Rapporto tra organizzazione civile e organizzazione culturale in Italia.Rel gomez to 94

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1994

Convegno di Torino

Rapporto tra organizzazione civile e organizzazione culturale in Italia.

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relazione di italo gomez

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Rapporto tra organizzazione civile e organizzazione culturale in Italia. Possedendo le capacità economiche, l'organizzazione civile diventa committente e detta legge per quanto riguarda l'organizzazione del mercato culturale. Non sempre tale organizzazione culturale corrisponde o é adeguata alle reali esigenze della comunità nel suo procedere storico, provocando a volte rotture cruente. O rganizzazione civile nella storia italiana Per secoli la realtà storica italiana non é stata una realtà unitaria, ma piuttosto un insieme di entità territoriali diverse e indipendenti (comuni, signorie, regni), divise da frontiere e conflitti quali le lunghe guerre tra guelfi e ghibellini. Tale realtà ha fatto sè che sul piano culturale e musicale si sia sviluppata una molteplicità di patrimoni in tutta la penisola, con alti e bassi dovuti alle differenti sorti: Torino, Milano, Parma, Lucca, Firenze, Messina, Palermo, rappresentano solo alcuni esempi di tale varietà. Ciò é avvenuto per diversi secoli, dal Medioevo al '700, con un solo elemento estraneo, un elemento centralista: Roma, che associava il potere politico a quello spirituale. La Musica in Italia si é adattata alle forme territoriali: nel patrimonio musicale italiano fino all'800 sono emersi infatti generi, quali il recitar cantando fiorentino, le prime rappresentazioni operistiche a Mantova e Venezia, e vere e proprie Scuole comunali. Le scuole sono cresciute, pur nella diversità, seguendo un'unità di sviluppo con momenti alterni in cui sono nati protagonismi musicali (Esempi: scuola strumentale piemontese, madrigale di Mantova ecc.). All'interno di ogni scuola si é sviluppato un particolare genere, ma ciò non ha determinato la predominanza di una scuola o di un genere nell'intero paese, consentendo in Italia la permanenza di tutte le tipologie musicali e la migrazione interna degli artisti (se a Venezia predomina l'opera, l'artista non operista si sposta in altre corti in cui prevalgono generi diversi). Tale condizione, pur diversificata, ha permesso un procedimento omogeneo fino a tutto il '700 e ha favorito la diffusione in Europa della musica italiana e in molti casi il suo predominio, proprio per la capacità di adattare "l'esportazione" alle possibili utenze nel continente. Nella seconda metà dell'800 l'organizzazione civile cambia totalmente, trasformando anche quella culturale. Con l'unità d'Italia una nuova classe sociale, la borghesia, trova nell'opera un genere musicale consono cui attribuire valore unificante. L'organizzazione civile dunque crea le condizioni perchè l'opera diventi elemento musicale primario, conferendo al melodramma caratteristica di cultura musicale principale, addirittura teorizzando gli altri generi come non tipici della cultura italiana. 2


Dall'associazionismo borghese nascono le società di teatri, di palchettisti che tramandano questi centri di produzione musicale come monopoli trasmessi o per eredità o per compravendita, mantenendoli sempre all'interno di uno stesso ambito sociale, con un'evidente rinuncia da parte dei poteri pubblici a intervenire (molti dei terreni su cui sono costruiti i teatri d'opera sono di proprietà dei Comuni che li hanno dati in concessione a privati, conservando la gestione di pochi palchi. Raramente si assiste a un'edilizia comunale). Il '900 eredita tale organizzazione e la tramanda tale e quale. Nei primi decenni del '900 questi centri di potere incominciano a incrinarsi e si fa strada la necessità di cedere i teatri ai comuni, totalmente o parzialmente, secondo un procedimento che si ritrova ancor oggi e che conserva in molti casi i privilegi dei palchettisti (é inutile ricordare che esistono tuttora teatri come quelli di Mantova e Como interamente di proprietà dei palchettisti o altri gestiti dai comuni, ma di proprietà dei palchettisti). Tale "passaggio" ha trasferito comunque nel nostro secolo le metodologie ottocentesche: condizionamento dell'edilizia; concetto stagionale della produzione operistica, con titoli nuovi ogni anno; assenza totale della nozione di repertorio; un'utilizzazione (temporale) solo parziale del teatro. Purtroppo tale eredità non ha conservato, invece, una caratteristica positiva dell'800: l'esistenza di una committenza molto forte e dunque una grande presenza di opere nuove e di creatività. Nel dopoguerra é risultato evidente che i poteri comunali o i teatri privati non avevano più la capacità di finanziare complessivamente le attività operistiche: é stato dunque necessario un intervento statale. Ciò ha creato una certa confusione nel sistema del finanziamento pubblico, cui si é cercato di rimediare con la legge 800 del 1967. Tale legge, che ancora oggi determina i finanziamenti, cerca di regolamentare la situazione musicale, accettando però l'eredità ottocentesca, continuando a privilegiare essenzialmente la produzione primaria operistica (enti lirici) e facendo rientrare tutto il resto nel cosiddetto articolo 3 (dove una parte sostanziale é dedicata ai teatri di tradizione e alla cosiddetta lirica minore). Più volte é stato sottolineato che i 13 enti lirici italiani ottengono da soli il 47% di tutto l'intervento dello Stato per lo spettacolo e se a questo si sommano le risorse attribuite ai teatri di tradizione e alle stagioni di lirica minori, la percentuale diventa senz'altro più alta. Inoltre la legge ha stabilito una conservazione nominalistica dei finanziamenti senza tener conto della qualità e quantità della produzione, per cui non sembra sia mai avvenuta la cancellazione di un teatro, sia che operi bene o male, o non operi affatto. In realtà tale nominalismo é un'eredità ottocentesca, in quanto identifica in un certo qual modo la produzione in una forma coincidente ancora con determinate categorie. Ciò influisce sullo strumento centrale di programmazione, la Commissione Centrale della Musica, che é stata prevista dalla legge quale rappresentanza di categorie che rispecchiano automaticamente quell'utenza circoscritta citata prima. Difficoltà da parte dello Stato ad attuare una riforma

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Sei mesi dopo la pubblicazione della legge 800 si é iniziato a parlare della necessità di una riforma, e da allora ad oggi il numero di convegni tenutosi sull'argomento supera la cinquantina. Dopo la legge 800 la tipologia creatasi ha fatto sè che la definizione dei sovvenzionamenti, sia per quanto riguarda gli enti lirici, che per le altre istituzioni, dipenda dalla valutazione che il Ministero, oggi Dipartimento dello Spettacolo, può operare solo ed esclusivamente sulla base delle domande e documentazioni pervenute. Nonostante i maggiori controlli recentemente applicati, il Dipartimento dello Spettacolo, ha dunque una conoscenza delle esigenze territoriali limitata alla documentazione che giunge per iniziativa dell'utenza e che non corrisponde pienamente alla realtà, escludendo per esempio gran parte delle attività promosse direttamente da enti regionali e locali. In questo modo lo Stato ha rinunciato a una possibilità d'indagine e di conoscenza, limitando perciò la capacità di programmazione legata alle reali esigenze del territorio. E' vero che ci sono stati tentativi di correzione: per esempio, con la creazione del Fondo Unico dello Spettacolo é nato anche l'Osservatorio dello Spettacolo che, nei presupposti della commissione che ha predisposto il progetto, doveva consentire proprio un allargamento della conoscenza della realtà territoriale, ma che é rimasto purtroppo solo un'ipotesi di lavoro. A partire dall'89, pur con difficoltà, é iniziata, grazie alla Direzione Generale dello Spettacolo, l'esperienza dei Progetti Speciali che ha consentito per la prima volta la creazione di un rapporto progettuale fra l'allora Ministero, oggi Dipartimento dello Spettacolo, e le Regioni tramite l'individuazione di temi in comune che consentivano anche interventi economici dei vari soggetti (Stato, Regioni, Enti locali). Tale iniziativa ha dato ottimi risultati, come le celebrazioni proposte dall'Italia per il bicentenario mozartiano, che hanno acquisito valore europeo, il salvataggio all'ultimo momento, grazie all'intervento delle Regioni, delle celebrazioni rossiniane, o il primo progetto elaborato in Italia per Monteverdi. L'esperienza si é venuta progressivamente scontrando con una certa resistenza del mondo musicale "ereditato", cosa che ha, per esempio, causato una forte difficoltà nel lancio di uno dei progetti pió importanti proposti dal Dipartimento dello Spettacolo, Musica2000, in cui per la prima volta si é posto l'accento sulla Creatività. Tale analisi evidenzia lo "stato di salute" della realtà odierna rispetto alla situazione passata, rivelando la presenza di una fondamentale malattia nell'attività musicale contemporanea: uno squilibrio congenito che ha colpito complessivamente l'attuale mondo musicale ma che si presenta con "sintomi" e conseguenze diverse: Squilibrio fra spesa dello Stato finalizzata agli Enti Lirici per le stagioni liriche, e utenza raggiunta Il dato più evidente riguarda l'attività lirica nel confronto fra utenza raggiunta e attività specifica degli Enti Lirici e dei Teatri di Tradizione. Considerando soltanto l'attività lirica abbiamo i seguenti dati per le stagioni 1986/1987 e 1992/93: 1986/87 4


Enti Lirici Teatri di tradizione Spettacoli d'opera: 448 Spettacoli d'opera: 223 Presenze: 636.453 Presenze: 179.474 1992/93 Enti Lirici Teatri di tradizione Spettacoli d'opera: 613 Spettacoli d'opera 305 Presenze: 674.644 Presenze: 220.362 Sul piano economico questi dati illustrano in particolare il fatto che lo Stato interviene con il 47% delle risorse disponibili per tutto il mondo dello spettacolo per garantire un servizio a circa l'1,5% c.ca della popolazione italiana, per di più concentrato solo in 10 città capoluoghi di regioni. E' vero che alcuni Enti Lirici svolgono un'importante attività sinfonica nelle città di residenza. Bisogna notare, però, che in varie città l'attività degli Enti Lirici si sovrappone spesso a quella di alcune delle poche orchestre sinfoniche con grande repertorio esistenti sul territorio nazionale. E' il caso di Palermo, di Roma (S. Cecilia), di Torino, dove si trova l'unica Orchestra RAI, e, in certo qual modo, anche di Milano, benchè oggi, come noto, dopo la soppressione dell'orchestra RAI anche questa città abbia subito una riduzione del possibile ascolto del repertorio sinfonico. Inoltre, molti Enti Lirici svolgono un'intensa attività da camera, auspicabile nell'odierna situazione, caratterizzata dall'assenza di veri e propri concerti sinfonici. Tale attività da camera si aggiunge, però, nella quasi totalità dei casi, alla produzione specifica da camera che l'associazionismo locale realizza con grande difficoltà nelle città sedi di Enti Lirici, diventando concorrenziale dal momento che nel bilancio complessivo degli Enti Lirici il pagamento di un solista di grande nome non rappresenta un impegno gravoso come per le associazioni, e creando spesso una situazione disordinata nell'attività della città. Squilibrio fra spesa pubblica e distribuzione sul territorio nazionale Tale squilibrio é evidenziato dalla semplice elencazione delle collocazioni delle istituzioni che beneficiano di contributi statali riguardanti gli Enti Lirici, i Teatri di Tradizione, le Orchestre e i Festival. In realtà lo squilibrio territoriale é già implicito nel nome stesso attribuito ad alcuni teatri d'opera: il termine "di tradizione" sta infatti ad indicare l'importanza in tale produzione del passato, senza tener conto di una razionalizzazione in base alle esigenze attuali dell'utenza. (Esempio: situazione incredibile della Toscana, con tre teatri di tradizione situati a poche decine di chilometri di distanza -­‐ a Lucca, Pisa, Livorno -­‐ a fronte di altre zone regionali completamente prive). 5


Squilibrio fra spesa pubblica e produzione Viene evidenziata dal confronto fra l'attività attuale e la produzione nell'Ottocento degli Enti Lirici e dei Teatri di Tradizione. Mancando un quadro complessivo d'insieme sono stati esaminati due campioni significativi (di cui uno pur positivo in quanto é la struttura produttiva più efficiente in Italia, il Teatro alla Scala) che rivelano come oggi vi sia un rallentamento rispetto ai ritmi produttivi dell'800. Per quanto riguarda, invece, il Teatro alla Scala, nella stagione 1861/1862 (dal 26 dicembre 1861 al novembre 1862, per un totale di 248 giorni) vennero presentati 16 titoli per 173 aperture (con una media di aperture di 1,4 giorni -­‐ circa 5 giorni alla settimana). A tale programmazione bisogna aggiungere 159 rappresentazioni di balletto, che in molti casi seguivano come spettacolo di seconda serata gli spettacoli d'opera, rappresentando un forte impegno produttivo artistico e tecnico. Nel 1993 il Teatro alla Scala, dal 1 gennaio al 31 dicembre 1993, ha realizzato 78 spettacoli di lirica, 40 di balletto per un totale di 118 aperture (con una media di una rappresentazione ogni 3 giorni). A tale produzione bisogna aggiungere un consistente numero di concerti sinfonici (28) con la propria orchestra e numerose manifestazioni collaterali in teatro (35) e in altre sedi (51). Per quanto, invece, il Teatro La Fenice, nella stagione 1866/1867 (26 dicembre 1866 -­‐ 8 aprile 1867) su un totale di 104 giorni ebbe 57 aperture (equivalente a una media di aperture di 1,9 giorni, circa 4 rappresentazioni a settimana) -­‐ Da aggiungere la produzione di 2 balletti. Nella stagione 1992/1993 lo stesso teatro ha presentato, in dieci mesi, fra lirica e balletto, 52 recite, circa una rappresentazione ogni 6 giorni. Anche aggiungendo l'attività sinfonica e le manifestazioni collaterali, la capacità produttiva di lirica e balletto si è molto ampliata rispetto al passato.

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