Prof. Gisella Belgeri – musicista Presidente ente di Promozione della Musica contemporanea (CEMAT) Vicepresidente Vicario Comparto Musica dell’AGIS
Anno 2006
La musica in Italia Perchè finanziarla con soldi pubblici ?
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Prof. Gisella Belgeri – musicista Presidente ente di Promozione della Musica contemporanea (CEMAT) Vicepresidente Vicario Comparto Musica dell’AGIS
La musica in Italia Perchè finanziarla con soldi pubblici ? Esigenza di strategia politica
L’organizzazione e l’offerta musicale in Italia è priva di qualsiasi strategia che sappia evidenziarne il risvolto sociale, culturale e della trasmissione artistica. Ciò si riverbera sulla diffusione territoriale che è quindi casuale o che si poggia sui canali storici e della tradizione. In contrapposizione, e come conseguenza a politiche poco lungimiranti sul rapporto tra musica e società si sono avvicendate logiche per lo più contrabbandate come innovative ma che si avvicinano ad una valutazione depistante del concetto di offerta culturale. Per chiarirsi le idee, noi vediamo sostituiti elementi di inconfutabile validità artistica con soggetti che non hanno né le competenze specifiche e neppure la base professionale per realizzare azioni che non si discostano dall’intrattenimento. Ciò accade perchè in parte si è voluto spingere il mondo artistico e culturale verso il superamento delle ingessature di cui sopra ma lo si è fatto in modo sommario e senza aver cura delle priorità del settore, che restano e devono restare nella sfera della trasmissione di cultura.
La cultura come mercificazione o come benessere individuale?
In particolare si è avallata una teoria consumistica della cultura, applicando regole e parametri che, dietro la copertura di una elencazione di “buoni principi” ( sostegno ai giovani, rapporto con le tecnologie, creatività, percorsi formativi) – peraltro neppure 2
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seguiti - ha invece dato stura a elementi di valutazione che, tolti dal contesto prettamente culturale, hanno poi assicurato sostegno e titolarità partendo da elementi secondari, seppur interessanti, ma distogliendo l’attenzione e la capacità di giudizio dall’essenza stessa delle cose. La definizione per cui tutto è cultura è un ottimo slogan per i talk show ma non aiuta a comprendere le espressioni artistiche, e quindi il tutto resta in una nebulosa dove chiunque a buon titolo si cimenta, senza comprendere che le distinzioni delle espressioni culturali sono parte della ricchezza delle società e il saperle distinguere e apprezzare fa parte di quel processo evolutivo che dovrebbe accompagnare parallelamente il progresso. Che senso ha un progresso così spinto in avanti e contemporaneamente un imbarbarimento nella capacità di pensare? Le forme di imbarbarimento e di banalizzazione sono sotto gli occhi di tutti, dall’Isola dei famosi, ai Grande Fratello, alle soap opera, persino a come vengono costruite e diffuse le notizie nel canali televisivi, all’insegna sempre di qualche momento spettacolare in tutte le sue forme. Il calcio e i grandi concerti rock sono fenomeni importanti ma le molle basilari sono sempre quelle: indurre il giovane o il cittadino a “comprare” qualsiasi cosa. Si può pensare che la funzione di una biblioteca possa basarsi su quanti libri di successo mette a disposizione? Fra il romanzo di punta e la Divina Commedia, o testi storici o di saggistica cosa sceglie come prioritari il direttore? Come mai, per la musica, negli anni recenti si son posti come valore primario due parametri di carattere molto vicini al commerciale: la notorietà (il
reference-system) e le entrate di
botteghino? Per quanto concerne i contributi statali (e in parte anche territoriali e locali) non esistono più le capacità di analisi dei programmi, vera unica fonte di informazione per recepire la validità di un messaggio culturale. Tutti i parametri oggi imperanti e i criteri che li informano si basano su dati numericamente oggettivi ma spesso fuorvianti, poichè vogliono dar significanza a valori che risiedono altrove, pertanto i risultati sono totalmente insoddisfacenti.
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La musica o l’arte in generale, ma anche la scuola e i momenti educazionali sono questioni di interesse pubblico e contribuiscono a costruire la propria identità. Senza capacità di approfondimenti, e quindi di godere di beni immateriali, resta una cosa sola: il mercato e il business. Questi sono i valori ai quali la nostra società (ma non siamo soli) si riferisce ma che poco hanno a che vedere con la qualità della vita, con un benessere essenziale al quale si deve poter accedere nelle fasce più ampie di popolazione al di là del reddito. La musica è grande protagonista di questo benessere e su questo punto il potere politico deve essere presente!
Vogliamo dichiarare che la musica è un Bene culturale?
La musica deve ancora entrare a far parte, in Italia come in tutti i paesi civilizzati, del contesto culturale “alto” del paese, con tutto il peso della sua storia e con tutta la trasmissione dei patrimoni della tradizione musicale europea, innanzitutto, ma non solo. Storia in cui l’Italia è stata ed è tuttora grande protagonista.
Negli anni
cinquanta la musica italiana con formidabile intuizione precorre la sperimentazione nella musica elettronica, con grandi compositori che hanno aperto quella strada e un gruppo di scienziati che ne hanno reso concrete le aspirazioni artistiche. Chi è consapevole di tutto questo? Naturalmente poi le realizzazioni si sono fatte altrove, a partire dalla Francia con l’Ircam di Parigi! Si deve scegliere senza ambiguità se la cultura musicale, nel suo passato storico e nelle sue espressioni artistiche recenti sia parte dei patrimoni italiani individuati come Beni Culturali, alla stessa stregua dei Siti monumentali, dei grandi Musei, delle Biblioteche, e per questo va sostenuta e incentivata. Se si procede su una strada che volutamente appiattisce la questione su un concetto di intrattenimento più o meno
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costoso, allora non ha neppur senso che venga finanziata da Stato, Regioni, Enti Locali.
Esigenze
Occorre quindi dotarsi di una strategia di ricerca, produzione e presenza musicale in tutto il paese. Occorre che vi siano centri di produzione e diffusione musicale armonicamente posizionati territorialmente. Vanno riviste quindi le potenzialità di orchestre, di teatri e spazi teatrali, di associazioni e festival secondo una mappa di fruizione sostenibile. Vanno configurati strumenti di offerta musicale di facile accesso alle collettività negli aspetti di maggior utilità sociale: anziani, bambini e ragazzi, ambienti disagiati, collettività per portatori di handycap, ospedali. Va creata una rete di distribuzione, tramite opportune Strutture, che permetta ai musicisti, e specialmente ai giovani, di esser presenti e fortemente attivi con progetti mirati e studiati per tutte queste situazioni. Le associazioni di volontariato e i servizi sociali possono esser ottimi compagni di strada. Molte entità quali orchestre e gruppi musicali sarebbero ben lieti di collaborare a progetti del genere. E molte realtà musicali già oggi agiscono in questi settori, ma in modo scoordinato e con scarsa visibilità. Va incentivato un riposizionamento della creatività artistica mettendo a disposizione del compositore gli elementi che servono: musicisti, tecnologia, editoria, promozione, e invogliandolo a render visibile e fruibile la propria opera. Vanno aggregati intorno ad una fruibilità musicale i ragazzi nell’età adolescenziale, mettendoli a confronto su progetti culturali formativi del gusto e del senso di responsabilità. Vanno infine istituiti i cori non professionali, ottimi canali di formazione dell’individuo, facilmente realizzabili ovunque e dai costi molto contenuti.
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Per tutto questo occorrono certo risorse, ma non grandi finanziamenti. Nell’adottare un progetto di questo tipo, prima di ogni cosa occorre l’impegno del poter politico, delle amministrazioni e delle risorse anche private. Circa le priorità da dare ai finanziamenti pubblici, occorre individuare e stilare un Codice di Comportamento, che venga fatto proprio da Amministratori locali e dai poteri politici e che si riconoscano nelle argomentazioni sopra esposte cercando di marginalizzare la fame di “eventi” per i quali non occorre scomodare le risorse pubbliche perchè hanno potenzialità di incassi e di sponsorizzazioni che devono bastare; e specialmente non indurrebbero l’amministratore pubblico a cedere alle lusinghe di visibilità, privilegiando aspetti spesso in contraddizione con la crescita culturale di una cittadinanza. Se si percorre questa strada ci saranno davvero poche le occasioni che incentrino le discussioni sul mondo della musica entro l’infinito piagnisteo di sprechi o di inconfessabili privilegi, che vanno contrastati ove ci fossero, ma che non fanno parte della normale vita musicale del paese, che è fatta di ben altri aspetti e spesso di grandi sacrifici da parte degli artisti e di chi si attiva per offrire al paese una ricchezza culturale che ha ben pochi paragoni. Siamo in tanti pronti a rispondere su questi temi e desideriamo un confronto reale sulle tematiche di cui sopra perchè, non dimentichiamolo, nella maggior parte dei casi dietro il fenomeno musicale vi è una passione personale vera e il grande desiderio di render partecipi tutti di un bene vissuto come inestimabile. Anche questo è un dato non secondario in quanto ciò che è avvenuto negli anni recenti rischia di disperdere proprio questa facoltà di trasmissione, privandola di vitalità e di entusiasmo.
Roma, 13 marzo 2006
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