre l'Architetto Cav. Antonelli ad attenersi (...) al progetto approvato dal Consiglio Comunale." In questa confusione, per tranquillare gli animi, il Consiglio Comunale di Novara, deliberava il 30 maggio 1863 di far esaminare da un'altra commissione di tecnici, i progetti e l'operato dell'Antonelli per decidere, se le modificazioni da lui proposte circa il cupolino potessero mettere in pericolo la stabilità dell'opera. La Commissione scelta dalla Fabbrica Lapidea il 22 giugno 1862 e composta del generale Cavalli, dall'ing. Rocco Colli e dell' ing. Cesare Valerio, arriverà a conclusioni favorevoli ai lavori previsti. I lavori rimasero fermi per un decennio. I castelli di legname del Magistrini cominciarono a marcire e nel 1868 furono demoliti. All'inizio degli anni settanta si presentarono le disponibilità finanziarie, ed in Consiglio comunale si formò una maggioranza disposta a far completare all'Antonelli la sua opera. I lavori ripresero con le opere di finitura e venne decorata a stucco la cupola interna inferiore e costruita una scala d'accesso fino alla sommità. In occasione della festa del patrono, il 22 gennaio 1872 vennero tolti i ponteggi interni e solennemente aperta agli sguardi del pubblico l'interno della cupola, e fu un trionfo. Si arrivava così quasi al 1876 senza che fosse decisa l'ultimazione dell'opera, con la costruzione del cupolino. Antonelli si fece avanti per sollecitare la ripresa dei lavori, scrivendo una lettera, il giorno di Natale del 1875: " Faccio sempre voto che fìnché posso spendere qualche anno di vita ancora il Municipio voglia ordinare il sospirato cupolino in armonia all'innalzata mole." Non passò molto che il Consiglio comunale novarese deliberava (24 maggio 1876) l'erezione del cupolino secondo il progetto di Antonelli con due ordini di colonne coi relativi basamenti. Rimaneva da decidere della statua da mettere sulla punta e da trovare i relativi fondi. La realizzazione della statua, che rappresenta il Salvatore, fu possibile grazie a una sottoscrizione pubblica aperta dal giornale La Verità, nel marzo 1877. Disegnata da Giosuè Argenti, professore all'Accademia di Belle Arti di Milano, venne commissionata allo scultore milanese Pietro Zucchi, esperto esecutore di statue colossali. Fusa in rame dorato, misura 4,75 metri di altezza. Fu collocata sulla vetta della Cupola il 16 maggio 1878, alla presenza 3 dell'architetto Antonelli. L'altezza dell'opera, misurata dal pavimento della chiesa al sommo della statua m. 122; contando anche la statua l'altezza totale dell'edificio raggiunge 126 metri. Dopo meno di due anni dai festeggiamenti per la fine dei lavori di costruzione della straordinaria cupola, il 10 Gennaio 1882, il Presidente della Fabbrica Lapidea scrisse all’architetto che “nella facciata del pilastrone della basilica di San Gaudenzio ultimamente sottomurato” si erano “verificate delle screpolature, le quali sebbene non presentino per ora alcun pericolo, pure possono generare qualche timore nella popolazione, ed è quindi indispensabile che le medesime vengano fatte scomparire prima dell’imminente festa patronale.” Antonelli aveva infatti, già dal 1880, intrapreso opere di sottofondazione del pilastrone destro del presbiterio, ritenendo i materiali impiegati scadenti ed a seguito di questa lettera si impegnò urgentemente ad estendere i lavori di consolidamento del pilastro, preoccupato della stabilità della cupola, che vi trovava uno degli appoggi. Accertato che il cedimento non aveva creato danni alla cupola, nel Febbraio del 1882, presentò una perizia che prevedeva di puntellare il pilastro con armature di legno, per poi procedere alla pressoché totale ricostruzione, compreso i muri connessi. Intanto da parte della Fabbrica Lapidea, fu nominata immediatamente una commissione, composta dal prof. ing. Giovanni Curioni dell'Università di Torino, dal prof. ing. Arch. Archimede Sacchi dell’Università di Milano, e da Cesare Prato Previde, colonnello del Genio Militare di Torino, allo scopo di valutare l’effettiva stabilità del monumento, e verificare le opere intraprese dall'Antonelli e suggerire eventuali diverse modalità di intervento. La Commissione presentò i propri risultati il 27 Dicembre 1882, e valutando l’entità dei danni riscontrati, stabiliva che la maggior parte di essi erano da ricondursi alla difettosa originaria costruzione dei quattro maggiori pilastroni, ed in particolare al cedimento su cui Antonelli stava intervenendo, ma anche alla grande cedevolezza e scioltezza del terreno. La relazione indicava inoltre i possibili rimedi da mettere in opera, primo fra tutti il rifacimento pressoché integrale degli altri tre piloni che ancora non erano stati consolidati. Fin qui tra i commissari vi era convergenza di idee, poi ognuno di loro propose soluzioni diverse ed anche contrastanti: Prato Previde propose la demolizione di quasi metà della cupola, Curioni l’allargamento della base fondale, mentre Sacchi un'opera di sottomurazione. L’Antonelli presentò una contro relazione in cui insisteva per la prosecuzione del proprio sistema di consolidamento delle fondazioni in corso di avanzata esecuzione, ed ebbe ragione portando a termine le opere di rifacimento e sottomurazione, con interventi massicci spinti fino a 5 metri sotto il piano della basilica. Il giorno di S.Gaudenzio, 22 gennaio del 1888, la basilica fu riaperta al pubblico con grandiosi festeggiamenti, il 18 ottobre dello stesso anno l’Antonelli moriva nella sua casa di Torino. 3
La statua del Salvatore rimase in vetta alla Cupola per oltre 50 anni. Nel 1930 il degrado della copertura consigliò di portarla giù e farla restaurare, quindi nel 1932 fu ricollocata alla sommità della cupola.
Da allora l'enorme straordinaria cupola, così esile, ha sempre destato stupore ed insicurezza, rinnovati dopo il crollo del Santuario di Boca (29 Agosto1907). Nel 1937, alcune lesioni crearono un grande allarme, con la chiusura della basilica, a cui fecero seguito 4 opere di consolidamento da parte dell'ing. Arturo Danusso , contestate dall'ing. Arialdo Daverio, come inutili se non dannose, probabilmente con ragione, perché la cupola oggi è ancora li, svettante su Novara.
Le strutture della cupola Nel San Gaudenzio la cupola vera e propria non regge il carico totale della lanterna o cupolino, che è sorretto principalmente dal castello conico di pilastri. Questo sistema appare già nel Battistero di Pisa, e successivamente nella cupola del Wren sul San Paolo a Londra, costruita verso il 1675. La cupola esterna del San Paolo è in legno, non la parte quindi della struttura essenziale e serve soltanto come un tetto. La cupola conica, alleggerita da fori, porta la lanterna, una cupola interna inferiore è aperta in alto. Il diametro della cupola è di m. 31, l'altezza totale m 111. Altre cupole che ci interessano per intendere la cupola di San Gaudenzio sono quelle francesi. La cupola degli Invalidi a Parigi è costituita da una doppia cupola in muratura. L'interiore è aperta, la superiore è cieca. Una terza cupola esterna in legno serve da tetto. Fu costruita dall'architetto Mansard (1646-1708). (interessa anche la cupola di San Lorenzo a Torino, del Guarini, 1686). La cupola di Santa Genoveffa (Pantheon di Parigi), costruita nella seconda metà del settecento dal Soufflot, è la più vicina alla cupola di San Gaudenzio. Comprende tre cupola sovrapposte: l'interiore, decorata a cassettoni quadri, la seconda, dipinta; la terza, che porta la lanterna. É alta m 83. Tutti questi principi sono riassunti ed esaltati nella cupola di San Gaudenzio. La cupola di Torino, a pianta quadrata, è un tipo del tutto nuovo che non ha riscontri in tutto il mondo. Arialdo Daverio La cupola di San Gaudenzio. L'opera del massimo architetto italiano nel secolo XIX. Alessandro Antonelli, Centro Studi Antonelliani, Tipografia Cattaneo, Novara 1940 Sui quattro piloni, all’incrocio delle navi della esistente basilica, Antonelli subito inizia la sua mirabile acrobazia: i quattro nuovi arconi indipendenti da quelli del sistema primitivo del Pellegrino, sono archi non solo in prospetto ma anche in pianta, intesi a contrastare perfetti, e con loro resi omogenei, la spinta dei pennacchi sollecitati dal tamburo e infine a ben disporsi all’imposta sull’obbligata struttura preesistente. Altri quattro arconi sovrastano i primi a determinare una seconda corona circolare e sui tre giri concentrici di colonne poggianti in definitiva sul cervello degli otto archi comincia un complesso e audace ragionare in lucida febbre tra archi e spinte, carichi e fulcri. E ventiquattro di questi ultimi sorgeranno d’urgenza in pilastri a costituire il gigantesco castello conico traforato a giorno in archi dritti e rovesci e racchiudente quattro cupole forate (troppo poco, in verità) a far da sfondi successivi al grande occhio circolare della prima maggiore impostata sui pilastri interni del secondo ... .I ventiquattro pilastri ridotti a otto al vertice del gran cono si legano in quel mirabile giunto, quasi struttura anche lui di una flora sconosciuta, a reggere il cupolino che a sua volta riproduce in scala minore il meccanismo planimetrico della cupola. Una canna cilindrica, pure traforata, svetta dal vertice del cono percorsa in vite esterna dalle pedate a ventaglio e a sbalzo della scala a chiocciola finale, circondata in delicatezza e lasciata visibile dal fragile doppio giro dei fulcri finali intenti a portare trepidi l’ultimo ballatoio circolare e sull’estrema guglia, finalmente, la statua del Redentore librata nella sfera di granito rosa a 122 metri verticali sulla pianura di Novara. Carlo Mollino Incanto e volontà di Antonelli Torino Rassegna mensile della città Anno XXI maggio 1941 XIX numero 5
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Vedi: Arturo Danusso e l'onere delle prove Fausto Giovannardi 2009 - Il restauro (con polemiche) della cupola della Basilica di San Gaudenzio a Novara
La base della cupola: gli arconi e gli anelli Antonelli, per costruire la cupola su una base quadrata, progetta un sistema di archi e pennacchi appoggiato ai quattro pilastroni verticali della Basilica, che sostengono gli anelli (corone circolari) su cui imposta la cupola. Il complesso sistema è costituito da quattro arconi inferiori e da quattro arconi superiori sghembi, tutti legati con un complesso e articolato sistema di catene in ferro, per assorbire le spinte orizzontali sugli archi parabolici inclinati, con una disposizione ruotata di 45° rispetto agli assi degli arconi, nelle due forme del quadrato e del quadrato inscritto, con una geometria ottimale per il contenimento delle spinte. I grandi archi, sono un tutt’uno con i pennacchi e i pilastroni della chiesa, con il rinfianco che è parte dell’arco stesso, crescendo insieme come parti incastrate sulla stessa imposta. Gli archi in muratura di mattoni, hanno in chiave, alle reni ed ai piani di imposta inclinati di 30°, per correggere l'inclinazione dei corsi, conci di granito, collocati nei punti ideali di cerniera e della possibile formazione di cinematismi di collasso; inoltre quelli alle reni congiungono i due arconi, prima che si sdoppino, Sopra questo sistema di arconi e pennacchi, sono costruite le due corone circolari concentriche, su cui appoggiano i "fulcri" costituenti l'ossatura della cupola.
(Grafici da Ing. Leandro Caselli - La Cupola della Basilica di S. Gaudenzio in Novara L'ingegneria civile e le arti industriali , Toreino 1877 op. cit.)
Il nucleo di partenza, progettato da Antonelli, trasmette il carico ai quattro pilastri fondamentali e alle otto ali collegate, costituite dalle quattro pareti del transetto, due delle sagrestie e due delle cappelle laterali. Il tamburo La connessione fra il sistema degli arconi e le strutture in elevazione, costituite dalla cupola a cassettoni, dal cono centrale, dalla cupola esterna e dal cupolino, è risolto dall'Antonelli con un articolato sistema di colonnati sovrapposti su più livelli e su più anelli concentrici, a formare un tamburo leggero ridotto alle sole colonne, ma in grado di sopportare gli enormi sforzi di compressione con un sistema circolare di cerchiature interne in ferro che garantiscono la stabilità della cupola, contrastando il fenomeno dell’ovalizzazione della forma strutturale, che può avvenire per effetto della variabilità delle azioni orizzontali, sull’anello resistente. Prima cupola interna All'imposta della cupola, la corona inferiore porta il giro di colonne del peristilio interno, quella superiore i due giri di pilastri esterni, legati fra loro, nei piani orizzontali di elevazione, da archi e piattabande. Nella zona del primo peristilio i pilastri interni e gli intermedi si saldano in un nucleo comune, rafforzato da due robusti legamenti in granito. I sostegni interni reggono, nella zona corrispondente alle colonne del primo peristilio, una cupola decorata a cassettoni di stucco bianco, aperta in alto con un grande occhio circolare. La cupola a cassettoni non è un sistema portante ma una struttura portata, non è soggetta a sostenere carichi, ma struttura irrigidente interna che collabora con l’insieme sovrastante. L'imbuto e la cupola esterna Sull’anello dell’occhio circolare poggiano le estremità di ventiquattro archi rampanti collegati tra loro da sottili volte a botte; per diventare, al di sopra, a quota 65 metri un gigantesco "imbuto" di muratura traforato, al cui interno si impostano successivamente, la seconda cupola interna destinata a portare un dipinto e poi ancora tre cupolette minori a sesto sempre più ribassato. Il cono centrale è composto da quattro ordini di pilastri inclinati, collegati tra loro da archi e irrigiditi dalla successione delle calotte interne, collegate a loro volta alle strutture esterne da un complesso sistema di archi di scarico dritti-rovesci. I 24 "fulcri", giunti al vertice del cono, diventano otto e si legano in un anello a reggere il cupolino All'esterno dopo il secondo peristilio, un giro di finestre rotonde (attico), sopra finestre rettangolari (imposta della cupola) e la cupola vera e propria, costituita da
24 costoloni in muratura, nascenti sulla verticale dei 24 fulcri interni; questi costoloni sono uniti da nervature orizzontali e, ad un primo livello, da architravature, alle costole dell'imbuto. Gli specchi tra costole e nervature hanno lo spessore d’un mattone. La copertura della cupola è fatta con lastre di beola trattenute da costoloni di granito, corrispondenti a quelli in muratura. Tra la beola e la sottile scorza muraria vi è una intercapedine. È il cono a reggere il peso del cupolino, mentre la cupola esterna, liberata dal peso della guglia diventa una vela sottile in foglio, dello spessore strutturale di 12 centimetri (una testa di mattone), irrigidita da costoloni e cerchiature a formare meridiani e paralleli di un guscio nervato, in cui gli “archi paralleli” risolvono il problema della trazione cui è sottoposta la calotta. Il cupolino Costituito da un tubo cilindrico di muratura, che forma l’anima della scala a chiocciola; da un giro interno di fulcri, portante la cuspide estrema e da un giro esterno di fulcri, che si arresta al ballatoio circolare con le statue degli angeli. La cuspide, formata da una scorza conica di mattoni, coperta da otto costoloni in granito e lastre di beola, che si uniscono al vertice in un pezzo monolitico, attraversato da un'asta metallica reggente una sfera lucida di granito rosa e la statua del Salvatore.
I costruttori
Il cantiere della cupola era piuttosto numeroso, con presenze dai 40 ai 60 operai, che trascorrevano insieme dodici ore di lavoro. Far funzionare una simile struttura richiedeva molto impegno e fatica ed una disciplina ferrea sia contro i comportamenti scorretti che lo scarso rendimeto. Il capocantiere era Giuseppe Magistrini (fino al 1863) coadiuvato da suo cognato Sormani, capofalegname e dal capo-muratore Noè. Le squadre di muratori e manovali erano fornite dal Pedrola titolare dell'impresa di costruzioni. I lavori si svolgevano a notevole altezza e con grandi quantità di materiale da sollevare al piano di lavoro, che si alzava progressivamente, Il tiro al piano delle travi, delle pietre e soprattutto dei mattoni, veniva pagato a quantità e non a tempo. Per la costruzione degli arconi, che dovevano "riuscire una massa compatta come colata di getto", i mattoni dovevano combaciare perfettamente e per questo Magistrini inventò una macchina per "spiallarli" e dar loro la forma voluta. Per la costruzione delle cupole, ed in generale dell'intero sistema che si sviluppava per cerchi decrescenti innalzandosi, fu usato il " grande compasso", realizzato in legno, con una struttura alquanto grezza che lascia a vista il mezzo tronco d'albero su cui è impostato il telaio, sostenuto a sua volta da un tirante in ferro incernierato ad un ritto posto nell'asse della cupola; aveva un raggio di 11 m, ed un braccio scorrevole su ruote che consentiva di prolungarlo di altri 5 m.
Riferimenti biografici Carlo Mollino Incanto e volontà di Antonelli Torino Rassegna mensile della città Anno XXI maggio 1941 XIX numero 5 Arialdo Daverio La cupola di San Gaudenzio. L'opera del massimo architetto italiano nel secolo XIX. Alessandro Antonelli, Centro Studi Antonelliani Tipografia Cattaneo, Novara 1940 Armando Melis La lezione di Antonelli L'architettura Italiana Rivista Mensile di Architettura Tecnica - Febbraio 1941-XIX Ing. Leandro Caselli La Cupola della Basilica di S. Gaudenzio in Novara L'ingegneria civile e le arti industriali Periodico tecnico mensile, Camilla e Bertero editore Torino Anno III. Torino, 1 ° Ottobre 1877 n.10 1 ° Novembre 1877 n.11 Daniela Biancolini Il secolo di antonelli. Novara 1798-1888 IGDeAgostini Novara, 1988 Gabriele Bignoli Carmen Falliti La sicurezza antincendio degli edifici dell’800 novarese di Alessandro Antonelli - Rifunzionalizzazione di casa Bossi a Novara Tesi di laurea Politecnico Di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria dei Sistemi Edilizi Relatore: Prof. Ing. Paolo Pietro SETTI Anno Accademico 2017/2018 Elena Rame Cupola della Basilica di San Gaudenzio Itinerari d'arte nel novarese, 2008 Anna Spinaci Casa Bossi a Novara: Occasione per la valorizzazione e il “Rilancio” di un Circuito Antonelliano Politecnico di Torino - Dipartimento di Architettura e Design (DAD) Tesi Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Restauro e Valorizzazione del Patrimonio Anno Accademico 2018-2019 Enrico Brustia Basilica di San Gaudenzio e Cupola dell’ Antonelli 400 anni di vicende costruttive tra splendori e polemiche Rotary Club Novara - Bollettino n. 43/2523 Chiara Calderini, I monumenti della paura: cultura e tecnica del cemento armato nel restauro dei monumenti in Italia (19001945), in Callegari, G., Montanari, G. Progettare il costruito, Franco Angeli, Milano, 2001, p.242-247 Massimo Corradi, Valentina Filemio, Massimo Trenetti Antonelli’s Dome for San Gaudenzio: Geometry and Statics Nexus Network Journal 11 - 2009 p. 243-256 , Kim Williams Books, Turin
1863-1889 Dal Tempio Israelitico alla Mole Antonelliana Un edificio progettato costruendolo ... Simbolo architettonico di Torino, realizzata da Antonelli dal 1863 fino alla sua morte. Concepita originariamente come sinagoga, venne acquisita dal Comune di Torino, mentre era ancora in costruzione, per farne un monumento all’unità nazionale. Dai 47 metri iniziali si arriva ad oltre 167, che ne fecero l’edificio in muratura più alto d’Europa, con un susseguirsi continuo di varianti che nascevano insieme alla costruzione: un sogno verticale che l'Antonelli ha sviluppato in venticinque anni, solo contro tutti. ... Raccontano gli operai stessi che per tema si spaventassero dell’altezza ognora crescente dell'edificio, l’Antonelli non comunicasse man mano che disegni parziali, evitando ad un tempo che essi accampassero difficoltà, e che gli oppositori della Mole risorgessero ringhiando a suscitare nuove polemiche e guerricciuole osteggiatrici. Adolfo Frizzi Costruzioni Civili - il cupolino di compimento della mole Antonelliana Op. cit. 1890 La Mole è una commistione di elementi neoclassici innestati su un'ardita verticalità che sembra anticipare le vertiginose dimensioni dei grattacieli novecenteschi. Sopra la massiccia base di volume cubico, un peristilio, un pronao, un alzato scandito da due ordini di colonne corinzie, grandi finestroni vetrati e un ulteriore attico leggermente arretrato rispetto al perimetro di base, si sviluppa la grande cupola, che poi si stringe in un tempietto a doppio ordine di colonne, in cui s'innesta la guglia, inanellata in una serie di balconcini circolari, di circonferenza sempre più ristretta. Corona la parte terminale della guglia, all'origine un genio alato (oggi una stella), innalzato il 10 aprile 1889. Così ultimata la Mole raggiunse un’altezza complessiva di 163,35 metri, diventando l’edificio in muratura più alto d’Europa. Pochi giorni dopo verrà ultimata e aperta al pubblico la torre Eiffel. A fianco la Mole in un collage dei disegni di Crescentino Caselli 1875 e Adolfo Frizzi 1890 E' indubbio che qui ci troviamo dinnanzi ad una espressione architettonica compiuta dove la potenza e la originalità della concezione statica concorrono alla creazione di una autentica opera di architettura. D'altro canto per i molti motivi a cui si è accennato la mole torinese si presenta come costruzione del tutto eccezionale nella generale pratica architettonica del tempo: tanto eccezionale da esserle improprio il termine di cupola quanto quello di torre. Già in questo sfuggire a una definizione precisa, che tale non è quella di mole, si può avvertire l'aspetto straordinario della sua concezione. ... dal punto di vista costruttivo non si può considerare innovatrice, in senso stretto, l’opera dell’Antonelli poiché quella sua grande maestria costruttiva, forse insuperata nella storia dell’architettura del periodo moderno, è piuttosto il punto di arrivo di una tecnica antichissima che ha i suoi precedenti nelle cupole romane, che il punto di partenza di una tecnica e di una scienza nuova. ... Nella Mole di Torino la struttura ha origine su 68 pilastri basati su altrettanti pozzi di fondazione «... nel suo sistema il muro non esiste altrimenti che come mezzo di chiusura e di riparo; il sostegno e la solidità della fabbrica è tutta raccomandata a pilastri, che danno punti di appoggio principali ad
archi, i quali formano a loro volta il contrasto dei pilastri, offrono nuovo punto di appoggio quanto occorrono, e reggono le volte; l'ordine e l'equilibrio governano Vittorio Gregotti, Aldo Rossi, L’influenza del romanticismo europeo nell’architettura di A. Antonelli, in “Casabella-continuità”,n.214, marzo 1957 Nella Mole Antonelliana il « grado di economia », rapporto tra area occupata dalle strutture di piedritto e area totale coperta, raggiunge un limite di 0,0361 solo di recente superato dalle "Halles Centrales" di Parigi coi noti mezzi odierni. Risultato stupefacente se si pensa che astrazion fatta per l’indice 1 o quasi, invero poco economico del megalite e delle piramidi d’Egitto (e anche fuori) si passa a 0,226 della cupola di S. Pietro, a 0,155 di quella di S. Paolo di Londra, a 0,173 di quella di S. Maria del Fiore e che, per es., in quest’ultima il Brunellesco ha tenuto gli spessori medi della cupola esterna e interna rispettivamente di metri 0,58 e 2,70 in confronto ai 12 centimetri dei due gusci della Mola Antonelliana. Si verifica infine chiara e totale quella concezione attualissima dello scheletro portante su pilastri, indipendente dalla parte inerte e coprente; ... Nella Mole Antonelliana la grande avventura, non rischio, di un edificio murario dove gli elementi elastici, secondari ma già presenti in S. Gaudenzio, hanno per la prima volta funzione statica imponente, si conclude col prodigio di 168 metri verticali. Chiamato all’ultimo altissimo viaggio, Antonelli chiude gli occhi mentre il gigantesco angelo dorato attende l’ora della "cerimonia per l’ascesa alla cuspide". Carlo Mollino Incanto e volontà di Antonelli Torino Rassegna mensile della città Anno XXI maggio 1941 XIX numero 5 ... So bene, che di fronte a questa impossibilità di dimostrare matematicamente la stabilità dell'opera, i più preferiscono appigliarsi al partito di non entrarne mallevadori. - Ma io dico: se la scienza non è ancora sufficientemente progredita, dovremo per ciò arrestarci e non cercare d'andare innanzi per altra via? - Se Brunellesco non avesse mallevato della sua opera, e se i magnati del suo tempo non avessero avuto fede illimitata nel genio di lui, è forse, che noi ammireremmo oggi, dopo quattrocentocinquant'anni, quella portentosa mole della cupola di S. Maria del Fiore? 5 Ing. Giulio Marchesi In Architettura - Tempio Israelitico in Torino del Prof. Cav. Alessandro Antonelli. Op. cit. 1875 Nata per essere Maestra, non certo sinagoga, museo del Risorgimento o altro, il suo compito era assai più alto. Creatura palpitante, si era offerta alle nuove generazioni come oggetto di studio. Era quasi bella, era bella perché la sua immensa massa era flessibile. Le pareti e le cornici incurvate spaventosamente, in modo più impressionante all'imposta della cupola quadrata proprio come un sacco di quattro tele che, riempito, tende a prendere la forma cilindrica; le pareti e i pilastri strapiombanti sulla base tenuta salda al terrazzo senza potere deformarsi. Era bella perché stava dritta in mezzo al cielo quando il vento la sferzava o le scuoteva la guglia come l'albero più alto di una foresta, quando le nebbie la sfumavano come un pastello, quando le nubi la tagliavano nettamente e dalla cima si godeva il meraviglioso spettacolo di un mare mobile di nubi dalle quali emergevano nel sole Superga, il tiburio della chiesa del Monte dei Cappuccini e le cime gobbose delle colline. Per la sua elasticità sfidava i terremoti, e nelle tempeste sfidava i fulmini, anche se questi la colpirono e ne piegarono la cima. Era bella quella enorme massa di tendini che s'intrecciavano ricoperti di sottili tessuti e poggianti su venti esilissimi fulcri. Uomini che l'avevano vista crescere, ingegneri e muratori ne spiavano periodicamente con grande amore ogni ‘piccola screpolatura. Molti segni bianchi di scagliola coperti con vetro davano i segnali di qualche movimento, e tanti tanti erano questi piccoli movimenti perché era viva, era vibrante, perché respirava.
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L'ingegnere Giulio Marchesi successe nell' insegnamento delle Costruzioni Civili, Idrauliche e Stradali al generale Menabrea, e professò per quattro anni consecutivi nell 'attuale Scuola d'Applicazione al Valentino. Il trasloco della sede del Governo a Firenze, e conseguentemente quello della Direzione delle Ferrovie Meridionali, indussero il prof. Marchesi a rinunziare, non senza rammarico suo e degli Allievi suoi. alla propria cattedra , stata poi affidata all'attuale chiarissimo professore Giovanni Curioni, anch'esso allievo della Scuola Menabrea, e che già aveva coadiuvato il Marchesi nello stesso insegnamento. (Nota della Direzione)
Tutte le screpolature, gli strapiombi o le deformazioni non destavano grande apprensione: si sapeva bene che non erano mortali, si sapeva bene che altre generazioni, forse molte, avrebbero ancora alzato il naso in su per guardarla ammirate passandole accanto. Ora? ora è una cosa morta: l'hanno imbalsamata ancora viva e palpitante, torturandola, solo per tramandare ai posteri il vestito, simile ai costumi dei giannizzeri nel Museo di Stambul su massicci quanto innocui fantocci di legno. L'hanno imbalsamata aggiungendovi altrî robusti pilastri in cemento armato, impedendole così di morire di morte naturale. Ora è lì, incrollabile e ferma al suo posto, solo perché indichi, come un palo di segnalazione, al viandante «lì è Torino ». Ma Torino non vanta più per essa la costruzione più ardita del mondo in laterizio e pietra, sogno e gloria dell'Antonelli. Annibale Rigotti Ricordo di un architetto moderno italiano dell'800: Alessandro Antonelli; Rivista Architettura, Roma, luglio 1942, p. 232·3.
Cronaca della costruzione La Comunità Israelitica di Torino, ottenuta l'emancipazione a seguito dello Statuto Albertino, il 1° marzo 1859, "fresca ancora la memoria dell'ottenuta emancipazione e vivo nei cuori il desiderio di consacrare 6 lo avvenimento con perenne ed imperituro ricordo di gratitudine ", nominava la prima giunta di studio per l'erezione di un tempio commemorativo, comprando un piccolo lotto trapezio (45 metri sulla via, 56,50 sul retro e profondo 43) nel quartier di Vanchiglia, in corso di urbanizzazione proprio in quegli anni, affacciato sulla via Montebello, fino ad allora contrada del Cannon d'oro. L’Università israelitica bandisce un concorso pubblico per la costruzione dell'edificio, che doveva comprendere, oltre al tempio, anche i locali per l’amministrazione, le scuole ed i servizi. Risposero in quattro, ed i loro lavori furono sottoposti all'esame di due insigni architetti del tempo, Carlo Promis ed Amedeo Peyron, i quali conclusero che nessuno dei progetti corrispondeva alle richieste del bando. Il consiglio decise allora di sentire anche il giudizio dell'Antonelli, ritenuto un'autorità in materia, che confermò il parere negativo sui quattro progetti, e dietro richiesta del consiglio inizia a studiare un progetto in cui affronta la difficoltà delle dimensioni del lotto, che lo portano ad un edificio a pianta quadrata con un basamento destinato a i servizi sul quale sovrappone il tempio circondato da gallerie e illuminato da finestre e da un lucernario, alto complessivamente 47 metri. Il consiglio è soddisfatto sia del progetto, che risponde alle richieste del bando, ed anche del costo, stimato in 380 mila lire. È lo stesso Antonelli, nella relazione di accompagnamento a descrivere il progetto. Il cuore del nuovo edificio è costituito dalla grande sala di preghiera che, con progressivi aggiustamenti progettuali, verrà coperta da Antonelli utilizzando la grande volta in muratura di originalissima concezione strutturale. Illus.mi Signori Il progetto che il sottoscritto vi presenta contenuto in quattro tavole fa sorgere il Tempio Israelitico su base quadrata quasi isolato lasciando tra la fronte principale e la via Montebello un’area sacra della larghezza di metri quattro; tra il fianco di mezzodì e la proprietà Salino un cortile della larghezza di metri cinque, altro fra il fianco di Settentrione e la proprietà Casana entrambi depressi per ventilare ed illuminare il sotterraneo destinato agli usi di second’ordine, panificazione, bagni, etc. La fronte posteriore s’innalza sul lembo della via privata e si congiunge per due ale colle proprietà delli Ill.mi Sig.ri Conte Salino e Barone Casana, coi quali sarà facile stipulare dei patti reciprocamente utili senza che siano necessari alle condizioni del decoro e dell’igiene del Sacro Tempio. Allo scopo di combinare nell’area assegnata anche gli stabilimenti principali richiesti dal Programma e distinguere il sacro edificio dai circostanti, l’Oratorio s’innalza su di un piano alto metri cinque, a guisa dell’aula attuale del Senato del Regno Italiano, e riesce così più asciutto e ventilato, nonché più luminoso. Dalla via Montebello per mezzo dell’intercolonio estremo attiguo al giardino Salino si accede in piano e per mezzo di quello corrispondente alla centrale della fronte con quattro gradini all’area sacra; di dove salendo cinque gradini si arriva al portico, nei cui capi hanno principio due comodi scaloni di quarantadue gradini in due rami larghi due metri portanti al piano dell’Oratorio alla galleria delle donne al sotterraneo; dal centro poi si apre ampio corridoio a disimpegno dei locali collocati a destra ed a sinistra, e comunicante colla via privata, dalla quale riceve luce diretta quanto basta a renderlo chiaro; a destra si potranno colle divisioni calcolate in perizia distribuire i locali delle scuole e l’aula per la distribuzione dei premii e per l’elezioni; a sinistra si stanzierà l’Amministrazione e l’Asilo Infantile. Nelle due ale corrispondenti agli intercolonnii estremi della fronte sulla via privata si sviluppano due scalette a tre rami con due giri per piano che dal sotterraneo ascendono alla seconda galleria di sussidio e che hanno sortita diretta sulla via privata. Accanto alla scaletta di settentrione e contiguo alla proprietà Casana è fissato l’aloggio del custode dell’edificio. Nell’anti-oratorio corrispondente al portico inferiore vi sono tre ampie porte che mettono all’Oratorio destinato esclusivamente per gli uomini. Il corpo di mezzo quadrato misura metri 27,25 per ogni lato, tutto libero senza ingombro di sorta; a destra ed a sinistra e rimpetto gli ingressi sino ai fianchi dell’Edicola vi sono sfondi corrispondenti ai peristigli superiori, che formano la galleria delle donne praticata anche sopra l’anti-oratorio. La collocazione proposta dei banchi, offre 998 (novecentonovantotto) posti. L’Edicola pel deposito delle Sacre Bibbie ornata nella fronte di due colonne marmoree isolate e scanellate portanti frontone colla porta metallica trafora ta può ricordare quanto di classico e grandioso fecero i Greci ed i Romani.
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Da Roberto Gabetti, Problematiche Antonelliane op. cit.
Nei fianchi dell’Edicola sono combinati anche gli organi il cui suono si unirà meglio alla voce dei cantori posti nei lati del Sacrario avanti della stessa Edicola ove si fa l’elevazione della Bibbia; a destra nell’ala del mezzodì vicino alla scaletta che ha accesso dalla via privata si trova la camera per le cerimonie mortuarie e nuziali; come a sinistra nell’ala di settentrione si trova il deposito degli arredi. Negli sfondi dell’Oratorio vi sono sedici finestre elevate di m 2,10 sopra il suolo a ventilare ed illuminare; altrettanti spiragli quasi rasenti il suolo serviranno opportunamente a smuovere i cattivi miasmi. Col mezzo delli due scaloni e delle due scalette superando l’altezza di metri sei si giungerà al piano dell’ambulacro, da cui si discende nei quattro ordini dei posti riservati per le donne. La galleria contiene distribuiti posti quattrocentoventisei e siccome viene costituita dal muro di perimetro quadrato e dalle ventiquattro colonne, che disposte attorno sostengono la gran volta a padiglione con cupolino, così non ha dubbio che produrrà il maggior effetto, che si possa immaginare in simili vasi. Sopra le ventiquattro colonne d’ordine corinte allo scopo di ricavare venticinque finestre nelle lunette del gran volto reclamate dal buon effetto e dalle buone condizioni igieniche, era necessario un attico continuato che si è surrogato con ventiquattro pilastri isolati onde utilizzare la capacità del tetto in una galleria di sussidio con due ordini di pulvinari l’uno sporgente nel cornicione e l’altro sui reni del volto della sottoposta galleria, che danno duecentosessantasei posti distinti. Al piano dell’ambulacro della galleria principale delle donne a destra ed a sinistra si ha accesso a camere per guardarobe e soccorso attigue alle scale minori. Ventotto finestroni alla maniera dei Greci tripartiti, elevati dal suolo dell’ambulacro metri 2,90 stabiliranno le migliori condizioni igieniche e daranno al Tempio tale effetto da farlo apparire più vasto di quel che non sia. Sotto ai finestroni vi saranno alquanto elevati dal pavimento spiragli per la ventilazione senza incomodo delle donne. I due ordini maggiori di pilastri corinti, che ornano il perimetro regolare dell’edificio, corrispondendo il primo alla galleria delle donne il secondo alla galleria superiore di sussidio; il primo e second’ordine minore di colonne nella facciata principale corrispondenti al portico, ed antioratorio; il terzo ordine minore nei finestroni della galleria delle donne; il primo attico con riquadri e spiragli corrispondenti alla galleria di sussidio; il second’attico maggiore, che fiancheggia il gran volto quadrato colle sue venti finestre circolari; la copertura della galleria delle donne e quella della parte centrale dell’Oratorio sormontato dal lucernario in forma di cupolino; sono certamente elementi di composizione tali da assicurare un effetto classico e caratteristico all’opera, che la Benemerita università Israelitica all’ombra delle libere istituzioni patrie si propone di erigere per monumento della Religione de’ suoi Avi! I materiali scelti per la costruzione dell’edificio sono proprii a renderlo solido e durevole; dai casellarii e dal riepilogo della perizia la spesa emerge in lire 379.923,40 lire trecentosettantanovemila novecento ventitre e quaranta cent. Quallora per dura necessità non si potesse far fronte a questa spesa riduzioni e variazioni operate sui N. dell’elenco 3, 5, 15, 16, 22, 23, 24, 25, potranno restringere la spesa a L. 350.000 lire trecento cinquanta mila. Torino 14 agosto 1862 Cav.re Prof. Alessandro Antonelli Nel marzo 1863, il progetto viene presentato al Comune di Torino, ed il 3 giugno l'opera è autorizzato con Regio Decreto. I lavori vengono appaltati in economia diretta, perché nessun imprenditore rispose al bando pubblico, vuoi per le rigorose richieste del capitolato dell'Antonelli, che per i numerosi grandi lavori che impegnavano gli imprenditori di Torino a quel tempo. Nel 1864 viene impiantato il cantiere ed iniziano i lavori con le grandi operazioni di scavo, poi vengono alzate le murature, i pilastri, le colonne, le volte e tutto sembra procedere regolarmente, ma in realtà l'Antonelli inizia da subito ad apportare modifiche sostanziali al progetto, con un aumento di spesa, tanto che, nel maggio 1865, la comunità israelitica, presenta un memoriale al Municipio in cui chiede un aiuto alla Città, ottenendo un contributo di 30.000 lire suddiviso in tre rate, l’ultima a completamento dell’opera, previsto per il 1866. Proseguono i lavori ma appare chiaro che il progetto si sta modificando in modo radicale, con un gigantesco "volto" a padiglione, che ha già sostituito la copertura iniziale, su cui l'Antonelli intende realizzare un cupolino a tre ordini, concluso da un candelabro a sette bracci; con l’altezza dell’edificio che passa, dai 47 metri del primo progetto, a 113,57 metri. Intanto la crisi della comunità ebraica, conseguente allo spostamento della capitale fuori Torino, riduce le disponibilità per la mancanza di nuovi finanziamenti, così sul finire del 1869, i lavori vengono sospesi. Prima di allontanarsi i muratori coprono provvisoriamente la muratura del volto interrotto a 9,05 metri sotto la sua chiusura, a circa 70 metri di altezza dal suolo. Oltre all’aspetto economico, che fa maturare l’idea di cedere l’edificio al Comune, nella comunità israelitica si fa strada anche la preoccupazione per la stabilità di quella costruzione così ardita.
Nel febbraio 1870 il Consiglio comunale nomina una prima commissione tecnica composta dagli ingegneri Gustavo Bucchia, Gerolamo Callerio, ingegnere capo della provincia di Torino e Giovanni Curioni, notissimo docente della Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri che nel giugno successivo conclude i suoi lavori attestando la solidità della costruzione, riservandosi ulteriori approfondimenti che però non faranno lasciando così parzialmente irrisolta la questione. Intanto, il consiglio dell’università israelitica, oramai in aperto contrasto con l'Antonelli, incarica l’ingegnere Antonio Debernardi di studiare un ridimensionamento della struttura. Questi propone di sostituire la cupola con una più modesta in ferro e legno, incontrando però la contrarietà dell’opinione pubblica torinese a modificare il progetto di Antonelli che viene difeso da illustri personalità, tra cui Giovanni Sacheri, direttore della rivista «L’ingegneria Civile e le Arti industriali» e il prof. Carlo Promis. L’Università israelitica interpella allora anche la Società degli Ingegneri e Industriali, la più influente associazione tecnica cittadina, che esprime un parere sostanzialmente favorevole sull’opera di Antonelli. Antonelli stesso interviene in difesa del suo lavoro: " ho compreso come si vorrebbe continuare il completamento del tempio in costruzione con sistema più modesto nella parte culminante, e che possedendo già l' Amministrazione stessa disegni a altri architetti al proposito, si vorrebbe che io mi pronunciassi sulle mie disposizioni per concorrere io stesso a quei modifìcati disegni, seguendo le norme che l'estetica e l'economia mi potrebbero suggerire. Manifestando il mio sommo rammarico di vedere paralizzarsi un'opera mia, che ridondava a decoro di questa stimabile Corporazione Israelitica ed alla mia rinomanza artistica, quale apprezzai sempre ed apprezzo sovra ogni cosa, faccio riflettere: 1 Lo sviluppo dato alla parte culminante dell'edifìcio è assai acconcio, per non dire necessario, a caratterizzare nella massa il sacro tempio collocato sopra il piano degli asili e quello delle scuole; a compensare l'eccessiva depressione del suolo su cui insiste l' edifìcio, e pur anca a soddisfare le visuali prospettiche limitate dalle case che lo circondano. 2) L'esecuzione della mole è a tal punto che non ammette variazione sostanziale, all'infuori dei due cupolini, senza procedere a demolire tutta la cupola, la cui base interna quadrata, nei suoi lati misura metri 26,36, cioè la metà di più del lato dell'ottagono di Santa Maria del Fiore in Firenze, ed al cui compimento sino al piano della ringhiera e lanterna, mancano solo metri 9,05; perilchè, evidentemente, qualunque costruzione più modesta si voglia surrogare, dovendo formare il cielo interno del gran quadrato, e la sua corrispondente copertura in qualche armonia col sistema che informa il complesso dell'edifìcio, a priori emerge, esigere una spesa di gran lungo maggiore di quella che richiedesi a compire i pochi metri di volto e ad eseguirne la copertura nel sistema attuale. (Omissis). 3) Qualora poi questa Amministrazione, persistendo nell'idea di eseguire la progettata novità, volesse per essa un mio piano, ed io per forza maggiore ineluttabile dovessi aderirvi, divenendo così il carnefìce dell'opera mia, dichiaro formalmente che sarei fisicamente impossibilitato ad eseguire la suddetta idea, se questa Amministrazione non si disponesse a triplicare la somma da me ultimamente valutata per compire le due cupole, la ringhiera, la lanterna e tutta la copertura relativa; ciò che è corollario delle osservazioni fatte al numero precedente. 4) Affine di procurare alle mie perizie rimesse nel febbraio e marzo 1869, quella fede che pare loro sia venuta meno, quantunque per la loro compilazione io non abbia risparmiato studio, fatica e rispettato la mia coscienza; io sarei anche disposto a promuovere in qualche modo l'esecuzione dei lavori seriamente guarentita nei limiti prefissi, mantenendo però fermo il piano dell'opera tanto progredita con plauso de' Torinesi e considerazione segnalata dei forestieri che visitano la nostra città"· Alessandro Antonelli (1872) Testo riportato in : Atti e rassegna tecnica della Società Ingegneri e Architetti in Torino - nuova serie- a. 13-n.8 agosto 1959, pag.293 Curiosità del bibliofilo Ma la vicenda si complica ulteriormente perché, a seguito della richiesta di un nuovo contributo, da parte della proprietà, il Municipio di Torino, richiede una nuova perizia affinché sia accertata oltre ogni dubbio la stabilità della costruzione, affidandone la redazione ad una commissione composta dagli ingegneri Alessandro Mazzucchetti, Amedeo Peyron, Angelo Rezzonico, Pietro Spurgazzi e dall’architetto Barnaba Panizza. Nel 1873 la comunità ebraica torinese si rivolge nuovamente al Comune di Torino per chiedere un più consistente contributo finanziario al completamento dell’edificio, la cui spesa prevista ammonta ora a circa 500.000 lire. Accettando questa sollecitazione, la Giunta municipale si dichiara disposta a concorrere alla spesa a condizione che. A tal fine la Giunta decide di affidare una nuova perizia tecnica a una commissione
composta dagli ingegneri Alessandro Mazzucchetti, Amedeo Peyron, Angelo Rezzonico, Pietro Spurgazzi e dall’architetto Barnaba Panizza. Nella relazione, consegnata nel mese di giugno, i pareri dei membri non sono univoci, con la maggioranza che mette in forte dubbio la stabilità dell’edificio, con lo Spurgazzi che ne contesta le conclusioni, approvando il lavori dell'Antonelli. Preso atto della mancanza di unanimità della commissione, il Comune decide di richiedere un parere esterno ed incarica gli ingegneri milanesi Celeste Clericetti e Luigi Tatti, i quali in una approfondita relazione giudicano l’edificio stabile, ma concludono tuttavia esprimendo dubbi sulla solidità del volto, suggeriscono la demolizione di quest’ultimo e la sostituzione con la raccomandazione di demolire la volta troppo ardita "alla quale il distinto architetto potrebbe sostituire un altro genere di copertura che, pur conservando all’edificio la sua indole monumentale, avesse a presentare i requisiti di quella stabilità che mancano alla presente. La Commissione di ornato del Comune, recependo la perizia dei due ingegneri milanesi, suggerisce dunque, nel settembre del 1873 "un altro genere di copertura, che pur conservando all’edifizio la sua indole Monumentale, racchiuda quei requisiti di stabilità che mancano alla presente,..." . 7 A queste osservazioni lo stesso Antonelli replicherà pubblicamente con una lettera al sindaco , ribattendo dettagliatamente alle affermazioni dei due ingegneri milanesi, che a suo giudizio non hanno compreso il senso del sistema cellulare, che costituisce la struttura della cupola, oltre ad affermare l’impossibilità di sostituire la grande volta con una struttura leggera. La comunità israelitica non riconosce le argomentazioni dell'Antonelli e nel febbraio del 1874, incarica Tatti e Clericetti di redigere un nuovo progetto, per la demolizione della volta esistente e la realizzazione di una nuova copertura. Accettato l'incarico elaborano un progetto che, seguendo l’esempio di molte sinagoghe, prevede una cupola neomoresca realizzata in struttura metallica, di altezza di gran lunga inferiore all'attuale. Intanto sulla rivista "L’Ingegneria Civile e le Arti industriali",nell'aprile 1875 esce un articolo dell'ing. Giulio Marchesi, già docente nella Scuola d'Applicazioni del Valentino, dov'era succeduto nella cattedra del Menabrea, in cui esaminati i risultati delle varie commissioni nominate, prende pubblicamente posizione a favore dell'opera dell'Antonelli e poco dopo, per fare chiarezza, Giovanni Sacheri, direttore della rivista , pubblica nel n.6 del giugno 1875, un estratto della dissertazione di laurea dell'ing. Crescentino Caselli sulla statica del "Tempio Israelitico" dove chiarisce finalmente i principi strutturali che regolano la costruzione antonelliana e fornisce una serie di valide ragioni a favore della stabilità dell’edificio. Il protrarsi di una situazione insostenibile, costringe la comunità ebraica a proporre la cessione, di quella che oramai è nota come la Mole Antonelliana, al Comune, per una cifra di gran lunga inferiore a quella spesa, ma bastante per la costruzione di una sinagoga di dimensioni adatte alle esigenze concrete dei fedeli. Intanto, tra le polemiche e le discussioni pubbliche sul completamento dell’edificio, il Circolo degli Artisti, noto sodalizio torinese, propone una sottoscrizione per l’acquisto della Mole e la Società degli Ingegneri e Industriali, promuove un ulteriore dibattito, supportato dai disegni di Crescentino Caselli in cui si pronuncia in favore della stabilità dell’edificio e chiede che l’opera sia ultimata secondo il progetto dell'Antonelli. Nel consiglio comunale di Torino, per iniziativa di alcuni consiglieri, tra cui l'architetto Carlo Ceppi, allievo di Promis, prende corpo l’ipotesi concreta di acquisizione dell’edificio, sostenuta con forza da Ernesto di Sambuy e dall'avv. Tommaso Villa, deputato al Parlamento Nazionale per adibirlo a nuova sede dei Musei civici. Numerosi sono gli oppositori e nel maggio del 1875, nel corso di un ennesimo dibattito in Consiglio comunale, viene deliberato di nominare un’ulteriore commissione di tecnici esterni: ne faranno parte gli ingegneri Giovanni Protche di Bologna, Mariano Falcini e Vincenzo Micheli di Firenze e l’architetto Fortunato Padula di Napoli. La loro relazione presentata nel settembre dello stesso anno, riconosce la possibilità di portare a compimento l’opera, accompagnandola con alcune rilevanti operazioni di consolidamento, rispettando sostanzialmente il progetto dell'Antonelli. Il 30 marzo 1876, il sindaco di Torino Rignon, scrive una lettera all'Antonelli richiedendo i grafici del progetto che gli sono indispensabili "per trattare dell'ultimazione del Tempio ..." Immediata la risposta: Illustrissimo Signor Sindaco Allo scopo di eliminare sollecitamente ogni incaglio, e perdimento di tempo invio alla S.V. Ill.ma una litografia pubblicata con diligente cura da Camilla e Bertolero – da me riconosciuta, e sottoscritta. La quale concorda colle opere eseguite e colle occorrenti al totale compimento del tempio Israelitico per cui il Consiglio municipale votava il generoso concorso di £ 200 mila. Alla intelligente S. V. non isfugge certamente l’urgenza di provvedere onde vengano in questa incominciata campagna propizia ripresi finalmente i lavori necessari a portare l’edificio in uno stato normale d’assicurarlo contro i possibili danni di un più prolungato abbandono. Maggiora, 1° aprile 1876 Coi sensi della maggior osservanza 7
Alessandro Antonelli, Osservazioni all’Ill.mo Sign. Sindaco della Città di Torino sulla vertenza del Tempio Israelitico, Torino, Stamperia Gazzetta del Popolo, 1874.
Della S. V. Ill.ma Devot.mo servo Professor Alessandro Antonelli Intanto il Comitato tutelare del Monumento Antonelli, raccoglie in pochi mesi oltre 8000 firme a favore della salvaguardia dell’edificio, mentre con una azione quasi provocatoria, viene presentato in Comune, dall'università Israelitica, un progetto di una nuova cupola firmato dall’ingegner Pietro Carrera, per l’ottenimento della licenza edilizia. Probabilmente per sollecitare il Comune nella decisione dell'acquisto in 8 cambio di un corrispettivo e di un terreno su cui costruire una ben più modesta sinagoga . Sarà necessario ancora del tempo ed accese discussioni in consiglio Comunale, fino ad arrivare alla seduta del 25 giugno 1877, per deliberare l’acquisto della Mole antonelliana da parte del Municipio. Nella seduta, l'Antonelli presente da molti anni in Consiglio comunale, ma che si era sempre astenuto dal partecipare alle discussioni sul tema, decide allora di intervenire. Dopo aver premesso che non risponderà alle calunnie, ribatte su alcuni degli appunti che gli sono stati mossi, esponendo brevemente la storia dell'opera e giustificando dettagliatamente le modifiche, che non furono dovute a suoi capricci, ma ad esigenze reali e che le variazioni al primitivo progetto furono però sempre debitamente autorizzate, in gran parte dal rabbino onorario Malvano. In merito ai calcoli, sui quali vi è chi teme che siano fallaci, afferma che questo non è vero, che detti calcoli particolareggiati cogli occorrenti casellari, sono presso il Municipio, ed anzi avrebbe caro di riaverli e che non ha paura di vederli contraddetti dai fatti, cosa che non gli è mai successa, citando l’esempio delle opere da lui eseguite a Novara ed Oleggio. Al termine della lunga seduta la proposta di acquisto, messa ai voti é approvata con 23 voti favorevoli e 15 contrari. Dopo quasi anni di chiusura il cantiere riprende, con il ripristino dei ponteggi, abbandonati da lungo tempo alle intemperie, completando la struttura della grande volta e la sua copertura con lastre di Luserna, sotto la guida di Alessandro Antonelli che con lettera del 19 aprile 1878 assume la direzione dei lavori insieme al figlio Costanzo: Ill.mo Signor Sindaco In armonia delle idee svolte nell’ultimo nostro colloquio io sono disposto ad assumere la direzione dei lavori da farsi in continuazione dell’edificio già Tempio Israelitico per la parte tecnica e continuando a giovarmi dell’opera di mio figlio ingegnere Costanzo assumerne tutta la responsabilità relativa. L’impegno che spiegherò per compire l’edificio acquistato non sarà certamente infievolito dall’età giacché sento sempre crescere in me il dovere di corrispondere all’amore dei Torinesi; e, stimando il nobile slancio con cui si occupano dell’abbellimento della Città, dichiaro francamente che nel continuare l’edificio intrapreso non nascerà mai in me l’idea del lucro ma sarò pago di quel segno di gradimento che il Municipio crederà accordarmi. Aspetto risposta del capomastro Stelio Ciarlo di Selve Andorno (Biellese), che ha assistito le attuali costruzioni dell’edificio, se cioè possa ed intenda continuarci il servizio che proporrei come il più conveniente. Intanto godo potermi raffermare Della S. V. Ill.ma Devotissimo Servo Alessandro Antonelli (ASCT, Affari Lavori Pubblici, 1878, cart. 80, fasc. 18, n. 21) Nel frattempo, la morte del re, porta il consiglio comunale a deliberare che "ad onoranza perenne di Vittorio Emanuele II venga eretta un’opera monumentale di carattere nazionale", nominando una apposita commissione per definirne in modo più preciso contenuti e localizzazione. Dopo numerose discussioni, il Consiglio comunale nelle sedute del 24 e 26 aprile 1878, delibera di fondare il Museo storico, e poco dopo, nella seduta del 26 giugno,vota di stabilire nella Mole antonelliana il Museo nazionale dell’indipendenza italiana. La copertura del volto viene terminata il 20 dicembre 1880 e appare subito chiaro che anche con il nuovo committente non cambia il modo di procedere di Antonelli che progetta in cantiere, apportando continue modifiche e mettendo quindi il Comune di fronte al fatto compiuto. I lavori sono diversi dal disegno riportato nella pubblicazione di Crescentino Caselli, sopra il volto ora c’è una galleria, una lanterna a due piani con frontoni, raddoppiata dalla precedente, un volume tronco conico e infine una cuspide ottagonale ancora da definire. Dopo lunghe dispute con il Consiglio comunale, che chiede disegni precisi all'Antonelli, nel maggio 1881 un nuovo progetto viene approvato. Le strutture del cupolino vengono realizzate tra la fine del 1881 e il 1885. I disegni sono mostrati alla Esposizione generale italiana del 1884, e sono oggetto di grande ammirazione da parte dei numerosi visitatori a cui era data la possibilità di ammirare l'opera con 8
La nuova sinagoga, su progetto dell'architetto Enrico Petiti, sarà inaugurata il 16 febbraio 1884.
un'ascensione in mongolfiera, fino a che la sera del 10 agosto mentre infuriava un temporale, il pallone, ancorato al suolo, venne incenerito da un fulmine. Nel marzo 1886 i disegni esecutivi vengono approvati con un'ennesima variante che porta l’altezza della Mole da 146 metri a circa 153. Il 23 febbraio 1887, il violento terremoto che colpisce Torino lesiona anche la Mole, mettendo in risalto le zone di minore resistenza, in particolare la tendenza alla deformazione del volto e Antonelli ne approfitta per riparazioni e rinforzi statici introducendo nuove concatenazioni metalliche, senza mostrare alcuna preoccupazione per la stabilità dell’edificio. Il 24 luglio 1887 Antonelli sale per l'ultima volta, trasportato a braccia, fino a 149 metri di altezza, in cima alla sua Mole. Nel febbraio del 1888,pochi mesi prima della morte, decide di sostituire alla stella d’Italia, prevista al vertice della guglia, il genio alato dei Savoia, ma morirà prima che venga posato.
Il dopo Antonelli
Antonelli lavorò fino alla sua morte, avvenuta nell'ottobre 1888, ma non riuscì a vederne il completamento. Fu il figlio Costanzo, subentrato nella direzione dei lavori, a completare la punta della guglia con il genio alato, una scultura in rame sbalzato e dorato, dello scultore Fumagalli, dal peso di 300 Kg, con un globo luminoso elettrico, innalzata il 10 aprile 1889. Così ultimata all'esterno la Mole raggiunge un’altezza complessiva di 163,35 metri, diventando l’edificio in muratura più alto d’Europa. Negli anni a seguire procedono i lavori di finitura che devono tenere conto della destinazione degli ambienti a museo e sarà proprio attorno alla decorazione dell'aula, che si aprirà una insanabile controversia tra Costanzo Antonelli, fedele esecutore delle idee del padre e custode dell’immenso archivio, che porterà alla sua revoca dalla direzione dei lavori, nel settembre del 1900. Nell’aprile del 1903, viene indetto un concorso di progettazione per la decorazione interna del grande salone, che viene vinto dal giovane architetto Annibale Rigotti, che realizzerà l’intervento a partire dal 1905 e nel 1908. L'11 agosto 1904 un violento nubifragio fece crollare la statua del genio, che rimase in bilico sul terrazzino sottostante (ed è conservata all'interno della Mole) e che venne sostituito l'anno successivo da una stella a cinque punte, opera dell'ing. Ernesto Ghiotti, posta in opera con un allungamento della cuspide portando l'altezza a 167,5 metri. Terminati i lavori, il 18 ottobre 1908 il Museo del Risorgimento viene inaugurato nei locali della Mole, con l’enorme aula del tempio che rimane vuota, destinata a cerimonie patriottiche. Nel 1929 la Mole viene chiusa in vista di lavori di rinforzo strutturale, che verranno realizzati su progetto degli ingegneri Alberto Pozzo e Giuseppe Albenga, con massicce strutture di calcestruzzo armato, coprendo buona parte dell’originale muro in mattoni e tutte le decorazioni. Nel 1938 il Museo del Risorgimento fu trasferito a Palazzo Carignano. Il 23 maggio del 1953 un altro violentissimo nubifragio, che fece in Torino 6 morti e cento feriti, spezzò la guglia facendo precipitare 47 metri di cuspide nel cortile sottostante. La sua ricostruzione terminò nel 1960 con lo scheletro rinforzato con un’armatura metallica rivestita in pietra e la stella venne sostituita con una a 12 punte tridimensionale. Nel 1964 entra in funzione un ascensore per raggiungere il Tempietto a 84 metri di altezza e nel 1987 fu costruito un secondo ascensore. Nel 1995 l'Amministrazione Civica incarica gli architetti Antes Bortolotti e Gianfranco Gritella, di un progetto di restauro che riguarda, oltre alla trasformazione impiantistica, l’adeguamento alla normativa per il superamento delle barriere architettoniche e per la sicurezza antincendio, il restauro delle decorazioni, il consolidamento della volta, la realizzazione di una scala elicoidale sospesa che porta i visitatori fino alla quota degli archi parabolici, per la trasformazione in Museo Nazionale del Cinema, che, inaugurato nel 2000, è uno tra i più importanti al mondo
La configurazione strutturale La costruzione è composta da quattro parti sovrapposte: 1. Il basamento dell'opera, composto dai primi tre piani; 2. la grande sala; 3. Il grande volto, 4. Il cupolino e la guglia. Il basamento dell'opera: lo scavo ed i pilastri La quantità delle condizioni richieste, in un lotto relativamente piccolo, portarono l'Antonelli a stabilire il tempio al disopra d'un gran basamento, quadrato, di circa 2.400 mq. alto m. 10,08 dal suolo e di dividerlo in due parti formanti due piani, alti m. 5,04 ciascuno, che con i sotterranei contenessero tutti i locali richiesti, all'infuori della gran sala; con l'addizione di un grande pronao sulla facciata principale, e con due avancorpi alle estremità orientali dei due lati. Lo scavo generale per i sotterranei fu di quasi 11.500 metri cubi, poi vennero scavati i pozzi per le fondazioni dei 68 pilastri portanti l'edificio, a profondità tra i 5 ed i 9 metri sotto il futuro piano pavimento del sotterraneo, rivestendoli per sottomurazione, con una muratura cilindrica in mattoni ad una testa, procedendo per anelli di un metro circa, fino al fondo del pozzo, il riempimento fu fatto con pietrame e mattoni, preventivamente puliti e lavati con cura, provenienti dalla demolizione di un antico muro di fortificazione che attraversava il lotto. L'ossatura di questo basamento, è costruita seguendo un principio che troveremo in tutta l'opera, che è quello di farla portare da robusti pilastri, detti dall'Antonelli "fulcri", i quali vengono fra loro collegati con robusti archi, provvisti di appositi tiranti. Sugli archi posano le volte che sorreggono i pavimenti dei diversi piani ed i vari locali, sono realizzati con pareti sottili non portanti. I 68 pilastri al piano sotterraneo hanno le seguenti dimensioni: 1,20x1,20 i 20 delle 4 file del quadrato interno, gli 8 delle due file mediane e 2 sporgenti posteriori; 1,80x1,20 gli 8 pilastri d' angolo; 1,80x1,10 i 6 pilastri di fronte a quelli che reggono le colonne del pronao 1,80x 1,50 tutti gli altri pilastri di perimetro Tutti i pilastri di periferia conservano sezione retta quadrangolare simile, e solo rastremandosi passano ai piani superiori; i venti pilastri del quadrato interno e gli otto delle due file mediane si trasformano nel piano terreno e primo in colonne del diametro di metri 1,20. I venti pilastri che sostengono il gran volto, nascono dalle fondazioni con un lato di m. 1,20; al piano terreno e primo diventano colonne di diametro m. 1,20, proseguono per un tratto di m. 4,05 al piano della gran sala col diametro di un metro, poi per l'altezza di quella che doveva essere la galleria delle donne, hanno diametro di 80 cm. quindi si convertono nuovamente in pilastri per due ordini successivi e si riducono alla partenza del volto con un lato di 64 cm. Venti sostegni, fiancheggiati e rinforzati, tratto tratto, da archi e piattebande e legati con chiavi. Sul perimetro, e per tutta l'altezza del sotterraneo, nei vani tra un pilastro e l'altro il terreno è sostenuto da un muro verticale arcuato verso terra dello spessore di m. 0,24; disposizione che oltre a vincere la spinta del terreno, con il minimo di muratura, guadagna fuori della base dell'edificio uno spazio necessario per le finestre orizzontali che danno luce ai sotterranei. Archi sono gettati tra un pilastro e l'altro per tutta la pianta dell'edificio, e suddividono l'area dei tre primi piani in 33 quadrati, che vengono coperti con volte a vela, e 10 rettangoli che corrispondono alle parti laterali della pianta della gran sala pure coperti con volte a vela speciale Pianta de sotterraneo e del secondo piano (Fonte: tesi Crescentino Caselli, op. cit.)
La grande sala e l'imposta del grande volto Sopra a quello che abbiamo chiamato il basamento vi è il piano della grande sala, ovvero il sacro tempio propriamente detto. La pianta della sala è formata essenzialmente da un quadrato che riproduce quella dei piani sottostanti, salvo che qui mancano le due file dei fulcri centrali, lasciando un quadrato libero di 27 metri di lato. I fulcri laterali formano uno spazioso corridoio largo 5,40 metri, su cui, all'altezza di m. 5,04 dal pavimento della sala, è ricavato un loggiato grandioso, alto m. 9,50, che nella primitiva destinazione dell'edificio doveva essere il matronèo (galleria delle donne). Su questo loggiato vi sono ancora due ordini di gallerie, di minore importanza, destinate a contenere il pubblico che volesse assistere alle funzioni. Tralasciando il Pronao ed i due annessi posteriori, si può considerarne l'ossatura come formata da 20 colonne isolate al perimetro interno, e 28 pilastri murati sul perimetro esterno. Le 20 colonne interne, che corrispondono alla galleria delle donne, portano venti piattebande e un cornicione, sui 28 pilastri esterni ricorrono altrettante piattebande della stessa grossezza delle prime, con all'esterno un cornicione alto 1,50 metri. Ventiquattro archi trasversali sono gettati dalle 20 colonne interne ai 24 pilastri perimetrali esterni . Il piano della galleria delle donne è sorretto da 24 volte a vela e altre 24 volte simili sono impostate nel quadrato di metri 4,55 di lato che viene determinato dalle due piattebande di fronte e dai due archi trasversali, sopra menzionati. Questa ossatura generale è poi contrastata da altre 28 piattebande perimetrali esterne che portano nella loro altezza il cornicione del primo ordine maggiore esterno e che con tre altri archi per ciascuna formano, internamente, l'intelaiatura delle volte a bacino sotto la galleria delle donne. Sulle colonne e pilastri il pulvino di tutti gli archi e piattebande è sempre rinforzato da un robusto legamento di gneis, inoltre tutte le piattebande principali hanno nella parte interna un aumento di spessore che funziona quasi come un arco scaricatore. Le colonne di ordine corinzio che costituiscono la galleria sono sostenute da 20 colonne tozze alte 4,05 metri e di un metro di diametro, che determinano un peristilio di rigiro alla sala per gli uomini, e costituiscono come piedestalli delle colonne corinzie medesime, alte 9,50 metri e che misurano all'imoscapo un diametro di 80 cm. Tutti i muri di chiusura perimetrali delle campate tra un pilastro e l'altro hanno uno spessore di due teste e, con un opportuno sistema di piattebande secondarie ed archi di scarico, che si ripetono ai vari piani, portano il loro peso sui pilastri perimetrali. Sopra il cornicione di coronamento esterno, per impostare la partenza del grande volto, Antonelli prevede una struttura che gli permette la trasformazione dei fulcri. Tra ciascuna delle 20 colonne interne e i corrispondenti pilastri di perimetro realizza un arcone che ha una monta di m. 4,55 dal piano di imposta sulla linea più bassa dell'architrave, con una corda di m. 4,55, uno spessore alla chiave di m. 0,80, che va gradatamente aumentando sui fianchi. Sopra questo arcone, partono due piedritti che distano tra loro 1,80 mt. (la terza parte dell'interasse dei ritti che reggono l'arco medesimo), con quello più interno che si prolunga in alto e costituisce il tamburo della gran volta, mentre quello esterno forma la colonna di una nuova galleria esterna. L'arcone La sua superficie all'intradosso è cilindrica con una generatrice lunga m. 0,85 e una linea direttrice che è una curva a tre centri, la cui parte culminante è un arco di circolo di raggio 90 cm con una ampiezza di 45°, e i cui due fianchi sono due archi di circolo che si raccordano col primo arco e coi rispettivi
piedritti. Sono costruiti in muratura e rinforzati da ben 16 legamenti di gneis che ne attraversano tutto lo spessore.. A 2,40 mt. sotto la chiave di quest'arco c'è un'altra chiave doppia in ferro ed un'altra 80 centimetri più in basso per trattenere i suoi fianchi con lunghi bolzoni. Un'altra chiave speciale più alta unisce il fianco interno dell'arco al proseguimento della colonna interna che lo porta. Sia la parete interna che Ia galleria si devono estendere sulla campata tra gli arconi, che è di m. 5,40, per questo l'Antonelli ha previsto due archi trasversi gettati da un arcone all'altro impostandosi sulle facce verticali di questi su cui si impostano due nuove file di fulcri minori con interasse costante di m. 1,80. Di questi fulcri, 68 reggono i piedritti della parete che chiamiamo tamburo, e 76 sul perimetro esterno, reggono le 76 colonne della galleria. Nei rettangoli formati da ciascuna coppia di archi trasversi e dai due arconi che li portano sono gettate tante voltine a vela, sulle quali è poi posato il pavimento. Ai quattro angoli invece di realizzare l'arcone sulla diagonale, per dare partenza ai nuovi fulcri d'angolo, Antonelli ci sorprende ancora, perché dal pilastro esterno d'angolo fa si sorgere un arcone, il quale però si ripartisce subito in due archi sghembi, ognuno dei quali sviluppandosi va ad allacciarsi alla faccia verticale del vicino arcone retto, ruotando su se stesso con il piano di posa dei mattoni da verticale ad orizzontale. L'asse di questi due archi è una curva sghemba e incurvandosi con la convessità all'infuori, vanno a coprire i punti ove partono i tre assi dei nuovi tre fulcri d'angolo. Nel mentre che si costruivano questi archi sghembi, nello spazio interno tra di loro ed i due arconi trasversali delle due campate d'angolo interne, veniva realizzata una corona circolare. L'insieme poi di corona e archi è legato da un insieme di catene in ferro nascoste, rendendo il tutto rigido e indissolubile, ingannando i molti che pensano che i fulcri minori di angolo poggino sulla superficie di una volta a vela. Anche nell'angolo, Antonelli mantiene quindi una struttura leggera e traforata a giorno, che non carica l'edificio del peso di un solo mattone in più, e che gli permette di dare passaggio, nell'interno della corona circolare, ad una scala a chiocciola del diametro di metri 1,92.
Il progetto della Sinagoga di Torino presentato da Alessandro Antonelli nel 1862. Ricostruzione del prospetto-sezione di Franco Rosso (in Franco Rosso, Alessandro Antonelli e la Mole di Torino, 1977) Molto è cambiato rispetto al progetto presentato dall'Antonelli al consiglio Israelitico, e tutto in funzione di una grande cupola, mai vista prima Il grande volto Dato che lo spazio doveva rimanere completamente libero, non era possibile costruire una volta tradizionale che avrebbe richiesto catene in vista o contrafforti esterni per contrastarne le spinte. Antonelli sapeva da tempo come risolvere questo problema, forte della sua esperienza nella costruzione delle volte, avvalendosi della possibilità di mantenere in equilibrio la muratura, non eccedendo il limite entro cui è possibile che un mattone, posato sopra un letto di calce, non disposto in piano, resista allo scorrimento. Tale limite sapeva essere di 30° circa sull'orizzontale.
Nasce così questa volta a padiglione, composta da quattro fusi cilindrici, posata sul lato del quadrato interno della gran sala e con una monta tale che il giunto superiore, non eccedesse questo limite di inclinazione, ottenendo di posare sulla cupola un cupolino colla larghezza interna uguale all'interasse dei fulcri (m.5,40) dando alle pareti del volto uno spessore uguale alla terza parte di questo interasse (m.1,80). Il peso di questi quattro fusi viene tutto trasmesso ai venti fulcri per mezzo di un articolato sistema di costole e fasce, che insieme alle superfici interne ed esterne del volto, composte da una vela di mattone ad una testa, formano una straordinaria struttura cellulare, di spessore 1,80 metri, come vedremo in dettaglio nel seguito.
Schema grafico della curvatura e sezione della struttura cellulare della volta. da Ing. Giuseppe Gioacchino Ferria La Mole Antonelliana, 1888 Op. Cit.
La struttura cellulare è composta da due volte di mattoni ad una testa, distanziate tra loro 180 cm, irrigidite da un reticolo di costole e fasce, che ne scaricano il peso sui 20 pilastri sottostanti, e collegate tra loro con regolarità, da un sistema di connessioni ad arco dritto-rovescio con catene in ferro. Il volto interno. Venti costole interne, di cui quattro angolari, nascono sui venti fulcri e si sviluppano ciascuna in un piano verticale normale alla superficie cilindrica del volto; hanno una sezione rettangolare con una larghezza di 40 cm ed emergono di 26 cm dalla superficie interna del volto; e sono in sostanza tanti archi retti, di cui i mattoni fanno letto continuo coi mattoni dell'involucro e che si collegano, come vedremo nel seguito ad altrettante costole sul lato esterno del volto. Tra queste costole, che chiameremo principali, se ne intercalano due altre minori, alla distanza quindi di 180 cm. La cui larghezza è di 16 cm ed escono di 13 cm dall'estradosso del volto. In aggiunta a queste, su ogni lato interno del volto, da ciascuno dei 4 fulcri intermedi, nascono 2 fasce inclinate sui due lati che si elevano incurvandosi nell'assecondare l'andamento del volto, ed intersecandosi due a due vanno tutte a finire a diverse altezze, contro altre fasce che nascono sui quattro fulcri di angolo. Queste fasce, che hanno sezione retta a T di larghezza 74 cm e sporgono dall'intradosso del volto, lo spessore del gambo di 26 cm, sono generate geometricamente da un segmento di una elisse direttrice di semidiametro minore pari a m. 74,88 e maggiore di (74,88 x √2=) m. 105,58, e suddividono la superficie di un fuso del volto in 15 figure curvilinee, con all'interno delle cinque parti più basse dei finestroni alla guisa di cinque lunette. Per evitare che le sottili pareti interne a ciascuna maglia,facessero sacco e cadessero dentro la sala, furono costruite, in realtà, non come una scorza cilindrica, ma come una volta a vela, con pochissima monta di cui non ci si avvede, ma sufficiente per impedire la deformazione temuta. Il volto esterno Presenta sull'esterno una superficie liscia, ed è più semplice per la mancanza delle fasce inclinate, mentre vi sono nell'intradosso il complesso di costole maggiori e minori, poste di fronte alle costole estradossali del volto interno, con le quali corrispondono anche per larghezza e per emergenza dalla superficie.
Tra ciascuna delle costole principali dell'estradosso del volto interno e la corrispondente del volto esterno, a distanze regolari, non maggiori di 4 metri, sono formati degli archi diritto-rovesci, dello spessore in chiave di 48 cm, con all'interno una catena in ferro che attraversa tutto lo spessore dei due' volti. Ciascuno di questi archi, blocca le due facce delle costole e quindi le due vele del volto impedendone l'avvicinamento e l'allontanamento. L'insieme delle due costole e di tutti i suoi archi diritto-rovesci forma un elemento strutturale rigido e leggero, che costituisce l'ossatura principale dell'opera. Tra questi elementi sono gettate delle voltine a botte, con le generatrici normali alle superficie concentriche dei volti, che formano all'interno delle due superfici un reticolo cellulare con tanti anelli quadri che, per l'impiego di catene e bolzoni, rendono la struttura leggera ed estremamente resistente anche alle possibili spinte orizzontali. Infatti all'altezza dei vari ambulatori vi sono intelaiature di ferro, destinate ad contrastare le grandi spinte che la elasticità di un organismo così sottile doveva necessariamente far nascere. Queste intelaiature sono formate da una prima fasciatura quadrata corre lungo l'estradosso; un'altra concentrica corre lungo l'intradosso ed ogni costola viene legata ad entrambe per mezzo di due robusti bolzoni, che sono uniti tra loro da una chiave trasversale all'intercapedine. Inoltre ognuno dei 4 vertici della fasciatura interna è legato con 2 tiranti ai 2 bolzoni più vicini della fasciatura esterna; cosicchè ognuna delle intelaiature rappresenta un complesso di linee, che formano due quadrati e due dodecagoni, opportunamente legati insieme in quel modo che si vede sulla figure. (fig. 24-26 tratta da Ferria op. cit e successiva tratta da Mollino op.cit.). Per completezza è necessario sapere che prima di iniziare la costruzione del volto, già costrutti tutti gli archi parabolici e fatto il basamento della galleria esterna, impostata sugli arconi, ne fu impedita la costruzione, per ragioni economiche. Questo creò un grave ostacolo nell'avanzamento dei lavori perché non si poteva più fare affidamento sulla sua azione di contrappeso. Antonelli allora prolungò i fulcri interni fino a incontrare gli archi esterni delle costole, ad 11 metri dalla partenza del volto, realizzando un meccanismo che riporta tutti i carichi superiori, prevalentemente sulla costola interna. A questa quota pone infatti dei mensoloni di granito passanti ed un cordolo diagonale (vedi punto M di figura), e quindi, a partire da questo punto, tutto il peso del volto si trasferisce principalmente sui 20 pilastri principali interni.
Il manto di copertura esterno è composto da costoloni di granito in corrispondenza delle costole interne, e quindi ad interasse di 180 cm, con gli spigoli più interni tagliati a zig-zag in modo da ricevere lastre di pietra sottili che poste a scaglia di pesce coprono lo spazio tra le costole. I vari pezzi delle costole di granito sono tenuti da chiavarde di ferro, strinte con bietta alla superficie interna delle costole del volto esterno e che all'esterno vanno a costituire tanti punti di attacco per rendere comodamente praticabile la superficie esterna del volto. I ponti di servizio per la parte esterna si spinsero solo fino all'altezza del cornicione di coronamento del secondo ordine, mentre quelli interni principali arrivarono ad un'altezza di 75 metri dal suolo. Un'opera così complessa nel risultato è invece risultata semplice nell'esecuzione, affidata ai muratori sotto la guida del capomastro Carlo Stellio di Biella. Non occorse nessuna armatura per l'esecuzione, ma solo l'utilizzo di dime per definire la curvatura degli elementi, cosicché tutto si svolgeva con squadre di operai che lavoravano alla costruzione di murature poco diverse dall'ordinari. Per tutto lo sviluppo della costruzione, mentre una squadra di circa 20 muratori lavorava per una campata di circa un metro su una quarta parte dell'edificio; una squadra di carpentieri costruiva i ponti di servizio nella quarta parte opposta, e così di seguito in un giro a spirale fino alla sommità. I materiali approvvigionati nel piazzale di base, venivano movimentati con appositi vagonetti su rotaie ferrate, e portati alla base del punto d'attacco della fune del verricello e sollevati con più di due ricambi di verricello.
Nel grafico, tratto da Ing. Giuseppe Gioacchino Ferria La Mole Antonelliana, 1888 Op. Cit. assonometria dell'apparecchiatura strutturale cellulare del grande volto. Il cupolino e la guglia. Bisogna premettere che chiamare cupolino questa torre di oltre 81 metri, che si eleva per un'altezza pari a tutta la parte sottostante, è sicuramente improprio, e che continuiamo ad usarla, solo perché ci manca l'autorità per nominarla diversamente, vediamone in dettaglio la costruzione. La chiusura superiore del volto, ad oltre 82 metri dal suolo, presenta un quadrato di lato interno di metri 5,40, con quattro piattabande con cui terminano i fusi e che portano il cornicione con attico di coronamento del volto, e all'esterno un grande cornicione e il ballatoio della lanterna, composta da 20 colonne esterne e 12 interne e che con 12 finestroni illumina la parte superiore del volto.
Il cupolino, la cui costruzione è iniziata nel secondo semestre 1881, si presenta come una esile e slanciata costruzione, via via assottigliandosi per un seguito di piani decrescenti. Sopra il tamburo quadrato, di completamento della cupola, si aprono le volute di 24 grandi mensole per sorreggere una più vasta piattaforma, con balaustrata di pietra, che può dirsi la vera base del cupolino a quota 85,85 metri da terra. Questo nella sua parte più bassa presenta la forma di un tempietto, che ripete il motivo del pronao, a doppio ordine di colonnati, coronato da quattro frontoni triangolari, sulle cui falde di copertura s’innesta una copertura a tronco di cono, che segna la trasformazione della pianta quadrata in circolare. Un balcone sporgente è la base di un altro piano con due colonnati concentrici di otto colonne ciascuno ed all'interno la scala doppia, a salire e scendere. Sopra una nuova e spaziosa rotonda con balaustrata di pietra con statue di angeli che suonano la tromba ed un nuovo piano di sole otto colonne con ancora all'interno la scala doppia, che porta ad un ripiano con ringhiera, dove si trova una specie di chiosco ottagonale, più basso rispetto alle parti inferiori, le cui pareti interposte tra otto colonne sporgenti angolari, hanno vani a guisa di porte e finestre. Da qui un attico circolare con 24 mensole sul quale s’imposta una snella cuspide ottagonale tronca, tagliata da tre semplici terrazzi di ferro a varie altezze, e che si allarga in cima in un vasto balcone che costituisce l'ultima meta per i visitatori. La cuspide doveva terminare a punta, ma poi, per poter lasciare internamente uno spazio sufficiente alla continuazione della scala. Venne eseguita tronca in sommità e costruita con l'ossatura costituita da otto costole di muratura, foderate internamente da liste di pietra e con gli angoli esterni convenientemente smussati per l’adattamento delle lastre di 2, 5 di spessore , della copertura in cui sono presenti tre occhi di grandezza decrescente. Una lama di ferro di mm. 60 X 10 scorre dall’alto al basso su queste costole, all'interno la scala a chiocciola, che porta all'ultimo balcone circolare, alla quota di metri 145,66, del diametro di circa m. 3,40 tutto di lamine di ferro piegato con molti giri di volute, in grado di ospitare comodamente 25 persone a godere lo spettacolo dello splendido panorama della città e dintorni. Da qui nasce, mi si perdoni, il cupolino del cupolino, l'ultima parte della Mole, a cui per dovere di cronaca si oppose la Commissione d'ornato del municipio, ma che dovette fare buon viso alla volontà dell'ormai novantenne progettista. Si incomincia con otto colonnette isolate di granito rosso, che sostengono una trabeazione circolare, base di una piramide ottagonale alta 4 metri, coronata da balconcino con ringhiera e 9 pavimento di ferro, a cui si arriva con l'ultima scala di 22 gradini che porta al livello di m. 149,09. Vi si imposta un piedistallo con diametro di 56 cm. di granito rosso con capitello di granito bianco da cui si elevano 8 colonnine di ghisa in parte nascoste da 4 stemmi della città di Torino, che sostengono la base in ferro di sostegno del genio alato. La statua giunse dall'interno fino al tempietto, poi fu issata esternamente con corde, accompagnadola sui vari balconi a mezzo delle impalcature di servizio, ancora presenti. Come già detto l'innalzamento ebbe luogo il 10 aprile 1889, Antonelli morto da poco, non senza che si verificasse qualche ammaccatura. Disegno del cupolino da Adolfo Frizzi, 1890 op. cit
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Antonelli godeva di una certa celebrità per le scale a sbalzo. Anche nella Mole si presentano molto bene, eleganti, con pedata comoda e si salgono senza difficoltà, essendovi sempre un'ampia anima interna, che quasi non si considerano come scale a chiocciola.
Riferimenti bibliografici David Wendland Systematic underestimation of the thrust of vaults among some builders of the 19th century Università di Stoccarda Published 2007 Engineering DOI:10.18419/opus-54 Corpus ID: 7947201
Giuseppe Maria Pugno Storia del Politecnico di Torino Dalle origini alla vigilia della seconda guerra mondiale 1959 Stamperia Artistica Nazionale , Via Carlo Alberto 28 - Torino
Crescentino Caselli Architettura e Costruzione Il Tempio Israelitico in Torino del Prof.cav. Alessandro Antonelli L'ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno I Torino, 1 giugno 1875 N. 6. Pag. 82-89
Esplorando tra le carte. La Mole Antonelliana. Documenti in mostra. Torino, Archivio Storico della Città. 10 dicembre 2013 - 28 febbraio 2014 Numero 6 - SPECIALE a cura di Luciana Manzo Rivista museo Torino Dicembre 2013 ISSN 20384068
Il Tempio Israelitico in Torino Architettura del Prof. Cav. Alessandro Antonelli Dissertazione presentata alla Scuola d'applicazione per gl'Ingegneri in T orino per ricevere il Diploma di laurea d' Ingegnere civile da Caselli Crescentino da Fubine Stamperia Reale di G. B. Paravia e co. Torino 1875. Corrado Gavinelli La modernità del sistema costruttivo antonelliano e la sua verifica empirica nelle volte del Santuario di Boca Costruire in Laterizio n.30, 1992 Carlo Mollino Incanto e volontà di Antonelli Torino Rassegna mensile della città Anno XXI maggio 1941 XIX numero 5 Vittorio Gregotti, Aldo Rossi, L’influenza del romanticismo europeo nell’architettura di A. Antonelli, in “Casabella-continuità”,n.214, marzo 1957 Franco Rosso, Catalogo critico dell'archivio Alessandro Antonelli. Vol.I, I disegni per la Mole di Torino, Museo Civico, 1975 Franco Rosso, La Mole Antonelliana un secolo di storia del monumento di Torino, Museo civico di Torino, 1976 Crescentino Caselli, Biografia Alessandro Antonelli, architetto, in Il secolo di Antonelli Novara 1798-1888, Novara: De Agostini, 1988 Roberto Gabetti Problematiche Antonelliane Atti e Rassegna Tecnica della Società Ingegneri e Architetti in Torino N. 6 Giugno 1962
Mauro Volpiano 1862-1903. La Mole Antonelliana Da Sinagoga a Museo Nazionale dell’indipendenza Italiana 2004, Città Di Torino – Presidenza Del Consiglio Comunale/Archivio Storico Nuova Edizione, Dicembre 2004. Tipografia Stargrafica – Grugliasco (To) Isbn 88-86685-69-6 Ing. Giulio Marchesi Architettura - Tempio Israelitico in Torino del Prof. Cav. Alessandro Antonelli. L'Ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno I Torino, 1 Aprile 1875 N. 4. pag. 49-52 Firenze, 19 febbraio 1875 Ing. Giuseppe Gioacchino Ferria Costruzioni Civili - La Mole Antonelliana L'ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno XIV. Torino, Marzo 1888 N. 3. Pag. 3338 Adolfo Frizzi Costruzioni Civili - il cupolino di compimento della mole Antonelliana Cenni generali illustrativi L'Ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno XVI Torino, Gennaio 1890 N. 1. pag. 1-9 Anno XVI Torino, Febbraio 1890 N. 2. pag. 1721 Annibale Rigotti Ricordo di un architetto moderno italiano dell'800: Alessandro Antonelli; Rivista Architettura, Roma, luglio 1942, p. 232·3. Ilaria Fiore, Federica Stella, Politecnico Torino Torino e la Mole - Architettura, letteratura, cinema e società di un simbolo turistico. Atti congresso Territorios del Turismo, Girona 2014
Giuseppe Magistrini
(Maggiora 1801 - Oleggio 1870)
Più giovane, di pochi anni, di Alessandro Antonelli, probabilmente amici fin da piccoli a Maggiora. Giuseppe non è di famiglia agiata, studia quanto gli è possibile per poi formarsi alla scuola diretta di un artigiano falegname. È dotato di una genialità che lo porta a numerose invenzioni. Nel 1827 inventa un sistema di protezione delle sponde dalle piene, con dei cavalletti in legno e tavolato, posti in modo da stabilizzarsi al seguito dell'aumento della corrente. Sistema molto economico rispetto alle altre opere in essere. Il tutto presentato ed approvato da S.M. Carlo Alberto ed impiegato in molti casi, con successo. Intanto comincia a lavorare anche con Antonelli e nel 1832 è il capomastro nella costruzione dell'altare del Duomo di Novara. Il colossale altare del Duomo di Novara, che per le belle sue proporzioni cotanto elegante si mostra ... Gli studi profondi fatti dall'architetto Antonelli su gli avanzi di Roma antica ... romano fu pure il sistema di costruzione adottato ... dato bando al meschino sistema delle impallacciature, si composero le varie sue parti con massi voluminosi di marmo addentellati , e tra loro in singolar modo concatenati, come di leggieri rilevare si puote dallo scomponibile modello in legno ingegnosamente dal maestro legnaiuolo Giuseppe Magistrini operato, che per i suoi meccanici talenti si può 10 chiamare il Zabaglia novarese. Il Duomo e le sculture del corpo di guardia in Novara Antonio Bianchini , Tip. Alberto Ibertis, successore Rasario, 1836 Nel 1833, inventa una macchina per fare viti e di madreviti. Partecipa all'Esposizione di Torino del 1838, con due soggetti: un esempio dimostrativo del suo sistema per la difesa degli argini dalle piene, ed il modello di un coperchio di chiavica stradale antiesalazioni. Risulta assegnatagli Medaglia d'oro e Menzione d'onore. Dal catalogo dei prodotti dell'industria de' Regi Stati alla Pubblica Esposizione dei prodotti dell'industria dei Regi Stati, 1838 355. Piano dimostrativo in rilievo di Parpanese, frazione del comune di Arena sul Po, provincia di Voghera, e modelli di ripari in legname, eseguiti nel 1837 per difendere dalla corrosione i fabbricati ed i terreni di quel luogo; del sig. Giuseppe Magistrini, di Novara, Ajutante del Genio civile. 551. Modello di legno, dell'imboccatura di una chiavica, chiuso da una valvola sferica di metallo per impedire le esalazioni nocive; proposto dal sig. Giuseppe Magistrini, di Novara, Ajutante nel Corpo Reale del Genio civile. Nel II Congresso degli scienziati italiani, che si tiene a Torino dal 16 al 30 settembre 1840, la commissione, presieduta da Giuseppe Potenti è incaricata di esaminare la sua memoria sulle tecniche da lui ideate per impedire le devastazioni di fiumi e torrenti, cosa che avviene nella seduta del 26 settembre 1840.
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Nicola Zabaglia (Roma 1664-1750) popolano analfabeta, definito poi ingegnere, per le sue numerose opere in legno per la manutenzione della cupola di San Pietro a Roma. Tale la sua fama che nel 1743 fu stampato il libro: Castelli, e ponti di maestro Niccola Zabaglia con alcune ingegnose pratiche, e con la descrizione del trasporto dell'obelisco vaticano, e di altri del cavaliere Domenico Fontana./ In Roma, MDCCXLIII. Nella stamperia di Niccolò, e Marco Pagliarini mercanti librari, e stampatori a Pasquino.
Intorno al 1942 presenta l'invenzione di un carro a tre ruote, in grado di muoversi agevolmente e senza arrecare danno alle coltivazioni oltre a sistemare, transitandovi le strade inghiaiate.
Carro a tre ruote, invenzione del sig. Giuseppe Magistrini (Repertorio d'Agricoltura T.XIV, pag. 107) Questo carro ha tre ruote. La ruota davanti dà il moto rotatorio sopra sè stesso, il quale facilita di rivolgersi a tutta sterza ed anche dippiù, e nel tempo stesso ha il moto di rotazione, che serve a trascinare tutta la macchina, o carro, facilitandone il movimento del medesimo. Lo scopo di codesta invenzione si è di poter correre fra le strade tortuose delle campagne, trasportandovi oggetti di grosso volume e di straordinaria lunghezza: ciò che non si potrebbe ottenere col metodo antico, e coi carri sin qui praticati; ed appiana nel tempo stesso le strade per cui passa, avendo la faccia delle ruote a grandi quarti. Le due ruote di dietro sono di 30 centimetri cadauna e quella davanti di 35. Essendo in numero di tre, ne viene in conseguenza, che passando quella davanti nel mezzo delle altre due laterali forma un cilindramento sulla strada di 95 centimetri, motivo per cui si può passare per i campi e prati, senza che i cerchi delle ruote aprano solchi nel terreno e danno del coltivato. È utilissimo questo carro nella strada ghiajata, perchè appiana la medesima senza stritolarla o seppellirla nella terra ... " La terza ruota posta nel davanti del carro è della medesima grandezza di quelle di dietro. Ed ha tutta la sterza in ogni parte. Era un problema difficile a sciogliersi, perché si videro altre macchine a tre ruote, ma la ruota di sterza era di un diametro assai minore delle altre, come sono le ruote davanti dei carri, affine di potersi rivolgere sotto l'ossatura del carro, presentando perciò maggior resistenza allorché le cariche sono costrette a vincere le ineguaglianze del suolo". Nel secondo Tomo degli Atti della Società Patriotica di Milano 1789 si trova già descritto un carro costruito con tre cilindri invece di ruote, con la differenza che in questo era posto di dietro il terzo cilindro, ed i due davanti a cagione della sterza rimanevano di minor diametro. " Non si riconobbero in questo carro ( che è d'altronde un nuovo ritrovato) tutti i vantaggi che se ne promettevano, ma fu trovato a qualche riguardo vantaggioso; se non più facile ad essere tirato, almeno utile nei prati e nei fondi molli e fangosi". Quello del Magistrini sembra presentare maggiori vantaggi. A.B. Giornale Agrario Lombardo-Veneto Volume decimosettimo Primo semestre 1842
Dal 1843-44 lavora alla costruzione della cupola di San Gaudenzio, che lo impegnerà fino al 1862, quando si ritira per motivi di salute e gli subentra un certo Francesco Pedoja. Ad Antonelli non sarebbe riuscita la costruzione della cupola senza l'aiuto di Giuseppe Magistrini, che ne fu il geniale direttore del cantiere. Senza di lui non sarebbe stato possibile trovare e seguire maestranze abili 11 all'impresa , inventare soluzioni pratiche e risolvere i problemi organizzativi che di volta in volta si presentavano anche per le variazioni proposte, arrivando addirittura ad inventare una macchina che riusciva a piallare i mattoni necessari alla costruzione degli arconi per sostenere la cupola, in modo da ridurre lo spessore della malta. Dal catalogo dei prodotti dell'industria de' Regi Stati alla Pubblica Esposizione dei prodotti dell'industria dei Regi Stati, 1850 431, Macchina per pianare i mattoni; del sig. Giuseppe Magistrini in Torino, regione Vanchiglia, casa propria.
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I lavori erano affidati in economia diretta.
Di Giuseppe Magistrini,è il modello del complesso strutturale in legno, scomponibile. "La Cupola è stata realizzata con un cantiere durato 44 anni in cui non si è registrata nessuna vittima e la chiesa sottostante non è mai stata chiusa. Il museo Antonelliano vuole essere un omaggio all’inventiva dell’architetto e alla genialità delle maestranze che hanno lavorato al suo progetto. La qualità di questo cantiere straordinario si esprime anche attraverso le strumentazioni utilizzate, di alto livello in considerazione alle conoscenze dell’epoca". Paolo Piantanida presidente della Fabbrica lapidea, Quando Antonelli arrivava a Novara in visita al cantiere, entrava in una cabina di legno e si faceva sollevare a braccia fino alla quota, dove con Magistrini controllare da vicino la costruzione. A partire dal 1843 è tra i soci della Società dei Costruttori di Vanchiglia insieme ad Antonelli, che lo coinvolge nelle costruzioni e nelle opere idrauliche necessarie per evitare danni dalla Dora. Giuseppe Magistrini, Relazione di progetto sul modo di sistemare le acque e riquadrare la città di Torino verso il Campo Santo, S.E., Torino, 1856; Tra il 1845 ed il 1858 lavora alla costruzione della chiesa di Oleggio, paese dove andrà poi a risiedere fino alla morte.
Grafico di cantiere del 1846 di Magistrini per la chiesa di Oleggio
Nel 1850 alla Camera dei deputati, viene presentata una sua memoria su una sua invenzione in grado di agevolare le operazioni delle votazioni. IV legislatura del Regno di Sardegna Assemblea di lunedì 28 gennaio 1850 Il ministro dell'interno invia alla Camera una memoria del signor Giuseppe Magistrini, aiutante nel corpo del genio civile, tendente a dimostrare alcuni mezzi da lui inventati per agevolare le votazioni sì palesi che segrete del Parlamento
Muore ad Oleggio nel 1870.
Il sistema Antonelliano All’Ottocento si fa riferire la fine di un mondo antico e l’inizio dell’ingegneria e della nuova architettura. Antonelli è uno dei protagonisti, del tutto originale della fine dell’architettura tradizionale. Nella struttura Antonelliana il muro non esiste più, tutto il peso è concentrato in colonne e pilastri, che chiama "fulcri" ed i muri esterni servono solo per chiudere e per sostenere il tetto. Ai piani, volte estremamente ribassate che sormontano tali fulcri sono sapientemente organizzate: laddove si impostano su pilastri particolarmente snelli, esse vengono controventate con archi in muratura e tiranti metallici; laddove invece è necessaria una luce di ampiezza maggiore, si innestano su pilastri con una sezione più grande. Nelle sue costruzioni più ardite fece uso di "legamenti in ferro", per contenere le spinte ed anche per collaborare con il laterizio nella resistenza a flessione, come nella tecnica del cemento armato. Antonelli progettò molto e calcolò poco, usando però tutte le conoscenze scientifiche del suo tempo. Allora, ma anche oggi, i metodi di calcolo non risolvono tutti i problemi del progetto. Nel suo sistema, il muro non esiste altrimenti che come mezzo di chiusura e di riparo; il sostegno e la solidità della fabbrica è tutta raccomandata a pilastri, che danno punti di appoggio principali, ad archi, i quali formano a loro volta il contrasto dei pilastri, offrono nuovi punti di appoggio quando occorrono, e reggono le volte; l'ordine e l'equilibrio governano ed armonizzano tutte le masse della fabbrica, un complesso di tiranti invisibile, immerso nella massa delle murature stesse, ne completa la solidità, l'invariabilità del sistema meccanico. A partire dal modo di pensare un progetto e tradurlo in linee, alle manovre, ai ponti di servizio ed altri mezzi d'opera, alla formazione delle fondamenta e delle strutture dei piedritti, all'apparecchio delle volte, ai modi di impiego e collegamento del ferro, alla struttura e tracciamento delle scale, al sostegno ed alla formazione della copertura, all'uso delle pietre e dei marmi, all'esecuzione degli infissi di porte e finestre, degli arredi e ai più piccoli particolari dell'uso e della decorazione, al tipo ed alla distribuzione planimetrica ed altimetrica dell'edifizio nelle sue varie specie, alla verità, razionalità del sistema estetico sempre ricavato ed intimamente connesso alla verità e bontà del sistema costruttivo, in tutto ciò insomma che riguarda l'arte dell'architetto, Antonelli ha sistemi, procedimenti e convincimenti suoi particolari, che prima si presentiscono, si intravedono, si iniziano nelle sue fabbriche più antiche, e poi gradatamente si accentuano, si" sviluppano a un rigore scientifico in quelle che vengono dopo. Molti processi di costruzione, alcune disposizioni della casa che Antonelli fa il primo ad inventare o ad 'introdurre in Torino ora sono di uso generalizzato non solo a Torino, ma in altri luoghi d'Italia, e più segnatamente a Roma; alcuni poi dei suoi procedimenti sono così originali, così ingegnosi che vorrebbero essere battezzati col suo nome. Crescentino Caselli Necrologio L'ingegneria Civile e le Arti Industriali anno XIV n. 10 Torino ottobre 1888 Credo sia interessante riepilogare il sistema costruttivo: fondazioni (calcolate e dimensionate esattamente) su archi rovesci o su pozzi: ritti collegati nei piani interrati da lunette a monta ribassata (spessa 25 o 12 cm) adatte a sopportare la spinta del terreno e formanti intercapedine; colonne e pilastri in muratura (se il piedritto è isolato viene quasi sempre trattato come colonna dorica liscia), esattamente dimensionati in base ai soli carichi verticali (le volte non sono mai spingenti): orditi secondo una maglia costante, flessibile alle necessità distributive, secondo una modulazione non imposta al progetto, ma ricavata dalle necessità generali dell'opera; pareti esterne a cassavuota con due muricci di cm 12 (uno esterno e uno interno), legati da gambette ogni 70 - 80 cm; volte a monta ribassatissima a vela o a padiglione, ricavate di quarto senza centine, poggianti su archi a monta ribassatissima e piattabande di gran luce (le spinte sono contenute da catene, scaricate agli spigoli solo sui 4 fulcri angolari); scale in pietra incastrate a sbalzo nei muri d'ambito, con alzate e pedate collaboranti alla stabilità, intonacate inferiormente a onde successive, una per alzata; tetti in legno (solo nel suo messaggio finale, colto da Caselli, A. realizzò in muratura l'appoggio diretto delle tegole); balconi a lastre di pietra poggianti su modiglioni in pietra, incastrate di fianco ai fulcri delle volte. Il sistema distributivo di questi edifici è organizzato su di una fluida disposizione di atri, accessi alle scale, disimpegni ai piani: scale molto larghe, spesso illuminate con lucernario dal tetto (usanza non piemontese). L'interno degli alloggi è a corridoio centrale, la manica doppia o tripla, in funzione della profondità del corpo di fabbrica. ... L'unità dell'edificio è accentuata in altezza dalla decrescente sezione dei piedritti, calcolati come solido di ugual resistenza allo sforzo normale. Così che la struttura è, nel suo complesso, resa perfettamente architettonica, cioè chiusa e compiuta. Roberto Gabetti Problematica Antonelliana, Opera citata 1962
Negli anni in cui frequentavo i corsi all'Accademia, insegnava architettura il prof. Crescentino Caselli discepolo prediletto dell'Antonelli e nell'insegnamento seguiva quasi esclusivamente il sistema antonelliano. Tutti i progetti erano studiati su un reticolato che determinava la posizione dei pilastri, in funzione con gli archi o le piattabande e le volte, perciò la Mole era la nostra meta di osservazione e di studio. Annibale Rigotti Ricordo di un architetto moderno italiano dell'800: Alessandro Antonelli; Rivista Architettura, Roma, luglio 1942, p. 232·3. Le strutture antonelliane s’elevano su pilastri e colonne, detti fulcri dall'Architetto, disposti nella pianta in serie, ad intervalli costanti, secondo uno schema geometrico. Nella cupola di S. Gaudenzio, sopra il tamburo, nascono tre ordini concentrici di 24 fulcri che si innalzano a portare tutta la costruzione. Nella Mole di Torino la struttura è basata su 68 pilastri. Il muro non esiste altrimenti che come mezzo di chiusura e di riparo: il sostegno e la solidità della fabbrica è tutta raccomandata ai pilastri che rappresentano i fulcri portanti, ad archi i quali formano a loro volta il contrasto dei pilastri, offrono nuovi punti di appoggio quando occorrono, e reggono le volte. L'ordine e l'equilibrio governano e armonizzano tutte le masse della fabbrica, in un complesso di tiranti invisibili, immerso nella massa delle murature: stesse, che ne completa la solidità e la invariabilità del sistema meccanico, L'esecuzione è perfetta: basata su di un'accuratissima scelta di materiali, che fece nascere la leggenda che l'Antonelli verificasse tutti i mattoni, uno per uno, e pesasse tutte le pietre; sulla collaborazione di una maestranza devota e affezionata, che credeva ciecamente nell'architetto e lo seguiva religiosamente. Questo è il miracolo dell'ardimento di Antonelli. Insomma ci troviamo di fronte ad una formidabile figura di costruttore e di artista, pieno di fede e di ottimismo, solo nel suo tempo che lo giudicava poco meno o poco più di un maniaco, che con sovrana conoscenza dei mezzi a sua disposizione realizzò la costruzione leggera, elastica, viva nelle sue membrature più essenziali, come neppure la costruzione attuale, con la sua magnifica tecnica, è riuscita a raggiungere. Una lezione di tecnica, una lezione di carattere, una lezione di coerenza. Questa è la lezione di Antonelli. Armando Melis La lezione di Antonelli L'architettura Italiana Rivista Mensile di Architettura Tecnica - Febbraio 1941-XIX Architetto ed operaio. Non solo l'Antonelli, professore di architettura ornato e prospettiva all'Accademia Albertina in Torino dal 1836 al 1857, sapeva dare accuratissimi disegni, particolari costruttivi, modelli ; ma anche computi metrici, preventivi di spesa, capitolati che fecero epoca per completezza e precisione ; curava l'organizzazione del cantiere e la disposizione dei ponteggi; controllava tutti i materiali; durante la costruzione era maestro agli operai, muratori modellatori carpentieri falegnami e fabbri. Sapeva fare, con le sue mani, il lavoro più difficile che l'operaio doveva fare e sapeva trasfondere l'idea nella mente e nelle mani dei collaboratori. Antonelli dispone di abilissimi muratori-artisti. Non solo quei muratori sanno fare il muro e gli intonachi a perfetta regola d'arte, ma coi mattoni costruiscono pilastri, archi, piattabande, volte, cupole; eseguiscono normalmente, con mattoni e calce, cornici mensole dentelli e decorazioni classiche; sanno realizzare colonne perfette che si direbbero in un sol pezzo di pietra o di marmo e poi risultano semplicemente costruite con mattoni e calce. Le sue costruzioni contengono legamenti in ferro, ma questa non è una novità escogitata da Antonelli. Egli seppe intuire la distribuzione di leggère armature in ferro, alte a collaborare col Iaterizio nella resistenza a flessione, come nella moderna tecnica del cemento armato. Esempio, le cinque armature orizzontali nella cupola della Mole Antonelliana, le quali risolvono staticamente il problema della quadratura del cerchio o, più precisamente, della cerchiatura del quadrato. Arialdo Daverio Ispirazione romantica nell'architettura di Alessandro Antonelli Atti e Rassegna Tecnica della Società Ingegneri e Architetti in Torino Nuova Serie - A. 14 - N. 2 - Febbraio 1960
Le volte e le scale dell'Antonelli. 12 É il prof.ing. Crescentino Caselli nella sua dissertazione di Tesi che ci descrive in dettaglio le volte dell'Antonelli ed anche le scale, per le quali godeva di una certa fama. Non vi è motivo quindi per non 13 affidarci alle sue parole, accompagnandole con qualche disegno, rielaborato dai lavori del Gavinelli sulle volte del Santuario di Boca. Antonelli usa un modo speciale di connettere e raccordare gli strati di mattoni che formano il volto a vela con quelli che appartengono ai quattro archi che la volta a vela circoscrivono e sorreggono. Eccone l'idea: Nelle quattro file di mattoni che sono alla periferia interna e all'intradosso dei quattro archi, questi mattoni vengono inclinati per guisa da presentare una serie di sporgenze e rientranze nelle quali poi i mattoni di volto si addentellano. I mattoni che riescono sporgenti hanno una delle faccie inscritta nella superficie d'intradosso del volto, per una porzione emergono dalla superficie di intradosso dell'arco, porzione che poi si taglia collo scalpello. Gli strati di mattoni del volto, a partire dal basso dei quattro angoli si pongono colla faccia di posa inscritta entro tante superficie coniche speciali che presentano convessità verso la chiave del volto, aventi le generatrici normali alla superficie intradossale, e raccordantisi agli estremi coi piani dei giunti di posa dei mattoni che costituiscono gli archi. Con ciò il volto riesce formato di quattro parti contenenti tanti strati concentrici, quasi circolari, di mattoni che si spingono dagli angoli fino a toccarsi due a due nei vertici dei quattro archi; e di una parte centrale quadrilatera curvilinea che riceve tanti altri strati concentrici ai primi, ma limitantisi dove due a due si incontrano man mano sui due archi mediani del volto. Con questa disposizione di cose si sente come il volto riesca solidariamente raccomandato ai quattro archi per guisa da formare con esso come una sol cosa; e che la maggior parte delle spinte si convertano in ispinte parallele ai quattro piani verticali elevati sul quadrato di base, le quali componendosi due a due danno una risultante diagonale che passa precisamente per l'asse di uno dei piedritti. E così l'azione del volto è tutta riferita ai quattro suoi fulcri. Se l'area a coprirsi è rettangolare, il volto risulta composto di due teste che sono la metà di un volto a vela su pianta quadrata, come 'quello di cui si è detto fin qui; e per la parte rettangolare intermedia risultante, i mattoni vengono disposti in tanti strati che sono nei medesimi piani verticali che contengono gli strati dell'arco coi quali si addentellano. Quanto sia vantaggiosa questa pratica lo provano le numerose costruzioni nelle quali Antonelli ne fece uso e che sortì sempre esito soddisfacentissimo. Crescentino Caselli
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Il Tempio Israelitico in Torino, Caselli Crescentino da Fubine Stamperia Reale Di G. B. Paravia E C. Torino 1875. Op. citata Corrado Gavinelli, La modernità del sistema costruttivo antonelliano e la sua verifica empirica nelle volte del Santuario di Boca Costruire in Laterizio n.30, 1992
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Seguono due scritti esaurienti a proposito delle scale dell'Antonelli, entrambi riferiti alla Mole, ma estendibili a tutta la sua produzione, anche di edilizia ordinaria. Le scale in questo edificio, per comodità, lume, forma e dimensioni lasciano nulla a desiderare. Chi è sul vestibolo del primo piano, trova subito accesso ai due scaloni laterali. lo non so se altro architetto abbia già portata la scala a sbalzo alle dimensioni che si riscontrano in questi due scaloni. Occupano una pianta cavata fuori nella larghezza di un interasse di 5,40; hanno una gabbia di soli m. 0,59 ma per la loro ubicazione sono già ampiamente illuminati e spaziati; sono a due rami con ripiani per la reiterazione dei riposi; i gradini sono in granito lavorato a grana fina e misurano due metri fuori del muro; i ripiani sono lastroni di gneis con spessore di m. 012, di un sol pezzo, essi pure portati a sbalzo. Uno di questi ripiani che serve di ritorno misura con una larghezza di 2 metri, una lunghezza di m. 6,50. Non ci voleva meno del buon naso che ha Antonelli nella conoscenza delle pietre per adottare questi pezzi, e non meno del suo giudizio per metterli in opera così bene come si vedono. Dal piano dei sotterranei all'altezza della galleria delle donne contano in tutto questi scaIoni 164 gradini con una alzata di circa m. 0,12 . Crescentino Caselli
Alla piattaforma sopra accennata si accede mediante una rampa rettilinea di 22 alzate che fa simmetria alla scala di arrivo, ossia è collocata a sud. L’ingegnoso principio su cui è fondato il sostegno di questa scala (con piccole varianti ripetuto nelle seguenti) merita di essere specialmente descritto. I gradini sono qui semplici lastre rettangolari di pietra dello spessore di 4 cm. ed affatto isolati dal muro. Due travi metalliche quasi toccantisi, unite a varie riprese fra loro, fisse ai due estremi e disposte inclinate, sono tangenti ai margini interni dei gradini che vi hanno sì un punto d’appoggio, ma non vi sono comunque collegati. Il tenerli fermi, orizzontali ad eguali distanze è ufficio delle ringhiere laterali, che oltre formar difesa dalle cadute per la gente, debbon dunque provvedere alla stabilità e solidità della scala. Constano (fig. 7) di un mancorrente (ferro a T) a cui son fissate delle aste cilindriche di eguale altezza. Una lama o barra parallela al mancorrente è fissata ai medesimi montanti con boloni a vite, che nel tempo stesso trattengono lamine o bandelle disposte diagonalmente da un montante all’altro, come si vede in disegno. Così viene ad aversi un sistema rigido, od in altri termini la ringhiera costituisce un trave metallico a traliccio. Le dimensioni dei pezzi sono scritte sulla figura. Non resta che a dirsi come siano collegati i gradini ai montanti della ringhiera, la quale non ha appoggi che ai due estremi per lungo che sia lo sviluppo della scala. Si guardi perciò il particolare al 1:10 unito alla figura. Due piastrine tagliate in forma di rettangolo colle teste più larghe, rotonde e forate, son tenute a distanza costante da due canaletti verticali entro cui fanno pernio, da un lato l’estremità del montante della ringhiera, dall’altro un bastoncino di ferro sporgente sopra e sotto le piastrine di circa 1 cm. penetrante in apposite corrispondenti buchette scavate nei due gradini che tocca m ed n, riempite poi di cemento. La porzione inferiore del montante è un poco assottigliata per formar battuta sulla piastrina superiore, e termina a vite per poter ricevere, con una rosetta piegata all’insù a guisa di foglia, un dado a madrevite che lega il gradino n al montante stesso. Come si capisce, dove i gradini incontrano queste aste del parapetto, hanno una tacca od insenatura fatta a scalpello, in modo che i margini laterali del gradino sporgono fuori delle ringhiere. Tali sbocconcellature sono nascoste in basso dalla rosetta citata, in alto (ossia per m) da altra simile capovolta e sostenente un bocciuolo scorrevole nel montante. Ripieghi che, consolidando e difendendo le giunture, servono a rendere elegante la scala. Le tre proiezioni ed il particolare annesso varranno meglio di qualunque altra spiegazione. I gradini han qui pedata di 38 cm. In pianta si sovrappongono per 11 cm. All’atto della costruzione si avevano apposite armature di legname e nei canaletti si ponevano provvisoriamente piuoletti di legno. Adolfo Frizzi Costruzioni Civili - il cupolino di compimento della mole Antonelliana Cenni generali illustrativi L'Ingegneria Civile e le Arti Industriali Anno XVI Torino, Gennaio 1890 N. 1. pag. 7
1 edizione 28 Giugno 2020 Alessandro Antonelli Fausto Giovannardi fausto.giovannardi@gmail.com Questa opera è pubblicata sotto Licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/deed.it
La Mole nella foto di copertina è di Leonardo Pires 2011