Anno 2008
musica come musica appunti la musica oltre lo spettacolo
Gisella Belgeri
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Come noto da oltre quarant’ anni le politiche delle attività musicali in Italia sono incentrate normalmente sui soggetti elencati della legge 800 del 67. Sono intervenuti pochi altri dispositivi di legge parziali, quali ad es. la legge che istituì il fondo unico dello spettacolo del 1985, molto importante nei suoi presupposti, che peraltro non modificava i soggetti di riferimento, o ancora la legge 589 del 99 che istituì gli di enti di promozione e numerosi decreti e regolamenti, nell’ultimo decennio, che in qualche modo hanno teso a innovare o modernizzare aspetti normativi, burocratici e anche concettuali, nell’ attesa di una nuova legge che in ogni caso da anni non riesce a decollare, pur se da diverse forze parlamentari sono state elaborati e presentati diversi testi legislativi. Le spinte e controspinte sui contenuti di una legge-musica sono differenti e spesso persino contrastanti e nella confusione di linguaggi e di attese che si viene a creare risulta pressoché impossibile arrivare ad una condivisione di obiettivi e di soluzioni. Questo si determina innanzitutto perché vi è una netta spaccatura tra il concetto di attività musicale e quella di esigenza di spettacolo. Punto primo: la musica non è necessariamente. o comunque prioritariamente, spettacolo. La musica esiste in quanto tale e per praticarla, proporla e viverla occorrono innanzitutto i musicisti. Loro sono i protagonisti e i destinatari dell’attenzione necessaria in quanto costituiscono la fucina di una produzione che va successivamente posta alla fruizione del pubblico Punto secondo: L’opportunità, o almeno la logica per la quale si destinano soldi pubblici – non importa da quale amministrazione provengano – deve avere un suo senso. Nella società attuale la tendenza a privilegiare aspetti di visibilità ma persino di “commercialità” rischia fuorviare i più elementari obiettivi, che sono innanzitutto di sostegno alla crescita culturale del paese e alla necessità di offrire alla popolazione un proprio inestimabile patrimonio culturale. Il punto va chiarito senza infingimenti. Gli spazi
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delle risorse pubbliche non possono essere quelle della ricerca di un consenso di basso profilo, o di proposta di entertainment. Se così fosse ci sono ben altre priorità sociali su cui puntare. La questione è difendibile solo nella misura in cui ciò viene rivolto per favorire a) la crescita del contesto artistico e culturale, compreso la capacità di rapportarsi ad un costante confronto sovra territoriale. Occorre saper esaminare e pesare innanzitutto i contenuti della proposta artistica e la qualità di tale proposta. b) la funzione di trasmissione e quindi in qualche modo educazionale extra scolastica, formativa del gusto, di testimonianza delle radici culturali, di curiosità per tutto ciò che la nuova creatività propone all’ ascoltatore. c) le operazioni di novità anche rischiose sotto il profilo dell’ audience che però si inseriscano a giusto titolo nel filone della trasmissione culturale degno di questo nome e di cui non mancano certo illuminanti esempi qui come all’ estero. d) Vi è infine oggi un’esigenza sempre più avvertita di fare della musica un campo di proposta in diversi strati della società, per numerosi motivi anche di convivenza civile, a partire dall’ emarginazione giovanile sino alle esperienze nel campo della musicoterapia. Questo passa attraverso la scuola innanzitutto, che deve dotarsi du strumenti che facilitino la pratica e l’ approccio alla musica e passa da una concezione di cittadinanza della musica in contesti dove già oggi c’ è una miriade di esperienze di alto valore alle quali manca una visibilità complessiva e una messa a sistema. Questi sono certamente dei campi in cui lo Stato e le risorse in campo devono dire la loro, prima ancora di continuare ad impegnarsi in questa strenua lotta di distribuzione di risorse sempre meno pertinenti e soddisfacenti, dove oltre a tutto la pur meritoria ricerca del nuovo sembra passare per canali dei quali non si capisce né le finalità e neppure l’ esigenza.
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Deve essere chiaro che la professione del musicista e la capacità di esser presente nel contesto sociale e artistico del paese passa necessariamente da competenze reali su tutte le sue funzioni, dall’essere esecutore, compositore, studioso, produttore, direttore artistico, liutaio o ricercatore di musica elettroacustica. Lasciare orizzonti vaghi e diversamente interpretabili su tali soglie significa aggiungere caos al caos e non fare un favore al paese, se per favore si ha in tesa quello di far avanzare la proposta culturale e non quella di fornire eventualmente serate di evasione. Punto terzo: La musica diventa “spettacolo” solo dopo che i punti sovracitati siano stati soddisfatti e quindi l’esigenza di disporre di risorse congrue ai fini dei risultati va equamente e chiaramente suddivisa fra queste funzioni, che non passano necessariamente dai soggetti sinora finanziati dallo Stato tramite il FUS o risorse aggiuntive. E’ evidente che gli attuali operatori soggetti dei finanziamenti possano essere ottimi tramiti ma occorre iniziare percorsi nuovi di rapporto tra musica e offerta musicale, certi che una maggior consapevolezza del fattore musicale, oltre che dell’ interprete rende l’ ascoltatore più coinvolto nel gioco dell’ ascolto. In effetti va trovata o ritrovata un’ identità che sappia collocare la fruizione musicale, dl oggi o di ieri, all’ interno di un insieme di conoscenze e di partecipazione al fatto creativo, storico e delle differenti estetiche che non rinnegano nulla dei generi oggi presenti a patto che rispondano a sollecitazioni non banali e di riconoscibili qualità musicali.
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