Paolo chelazzi vol 2 approfondimenti

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Paul C. Chelazzi ed il sogno degli archi sospesi

Approfondimenti La fabbrica di aeroplani SINAW a Nanchang – 1933/34 Lettera di Chelazzi a Gerardo Dottori - Shanghai, 13 dicembre 1940 The Italian Mind 1949 Lettera di Raymond F. Piper 14 gennaio 1954 Dal libro: La Cina. Dai trattati ineguali. Visti in prima persona. (ricordi diplomatici) Emilio Bettini Edizioni Alfa-Beta Bologna Strutture d’archi, cavi e membrane in architettura, di Paolo Chelazzi L’architettura Cronache e Storie n. 1 maggio.giugno 1955 pagg. 67-72 Brevetti Riesaminando progetti urbanistici dopo trent’anni. PERUGIA Rassegna di vita comunale, n. 4-5 Luglio- ottobre 1956 Strutture pensili e sostegni fondali in parete di Paul Chelazzi - L’architettura cronache e storia, n.11 – 1956 Roeblin’s Suspenarch Demonstrated di Burton H. Holmes (Technical Editor di P/A) Progressive Architecture, sept. 1957 Multistory structures di Paul Chelazzi - Progressive Architecture - Ottobre 1959, pag. 166-171 Arch and suspension system di Paul Chelazzi - Progressive Architecture - Febbraio 1960 L’intuizione nel progetto di strutture di William Zuk Progressive Architecture agosto 1960 Una nuova concezione per gli alti edifici di Edward Gamarekian - New Scientist N.281, 5 aprile 1962 - Londra Suspended Buildings di Gordon Michel Rose - Ingegnere civile e strutturale Associato ICE e ASCE Pubblicato nel giugno del 1964 su Proceding of the Institution of Civil Engineers, paper n. 6727


La fabbrica di aeroplani SINAW a Nanchang – 1933/34 Nell’autunno del 1933 il governo italiano invia in Cina due ufficiali della Regia Aeronautica con lo scopo di avviare una collaborazione, riuscendo in breve a prevalere su Americani e Tedeschi, aggiudicandosi l’incarico di razionalizzare e organizzare l’aviazione del governo nazionalista di Chiang Kay-shek. Ad inizio del 1934 l’iniziativa si concretizza nel campo di volo di Nanchang vicino al lago Poyang e poco dopo fu decisa la costruzione di una fabbrica di aeroplani e l’inizio della produzione nell’arco di poco meno di due anni. Per questa struttura industriale, fiore all’occhiello dell’attività aeronautica italiana all’estero, quattro ditte nazionali, Breda, Caproni, FIAT e SIAI, su richiesta del Governo italiano, costituirono il “Consorzio Aeronautico per la Cina”. Il “Consorzio”, chiamato “Aerocina”, ed alla cui guida è l’ing. Luigi Acampora, provvide, assieme al Banco di Napoli, ai capitali necessari, garantiti per il 75% dallo Stato italiano. La fabbrica prese il nome di S.I.N.A.W. (Sino-Italian-National-Aircraft-Works). Il progetto generale è dell’ing. Paolo Chelazzi, che progetterà tutti gli edifici ad esclusione della palazzina per uffici, opera del Maggiore ing. Nicola Galante. Nel suo rendiconto l’ing. Chelazzi riporta le dimensioni dell’intervento: 29 edifici : 4,5 milioni di cu.ft (130.000 mc) 3000 Kw di potenza installata 20 milioni B.T.U. installati 600 ton. impianti d’aria condizionata Rete telefonica Rete di fognature Quartiere per gli operai Forza lavoro impiegata nella punta massima: 10.000 unità Progettato un ampliamento per case per 3.000 operai cinesi


Il progetto dell’ing. Paul Chelazzi


Foto del cantiere


sopra: L’ingresso alla fabbrica sotto. La palazzina uffici


sopra: il reparto apprendisti sotto: il reparto motori


Si trattava di edifici in cemento armato comprendenti alcuni hangars con luci che, a quei tempi, sembravano eccezionali (fig. 2). Mi resi conto dell’inefficienza meccanica dei tipi convenzionali e progettai una travata con trafori circolari in sezioni meno soggette a sforzi taglianti (fig.3) ottenendo così una notevole diminuzione del peso proprio oltre a una migliore diffusione della luce dall’alto. Chelazzi Paolo Strutture d’archi, cavi e membrane in architettura Architettura Cronache e storia n. 1 maggio –giugno 1955 Fig.2 Acs n.1/1955 Stabilimento delle costruzioni aeronautiche in Cina (1934). 29 fabbricati per un totale di 130.000 mc., realizzati a Nanchang in 180 giorni lavorativi.

Fig.3 Acs n.1/1955 - Hangar di montaggio del complesso industriale di Nanchang.


Il 1 gennaio 1935 la SINAW inizia la produzione di aeroplani. Durerà però poco questa importante iniziativa perché il clima politico cambia con l’avvicinamento dell’Italia al Giappone, che il 7 luglio 1937 dichiara guerra alla Cina. Il 15 agosto del 1937 la fabbrica di aeroplani italiana di Nanchang, venne bombardata e ridotta ad un cumulo di macerie. Il 19 dicembre dello stesso anno, tutti i componenti militari della missione della Regia Aeronautica rientrarono in patria sul piroscafo Vittoria.

Foto aerea dal rendiconto dell’ing. Paolo Chelazzi


Lettera di Chelazzi a Gerardo Dottori

Archivio Gerardo Dottori Associazione Culturale g.c. PAUL C. CHELAZZI 25, rue Chu Pao – Shangai 147 Ave. Edward VII Tel 91522 Cab.Ad. CHELAZZI-SHANGHAI

Shanghai, 13 dicembre 1940-XIX Caro Gerardo, Mi par di vedere i tuoi occhi rotear di sorpresa nel leggere questa missiva. Si sono vivo e verde, sto bene ed aspetto meglio per quanto questa disgraziata pallucca di mondo sembra che non abbia bisogno di noi costruttori, almeno per momento. Quello che più importa è di mantenere lo spirito costruttivo in vibrazione creativa, pronto a realizzare. E questo grazie a Dio è la mia unica risorsa che a suo tempo spero mi porterà anche una certa indipendenza economica che mi permetta di vivere di vita .. eclettica , come fai tu. Quattro mesi fa ho avuto la idea peregrina di riprendere alcuni studi costruttivi sulle grandi portate che avevo iniziato alcuni anni fa. Ho l’impressione di aver trovato una sintesi brillante dei due più antichi sistemi (arco e sospensione) conosciuti per coprire il cielo tra due appoggi ma quello che è più importante è il fatto che queste mie idee hanno interessato un gruppo finanziario americano locale al quale ho ceduto parte dei benefici commerciali che speriamo realizzeremo nel futuro. Così mi hanno dato la pila per brevettare il sistema e nell’istesso tempo mi finanziano un viaggetto negli Stati Uniti dove cercherò di sistemare il brevetto e di tentare lo sfruttamento commerciale. E che iddio mi aiuti perché con la temperatura politica che corre laggiù e con le varie baggianate della quinta colonna ritengo che non aputirò molto ai buoni yankee. Comunque mi attendono dei buoni amici i quali troveranno il modo di farmi digerire al pubblico almeno per i pochi mesi che dovrò restarvi. Tanto per cominciare mi hanno fatto patire due mesi prima di concedermi il visto sul passaporto e solo l’altro ieri ho avuto una risposta rassicurante dopo tre rifiuti e con l’intervento di quasi mezza Shanghai mobilitata in mio aiuto dai miei finanzieri. Ma lo scopo di questa mia lettera non è quello di raccontarti le mie storie ed è per la sola ragione che ho bisogno di un favore che ti scrivo altrimenti tra noi ci si deve “sentire” vivere senza avere bisogno di sbrodolature epistolari. Alle mie varie attività si è aggiunta recentemente quella che un dì resa famoso Oronzo Marginati, infatti devo erudire un pupo anch’io che nella fattispecie è rappresentato da un bravo giovane figlio del nuovo Console Generale. Devo insegnargli il disegno architettonico e nozioni di storia dell’arte. Si deve preparare per la licenza del Liceo Scientifico. Abbiamo qui il programma delle materie ( Programmi per il Liceo Classico e Scientifico – edito da Signorelli – Roma 1937) nel quale però non si fa menzione dei libri di testo consigliati per la materia Disegno ma si danno solamente alcuni chiarimenti sull’indirizzo dello studio. Per questo ti sarei grato se potessi parlare con qualche collega tuo in proposito e di far spedire da un libraio perugino tutti i libri di testo per la prima classe. Se sarai così gentile ti prego di farli spedire in porto assegnato oppure con l’invio di fattura che sarà indubbiamente pagata a giro di posta, indirizzando direttamente al seguente indirizzo: Al N.U. Com/nte Marchese Gennaro Pagano di Melito R. Console Generale d’Italia c/o Consulate General for Italy Chengtu Road Shanghai (China) Via Siberia Mi dispiace doverti disturbare per questo favore ma credi che tu sei l’unico al quale potevo rivolgermi per la bisogna. Ricordami ai tuoi e con gli amici. Sii buono con me che quando sarò milionario mi ricorderò dite incaricandoti di farmi il ritratto che certamente andrà a finire in Pinacoteca tra quelli degl’illustri figli della città del te dirò. Scusami presso i nostri amici e particolarmente con Marri al quale non ho scritto dopo tutte le gentilezze che mi ha fatto. Ma negli ultimi mesi sotto il torchio di queste ricerche non ho avuto nemmeno il tempo di emettere suoni descritti dal nostro ed unico dante. Come “suonar trombetta” ( sono alquanto esuberante nelle mie espressioni ma l’autunno radioso, le nuove speranze, il misteri di questa nuoiva ventura e ... (censura) .. mi fanno questo effetto.) Non t’ho nemmeno domandato quello che tu fai ma questo mi auguro di saperlo in una tua lettera a giro di posta. Per quanto riguarda il mio indirizzo informati dai miei se sono partito (telegraferò a loro) ed in questo case spediscimi una lettera indirizzando: Mr.P.C. c/o Mr. H.G. Larsh, Vice-President, Well Fargo and Union Bank, S. Francisco, Cal. USA. Se invece non sarò partito scrivimi qui a Shanghai, in ogni caso ricordati di mandarmi l’indirizzo di Saltamerenda in America. L’anno scorso mandai dei programmi a Ciucci con una nota ma non ho ricevuto una parola da lui. Digli che l’unico passatempo mio è di andare ai concerti ed ancora m’interesso molto di musica: mi piacerebbe di risentirlo perché ancora ricordo con piacere le serate del Falci durante le quali mi faceva da guida nei meandri della musica sinfonica. Salutamelo caramente. Aggiunta a mano.


Vedi di far spedire questi libri possibilmente senza l’antipatico porto assegnato. Ti manderei volentieri i denari in anticipo ma non ho la pallida idea di quanto costino. Comunque nel caso che quei bifarini di librai non vogliano intendere ragione ti prego di domandare i necessari fondi a mio zio Tasso Tassini il quale sono certo li anticiperà. È un servizio che voglio rendere al Console che è molto gentile con me e non vorrei che si seccasse per questo porto assegnato. Affettuosamente tuo, Paolo

The Italian mind

Paul C. Chelazzi Conferenza del 8/01/1949, presso la Haikwang Library of Western Thought di Shanghai, che la pubblicherà lo stesso anno nella serie: The Haikwang lectures, no. 3. Traduzione Fausto Giovannardi Il pensiero italiano: una caratterizzazione La cultura occidentale è qualche volta rappresentata come una grande vecchia signora dei tempi passati, piacevole, ma oramai negli anni del declino della sua vita attiva. Il suo vero nome, l’occidente. È significativamente identificato con quell’emisfero del mondo dove la luce è destinata a sparire. Che la vera immagine non è così crepuscolare, non così scura, per quanto riguarda le sue nazioni, è stata fatta sufficiente chiarezza da alcuni dei brillanti relatori che mi hanno preceduto in questa serie. Nelle loro relazioni hanno vivamente mostrato i fatti che provano che la cultura dell’Europa occidentale è lontana dalla decadenza dentro l’oblio di reliquie storiche, ma al contrario c’è ancora una forza vitale di creatività in queste nazioni che hanno dato vita alla cultura moderna ed alla civiltà. Ancora, in questa serie di memorie avete ascoltato circa i paesi europei dove cultura e pensiero hanno trovato condizioni favorevoli per crescere con una carattere nazionale, relativamente libero da influenze negative, in un terreno fertile per la pace relativa e la stabilità sociale. L’insularità, l’indipendenza politica, hanno permesso a queste nazioni di costruire indisturbate i loro imponenti edifici di cultura su solide fondazioni che i loro antenati romani gli hanno lasciato. Questo non è il caso dell’Italia. Infatti dalla caduta dell’Impero Romano, che ha preceduto il periodo formativo del nostro linguaggio nazionale, l’Italia ha raramente goduto di condizioni seppure approssimate di pace, nella sua storia. La nostra cultura è nata da agitazione, sofferenza e tribolazioni, nella miseria dell’oppressione politica, in mezzo ai detriti dei monumenti religiosi sacrificati alla furia dei barbari invasori. Spiegare ora come il pensiero italiano abbia preso forma come unico tratto nazionale nel vortice dei disordini sociali e politici, non è una cosa semplice. Ancor più per la modesta preparazione culturale del vostro attuale relatore – un architetto errante nella vita economica, che ha raccolto poche nozioni nei verdi pascoli del pensiero, attraverso cui ha vagato, senza la guida di una accademico Virgilio. Per di più, in questo particolare caso, mi è stata negata quella fontana di ispirazione che questa libreria è per i conferenzieri. Quello che rimane della pur in origine modesta, e sola libreria Italiana in questa città, è ancora impilato in un angolo di una stanza dell’Italian Club. Comunque questo non deve essere interpretata come una richiesta di pietà della mia povera anima, così che voi sarete liberi di tirarmi pietre, quando avrò finito di parlare. Una chiara comprensione del pensiero Italiano non può essere acquisita senza inquadrarne lo sviluppo nello sfondo delle circostanze storiche da cui è emerso per poi diventare una forza costituente della cultura occidentale. 1 Questo stralcio di uno scritto dell’eminente storico inglese Trevelyan può essere d’aiuto: “ Il popolo dell’Italia moderna, solo tra le nazioni europee, ad avere dietro di se la tradizione di un sistema di governo che, una volta, ha dominato il mondo. Loro sono i diretti discendenti dell’antica Roma. Ma nel tumulto delle gare d’invasioni che si sono succedute nel quinto e sesto secolo, anno domini, la continuità della loro vita civica era interrotta, le forme del governo romano crollarono e i nativi italiani si mischiarono con matrimoni ai rudi barbari. Ancora per tutto questo, gli italiani di oggi guardano alle regole del Campidoglio e del 1

George Macaulay Trevelyan (1876-1962) storico e scrittore britannico. NDT


Palatino come propri antenati, mentre Spagnoli, Bretoni, Francesi, Tedeschi e Russi guardano ad un passato oscuro dove le tribù in guerra brancolano in una vita senza tempo di foreste, neve e steppe. Solo l’Italia ha un passato di grandezza, ed esso influenza la sua storia fino ai giorni nostri. La vecchia vita dell’Italia romana era solo apparentemente sommersa dalle onde barbare, ma sopravviveva nella chiesa di Roma e nelle migliaia di semicoscienti memorie delle popolazioni urbane; e riprende forma nelle città stato del Medioevo, per poi scoppiare con orgoglio consapevole nel Rinascimento classico; dal contatto con le forti nazioni dell’Europa moderna che la conquistano, fino a quando nella pienezza del tempo una vera e propria nazionalità Italiana emerge dallo stimolo di Napoleone; questo e molto altro va a fare la storia d’Italia.” Queste sono le conclusioni di Trevelyan. Come lui, molti eminenti storici, concordano con questo punto di vista, cioè che non si può spiegare il sistema di vita e la cultura italiana se non in termini di Roma. Questo, a mio modesto parere, è sopravvalutare alcuni fatti storici. Se è vero, che alcune delle brillanti sfaccettature del genio romano brillarono ancora nei secoli successivi nel lavoro di artisti e pensatori italiani, è anche egualmente vero che il potere mistico che feconda il seme del nostro pensiero nazionale era la cristianità; la stessa cristianità che aveva guidato il popolo minuto della Roma Imperiale a pensare di vivere ben oltre lo stretto arco dell’esistenza fisica e mondana. Questa vera Chiesa che ha arricchito la saggezza dei governanti Romani, giuristi e costruttori con la rivelazione dell’amore, purificato dalla bassa sensualità pagana per essere sublimato nella purissima espressione dell’affetto divino. Nel buio del Medioevo, nel pieno della Babele delle lingue barbare e nel rumore delle guerre, è significativo che la serena ed ancora potente voce di San Francesco d’Assisi pronunci la prima parola della 2 lingua italiana, quando prende forma dal “ sermo rusticus” il vernacolare dell’ultima generazione latina . Egli usa questo linguaggio infantile a formare inni d’amore e bellezza che divengono le due fonti d’ispirazione del pensiero italiano attraverso i secoli successivi. Le tradizioni Romane continuano ad essere presenti, durante questo periodo formativo della nostra cultura, nelle strutture giuridiche della Chiesa stessa, che per le sue leggi ed istituzioni giuridiche era perfettamente in linea con Roma. La maestosa rotondità dell’arco Romano fonda una rinnovata espressione di bellezza nello stile Romanico, creato dagli architetti italiani del Medioevo, mentre i principi costruttivi dei capomastri Romani erano portati avanti dai “ Magistri Comacini”, i valenti costruttori responsabili delle molte gemme architettoniche di quell’epoca. È al principio del Medioevo che la voce Italiana viene ascoltata cantare melodie immortali, con la scuola Ambrosiana seguita dal Gregoriano, sistema di regole del Canto religioso, e così anticipando il canto corale moderno. Uno dei più importanti contributi all’evoluzione del pensiero umano in questo periodo è lo Scolasticismo – una filosofia che tenta di arricchire il nudo dogma di rivelazioni essenziali con l’esplorazione delle ragioni umane, così da aprire più ampi orizzonti per l’investigazione. Tommaso Aquino ha contribuito molto nella costruzione di questa superba struttura intellettuale, divenendo un faro guida per un nuovo spirito di ricerca accelerando il pensiero di pensatori indipendenti che spiritualmente saranno i padri del genio di Dante Alighieri. In Dante il pensiero italiano trova, sul finire del XIII secolo, la sua prima e gloriosa espressione nazionale. Fino ad allora l’Italia è esistita come una vaga entità geografica. Le leggi Romane hanno fuso le razze originarie italiche in un corpo politico apparentemente unito; ma una volta che la storia ha frantumato l’Impero Romano, Galli, Liguri, Etruschi, Umbri, Latini ed il miscuglio delle altre invasioni, hanno trovato una loro indipendenza nella penisola. Ogni legame romano era praticamente reciso. A dispetto delle sue preoccupazioni temporali, era solo la Chiesa a preservare un certo senso di parentela tra i popoli divisi. Dante dava loro il senso della nazionalità. Lui creava un’Italia dello spirito – non come un’ispirazione per il suo popolo a riguadagnare la perduta supremazia degli antenati Romani, ma piuttosto come una nazione parte di una monarchia mondiale, che lui considerava come l’erede legittimo dell’abilità Romana ad unire e governare l’umanità. Non piena giustizia può essere resa all’autore dell’immortale “Divina Commedia”, nel tentativo di una visone a volo d’uccello del suo lavoro, sola cosa possibile nei limiti di questo intervento. Deve essere chiaro comunque che il pensiero dominante nella sua mente era l’amore, amore per Beatrice, che a quanto pare aveva incontrato in gioventù. Lei diviene la donna ideale, ed attiva la sua energia poetica a costruire un eterno monumento alla donna. Nel fare questo attraversa tutte le tribolazioni dell’animo umano “ che lotta dal peccato attraverso la purificazione alla visione beatifica.” Dante, per Harvard “sommarizza la letteratura, la filosofia, la scienza e la religione del Medioevo. Attraverso l’intensità della sua capacità per esperienza , lo splendore della sua potenza d’espressione e la profondità della sua 2

Il Cantico delle Creature di San Francesco, è il primo testo letterario in lingua volgare italiana (1224) NDT


spiritualità e intuizione filosofica, egli allo stesso tempo riassume e trascende un’intera epoca della storia dell’umanità.” Come Dante dava la più completa espressione al pensiero medioevale, alcuni anni dopo Petrarca apriva quel movimento del ritorno della conoscenza che portava all’Umanesimo. L’architettura intellettuale di Dante è armoniosamente costruita su linee di pensiero ben definite e consistentemente elaborate, fede e ideale. Quella di Petrarca è piena di dubbi e contraddizioni, tipizzazione che negli ultimi secoli era divenuta caratteristica dei moderni uomini latini in generale, e del pensiero italiano in particolare. Per lui non si può essere soddisfatti nell’anima con una supina accettazione di verità dogmatiche una concezione troppo statica, pensa – ma non può rigettarla ed essere contento con il classicismo pagano. La sua anima è strappata da passioni conflittuali, che si liberano tra le altezze delle divine affezioni e l’oscuro impulso degli appetiti terreni, sentendo intensamente i morsi della delusione e miseria, così come le impennate della speranza. Celebrato come uno degli uomini più dotti del suo tempo, tutto quello che poteva dare vita ad un riconoscimento mondano era di Petrarca. Ma anche l’ambito alloro del più grande poeta, con cui era incoronato in Campidoglio nel 1341 non da sollievo alla sua mente tormentata. Essa trova riposo solo quando si rifugia in una francescana “perfecta laetizia” – quella perfetta gioia di umiltà e semplicità. Per Petrarca, l’Italia era una realtà spirituale che sopravvive alle “ferite mortali” inflitte sul suo corpo dalla guerra. A chiusura di questo periodo dorato della letteratura italiana c’è l’amorosa anima di Giovanni Boccaccio – nella sua gioventù un intellettuale bon vivant, il cui punto di vista non va oltre lo spettacolo del passaggio della commedia umana. Comunque i personaggi che definisce per il Decamerone, sono così pieni di vita che ispireranno molta della migliore letteratura mondiale. Loro sono in parte nell’ispirazione di “Cymbeline”, “Mercante di Venezia” e “Romeo e Giulietta” di Shakespeare, “Nathan der Weise” di Lessing, “Tales of a Wayside Inn” di Longfellow e “The Falcon” di Tennyson. Nel frattempo il pensiero italiano, sente un altro impulso creativo aprendo il campo delle moderne belle arti. Prima di quel tempo, particolarmente nelle provincie del sud, pittura, scultura e architettura producevano solo sterili rielaborazioni del “rude tradizionale stile dei Bizantini”. Il profondo senso di umanità che San Francesco aveva stimolato nel cuore cristiano necessitava di nuove e più grandi forme per la sua completa espressione. E amore, quell’amore di Dante per la donna ideale nella sublimazione ultima della vergine madre, trova la sua umana, anche mistica esternazione nella “Madonna” di Cimabue, che, come rivela Vasari, dava la prima luce all’arte della pittura. Un fervore divino guida gli artisti di questo periodo nella ricerca di nuove forma per esprimere la bellezza. Loro non possono più concepirla secondo gli stereotipi del passato. Loro vogliono sentirci la vita – il senso della vita sempre crescente nella perfezione estetica, ma legato nel suo ultimo valore in Dio. Così, io penso, Arnolfo di Cambio deve aver pensato quando ha progettato quelle chiese Fiorentine e fabbricati che fanno la storia dell’architettura. E così, probabilmente, ha fatto Pisani, il grande scultore e Giotto, l’eminente maestro di tre Belle Arti. Nella visione di molti, l’artista è spesso considerato una sorta di strana creatura, un caratteraccio, e così assorto dai propri perturbanti pensieri, così da essere svalutato dai cittadini comuni. Questa immagine non può essere applicata agli artisti di questo periodo, impegnati in un enorme lavoro creativo e gli sforzi nel definire nuove arti, molti erano uomini semplici, sereni, amabili e popolari. Molti avevano anche un acuto senso dell’umorismo e Giotto, in particolare, era sempre pronto con uno scherzo. Vasari, uno storico del XVI 3 secolo, racconta nel suo famoso libro “Vite degli Artisti” quando un giorno il Re chiamò Giotto a disegnare per lui un quadro del suo regno. Il pittore disegna un asino con un basto caricato con una corona e uno scettro e scalpita un’altra sella sotto i piedi. Giotto spiega che il Regno era come un asino con i suoi fardelli, sempre vogliosi di cambiare le regole. I tempi non erano cambiati molto. Durante il successivo periodo di fine del secolo XV, il pensiero italiano sembra essere a riposo dopo il periodo creativo degli anni di Dante, a accumulare energia per l’inizio del Rinascimento. La felicità di questi anni si trova in una rinnovata devozione per il classicismo di Grecia e Roma. Quella che ora noi chiamiamo cultura moderna è prima incarnata nel perseguimento dell’ umanismo – che l’amore per l’apprendimento nelle arti e scienze rendono la vita più completa. Insieme con la gentilezza essi sviluppano negli uomini il senso della bellezza. Anche se gli umanisti di quel tempo non rappresentano il pensiero italiano nella sua migliore creatività, il loro lavoro si è dimostrato di importanza fondamentale per lo sviluppo della cultura, così come sono loro ad avere creato le Accademie di Firenze, Roma e Napoli. Che erano tra le migliori istituzioni in Europa per organizzare ricerche di filosofia, archeologia e letteratura. I loro sforzi concentrati divengono la forza stimolante del Rinascimento in cui il genio multiforme dell’Italia trova la sua più alta espressione.

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... Giotto; al quale avendo un giorno per capriccio chiesto il re, che gli dipignesse il suo reame, Giotto, secondo che si dice, gli dipinse un asino imbastato che teneva ai piedi un altro basto nuovo, e fiutandolo facea sembiante di desiderarlo, et in su l’uno e l’altro basto nuovo era la corona reale e lo scettro della podestà: onde dimandato Giotto dal re, quello che cotale pittura significasse, rispose, tale i sudditi suoi essere e tale il regno, nel quale ogni giorno nuovo Signore si desidera. Vasari, Vita di Giotto pittore, scultore et architetto fiorentino 1568


A questo punto devo confessare che io mi scontro con un difficile dilemma, come quello dell’asino che come solo un asino può essere affamato, muore di fame perché non sa decidere quale delle due balle di fieno mangiare per primo. Così vari, complessi e contraddittori sono gli aspetti del Rinascimento che questo povero asino qui si sente del tutto confuso mentre si avvicina a loro. Anche le Autorità sul Rinascimento mancano di una visione completa ed in genere vedono solo aspetti in accordo alla loro particolare inclinazione culturale. Da un punto di vista religioso, alcuni – e soprattutto quelli che pregano Dio da un punto di vista non cattolico – vedono nel Rinascimento la rinascita della cristianità nel protestantesimo che era pensato come una protesta contro la sterilità della Chiesa e la corruzione del clero. Ma questo non spiega come una supposta chiesa sterile possa aver prodotto una mente vigorosa come quella del Savonarola, che, rimanendo leale alla Chiesa, dice e muore per quello che i protestanti poi proclamano. Un’altra contraddizione è come un paese diviso in così tanti Stati e di tali differenze e di frequenti opposti gruppi razziali, possa raggiungere l’unità in un’anima spirituale e divenire un’armoniosa famiglia di giganti della mente, come se qualche supremo coordinatore avesse assegnato i ruoli e diviso il loro lavoro. La loro mente è caratterizzata da una cosmopolita apertura concepita solo con ampi progetti e concezioni di apertura mondiale – sostenuta da illimitato amore ed un profondo senso di bellezza che esce dai confini nazionali per comprendere l’universo. Loro sono combattenti che marciano contro i pregiudizi ad allargare lo scopo dell’investigazione umana ed in ultimo a spiegare le nuove parole della scienza moderna, arte e pensiero. Loro danno un contributo supremo alla cultura occidentale. In questa imponente e tumultuosa cavalcata di geni italiani che galoppano attraverso il Rinascimento, non ci sono leader riconosciuti, ma si vede che tutti loro sono guidati da un ideale comune armonizzante i loro sforzi comuni. I cristiani sanno quale esso era. Praticamente nessun settore nei campi dell’arte, scienza e pensiero è escluso dalla loro ricerca di verità. In molti casi il loro fervore di investigazione non può essere contenuto nei bordi di una singola provincia, ma include la vita in tutti suoi aspetti, fisici e spirituali. Caratteristica del pensiero italiano nel Rinascimento è Leonardo da Vinci. Come pittore ha prodotto immortali capolavori, mentre creava nuove architetture e sistemi costruttivi. Formula principi di meccanica ed aerodinamica che sono ancora essenziali alla moderna ingegneria ed aviazione. Nei suoi studi il sottomarino era già una realtà, ed allo stesso tempo è stato un pioniere nelle ricerche di anatomia, idraulica e geologia. Sopra a tutto questo, egli diviene un eccezionale scrittore di scienza del suo tempo. Ugualmente cosmica nel regno della bellezza è la mente di Michelangelo, espressa nell’architettura di San Pietro ed in vigorose sculture e pitture. Le belle arti sembrano essere il più efficiente mezzo per gli uomini del Rinascimento Italiano ad esprimere il loro tradizionale senso di bellezza. La pittura in particolare, compie enormi passi avanti come amore, sempre crescente alla contemplazione della “Beata Vergine” infuso nelle caratteristiche radianti di Madonne. Per molti dei grandi pittori del Rinascimento, la religione era la fonte d’ispirazione, e la storia della cristianità non era mai stata prima, così vivamente dipinta come nei lavori di Mantegna, Signorelli, Perugino, Raffaello, Correggio e dai grandi maestri veneziani: Tiziano, Tintoretto, Veronese. Anche l’architettura avanza alla classica nobiltà di stile, attraverso il lavoro di Brunelleschi, Alberti e Bramante, mentre l’arte di costruire viene ulteriormente arricchita con la saggezza Romana quando i lavori di Vitruvio vengono tradotti in italiano. L’impulso del Rinascimento ad abbracciare l’universo è raffigurato da Cristoforo Colombo, estendendo il margine occidentale del mondo, e Marco Polo quello ad oriente. Nel frattempo nelle cattedrali della cristianità, la voce d’Italia può essere ascoltata nella piena 4 coloritura polifonica della musica religiosa che alla fine ha raggiunto la grandezza di Palestrina . Il Rinascimento aveva anche una mente pratica, in questo periodo troviamo tracce a Firenze di moderne banche ed attività finanziarie. La tecnica del commercio estero era evoluta nelle prosperose Repubbliche di Genova e Venezia. Questo ci porta alla fine del XVI secolo, quando il Rinascimento, per quanto riguarda l’Italia, è andato sottoterra, o, più esattamente, in esilio. Il XVII secolo è infatti un anti-culmine del Rinascimento. Le sue espressioni son antisonanti ma di vuote parole, nella vana retorica del periodo Marinista – come gli italiani lo chiamano – riflesso tipicamente nelle ampollose, elaborate decorazioni del Barocco. Anche in quel secolo, comunque, una influenza del Rinascimento è ancora in azione e porta frutti nella mente di Galileo Galilei. Gli storici di parte esagerano le tribolazioni da lui subite nel credere al sistema planetario Copernicano, ed hanno fatto una reale grande ingiustizia al suo genio distraendoci da altro, dalle molte variegate facce della sua mente e dal suo contributo alla scienza, l’invenzione del microscopio ed il miglioramento degli occhiali da vista. Probabilmente poche persone, anche della mia famiglia professionale sanno che la costruzione dei grattacieli è stata possibile grazie alle ricerche di Galileo. Il suo poco 4

Giovanni Pierluigi da Palestrina ( 1525-1594) è stato un compositore italiano tra i più importanti del Rinascimento.


conosciuto libro “le due nuove scienze” fonda le moderne scienze della resistenza dei materiali e della dinamica. Così la tradizione dei capomastri romani, continuata da Vitruvio ai Maestri Comacini e Alberti, era proseguita nel campo tecnico da Galileo e nei secoli successivi da Betti e Menabrea e Castigliano che contribuiscono molto alla Scienza dell’elasticità. All’inizio del XVII secolo la musica era sposata alla poesia e nasce la prima opera italiana nella nobile famiglia fiorentina dei Bardi. Monteverdi ed altri compositori proseguono creando opere popolari per il divertimento della gente comune, mentre Corelli lascia l’anima del violino vibrare in melodie sonore, potenti e gentili e dolci nel periodo che segue dell’Arcadia. Originariamente questo movimento è quasi una reazione all’inflazione d’arte dei secoli precedenti, per poi divenire attento a liberare lo spirito creativo italiano dalle distorsioni straniere. A quel tempo gli invasori ancora percorrevano il suolo d’Italia e l’Italia sorgeva bellissima ma indifesa, dalla loro brutalità. Quelli dei suoi figli il cui potere intellettuale e morale, poteva reggere al severo impatto distruttivo, trovano rifugio nel regno dello spirito, dedicandosi ai costruttivi compiti dell’arte o andando avanti con il 5 pensiero politico di Roma. Il contributo di maggiore importanza è quello di Vico , che da origine a quell’approccio filosofico alla storia ancora oggi seguito da molti storici contemporanei. Gli artisti, sull’altro lato, erano profondamente influenzati dalla frivolezza e vuoto che contrassegna questi tempi. In pochi esempi possiamo trovare traccia di sforzi sinceri nel ricercare la bellezza in termini di semplicità e modestia. Come risultato i loro lavori danno l’impressione di un’arte superpulita, splendente come i perfetti “camei” del tempo. Ancora l’amabile e vaga tristezza di questa arte muove un’anima riconoscente. Questa era l’arte decadente, se vogliamo, ma piena di uno strano charme che era la sola bellezza italiana che poteva affiorare in questi giorni bui di oppressione politica e tensione sociale. Questa stessa oppressione politica diviene la forza ispiratrice delle migliori menti del XIX secolo, quando arriva finalmente il momento di far diventare una realtà politica il sogno di una Italia unita. Che aveva vissuto nei cuori di generazioni, fin dai tempi di Dante. La gente, senza distinzione di classe o religione, si trova nel comune ideale ed indirizza ogni energia, morale, intellettuale e fisica a questo fine. Ed un reale romanticismo italiano nasce con l’ardente pensiero di Foscolo, acquista forza con la sofferenza di Leopardi, la serenità di Manzoni, la fede e speranza nell’animo gentile di Mazzini. È amore ancora quelle luci che illuminano il cuore degli italiani, amore per il loro paese e per i popoli oppressi di altri paese, amore per una giustizia divina per tutte le creature. Ed è la bellezza ancora che brucia la mente di compositori italiani dell’opera, che nel XIX secolo ha il pieno valore di un media artistico. Non è la bellezza come concepita dai grandi poeti ed artisti del passato, ma la bellezza espressa in semplici termini musicali dentro il segno mentale delle masse, costruendo una nuovo felicità alla loro anima. Fino ad allora la gente comune ha vissuto sotto l’ombra silenziosa della storia – anonime masse di lavoratori senza diritti, eccetto quello di soffrire per una ricompensa in Paradiso. Questo applicato in particolare per le masse in Italia, sfruttati come lo erano per secoli con tanti maestri in una sola volta. Nel risveglio delle rivoluzioni Industriale e Francese, la questione sociale compare anche in Italia e diviene un delle due forze guida nel movimento italiano d’indipendenza. Una volta vinta la battaglia per l’unità politica, il grande proletariato, prova l’impatto pieno delle lotte sociali e molti dei suoi figli più brillanti, dedicano loro stessi alla causa della classe lavoratrice. In questo campo, il pensiero italiano, ha una sua caratteristica, con i contributi più significativi ispirati alla Roma del periodo Repubblicano, con due considerazioni per la natura spirituale e religiosa del popolo italiano, la cui felicità non dipende solo dal soddisfacimento delle necessità materiali, ma di essere libero ad una vita felice per tutte le bellezze ed amore che essa ti può dare. A chiusura di questo modesto discorso, che ha illustrato lo sviluppo ed i tratti del pensiero italiano attraverso i secoli, io voglio menzionare che nell’opinione di molti lo spirito del Rinascimento è ancora vivo, particolarmente nel campo delle scienze. Occasionale evidenza di questo spirito è stata mostrata in Italia in questo ventesimo secolo, ad esempio nelle ricerche in campo elettronico di Righi, che culminano con la scoperta della radio di Marconi. E non può essere negato che certi tratti del genio italiano del Rinascimento, hanno una piacevole somiglianza con la mente di Enrico Fermi, a dispetto de fatto che lo zio Sam lo ha rivendicato, dato che lui ora è cittadino americano. Comunque Fermi, dopo la laurea all’Università di Pisa, diviene professore all’Università di Roma, a stretto contatto con i più creativi ricercatori nel campo della fisica nucleare. Segretario della relativa sezione dell’Accademia d’Italia, matura grande popolarità. In ogni caso i geni appartengono all’umanità e quelli che sono piaciuti di più sono quelli che contribuiscono alla felicità della gente. Sono sicuro che tutti voi siete d’accordo con me, che Fermi non è in questa categoria per aver attivato quel confuso mucchio che ha portato alla bomba atomica. 5

Giambattista Vico (Napoli1668 – 1744) è stato un filosofo, storico e giurista italiano.


Leonardo da Vinci, che ha affrontato una situazione simile, quando ha inventato il sottomarino, distrugge accuratamente le sue note, perché teme che la sua macchina possa essere usata “ a uccidere uomini nel mare profondo”. Io non ho dubbi che anche Fermi avesse un identico sentimento quando la sua teoria era confermata dal vorticare degli elettroni nella fila. Più che la gratificazione di premi scientifici, era la fede negli ideali di giustizia che potevano essere realizzati attraverso il suo lavoro che lo sostenevano negli sforzi necessari. Ma quando io penso a lui, mi sento in qualche modo fortunato che nell’umiltà della mia professione Dio mi ha dato l’opportunità di costruire case per fare la gente felice – qualche volta, se non tutte le volte. Nel tracciare una conclusione di questo discorso – se c’è una possibile conclusione negli sforzi umani. Io devo spiegare perché non ho fatto nessun riferimento ai difetti del pensiero italiano. Per farlo ci vorrebbe un altro seminario – ed io non penso che voi potete stare così a lungo. D’altro canto io sono sicuro che voi siete i migliori giudici che ci possono essere. Anche se è facile dire “nosce te ipsum” conosci te stesso – questo è estremamente difficile da applicare nel pensiero italiano, così complesso e pieno di contraddizioni. Più volte avete notato che nel corso del mio discorso io ho perlopiù trattato con varie menti, ma sempre riferendomi al pensiero italiano in generale. E questo perché non c’è mai stata qualcosa di ben definita come il pensiero italiano. Senza maggiori elaborazioni su questo punto io vi racconto questo fatto che prova il mio convincimento. In occasione dell’ultima campagna elettorale c’erano 98 partiti in lizza. Ovviamente erano tutti democratici ma, ognuno aveva una differente etichetta. Eppure, nonostante la scissione in capelli, il risultato delle elezioni conferma che l’Italia ha chiaramente deciso. Probabilmente Pirandello ha ragione quando dice che ogni individuo è “uno nessuno centomila” e assumendo che io ho una mente, nel mio caso particolare io 6 preferisco avere gente che pensa di me “come piaccio a loro”, eventualmente “ come loro mi desiderano” . In generale io direi che agli italiani manca quel potere di analisi di cui il pensiero nord europeo è dotato. Ma nel dire questo rischio l’ira del filosofo Benedetto Croce, il creatore del moderno approccio all’estetica. Questa sintesi ha dimostrata l’espressione genuina del nostro genio nazionale, che è un fatto confermato dalle realizzazioni artistiche del Rinascimento. Ma non è la sintesi della geniale creazione ma analisi perfetta o piuttosto l’analisi tende a raggiungere il suo valore ultimo in una sintesi? Un altro difetto così comune nelle migliaia di quasi artisti e pensatori italiani è quello di essere estremamente vuoti ed anche inconsistenti. Ma questo può non essere un monopolio esclusivo dell’Italia. In relazione alla caratteristica mobilità del pensiero italiano, io l’attribuisco al guardare la vita come un imprevedibile flusso di energie vitali alla ricerca di una forma per essere espressa. Gli artisti possono tentare di plasmare solo forme transitorie che sono valide e veramente espressive nel momento in cui questa energia vitale scorre dentro di loro. Nel fare questo sono sempre a cercare questo flusso di energia vitale che mantiene la loro mente in continuo movimento. Io penso che non serva oltre indagare il lato oscuro del pensiero italiano. Sarebbe anche in contrasto con l’dea che ho cercato di trasmettere, che la bellezza – passando in secondo piano la bruttezza e miseria di questa esistenza terrena – è, e spesso rimarrà, una benedizione per le generazioni italiane. La devozione alla bellezza ha permesso allo spirito italiano di sopravvivere e creare attraverso secoli di umiliante schiavitù. Amore un illimitato incondizionato amore, dava loro la forza di perdonare chi occupava il loro paese. E non si trovano tracce di odio vendicativo o atteggiamenti negativi nel pensiero dei suoi figli più grandi. Mentre l’Italia soffocava sotto il giogo di una delle più violente invasioni, tutto quello che un grande poeta poteva dire, era: “lasciateli tornare indietro attraverso le Alpi e noi saremo ancora fratelli”. Siamo comunque confortati dal rispetto, sostenuto dalla nostra richiesta di fronte al lavoro creativo dei nostri geni che hanno contribuito alla cultura occidentale, e questo è un fatto che noi francamente riconosciamo. La triste realtà sociale del movimento storico che attraversiamo e le tragiche implicazioni dei nostri anni atomici hanno in qualche modo distolto l’attenzione del pensiero italiano dal piacevole regno del misticismo e realismo estetico ai duri fatti del positivismo. Confuso è il clamore di politici spacciatori di panacee per le malattie sociali. Ancora la mente onesta sovrasta l’emotività, il vero problema è una semplice, chiara domanda. Si avrà giustizia attraverso il successo dello slogan “ ciò che è tuo è mio?” Per rispondere a questa domanda il Rinascimento Italiano mostra ancora la sua vita eterna nel dare 7 la mente di Savonarola e il cuore di San Francesco a Padre Lombardi , a spingere la sua “crociata d’amore” – amore – suprema felicità e salvezza finale del genere umano. 6 7

NdT in sintesi Chelazzi vuole evidenziare che le liste erano fatte per ottenere voti.

Padre Riccardo Lombardi (1908-1979) è stato un predicatore e religioso italiano della Compagnia di Gesù, noto anche come il Microfono di Dio per le sue prediche radiofoniche.


Lettera di Raymond F. Piper

Archivio Gerardo Dottori Associazione Culturale g.c.

14 gennaio 1954 Caro sig. Chelazzi, molte grazie per la sua lettera e per le due foto che arrivarono quando ero assente dalla città. Non posso usare queste due opere di Prampolini perché sono ambedue amorfe, oscure ed in uno stile rozzo. Sono spiacente per averne richiesta qualcuna di lui. Se ne ha qualcuna più acconcia, sarei interessato. Rimando le foto con ringraziamenti. Sono certamente lieto di ricevere il catalogo della mostra del sig. Dottori. Senza dubbio io userò molte di queste opere nel mio libro quante me ne concede lo spazio; non posso includerne molte di ogni artista a meno che non sia insolita come lo è Dottori. Sono lieto di avere la didascalia che concerne la creazione anche. Conto che lei trova qualche accettabile posizione presto. Sono interessato nei più notevoli edifici nuovi religiosi come chiese, moschee, etc. e Lei può conoscere qualcuna così? Spero che lei possa visitare Siracusa un po’ di tempo. Molto cordialmente a lei. R.Piper P.S. Apprezzo grandemente l’entusiastico tributo al mio libro che viene da entrambi loro. Trattasi della traduzione letterale della lettera in inglese di Raymond F. Piper (1888-1962) professore di Filosofia alla Syracuse University dal 1917 al 1954. È evidente che la traduzione trae in inganno dove riporta l’invito a visitare Siracusa, trattandosi invece della Syracuse University. Il libro citato da Piper, che sarà pubblicato dopo pochi anni è: The hungry eye: an introduction to cosmic art di Piper, Raymond Frank, Publicato nel 1956 da DeVorss Los Angeles

Dal libro di Emilio Bettini La Cina. Dai trattati ineguali. Visti in prima persona. (ricordi diplomatici) Edizioni Alfa-Beta Bologna Questa “bella vita” ebbe fine con l’attacco a Pearl Harbour l’8 dicembre 1941. Ambasciatore era il Marchese Francesco Maria Taliani de Marchio. Il 9 settembre 1943 arrivò la notizia dell’armistizio e subito i Giapponesi chiusero l’Ambasciata Italiana, tutti 8 gli addetti furono portati nell’abitazione dell’ambasciatore Taliani, che così si esprime su Chelazzi: “Il 23 dicembre (1943) inatteso e soprattutto profondamente sgradito, giungeva un nuovo ed ultimo ospite, l’ing. Chelazzi, già impiegato dell’Ufficio Stampa della R. Ambasciata. Dico sgradito perché nel frattempo avevo appreso che il Chelazzi, che in precedenza era stato internato dai Giapponesi alla Casa d’Italia con un gruppo di maggiorenti della colonia italiana, aveva firmato (l’11 dicembre) una dichiarazione di adesione al “governo” di Mussolini e di obbedienza ai Giapponesi. Protestai immediatamente per iscritto: il consolato generale del Giappone mi rispose “notificandomi” l’ordine di ricevere in casa mia il Chelazzi. Il quale, fatto un primo vano tentativo di ignorare e farmi ignorare la dichiarazione da lui sottoscritta pochi giorni prima, e vistosi invece isolato, assumeva allora – un atteggiamento “indipendente” e ostentava sentimenti repubblicani con l’evidente intenzione di giustificare con motivi, per così dire, costituzionali, quello che invece era stato, da parte sua, un atto di netta ribellione nel campo politico.” Il giudizio di Taliani su Chelazzi è sprezzante, lo definisce “un elemento di disordine, un incapace, uno sfaticato.” nel rendicontare la loro forzosa convivenza all’interno prima dell’abitazione e poi in un piccolo lotto di terreno con 4 casette, in cui furono rinchiuse 33 persone (15 uomini, 9 donne e 9 minori) guardati a vista da tre poliziotti presenti notte e giorno. Furono quasi due anni di segregazione totale (dicembre 1943 – agosto 1945) fino a quando il 2/3/1945 vennero liberati, con solenne cerimonia tre funzionari rimasti fedeli alla Repubblica di Salò. “ Tale liberazione sarebbe stata tale – spiritualmente – anche per noi, se a funestare il “finalmente soli” non fosse rimasto il Chelazzi, essere negato tanto a Dio che al demonio, il quale, nel suo solito stile, sfruttava l’eccezion fatta a suo sfavore per dichiarare che con ciò si erano riconosciuti i suoi sentimenti antifascisti, e cosi via dicendo.” 8

Rapporto del R. Ambasciatore Taliani al Ministero degli Esteri Roma – 30/09/1945


“Il 15 di agosto del 1943 il console di Svezia, accompagnato dal responsabile giapponese, venne ad annunciarci la liberazione, pochi giorni prima il Chelazzi, dopo mesi di pratiche condotte con tenacia encomiabile e nel mistero più assoluto, aveva ottenuto di essere rilasciato dalle autorità giapponesi.”

Strutture d’archi, cavi e membrane in architettura

di Paolo Chelazzi L’architettura Cronache e Storie n. 1 maggio.giugno 1955 pagg. 67-72

L’ing. Paolo Chelazzi ha iniziato la sua carriera a Perugia, ma ha espletato la sua attività più interessante in Cina e negli Stati Uniti.. ha vinto due concorsi internazionali, ha lavorato per la Standard-Vacuum, Oil Co., ha brevettato negli S.U. varie strutture da lui inventate. Tornato in Italia, ha approfondito i suoi studi discutendone con Pier Luigi Nervi e Attilio Arcangeli. Qui egli presenta per la prima volta agli architetti i problemi tecnici ed espressivi delle sue strutture. Durante i miei soggiorni all’Imperial Hotel di Tokio, ho ammirato il genio di F.Ll. Wright. Questo artefice di un nuovo mondo costruttivo derivava evidentemente da Louis Sullivan ma non meno da quell’ingegnere Adler che aveva per anni integrato l’opera del maestro di Chicago. In questi tempi di rapidi progressi in campi così vasti come l’architettura e l’ingegneria, è difficile essere contemporaneamente un vero architetto e un ingegnere creativo, ma ritengo che una maggior comprensione dei pochi essenziali principi della meccanica che continuamente osserviamo nel mondo naturale e l’intendimento del reale significato delle tre equazioni della statica possa permettere ad ogni architetto di rendersi conto del comportamento di una struttura. Del resto, come sapete, anche nel caso di strutture staticamente indeterminate, all’elaborazione analitica si preferiscono sempre più le prove sperimentali su modelli: si ritorna cioè allo studio della meccanica nella realtà dei fatti fisici. È noto che la tradizionale meccanica applicata alle costruzioni precedenti il cemento armato riguarda, nell’impostazione teorica, le strutture con membrature dello stesso materiale – murature, ferro, legno – aventi il medesimo modulo di elasticità, cioè rigidità omogenea. Si suppone che esista uno stato di coazione elastica interna anche se talvolta esso si rivela artificioso: per esempio, nella trave a traliccio in cui, per rendere solidali le due briglie e formare così la coppia resistente, si ricorre ad elaborate membrature di parete esponendo la struttura ad ogni possibile combinazione di sforzi. Nel cemento armato si è cercato di ottenere una coazione elastica interna tra due materiali diversi che, non avendo lo stesso modulo di elasticità, non permettono il completo sfruttamento delle rispettive capacità di resistenza. Basta osservare il diagramma delle forze resistenti per convincersi che solo una modesta parte della sezione del calcestruzzo lavora, mentre la rimanente, sotto l’asse neutro, passivamente rende solidale l’armatura ai fini della coazione elastica. Un maggiore sfruttamento si ha nel cemento armato precompresso, ma anche qui l’eccentricità del cavo permette di utilizzare soltanto la metà del potenziale di resistenza a compressione della sezione di calcestruzzo, come chiaramente indica il suo diagramma triangolare che si estende a tutta l’altezza. Un totale sfruttamento del potenziale di resistenza è possibile solo se la sezione è sollecitata assialmente. Tra le strutture portanti carichi di gravità disposti lungo la luce libera, la sola trave ad arco può realizzare tale compressione assiale a condizione che la sua curvatura segua la linea delle pressioni di detti carichi. Lo stesso ragionamento si potrebbe ripetere per un sistema a cavo in sospensione portante lo stesso carico e avente una curvatura simile all’arco suddetto. Però i due sistemi sono spingenti: questo difetto si può eliminare combinandoli in strutture d’archi, che portano una parte del carico, collegati a cavi portanti il rimanente e disposti in modo da realizzare rispettive componenti orizzontali di spinta uguali e contrarie nel punto di connessione o di comune appoggio. Negli edifici che ho progettato e costruito ricorrono quasi costantemente archi e curve: ne sono prova gli hangars a volte multiple della scuola d’aviazione progettata a Shanghai nel 1932, la Casa d’Italia a Tientsin per la quale vinsi un concorso nel 1934 (fig. 1), l’Ospedale Municipale Inglese per la stessa città, oggetto di un concorso internazionale che ebbe luogo nel 1935. I problemi delle strutture portanti per grandi luci libere mi impegnarono particolarmente durante la progettazione del maggior complesso aeronautico costruito in Cina circa vent’anni fa. Si trattava di edifici in cemento armato comprendenti alcuni hangars con luci che, a quei tempi, sembravano eccezionali (fig. 2). Mi resi conto dell’inefficienza meccanica dei tipi convenzionali e progettai una travata con trafori circolari in sezioni meno soggette a sforzi taglianti (fig.3) ottenendo così una notevole diminuzione del peso proprio oltre a una migliore diffusione della luce dall’alto. Dopo questa esperienza, approfondii le ricerche dirette a combinare archi e cavi in sospensione in maniera tale da sfruttare al massimo i vantaggi meccanici offerti da ambedue i sistemi e da eliminare il loro comune difetto di essere spingenti sugli appoggi. Non v’è nulla di miracoloso in questa idea : le spinte degli archi


verso l’esterno vengono utilizzate per neutralizzare quelle del cavo agenti in senso opposto, mentre ai due sistemi vengono assegnate caratteristiche geometriche che permettono ai loro assi baricentrici di adeguarsi alle linee delle pressioni dei carichi rispettivamente portati. Lo scopo: evitare momenti flettenti limitando le sollecitazioni, per quanto possibile, ai soli sforzi di compressione e tensione. Il mezzo: il massimo rispetto per le razionali leggi della statica. Il ragionamento è così semplice che ognuno potrà seguirlo. Paragoniamo il comune tipo di travata a traliccio (fig.4) con un sistema ad arco (fig.5) e con un cavo in sospensione (fig.6) avente la stessa luce e freccia pari all’altezza dei precedenti. Il calcolo dimostra che la sezione complessiva del materiale necessario per le due briglie della travata è quasi doppia di quella richiesta sia per l’arco che per il cavo, fermo restando il carico; inoltre nella travata bisogna prevedere alcune membrature atte a rendere solidali le due briglie e a resistere a sforzi taglianti. Quindi, teoricamente, tanto l’arco che il cavo permettono di risparmiare circa il 50%. Teoricamente, perché l’arco vuole un tirante o spalle solide per resistere alle sue spinte, e il cavo richiede tiranti e altre opere d’ancoraggio ugualmente costose. Ma se l’arco portasse soltanto la metà del carico e fosse connesso in cerniera d’appoggio al cavo portante l’altra metà, si avrebbe una struttura che richiederebbe metà sezione per ciascuno dei due sistemi componenti e offrirebbe il vantaggio di poter eliminarle spinte sugli appoggi, in quanto quelle dell’arco sarebbero neutralizzate da quelle del cavo (fig.7). questa struttura che ho chiamato suspenarch, ricorda la forma delle travate a traliccio, con briglie curve, ma il concetto su cui è basata è ben diverso in quanto il traliccio è soggetto a momenti flettenti e sforzi taglianti, mentre questa è sollecitata solo da tensioni principali perché gli assi baricentrici dei sistemi componenti si possono adeguare geometricamente alle rispettive linee di pressioni dei carichi, siano esse funicolari, paraboliche catenarie o di diversa curvatura. Il suddetto principio di economia meccanica è ancora più evidente se esaminiamo il tirante di un arco convenzionale: è ovvio che esso agisce solo passivamente nel neutralizzare la componente orizzontale della spinta (fig.8). Ma se lo curviamo opportunamente facendogli portare dei carichi, esso potrebbe esercitare la necessaria forza neutralizzante sugli appoggi e, allo stesso tempo, lavorare attivamente (fig.9). Lo stesso principio può risultare vantaggioso anche nel precompresso. Per esempio: una tipica trave portante il carico 1,2,3,4, richiede un cavo di sezione w per provvedere alla necessaria forza di precompressione N (fig.10): se detto cavo fosse curvo ed esterno (fig.11), produrrebbe ugualmente la forza richiesta e, con una sezione maggiorata di poco, potrebbe portare un carico addizionale 5,6,7,8. la capacità portante della trave verrebbe ad essere praticamente raddoppiata pur richiedendo la stessa quantità di materiale. Perché questo? Perché in questa struttura si realizza uno stato di coazione meccanica esterna attiva ben diverso da quello di coazione elastica interna passiva esistente nei tipi correnti di precompresso. Questa concezione è alla base dell’hangar progettato nel 1941 (fig.12). Nel gennaio 1954, l’”Architectural Record” pubblicò un’idea simile dovuta all’ing. Fred Severud (fig.13) cui è dovuto anche il tipo di tirante verticale con puntone inclinato (fig. 14) come pilastro ancoraggio di sistemi portanti copertura a cavo in sospensione. Io avevo sviluppato un’idea simile e nel 1941 avevo brevettato negli Stati Uniti un sistema per stabilizzare con tiranti mobili la struttura di un hangar (figg.15.16) e un’altra analoga. Su quest’ultima basai il progetto di una grande stazione per lo smistamento del traffico aereo-stradale-marittimo (fig.18), la struttura di un palazzo dello sport (fig. 19) che applicai poi nel progetto di un hangar (fig.20). nel 1946 inviai questi studi in Australia: non mi risposero, ma lo scorso anno nell’”Architectural Record” trovai il progetto di una piscina (fig. 21) che – vedi combinazione! – assomiglia molto al mio palazzo dello sport. Guardate questa struttura “australiana” è la glorificazione prospettica di un freddo tema geometrico, poiché anche una superficiale analisi meccanica rivela il suo scarso contenuto costruttivo. Infatti la travata quadrangolare di considerevole lunghezza C, che porta tribune e spettatori (fig.22), essendo inclinata, ha bisogno di un tirante nella direzione di T per essere sostenuta in tale posizione. Se questo è vero, è ben difficile giustificare la struttura a traliccio, una specie di capriata, che sostiene il tetto. Questo potrebbe essere portato in sospensione e non si comprende come si ricorra ad una capriata per neutralizzare forze orizzontali. E poi: che dimensioni si dovrebbero assegnare a quella lunga travata già inflessa dai carichi delle tribune e con quel considerevole carico di punta (fig.23)? Vengo ora all’esperienza più interessante di queste ricerche: il tipo si hangar a tenda (fig.24). esso esprime gli stessi concetti su esposti, ma in senso tridimensionale. Infatti la neutralizzazione delle opposte componenti orizzontali di spinta qui non si realizza più sullo stesso piano, ma con forze risultanti dalla composizione di altre agenti su piani diversi, quali quelli dei cavi-arcarecci portanti la copertura tra le costole che sono disposte secondo le diagonali di piante poligonali equilatere (figg.25,26).questi studi sulle possibilità costruttive offerte dalle membrane su costole coagenti hanno ricevuto il lusinghiero incoraggiamento, oltre che di vari specialisti americani, del Prof. Pier Luigi Nervi. Il ferro-cemento di Nervi è il materiale che meglio si presta per costruire le membrane in opera. Con esso sarà possibile realizzare strutture che siano fonte di ispirazione per nuove architetture. Dovrebbe essere per tutti evidente che i problemi strutturali di ampi spazi liberi da coprire non possono più essere risolti in stereotipi di travi a traliccio. In queste travi si è oramai raggiunto il limite di lunghezza pratica per cui una maggiore capacità è raggiungibile solo mediante considerevoli aumenti di sezione nelle briglie e membrature d’anima. Si deve poi usare lo stesso materiale tanto per le membrature


compresse che per quelle tese, ciò che è un vincolo decisamente anti-economico. Se si desiderano strutture che permettano di sfruttare in pieno le rispettive qualità di resistenza dei moderni calcestruzzi ed acciai, bisogna perciò cambiare strada e adottare altri concetti meccanici. Nei tipi di struttura esposti, le membrature dei sistemi componenti non sono in stato di coazione elastica interna, bensì il quello di “coreazione” meccanica esterna nei punti di connessione o comune appoggio a cerniera, permettendo così alle rispettive componenti orizzontali di spinta d’equilibrarsi. E si noti infine:qui i sistemi componenti della struttura sono liberi di deformarsi indipendentemente, per cui possono essere realizzati da coppie calcestruzzo-acciaio aventi i più diversi rapporti tra le rispettive deformazioni unitarie senza influire sulle condizione d’equilibrio esterno stabilite attraverso l’adeguamento degli assi baricentrici dei sistemi componenti alle rispettive linee di pressione dei carichi portati. Paolo Chelazzi Si riportano solo alcune delle figure contenute nell’articolo. Fig.9

Suspenarch: l’arco di sez. w porta i carichi 1,2,3,4 e genera la spinta Ha verso l’esterno Il tirante di sezione mw porta i carichi 5,6,7,8 e genera il tiro Ht verso l’interno che equilibra la Ha Ogni appoggio sostiene il carico verticale V pari alla metà della somma dei carichi e pesi propri. Fig. 12 Hangar per l’aviazione degli Stati uniti (1952)

Fig. 16 Sistema brevettato da Chelazzi nel 1941

Fig. 15 modello del brevetto di fig. 16

Fig. 18 stazione di smistamento


Fig. 19 Progetto di Palazzo dello Sport

Hangar a tenda

Fig, 20 hangar con la struttura di fig. 19


Brevetti Siamo a conoscenza di un brevetto di Chelazzi in USA, presentato il 21 febbraio del 1941 e rubricato poi in data 24 luglio 1941 con il n. 2.247.186, a cui fa seguito poco dopo, 20 agosto 1941 il deposito presso l’Alien Property Custodian dell’analoga invenzione, con disegni diversi, che sarà pubblicata in data 11 maggio 1943 Serial No. 407.663. Questa duplicazione è legata al fatto che Chelazzi, in quanto cittadino Italiano che con la guerra è un nemico (alien) degli USA e quindi le sue iniziative devono sottostare a normative specifiche diverse da quelle in tempo di pace. L’invenzione, come riportato nella presentazione al deposito n. 407.663, è relativa a fabbricati e più in particolare concerne le strutture di fabbricati con spazi liberi sufficientemente ampi, in particolare utilizzabili per hangars di aeroplani. Trattasi di una pluralità di travi arcuate che si estendono da un supporto comune e con l’altro estremo sostenuto ad una maggiore altezza dal terreno da un cavo in tensione che collega due travi arcuate contrapposte. Nella documentazione del brevetto n. 2.247.186 sono illustrate più soluzioni in cui si trova la combinazione tra le strutture ad arco e quelle sospese. Quattro mesi fa (agosto 1940) ho avuto la idea peregrina di riprendere alcuni studi costruttivi sulle grandi portate che avevo iniziato alcuni anni fa. Ho l’impressione di aver trovato una sintesi brillante dei due più antichi sistemi (arco e sospensione) conosciuti per coprire il cielo tra due appoggi ma quello che è più importante è il fatto che queste mie idee hanno interessato un gruppo finanziario americano locale al quale ho ceduto parte dei benefici commerciali che speriamo realizzeremo nel futuro. Così mi hanno dato la pila per brevettare il sistema e nell’istesso tempo mi finanziano un viaggetto negli Stati Uniti dove cercherò di sistemare il brevetto e di tentare lo sfruttamento commerciale. Lettera a Gerardo Dottori, Shanghai,13 dicembre 1940


Patented June 24, 1941. 2,247,186 UNITED STATE PATENT OFFICE Paul C. Chelazzi, Shanghai, China, assignor to Charles John Doughty, Shanghai, China Application February 21, 1941, Serial No. 380.044 La presente invenzione riguarda edifici e più in particolare riguarda le caratteristiche strutturali degli edifici che forniscono relativamente grandi spazi non ostruiti da supporti verticali o colonne. L'invenzione riguarda più specificamente fabbricati per uso come hangar per aerei. Uno scopo dell'invenzione consiste nel fornire sistemi ad arco e sospensione nelle caratteristiche strutturali di un edificio in modo combinato per sfruttare al meglio le caratteristiche meccaniche degli elementi utilizzati nella costruzione dell'edificio. Un ulteriore scopo dell'invenzione risiede nel fornire una costruzione impiegando elementi strutturali suscettibili di fabbricazione o di prefabbricazione e produzione in una fabbrica e che richiede solo l'assemblaggio degli elementi strutturali in cantiere. Un altro scopo dell'invenzione consiste nel fornire una pluralità di travi arcuate girevoli ancorate fisse o di riposo ad una estremità e sostenute all'altra estremità da tiranti il che permette di ottenere grandi spazi senza ostacoli sotto gli archi adeguati all'esecuzione di operazioni di fabbricazione ivi o per parcheggiare aerei o altri veicoli relativamente grandi o articoli. Uno scopo più specifico dell'invenzione comprende la fornitura di travi ad arco per l'edilizia che sono ulteriormente sostenute da elementi di sospensione tesa o da un sistema ad arco lineare invertito in modo tale che la spinta verso l'interno ai punti di ancoraggio esercitate dagli elementi tesi è sostanzialmente neutralizzata dalla spinta verso l'esterno delle travi ad arco. Altri scopi e caratteristiche dell'invenzione saranno più chiari da una considerazione dei disegni allegati e della descrizione che segue in cui sono descritte alcune forme di realizzazione esemplificative dell'invenzione. Nei disegni: Fig. 1 è una vista in elevazione parziale in sezione che illustra le caratteristiche strutturali di un edificio che utilizza l'invenzione. Fig. 2 è una vista in elevazione laterale della struttura mostrata in Fig. 1


Fig. 3 è una vista in elevazione parziale di una costruzione simile alle caratteristiche strutturali di Fig. 1. Fig. 4 è una vista di una estremità ingrandita di un collegamento a cerniera per una trave arcuata. Fig. 5 è una vista in elevazione frontale del collegamento a cerniera di cui alla fig. 4. Fig. 6 è una vista in sezione della colonna verticale illustrante il collegamento a cerniera delle travi arcuate in costruzione. Fig. 7 è una vista in elevazione di una costruzione modificata incorporante le caratteristiche architettoniche dell'invenzione. Fig. 8 è una vista frontale dell'edificio mostrato in Fig. 7.


Published May 11,1943 Serial No. 407,663 ALIEN PROPERTY CUSTODIAN Buildings Paul C. Chelazzi, Shangai, China; vested in the Alien Property Custodian Application filed August 20,1943

Fig. 1 Vista in pianta di un tipo di edificio realizzabile con l’invenzione, con parte della copertura rimossa al fine di illustrare gli elementi strutturali della costruzione.


Fig. 2 Sezione lungo la linea II-II di fig. 1 Fig. 3 Vista in pianta di una diversa soluzione con la copertura rimossa. Fig. 4 Vista in pianta di un elemento di sostegno delle travi arcuate. Fig. 5 Vista di una prospettiva parziale di una trave arcuata che mostra la maniera in cui le forze generate dagli elementi strutturali sono sostanzialmente neutralizzate.


Riesaminando progetti urbanistici dopo trent’anni.

Alla memoria di Galileo Guazzaroni Nel rivolgere il più vivo ringraziamento all’ing. Chelazzi che, su nostro invito, ha trovato il modo di riprendere e sviluppare alcune personali vedute su ormai annosi, ma sempre attuali, problemi urbanistici che assumono particolare importanza nella trasformazione moderna di Perugia nel quadro compiuto del nuovo Piano Regolatore, si fa presente che, per esigenze varie, l’articolo è pubblicato con sensibile ritardo dalla sua compilazione. 9 LA DIREZIONE PERUGIA Rassegna di vita comunale n. 4-5 Luglio- ottobre 1956

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Allora avevo trent’anni e sognavo una grande Perugia, argomento questo che appassionava i più articolati giovano del tempo, ma che per Guazzaroni era addirittura ragion di vita. E con lui mi preoccupavo, in quell’anno 1924 del problema d’alloggiare un milione e mezzo di pellegrini che, si riteneva, avrebbero visitato Perugia nell’Anno Santo. Dovevano essere ospitati degnamente ed occorreva quindi costruire abitazioni in fretta utilizzando eventualmente aree centrali, tra le quali quella occupata dalla “cavallerizza”, l’attuale garage Gelsomini, cogliendo l’occasione per sistemare la piazza Morlacchi (fig.1). La città tendeva ad estendersi verso la zona di Monteluce e per collegarla al centro si pensò di prolungare la linea tranviaria che allora terminava a piazza Danti. Si propose di raccordare il nuovo binario a quello esistente nel corso Vannucci e, attraversata la piazza IV novembre, farlo proseguire per via delle Volte, via Cesare Battisti, via Pinturicchio e via Brunamonti. La vivacissima opposizione a questa proposta m’indusse a studiare il problema. Rilevai che lungo il lato nord della cattedrale esisteva un vicolo chiuso suscettibile d’essere ampliato per stabilirvi un raccordo tranviario 9

Nel comitato di redazione Aldo Capitini (Perugia, 1899 –1968) è stato un filosofo, politico, antifascista, poeta ed educatore italiano. Fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento gandhiano, al punto da essere appellato come il Gandhi italiano. 10 In realtà ne aveva venti


dal binario terminale di Piazza danti, a quello che da via Cesare Battisti avrebbe proseguito per Monteluce, passando per via Baldeschi (fig.2). Nel gennaio del 1925 preparai un progetto e vedremo come questo vicolo, opportunamente sistemato, potrebbe essere utilizzato anche per migliorare le condizioni di transito per via delle Volte. Sin da quel tempo ci si rendeva conto che questa strada non rispondeva più alle esigenze di un sempre più voluminoso traffico d’autoveicoli. Anche gli altri accessi al centro si dimostravano inadeguati ed al fine di migliorare tale situazione proposi la costruzione di una nuova strada che avrebbe allacciato via Bartolo a via Pinturicchio presso l’arco della Pesa passando sotto il muraglione delle Prome (fig.3). Nel riesaminare questo progetto riferirò più oltre sulle possibilità offerte dalla zona per stabilirvi aree a parcheggio. In quei tempi si verificò l’auspicata ripresa delle attività edilizie ma – scrivevo sulla Tribuna nel Febbraio 1926 – “ non dobbiamo farci illusioni che sia completamente risolto il problema delle abitazioni …ché anzi la parte di esso più interessante, e quella che presenta le maggiori difficoltà, rimane tutt’ora chiusa nel mistero della sua insolubilità: le abitazioni operaie …moltissime delle quali tra le esistenti si trovano in condizioni tali da rendere impossibile una vita civile in esse…” e sottolineavo il fatto che “... famiglie operaie si accentravano in gran massa in alcuni tuguri privi di aria e di luce che traversano o si dipartono dal Corso Garibaldi... altre sono invece allogate nelle catapecchie sconnesse, spesso luride, che fronteggiano via del Balugaio e i vicoli secondari di essa: via dei Pellari, dei barutoli, del Piccione, ecc... In questa stessa atmosfera mefitica si svolge la esistenza di tante e tante giovinezze minate continuamente dalle insidie che derivano dalle impossibili condizioni igieniche”. E ritenevo che si dovesse “... procedere ad una radicale sistemazione del Balugaio” proponendo il progetto, di cui alla fig.4, che prevedeva la costruzione di un centinaio di quartieri con quattro-cinque ambienti ognuno. Anche a me sembrò un progetto “ un po’ grandioso” seppure in queste proporzioni cominciava a svilupparsi l’edilizia nelle zone periferiche senza scrupoli d’ordine urbanistico e lontana dall’occhio del pubblico ornato. La situazione divenne preoccupante e come la tradizione cittadina vuole che si agisca in tali circostanze si tornò a parlare del ... nuovo piano regolatore. Nel 1927 vi contribuì lo studio “Le linee di una grande Perugia” che seppure modesto e preliminare, venne ritenuto il primo completo dalla stampa del tempo (fig.5). Una rassegna anche rapidissima dell’imponente insieme di opere stradali e sistemazioni edilizie, che nel mio giovanile entusiasmo di costruttore proponevo, richiederebbe troppo spazio. Mi limiterò quindi a rielaborare le soluzioni di quei problemi già impostati in detto studio che a mio parere assumono maggiore importanza nel quadro delle presenti esigenze del traffico e dei parcheggi. E questo alla luce di quanto ho potuto osservare nel corso di 25 anni in vari paesi del mondo e recentemente a New York dove ho avuto occasione di studiare alcuni problemi di parcheggio. *** Com’è noto, la tecnica moderna segue, nello studio di distribuzione delle aree a parcheggi, i concetti del fringe parking, cioè parcheggio in aree marginali della città, e quelle del core parking o parcheggio nelle aree adiacenti oppure situate al centro della città. Volendo adottare i primi nell’esame degli specifici problemi perugini, una soluzione potrebbe essere quella di stabilire il parcheggio in aree prossime alle porte della città e collegare queste al centro con mezzi di trasporto pubblico. Se ciò è concepibile a New York e in altre città servite da efficienti reti d’autobus e rapide metropolitane, dubito molto che detti criteri potrebbero applicarsi vantaggiosamente a Perugia, dove le ristrette sezioni delle sue strade medioevali a forti pendenze mal si presterebbero all’impianto di adeguate reti di trasporto pubblico. D’altra parte tale soluzione non incontrerebbe certo il consenso della quasi totalità dei proprietari d’automezzi privati, i quali si rassegnerebbero mal volentieri a parcare la propria macchina, diciamo a S. Costanzo e proseguire per il centro in filovia. Non v’è dubbio che il traffico da e verso il centro diviene sempre più un complesso problema sia per varietà di veicoli che per volume, mentre le aree di parcheggio risultano inadeguate anche per le esigenze di stazionamento temporaneo. Tuttavia ritengo che con opportune sistemazioni di zone relativamente libere nelle vicinanze del centro si potrebbe soddisfare il fabbisogno di parcheggio e migliorare sufficientemente la viabilità. Ritengo che le zone di maggiore interesse in tal senso sono: la Conca, quella sotto il muraglione delle Prome ed il Parco Monterone che i più giovani chiamano Pincetto.


fig.1 fig.2 fig.3 fig.4


fig.5

*** Vedo la sistemazione di dette zone sotto tre profili diversi ma ugualmente importanti, cioè il costruttivo o tecnico, l’estetico e l’economico. Purtroppo, per quanto riguarda il tecnico ho dovuto limitarmi alle sole preliminari indagini piano-altimetriche permesse da pochi dati che ho potuto racimolare da fonti private, perché ancora non esiste un paino quotato della regione centrale di Perugia. Né la mancanza di rilievi riguardanti le conformazioni geologiche delle zone in oggetto mi autorizza ad esprimere un parer circa i tipo costruttivi consigliabili per realizzare dette sistemazioni. Probabilmente, tenendo conto delle esigenze alle quali deve rispondere sotto gli altri profili, una strutturazione che preveda di portare i piani stradali e dei parcheggi su telai viadottali in cemento armato con eventuali membrature in precompresso potrebbe rappresentare una soluzione conveniente. Ma in questo caso ancor più vantaggiosa risulterebbe tale soluzione adottando strutture ad archi e cavi collaboranti, tipi questi che formano oggetto di alcune mie ricerche come i lettori de L’architettura avranno notato nel suo numero inaugurale del maggio-giugno scorso.


Nel quadro di dette ricerche ho recentemente studiato dei tipi strutturali per l’ampliamento della pericolosa curva di via XX settembre, presso il Brufani, rappresentata dalle linee tratteggiate nella fig. 6, dalla quale risulta anche il proposto ampliamento previsto con un massimo di nove metri alla sezione indicata dalle frecce. Tale ampliamento potrebbe essere effettuato con complessi portanti del tipo di cui alla fig.7 disposti radialmente. Sono costituiti da un puntone ad arco che sostiene la zona esterna dell’ampliamento ed è connesso a cavi sui quali grava quella centrale del medesimo. Si noti la possibilità di poter realizzare questo ampliamento della strada esistente con semplici mezzi d’opera pensili evitando la costruzione a diversi piani che altrimenti si renderebbe necessaria per poterlo sistemare sul suo tetto.

Ora, non è questo il tipo a sbalzo a cui penso per la sistemazione delle zone in oggetto, ma sono certo che i concetti di economia meccanica su cui è basato si potrebbero applicare vantaggiosamente nello studio d’altri tipi rispondenti alle specifiche esigenze funzionali delle medesime. Sotto il profilo estetico un maggiore problema si presenterà forse nella conca, che è dominata dall’architettura delle sovrastanti mura etrusche. Queste e le masse verdi che le fasciano formano un insieme paesistico che vie in un’atmosfera direi quasi cristallizzata dalla storia e che dovrebbe essere turbata il meno possibile dai complessi strutturali richiesti per le sistemazioni stradali e dei parcheggi. È quindi necessario ridurre al minimo scavi, riporti e muri di sostegno, opere massicce queste che con la loro pesante architettura potrebbero alterare l’equilibrio estetico ambientale. Pertanto la più rispondente è indubbiamente una strutturazione basata sui tipi sovra accennati in quanto, sostenendo i piani stradali e dei parcheggi con travate d’esili archi e trefoli d’acciaio su leggeri pilastri, dette opere massicce non sono più richieste mentre la maggior parte di muri e scarpate è lasciata in vista. Derivando in parte dai ponti sospesi tali strutture ad archi e cavi ritengo che possano classificarsi con i medesimi tra quei tipi di “... leggerissime gittate che non interrompono la continuità paesistica e talvolta sembrano valorizzarla mediante l’intervento contenuto e quasi casto della mano dell’uomo” come Bruno Zevi si esprimeva recentemente al riguardo del progetto Steinman per il ponte di Messina. La sistemazione stradale e del parcheggio sotto il muro delle Prome potrebbe risultare vantaggiosa solo utilizzando le aree più vicine a via della Volpe cioè ai piedi della scarpata di detto muraglione, per cui non si dovrebbe recare disturbo alcuno alla continuità paesistica del luogo. Non v’è perugino che non sia orgoglioso del Parco Monterone, che a me nel 1922 procurò la non sempre gioiosa fatica di rilevarne le impervie pendici per preparare la prima pianta piano-altimetrica del luogo, sulla quale il mio giovane maestro ing. Sisto Mastrodicasa studiò poi un progetto di sistemazione stradale. Purtroppo il Monterone si può ammirare solo da qualche finestra di alcune case a Porta Sole o, rischiando un torcicollo, osservarlo da via XIV settembre, se non si vuol provare un senso di vertigine guardando i 40 metri di quasi strapiombo della sua scarpata dal poggetto presso piazza Oberdan. Altrimenti lo si può vedere nel suo insieme solo andando a qualche chilometro dalla città. A tale distanza dubito molto che apparirebbe diverso dopo una sistemazione edilizio-stradale opportunamente progettata con il dovuto rispetto alle masse verdi ed al fine di mantenere per quanto possibile la presente continuità delle basiche linee paesistiche del luogo. In quasi tutte le maggiori città del mondo le strade e particolarmente i parcheggi formano oggetto d’imprese pubbliche o private improntate al sano concetto economico-sociale che l’utente deve pagarne il costo e la manutenzione. A New York direi che tutte le aree centrali sono a pagamento o riservate ai clienti di “shopping centers” mercati generali e simili centri di attività commerciali.


Anche molti tratti delle principali strade cittadine destinati al parcheggio vengono sfruttati economicamente dall’Amministrazione Municipale che v’installa dei contatori. Solo dopo avervi introdotto la richiesta moneta vi si può parcare per un limitato tempo (un’ora al massimo ritengo) al termine del quale, se non si è ripetuto il pagamento, appare sul contatore la dicitura “violation” che fa dovere ad ogni vigile urbano di passaggio d’affiggere sul veicolo lo scontrino di una forte contravvenzione. Non vedo le ragioni che impediscano di adottare tali concetti ai presenti e futuri parcheggi delle città impostando su queste razionali basi economiche quelle eventuali iniziative per realizzare sistemazioni delle zone in oggetto nelle quali vedo la possibilità tecniche di seguito riferite. Zona della Conca In questa zona l’area di maggiore interesse è quella tratteggiata nella fig.8 ed è ubicata tra via Appia ed il muro di sostegno della via Cesare Battisti. Si potrebbe utilizzare per un edificio a più piani di parcheggio, eventualmente limitando la costruzione in un primo tempo al piano di copertura da stabilire alla stessa quota della sezione di raccordo di via Battisti e piazza Fortebraccio ed estendendolo sino alla facciata dell’Università per Stranieri. Spostando l’attuale scala che da questa conduce alla conca, come è indicato nella fig.8, l’accesso a via Battisti e al proposto parcheggio risulterebbe considerevolmente ampliato. Al fine di una più pronta utilizzazione di questo piano di parcheggio per il momento basterebbe solo inserire le necessarie intelaiature tra le malsane casupole esistenti per poi completare le strutture dopo la loro demolizione ad esproprio concesso. Gli altri piani potrebbero essere costruiti e connessi secondo la pianta di cui alla fig.9. Nel complesso sarebbe opportuno migliorare le condizioni di traffico di via Battisti al centro mediante la sistemazione del vicolo chiuso sul lato nord della cattedrale come avevo previsto nel mio progetto tranviario del 1925 di cui alla fig.2 Si potrebbe così stabilire un senso rotatorio riservando via delle volte ai soli veicoli in arrivo, facendo passare quello dal centro per detto vicolo di via Baldeschi e permettendo alle sole filovie il transito nei due sensi. Nella terza fase di sviluppo della Conca, illustrata dalla fig.10, su parte del piano di parcheggio a livello della via Battisti si prevede il raccordo della medesima ad una nuova strada su telai viadottali da costruire sopra gli orti del Verzaro con ampio sviluppo planimetrico per ridurre al minimo le pendenze. Questa strada, allacciandosi presso via dell’eremita a via S.Elisabetta e via Pascoli, potrebbe divenire un nuovo importante accesso al centro permettendo altresì di stabilire ampie aree di parcheggio lungo alcuni tratti del suo percorso. Se questo progetto venisse realizzato probabilmente il volume del traffico assumerebbe tali proporzioni da non poterlo più contenere nelle anguste sezioni della via delle Volte rendendo improrogabile una più completa sistemazione edilizio-stradale di tutta la zona prevedendo eventualmente: a) l’ampliamento del primo tratto di via Cesare battisti espropriando il giardino del palazzo Bonucci; b) la costruzione di una galleria con una larghezza di almeno 10 metri che da piazza Cavallotti permetta di raggiungere piazza Danti. Ritengo preferibile l’andamento planimetrico di questa galleria riportato nella fig.10 ma probabilmente quello indicato dalla fig.11 sarebbe più economico. c) La sistemazione della piazza Morlacchi proposta nel 1925 di cui alla fig.1 Zona sotto il muraglione delle Prome Riesaminando l’idea progettuale presentata nel ’25 ed illustrata nella fig.3 vedo la possibilità di stabilire zone di parcheggio lungo la proposta strada, come indicato nella fig.12. Di maggior interesse, come impresa economicamente positiva, è forse il progetto di cui alla figura 13, che tra l’altro prevede l’utilizzazione di un tronco su due piani al fine di aumentare la lunghezza della strada e ridurne la pendenza. Si noti che oltre a zone di parcheggio coperto una opportuna strutturazione permetterebbe di costruire anche l’edificio tratteggiato nella sezione I-I.



Parco Monterone Ritengo questa zona di massimo interesse per una più completa soluzione dei problemi urbanistici in esame. Vi vedo costruito un centro Monterone d’attività cittadine oltre a provvedere ampie aree di parcheggio su otto piani con strada perimetrale al loro livello e connessa a rampe ubicate nella zona interna. Come è indicato nella fig.14, l’ingresso e l’uscita dal proposto centro sono previsti sulla via XIV Settembre. I piani dal terreno al terzo coprono la stessa area, ma questa, dal quarto all’ottavo, può essere estesa verso l’interno (fig.15) sino alla nuova scarpata risultante dallo sbancamento indicato nella sezione a-a della fig.17. L’ottavo piano é previsto al livello della piazza Matteotti (fig.16). Ma sarebbe opportuno proibire l’accesso ai veicoli da via Oberdan contenendo tutto il traffico in arrivo e partenza nell’ambito del Centro. Si noterà dal bozzetto di prospetto sulla via XIV settembre (fig.18) che si propone un’elaborazione progettuale su concetti intesi a lasciare in vista le masse verdi del Monterone per quanto più possibile. Dalla sezione a-a della fig.17 risulta che una eventuale sopraelevazione al disotto della linea tratteggiata non sarebbe visibile dal corso Vannucci attraverso via Mazzini. Pertanto tale sopraelevazione si potrebbe estendere fino a sei piani nell’area 4 dell’ottavo piano. In tale caso il prospetto risulterebbe quello della fig.19. Nella foto della fig.20 il proposto centro è visto da via XIV Settembre. La superficie complessiva delle aree a parcheggio previste nel centro è di circa 21.000 metri quadrati. Quella dei piani del fabbricato della zona 4 ammonta approssimativamente a 5000 mq. Il volume totale di fabbrica è 260.000 metri cubi circa, esclusa la sopraelevazione dell’area 4 dell’ottavo piano. PAUL CHELAZZI Ingegnere Architetto, New York


fig. 13


fig.14

fig. 15


fig.16

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fig.18

fig. 19


fig.20

Riferimenti: Il giornale d’Italia 18/01/1925 Per la crisi edilizia e per la bellezza d’una piazza di Perugia Corriere d’Italia 05/03/1925 I monumenti di Perugia e il Tram Il giornale d’Italia 25/10/1925 La questione della viabilità a Perugia La tribuna 03/02/1926 Le case operaie e la sistemazione del “Bulagaio” Il giornale d’Italia 04/01/1930 Per la più grande Perugia. Il nuovo Piano Regolatore


Strutture pensili e sostegni fondali in parete Paul Chelazzi L’architettura cronache e storia, n.11 – 1956 Osservando il progetto di un velodromo seminterrato pubblicato in “L’architettura” n.5 p.700 (fig.1) mi si prospettò la possibilità di sostenere la pensilina senza ricorrere al consueto corpo di fabbrica posteriore che generalmente è solo un “contrappeso” di scarsa utilità funzionale. La struttura ipotetica della fig.2 illustra dei concetti meccanici sui quali si potrebbe basare uno studio di progetto che risponda a tali esigenze. Un arco portante i carichi del tetto è connesso ad un cavo all’estremo libero della pensilina. All’altro estremo, l’arco è impostato sul masso fondale d’appoggio mentre il cavo viene curvato sulla sella di un corto puntone spingente contro l’imposta dell’arco stesso e poi ancorato alla fondazione. È chiaro che le tensioni Tc e Vc nel cavo da un lato e dall’altro del puntone producono la risultante P che, trasferendosi lungo la sua linea d’azione, coincidente con l’asse del puntone stesso, interseca quella della spinta Ta dell’arco componendosi con la medesima per generare la risultante finale R. Il cavo tende a sollevare il masso fondale con la tensione all’ancoraggio Q=Vc producendo un momento di ribaltamento intorno al punto Q. Ad esso si oppongono i momenti stabilizzanti dovuti al peso del masso fondale W, alla risultante R ed alla spinta F del terrapieno. G è la reazione della fondazione in calcestruzzo sotto la gradinata che equilibra il sistema. Ove i momenti stabilizzanti delle suddette forze non fossero sufficienti per neutralizzare quello di ribaltamento, basta aumentare il peso W del masso fondale approfondendolo, oppure si può ancorare il cavo ad una zattera il cui sollevamento è contrastato dal terrapieno. Il modello (fig.3) illustra il concetto di coazione elastica per vie esterne realizzabile tra l’arco e il cavo della pensilina (fig.2) per una equidistribuzione dei carichi del tetto, il che permetterebbe di far lavorare i due sistemi con massima economia meccanica, riducendo considerevolmente la quantità di materiale richiesta.


Nella copertura dell’area di parcheggio (fig.4) questa struttura permette di provvedere luci libere continue su tra lati del lotto con un minimo ingombro d’area limitato ad un’unica fila di pilastri in prossimità del quarto lato sul quale vengono ancorati i cavi. Risulta evidente il concetto meccanico: la tensione Hc del tirante che sollecita orizzontalmente il puntone e quella Vc verticale del cavo d’ormeggio generano la forza P che trasferendosi all’imposta del semiarco si combina con la spinta Ta di quest’ultimo per produrre la risultante R la quale sollecita assialmente il pilastro in qualsiasi combinazione di carico. Con una struttura a sbalzo di 32 metri (fig.5) si potrebbero parcare in una stazione di servizio 108 veicoli sul piano superiore portandoveli con u n ascensore; e ciò ad un costo assai modesto.

L’architetto dirigente della maggiore immobiliare del mondo, la Webb e Knapp, mi invitò a studiare la soluzione dei problemi relativi ad uno dei loro progetti del momento a New York. Si tratta del più grandioso fabbricato del mondo: circa 4 milioni e mezzo di metri cubi, contro i 2 milioni e mezzo della Grande piramide d’Egitto ed il milione della Basilica di San Pietro a Roma; 465.000 mq. D’area distribuiti su una trentina di piani, che poi vennero elevati a 650.000 mq. Non m’impressionarono queste dimensioni elefantiache quanto i problemi derivanti dal fatto che la costruzione dovette sorgere sopra una delle due maggiori stazioni sotterranee di New York, la Pennsylvania Station, dove passano giornalmente 689 treni passeggeri il cui transito deve essere disturbato il minimo possibile durante i lavori. Per i pilastri di fondazione si mettevano a disposizione i soli 50 cm (20 pollici) tra due o al massimo quattro coppie di binari. La fig.6 prevede quattro unità portanti sovrapposte per i 32 piani. In ciascuna unità i carichi del corpo di fabbrica centrale vengono trasferiti dalle intelaiature al cavo che attraversa il pilone liberamente per connettersi all’estremità del puntone destro e, dall’altro lato, sul puntone sinistro, al cavo d’ormeggio. Gli altri carichi sono portati dai puntoni le cui spinte sul pilone generano risultanti R che lo sollecitano assialmente.


Tutti i carichi vengono sostenuti dall’unico pilone il quale, biforcandosi nei piani inferiori, li trasferisce alle forcelle di ripartizione imbragate da tiranti che posano sulle testate dei pilastri, specie di colletti dello spessore di 50 centimetri che s’innestano sul grigliaggio fondale distributivo. Il terreno fondale costituito da roccia dura ammetterebbe un carico di sicurezza tale da giustificare la progettata distribuzione su tre pilastri e l’ancoraggio dei cavi d’ormeggio tra i secondo ed il terzo binario.


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Avevo inviato l’articolo pubblicato in “L’architettura” N.1 al Prof. D.B. Steinman . Mi rispose incitandomi a sviluppare le strutture pensili a sostegni fondali in parete. Quando vide il primo bozzetto, disse:” quanto mi piacerebbe vederlo costruito nel Golfo di Napoli”. Pensai ai Faraglioni. Immaginai di aver noleggiato uno yacht per andare ad inaugurare una villa costruita sulla parete d’uno di essi (fig.7). La struttura (fig. 8 e 9) è formata da tre puntoni ad arco d’acciaio portanti i carichi dei due piani trasmessi dalle intelaiature delle prime cinque campate e connesse a cavi che portano quelli delle altre cinque campate più prossime alla parete dove sono ancorati. Sbalzo di 30 m. Realizzazione con profilati di tipo normale per i puntoni e trefoli di cavetto d’acciaio correnti per i cavi. Solai in vetro strutturale semisabbiato; pareti in materiale di resina vetroarmata. Il costo del montaggio può essere ridotto quando esiste una strada dalla quale si possono stabilire ponteggi e costruire gli ancoraggi (fig. 10): due puntoni ad arco lungo le facciate longitudinali sono connessi ai cavi al vertice della struttura che si prevede costruita a lato di una strada panoramica.

La fig. 11 prevede due piani, oltre alla terrazza-tetto, senza alcun ingombro di pavimento e luci libere sulle tre facciate. Questa struttura in condizioni di pieno carico richiede teoricamente solo l’appoggio dei puntoni più bassi e l’ancoraggio dei cavi più alti dato che le unità portanti intermedie, in corpo di fabbrica, risultano autoequilibrate e possono essere sostenute su semplici pilastri. La prefabbricazione e il montaggio di questi tipi strutturali richiede matura esperienza costruttiva, ma i mezzi che possono realizzarli sono di semplice fattura. Ho già avuto varie occasioni di discuterne in dettagli con esperti delle maggiori ditte americane di costruzioni metalliche tra le quali la John A. Roebling’s Sons Corporation di Trenton N.J., produttori di cavetti e costruttori dei ponti sospesi Brooklyn e Washington a New York nonché dei cavi del Golden Gate a San Francisco. Avvalendomi dei loro consigli, ho progettato vari tipi di connessione ma, nella quasi totalità dei casi, rispondono bene anche quelli correnti che vengono utilizzati in ponti sospesi di minore portata e nel c.a. precompresso. Per la connessione del puntone ad arco ai trefoli del cavo, questi ultimi sono previsti nella fig. 12 con terminale a vite micrometrica per regolare la tensione nei trefoli stessi. Questo è un tipo normale fabbricato dalla predetta Roebling Co. che produce anche il terminale d’ancoraggio del cavo in blocco di calcestruzzo (fig. 13) che viene garantito per una compressione massima nel blocco di 56 kg/cmq.

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David Barnard Steinman 1886-1960. È stato uno dei massimi progettisti di ponti sospesi degli Stati Uniti. Nel 1950 ha elaborato un progetto per il ponte sullo stretto di Messina ad unica campata di 1524 metri con due piloni alti 220 metri sopra l’acqua, che sarà la base per le successive gare.


Per la valorizzazione di pareti a picco mi sembra risponda adeguatamente la struttura della fig.14. È una villa alla quale si accede a mezzo di una scala a chiocciola il cui parapetto incastrato nella roccia forma la travatura portante la scala stessa e l’ascensore cilindrico con pareti di pozzo in plastica (fig.15). Giunto a questo punto, mi si prospettò la utilizzazione di muri di facciata come archi portanti in c.a. (figg.16 e 17). La struttura è un primo tentativo di puntoni ad arco in calcestruzzo d’alta resistenza con controventatura in cavi d’ormeggio laterale, se richiesti da particolarmente severe sollecitazioni del vento. Poi, per un’isola, progetta i la struttura della fig.18, che sintetizz


a i concetti meccanici espressi da tutte le precedenti. L’unità portante più sollecitata (fig.19) è l’intermedia, alla quale le travi principali B del solaio trasferiscono 10 carichi concentrati d’uguale intensità ed equidistanti. Seguendo criteri convenzionali di strutturazione, tutti i carichi dovrebbero essere portati dal puntone ad arco sostenendolo con un tirante passivo (fig.20). In questo caso, per trasferire detti carichi dal solaio all’arco si renderebbero necessari dei pilastri pendolari tanto più lunghi quanto più vicini alla parete fondale, che richiederebbero opera d’irrigidimento e spezza-tratta intese ad impedire l’inflessione laterale dei pilastri stessi. La tensione Tc (fig.21) nel tirante è di pari intensità a quella dell’arco Ta nel tratto 0-1 ed ha con essa in comune la linea di sezione. La struttura di fig.18 è stata invece progettata in base a criteri d’economia meccanica per cui, in luogo del tirante passivo, si prevede un cavo attivo che porta metà dei carichi cioè i cinque più prossimi alla parete. Anche in questo caso, l’asse baricentrico del cavo nel tratto 0-6 coincide

con quello del puntone ma il pilastro pendolare medio risulta molto più corto, per cui non sono più richieste opere d’irrigidimento (fig.22). Nel poligono della fig. 23 si osservi come le tensioni massime nel puntone e nel cavo risultano considerevolmente inferiori alle corrispondenti della fig. 21 ivi riportate. Invero per la medesima lunghezza l dello sbalzo ed altezza h del puntone ad arco e gli stessi carichi si può risparmiare il 27% della sezione richiesta dal tirante della fig.20 ed il 32 ½ % di quella dell’arco, naturalmente assumendo gli stessi materiali e carichi di sicurezza. Inoltre i sistemi componenti sono adeguati geometricamente a linee delle pressioni per i pesi rispettivamente portati in prevalenti condizioni di carico. Pertanto tutte le membrature risultano sollecitate assialmente ed è così possibile un totale sfruttamento del potenziale di resistenza delle sezioni. Oltre a quelli relativi agli appoggi, ancoraggi e connessioni, delicati problemi vengono posti da queste strutture, per irrigidirle e controventarle, che devono essere esaminati, caso per caso, ricorrendo eventualmente a prove sperimentali in tunnel aerodinamico. Un più semplice tipo di controventatura è quello illustrato nel modello. Ritengo che la struttura potrebbe rispondere alle esigenze di una terrazza panoramica ed eventualmente portare un albergo in alluminio-vetro-plastico. Questa è in breve la mia avventura in un mondo di strutture che permetterebbero di utilizzare il potenziale estetico di luoghi tanto più belli quanto meno economicamente accessibili per la loro valorizzazione con mezzi costruttivi convenzionali.


Roeblin’s Suspenarch Demonstrated

di Burton H. Holmes Technical Editor di P/A Progressive Architecture, sept. 1957

Trenton, N.J. 31 luglio (1957) Alla John A. Roebling’s Sons, un concetto strutturale che era rimasto in soffitta per 20 anni – il “suspenarch” – forza il guscio in cui è confinato e le crepe indicano che l’ultimo ostacolo è stato superato per diventare una realtà strutturale. Un modello lungo 6 1/2 ‘ (198cm) in scala 1:20 di un suspenarch – rappresentante una luce di 127’ (38,70mt) ed altezza di 8 ½ ‘ (2,60mt) è stato mostrato con successo ad un gruppo di architetti, ingegneri ed alla stampa tecnica. Suspenarch, originariamente concepito da Paul Chelazzi – creativo, fantasioso ma con i piedi per terra, architetto – ingegnere, la cui insistenza matematica è che il progettista mantenga le sue tre forze fondamentali della statica in equilibrio – consiste di un elemento ad arco con un arco superiore le cui cerniere sono connesse da un cavo avente una curva inferiore con una freccia uguale alla monta dell’arco. Arco e cavo sono separati da puntoni in diversi punti (Figg. 1 e 2). Le prove eseguite sul modello indicano il comportamento del suspenarch sotto condizioni di carico uniforme e gli effetti di carichi asimmetrici. In accordo con Blair Birdsall, ingegnere capo della Roebling’s Bridge Divisione, che conduce l’esposizione “la stabilità di suspenarch può essere ora verificata sotto carico uniforme e asimmetrico di questo modello … ed un approccio ulteriore è previsto per coloro che stanno studiando strutture di grande luce, per la copertura di ambienti dove

sono necessari grandi spazi liberi da colonne.” Il prototipo di suspenarch – che il modello rappresenta – consiste di due |5|50 e due trefoli di 2” diam. galvanizzati da ponte; le cui proprietà sono ottenibili dal manuale. (in un


modello di questa scala, è quasi impossibile avere ambedue, l’area e il momento d’inerzia dell’arco, esattamente in scala; in questo caso il momento d’inerzia è in scala). Il peso proprio del prototipo è di 70 psf o 16.800 lb (7.620 kg) per pannello; il peso accidentale sul prototipo è 40 psf o 9.600 lb (4.355 kg) per pannello. Il peso proprio equivalente del modello è 31,4 lb (14,24 kg) per pannello e 17,9 lb (8,12 kg) il peso vivo (peso di ogni elemento appeso in Figg. 1 e 2). I risultati della prova sono riportati: (4) carico uniforme - (5) carico asimmetrico - (6) sollecitazione di flessione nel prototipo. L’esposizione, non solo ha definitivamente provato la validità del concetto di suspenarch, ma ha anche comprovato che possono essere raggiunte luci di grande dimensione. Burton H. Holmes Fig. 1,2,3 Sotto carichi asimmetrici (2 e 5), la metà destra dell’arco s’ingobba per il momento flettente negativo – causando tensione nel sopra dell’arco ed allungamento delle fibre tese. Questo fenomeno è osservato e misurato (3). Sotto carico uniforme, i due fili indirettamente attaccati al sopra dell’arco sono paralleli; sotto carichi asimmetrici divengono non paralleli. La loro divergenza può essere misurata dal reticolo nella strumentazione ottica dietro. Fig. 4,5,6 (4) deflessione dovuta a carico uniforme (5) deflessione dovuta a carico asimmetrico (6) tensioni di flessione nel prototipo


Multistory structures

di Paul Chelazzi ingegnere-architetto membro della American Society of Civil Engineer, New York, N.Y. Progressive Architecture - Ottobre 1959, pag. 166-171 In articoli precedenti apparsi su P/A, questo autore ha discusso su “Structures in Membrane on Co-Acting Ribs” e “Axially-Stressed Wide-Span Structures”. Sebbene i suoi progetti –per la maggior parte – siano ancora da essere realizzati nelle costruzioni attuali, l’ampia profondità della validità delle sue teorie strutturali sono state verificate in laboratorio – come riportato in “Roebling’s Suspenarch Demonstrated” nel numero di settembre 1957 di P/A. Qui le stesse teorie sono applicate a strutture multipianoi – concludendo con una ricerca su un edificio di 300 piani di altezza! Fin da tempi biblici, quando Giacobbe vide la Scala Celeste in un sogno, gli uomini di tutte le età hanno avuto un impulso di costruire più alto - per raggiungere il cielo. Questo autore si chiede, tuttavia, se nel corso degli anni ogni innovazione fondamentalmente significativa dei metodi di costruzione per gli edifici alti è stata perfezionata, poiché molti materiali dei tempi antichi vengono ancora utilizzati in modi tradizionali, per costruire strutture pesanti il cui peso, in alcuni casi può essere 100 volte quello del carico di esercizio da sostenere. È anche difficile da credere che il criterio di progetto per lo scheletro degli edifici e sostanzialmente progredito da quando i primi uomini per proteggersi dagli animali, sollevarono i loro piani da terra, sostenendoli con intelaiature non diverse dalle opere di falegnameria di un comune tavolo. Infatti ancora oggi le strutture degli edifici multipiano sono basate su una prestabilita, intuitiva , logica strutturale che trasferisce il carico del tetto o di un solaio da uno, ad un secondo e quindi ad un terzo sistema di travi incrociate prima di scaricarli sulle colonne. Lasciateci analizzare questo tipo di strutture tradizionali in un esempio di due campate alto dieci piani (figura 1). Il peso del tetto e dei solai scaricato dalle travi, B, è portato alle travi G, che lo trasferiscono alle colonne, C. Con lo scopo di comparazione un’ipotetica struttura arco-tirante è mostrata con linea tratteggiata. Le travi G divengono non necessarie scaricando le B il carico direttamente sull’arco – che per la massima economia deve essere progettato a seguire la linea di pressione dei carichi prevalenti. L’enorme costo del tirante necessario per bilanciare la spinta esterna dell’arco, ne cancella quasi tutti i vantaggi. Come è stato proposto dall’autore per simili 12 strutture , il carico è portato ugualmente da un arco ed un sistema a sospensione, componenti base di una unità suspenarch (fig.2), dove il tirante non è necessario. Quando caricate, queste componenti

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Luglio 1956, dicembre 1957 PA


co-agiscono meccanicamente alle loro cerniere di connessione, dove le componenti orizzontali delle spinte possono essere bilanciate sotto ogni carico, agendo sulla loro forma geometrica. In questo modo le componenti ad arco e sospensione richiedono solo metà sezione dei corrispondenti elementi della precedente struttura arco-tirante (fig.1). Le strutture precedenti non hanno particolari valori di progetto e sono presentate solo per illustrane i concetti. Viene analizzata la possibilità di utilizzare la struttura del vano ascensore, come sostegno delle strutture suspenarch in un edificio di 10 piani a pianta quadrata (fig.3). Qui gli arti strutturali sono sostenuti da un nucleo centrale formato dalla pareti in cemento armato dei quattro pozzi (scale ed ascensori) che sono sollecitati orizzontalmente e verticalmente. Il nucleo ad X è progettato di adeguate sezioni per resistere agli sforzi dovuti ai carichi trasferiti dagli arco-puntoni, ad altezza delle porte (fig.3 A). sotto carichi uniformi le spinte, R, dei puntoni si bilanciano. Invece di tradizionali travi portanti, cavi-travi sono previste per portare il carico in sospensione esercitando così spinte orizzontali RxH su ambedue i lati di ogni puntone. La risultante T delle componenti orizzontali H, tende a ruotare il puntone in alto (fig.3 B), mentre il carico di gravità P, agente nello stesso punto produce un momento stabilizzante. Poiché tutti i carichi sono sostenuti dal nucleo centrale, l’area di ogni piano è totalmente libera ed allo stesso tempo una facciata continua può essere posta lungo il perimetro. Estendiamo ancora l’utilizzo congiunto di strutture suspenarch con nucleo ascensore ad una struttura in cemento armato, di 30 piani. Uno studio preliminare era basato sulle piante di un edificio costruito a New York in anni recenti (fig.4). Applicando i concetti sopra esposti una soluzione poteva essere sviluppata come mostrato (fig.5). Nel confronto di quest’ultimo con la pianta convenzionale (fig.4) si nota che 62 delle 66 colonne vengono eliminate, assegnando la loro funzione ad otto nuclei di due ascensori ognuno e quattro colonne perimetrali. I piani sono sospesi da 36 sottili cavi di acciaio che li penetrano in luoghi in punti in modo da non interferire con la completa utilizzazione del piano. Come mostrato (fig.6) i nuclei di due elevatori divengono unici a partire dal 20° al 30° piano, la terza di tre sovrapposte unità costruttive. Poiché in ognuna delle unità costruttive di 10 piani, i cinque piani bassi sono sostenute dai cavi ed i rimanenti dagli archi, evidentemente il piano terra, il 10° ed il 20° non sono attraversati da agganci ed il piano, completamente libero, può essere interamente utilizzato, eventualmente per parcheggi. Se sono necessari piani liberi per ulteriori parcheggi o altre specifiche funzioni, l’edificio può essere


suddiviso in più di tre unità costruttive. Le meccaniche che governano il comportamento strutturale dei tipi precedenti di unità di sostegno suspenarch per edifici multipiano, sono più chiare sene analizziamo i componenti. L’arco mostrato (fig.7) di forma parabolica, con una luce L, una freccia h, e caricato da un carico uniformemente distribuito w, il valore della componente orizzontale della spinta, può essere ottenuto integrando due volte l’equazione della parabola, quindi quella della spinta inclinata al moncone,T, può essere derivata da H, attraverso ulteriori elaborazioni di calcolo. Per i progettisti con mentalità non matematica, un metodo molto semplice per ottenere facilmente H, era stato 13 mostrato in un precedente articolo. La stessa 2 formula, H=Wl /8f ovviamente applicata ad un arco avente una forma parabolica simile con f rappresentante la sua monta. Per quanto riguarda il valore T, può essere ottenuto senza ricorrere all’alta matematica. Essendo sufficiente un elementare sviluppo algebrico basato sul fatto che le tangenti alle origini di una parabola s’incontrano in un punto localizzato in mezzeria al doppio dell’altezza della sua monta. Quando combiniamo questo arco e un sistema a sospensione come mostrato (linea tratteggiata in fig.8) le loro azioni meccaniche esterne possono essere rappresentate dalle componenti orizzontali e verticali delle rispettive spinte esercitate, e localizzate sul piano verticale così come hanno i supporti nelle posizioni indicate. Questo può essere realizzato in costruzione da un sistema di archi gemelli, rigidamente connessi che penetrano le colonne attraverso aperture in cui loro possono muoversi liberamente senza sollecitare le colonne (fig.8). I cavi possono essere posizionati tra gli archi, ma separati da loro (fig.8 sez.aa e sez.bb) così che gli assi dei sistemi componenti si trovino nello stesso piano verticale e anche possono lavorare indipendentemente. Ora assumiamo che il cavo centrale è ancorato all’arco tramite cavi laterali colleganti le rispettive terminazioni C e A. in queste condizioni, una coazione meccanica bilanciata tra l’arco ed il sistema di sospensione si produce quando – al punto di connessione A – il cavo laterale sviluppa una componente HT, uguale in valore ma di direzione opposta a quella dell’arco Ha. Similmente il cavo laterale deve produrre – alla connessione C, con il cavo centrale – una componente HT, uguale ed opposta a quella del cavo centrale, Hcc. Ovviamente. L’elemento di sostegno è orizzontalmente stabile quando Hcc è bilanciata da HT. Quindi abbiamo le equazioni: Ha = HT e Hcc = HT da cui Ha = HT = Hcc. Generalmente in questo tipo di strutture, i cavi laterali di connessione – aventi una lunghezza ll – portano lo stesso carico uniformemente distribuito e perciò con forma parabolica ed abbassamento fl (fig.9). In tali casi assumendo che quella componente HT è prodotta dalla forza T che agisce lungo la linea passante attraverso A e C, l’equilibrio verticale si ha quando le reazioni della colonna eguagliano VT + Vcc. Appliocando analisi similari a 2 quelle dei cavi centrali , il valore delle componenti orizzontali della spinta nelle parti laterali sarà ottenibile da: 2 2 2 2 2 2 2 HT = wll / 8fl. Da Hcc = HT e wl /8f = wll / 8fl e quindi l /f è anche uguale a ll /fl e fl = fl /ll . E’ evidente che (fig.10) HT = Hcc per ogni inclinazione dei cavi laterali, dentro il limite 0 < αl < 180° , rimanendo immutato per gli stessi fl , ll, e w. D’altro lato, con l’inclinazione del cavo laterale, la componente verticale VT, varia sia in valore che in direzione. In fig.11 sono illustrati tre differenti esempi di unità di sostegno ed un suspenarch avente cavi laterali con differenti inclinazioni, ma in tutti HT = Hcc = Ha. Nel caso I la componente VT1 agisce verso l’alto e si oppone a quella dell’arco Va. Perciò un cavo-tirante è necessario per assorbire la differenza tra queste due forze. Nel caso II, la componente Va dell’arco è più grande della VT2 del cavo, di conseguenza è necessaria una colonna per stabilizzare verticalmente l’unità di sostegno. Nel caso III la componente verticale VT va sommata a quella dell’arco Va e deve essere prevista una colonna. Si può vedere come l’unità di sostegno con suspenarch (fig.11) rappresenta il più alto grado di economia meccanica. Come visto, sotto una distribuzione di carico prevalente, ambedue le componenti verticale ed orizzontale della spinta dei due sistemi, si bilanciano nei loro punti di connessione e sono necessarie solo due colonne centrali. Questo tipo di struttura è stato utilizzato, nella configurazione di unità di 10 piani, in un progetto-studio per un edificio di 120 piani (fig.12). Cinque piani di ogni unità sono realizzati da una comune intelaiatura strutturale che trasferisce i carichi all’arco, mentre gli altri cinque piani sono sospesi ai cavi connessi all’arco. L’arco può spostarsi liberamente attraverso le fessure delle colonne centrarli, ai suoi estremi il carico è 13

Luglio 1956 PA


trasferito ai cavi e, attraverso delle selle, ricevuto dalle colonne. Per resistere al carico del vento sono previste strutture indipendenti dal sistema portante i carichi di gravità . Una grande travata esterna aperta che collega tutte le colonne di facciata, libere dai carichi verticali e dotate di fessure che permettono lo spostamento verticale dei cavi e delle cerniere di connessione all’arco.


I limiti in altezza per le strutture sono quelli proposti dall’ing. Belga, Gustave Magnel, per una torre comparabile in dimensioni ad una struttura simile dell’URSS e nel grattacielo alto un miglio visualizzato, ma strutturalmente non motivato, dall’indimenticabile Frank Lloyd Wright, con questi riferimenti questo autore si è avventurato a studiare la possibilità costruttiva di un edificio di 300 piani alto 3.000 ft (914 metri). Analisi elasto-meccaniche confermano che tale struttura può essere realisticamente progettata sulla base della conoscenze di resistenza offerte dai materiali disponibili attualmente e può anche rispondere efficientemente alle funzioni richieste permettendo la fruizione completa dell’area di ognuno dei 300 piani. In questo studio progettuale i nuclei ascensore sono sempre usati per sopportare sia i carichi verticali dovuti alla gravità che l’azione del vento (fig.13). Quindi l’aera del piano, normalmente ostruita da elementi strutturali è in questo caso utilizzabile al massimo per la sola presenza dei nuclei verticali. Questa doppia funzione assegnata ai nuclei ascensore può essere anche giustificata dal fatto che le funzioni strutturali e funzionali assegnategli variano con l’altezza dell’edificio. Infatti, assumendo che il numero di ascensori dipenda dall’area totale dei piani serviti, allora lo spazio loro necessario è inversamente proporzionale all’altezza che devono servire, variando da un massimo al piano terra fino al minimo del livello più alto. Anche la loro funzione come colonne resistente ne presuppone una dimensione massima alla base e minima alla sommità dell’edificio, pur con un valore minimo di sicurezza. In conclusione esaminiamo alcuni dettagli. Le linee sottili della pianta (fig.13 alto) indicano gli elementi delle strutture intelaiate designate a resistere al vento, mentre le linee più marcate i componenti destinati a sostenere il carico di gravità. Sul piano tipo (fig.13 basso) si nota il minimo spazio ostruito dai sottili sistemi di


sostegno dei piani. Due prospettive mostrano le caratteristiche del fronte e dei lati di questo edificio di 300 piani (fig. 14) e una sezione mostra la struttura suspenarch di sostegno (tipo mostrato in fig.2) per 15-20 unitĂ , insieme alle travate aperte di controvento in facciata.


Arch and suspension system

di Paul Chelazzi ingegnere-architetto membro della American Society of Civil Engineer, New York, N.Y. Progressive Architecture - Febbraio 1960 Le meccaniche di archi e sistemi di sospensione sono intuitivamente semplici, questo sostiene l’autore, e basta solo una conoscenza di base di statica, geometria ed algebra per la loro analisi. Le formule, presentate in questo articolo sono utili specialmente per il dimensionamento preliminare. Le illustrazioni sono prese dal quaderno degli appunti dell’autore. “L’arco non dorme mai” dice un proverbio hindu, ed anche agli stessi progettisti, ancora oggi, queste strutture sono misteriose e complesse. La loro meccanica, comunque, è intuitivamente semplice. Per la loro analisi non è richiesto niente di più delle nozioni di base in possesso di ogni architetto. Un arco si comporta esattamente come una trave, ai cui estremi sono applicate due forze opposte verso l’interno. Queste forze sono fornite da monconi, tiranti o spinte di archi adiacenti. (fig.1) le due azioni simultanee e bilanciate sviluppate in un arco sono mostrate (fig.2). Quando un carico è imposto sulla trave, questa si abbassa; similmente un arco si abbasserebbe se non fosse per le forze H di “legatura” che gli costringono di fare una gobba. Con il sistema di forze agenti in equilibrio, noi possiamo fissare l’arco nello spazio con un morsetto immaginario nella sezione O’-O’ e osservare l’effetto di queste forze dopo rimosso i supporti (fig.3). Ovviamente V1 vuole spostare l’estremo sinistro da A in A’ dovuto al parametro V1 x a similmente V2 vuole muovere l’estremo destro da B B’ dovuto al momento V2 x b. A prevenire questo spostamento nella parte non caricata, H deve sviluppare un momento H x y corrispondente ad un abbassamento di B-B’’ uguale all’alzamento B-B’. Nella parte caricata l‘effetto combinato di H e P bilancia quello di V. Poiché le estremità non muovono e l’arco è in equilibrio, i momenti sono bilanciati in A quando Mv1 = MH + MP e in B quando Mv2 = MH, mentre su entrambi i lati della sezione OO’ i momenti si bilanciano a vicenda. Ora assumiamo la condizione di carico uniforme lungo la luce (fig.4a). Poiché il carico è simmetrico non è presente nessuna flessione e tutte le sezioni sono sollecitate assialmente. Prendiamo ora l’equazione 2 che deriva dalla Teoria Elastica dell’arco (fig.5). Anche se spiegabile in termini semplici, ai fini di questa discussione la prendiamo per acquisita. (referenze numeriche di questo paragrafo sono alle equazioni di figg. 4 e 5). In 2 M’ = momento nell’arco quando lavoro come una semplice trave, e y= momento dovuto ad una forza unitaria agente orizzontalmente dal supporto. Dato che le due parti dell’arco agiscono allo steso modo, il numeratore in 2 è ottenuto raddoppiando il corrispondente valore di esso per l’eq. 3 di mezza luce. Ad una sezione x distante da A il valore del momento della trave semplice è dato dalla eq. 4. Dall’equazione della parabola con origine in A noi abbiamo l’eq.5. La squadratura del valore dato dalla 5 noi otteniamo ‘eq.6. Quindi l‘eq.7, che è il denominatore di 2. Sostituendo i valori 4 e 5 nel numeratore di 2, abbiamo l’eq.8. Integrando 8 noi otteniamo l‘eq.9. da 3 e 7 otteniamo finalmente l’eq.10, che da lo stesso valore di 1 (fig.4). Il valore della spinta T è usualmente determinato dall’integrazione doppia dell’equazione differenziale della parabola. Ma essa può essere celermente ottenuta come mostrato nel diagramma (fig.5) dall’eq.11 e 12 che portano all’eq.13. Diversi principi possono essere notati, riguardo il tipo di distribuzione di carico.


Primo, le forze di ritegno H sono costantemente uguali in valore ma contrarie. Loro sempre producono un ingobbamento massimo alla chiave. Secondo, per tutte le necessità della progettazione preliminare, il momento in chiave, sez.O-O, può essere assunto uguale a zero. Infatti esso appare un punto di contro flessione dove il momento cambia in segno ogni volta che ci sono carichi asimmetrici. Una di queste condizioni più critiche è mostrata in fig.6. la derivazione di H per questa da lo stesso valore della teoria elastica. Evidentemente il carico porta all’abbassamento della parte sinistra dell’arco e la sua lunghezza si accorcia come mostrato in fig.7. comunque la lunghezza totale dell’arco L, rimane invariata ( eccetto per piccoli e generalmente trascurabili valori). Conseguentemente la lunghezza del semiarco scarico aumenta dello stesso ammontare del semiarco caricato. Il fatto che il semiarco destro, perciò, ha una gobba in alto è 14 stato confermato dagli esperimenti.

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“Roebling’s suspenarch demonstrated” sett. 1957 P/A


Quanto al sistema di sospensione, la più chiara illustrazione del suo meccanismo è data dal filo con i panni stesi ad asciugare. Essi si agganciano su di una funicolare (fig.8) e la tensione può essere determinata graficamente come mostrato. Qualora il carico sia distribuito orizzontalmente, questo assume una forma parabolica, e i risultati visti sopra per un arco di simile curvatura, 15 possono essere applicati anche in questo caso. Le derivazioni sono anche valide per investigare strutture suspenarch risultanti dalla combinazione di archi e sistemi sospesi. Il meccanismo, come mostrato (fig.9), può essere relativamente semplice. In questo campo di ricerche, la Teoria per l’analisi di una singola travata suspenarch, di 16 Blair Birdsall , è un contributo base allo sviluppo di questo tipo di strutture. Non si deve credere che l’approccio semplificato qui rappresentato, possa sostituire le informazioni complete. Esso può aiutare l’architetto nella visualizzazione delle sue strutture ad arco e nel preparare consistenti progetti preliminari, ma una più completa investigazione basata sulle distorsioni elastiche è indispensabile per il progetto finale.

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“Structures in Membrane on Co-Acting Ribs” luglio 1956 P/A Ingegnere capo, Bridge division, John A. Roebling’s Sons Co.


L’intuizione nel progetto di strutture

di William Zuk Progressive Architecture agosto 1960

In molte discussioni informali sull’ingegneria strutturale, viene affrontato il tema della validità di un approccio intuitivo al progetto. È questa una caratteristica di cui uno è intrinsecamente dotato? O deve esserci un bagaglio di conoscenze precedentemente acquisite? Oppure tutti ne dispongono? Nel seguito un professore di ingegneria civile dell’Università della Virginia, discute il fenomeno in relazione richiamando il valore che la genialità in altri campi ha posto in questo processo mentale. È possibile un progetto intuitivo nell’ingegneria delle strutture, o è il desiderio fantasioso di progettisti annoiati dai manuali e dall’analisi agli stati limite? L’esame dei libri di ingegneria e dei curricula, raramente mostrano questa intuizione. Mentre gli scritti di ingegneri creativi come Robert Maillart, Eduardo Torroja, Pier Luigi nervi, Mario Salvadori, Félix Candela, e Paul Chelazzi indicano chiaramente che l’intuizione nel progettare le strutture è possibile. … Uno sguardo su un Padiglione industriale Uno degli ingegneri creativi, citati dal Prof. Zuk, che ha chiaramente indicato la possibilità dell’intuizione nel progetto, è Paul Chelazzi, un ingegnere-architetto di origine italiana che risiede a New York. I suoi studi sul “suspenarch”, molti dei quali apparsi in precedenti articoli su P/A, sono stati apprezzati da numerosi ingegneri ed architetti. Come docente ospite ha lavorato con tre gruppi di studenti agli Evenings Courses In Architecture alla Columbia University la scorsa primavera, ed è stato abile ad instillare un’abbondante dose di intuizione, come è evidente nei lavori preparati per “An Exhibition Building for a World’s Fair” mostrati in queste pagine. Si riporta nel seguito la situazione ed il programma per i loro temi: Situazione: A diversi architetti ed un ingegnere strutturale è stato commissionato il progetto di un padiglione espositivo per la Fiera Mondiale di New York. L’ingegnere è un eminente progettista che ha sviluppato un sistema per grandi luci usando una tipologia strutturale con membrane e costole co-agenti. Il team ha scelto questa tipologia strutturale per il progetto dell’edificio. Programma: Uno degli spazi per la Fiera Mondiale è un’area all’aperto per l’esposizione di grandi macchinari. Sul sito di 6,5 acri, l’esposizione consiste di: (1) un’area coperta di 75.000 sq. ft. Non ci sono particolari richieste, ne restrizioni, ma è desiderabile avere l’area il più libera da colonne ed altre interferenze. L’altezza delle copertura di questi spazi deve essere almeno di 40 ft. (2) oltre all’area principale ce ne deve essere un’altra secondaria di 15.000 sq. ft. per piccoli macchinari e l’esposizione di pezzi di macchine. Ques’area può avere una copertura più bassa, di 15 ft e può essere interamente o parzialmente su un livello intermedio. (3) Snack bar, area con sedie: 2.500 sq.ft. (4) Uffici e punto d’informazione, con servizi igienici. 750 sq.ft. (5) Bagni pubblici e servizi connessi: 750 mq. (6) Magazzini: 2.000 sq.ft. Team 1 : Rudolph M. Arsenicos, Mikio Kawakami, Frank R. Shenton jr.



Team 2 : Dennis Clark, Hirsh Finkelstein, Charles Vogelstein

Team 3: Kuang-Hu Fang, Robert Strebi, Paul J. Wilks.


Una nuova concezione per gli alti edifici

Al London County Council è stata richiesta l’autorizzazione per un rivoluzionario progetto per la costruzione di un hotel di 48 piani. La sua principale caratteristica è il “suspenarch”, che consente alle pareti esterne di avere le stesse funzioni delle torri di un ponte sospeso. l’hotel proposto avrà sei suspenarchs, ognuno portante 16 piani. di Edward Gamarekian New Scientist N.281, 5 aprile 1962 - Londra Il progetto di edifici alti sembra essere ad un punto di svolta – quello che i ponti sospesi hanno passato da molti anni. Alla domanda perché i progettisti di edifici ci hanno messo così a lungo per raggiungerlo potrebbe un giorno produrre il grattarsi la testa e scrollare le spalle come fanno quando gli si chiede perché ci sia voluto così tanto tempo per arrivare al ponte sospeso, il cui concetto è altrettanto semplice e diretto. Per conoscere la sua genesi, lasciateci prima guardare al processo di evoluzione nella costruzione dei ponti. Con lo sviluppo di aziende in grado di lavorare l’acciaio, la luce delle travi reticolari da ponte si è gradualmente incrementata fino ad arrivare ad un limite insuperabile. Questo limite era dovuto ai membri in compressione. Nel progetto di un elemento lungo soggetto a compressione , la rigidezza contro l’instabilità è usualmente il criterio base, non la resistenza, ed in conseguenza questi membri sono più grossi di quello che necessiterebbe. Grossi elementi significa alto peso proprio che in ultimo richiede grandi elementi a sostenere il peso proprio. Questo incremento del peso proprio diviene eccessivo e si arriva ad un limite di lunghezza raggiungibile. Nel ponte sospeso, d’altro lato, non ci sono membri compressi tra le torri principali; la catenaria ed i cavi verticali sono tutti in tensione, il peso è ridotto al minimo e lunghe luci sono pertanto possibili. Lo stesso limite arriva negli edifici alti. Le colonne sono elementi compressi il cui progetto è governato dalle richieste di rigidezza, non resistenza, e sono quindi necessari pesi a sostenere il carico. Grosse colonne nei piani alti significano più peso alle colonne in basso ed al crescere dell’altezza dell’edificio il progettista si trova a dover fare i piani bassi completamente pieni. Il problema è ancora più accentuato in Gran Bretagna dove si richiede che le colonne metalliche siano incassate nel calcestruzzo con un copriferro di 2 pollici per la protezione antincendio. Questo toglie ai progettisti di sfruttare i vantaggi dell’alta resistenza con piccole sezioni. Molti hanno abbandonato l’uso dell’acciaio e sono tornati al calcestruzzo che però non risolve il problema nel caso di edifici alti. In USA la protezione dall’incendio è ammessa anche con l’uso di vernici o rivestimento in amianto. Una strada da seguire per costruire in Gran Bretagna edifici in acciaio alti è quella dei ponti sospesi dove gli elementi compressi sono sostituiti da elementi tesi. Questo può essere ottenuto con edifici che hanno due nuclei come le torri dei ponti sospesi portanti catenarie disposte ad intervalli regolari in altezza di 10, 20 o 30 piani, e con i piani sospesi a queste come le carreggiate di un ponte, la sola difficoltà è che i cavi delle catenarie portano forti azioni orizzontali sui muri – una situazione evitata nei ponti mettendo catenarie su ambedue i lati delle torri. Per superare questa difficoltà, Chelazzi negli Stati Uniti mette un arco sopra ai cavi ad agire come un membro in compressione che bilancia le spinte orizzontali e porta la metà dei carichi. Il risultato, mostrato in fig.1, è chiamato un “suspenarch”. Sebbene Chelazzi abbia fatto prove su modelli con luci da 20 a 30 piedi, questa struttura non è stata usata negli Stati Uniti perché non è competitiva rispetto all’acciaio tradizionale se non per edifici molto alti, come o più alti dell’Empire State Building che è circa 100 piani. In Gran Bretagna, dove le norme non permettono di sfruttare la competitività delle strutture d’acciaio, il suspenarch diviene competitivo sopra i 30 piani d’altezza. Da notare che le strutture erette in Gran Bretagna, così lontane dal senso convenzionale, vanno poco lontano da questi valori, il più alto essendo l’edificio Vickers di 34 piani a Millbank, Londra.


C’è quindi una reale possibilità per il suspenarch in Gran Bretagna, ed il suo uso in una struttura di 48 piani è stato proposto dal E.A. Colman group, che ha presentato il progetto del costo di 6 milioni di sterline, per l’approvazione al London County Council. Il progetto, che prevede l’uso di sei suspenarch è stato elaborato da Mr. Gordon Rose. Ogni suspenarch avrà una luce di 125 ft (38 mt), una larghezza di 60 ft (18 mt) e sosterrà 16 piani. Se un edificio di queste dimensioni, fosse stato previsto in cemento armato tradizionale, avrebbe richiesto tre, quattro anni dalle fondazioni per essere terminato, invece che i due anni usando i suspenarch. Poteva essere costruito in due anni in struttura metallica, rivestita di calcestruzzo, ma con costi più alti. Quindi l’uso del suspenarch, appare essere una buona cosa in questo caso. Secondo Mr. Rose questo tipo di struttura, se sviluppato, può essere usato per edifici alti 300 o 400 piani. Quando uno considera questo metodo di costruzione, un altro vantaggio appare – il piano terra, il più importante dell’edificio, è completamente aperto e libero, sgombro da colonne. Questo apre un impressionante numero d’opportunità, alcune delle quali da sole giustificano la costruzione con questa tecnica. Una struttura di questo tipo può essere costruita su una strada, fiume o ferrovia, oppure il piano terra può essere usato per un auditorium, sala mostre, teatro, cinema o parcheggio. Nel progetto di moduli suspenarch, la protezione dal fuoco può essere fatta agevolmente, rivestendo i cavi portanti verticali di calcestruzzo, mentre gli altri vengono fatti passare dentro i pavimenti sospesi, perché il piccolo diametro dei cavi, consente di piazzarli entro partizioni permanenti, con economie addizionali in spazio ed altezze. Non ci sono ragioni per cui il suspenarch non possa essere usato in forme diverse da quella rettangolare, in forme triangolari, poligonali,circolari, ellittiche, o qualunque (fig.3), o che non possa essere usato come un modulo costruttivo a produrre strutture che sono uniche in dimensioni, forma e funzioni. La sua accettazione come uno strumento pratico di costruzione può aprire interessanti sviluppi in architettura. Fig. 3 disegno schematico per un edificio di 300 – 400 piani, usando suspenarch (tutti i piani non mostrati, scala orizzontale esagerata). La configurazione mostra altezze normali ed i rapporto per la stabilità e resistenza al vento. É mostrata la comparazione con l’Empire State Building. Nota: nel numero successivo di New Scientist, del 19 aprile 1962, compaiono nella rubrica delle lettere, due segnalazioni che attribuiscono la prima realizzazione di suspenarch nel ponte ferroviario Royal Albert Bridge a Plymouth, da parte dell’ing. Isambard Kingdom Brunel intorno al 1855.


Suspended Buildings

di Gordon Michel Rose Ingegnere civile e strutturale Associato ICE e ASCE Pubblicato nel giugno del 1964 su Proceding of the Institution of Civil Engineers, paper n. 6727 Estratto (traduzione Fausto Giovannardi) Sinopsi La storia delle strutture sospese ha riguardato principalmente i ponti. Recenti applicazioni di funi d’acciaio nel progetto di strutture leggere ad un piano, aprono alla possibilità per l’uso in edifici multipiano. Centralizzando tutti i servizi e gli accessi ai piani, in un nucleo/core, questo può sostenere tutto il peso dell’edificio, con una economia realizzativa. Questo peso può essere trasmesso al nucleo da azioni a mensola a da travi poste tra due nuclei simili. Mentre la lunghezza delle mensole è limitata, le travi consentono di coprire luci considerevoli. La trave principale può essere convenientemente sostituita da un “suspenarch”, con cui si possono coprire grandi luci con un peso relativamente basso. Estendendo il principio del suspenarch e, in effetti, posizionando un edificio sopra l’altro, l’altezza che si può raggiungere appare non avere limiti. … Suspenarch Nel 1956, Chelazzi, lavorando in associazione con la Roebling Limited, ha prodotto un modello di prova di un elemento capace di coprire lunghe luci, che veniva chiamato appunto suspenarch. La sua componente base è un arco a due cerniere di calcestruzzo armato, posizionato tra due sostegni. Normalmente un arco produce spinte orizzontali sui sostegni, incapaci a contrastarle, ma in questo caso ognuna delle due cerniere è connessa da un cavo a forma catenaria, con una curvatura inversa a quella dell’arco. Sostenendo metà dei piani con l’arco e l’altra metà dal cavo a catenaria, è possibile eliminare ogni forza orizzontale residua. Alterando la proporzione, naturalmente, consente di sostenere le variazioni di carico accidentale. I vantaggi del suspenarch rispetto a travi convenzionali sono, per grandi luci, il peso proprio molto basso in confronto, anche se la profondità è grande. Dato che i due elementi principali del sistema sono relativamente sottili, è possibile incorporarli nella parte alta della struttura senza perdere spazio di piano. In un edificio alto, spesso è desiderabile avere ogni piano identico, in questo caso è possibile mettere il suspenarch sopra l’ultimo piano. Le figure che seguono mostrano soluzioni possibili per una struttura di 120 ft (36,57 mt). in questo caso i suspenarch sono piazzati ogni venti piani. Si è trovato che quando si considerano venti piani, le dimensioni dell'arco sono molto grandi rispetto alle componenti del cavo, e in tal caso l'arco possono essere fatto dell'intera larghezza della struttura. È possibile rendere la superficie superiore dell'arco a produrre una superficie piana, e tra questo livello e la parte inferiore del piano successivo, c'è un piano assolutamente libero da elementi verticali, che potrebbe essere utilizzato per qualche vantaggio speciale . Il piano è rettangolare e profondo 40 ft (12,19 mt). Dal momento che l’arco è profondo come la struttura, i cavi verticali possono essere piazzati ovunque, e una fila, sulla facciata esterna, dove può essere piazzata dentro lo spessore dei montanti verticale delle finestre, poiché comprendono non più di tre cavi da 1 ½ in (3,8 cm) che possono essere incamiciati nel calcestruzzo con una dimensione complessiva di non più di 8 x 6 in (20 x 15 cm). Questo mostra il suspenarch nella sua forma più semplice.


La figura seguente mostra invece un’alternativa, che risulta certamente più economica ma che presenta grandi problemi estetici. In questo caso il suspenarch è posto tra due supporti, più interni rispetto alle sue estremità. Dato che i due membri sono comparativamente sottili, è possibile incorporarli nel piano superiore di una struttura senza perdere spazio di piano. Quando viene usato questo tipo, comunque va posta attenzione ai possibili movimenti degli estremi liberi, ma questo può essere usualmente possibile progettando il piano stesso come un membro rigido. In molte strutture i supporti possono facilmente essere forniti utilizzando i nuclei di servizio ecc come nel tipo single-core descritto in precedenza, ma dove questi non sono abbastanza grandi da portare sia il carico verticale che il vento, può essere necessario introdurre un ulteriore elemento orizzontale che leghi le torri insieme e quindi sostenga il vento dall'azione a portale. La costruzione di questo tipo di strutture comincia con la costruzione delle fondazioni delle torri. Quando queste sono completate inizia la costruzione delle torri in calcestruzzo armato, con l’impiego di casseforme rampanti, oppure con strutture d’acciaio. Quando l’elevazione arriva al ventesimo piano, viene realizzato l’arco pure in cemento armato o acciaio, posato tra le due torri e con il cavo catenaria sospeso. Dal suspenarch vengono abbassati i cavi verticali e fissati al suolo. Dal momento che ad ogni piano è richiesto di trasmettere la forza del vento alle torri, i solai devono essere di calcestruzzo gettato in situ o di struttura d’acciaio. Il vantaggio nel caso di solaio in calcestruzzo è l’uso di una sola cassaforma. Se questa è inizialmente fissata al ventesimo piano, il piano può essere gettato, bloccando i cavi verticali al medesimo tempo e quando la necessaria resistenza è stata raggiunta, l’intera cassaforma può essere abbassata al livello del diciannovesimo piano e fissata temporaneamente.


Dopo gettato il diciannovesimo piano, la procedura può continuare fino al primo piano. A questo punto i cavi tra il primo piano ed il piano terra possono essere tagliati, lasciando il piano terra completamente libero. Le torri a questo punto sono arrivate al quarantesimo o addirittura al sessantesimo piano, ed un simile lavoro può essere avviato ad ognuno di questi gruppi di venti piani superiori. Dove la struttura è usata per altri scopi, richiedendo partizioni interne, è possibile alleggerire il piano mettendo più cavi verticali dentro lo spessore delle partizioni. Questo è di particolare interessa dato che un cavo da 1 ½ in (3,81 cm) di diametro, rivestito in calcestruzzo può rimanere dentro un muro da 4 ½ in (11,43 cm), e perciò questo tipo di sostegno può occorrere dove una normale colonna, causando una sporgenza dal muro, non è permessa. SVILUPPI FUTURI Si è visto che se l’altezza dell’edificio viene incrementata indefinitamente, posizionando successivi gruppi di venti piani uno sopra l’altro, la configurazione interna ad ogni piano rimane la stessa. Il solo incremento è nelle dimensioni delle torri, in cui vi sono i collegamenti verticali, che è una richiesta naturale per edifici molto alti. Le forze del vento, tuttavia, divengono sempre più importanti fino a raggiungere la fase in cui la larghezza delle torri, che agiscono come una mensola, non sarebbe più sufficiente. É possibile superare questo parzialmente aumentando la larghezza dell'edificio, e possibilmente una pianta triangolare, come mostrata in figura, sarebbe più vantaggiosa. Con una pianta più larga, le forze di ribaltamento, si abbassano significativamente, quindi si possono realizzare strutture più alte. Un passo ulteriore può essere di costruire tre strutture triangolari, disposte agli spigoli di un grande triangolo, che in questo modo agisce come unico elemento permettendo di raggiungere altezze di migliaia di piani. Alcuni scrittori hanno visualizzato edifici di tremila piani, e non si pongono limiti, laddove un edificio con colonne tradizionali, a questa altezza, avrebbe i piani bassi completamente pieni di strutture, mentre uno con struttura sospesa mantiene ogni piano libero. Una struttura sospesa permette anche inusuali gruppi di piani, con effetti non possibili in altro modo, come mostrato nella figura seguente dove ogni piano è più stretto che quello che ha sotto. È possibile produrre forme di piano qualsiasi, posizionando i cavi di conseguenza, senza aumenti di costo in opere di fondazione, etc.

L’incremento della conoscenza del comportamento delle strutture sospese multipiano, aprirà nuove prospettive estetiche ed economiche, che lasciano intravedere una nuova architettura degli edifici alti, così eccitante come lo è stato l’esperienza delle coperture sospese negli edifici ad un solo piano. Bibliografia G.M. Rose -Tension cables in buildings. Architectural Design, vol. 31 Apr. 1961 G.M. Rose – Suspended multi-storey structures. Structural concrete, vol. 1 n.5 Sep-Oct. 1962


Versione del 20 maggio 2017 Sulle tracce di Paolo Chelazzi Vol.2 Approfondimenti by Fausto Giovannardi is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License

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