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Cari Colleghi, lo scorso febbraio ci siamo ritrovati nel nostro appuntamento annuale per un momento di confronto e riflessione con tutto il mondo dell’Horeca. Le nostre considerazioni sono partite guardando gli ultimi tre anni.
Tre anni caratterizzati da una pandemia mondiale che ha messo in ginocchio tutto il mondo dei consumi fuori casa, sovvertendo anche un principio economico elementare in cui i consumi si possono ridurre, ma mai andare a zero, nel marzo e aprile 2020 quei consumi sono stati esattamente zero; una guerra in Europa che, oltre al dramma umanitario e alla destabilizzazione politica, ha portato delle conseguenze economiche devastanti, sia in termini di costi energetici sia in termini di costi delle materie prime con una fluttuazione dei prezzi verso quotazioni mai raggiunte in passato; una spirale inflattiva che ha fortemente eroso il potere d’acquisto delle famiglie condizionandone il vivere quotidiano.
Ebbene, lo scenario economico attuale è dominato da grande incertezza e fortemente caratterizzato da un aumento generale dei prezzi, soprattutto dei prodotti alimentari, e da un aumento dei tassi, applicato dalle banche
centrali, che genera maggiori oneri finanziari sia per le imprese che per il bilancio statale italiano gravato dall’elevato debito pubblico.
Seppur in uno scenario di grande incertezza, la distribuzione beverage nell’anno appena trascorso ha registrato un aumento, a valore, di quasi 18 punti percentuali rispetto al 2019. Questo dato ci fa guardare al futuro con preoccupazione, ma anche con un cauto ottimismo.
Per trasformare questa crescita in qualcosa di solido e duraturo occorre ridurre l’inflazione con il coinvolgimento responsabile di tutti gli attori della filiera. La sfida che Italgrob vuole raccogliere è di portare il distributore a essere attore protagonista, e non comparsa “logistica” al servizio del nuovo ecosistema Horeca dove centrale deve essere il concetto di sostenibilità ambientale ed economica. Ma non ci può essere sostenibilità economica senza lavoro. Lavoro, non sussidi che lo scoraggino, lavoro concepito per le peculiarità della distribuzione del fuori casa. Non ci può essere sostenibilità sociale senza il rispetto dei diritti del lavoro, senza il rispetto della parità di genere e senza il rispetto della legalità.
Si è conclusa con successo la 12° edizione dell’International Horeca Meeting, la manifestazione di Italgrob nata per aggregare i diversi attori della filiera, farli incontrare, dialogare, avviare un confronto, far nascere idee e proposte.
Questo è il compito principe di questa Federazione: essere un punto di riferimento per il settore ed elemento proattivo. Siamo e vogliamo essere i fautori delle tre C: Collaborazione, Condivisione e Crescita.
Ed è quanto è avvenuto lo scorso febbraio a Rimini: Italgrob ha collaborato con le Istituzioni e con autorevoli Istituti di Ricerca, ha cooperato e condiviso progetti con le associazioni di riferimento.
Crescere tutti insieme! È questo il ruolo di Italgrob nel contesto della filiera Horeca.
Un ruolo spesso invisibile, come invisibili a volte sono i “nostri” distributori, ma sempre preziosi e insostituibili. Ci teniamo a ribadire questo valore, il valore per il quale noi lavoriamo e ci impegniamo, non solo a tutela e per la promozione della categoria tutta che rappresentiamo, ma per la crescita e lo sviluppo del mondo nel quale noi operiamo. E il nostro impegno, attraverso l’ormai consueto appuntamento con il rapporto ItalgrobCensis, va proprio in questa direzione.
Ed è la direzione che potrà portare questo mondo a evolversi e migliorare dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale e dal punto di vista ambientale.
DINO DI MARINO, DIRETTORE GENERALE ITALGROB01. EDITORIALE Obiettivo sostenibilità
03.
IL PUNTO Collaborazione, condivisione, crescita
06.
SPECIALE 30 ANNI/ I PRESIDENTI Il viaggio continua
08.
SPECIALE 30 ANNI/ AVVENIMENTI
Storia della distribuzione
SPECIALE 30 ANNI/ SOSTENIBILITÀ
12.
Dispersione imballaggi (quasi) zero: l’obiettivo è condiviso, il metodo no
22.
SPECIALE 30 ANNI/ SOSTENIBILITÀ
Packaging: cosa sapere sul regolamento UE
26.
SPECIALE 30 ANNI/ SOSTENIBILITÀ
Il deposito cauzionale in Europa, tra pionieri e new entry
30.
SPECIALE 30 ANNI/ SOSTENIBILITÀ
Strategie per un trasporto più green
36.
SPECIALE 30 ANNI/ SOSTENIBILITÀ
Fotovoltaico, energia fai da te
42. SPECIALE 30 ANNI/ DIGITALIZZAZIONE
Dai portoni ai portali
50. SPECIALE 30 ANNI/ ASSORTIMENTI
Ok, l’offerta è giusta
54. SPECIALE 30 ANNI/ FUSTI
Il bello della spina
58. SPECIALE 30 ANNI/ AZIENDE
La vision dell’Industria
68. SCENARI/ INTERNATIONAL HORECA MEETING
Il fuori casa volta pagina
72. SCENARI/ TRADELAB
Away from home? È l’ora della strategia
78 SCENARI/ FORMIND
Mare mosso, sì… ma all’orizzonte nessuna tempesta perfetta!
82. MERCATO/VINO
Consigli per gli acquisti
90. SCENARI/ FINANZA
Inflazione, la BCE sta facendo la cosa giusta?
SPECIALE 30 ANNI/I PRESIDENTI
DOPO GIANCARLO CORSI E ANGELO CORTESI, CONTINUA IL RACCONTO ALLA SCOPERTA DELLE TAPPE PIÙ IMPORTANTI DELLA FEDERAZIONE ITALGROB NELLE PAROLE DEGLI ALTRI
QUATTRO PRESIDENTI, GIUSEPPE CUZZIOL, ANDREA MENICI, VINCENZO CASO E ANTONIO PORTACCIO
ro nel rispetto della tradizione inseguendo però l’innovazione. “La tradizione è la novità, l’innovazione è la nostra tradizione – così Cuzziol riassume l’essenza del suo mandato – La mia attività di Presidente è stata dedicata a incrementare l’unità della categoria proponendo adeguamenti professionali indispensabili che ci hanno permesso di affermare nuovamente il nostro ruolo di protagonisti della filiera. Ritengo ancora oggi che sia importante fare tesoro della nostra tradizione di imprenditori semplici, della nostra cultura maturata sul campo, per rispondere compatti alle difficili sfide che il mercato ci pone costantemente di fronte”. Originario di Santa Lucia di Piave, in provincia di Treviso, il neo-Presidente vantava già alle spalle una lunga esperienza di successi nel settore della distribuzione di bevande: già Consigliere Nazionale della Federazione e vice Presidente del Consorzio San Geminiano, nonché Presidente e Amministratore Delegato dell’omonimo Gruppo Cuzziol Spa.
Proprio la grande esperienza nel settore lo porta a essere indicato come il successore di Angelo Cortesi alla guida
registra migliaia di ingressi da parte degli operatori del settore. Ed è datata 2011 la prima edizione dell’International Horeca Meeting, voluta fortemente dal Presidente Cuzziol, che ebbe luogo a Roma il 28 e 29 novembre di quell’anno presso l’Hotel Hilton. Ma a Giuseppe Cuzziol si devono anche riconoscere numerosi traguardi messi in atto dalla Federazione, a partire dalla battaglia contro la scelta di CocaCola Hbc Italia di attivare in tutta Italia centro-settentrionale una rete di distribuzione diretta di tutti i prodotti a marchio Coca Cola destinati al canale Horeca (vale a dire tutto il circuito dei consumi Fuori Casa). La posizione del Presidente fu da subito molto netta, convinto che un tale ampliamento rischiava di indebolire la concorrenza con una progressiva estromissione dal mercato delle figure intermedie dei grossisti e dei distributori, con gravissime conseguenze per l’intera filiera. Una battaglia che Cuzziol vinse nettamente con una revisione del modello distributivo di Coca Cola Hbc Italia e il ritorno della stessa al vecchio modello con il grossista unico intermediario.
Il Progetto Vetro Indietro, una sperimentazione cui presero parte Fipe-Confcommercio, Legambiente e 3 aziende leader nel settore della produzione di bevande, alcoliche e non (Sanpellegrino, Peroni e Pago), con un consulente scientifico d’eccezione: l’Università Cà Foscari di Venezia.
Un’opportunità fondamentale per il rilancio del settore Fuori Casa come elemento di riqualificazione e differenziazione rispetto ad altri canali e forte coesione della filiera. E ancora, la campagna contro l’acqua di rete trattata o quella verso i fusti pirata. Infine, nel 2014, a compimento del mandato, Cuzziol portò a casa due importanti traguardi: l’ingresso strategico di Italgrob in Confindustria e il nuovo progetto formativo AFDB messo a punto con la Luiss Business School di Roma, con il nuovo Master in Trade Management dei consumi Fuori Casa.
2015. In occasione della 4° edizione dell’International Horeca Meeting di Roma, avviene il cambio al vertice della Federazione Italgrob. Bepi Cuzziol, dopo nove anni di presidenza, lascia il testimone, oltre che l’onore e l’onere di presiedere Italgrob, ad Andrea Menici.
“Come Presidente Italgrob mi sono impegnato con entusiasmo mettendo a disposizione l’esperienza accumulata in oltre 40 anni di lavoro nel settore – racconta Menici – dando continuità al lavoro e alle scelte compiute dalla Federazione con l’obiettivo di aumentare gli associati e coinvolgere quanti più colleghi possibili, ma anche cercando di operare un cambio di passo per dare a Italgrob quello slancio necessario ad affrontare le problematiche che insistevano sul mercato, e anche per cogliere tutte le opportunità che il settore riservava alla categoria”.
Con Menici vede la luce l’iniziativa “Bollicine Solidali”, progetto che ancora oggi fa capo all’Associazione le Donne Dell’Horeca - ADHOR, presieduta da Paola Giacchero. E si deve a Vincenzo Caso, Presidente Italgrob dal 2018 al 2021, l’intuizione di
spostare l’International Horeca Meeting a Rimini, in collaborazione con la Fiera Beer&Food Attraction.
“Anno dopo anno – ci spiega Caso – il meeting Italgrob si è trasformato, diventando il più qualificato punto di incontro fra gli operatori della filiera Horeca e momento di confronto e di crescita apprezzato dall’intera Community del Fuori Casa italiano. L’obiettivo di questa partnership è stato di consolidare questo evento quale irrinunciabile appuntamento per i professionisti del settore chiamati attraverso un confronto serrato e virtuoso a disegnare strategie funzionali all’Horeca del futuro”. Una partnership d’eccellenza, il connubio tra Italgrob e Beer Attraction, che ancora oggi completa sinergicamente l’offerta per gli operatori di questo settore, dando vita a una piattaforma espositiva e convegnistica con autentici tratti di unicità. E oggi, con il nuovo Presidente Antonio Portaccio, in carica da settembre 2021, questa partnership continua a mostrare quanto l’intuizione di creare un sodalizio con quella che viene identificata come la fiera d’eccellenza per i distributori fosse la scelta migliore. Lo si evince dall’entusiasmo e la partecipazione di tutti gli operatori del settore alla dodicesima edizione dell’International Horeca Meeting 2023, incontro reso ancora più prezioso grazie alla partnership che il Presidente Portaccio è riuscito a creare con Censis, uno tra i più importanti istituti di ricerca socio-economici del nostro Paese. “Siamo orgogliosi dei risultati ottenuti anche quest’anno a Rimini. Ritengo sia un’occasione preziosa di incontro e confronto per le imprese del settore e per tutti gli stakeholders - ha sottolineato il presidente Portaccio - La distribuzione Horeca è un centro nevralgico, indispensabile volano per la definitiva ripresa del mercato dopo la crisi pandemica. È necessario, dunque, puntare sulle realtà che operano nel Fuori Casa per rilanciare la filiera, favorire i consumi e promuovere la relazionalità sociale. È questo l’obiettivo principale del mio mandato!”.
SPECIALE 30 ANNI/AVVENIMENTI
L’EVOLUZIONE DEL CONSUMATORE HA IMPOSTO UN CAMBIO DI PASSO ALLA DISTRIBUZIONE HORECA, CHE SI È SPECIALIZZATA RAFFORZANDO L’OFFERTA NELLE
PRINCIPALI CATEGORIE BEVERAGE. LA SFIDA ORA È PROPORRE CONSULENZA
MIRATA AI GESTORI DEI PUNTI DI CONSUMO, OLTRE CHE ASSORTIMENTO DI DOMENICO APICELLA
Il racconto della storia della distribuzione Horeca è una sorta di cronaca del cambiamento. Lo abbiamo visto lo scorso numero, scrivendo del ruolo del grossista,
della frammentazione del canale, della nascita dei consorzi e dei network distributivi dell’industria (si veda GBI n.199, pag 10). A maggior ragione questo è vero se guardiamo all’anello finale
della filiera: il consumatore. “Negli ultimi decenni sono cambiate le condizioni di vita, in termini di urbanizzazione, propensione alla mobilità, disponibilità di tempo libero – sottolinea Riccardo
Giuliani, manager di lungo corso della distribuzione Horeca –. Tutto ciò ha contribuito alla creazione di una nuova domanda di beni e servizi, caratterizzata da una maggiore complessità ed eterogeneità. I consumi si sono spostati al pomeriggio, favorendo il canale diurno; l’aperitivo ha sostituito, almeno in parte, altri momenti di consumo, su tutti la cena; c’è stata una concentrazione su prodotti standard di facile preparazione e fruizione come lo Spritz, il Mojto e l’Americano. Una parte della clientela ha comunque continuato a privilegiare la qualità, oltre che il prezzo. In questo contesto, i produttori hanno perseguito l’innovazione e i gestori di locali non sono stati da meno. La risposta dei distributori di bevande è stata quella di organizzarsi con specialisti, soprattutto nelle due categorie che negli ultimi anni hanno visto crescite importanti: spirits e vino. Questo ha comportato una rivisitazione della proposta commerciale e assortimentale, con l’introduzione di prodotti di nicchia e in esclusiva”.
Un ambito che però ha perso terreno è stato il vuoto a rendere, nonostante sia una formula che consente al distributore di stringere una relazione più solida con il gestore del pubblico esercizio. Le aziende dell’ingrosso hanno da rimproverarsi qualcosa? “Non credo sia stato un errore strategico del distributore –ribatte Giuliani –. È stato il mercato a determinare questo cambiamento, sotto la forte spinta della Gdo, che non è in grado gestire il VAR per la mole dei volumi venduti, e con la
complicità dell’industria di marca, sempre alla ricerca dell’efficienza produttiva e logistica. Il distributore continua a gestire tuttora il vuoto a rendere nell’ambito del fusto birra e dell’acqua minerale, garantendo un servizio puntuale. Condivido l’osservazione che sia un modo per rafforzare il
provando a fare – afferma Sandro Castaldo, Ordinario di Marketing presso l’Università Bocconi – è dotarsi di una rete di vendita vera e propria, per prendere ordini sul territorio e poi consegnare la merce acquistata. Su un piano più generale, proporsi come un partner focalizzato sul servizio significa accrescere i propri margini, mentre essere un commerciante puro, che compete soprattutto sul prezzo, inevitabilmente porta a una diminuzione della marginalità”.
legame con il punto di consumo, anche se oggi sarebbe impensabile fare una marcia indietro, non fosse altro per gli spazi di magazzino dei locali, mediamente limitati”.
La concorrenza della Gdo rappresenta un altro capitolo controverso. È evidente la tendenza del cash&carry a tarare la propria offerta sempre più sulle esigenze degli operatori dell’Horeca, ma l’l’assortimento è solo un aspetto della questione e il vero salto di qualità – ambito da alcune insegne – riguarda più il servizio. “Ciò che alcuni operatori del cash&carry stanno
La conoscenza del mercato e delle sue tendenze, così come la capacità di offrire servizi di consulenza mirata e consegne rapide e frequenti costituiscono un vantaggio per i distributori Horeca. “Inoltre, in un momento di crisi finanziaria post Covid – sostiene Giuliani – il distributore ha offerto supporto in termini di gestione del credito, cosa che tipicamente la Gdo non è mai stata in grado di attuare, salvo poche eccezioni”.
La pandemia è stata un momento di svolta di cui probabilmente si fatica
ancora a cogliere gli effetti di lungo periodo, ma che nell’immediato ha avuto un impatto deflagrante. “Nel fuori casa la perdita complessiva in due anni è stata pari a circa 20 miliardi di euro – ricorda Giuliani – e ciò ha obbligato a mettere in campo differenti azioni al fine di garantire la continuità aziendale. Sicuramente per i distributori più lungimiranti ha funzionato il fatto di aver messo il focus su aspetti e precisamente: gestione dello stock di magazzino, con revisione assortimenti e abbassamento delle giacenze medie al fine di procurare liquidità all’azienda e un aumento della produttività; gestione
del credito, per pianificare piani di rientro con una corretta segmentazione della propria clientela; programmazione di azioni commerciali; gestione della produttività logistica; creazione di un business plan a base mensile, sviluppato con una visione di medio periodo”.
Con riguardo al futuro, resta in sospeso la sfida digitale. Un terreno sui cui l’ingrosso si muove con eccessiva cautela? “Non ritengo sia considerata una priorità dalla maggior parte delle aziende di questo settore – sentenzia Giuliani –. Il distributore, sbagliando, interpreta il mondo digitale come una maggiore efficienza nella presa dell’ordine, mentre sono molteplici le possibilità per coinvolgere i partner dell’industria di marca, condividendo con loro piani di azione, basandosi sulla geo-localizzazione dei
punti di consumo, su survey mirate e attività promo dedicate per le differenti tipologie di clientela”.
Ma tornando al recente e assai difficile passato, la categoria dei distributori Horeca ha resistito allo tsunami provocato dalla pandemia, mostrando una resilienza – termine ormai divenuto d’uso comune – per molti versi inattesa. Qual è il segreto? “Non penso sia un segreto la capacità di reazione dei distributori di bevande – replica Giuliani –; il loro mantra sono tre parole: lavoro, passione e amore per le proprie persone. Questa reattività, sommata alla forte conoscenza del territorio in cui si opera, ha permesso nel corso degli anni di rispondere in maniera proattiva ai cambiamenti avvenuti, compresa la concorrenza dei gruppi integrati. Sono convinto che i distributori siano ancora l’anello fondamentale della filiera: se sparissero di colpo, andrebbe persa la conoscenza del territorio, dei flussi turistici, dei prodotti, così come il rapporto con i gestori dei punti di consumo e le istituzioni locali. Ciò non toglie che, nonostante gli intensi processi di ammodernamento, il sistema distributivo italiano appaia in ritardo rispetto ad altri mercati europei, soprattutto negli assetti organizzativi e imprenditoriali, troppo parcellizzati e quindi lenti nei processi di gestione e decisionali”. Insomma, c’è una parte della storia – forse la più difficile, considerato lo spiccato individualismo dell’imprenditoria italiana – che è ancora tutta da scrivere.
SPECIALE 30 ANNI/SOSTENIBILITÀ
TROVARE IL MODO DI RIDURRE I RIFIUTI DA IMBALLO CHE VANNO
DISSEMINATI NELL’AMBIENTE E NON VENGONO RICICLATI
È UN TRAGUARDO AL QUALE LAVORARE IN SINERGIA, MA COME?
LA BOZZA DI REGOLAMENTO UE HA APERTO UN DIBATTITO
SULL’OPPORTUNITÀ DI APPLICARE LO STESSO SISTEMA
IN CONTESTI GEOGRAFICI ED ECONOMICI DIVERSI.
CON ENORME AGGRAVIO DEI COSTI PER ALCUNE FILIERE
DEL BEVERAGE, ANCHE IN ITALIA
DI MADDALENA MARCONI
Tra i problemi ecologici oggi al centro del dibattito internazionale, quello dei rifiuti e in particolare delle plastiche disperse nell’ambiente è uno dei più evidenti. Le immagini della gigantesca isola di plastica che si è formata nell’Oceano Pacifico o quelle degli animali acquatici soffocati hanno fatto il giro del mondo e non è più possibile voltarsi dall’altra parte. Un’emergenza che coinvolge tutti: istituzioni, industria, distribuzione e consumatori. E che riguarda anche il canale del fuori casa. In occasione di questo secondo numero speciale di GBI, dedicato ai 30 anni di vita della rivista, è giusto guardare al futuro e interrogarsi sulle sfide che attendono il settore, tra cui c’è sicuramente quella della sostenibilità ambientale, premessa indispensabile per una crescita duratura anche sotto il profilo economico.
Spesso abbiamo esperienza diretta degli ambienti invasi dai rifiuti e sappiamo che la plastica è entrata nella catena alimentare ed è stata trovata in micro-frammenti anche all’interno del corpo umano, dal sangue al latte materno. È ora più che mai necessario fare qualcosa a tutti i livelli. Le aziende giocano un ruolo centrale: la sostenibilità è destinata a diventare un corollario indispensabile del fare impresa, ma non sempre è chiaro che cosa sia più utile fare.
Innanzi tutto, bisogna conoscere il fenomeno. Anche se è impossibile dire con precisione quanta spazzatura
si disperda nell’ambiente ogni anno, si calcola che a livello globale finiscano in mare circa 8 milioni di tonnellate solo per quanto riguarda la plastica, un materiale in cima alla lista nera dei rifiuti inquinanti per la sua ubiquità e per la resistenza alla degradazione. Anche se i rifiuti da imballaggio costituiscono solo una piccola quota del totale dei rifiuti prodotti in Italia (circa l’8%), nel vasto insieme degli imballi abbandonati nell’ambiente, spiccano i contenitori per bevande e non è un problema che riguarda solamente le aree del mondo in cui non esiste un sistema di raccolta.
Secondo le stime dell’Associazione Comuni Virtuosi, basate sui dati della
piattaforma Reloop, i contenitori per le bevande che nel nostro Paese sono sfuggiti al recupero fino al 2019, supererebbero i 7 miliardi l’anno, corrispondenti a circa 119 a testa: 98 bottiglie di PET, 12 di vetro e nove lattine. Nel 2020 la pandemia ha ridotto temporaneamente la mobilità delle persone ed è diminuita di conseguenza anche la quantità di contenitori dispersi, mentre è aumentata la raccolta differenziata, che vede oggi l’Italia ai vertici delle classifiche europee. In base ai dati più recenti (2021), la quota dei rifiuti da imballaggio che in Italia non viene recuperata e finisce in discarica, nell’inceneritore o dispersa nell’ambiente resta comunque ancora superiore al 17%.
Ciononostante, su 14,3 milioni di tonnellate di imballaggi immessi al consumo nel 2021, più di 10 milioni e mezzo sono state raccolte e avviate al riciclo. L’Italia ha così raggiunto il 73,3% di imballi riciclati, superando di oltre 8 punti percentuali l’obiettivo fissato dall’Europa per il 2025 e di 3,3 punti il target per il 2030. Il Conai,
consorzio senza fini di lucro attraverso il quale sono impegnate le imprese produttrici e utilizzatrici, con l’obiettivo principale del riciclo, tramite la gestione dei Consorzi di Filiera, è direttamente responsabile del ritiro e della valorizzazione di circa metà degli imballi recuperati. In base ai dati 2021 che emergono dal suo ultimo rapporto, il materiale con i tassi di riciclo più alti è la carta, con ben l’85,1%, segue il vetro, con il 76,6%. Anche con la plastica, nonostante le difficoltà tecniche, superiamo l’obiettivo europeo fissato per il 2030, con un riciclo che ha raggiunto il 55,6%.
Nonostante si tratti di risultati molto significativi, si può e si deve fare ancora di più. Definire i sistemi migliori per ridurre i rifiuti dispersi e il loro impatto sull’ambiente non è semplice e spesso le soluzioni che si adattano a un contesto sociale, ambientale ed economico non sono adeguate a un altro.
L’Europa si sta impegnando con crescente vigore per identificare soluzioni comuni. Nel 2019, con l’obiettivo principale di eliminare progressivamente l’impiego della plastica monouso, l’Ue ha varato la cosiddetta direttiva Sup (Single use plastic). Questa è stata recepita in Italia, con alcune deroghe, nel novembre del 2021, ma limitatamente a piatti e
bicchieri, tazze, cannucce e altri prodotti simili. La sua applicazione non è invece stata ancora definita per i contenitori dei liquidi in PET, per i quali la direttiva europea fissa target precisi sia riguardo alla raccolta (77% entro il 2025 e 90% entro il 2029), sia riguardo al contenuto di materiale riciclato (almeno il 30% al 2030).
Lo scorso novembre la Commissione europea ha dato un ulteriore giro di vite per promuovere in maniera armonizzata la riduzione, il riutilizzo e il riciclo degli imballaggi e ha presentato una proposta di regolamento che rivede la disciplina in vigore. In questo caso, però, diversamente da quanto accade con la Sup, non si tratta di una direttiva, recepita dagli Stati membri con modalità e tempistiche diverse, ma di un regolamento, cioè di un testo che, una volta approvato, prevede un’applicazione senza deroghe. Il Packaging and Packaging Waste Regulation (PPWR), questo il nome del regolamento (si veda a pag. 22 per una sintesi dei contenuti), ha già subito alcune revisioni rispetto alla bozza iniziale e potrebbe essere ancora modificato da ulteriori passaggi legislativi, ma obiettivi e metodi indicati per raggiungerli sembrano destinati a restare invariati.
Mentre però gli obiettivi sono certamente condivisi, l’applicazione nel nostro Paese di alcuni dei metodi proposti per raggiungerli ha sollevato fin da subito numerose critiche.
Queste riguardano principalmente due questioni, entrambe collegate
all’impiego del deposito cauzionale (in inglese Drs, Deposit return system). Tale sistema prevede che, all’acquisto, il consumatore paghi un sovrapprezzo che
del Centro studi Conai per l’economia circolare –, il suo limite principale è quello di imporre e tutti i membri l’adozione dello stesso sistema per raggiungere l’obiettivo, condiviso, di aumentare i tassi di intercettazione, in particolare per quanto riguarda le bottiglie di plastica. Il Drs finalizzato al riciclo non si è sempre dimostrato efficace. Ha ottenuto ottimi risultati nei paesi del Nord Europa, dove è adottato da tempo e le caratteristiche del territorio e la distribuzione della popolazione sono diverse dalle nostre, ma anche lì non sempre ha prodotto
gli verrà restituito quando renderà il vuoto ed è suggerito come soluzione più idonea per il riutilizzo e il riuso, ma è anche “imposto” dal nuovo regolamento come strumento principale per il riciclo di bottiglie in PET e lattine monouso.
Per intercettare e avviare al riciclo i contenitori dei liquidi alimentari con una capienza inferiore ai tre litri, in plastica e in metallo, il PPWR richiede infatti l’introduzione del deposito cauzionale entro il 2029 in tutti i Paesi che non lo hanno ancora istituito (si veda a pag. 22 e 26). L’obbligo – che esclude i contenitori per latte e derivati, vino e alcolici – prevede inoltre un’esenzione per i Paesi che, entro il 2027, dimostrino di poter conseguire il 90% di raccolta per gli stessi contenitori.
“Anche se la bozza di regolamento europeo lavora correttamente, partendo dal tema della prevenzione – sottolinea Simona Fontana, Responsabile
tassi di intercettazione al 90%, come in Svezia e Islanda, dove i sistemi Drs per il riciclo esistono dal 1984 e 1989 e, ciononostante, sono fermi a un tasso di restituzione dell’85%”.
Pur senza avvalersi del deposito cauzionale per il riciclo, in Italia il Conai, grazie alla collaborazione con l’Anci (Associazione nazionale comuni
italiani), ha sviluppato in oltre 25 anni di attività un sistema di raccolta differenziata capillare ed efficace, che si teme possa essere depotenziato dall’attivazione di un circuito alternativo. Tra le principali problematiche emerse, spicca la restituzione del deposito. In pratica, infatti, una persona che acquista una bevanda in un bar e paga la relativa cauzione, dovrebbe poter riconsegnare il contenitore vuoto in qualsiasi altro locale della Penisola, ricevendone in cambio la somma versata. “Questo comporterebbe la necessità di creare un’infrastruttura informatica che colleghi tutti i punti vendita dell’Horeca – spiega Fontana –. Inoltre, i locali dovrebbero essere in grado di ricevere, raccogliere e poi conferire gli imballi vuoti ricevuti. Non è stato definito chi raccoglierebbe questi vuoti, fermo restando che non potrebbe essere il distributore che consegna la merce, perché si tratterebbe in questo caso di rifiuti”. I modelli messi in pratica dai diversi Paesi che hanno già attuato un Drs per il riciclo sono però differenziati e non è detto che debbano essere tutti gli esercenti a dover raccogliere i vuoti. In molti contesti sono poi state installate macchine per il conferimento
degli imballi vuoti che funzionano in maniera analoga a quelle attualmente presenti in alcuni punti vendita della Gdo per la raccolta selettiva delle bottiglie di plastica, con la differenza che occorrerebbe una presenza più capillare e si dovrebbe prevedere la funzione di restituzione della cauzione e non il buono sconto o altri meccanismi premianti, che solitamente si abbinano a una raccolta selettiva.
Diversa è la questione del deposito cauzionale impiegato per attivare circuiti di riutilizzo e riuso, raccomandati dal regolamento con target di quote percentuali differenziate e progressive (per i contenitori di acqua e bevande sono del 10% entro il gennaio 2030 e del 25% entro il 2040). In questo caso i distributori Horeca che hanno consegnato ai rivenditori i contenitori pieni potrebbero essere coinvolti anche nella loro restituzione, per conferirli a chi dovrebbe effettuare l’igienizzazione e il successivo riempimento. Anche su tale aspetto, però,
non mancano le criticità. “L’impatto sulle aziende sarebbe significativo –sostiene Fontana –. Cambierebbero le logiche di approvvigionamento dei clienti, passando da imballaggi che oggi sono destinati al riciclo a contenitori che devono garantire più utilizzi, con la necessità di prevedere processi di bonifica e ricondizionamento”. Una problematica evidenziata anche da Ettore Fortuna, Vicepresidente di Mineracqua: “La necessità di raggiungere gli obiettivi fissati dal regolamento – chiarisce Fortuna – comporterebbe massicci investimenti da parte delle aziende. Sarebbe infatti necessario rivedere gli impianti di imbottigliamento e le bottiglie stesse, con ricadute per tutta la filiera e anche per i distributori, che dovrebbero, tra le altre cose, farsi carico del trasporto dei vuoti”. Vincolare una quota di vuoti al riutilizzo viene insomma vissuto dal sistema industriale italiano come una misura punitiva, sempre in virtù della nostra leadership in Europa nel modello del riciclo. “Grazie al lavoro fatto negli ultimi 15 anni per ridurre il peso medio delle bottiglie e ai continui investimenti in eco-progettazione – aggiunge Fortuna –, abbiamo le bottiglie in plastica per acqua minerale più leggere d’Europa. Il riutilizzo vanificherebbe questi sforzi, perché una bottiglia in plastica destinata a più rotazioni dovrà essere più pesante e resistente”. Il Vicepresidente di Mineracqua esprime poi
dubbi anche sulla disponibilità delle risorse necessarie per questa trasformazione, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese: “Non va dimenticato che, con l’introduzione dei nuovi obblighi in materia di riutilizzo, le Pmi subirebbero una forte penalizzazione, perché non sarebbero in grado di sostenere gli investimenti necessari per attuare i cambiamenti prescritti”.
Infine, la proposta di regolamento Ue sembra trascurare modelli già esistenti a livello nazionale, che funzionano e producono risultati. Per quanto riguarda l’acqua in bottiglie di vetro, che rappresenta il 15% del mercato dell’acqua minerale, esistono dei sistemi “chiusi” di riutilizzo, come il vuoto a rendere impiegato nel canale Horeca. “Queste soluzioni collaudate – suggerisce Fortuna – potrebbero essere sviluppate ulteriormente anche attraverso meccanismi pubblici
di incentivazione, sia per sopperire alla mancanza di vetro vergine, sia per suoi i costi, che nell’ultimo anno sono lievitati. È invece molto diverso ipotizzare un meccanismo di riutilizzo trasversale a tutti i materiali e i settori”.
Anche Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe, esprime preoccupazione per quello che definisce “il rischio di un ambientalismo ideologico che non guarda alla corretta gestione di un rifiuto o alle specificità dei diversi operatori della filiera, ma si limita a fotografare solo la bottiglia abbandonata da qualche incivile. Tutti gli sforzi per rendere riciclabili e riciclati i contenitori post consumo – dice Pierini – rischiano di esser vanificati,
Resta comunque da capire quando le nuove norme europee potrebbero entrare in vigore. “Per arrivare alla fine dell’iter – precisa Fortuna – si dovrà seguire la procedura legislativa ordinaria, che prevede ancora l’approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio Ue. L’attuale legislatura europea terminerà però nei primi mesi del 2024 e c’è quindi meno di un anno per completare il percorso”.
Questi tempi stretti preoccupano anche Simona Fontana del Conai: “L’attuale Parlamento europeo, connotato per la forte attenzione a iniziative di carattere ambientale, è in fase di scadenza del mandato e non sappiamo se riuscirà ad arrivare a un’approvazione del regolamento prima della sua fine. L’augurio di molti è però che la volontà di chiudere questo percorso non venga anteposta ai tempi tecnici necessari per un confronto con tutte le parti interessate. Speriamo insomma che la fretta non finisca per sacrificare una discussione allargata”.
così come molti altri accorgimenti adottati finora ai diversi livelli”.
Pierini sottolinea poi i costi per gli adeguamenti che la filiera dovrà gestire: “PwC ha stimato che, solo per rendere riutilizzabili le bottiglie in plastica, l’impatto sull’industria europea delle bevande analcoliche sarebbe di 18,7 miliardi di euro”.
Nella valutazione della questione e dei cambiamenti che potrebbe produrre, la Commissione europea evidenzia anche alcuni aspetti positivi “collaterali” del deposito cauzionale, come la creazione di posti di lavoro nel settore del riutilizzo, valutata in circa 600 mila unità entro il 2030 e risparmi complessivi intorno ai 47,2 miliardi di euro.
Si tratta comunque di calcoli generali, che non considerano le specificità di
ogni Paese. Grazie alle quote di riciclo già raggiunte, l’Italia potrebbe infatti essere tra i candidati a evitare l’obbligo di introduzione obbligatoria del sistema di deposito cauzionale finalizzato al riciclo. Non si può insomma escludere la possibilità di arrivare all’obiettivo del 90% di raccolta dei contenitori per bevande entro il 2029. “Siamo a quello che potrebbe essere considerato ‘l’ultimo miglio’ di un percorso complesso – conclude Fontana – e sarebbe un peccato dover cambiare strada proprio ora. Per quanto riguarda poi gli ambiti nei quali c’è ancora dispersione di imballaggi, sarebbe nel nostro caso più coerente ragionare su modelli di raccolta integrativa, magari incentivata con un meccanismo di premialità, come accade già oggi con le ‘macchinette mangia plastica’ disponibili in punti strategici come i supermercati. Questo genere di soluzioni, infatti, consentirebbero comunque di massimizzare le intercettazioni di materiali e di migliorarne la qualità, senza dover ricorrere alle complicazioni ulteriori che si creerebbero per l’attivazione di un sistema di deposito cauzionale sostitutivo del modello attuale”. Che si attui un piano oppure l’altro, occorre prendere coscienza della necessità di impegnarsi per trovare la soluzione più efficace e rapida, che riduca al massimo la dispersione degli imballaggi nell’ambiente. Bisogna saper avere una visione di lungo periodo, anche andando oltre gli interessi di categoria, perché tutelare l’ambiente significa tutelare al contempo noi stessi, la nostra salute e anche la nostra attività.
UNA SINTESI DEI PUNTI SALIENTI DEL 'PACKAGING AND PACKAGING WASTE REGULATION' IN DISCUSSIONE A BRUXELLES, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE NORME CHE RIGUARDANO IL SETTORE FOOD & BEVERAGE
Ridurre, riutilizzare e riciclare gli imballaggi. È soprattutto alla promozione di questi obiettivi che punta la proposta di PPWR, Packaging and Packaging Waste Regulation, adottata dalla Commissione europea lo scorso 22 novembre. Il nuovo testo, in linea con il Piano di azione Ue sull’economia circolare approvato dal Parlamento europeo nel 2021, intende aggiornare la disciplina degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio immessi nel mercato interno, compresi quelli in arrivo da Paesi extra-Ue. Gli oneri dell’attuazione di questo regolamento, che dovrà essere applicato da tutti i Paesi senza le dilazioni e le deroghe che caratterizzano le
direttive europee, saranno principalmente a carico delle imprese. Queste sono infatti chiamate sia a modificare la progettazione degli imballi, sia a realizzare i circuiti per garantire il riciclo o il riuso dei loro prodotti. Partendo quindi dalla progettazione, il regolamento affronta principalmente due aspetti: la quota di materiale riciclato che deve essere inserita nei pack e la necessità di un design che riduca il volume degli imballi.
I contenitori in PET destinati al contatto con alimenti dovranno contenere almeno il 30% di plastica riciclata entro il 1° gennaio 2030, per poi arrivare al
50% alla stessa data del 2040. Quelli non in PET hanno l’obiettivo del 10% per il 2030 e sempre del 50% per il 2040. Ancora più ambiziosi i target fissati per le bottiglie in plastica monouso per bevande, sempre il 30% di riciclato al 2030 (come già previsto dalla direttiva Sup), ma questa percentuale dovrà salire al 65% entro il 2040.
RIDUZIONE COMPLESSIVA DEI RIFIUTI
Il secondo punto del Regolamento che coinvolge la progettazione prevede che sia incrementato l’ecodesign, al fine di evitare o comunque di ridurre al minimo gli spazi vuoti negli imballi. Bando quindi ai doppi fondi e agli strati non necessari. Questo mira
a determinare, come conseguenza, il raggiungimento di un obiettivo di riduzione dei rifiuti da imballaggio prodotti da ciascun cittadino europeo rispetto al 2018. Tale riduzione è fissata al 5% entro il 2030 e al 15% per il 2040. Viene lasciata agli Stati membri la valutazione delle modalità con cui raggiungere tale obiettivo. È comunque evidente che questo punto potrebbe produrre dei cambiamenti anche sul fronte della logistica, visto che si potrebbe prospettare una riduzione dell’ingombro di alcuni prodotti.
ARMONIZZATA
Per evitare le differenze tra le norme nazionali che tuttora ostacolano la libera circolazione delle merci, provocando confusione nei consumatori e oneri per le imprese, il PPWR prevede l’introduzione di un’etichetta armonizzata sui materiali che compongono l’imballaggio e sulle opzioni di gestione dei rifiuti. Inoltre, visto che verrà incoraggiata l’istituzione di sistemi di riutilizzo, si stabilisce che, a
due anni dall’approvazione del regolamento, gli imballaggi riutilizzabili dovranno avere anche un’etichetta o un QR code che li distingua da quelli monouso, fornisca informazioni sul sistema di riutilizzo e faciliti la tracciabilità e il calcolo di viaggi e rotazioni.
Veniamo qui a uno dei punti del regolamento più dibattuti nel nostro paese. Si tratta della promozione di sistemi che prevedano il riutilizzo e la ricarica degli imballi. La logica è quella di una progressiva riduzione del monouso. In questo senso viene suggerito l’impiego di soluzioni come il deposito su cauzione. I target si differenziano in base al tipo di contenitore e al suo impiego e stabiliscono due punti di arrivo: 1° gennaio 2030 e 1° gennaio 2040. Per il cibo da asporto i contenitori dovranno essere riutilizzabili al 10% entro il 2030 e al 40% entro il 2040. Per le bevande dei distributori automatici, le percentuali salgono rispettivamente al 20% e all’80%.
Per le altre bevande e alcolici, eccetto il vino, gli step sono 10% al 2030 e 25% al 2040. Per il vino gli obiettivi in termini di riutilizzo dei contenitori sono fissati al 5% entro il 2030 e al 15% entro il 2040. Per gli imballaggi terziari come
bancali, casse e scatole in plastica, secchi e fusti, si dovrà raggiungere il 30% entro il 2030 e il 90% entro il 2040.
Riguardo ai contenitori per bevande monouso (quindi non riutilizzabili) in plastica e metallo con capacità fino a tre litri (prevalentemente bottiglie in PET e lattine), i Paesi dovranno adottare misure necessarie per garantire un sistema di deposito su cauzione ai fini del riciclo entro il primo gennaio 2029. Da questo sistema sono però esclusi vino, spirits e latte. Saranno inoltre esentati quei Paesi che, per questi imballaggi, hanno raggiunto, o presentino entro il gennaio 2027, un progetto che “garantisca” il raggiungimento di un tasso di raccolta di almeno il 90%.
Il PPWR non modifica gli obiettivi di riciclo per i materiali fissati in precedenza per il 2025 e 2030 e già raggiunti dal nostro Paese.
• Per tutti gli imballaggi: 65% e poi 70%
• Legno: 25% e poi 30%
• Plastica: 50% e poi 55%
• Alluminio: 50% e poi 60%
• Vetro: 70% e poi 75%
• Carta e cartone: 75% e poi 85%
SPECIALE 30 ANNI/SOSTENIBILITÀ
MENTRE SI DISCUTE L’APPROVAZIONE DEL REGOLAMENTO CHE IMPORREBBE A TUTTI I PAESI MEMBRI UE L’ATTIVAZIONE DI UN DRS (DEPOSIT RETURN SYSTEM), LA SUA ADOZIONE SI ESTENDE A MACCHIA D’OLIO NEL VECCHIO CONTINENTE
DI MADDALENA MARCONI
Dire deposito cauzionale non è sufficiente a descrivere un sistema che ha molte e differenti modalità di applicazione. Tra un Paese e l’altro cambiano i responsabili della gestione del processo, le modalità di conferimento e i sistemi di rimborso per le cauzioni erogate, ma quello che accomuna tutti è che il consumatore finale può restituire l’imballo e ne riceve in cambio il rimborso di una somma versata all’atto dell’acquisto (in alcuni sistemi c’è anche la possibilità di devolvere il deposito per cause sociali o ambientali).
Attualmente vi sono più di 40 Drs (Deposit return system) per
il riciclo attivi nel mondo e in diversi Paesi europei. Nel 2020, erano circa 291 milioni le persone che avevano accesso a un sistema di deposito cauzionale e questo numero è destinato ad aumentare di altri 200 milioni entro la fine dell’anno in corso. Una crescita molto importante, che si deve soprattutto all’introduzione di regolamenti e normative per ridurre la dispersione dei rifiuti da imballaggio che suggeriscono, o impongono, questo tipo di soluzione, come potrebbe accadere in Europa con il PPWR (si veda articolo a pag. 22).
La diffusione del sistema nel nostro continente è comunque già estesa: i Paesi che nel 2022 avevano
adottato sistemi di deposito su cauzione per il riciclo erano 13 , mentre altri 12 ne hanno deciso l’introduzione entro i prossimi quattro anni.
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I pionieri sono concentrati nel Nord Europa: per prima è arrivata la Svezia, nel 1984, seguita nel 1989 dall’Islanda, dalla Finlandia nel 1996 e dalla
Norvegia nel 1999. Poi si sono aggiunti Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Estonia, Croazia e Lituania. Nel corso del 2022, infine, hanno adottato un Drs anche Slovacchia, Lettonia e Malta.
A gennaio 2023 è arrivato l’annuncio dell’introduzione di un sistema di questo tipo per le bottiglie in PET e le lattine anche da parte di Rebecca Pow, Ministra dell’Ambiente del Regno Unito. Seguendo l’esempio della Scozia, dove l’attivazione è prevista per la seconda metà di quest’anno, il processo è partito anche in Galles, Inghilterra e Irlanda del Nord.
La scelta del Regno Unito ha l’obiettivo di ridurre dell’85% la quantità di contenitori per bevande gettati tra i rifiuti nel giro di tre anni, a esclusione del vetro (compreso solo nel Galles). Il nuovo sistema dovrebbe entrare in vigore nei tre Paesi entro ottobre del 2025 e la sua introduzione richiederà un complesso lavoro di coordinamento con l’industria per preparare i cambiamenti necessari, dalla creazione di infrastrutture alle modifiche dell’etichettatura.
Nel frattempo, la situazione è in costante divenire: la Turchia ha già definito i dettagli e dovrebbe partire nel 2024, mentre la Spagna attiverà il sistema entro il 2026. Lo scorso 30 gennaio, inoltre, una consultazione su questo tema è stata avviata anche dalla Francia, dove ora è in corso un dibattito serrato per trovare una posizione il più possibile condivisa entro il primo semestre dell’anno.
SPECIALE 30 ANNI/SOSTENIBILITÀ
I SISTEMI DI TRAZIONE MENO INQUINANTI SONO UN ASPETTO FONDAMENTALE, MA NON L’UNICO, PER OTTENERE UNA RIDUZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE. ANCHE L’EFFICIENTAMENTO DI PERCORSI E CARICHI PUÒ PORTARE GRANDI BENEFICI, ECOLOGICI ED ECONOMICI
DI MADDALENA MARCONI
Apuntare il dito è la stessa Agenzia europea dell’ambiente: i trasporti sono responsabili di oltre
un quarto delle emissioni di gas a effetto serra nell’Ue e contribuiscono in larga misura ai cambiamenti climatici. Negli ultimi trent’anni, inoltre, mentre altri settori – come quelli
della produzione dell’energia elettrica e dell’industria – riducevano le emissioni, i trasporti non dimostravano la stessa capacità di trasformazione. Nell’ultimo decennio, però, qualcosa
ha cominciato a muoversi e l’inquinamento atmosferico provocato dagli spostamenti è diminuito, grazie all’introduzione di regolamentazioni sulla qualità dei carburanti, alla catalogazione “Euro” dei veicoli e all’uso di tecnologie più pulite. Nel percorso di transizione dell’Unione europea verso l’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050 è comunque necessario un potenziamento delle azioni in questo comparto e chi si occupa di trasportare food & beverage può fare la sua parte, traendone beneficio anche in termini di risparmio ed efficientamento. Le attività da mettere in campo sono riconducibili principalmente a due ambiti: da una parte il sistema di trazione, dall’altra l’ottimizzazione dei carichi e dei percorsi. Quest’ultima è però una leva particolarmente complessa da muovere, perché richiede l’azione sinergica di più attori e, spesso, un cambiamento dell’organizzazione del lavoro.
Per quanto riguarda il sistema di trazione, è cronaca di questi mesi la forte opposizione di un gruppo di
Paesi membri Ue – Italia e Germania in prima linea – al regolamento che prevede lo stop alla vendita di auto e furgoni con motori benzina e diesel a partire dal 2035. In attesa di capire se qualche deroga sarà concessa e se riguarderà anche i veicoli commerciali leggeri, va detto che le possibilità di ridurre l’impatto ambientale dei mezzi stanno aumentando e lo sviluppo tecnologico permette di abbassarne i prezzi e di migliorarne le performance. Dall’additivo AdBlue per abbattere le emissioni di ossidi di azoto dai gas di scarico dei motori diesel, fino agli studi di fattibilità dell’uso dell’idrogeno, le soluzioni intermedie sono molte.
Nell’ultimo anno, però, l’aumento dei costi dell’energia ha colpito duramente tutti i comparti, senza eccezione per chi aveva scelto fonti rinnovabili o a basso impatto. “È accaduto con l’energia elettrica, ma anche con il gas naturale liquefatto – spiega Igino Colella, Presidente della sezione italiana del Cscmp (Council of supply chain management professionals) –. Quest’ultimo si stava dimostrando vantaggioso sia in termini ambientali che economici, ma la crisi del gas ha fatto schizzare i prezzi verso l’alto”. A parziale compensazione, lo scorso ottobre è stato firmato un decreto per l’erogazione di 25 milioni di euro a sostegno delle aziende del trasporto merci su strada che utilizzano mezzi ecologici alimentati a gas liquefatto. Il provvedimento prevede un credito d’imposta pari al 20% delle
spese sostenute dal febbraio 2022 per l’acquisto di Gnl utilizzato per la trazione dei mezzi, ma non ripristina la convenienza iniziale.
“Per quanto riguarda l’elettrico – prosegue Colella –, è vero che riduce l’inquinamento in ambito urbano, ma non è ancora stato realizzato uno studio completo riguardo alla sostenibilità sociale e ambientale del suo ciclo di vita. Andrebbe infatti considerato come viene prodotta l’energia e come sono estratte le componenti per realizzare le batterie, spesso provenienti da miniere situate in paesi che sfruttano la manodopera. Inoltre, va tenuto in considerazione il fatto che i camion e i furgoni elettrici sono più pesanti ed energivori delle automobili e producono quindi anche maggiori quantità di particolato da usura”.
Ciononostante, il trasporto all’interno delle città con mezzi elettrici sarebbe tra le soluzioni più raccomandabili, ma mancano tuttora le infrastrutture.
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“
L’energia elettrica per la trazione è poca e costa troppo – sottolinea Colella – e le stazioni di ricarica per i mezzi pesanti sono insufficienti Andrebbero poi creati dei punti di scambio alle periferie delle aree urbane per permettere l’ottimizzazione ed è proprio questa la scelta che potrebbe fare davvero la differenza”. Nel settore dell’Horeca, infatti, l’ottimizzazione dei percorsi e dei carichi si presenta come la soluzione al contempo più complessa ed efficace.
“I pubblici esercizi hanno spesso scorte ridotte e richiedono quindi consegne frequenti – riflette Colella –. Per di più le consegne sono fatte da distributori diversi, in base alla tipologia di prodotti trasportati. Un sistema che contribuisce notevolmente a incrementare il traffico urbano”.
Esistono oggi molte soluzioni software che aiutano le aziende a ridurre i chilometri e le tempistiche, e quindi anche i costi e le emissioni, ottimizzando percorsi e carichi (si veda GBI
n. 198, pag. 36). Ciò che però potrebbe
veramente fare la differenza è l’integrazione tra gli strumenti software dei diversi operatori coinvolti.
“La nostra è un’associazione mista, che comprende figure appartenenti ad aziende coinvolte nella logistica a vario titolo, dai committenti alle imprese di trasporto – spiega Colella –, e questo ci aiuta ad avere una visione d’insieme. Ciò che in Italia manca è la capacità di lavorare in maniera sinergica, anche con le amministrazioni. Queste ultime, per esempio, potrebbero suggerire in tempo reale i percorsi e gli orari migliori per i mezzi che trasportano le merci in base alle condizioni di viabilità. Inoltre, per agevolare la saturazione, andrebbero condivisi i percorsi in maniera da poter utilizzare lo stesso veicolo per carichi diversi”. Si tratta tuttavia in ogni caso di scelte che richiedono investimenti e, per investire nel cambiamento, è
necessario comprendere i benefici che potrebbe portare. Per tale motivo, nella fase attuale, le istituzioni e le associazioni svolgono un ruolo particolarmente importante.
“È sbagliato imporre visioni che vedono tutto il male da una parte e tutto il bene dall’altra o scelte dirigistiche – conclude Colella –. Bisogna invece rendere più semplice e conveniente fare le scelte giuste. Anche a livello istituzionale, comunque, non mancano le iniziative interessanti, come il progetto di physical internet sviluppato da Alice (Alliance for Logistic Innovation through Collaboration in Europe; ndr) e finanziato dall’Unione europea, che ha misurato i vantaggi reali della collaborazione nei trasporti. Molto importante sarà poi la possibilità di attivare investimenti sulla transizione ecologica e la digitalizzazione della logistica previsti dal Pnrr. Occorrono provvedimenti con un orizzonte temporale lungo e affidabile, che siano in grado di favorire chi si impegna nel cambiamento e non si sviluppino nell’ottica di punire chi non lo fa”.
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I VANTAGGI, GLI OBBLIGHI E LE AGEVOLAZIONI:
ECCO GLI ELEMENTI PER VALUTARE L’INSTALLAZIONE
DI UN IMPIANTO NELLA PROPRIA AZIENDA
Il fotovoltaico rappresenta una risorsa fondamentale per il futuro delle piccole e medie imprese italiane. È infatti la tecnologia ideale per ridurre al minimo i costi energetici e raggiungere una maggiore sostenibilità. Grazie agli incentivi, le aziende possono produrre energia pulita, ridurre il prelievo di elettricità dalla rete e abbattere quella che è diventata un’importante voce di costo della propria attività. Ecco cosa occorre sapere su benefici, costi, incentivi e funzionamento degli impianti.
Un impianto fotovoltaico è un impianto elettrico capace di produrre energia da una fonte rinnovabile e inesauribile come quella solare, mediante un fenomeno fisico chiamato appunto “effetto fotovoltaico”. In parole semplici, l’impianto cattura l’energia irraggiata dal sole grazie all’utilizzo di speciali componenti chiamati moduli fotovoltaici, i cosiddetti pannelli, costituiti a loro volta da singole celle di silicio, cioè i componenti elettrici che
trasformano la radiazione solare in energia elettrica. La corrente prodotta viene utilizzata per soddisfare il bisogno dell’impresa e in parte immessa nella rete nazionale. La sostanziale differenza tra impianti ad uso domestico e industriale sta nella potenza erogata: le versioni domestiche hanno la capacità di generare dai 2 ai 6 kW, mentre un impianto fotovoltaico per aziende prevede un minimo di 10 kW fino a un massimo di 300 kW.
Gli impianti industriali si distinguono in due categorie: fotovoltaico con
immissione diretta; fotovoltaico con accumulo. Nel primo caso, si dispone di un sistema collegato direttamente con quello elettrico dell’azienda che permette il consumo immediato dell’energia. Quindi la corrente generata verrà utilizzata per il funzionamento dell’impresa, mentre quella inutilizzata sarà immessa in rete. Nel caso di impianto fotovoltaico con accumulo, invece, vengono previste delle batterie esterne per immagazzinare la corrente (Energy Storage). Il sistema di stoccaggio permette di migliorare l’efficienza dell’impianto accumulando l’energia prodotta durante il giorno per utilizzarla anche quando l’impianto non produce, massimizzando l’autoconsumo senza cambiare le proprie abitudini di consumo. Inoltre, anche in questo caso è possibile immettere in rete l’energia e ottenere un ritorno economico. Va detto che soltanto una parte di energia solare viene convertita in corrente elettrica. I pannelli ad alta efficienza attualmente presenti sul mercato convertono tra il 20 e il 23% dell’energia che ricevono in condizioni standard, quindi circa un quinto.
L’utilizzo di energie rinnovabili testimonia il cambiamento culturale in atto nelle aziende, teso alla riduzione dei costi e all’attenzione per l’ambiente. In particolare, l’installazione di un impianto fotovoltaico porta sempre effetti e conseguenze positive, sotto diversi punti di vista.
Riduzione dei costi dell’energia: questo aspetto rappresenta uno dei principali motivi per cui si dovrebbe scegliere il fotovoltaico. Grazie ai pannelli,
infatti, è possibile produrre energia da destinare all’autoconsumo, svincolandosi dai costi di fornitura della rete elettrica o di altre fonti, totalmente o parzialmente. Questo beneficio si estende alle aziende impegnate in una produzione continua, anche notturna, purché l’impianto fotovoltaico sia accompagnato da opportuni sistemi di accumulo dell’energia.
Migliore immagine aziendale: non producendo anidride carbonica, altri gas serra o rifiuti, il fotovoltaico è una forma di energia pulita. Le imprese che decidono di installare i pannelli fotovoltaici dimostreranno di essere attente al tema della sostenibilità, trasmettendo un messaggio di responsabilità che non potrà che migliorare la percezione di clienti potenziali o già acquisiti.
I costi per l’installazione dei pannelli solari cambiano in base alla tipologia di impianto, con e senza accumulo, e alla potenza. A fronte di un maggiore risparmio in bolletta, un sistema con
accumulo, che consente di stoccare l’energia non consumata, ha tuttavia un costo più elevato. I costi sono relativi ai materiali (pannelli, sistema di accumulo, cavi, ecc.), alla progettazione e installazione, alla gestione delle pratiche amministrative (autorizzazioni al Comune, pratiche di collaudo e richiesta al gestore GSE, Gestore Servizi Energetici). Complessivamente, si tratta di un costo che può incidere sul bilancio di una Partita Iva. Tuttavia, in ragione del fatto che l’utilizzo dell’energia pulita viene fortemente incentivato dal Governo per rientrare nelle finalità del Green Deal, il piano europeo che richiede una riduzione del 55% delle immissioni di idrocarburi entro il 2030, all’interno del Pnrr sono stati introdotti una serie di incentivi per la green economy e, più specificatamente, sono stati stanziati nuovi fondi per supportare proprio la creazione di impianti fotovoltaici per aziende. Tra le agevolazioni per gli impianti fotovoltaici in essere per l’anno in corso, è possibile usufruire di: Credito d’imposta al 6%: con la Legge Bilancio del 2022, il credito d’imposta è stato ridotto dal 10% al 6%, mantenendo invariato il massimale a 2 milioni di euro, il che significa che la spesa massima dell’impianto deve essere inferiore a questa cifra. L’incentivo prevedeva una scadenza di utilizzo entro il 31 dicembre 2022, ma è stata prorogato fino al 30 giugno 2023. Le modalità di ricezione del credito dipendono dal fatturato annuo dell’azienda:
• meno di 5 milioni di euro: un’unica quota annuale di compensazione;
• più di 5 milioni di euro: tre quote annuali di pari importo, a partire dall’anno in cui l’impianto fotovoltaico entra in funzione.
Per le aziende del Sud Italia (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo), è previsto un credito di imposta che può variare dal 25% al 45% anche in presenza di massimali maggiori.
Reverse Charge: si tratta del meccanismo che solleva le aziende dal pagamento immediato dell’Iva, consentendo di avere tempi più lunghi per fare il versamento dell’imposta allo Stato e quindi di ridurre notevolmente il costo iniziale dell’investimento, ammortizzandolo nel tempo. Questa agevolazione si può applicare in caso di:
• impianti integrati o semi-integrati all’azienda (su tetti, edifici o in aree pertinenziali);
• impianti fotovoltaici a terra, all’esterno su aree aziendali.
Nuova Sabatini: si intende un provvedimento il cui scopo è di migliorare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese al fine di sostenere l’acquisto di nuovi macchinari, attrezzature e impianti. Le Pmi possono accedere a un finanziamento per la
progettazione e installazione di nuovi impianti fotovoltaici per importi che vanno dai 20.000 euro ai 4 milioni di euro, un finanziamento che viene ripartito in un arco minimo di cinque anni e con la suddivisione in sei quote. La riforma della Nuova Sabatini, operativa dal 1° gennaio 2023, prevede tuttavia che il singolo acquisto di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, ad esempio un impianto fotovoltaico, per risultare ammissibile, debba far parte di un più ampio programma di investimento organico e funzionale, nonché coerente con l’attività svolta dall’impresa e riconducibile a una delle tipologie di investimento previste nei regolamenti unionali applicabili per settore (si veda la Circolare direttoriale 6 dicembre 2022, n. 410823, pubblicata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che rende operativa la riforma introdotta dal Decreto interministeriale Mise e Mef del 22 aprile 2022).
ENERGETICHE RINNOVABILI
Fino allo scorso anno, tra le agevolazioni per impianti fotovoltaici rientrava anche il cosiddetto Scambio sul Posto, che prevedeva una remunerazione per l’energia non autoconsumata e immessa nella rete nazionale. Questa agevolazione non è più valida, ma rimane in vigore per gli impianti che già ne usufruiscono che potranno conti-
nuare a goderne fino a dicembre 2024. Al suo posto, ci saranno gli incentivi per le cosiddette Comunità energetiche rinnovabili (CER).
Per CER si intende un’associazione tra privati, enti, Pmi, ubicati in un perimetro condiviso, che si costituiscono in forma giuridica per produrre e condividere energia. I soggetti che partecipano devono necessariamente produrre energia green e condividerla tramite reti di distribuzione esistenti e/o con autoconsumo virtuale. L’incentivo è regolato dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ed è riconosciuto per un periodo di 20 anni. Queste agevolazioni, cumulabili in ogni caso con quelle per l’installazione degli impianti fotovoltaici, prevedono delle tariffe agevolate per il consumo di energia (12 c€/ kWh) che, se unite all’energia autoprodotta dall’impianto aziendale, generano ulteriori risparmi. Inoltre, l’energia non autoconsumata dalla comunità viene reimmessa in rete ed è pagata al produttore a un prezzo unitario fisso. Questo prezzo è lo stesso che viene riconosciuto dal RID (il Ritiro Dedicato equivale storicamente a circa 5 c€/kWh). In conclusione, è possibile ottenere un guadagno di circa 17 c€/kWh sull’energia prodotta e consumata all’interno della comunità, che è più di quanto prevedeva lo Scambio sul Posto.
SPECIALE 30 ANNI/DIGITALIZZAZIONE
L’E-COMMERCE DI WINE&FOOD DIVENTA IMPERATIVO PER ESSERE COMPETITIVI. CHI PERÒ GIÀ DISPONE DI UNA STRUTTURA E DI UN MAGAZZINO PUÒ ESSERE DELLA PARTITA CON INVESTIMENTI NON TROPPO ONEROSI. GLI AGENTI NON SI SPAVENTINO: L’IA NON POTRÀ
MAI SOSTITUIRE IL LORO RUOLO DI CONSULENTI E PROBLEM SOLVER DI ALBERTO GEROSA
Si potrebbe procedere più veloci, ma non c’è dubbio che la direzione sia quella giusta. È questo, in sintesi estrema, quello che dicono i dati dell’Osservatorio Digital b2b della School of Management del Politecnico di Milano, pubblicati nell’estate 2022 e relativi al 2021.
L’analisi del Politecnico mostra come l’e-commerce b2b in Italia abbia
raggiunto un valore di circa 453 miliardi di euro (+12%); sette aziende italiane su dieci investono in digitalizzazione e le transazioni tramite marketplace sono aumentate del 50% rispetto al 2020. Il 13% delle imprese italiane ha attivato portali b2b, complice l’effetto catalizzatore della pandemia . E anche il settore della distribuzione all’ingrosso si è affacciato al digital per efficientare
l’elaborazione, l’invio e la ricezione di ordini, oltre che impiegarlo come supporto a processi di marketing, comunicazione e post-vendita. Il processo di acquisto vede invece un impiego sempre più pervasivo della blockchain, la tecnologia basata su sequenze di dati immodificabili, che offre notoriamente elevati livelli di sicurezza nella tracciabilità di prodotto, nello scambio di documenti
in formato digitale e nella gestione dei dati interni.
È vero, dopo i lockdown il settore si è risollevato ma c’è qualche distributore che, complice la pandemia, aveva investito nell’e-commerce e oggi continua a percorrere questa strada con risultati davvero interessanti. È questo il caso di Bernabei, specialista romano del wine/spirits/champagne delivery di alto segmento, fresco fresco di approdo all’e-commerce b2b dopo che
e-commerce b2c proveniva da Partite
quello b2c ha raggiunto nel 2021 un picco di fatturato con oltre 32 milioni di euro: “Abbiamo notato che il 20% delle vendite del nostro
Iva - osserva Camillo Bernabei, 27enne Business Developer e direttore del retail fisico dell’azienda -. Già prima facevamo una sorta di microingrosso, pur non volendolo. Questo ci ha fornito l’ispirazione per aprire una vera piattaforma e un’interfaccia b2b, con un approccio alla promozione veramente diverso da quello per i privati. Quello al privato è infatti chiaramente un approccio di impulso, con offerte molto brevi e molto diverse tra loro, mentre un’attività cerca il prezzo stabile per tutto l’anno. Offriamo inoltre la possibilità di tracciare il proprio ordine in diretta, tramite app o sul nostro sito, con notifiche sull’ordine, quando viene preparato e dove si trova in tempo reale”. Altre latitudini, esigenze analoghe. A Trento Morelli Food Service, realtà attiva dagli anni ‘70 prima nel beverage e poi nei prodotti alimentari destinati alla ristorazione, negli ultimi 7-8 mesi ha convertito al
digitale gli ordini dei suoi clienti istituzionali: “Prima - racconta il titolare Lorenzo Morelli - c’era il problema
dei fax, scritti (male) a mano e che davano adito a ogni sorta di dubbi interpretativi: noi li ricevevamo e dovevamo inserirli nel nostro programma gestionale, rifacendo sostanzialmente tutto il lavoro”. Con l’e-commerce invece (che poi nel caso di Morelli è stato un naturale adattamento del gestionale preesistente), i clienti sono quasi obbligati a entrare nel portale e lavorare su un archivio di articoli disponibili, operando la loro scelta
e mandando direttamente l’ordine al gestionale del fornitore/distributore. “Se ci si prende il tempo di organizzare una riunione per spiegare ai clienti come si utilizza il nuovo tipo di portale - prosegue Lorenzo Morelli - qualsiasi operatore, anche non qualificato, viene messo in condizione di fare un ordine online, in quanto la nostra scheda-prodotto è costituita da una fotografia, basta inserire la quantità. Questo ha permesso di risparmiare ogni giorno
circa 2-2,5 ore e una persona dedicata a tale mansione, oltre a velocizzare in modo molto importante le consegne, eliminando tutti i tempi morti ”. Sono sempre più i clienti che per motivi organizzativo/tecnici preferiscono fare gli ordini online: “Ci sono dei ristoranti che alle 22-22:30 chiudono - conferma Morelli -A quel punto inviano dal telefonino l’ordine, che arriva direttamente al nostro gestionale; la mattina seguente viene preparato, e il pomeriggio avviene la consegna”.
Certo, il rischio è che così facendo si venga a perdere il fattore umano, quell’insostituibile rapporto di fiducia tra il cliente e il venditore-interfaccia dell’azienda, spesso costruito dopo anni e anni. L’e-commerce non sarebbe tuttavia un pericolo, anzi accentuerà ulteriormente le soft skills degli agenti:
“ Nei prossimi anni ci sarà un’evoluzione del ruolo del venditore
- afferma il titolare di Morelli Food Service - che non sarà più un raccoglitore d’ordini, ma diventerà un consulente. Ovvero un professionista che presenta prodotti nuovi, in grado di risolvere problemi e di porsi come un vero e proprio interlocutore e gestore di rapporti ”. La pensa così anche Camillo Bernabei: “Il rapporto umano dovrà comunque rimanere, soprattutto nella comunicazione delle strategie aziendali. Da un certo punto di vista però la descrizione online di un prodotto può essere migliore anche rispetto a quella fornita da un agente in carne e ossa: oggi noi abbiamo oltre 200 gin, è impensabile che un agente conosca la differenza tra diverse tipologie di questo distillato o tra 2.000 vini diversi Con gamme di prodotti così ampie, avere uno strumento come l’online è ormai fondamentale”. Il fiammante portale b2b di Bernabei (l’Url è lo stesso di quello b2c, bernabei.it) è d’altronde la prova provata di questo approccio seamless tra uomo e macchina: l’apertura di un account consente già un buon livello di profilazione e, indicando la tipologia della propria attività (albergo, ristorante diurno, discoteca,…), si può accedere a un listino predefinito sulla base della categoria selezionata. In caso però di necessità particolari, c’è pur sempre la possibilità di fare una trattativa in diretta, tramite chat. Un servizio, questo, in cui Bernabei è all’avanguardia in tutta Italia.
Il portale b2b sta già fruttando a Bernabei il 10-15% del fatturato,
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con un outlook del 30% per i prossimi due anni. Va ribadito però che nell’e-commerce non sono tutte rose e fiori: “Ritengo necessaria una struttura con un minimo di partenza di 5-6 persone - valuta Camillo Bernabei, il cui e-commerce vanta un team di 30 collaboratori - bisogna poi pensare alla pubblicità digitale; il problema non è l’investimento iniziale, bensì quello mensile, ricorrente. Andare a break even su una struttura (anche basica) non è banale, perché per produrre volumi online è necessario essere competitivi, ma se si è competitivi si margina poco. Quindi non è facile, d’altronde lo dicono i bilanci delle prime cinque aziende del nostro settore online, tutti attualmente in grave perdita”. Il manager romano ritiene comunque che se si intende incrementare di 15.000-20.000 euro il fatturato della propria azienda creando un e-commerce a supporto di un’attività già esistente, strutturata e dotata
di magazzino, ce la si può cavare anche con 3.000-5.000 euro al mese rivolgendosi ad agenzie, società di consulenza e/o fornitori tecnologici esterni (l’offerta è debordante, basta cercare su Google). Lorenzo Morelli quantifica invece intorno ai 60.000 euro l’investimento necessario per dotare il proprio business di un’interfaccia digitale, metterla in contatto con il magazzino (reso ‘e-commerce friendly’ a suon di pistole scanner e gestionali) e disporre di mezzi adeguati per la consegna.
Sotto questo riguardo Morelli Food Service e Bernabei sono molto simili: entrambi dispongono nelle rispettive aree di elezione (le province di Trento e Bolzano per il primo, quella di Roma per il secondo) di una propria flotta, mentre per consegne più lontane si affidano a corrieri. L’innovazione ha coinvolto anche questo segmento:
“Oggi tutti i nostri autisti hanno un
tablet dove sono caricate le bolle - spiega Lorenzo Morelli - nel momento in cui il destinatario firma sul palmare, vengono registrati data, ora e punto Gps della consegna. Questi dati vengono inviati a un server, dove i documenti vengono digitalizzati e salvati. Così facendo evitiamo di archiviare documenti cartacei, circostanza che libera i magazzini”. Anche questi hanno decisamente cambiato pelle nel corso dell’ultimo decennio: oggi in linea di massima non vi entra né esce bottiglia che non sia scannerizzata, inoltre i prodotti vengono tirati tutti fuori dai cartoni per facilitare il picking: “Abbiamo due magazzini - racconta Camillo Bernabei - uno dove stocchiamo le grandi quantità, mentre l’altro è il magazzino dell’ultimo miglio, in cui le bottiglie vengono disposte a scaffale, quasi come se fosse un’enoteca. Tutto questo per facilitare il lavoro degli operatori”. Perché l’altra faccia dell’informatizzazione è la razionalizzazione.
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SPECIALE 30 ANNI/ASSORTIMENTI
RAGGIUNGERE UN EQUILIBRIO CORRETTO TRA AMPIEZZA DELL’ASSORTIMENTO E PROFONDITÀ NELLE SINGOLE CATEGORIE È FONDAMENTALE PER UN DISTRIBUTORE HORECA. PERCHÉ LE OPPORTUNITÀ DI MERCATO VANNO COLTE, MA SENZA IMMOBILIZZAZIONI DI CAPITALE IMPRODUTTIVE DI GUIDO CHIUSANO
L’attività imprenditoriale è fatta di scelte. E tra le tante che un distributore Horeca deve prendere, ci sono quelle assortimentali. Meno semplici di quanto potrebbero sembrare, in particolare in una fase in cui l’aumento dei tassi di interesse induce a guardare con la massima attenzione alle immobilizzazioni di capitale, che rischiano di trasformarsi in un costo magari poco visibile, ma non per questo secondario. Ecco perché vale la pena di approfondire il tema in questo secondo numero speciale di GBI, che passa in rassegna alcuni degli aspetti centrali per l’ingrosso food & beverage. Tra cui rientrano a pieno
titolo le decisioni relative all’ampiezza dell’assortimento, fondamentali sotto vari profili.
NON SOLO BEVERAGE
Quando si affronta la problematica dell’offerta, emergono due dinamiche contrapposte: le ragioni contabili –per non parlare di quelle logistiche – suggerirebbero di razionalizzare l’assortimento, centrandolo su un nocciolo duro di referenze di cui massimizzare le rotazioni. Le ragioni strategiche e l’evoluzione del mercato spingono nella direzione contraria: accrescere l’offerta – estendendola per esempio al mondo alimentare, poco o nulla presidiato dal tradizionale distributore Horeca – appare
come un metodo efficace per qualificarsi agli occhi della propria clientela, in modo da poter ambire al ruolo di principale fornitore, aggiudicandosi un’incidenza maggiore sul totale degli acquisti effettuati dal singolo operatore servito. Per sintetizzare questa sorta di conflitto, potremmo parafrasare il filosofo Blaise Pascal e dire che la strategia ha le sue ragioni che la logistica non conosce. E ad aggiungere ulteriore complessità è la considerazione – quasi scontata – che i volumi rappresentano solo una parte della questione. A fare davvero la differenza al momento di chiudere i bilanci è anche la marginalità. E quest’ultima spesso finisce con l’essere inversamente proporzionale ai volumi, cioè elevata per le referenze di nicchia e assai più risicata per le categorie che fanno tanta massa.
Calato nella realtà quotidiana di un distributore Horeca, il rebus non trova una soluzione univoca. Anche perché l’assortimento va pensato come lo specchio fedele del posizionamento della singola azienda: il numero di categorie trattate e la profondità in ciascuna di esse – intesa come quantità di prodotti e marchi inseriti in listino per quello specifico ambito merceologico – non dovrebbero essere una stratificazione di consuetudini cristallizzate nel tempo e di scelte slegate l’una dall’altra, ma il risultato di un ragionamento davvero strategico, centrato su elementi come le tipologie di target raggiunti, la forza del presidio territoriale, la capacità di servizio garantito, le risorse umane ed economiche di cui si dispone, lo scenario competitivo.
Di recente GBI ha affrontato nel dettaglio il tema dello stock di magazzino, provando a dare indicazioni
concrete agli operatori (si veda GBI n.197, pag. 6). L’obiettivo è stato fornire degli elementi di confronto medi: in pratica, dei benchmark di mercato che consentissero di valutare la performance della propria azienda, disponendo di un termine di paragone solido. Le linee essenziali di quella indagine si possono riassumere in pochi numeri, a cominciare dai 32-35 giorni di stock che rappresentano l’ideale per un magazzino composto di circa 1.200 referenze. Una soglia dimensionale tutt’altro che causale, perché questo è l’assortimento standard di molti distributori Horeca focalizzati sulle categorie beverage.
Va detto però che in una fase di forte inflazione, incrementare le scorte può essere una scelta dettata da logiche speculative o dalla necessità di avere una riserva di prodotto da utilizzare in vista di rialzi del listino, che non possono essere imposti dall’oggi al domani agli esercenti dei punti di consumo Horeca. Premunirsi di un sovrappiù di stock consente di venire incontro alle richieste della clientela, scaricando a valle i rincari con gradualità.
Ovviamente la numerica di referenze può variare molto, in particolare negli alcolici. Basti pensare alla ricchezza in termini di vitigni ed etichette che il panorama enologico italiano e internazionale propone e qui torniamo al discorso del valore strategico delle scelte assortimentali.
La ricchezza d’offerta deve andare di pari passo alla capacità di esprimerla nella relazione commerciale: inutile accumulare vini di nicchia o pregiati se non si dispone di una forza vendita in grado di raccontare il prodotto e dargli il giusto posizionamento. Anche perché l’eccessivo invecchiamento in deposito del prodotto è sempre un problema, ma in alcuni segmenti – pensiamo ai bianchi frizzanti – è talmente grave da pregiudicare la vendibilità. Ecco,
dunque, che l’investimento sulle risorse umane, sui cosiddetti wine specialist, è la premessa indispensabile per espandere la propria gamma nei vini.
Gli spirits sono un altro mondo enorme, in cui – al netto dei best seller delle principali marche – un distributore ha spazio per distinguere l’assortimento dai suoi concorrenti, in un’ottica anche di difesa
della marginalità, e dare un valore aggiunto all’operatore professionale dell’Horeca, aiutandolo a scoprire nicchie meno note e cogliere le nuove tendenze di consumo. Il risvolto della medaglia è che seguire troppo le mode può, ancora una volta, portare ad appesantire l’assortimento, immobilizzando risorse per tempi troppo lunghi. E allora per entrambi questi comparti – vino e spirits – il consiglio è di tenersi il più possibile vicino ai 60-70 giorni di stock di magazzino, ottimizzando le rotazioni.
Il ritmo deve essere assai più elevato per merceologie come birra, soft drinks e succhi di frutta: 20-25 giorni di magazzino costituiscono un buon obiettivo per questi comparti, mentre nelle acque – prodotto fondamentale, ma ingombrante e dalla bassa marginalità – l’ideale sarebbe non andare oltre i 15-20 giorni di magazzino.
Più semplice a dirsi, che a farsi? Di sicuro, ma avere dei punti di riferimento chiari è la premessa necessaria per fare la scelta (assortimentale) giusta.
NEI PRESSI DELLE INCANTEVOLI NECROPOLI DI PANTALICA, RACCHIUSA ALL’INTERNO DELL’INCONTAMINATO BACINO IDROGRAFICO DELL’ANAPO E CONTENUTA NEI CALCARI DEI MONTI CLIMITI, SGORGA UN’ACQUA LIMPIDA E PURA.
DA QUEST’ACQUA NASCE UN GHIACCIO ALIMENTARE
PURO E CRISTALLINO PRODOTTO A REGOLA D’ARTE: È SWORD ICE, IL GHIACCIO DAL TAGLIO PERFETTO
Quella di Sword ICE è la storia che nasce dalla passione per il settore frozen che la famiglia Spada si tramanda da tre generazioni. Una storia che parla di innovazione tecnologica e dedizione che incontrano l’amore e il rispetto per l’ambiente, per il futuro. Sword ICE è la fabbrica del ghiaccio più tecnologicamente all’avanguardia in Italia e l’unica realmente ecosotenibile.
L’alta tecnologia Hoshizaki e la grande tecnologia americana incontrano ampi e moderni impianti automatizzati, alimentati da energia fotovoltaica e miscele ecologiche. Il risultato è la produzione di un ghiaccio alimentare cristallino di qualità superior, amato dai cocktail e dall’ambiente.
Tutto ha inizio nel lontano 1950, anno in cui la famiglia Spada inaugura una tra le prime fabbriche per la produzione di ghiaccio in blocchi, fondamentale per tenere in fresco alimenti e bevande prima dell’arrivo dei frigoriferi. Nel 1992 Vincenzo, terza generazione della famiglia, fonda Centro Catering, presto divenuta azienda leader del sud Italia nell’importazione e commercializzazione all’ingrosso di surgelati, oggi presenti sia nel canale Ho.Re.Ca che nei principali player della distribuzione con il proprio marchio Sword. E nel 2020 il terreno è fertile per seminare qualcosa di nuovo. A muovere il vento del cambiamento è l’unione tra l’esperienza di Vincenzo nel mercato dei surgelati, e lo spirito imprenditoriale innovativo e fresco del figlio
Giuseppe: nasce Sword ICE: dopo cinquant’anni, la famiglia Spada riprende in mano l’attività nel settore ghiaccio, e lo fa perseguendo l’eccellenza. Due le linee di prodotto, per andare incontro a tutte le esigenze degli operatori del mercato. La linea Sword Ice propone il cubetto cilindrico, rigorosamente pieno e con taglio di precisione, ed il crushed, ideale per cocktail pestati. La linea Premium, realizzata con la rinomata tecnologia a cella chiusa Hoshizaki, propone tre referenze: il classico cubetto Hoshizaki (28x28x32mm – 23 gr), ottimo per ogni esigenza di miscelazione; il cubotto (48x48x58mm), da servire per esaltare drink di prestigio, inserendone un solo pezzo; le sfere (diam. 45mm) per la realizzazione di drink dal look creativo. www.sword-ice.com
SPECIALE 30 ANNI/FUSTI
È UNA REFERENZA TIPICA
DELL’ASSORTIMENTO DEI DISTRIBUTORI
HORECA, RILEVANTE NELLA LORO STORIA SOTTO TANTI PROFILI, A PARTIRE DA QUELLO COMMERCIALE. MARGINI A PARTE, IL SUO PRINCIPALE MERITO È CONSOLIDARE E RENDERE ABITUALE
IL RAPPORTO CON IL GESTORE DEL PUNTO DI CONSUMO
DI GUIDO CHIUSANO
una delle merceologie più importanti per i distributori Horeca. Non solo per il valore economico o l’impatto in termini di volumi e logistica, ma per il fatto di essere davvero caratteristica del loro assortimento.
Il fusto rappresenta un pezzo dell’identità di questa categoria di aziende e inevitabilmente è stato al centro del racconto del settore che GBI ha fatto in questi 30 anni di attività. Ecco perché è utile riprendere qui qualche concetto di base di un
mercato che ha dinamiche e regole tutte particolari.
UN PRODOTTO CHE
FIDELIZZA
Il fusto è una sorta di merceologia “fidelizzante”, perché crea un legame
continuativo tra distributore e gestore del pubblico esercizio, una periodicità nella relazione commerciale. Ciò è possibile alla luce di una premessa di non poco conto: l’installazione dell’impianto di spillatura. Non si può infatti affrontare il tema dei fusti senza citare gli impianti, perché le due cose sono strettamente legate. Nel caso della birra, grandi marchi del calibro di Heineken, Peroni e Carlsberg forniscono le macchine in comodato d’uso ai concessionari, che a loro volta provvedono a installarle presso i punti di consumo. Nei casi di altri marchi di birra d’importazione, è il distributore a farsi carico dell’acquisto. La vita di un impianto si dovrebbe aggirare mediamente sui cinque o sei anni, mentre l’ammortamento richiede tre o quattro anni. La prassi comunemente adottata prevede una cauzione per ciascun fusto, ma nel caso di mancata restituzione, esso verrà risarcito con il cosiddetto valore mercuriale, cioè il suo costo in quello specifico momento. Il ricorso a questo indice assume una rilevanza particolare in una fase come quella attuale, in cui le quotazioni dell’acciaio hanno toccato livelli davvero elevati.
La particolarità di questo prodotto si traduce per il distributore e di riflesso per il produttore della bevanda in un rischio non trascurabile e cioè che l’esercente non rispetti gli accordi stipulati e acquisti i fusti da un altro fornitore, per una propria convenienza economica. Cali sospetti nelle quantità richieste possono emergere attraverso un esame attento degli ordini ricevuti dal singolo gestore, fermo restando che tutelarsi in maniera assoluta da simili pratiche scorrette è tutt’altro che semplice. Una forma
di difesa è il già citato sistema della cauzione e una mano – magari in prospettiva – di sicuro può darla la tecnologia. Esistono infatti impianti di spillatura che consentono un monitoraggio da remoto, anche se va detto che si tratta di soluzioni ancora poco diffuse e focalizzate sul mondo dei soft drink.
Restando in tema di impianti, i costi di realizzazione variano sensibilmente in base alle caratteristiche e al numero di “spine”, cioè di prodotti in fusto gestiti contemporaneamente. Le valutazioni di mercato raccolte di recente dalla nostra rivista (si veda GBI n.196 pag. 44) indicano una forbice che parte dai 1.000 euro di investimento per i punti di consumo basso vendenti fino ad arrivare ai 15.000 euro per gli impianti di maggiori dimensioni, dotati magari di uno spazio climatizzato in cui collocare i fusti, mantenendo quindi una temperatura di stoccaggio tale da consentire un minor dispendio energetico per il necessario raffreddamento della bevanda nel momento della mescita.
Nello scorso numero di GBI abbiamo esaminato le tendenze in atto nel mercato della birra, approfondendo anche i risultati ottenuti dai fusti (si veda GBI
n.199 pag. 60). In questa sede guarderemo quindi a un’altra delle grandi famiglie dei prodotti in fusto – quella dei vini – che, valutata nell’ottica del distributore Horeca, mostra punti di forza e di debolezza, come è logico che sia. Resta confermato il ragionamento sulla valenza che la merceologia riveste nel rapporto con il pubblico esercente: anche il vino in fusto, così come la birra venduta nel medesimo formato, implica un legame più solido con il punto di consumo. Ma questo significa – inevitabilmente – anche servizio, da proporre nell’immediato e garantire nel continuativo della relazione commerciale. Con la difficoltà che, per ammissione degli stessi addetti ai lavori, nel vino in fusto il prezzo basso sembra rappresentare il primo criterio di scelta adottato dal gestore del pubblico esercizio. Fenomeno che si sovrappone alla netta prevalenza del bianco frizzante, indiscusso leader del mercato a livello nazionale. La differenziazione su base territoriale, elemento tipico del comparto enologico, nei fusti si riscontra infatti soltanto dalla seconda referenza più venduta in poi.
Quanto ai canali di sbocco, un prodotto soprattutto da prezzo come il vino in fusto trova la sua collocazione naturale nelle pizzerie e nelle forme di ristorazione maggiormente focalizzate sulla convenienza. E se il posizionamento di prezzo nel listino del distributore è mediamente più basso rispetto a quello della birra, la marginalità è tra le più alte in termini percentuali e dunque ritenuta di solito soddisfacente. Un motivo più per continuare a scommettere sulla categoria.
Il caso è scoppiato pubblicamente poche settimane fa e riguarda due realtà aziendali del cuneese, Acqua Sant’Anna di Vinadio, colosso dal volume d’affari pari a 320 milioni di euro, e Acqua Eva di Paesana, con “appena” 36 milioni di fatturato annui. Secondo le accuse, i vertici di Acqua Sant’Anna di Vinadio avrebbero attivato un sito web mercatoalimentare.net (ora chiuso), allo scopo di diffondere sul mercato false informazioni sul conto della concorrente. In un articolo pubblicato nel 2018, in particolare, si adombrava il sospetto che Acqua Eva fosse controllata dalla catena di supermercati tedesca Lidl. Una voce falsa che, a detta della proprietà, avrebbe tuttavia compromesso i rapporti dell’azienda con la GDO e con possibili partners di mercato. Lo scopo ultimo sarebbe stato quello di acquisire il marchio, dopo averlo fatto deprezzare: una proposta in tal senso era stata in effetti formulata dal gruppo Fonti di Vinadio nel 2020. “A fronte di tali sconcertanti fatti - si legge nella nota ufficiale pubblicata dalla società del gruppo Rivoira - la società e i soci si sono costituiti parte civile nel processo in corso al Tribunale di Cuneo - con l’assistenza degli avvocati Nicola Menardo e Federico Canazza - ottenendo la citazione delle società Acqua Sant’Anna S.p.a. e Mia Beverage S.r.l. quali responsabili civili per i gravissimi danni derivanti dalle condotte contestate agli imputati”.
Il 22 settembre è prevista l’apertura del dibattimento in tribunale a Cuneo.
www.gbinews.it/approfondimenti/9912/falsa-inchiesta-sul-web-una-fake-news-scredita-acqua-eva-e-si-finisce-in-tribunale.html
30 ANNI DI MONDO HORECA: COME SONO CAMBIATI I PRODOTTI E LE STRATEGIE DELLE AZIENDE? E QUALE SARÀ IL FUTURO DEL FUORI CASA PARTENDO DALLE TRE PAROLE CHE ACCOMPAGNANO QUESTI TEMPI: E-COMMERCE, DIGITALIZZAZIONE E SOSTENIBILITÀ? LO ABBIAMO CHIESTO AI PRINCIPALI GRUPPI INDUSTRIALI CHE IN QUESTI ANNI SONO STATI AL FIANCO DEI DISTRIBUTORI CONTRIBUENDO ALLA CRESCITA DEL SETTORE FUORI CASA A CURA DELLA REDAZIONE
“In 30 anni prodotti e strategie sono cambiati – esordisce Vincenzo Tundo, Direttore Commerciale e Marketing
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San Benedetto – ma non è cambiata la nostra capacità di innovare. Siamo stati i primi in Italia a lanciare l’acqua minerale in Pet e a democratizzarne
il consumo, adottando la tecnologia dell’asettico. Ci siamo avvicinati agli energy drink con proposte uniche come San Benedetto Fruit&Power e San Benedetto Super Boost e continueremo a lavorare sulla mixology, con Schweppes e Indian Black Tea”. Anche sul fronte
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“Il legame con la nostra terra è da sempre il leitmotiv del Birrificio, insieme all’attenzione per le materie prime e all’ecologia – racconta Andrea Bagli, CEO di Birra Amarcord - Negli anni si sono aggiunte nuove ricette, una nuova linea, e l’impiego di luppolo in fiore coltivato in Emilia-Romagna in vecchie e nuove ricette. Ci siamo messi alla ricerca di soluzioni concrete per
implementare la sostenibilità del Birrificio e privilegiare l’impiego di materie prime Made in Italy. Un percorso che ci ha portato al raggiungimento di due importanti obiettivi: produrre le nostre birre con un bilancio energetico a zero emissioni, e avere in linea fissa una birra 100% italiana”. Il mercato e i consumatori
ambientale Tundo rivendica di aver anticipato i tempi: “Siamo stati la prima realtà industriale italiana a mettere la sostenibilità al centro delle attività con l’accordo con il Ministero dell’Ambiente, per rilevare le emissioni di anidride carbonica. In Italia abbiamo nove impianti vicini ai mercati di consumo, con benefici per distributore, imprenditore Horeca e cliente finale”.
sono sempre più attenti a tematiche come la provenienza delle materie prime e la sostenibilità. “E-commerce, digitalizzazione e sostenibilità sono secondo noi collegati: crediamo che il digitale, così come l’e-commerce, aiuti la fruizione di informazioni sui prodotti e aiutino i consumatori a essere più consapevoli nell’out of home”.
“ In 30 anni di Horeca i prodotti sono cambiati in ricettazioni, packaging e formati con proposte sempre più coerenti con le esigenze di gestori di locali e consumatore finale, migliorando qualità e servizio – spiega Gabriele Angeli , Direttore Marketing Horeca Conserve Italia - Il nostro percorso ci ha portato a diventare
una Total Horeca Company in grado di offrire u -
na gamma
completa di prodotti, sia nel beverage che nel food ”. E per ciò che riguarda il futuro dell’Horeca, Angeli è perentorio: “Il consumo Fuori Casa fa parte del DNA degli italiani che hanno sofferto molto per chiusure e limitazioni imposte dalla pandemia. Qualità dei prodotti ed elevata componente di servizio dovranno in futuro intercettare innanzitutto la sfida della digitalizzazione, ma anche quella della sostenibilità, elemento imprescindibile per il consumatore finale, e l’e-commerce, che può supportare il fuori-casa senza però sostituirlo”.
“La nostra mission è di soddisfare il consumatore in ogni momento della giornata, dalla colazione allo snack, dalla tavola alla mixology – afferma Silvia Molinaro, Sales Director Out of Home in Coca-Cola HBC Italia -
Evoluzione dell’offerta e sostenibilità: corre su un doppio binario la crescita di Caffo. “Negli anni abbiamo allargato l’assortimento di Vecchio Amaro del Capo – racconta Noè
Alquati , Direttore Vendite di Distilleria
F.lli Caffo – con Red Hot edition, versione al peperoncino piccante di Calabria, e Vecchio Amaro
del Capo Riserva del Centenario .
Abbiamo acquisito Petrus
Boonekamp, Ferro China Bisleri e presidiamo la mixology con
Emporia gin, Blood Bitter e le acque toniche Bisleri. Abbiamo poi attivato un sistema di economia circolare: trasformiamo le vinacce della cantina Librandi in ottima grappa; il sottoprodotto della distillazione viene conferito all’impianto di biogas di Fattoria della Piana , che produce energia elettrica. Ciò che rimane da questo processo è utilizzato come fertilizzante da Librandi. Infine, l’azienda è dotata di pannelli fotovoltaici che producono energia per 500kw/h”.
Le market share di Coca-Cola Zero continuano a crescere e non smettiamo di innovare con nuovi lanci come Coca-Cola Zero Zero e l’importante rilancio del brand Kinley. Abbiamo ampliato la nostra offerta con alcuni marchi leader nell’OOH, come Powerade, nel mondo degli spirits, dall’aperitivo a vhm, after meal, white e brown spirits da miscelazione, e in quello della premiumness, con le bibite e le acque Lurisia”. In questa fase di digitalizzazione del settore horeca, Coca-Cola HBC Italia ha accelerato sotto ogni punto di vista, aprendo a nuovissime opportunità.
“Con il canale e-commerce, abbiamo potenziato la nostra strategia amplificando ulteriormente le tradizionali attività offline. Le scelte di sostenibilità sociale, economica ed ambientale sono centrali nella nostra vision. Vogliamo raggiungere zero emissioni nette entro il 2040 e abbiamo già realizzato importanti obiettivi a favore di una reale economia circolare”.
“La storia di Ferrarelle è iniziata a fine Ottocento – dichiara Antonio Marzocchella , Head of Sales Horeca – e nel corso del tempo tante sono state le evoluzioni e soprattutto le innovazioni, ma c’è una costante che ha continuato a guidare le nostre attività, di generazione in generazione: l’impegno e la volontà di incontrare le esigenze e le preferenze di gusto
dei consumatori con la naturalità che ci contraddistingue, non solo nei prodotti ma anche delle strategie di mercato”. Innovazione e sostenibilità non sono per Marzocchella un dovere a cui adempiere: “Siamo convinti che questi siano gli ingredienti che delineeranno il futuro nel nostro mercato e nell’intero fuori casa. Noi, come Ferrarelle Società Benefit, abbiamo deciso di impegnarci ogni giorno per essere l’azienda che contribuisce a creare i nuovi standard , attraverso diversificazione dell’offerta e legame con il territorio”.
“Alcuni anni fa abbiamo riportato sulle tavole italiane ed europee la buona acqua minerale delle Piccole Dolomiti, Fonte Margherita, un marchio del 1845, con una originale bottiglia in vetro e con una etichetta storica rivisitata in chiave moderna – afferma Denis Moro, Ceo di Fonte Margherita 1845 -. Abbiamo riportato le bevande analcoliche in acqua minerale, con aromi naturali e senza coloranti artificiali, rilanciato altri marchi storici come Sorgente Alba e Fonte Lonera, e realizzato il brick eco-friendly di acqua delle Piccole Dolomiti, 100% riciclabile. Ciò che non è mutata è la nostra strategia di attenzione all’ambiente visto
che dal 1845 prevediamo il vuoto a rendere che oggi realizziamo sul mercato italiano ed europeo”.
Per il Ceo di Fonte Margherita 1845 l’e-commerce nel mondo delle acque minerali rimarrà un canale con diversi limiti: “Sarà, per così dire, sempre l’ultimo canale. Per i prossimi anni Fonte Margherita 1845 sarà sempre più concentrata sulla sostenibilità ambientale e sociale e non si fermerà al vuoto a rendere, al brick riciclabile e alla tutela del territorio e dell’occupazione. Sulla digitalizzazione l’impresa veneta è già molto attiva negli ambiti nei processi di efficientamento e data analytics”.
“Progetto FornoItalia nasce nel 2019 mettendo insieme diversi marchi d’eccellenza nel bakery dolce, salato e nella pasticceria surgelati – spiega Alessandro Angelon, Amministratore Delegato del gruppo FDA - Aziende con una lunga storia, come Lizzi, che
ha creato il mercato dei cornetti vegani in Italia e ne guida la crescita. E il trend vegano ha influenzato molto anche l’innovazione di La Donatella, il nostro atelier della pasticceria con la sua gamma di crostate vegane multicereali a basso contenuto zuccheri. Forno della Rotonda, che ha sviluppato una gamma di focacce a doppia lievitazione, o il panificio Spar che lavora ancora con il metodo indiretto e propone un assortimento di pani, focacce e pizzette che mantengono i sapori di una volta”. E anche per Progetto FornoItalia il tema della digitalizzazione è molto attuale: “Stiamo creando un canale di comunicazione diretto con i nostri clienti attuali e potenziali nel canale grossisti Food Service. Da gennaio è attivo il nuovo portale a cui vengono reindirizzate tutte le visite ai siti delle singole aziende. Nel 2022 è stato realizzato il primo bilancio di sostenibilità del Gruppo che pone i nostri obiettivi su questo tema per i prossimi anni”.
“La nostra azienda nasce nel 1996 per offrire prodotti per l’igiene e attrezzature per la ristorazione e il mondo Horeca. Nel corso degli anni ci siamo specializzati nella consulenza, focalizzandoci sulla riduzione dello spreco, controllo dei consumi, benessere degli operatori e rispetto dell’ambiente – spiega Lisa Caleri, marketing e comunicazione di Samot - In questa
“Da realtà più locale, focalizzata sull’acqua in VAR, ad azienda con copertura nazionale e spinta internazionale, con focus sui soft drinks biologici”. Così Fabio Pesiri, Chairman of the Board di Galvanina Group, descrive il percorso compiuto negli ultimi 30 anni. “Horeca e SuperHoreca sono prioritari per la costruzione della marca Galvanina. Di recente abbiamo lanciato una linea mixology co-creata con bartender, in bottiglia di vetro, diventata marchio di stile
oltre che scelta sostenibile. Il futuro è digitale e sostenibile: sempre più persone acquistano bibite online, per la comodità e l’ampia gamma. Spesso il primo contatto con il prodotto è online e l’esperienza viene ripetuta nell’Horeca. La digitalizzazione consentirà di personalizzare le offerte. Quanto alla sostenibilità, ci siamo concentrati su materiali riciclabili e biodegradabili, riduzione dell’impatto ambientale e pratiche commerciali etiche”.
ottica di efficienza, ci siamo sempre approcciati ai nostri clienti per aiutarli a individuare gli sprechi e proponendo loro soluzioni migliorative. Nel 2016 è nato il nostro brand Fredd, che si focalizza sulla produzione di ghiaccio premium diversificando vari formati in base al campo d’impiego. In questa ottica abbiamo insegnato ai nostri clienti a utilizzare il ghiaccio appropriato per le diverse necessità così da ridurre sprechi di prodotto e garantire sempre le massime performance”. La comunicazione fa quindi parte del DNA di Samot che vede la digitalizzazione come un mezzo ulteriore per avvicinare il cliente alle informazioni e per semplificare il processo di ricerca. Ma anche per sensibilizzare sempre più l’operatore sul tema della sostenibilità.
“La nostra azienda è in continua evoluzione. Negli anni abbiamo continuato ad arricchire il portafoglio prodotti con nuove sku’s e nuovi brand – spiega Claudio Giuliano , Marketing Manager di Illva Saronno - Abbiamo affermato alcuni spirits, rivisitato altri, lanciato novità continuando a soddisfare nuovi bisogni e nuovi target e consolidando la nostra posizione sul mercato nazionale e internazio nale. In questi anni è stata ridisegnata la strategia, anche dando maggiore centralità alle organizzazioni commerciali, per garantire al consumatore un ruolo più centrale e ampliando
l’offerta in modo da soddisfare i nuovi momenti di consumo”. Se il Fuori Casa ha vissuto una forte trasformazione nelle ultime decadi, Illva Saronno ha dimostrato di essere pronta alle nuove sfide. “La digitalizzazione, amplificata durante la fase pandemica, ci ha preparato a una nuova fase, sempre più volta alla mobilità, al dinamismo e al nomadismo. Ognuno cerca di soddisfare i propri bisogni nel luogo in cui si trova. Ed ecco che l’e-commerce diventa una soluzione alternativa che semplifica la richiesta, riduce e velocizza i consumi. E anche noi ci muoviamo in questa direzione”.
“Circa 30 anni fa, nel 1996, il birrificio Menabrea si apprestava a festeggiare il suo 150° anniversario con una birra e una linea che ha segnato la partenza di una nuova era - racconta l’AD Franco Thedy - Da allora, le ricette tradizionali sono confluite nella linea 150 (bionda, ambrata, strong, rossa e weiss) che ancora rappresenta lo zoccolo duro della nostra produzione, oggi affiancata da “Arte in”, la gamma di birre pensata per
intercettare un pubblico giovane proponendo anche nuove modalità di consumo con la lattina e il microfustino da 5lt”. Ma l’innovazione di Menabrea non passa solo dai prodotti. “La sostenibilità è stata negli ultimi anni al centro del nostro rinnovamento. Abbiamo inaugurato nel 2019 un nuovo impianto connotato da tecnologia all’avanguardia che permette un risparmio del 50% dei consumi di energia e una diminuzione del 30% di quelli dell’acqua. Anche la digitalizzazione è una direzione obbligata e la stiamo perseguendo con l’adozione di servizi in cloud per il nostro efficientamento gestionale”.
“Da sempre Montelvini lavora per proporre ogni anno i suoi vini rispettando la natura e la tradizione vitivinicola –afferma Lisa Pivetta, responsabile trade marketing di Montelvini - Ciò che facciamo è osservare il mercato e capire come i nostri vini possano esprimersi al meglio per soddisfare le esigenze dei clienti.
Essere una cantina all’avanguardia per Montelvini significa produrre valorizzando tutte le caratteristiche del territorio insieme alla sua ricchezza e biodiversità, con grande attenzione al gusto dei consumatori”.
E se i modi di consumo variano, anche
per Montelvini è importante adeguarsi al mondo contemporaneo cercando di predirne i movimenti. “I nuovi mezzi di comunicazione sono fondamentali, ma l’importante è saperli gestire con coerenza di informazioni, di posizionamento e di livello rispettando tutti i protagonisti che intervengono in questa filiera: le persone che lavorano, i collaboratori e i partner che credono in quello che facciamo, e i clienti che consumano i nostri vini. Ecco la nostra interpretazione di sostenibilità, che parte dal terreno e arriva concretamente al consumatore finale”.
“Il nostro portfolio si è ampliato molto perché i consumi negli ultimi 30 anni sono mutati profondamente – spiega Marcello Meregalli, AD del GruppoPrima il focus era sui prodotti per il
fine pasto nel canale Horeca; oggi, oltre al loro consolidamento, abbiamo aggiunto una serie di prodotti anche per consumi extra pasto, mixology e nuovi trend in crescita. Inoltre, abbiamo affiancato ai nostri agenti alcuni spirits specialist, con lo scopo di sviluppare il mercato, fare formazione e organizzare eventi nel mondo della notte”. L’AD di Gruppo Meregalli vede il Fuori Casa in forte crescita: “Il covid ha riorganizzato le priorità nelle spese degli italiani, soprattutto nei giovani. Oggi si preferisce uscire e socializzare invece che spendere per moda, auto o altro. Buon cibo, buone bevute e viaggi sono tornati in auge. La digitalizzazione ha dato la possibilità di ampliare le conoscenze e di elevare la cultura del ‘bere bene’. L’e-commerce, anche per gli spirits, ha iniziato a occupare una fetta importante del mercato. La sostenibilità in futuro passerà a formati e contenitori differenti da quelli attuali, a distillazioni più locali e a una cultura di consumo che premierà le aziende più attente”.
Dall’epoca degli sciroppi di frutta e del famoso Mistrà, Pallini, azienda romana fondata nel 1875, di strada ne ha fatta tanta.
“Nel 2012 sono subentrata a mio padre alla guida dell’azienda – spiega la Presidente Micaela Pallini - cominciando un’attività di importazione dei migliori spirits da ogni parte del mondo, ampliando l’attività di distribuzione grazie a un progressivo allargamento di gamma. Ma la grande novità del 2023 è stata l’acquisizione del marchio Amaro Formidabile, un’operazione
strategica che ha permesso a Pallini di arricchire la sua storica produzione liquoristica con un pluripremiato amaro di nuova generazione, dalla produzione interamente manuale e artigianale, dall’altra a una realtà giovane come Amaro Formidabile di ampliare la sua distribuzione senza compromessi di qualità. Ci piace ricordare le parole di Armando Bomba, il creatore di questo prodotto unico, che abbiamo fatto nostre: ‘Con Formidabile, imbottigliamo l’esagerazione di un’idea’”. E sul futuro del Fuori Casa Micaela Pallini non ha dubbi: “La trasformazione digitale è un processo che risponde all’esigenza di un mercato in forte crescita in cui il consumatore sceglie realtà che fanno della sostenibilità il loro punto di forza”.
In Pontevecchio non hanno dubbi: il vuoto a rendere ha ancora molto da dire. “Il core business resta per noi l’acqua minerale – premette Nicolò Bremo, Direttore Vendite Horeca di Pontevecchio – e il focus è sulla referenza Sparea Splendida da 0,75 e 0,50 VAR che sta performando molto bene con un trend di crescita a doppia cifra, in controtendenza rispetto ai formati per il delivery. Complice il restyling della bottiglia, completamente rivista qualche
anno fa e resa elegante e raffinata, il che ha contribuito a farci scegliere su molte tavole importanti e rinomate”. Immutabile è ovviamente l’identità del prodotto: “La Sorgente Sparea scorre sulla pietra di Luserna – precisa Bremo – che si trova in una limitata area delle Alpi piemontesi. Il contatto con questa pietra, che per le sue caratteristiche metamorfiche non cede minerali, dona alla nostra acqua il gusto e la levità che la rendono unica”.
“Nel corso di questi 30 anni Serena Wines 1881 ha lavorato sull’ampliamento della gamma inserendo accanto ai vini fermi quelli frizzanti e i vini spumanti - spiega Luca Serena, oggi alla guida dell’Azienda - Un processo che ha fatto del legame con il territorio la sua
forza, come dimostra il ruolo centrale conquistato non solo dal Prosecco, oggi prodotto di punta dell’azienda, ma anche dal Rabosello, vino rosato frizzante diventato nel Nord Est d’Italia sinonimo di un bere informale e leggero”. Ma la chiave per affiancare il grossista secondo Luca Serena sta nell’aprirsi al digitale: “Dovremo dotare i venditori di strumenti in grado di descrivere i prodotti rapidamente, perché il tempo è la risorsa che manca in questo secolo. Per quanto riguarda la sostenibilità, Serena Wines 1881 si caratterizza da sempre per un approccio produttivo sostenibile non solo attraverso scelte di packaging rispettose dell’ambiente ma anche con lo sviluppo di vini bio e organici. Parlando di e-commerce, ritengo che la riconoscibilità dei prodotti nell’Horeca non sia a esso strettamente collegata, ma ci sarà certamente un avvicinamento a questa forma di vendita”.
“In questi 30 anni abbiamo cercato di interpretare e soddisfare sempre al meglio le richieste dei nostri clienti sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, sia di formato che di packaging – afferma Giovanni Cescon, socio-titolare di
San Martino Vini - All’inizio lavoravamo per lo più con le damigiane, i fusti inox e i Bag in Box, per arrivare oggi ai fusti in Pet e alla nostra bottiglia personalizzata “Goto”. Ogni passo in avanti è stato caratterizzato da una sempre più meticolosa ricerca della qualità, da un costante ampliamento della nostra gamma e dallo studio di packaging all’avanguardia, attenti all’ambiente e al tempo stesso accattivanti ”. Ed è ‘sostenibilità’ la parola chiave di San Martino Vini per il 2023: “Abbiamo due lanci importanti
quest’anno che si inseriscono nella nostra filosofia di attenzione per l’ambiente. Si tratta del Prosecco Doc Brut Bio 2022 e il Pinot Nero Doc Venezia Bio 2022. Abbiamo anche inaugurato proprio in tempi di pandemia il nostro e-commerce con ottimi riscontri da parte dei consumatori, dotandoci al contempo anche di un portale che faciliti i nostri agenti nell’inserimento degli ordini da remoto. Una operazione che ci sta dando grandi risultati e su cui continuiamo a investire risorse”.
Tre decenni nel segno dell’evoluzione: “ Alla referenza Red Bull Energy Drink classica abbiamo affiancato nel tempo diverse New Editions –sottolinea Helmut Cardile , On Premise Marketing Manager di Red Bull –. Le più famose sono la White Edition con Cocco & Acai e la Red Edition con il gusto Anguria, mentre quest’anno verrà lanciata la Summer Edition al gusto Juneberry . Inoltre, siamo andati incontro al trend della riduzione di zuccheri con Red Bull Sugarfree e Red Bull Zero, che hanno avuto un notevole successo nel mercato italiano. La strategia nell’Horeca rimane
però la stessa: il grossista è un partner ideale per riuscire ad ottenere una distribuzione capillare . Abbiamo lavorato in sinergia per tanti anni e continueremo in questa direzione. Gli agenti dei distributori sono supportati dalla nostra struttura territoriale dei Moschettieri Red Bull, veri e propri consulenti dei titolari dei locali, che supportano gli operatori con le migliori
soluzioni per aumentare il sellout , seguendo anche il processo di digitalizzazione. Quindi, non solo materiali di visibilità e attivazioni al consumo, ma anche personalizzazioni, menu con QR code e Digital Poster”. E sul fronte della sostenibilità?
“Sarà un tema di grande rilevanza per il settore – risponde Cardile – e in quest’ambito si colloca il lancio della linea The Organics by Red Bull: una serie di prodotti biologici e non energetici in bottiglia di vetro , perfetti per essere bevuti lisci per apprezzarne il gusto naturale o miscelati in cocktail con i migliori alcolici sul mercato”.
SCENARI/INTERNATIONAL HORECA MEETING
IL CONGRESSO DELL’HORECA ORGANIZZATO DA ITALGROB È STATA L’OCCASIONE PER RIBADIRE LA NECESSITÀ DI COLLABORAZIONE NELLA FILIERA E DI UN DIALOGO CON LE ISTITUZIONI. PER TRASFORMARE LE SFIDE IN OPPORTUNITÀ DI GUIDO CHIUSANO
“Il periodo che abbiamo vissuto dal 2020 a oggi non è stato facile, ma con l’impegno di tutto l’ecosistema dell’Horeca siamo riusciti a voltare pagina”. Con queste parole Antonio Portaccio, Presidente di Italgrob, ha dato il via ai lavori dell’International Horeca Meeting, andato in scena a Rimini nel corso del salone Beer & Food Attraction. Il convegno – moderato dalla giornalista Stefania Pinna
– ha riunito vari attori della filiera, all’insegna di quella collaborazione sempre perseguita da Italgrob e che ha nel dialogo con il mondo della politica uno dei suoi punti fermi. “La filiera Horeca è poco considerata – ha ammesso Federico Freni, Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze – ma ci ha aiutato a uscire dalla pandemia, dimostrando una resilienza strutturale. Ora dobbiamo abbandonare le logiche dell’emergenza e pensare
alla crescita e a interventi che possano garantire la stabilità del sistema”. Maria Cristina Caretta, Vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera, ha sottolineato che tra le nuove sfide c’è la capacità di cogliere le opportunità che emergono nello scenario europeo: “Un ambito che per dimensioni e pluralità degli attori coinvolti comporta anche criticità. L’esempio è il tema della modalità di etichettatura dei prodotti alcolici avanzato dall’Irlanda, che qualora venisse approvato nelle sue estreme conseguenze sarebbe un precedente in grado di danneggiare la reputazione dei nostri prodotti e della dieta mediterranea”. Di qui l’invito a “fare quadrato in Italia, per avere una posizione più forte in Europa”.
L’evento ha visto la presentazione del secondo rapporto Italgrob Censis, di cui GBI darà conto nel dettaglio nei prossimi numeri. “Quando nel 2021, nel corso di una serie di audizioni con il mondo della politica, diversi parlamentari ci hanno detto che non si erano mai posti il problema di come facesse una bottiglia di acqua ad arrivare sul tavolo di un ristorante – ha ricordato Portaccio – abbiamo capito che avevamo bisogno di una fonte autorevole che certificasse il nostro lavoro quotidiano. Con il Censis abbiamo definito un percorso: quest’anno il focus è sulla
sostenibilità ambientale, che è impossibile da realizzare senza la sostenibilità economica e sociale”.
“In questi tre anni di eventi inattesi – ha spiegato Francesco Maietta, Responsabile Area Consumer, Mercati privati, Istituzioni del Censis – c’è una cosa che è cresciuta nella percezione collettiva degli italiani: la sostenibilità, diventata una sorta di criterio ordinatore nelle scelte quotidiane. La sostenibilità non può però essere ‘penitente’, bensì un qualcosa che innalza la qualità della vita. E una relazionalità diffusa, appagante e serena è tra le componenti costitutive della qualità della vita. La filiera del fuori casa crea l’infrastruttura che consente di beneficiare di questa relazionalità ed è qui che risiede il suo valore sociale”.
Su questo aspetto ha insistito anche Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis: “La distribuzione Horeca ha bisogno di un maggiore riconoscimento e questo non soltanto per la sua dimensione economica che pure è importante termini di fatturato e occupazione, ma anche per il ruolo sociale che svolge: la garanzia di convivialità, relazionalità assicurata da una piattaforma imprenditoriale, organizzativa, manageriale e distributiva”. Quanto alla sostenibilità, la sequenza gli eventi che si sono succeduti nell’ultimo triennio – pandemia, guerra, crescita
dei costi delle materie prime, crisi energetica, inflazione –ha reso secondo Valerii l’ecologismo un nuovo paradigma della cultura collettiva: “Questo segna una cesura rispetto al passato. Fino a poco tempo fa il tema della sostenibilità era un passe-partout retorico presente in ogni discorso pubblico, piano industriale o comunicazione di prodotto, ma quando quella retorica si calava nella realtà, il settore produttivo aveva la preoccupazione che sposare in pieno il paradigma della sostenibilità avrebbe significato uno svantaggio competitivo rispetto ad altre aree del pianeta. Nei mesi scorsi gli Usa hanno varato l’Inflation Reduction Act: quasi 400 miliardi di dollari, una cifra colossale, a disposizione del tessuto produttivo di quel Paese per favorire la transizione ecologica. In Europa abbiamo sospeso il patto di stabilità, messo in piedi il Next Generation EU basato sull’emissione di un debito comune e oggi si sta discutendo di un fondo sovrano a sostegno delle imprese. Stiamo entrando in un mondo in cui il tema della sostenibilità non è vissuto come una minaccia, un costo che penalizzerebbe il sistema produttivo, ma come un’opportunità, mentre dall’altra parte c’è un’opinione pubblica matura che privilegia i consumi anche in chiave sostenibile”. Nel mondo imprenditoriale è però palpabile il timore che l’esigenza di dare risposte concrete all’emergenza ecologica
spinga Bruxelles a compiere scelte affrettate: “Siamo preoccupati dall’atteggiamento ideologico che sta avendo l’Europa su tantissimi temi – ha dichiarato Maurizio Marchesini, Vicepresidente di Confindustria – con decisioni prese senza una sufficiente base scientifica. L’imprenditoria italiana la transizione ambientale la vuole fare, perché è giusto farlo e perché a certe condizioni può essere un ottimo affare per le nostre imprese, ma non così” con un chiaro riferimento al bando dei motori diesel e benzina (si veda a pag. 30) e al regolamento Ue sugli imballaggi (su veda a pag. 12).
Il convegno si è concluso con una tavola rotonda dei rappresentanti delle associazioni dei produttori, che hanno elencato gli ambiti in cui sarebbe proficuo rinsaldare la relazione con i distributori Horeca. “Sarebbe bello realizzare una campagna di cultura birraria – ha esordito Alfredo Pratolongo, Presidente di Assobirra – coerente con le consuetudini alimentari italiane: il nostro è l’unico Paese in Europa che consuma l’85% della birra a pasto. La distribuzione è fondamentale per trasferire a valle una cultura del bere”. Per Micaela Pallini, Presidente di Federvini, “l’Horeca fatica a trovare personale e lo stesso vale per noi aziende di produzione. Sarebbe interessante collaborare sul fronte della formazione”. Sull’evoluzione del mercato ha insistito Enrico Zoppas, Presidente di Mineracqua: “Dobbiamo capire meglio quali possono essere le progettualità per guidare questa trasformazione. C’è bisogno di un confronto forte, perché le opportunità ci sono, ma dobbiamo sincronizzare le attività per riuscire a portarle a nostro vantaggio”. Anche Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe, ha ribadito che “spazi di collaborazione ci sono nella logistica, perché ci sono aree di inefficienza che potrebbero essere superate con effetti positivi anche sulla sostenibilità”.
SUPERATO NEL 2022 IL TRAGUARDO
DEI 90 MILIARDI DI EURO DI VALORE
DEI CONSUMI FOOD&BEVERAGE
FUORI CASA, PER IL 2023 IL MERCATO PUNTA A RAGGIUNGERE QUOTA 100 (STIME E PREVISIONI TRADELAB).
E, FINALMENTE, SI TORNANO
A PRIVILEGIARE STRATEGIE DI LUNGO PERIODO
A CURA DI BRUNA BORONI
Dopo i due anni nei quali la pandemia ha avuto un forte impatto sui consumi finali, tanto che nel 2020 e nel 2021 il mercato ha perso oltre 50 miliardi di euro a sell-out, nel 2022 il Fuori Casa è riuscito non solo a recuperare il gap verso gli 85 miliardi di valore del 2019, ma addirittura a superarlo (+8,6%), complice anche la spinta inflattiva. Sulla base dei dati monitoraggio continuativo “AFH Consumer Tracking”, TradeLab stima infatti che nel 2022 l’Away From Home abbia fatto registrare un fatturato di 93 miliardi di euro, con il 35% del totale dei consumi F&B tornati a transitare dal canale del Fuori Casa (bar, ristoranti, catene, ecc.). E per il 2023 TradeLab prevede un ulteriore balzo in avanti (complice ancora
un buon livello di inflazione), fino a sfiorare quota 100 miliardi.
Il mercato dei consumi fuori casa negli ultimi anni ha dovuto affrontare almeno due sfide importanti. Prima la pandemia, cha ha bloccato e condizionato i flussi di domanda, poi l’influenza negativa del contesto macroeconomico che ha contratto la marginalità di tutti gli attori della filiera, sia a causa dell’inflazione sia per la scarsa reperibilità delle materie prime.
1. non ci sarà recessione
2 la domanda ha reagito bene già in passato
3. è stata estremamente resiliente durante la pandemia
4. l’anno è partito bene
5. i consumi fuori casa sono parte della nostra vita
6 i turisti stranieri saranno un boost alla crescita
In questo scenario tutti gli operatori del Fuori Casa - produttori, intermediari e gestori dei punti di consumo - sono stati costretti a privilegiare una gestione tattica (di tipo emergenziale) del business.
Oggi, però, stiamo entrando in una nuova fase: il mercato ha ripreso a crescere, non solo a ritmi sostenuti, ma anche in modo stabile, lasciando quindi spazio a una gestione di più lungo periodo.
Di seguito, 6 evidenze che, secondo le analisi TradeLab, sostengono tale cambio di passo (si veda figura 1).
Un primo importante indicatore arriva dal quadro macro-economico, relativo allo stato di salute del sistema Italia.
Nel 2022 il PIL è cresciuto a ritmi sostenuti (+3,7%) ed è atteso uno sviluppo importante anche nel 2023, in modo meno marcato (+0,6%) ma comunque significativo, a un tasso che in Italia non si vedeva dal 2015 quando il Paese usciva dalla precedente crisi finanziaria. In linea con l’andamento dell’attività economica, sono attesi crescere anche i consumi delle famiglie residenti: +1,6% nel 2023. L’indice dei prezzi al consumo, inoltre, farà registrare un calo del
fenomeno inflattivo, dopo la prolungata fase di aumenti, sostenuti dall’eccezionale rialzo dei costi dell’energia.
Un secondo importante indicatore arriva dalla storia dell’Away From Home. Minore disponibilità di spesa non significa meno consumi fuori casa.
Se osserviamo, infatti, il trend relativo agli anni della precedente crisi finanziaria, fra il 2008 e il 2014, vediamo come la domanda AFH abbia reagito bene già in passato (si veda figura 2).
Mentre il PIL segnava un forte calo (-7,6%) e anche i consumi alimentari At Home facevano registrare un andamento flat (pesantemente negativi i consumi non alimentari), la domanda di consumi food&beverage Away From Home ha continuato a crescere, mostrandosi di fatto anelastica e rigida rispetto a una minore disponibilità di spesa degli italiani. Assimilabile più a una richiesta di servizi che di beni voluttuari, la domanda AFH risponde sempre più, non solo a bisogni nutrizionali, ma anche a una ricerca di momenti di socialità e serenità, di cui gli italiani - in particolare dopo l’esperienza del lockdown - difficilmente sono disposti a privarsi.
Un terzo importante indicatore arriva dall’osservazione della veloce ripresa del mercato Fuori Casa, dopo un evento così dirompente e inedito quale è stata la pandemia. Il covid ha frenato fortemente il mercato, ma non lo ha sconvolto, come invece qualcuno si aspettava sarebbe accaduto per effetto di un evento così travolgente. Dapprima le straordinarie lunghe estati 2020 e 2021 e poi il 2022 con una chiusura col botto! Nel 2022, infatti, il mercato AFH ha ripreso a crescere in modo veloce malgrado un contesto macroeconomico internazionale nuovamente difficile e malgrado il persistere di un -15% di presenze turistiche straniere.
Lasciati alle spalle i primi mesi ancora impattati da Omicron, a partire da marzo-aprile 2022, i comportamenti di consumo fuori casa sono progressivamente tornati alla normalità, fino ai livelli pre-pandemia, -1,8% delle visite, (si veda figura 3) e con un +9,4% a valore rispetto al 2019 anche per effetto dell’inflazione.
Gli italiani hanno ripreso a spendere in questo mercato e lo hanno fatto favorendo alcuni momenti (aperitivi, cene, dopocena, pranzi) e un mix di spesa a maggior valore (gli scontrini medi sono cresciuti più dell’inflazione!). La ripresa, inoltre, si è costruita in modo stabile lungo tutti i quarter dell’anno. L’estate ha fatto registrare risultati ancora più importanti di quelli già straordinari del 2021. E poi la conferma finale della tenuta e della crescita del mercato nel Q4, quando alcuni pensavano che il rialzo delle bollette e la fine della stagione estiva avrebbero intaccato i consumi Fuori Casa, e così non è stato.
DAVVERO PRONTI PER RIPARTIRE
Un quarto importante indicatore arriva dall’analisi dei consumi AFH registrati nei primi mesi dell’anno. L’anno 2023 è partito bene: 660 milioni di visite (+8%) e quasi 7 miliardi di euro sviluppati a gennaio a sell-out (+21%), ben oltre una crescita esclusivamente effetto dell’inflazione (+10%). Canali e occasioni di consumo esperienziali, in particolare, continuano a trainare un inizio d’anno decisamente positivo.
FUORI
CASA SONO PARTE DELLA NOSTRA VITA
Un quinto importante indicatore arriva dall’analisi dei motivi per i quali mangiamo e beviamo fuori casa. TradeLab ha chiesto direttamente ai consumatori il perché delle loro abitudini Away From Home (si veda figura 4).
Sale Maldon® è prodotto dal 1882 da oltre quattro generazioni dalla famiglia Osborne proprio a Maldon®, una cittadina dell’Inghilterra dove da quasi mille anni le coste sinuose di questa zona sono lo scenario della produzione di sale. I cristalli dalla naturale forma a piramide, raccolti a mano, sono il marchio di fabbrica di Maldon®, che è riconosciuto in oltre 55 paesi del mondo, come il miglior sale mari no inglese sul mercato. La sua famosa forma a piramide con una consistenza “crunchy” e il delicato sapore, sono i due aspetti che lo contraddistinguono. I cristalli rilasciano la loro salinità con morbida precisione, regalando una fresca intensità e un gusto pulito. Infatti, Sale Maldon®, a settembre 2022, in occasione dei suoi 140° anni, ha ideato il
RICETTA VINCITRICE:
4 di mai Tina di Matteo Cassan
Ingredienti:
- 3cl rum bianco
- 3cl rum scuro
- 4.5cl sciroppo di noci
- 3 cl succo lime
- 1.5 cl liquore all’amaretto
- Pizzico di Sale Maldon®
1882 Maldon® International Salt Cocktail Contest. Per l’Italia, grazie alla collaborazione di La Collina Toscana Spa conosciuta nel mercato con il brand Montosco per la produzione e commercializzazione di spezie, importatore esclusivo per l’Italia del Sale Maldon, e Planet One società Benefit a R.L. hanno organizzato il 1882 Maldon® Salt Cocktail Contest Italia. Il contest era rivolto alle nuove generazioni di futuri bartender, a tutte le classi di studenti in ambito bar o a bartender alle prime armi, su tutto il territorio italiano. Il vincitore, è stato premiato con il titolo di “Rappresentante Italia” e ha partecipato direttamente alla finale dell’International 1882 Maldon® Salt Cocktail Contest organizzato da Maldon®.
Guarnizione: Noci cioccolato fondente e Sale Maldon®, menta, zucchero a velo, Bicchiere di carta
Preparazione: Versare tutti gli ingredienti nello shake. Shakerare con ghiaccio tritato e versare nel bicchiere, guarnire e servire.
Matteo Cassan, vincitore del 1882 Maldon® Salt Cocktail Contest Italia, lo scorso 24 Febbraio è stato eletto vincitore del 1882 Maldon® International Salt Cocktail Contest con una ricetta gustosa e uno storytelling originale.
«Perché ha consumato F&B Fuori Casa?»
(secondo le stime di TradeLab) ben 10,5 miliardi di euro portati dai turisti stranieri nelle casse dell’AFH italiano (+26% rispetto al 2019). Un ulteriore boost alla crescita, del quale il mercato potrà godere quest’anno e anche negli anni futuri.
In 7 casi su 10 si tratta di consumi strettamente legati ai nostri stili di vita: mangiamo e beviamo fuori casa perché siamo già fuori casa, per motivi di lavoro, studio, sport, shopping, intrattenimento culturale, transito, turismo, ecc.
In 3 casi su 10 si tratta, invece, della precisa scelta di mangiare Fuori Casa: usciamo cioè appositamente per cenare, fare colazione o prendere un aperitivo. Sono, queste, occasioni di consumo AFH più strettamente legate ai nostri riti sociali. Usciamo per incontrare gli amici, il partner, … per vivere momenti di convivialità (in cui raccontarci, relazionarci) e per celebrare delle occasioni speciali (compleanni, anniversari, festività). E mai, come dopo la pandemia, queste occasioni sono diventate preziose e fonte di micro-felicità.
E se i consumi Fuori Casa sono così profondamente intrecciati alle nostre più radicate abitudini e stili di vita, allora molto difficilmente potranno essere anche in futuro voci di spesa comprimibili.
Un sesto importante indicatore arriva dalle previsioni di pieno recupero delle presenze turistiche straniere.
I turisti stranieri hanno sempre avuto un peso rilevante (pari a 8 miliardi di euro nel 2019) nella costruzione del valore del mercato Fuori Casa, così fortemente correlato al mondo ricettività e turismo.
Per il 2023, le stime preannunciano un anno da record per le presenze turistiche straniere che potranno generare
Alla luce di queste 6 evidenze, che mostrano le principali motivazioni per cui il mercato Away From Home è stabilmente ripartito, quali possono essere le key words per rimettere la strategia al centro dei piani sviluppo?
Lo strumento per monitorare l’andamento dei Consumi Fuori Casa
AFH Consumer Tracking di TradeLab monitora in modo completo, continuativo e veloce dimensioni e trend della domanda fuori casa per categorie di pr odotto, brand, canali, occasioni di consumo, territori e fornisce indicatori chiave relativi a:
• MERCATO (ogni mese): frequentatori, visite, spesa, scontrini medi, valore dei canali e delle occasioni di consumo;
• CATEGORIE (ogni 3 m esi): acquirenti , stima consumazioni e volumi, ricordo del brand, varianti/tipologie/gusti, pack, size
• 70 000 interviste web all’anno con lanci giornalieri
• Oltre 15 canali, 9 occasioni di consumo, 30 macrocategorie di prodotto monitorate
• Piattaforma online e report di sintesi mensili e tr imestrali
Angela Borghi - Responsabile Commerciale AFH aborghi@tradelab.it
TradeLab S.r.l.
Via Marco d’Aviano 2, 20131 Milano (MI) www.tradelab.it | awayfromhome@tradelab.it | 02 799061
SCENARI/FORMIND
UNA DISAMINA DELLO SCENARIO
ECONOMICO 2023 MOSTRA UN MERCATO STABILE CHE, SEPPUR IN FRENATA, NON DOVREBBE
PORTARE GRANDI CAMBIAMENTI
NELL’ATTEGGIAMENTO DEI
CONSUMATORI
DI ANTONIO FARALLA
Boom o sboom dei consumi fuori casa?
A rivelarcelo è l’analisi di Formind sui comportamenti/abitudini dei consumatori che per il 2023, sia pure con un andamento in frenata rispetto al 2022, non mostra segnali di recessione.
Il dato del turismo 2022 ha registrato il -17% circa di presenze vs il 2019, ma in netto recupero 22 vs 21 con una proiezione per il 2023 di +15%, a cui farà da complemento un +10% di turisti italiani che sceglieranno di trascorre le proprie vacanze fuori dai confini nazionali.
Il dato complessivo, quindi, sarà molto vicino al dato pre-pandemia.
Le previsioni climatiche 2023 sembrano confermare per l’anno una temperatura in linea a quella del 2022; bisognerà attendere ancora un po’ per comprendere come la media sarà distribuita nel periodo estivo (la stima parla di un +1,08 e +1,32 gradi rispetto al 2022).
Altro dato che si consolida è l’andamento dello smart working che, sia pure con ponderate diverse a seconda se osserviamo il perimetro di città differenti tra loro come Milano, Roma o Napoli, conferma un andamento 2022 con circa il 33% del tempo medio lavoro svolto in modalità smart working, e circa il 43% delle risorse lavorative coinvolte.
La tendenza 2023 è confermata da una media del tempo lavoro nell’ordine del 45%, con circa il 33% delle risorse lavorative coinvolte
Tale modalità è ormai divenuta un driver strutturale del canale, con il quale gli attori del fuori casa dovranno confrontarsi;
parliamo quindi di un nuovo mercato che modifica abitudini, momenti e luoghi di consumo.
Continuando il viaggio ideale negli atteggiamenti del consumatore, cerchiamo di comprendere se gli aumenti dello scontrino medio abbiano influenzato i consumi.
Prima uno sguardo d’insieme al primo quarter dell’anno che fa registrare vs il medesimo periodo del 2022 una crescita degli atti di consumo del +22%, ma anche una crescita dello scontrino medio di circa il 13%.
Nel confronto con il 2019 gli atti flettevano ancora del 6% e il valore era di circa il -15%.
Il secondo quarter vede un rallentamento degli atti vs il 2022 con un +10% ma ancora in crescita lo scontrino medio (+15%) vs il 2022 e
un mercato a -1,10% a valore nei confronti del 2019, con un -2% di atti di consumo.
Il terzo e il quarto quarter vedono stabilizzarsi la crescita degli atti al consumo che chiudono a un +10% vs il 2022 e uno scontrino medio che chiude a circa il +18% vs il 2022.
La domanda a -1% vs il 2019 e il valore a circa il +10% vs il 2019.
Lo scenario nei momenti di consumo risulta quindi diversificato, al di là delle specifiche fluttuazioni tra domanda e prezzi.
Per il 2023 lo scenario economico è ancora incerto, per quanto i grossi investimenti del Governo sembrino dare una ventata di aria fresca, la penuria di alcune materie prime, in particolare del vetro, rende la ‘navigazione’ di alcune aziende molto difficile. Il trimestre estivo potrebbe riservarci nuovamente le stesse problematiche di rotture di stock degli ultimi due anni. Fattori come smart woking e inflazione, elementi strutturali per questo 2023, influenzano notevolmente l’atteggiamento del consumatore che potrebbe portarlo a una rimodulazione della domanda. Questo non vuol dire riduzione degli atti di consumo ma scelta di momenti di consumo differenti, meno costosi, con formule easy, in particolare con una probabile crescita dei momenti serali (apericena e after dinner). Le categorie beverage che prevediamo beneficiare di questo 2023 sono acqua in PET, aperitivi da litro, tutto il mondo bibite, energy drink e spirits, mentre le restanti categorie potrebbero soffrire un leggero rallentamento.
MERCATO/VINO
PER RISPONDERE ALLE ATTESE DI INTENDITORI E SEMPLICI APPASSIONATI, I GESTORI DEI PUNTI DI CONSUMO HANNO BISOGNO DI UN ASSORTIMENTO
AMPIO E DI COMPETENZE MERCEOLOGICHE. E I DISTRIBUTORI HORECA
POSSONO OFFRIRGLI ENTRAMBE LE COSE
DI MADDALENA BALDINI
Èuna delle categorie che ha regalato maggiori soddisfazioni alla filiera Horeca nel recente passato, crescendo in qualità oltre che in quantità. Il vino è davvero un patrimonio per il mondo del fuori casa, da difendere e valorizzare. Soprattutto in una fase in cui gli ostacoli, non solo
economici, si moltiplicano. Basti pensare alle criticità nell’approvvigionamento di vetro o alle tante incertezze legate allo scenario geopolitico, per non parlare dei costi dell’energia, del carovita in generale e di un fattore climatico a dir poco imprevedibile. I consumi di vino nel mercato italiano sono stimati in 16,9 miliardi di euro nel 2022
e si prevede che crescano a un ritmo medio del +5,5% fino al 2026. A sostenerlo è una ricerca realizzata dalla società di consulenza PwC per Gruppo Meregalli, storica azienda di distribuzione di vino e distillati di Monza. Le vendite di vino a livello nazionale dovrebbero procedere con un tasso di sviluppo tra i migliori di quelli attesi nei vari paesi europei, anche se la situazione andrà monitorata costantemente, per capire quanta parte degli incrementi a valore sarà dovuta alla pressione sui prezzi. A livello mondiale il comparto è dominato dal vino fermo, con una quota di circa il 72% sui 292,2 miliardi di euro
Tra le diverse tipologie vanno segnalati senz’altro i rossi premium, per i quali si è disposti a spendere una cifra più alta rispetto alla media. E questo amplia le prospettive verso un pubblico di nicchia, alla ricerca di qualità, tradizione e, non per ultimo, vini realizzati da uve autoctone. Su questa scia si fanno spazio le produzioni di regioni già consolidate come Piemonte, Veneto, Alto Adige, Toscana e Abruzzo.
In tema di bollicine si conferma – anche in ottica export – il “fenomeno Prosecco”, sebbene sia sempre più accompagnato da altri spumanti metodo charmat che registrano numeri in salita, grazie alla curiosità che suscitano. Prosegue il momento favorevole dei vini dell’Etna: una vera e propria rivoluzione o, ancor meglio, una sorta di corsa all’oro se si considerano le cifre che i vignaioli sono disposti a spendere per acquistare un fazzoletto di terra sulle pendici del Mongibello.
Forte l’interesse per i vini biologici, per quelli che valorizzano la biodiversità e un approccio sostenibile da parte delle cantine. Anche il packaging, gli imballaggi, la possibilità di uno smaltimento e di un trasporto più economico fanno la differenza.
totali raggiunti lo scorso anno su scala globale. In Italia la fetta di mercato del vino fermo è persino superiore (76%), ma le prospettive paiono più interessanti per il frizzante, che dovrebbe far segnare un tasso annuo di crescita composto del +8,1% di qui al 2026, contro il +4,6% del fermo.
La vivacità economica del mercato si traduce in una continua evoluzione di preferenze e gusti da parte del consumatore. Tra gli addetti ai lavori è diffusa l’impressione che il desiderio di “fare nuove esperienze” non riguardi più solo gli intenditori, ma anche un esercito di wine lowers, in cui emerge in particolare un target giovane e attento, all’incirca tra i 25 e i 35 anni. Una fascia di consumatori che in aggiunta ai drink vuole gustare un buon calice di vino.
Le vendite del 2022 consentono di fare il punto sui mutamenti di scenario causati dalla pandemia, che aveva provocato un repentino travaso di volumi dall’on trade all’off trade. Gli ultimi 12 mesi hanno visto un riequilibrio
dei rapporti di forza: in base alla già citata ricerca di PwC, lo scorso anno si è chiuso in Italia con consumo domestico ed extra domestico appaiati, ciascuno con il 50% di incidenza sul totale, che come indicato in precedenza è stimato in 16,9 miliardi di euro.
La buona notizia per la filiera Horeca è che mentre a livello globale il cambiamento di canale pare più strutturale – e dunque questa equa ripartizione delle vendite tra on-trade e off-trade sarà prevedibilmente confermata nei prossimi anni – in Italia il fuori casa dovrebbe riconquistare la leadership, arrivando nel 2026 ad aggiudicarsi il 53,3% di quota su un totale di 20,9 miliardi di euro di vendite, grazie a un tasso annuo di crescita composto del +7,2% contro il +3,7% dell’off trade. Insomma, la domanda c’è ed è destinata a rafforzarsi, bisogna però mettersi nelle condizioni di cogliere tutte le opportunità. Di qui la maggiore attenzione di parte dell’Horeca all’ampiezza dell’assortimento: molti locali e ristoranti possono vantare una vastissima scelta di etichette, con un’offerta pensata anche per un pubblico ricercato, che
predilige determinate tipologie di vino. In generale, l’intero canale punta su un acquisto guidato e cerca di accompagnare il consumatore verso un’esperienza completa.
A maggior ragione la ricchezza assortimentale è un prerequisito per un’azienda di distribuzione che mira a presidiare con successo la categoria vino. Altrettanto importante è, però, disporre di wine specialist, in grado di fare cultura di prodotto e assumere un ruolo consulenziale nei confronti dell’operatore del punto di consumo Fattori differenzianti sono poi la capacità di garantire un servizio veloce (sia B2C sia B2B), così come quella di proporre piccoli lotti di fornitura e un’ottima organizzazione tra ordini e magazzino. In prospettiva, conquisterà sempre più centralità l’elemento tecnologico, inteso come automazione dei processi di stoccaggio e magazzinaggio (in ingresso e in uscita) tramite la robotica, che va considerata come un valido supporto per ottimizzare il lavoro dei distributori e perfezionare i livelli di servizio.
Nato dall’unione di uve Ribolla Gialla (51%) e Chardonnay (49%), Soé Cuvée Brut è l’ultimo prodotto di Serena Wines , storica azienda con oltre 140 anni di attività. Pensato per essere apprezzato dai consumatori è l’ideale per accontentare i professionisti del settore poiché, oltre a essere bevuto al calice, si presta per la miscelazione. Interessante anche il packaging di Soé, intrigante per esercenti e consumatori. Fresco e morbido, con un tenore alcolico di 11,5%, va in abbinamento a menù leggeri e ottimo come aperitivo. Disponibile nel classico formato da 0,75l. www.serenawines.it
Sostenibilità e rispetto per l’ambiente si uniscono alle uve Glera che danno vita al Prosecco Doc Spumante Brut Biologico.
Disponibile in cartoni da 6 bottiglie da 0,75l, ha un residuo zuccherino di 10-11 gr/l. Perfetto per l’aperitivo o per un menù di pesce o carne bianca, va servito a 6-8°C per far emergere note e sentori. Invitante il packaging, caratterizzato da tonalità verde chiaro - verde menta dell’etichetta, con elegante il tappo mushroom nero in sughero. www.sanmartinovini.it
Lugana Doc 2022 e il Lugana Riserva
2019 della linea Le Fornaci di Tommasi. Uva Turbiana in purezza per entrambe le etichette e rispettive gradazioni di 12,5% e 13,5%VOL. Sentori fruttati, note floreali, gusto fresco e sapido per l’annata 2022, minerale con accenni di vaniglia per la Riserva.
FM333 Asolo Prosecco Superiore
DOCG Brut Millesimato 2021
Collezione Serenitatis – il primo cru dell’Asolo Prosecco – di Montelvini nasce da una tenuta di circa 2 ettari e dalle uve di un unico vigneto chiamato Fontana Masorin, situato sulla collina del Montello a 333 metri sul livello del mare. Disponibile in cartoni da 4 bottiglie nel formato da 0,75l, questo FM 333, frutto di una spumantizzazione unica direttamente da mosto fiore, mostra elegante freschezza, equilibrio e ottima versatilità. www.montelvini.it
Nel classico formato da 0,75l, sono vini che possono accompagnare un intero menù a base di pesce e crostacei, primi piatti leggeri e formaggi freschi o poco stagionati. Ottimi come aperitivi.
www.tommasiwine.it
Effervescenza e piacevoli sentori sono le basi di Tintoretto, Spumante Brut Blanc de Blancs millesimato Colore dorato con sfumature giallo paglierino. Perlage di grana fine ed elegante. Al naso presenta note fruttate e tostate. In bocca rivela una grande freschezza, con una spiccata nota minerale e finale lungo e persistente. Si abbina perfettamente ad aperitivi sia di carne sia di pesce, risotti delicati, carni bianche o pietanze a base di pesce.
www.caviro.com
Montepulciano d’Abruzzo in purezza per Three Dreamers Appassimento (le uve vengono fatte appassire per 120 giorni in fruttaio termocondizionato). Un vino particolare con una bottiglia iconica – nel formato da 0,75l – con una etichetta che riporta il disegno di una serratura: al collo della bottiglia una chiave simbolica. Perfetto per menù importanti e piatti strutturati, mostra note di fruttate e di spezie, avvolgente e vellutato al gusto.
www.fantiniwines.com
Una nuova etichetta di Torre Mora, la tenuta sull’Etna, di Piccini 1882 . Si tratta di Chiuse, un Etna Rosé Dosaggio Zero Metodo Classico, nato da uve di Nerello Mascalese in purezza. Una bottiglia dalla forma elegante e dall’etichetta raffinata per uno spumante dal perlage fine e dai sapori agrumati e fruttati. Disponibile nel formato da 0,75l.
www.piccini1882.it
Il Valdobbiadene Docg Extra Dry Dirupo Nazareno Pola Etichetta del Fondatore di Cantina Andreola nasce da un 90% di uve Glera, un 5% di Bianchetta e un 5% di Perera. Elegante e corposo, arricchito da una spuma cremosa, si apre con note floreali di glicine e biancospino, sentori che si ritrovano all’assaggio. Un Metodo Charmat ben equilibrato con un 11,5%vol disponibile nelle classiche bottiglie da 0,75l. www.andreola.eu
Il Montepulciano d’Abruzzo Doc Trinità, Marchesi de’ Cordano, è un vino intenso e complesso. Al primo sorso si presenta con note di frutta rossa matura, successivamente si apre in profondità e ricchezza di aromi. Il vino ha corpo e ha un giusto livello di tannini che gli conferiscono una lunga persistenza in bocca ed eleganza, elementi che lo rendono perfetto per accompagnare piatti importanti. La sua massima espressione si raggiunge dopo 8-10 anni di invecchiamento. L’etichetta del Trinità rappresenta alla perfezione la qualità e la raffinatezza di questo pregiato vino.
www.cordano.it
Il Lambrusco di Sorbara Doc Vigna del Cristo nasce dalle uve vendemmiate su 5 ettari di terreno in località Cristo. Rosato chiaro il colore e con spuma dai riflessi viola, sprigiona note di frutti rossi e di fiori oltre a donare un sapore avvolgente e gradevole. Disponibile nel formato da 0,75l, è bene conservare le bottiglie sdraiate in un luogo fresco e lontane da fonti di calore.
www.cavicchioli.it
ALBINEA CANALI
Spumante Lambrusco Reggiano Doc Extra Brut Rosso AC nasce dalla fermentazione in autoclave del mosto fiore di Lambrusco di Sorbara e Lambrusco Salamino. Elegante e persistente il perlage, profumi di rosa canina e viola e gusto vivace e avvolgente, il tutto ben bilanciato con una gradazione alcolica di 11,5% vol., perfetto con una cucina corposa o con i classici taglieri di salumi e formaggi. Disponibile in bottiglie da 0,75l.
www.albineacanali.com
L’o biettivo è chiaro e Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea, lo ha ripetuto in più occasioni negli ultimi mesi: riportare al 2% l’inflazione dell’area Ue, attraverso un progressivo aumento dei tassi di interesse , avviato a luglio 2022. Per dare un’idea di quanto il traguardo sia ancora lontano, basti dire che le stime preliminari dell’Eurostat per il mese di febbraio 2023 segnalano una variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo del +8,5% su base annua. E se anche si guarda alla cosiddetta inflazione di fondo – cioè quella calcolata escludendo prodotti alimentari
ed energetici, le componenti più variabili del paniere – il dato resta molto elevato: +5,6% sempre su base annua. Gli scossoni al sistema bancario internazionale non facilitano il compito e soprattutto persiste il dubbio che in Europa ci sia un’inflazione non tanto da domanda, bensì da offerta. Il timore è che lo strumento adottato dalla Bce – l’innalzamento dei tassi – non funzioni per bloccare l’inflazione e invece possa deprimere l’economia , acuendo il rischio recessione. L’aumento dei tassi, infatti, impatta su cittadini e imprese, che pagano di più il denaro preso a prestito.
GBI ha girato il quesito a due economisti: Francesco Timpano
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali (Dises) e Direttore del Centro Studi di Politica Economica e Monetaria (Cespem Mario Arcelli) ; Rita Mascolo , docente di Economia per il Management alla Luiss
A entrambi abbiamo chiesto di esprimere un parere sull’attuale politica economica della Bce e quali misure, a loro giudizio, l’Ue dovrebbe adottare per rispondere all’Ira (Inflation reduction act) ovvero il piano di aiuti di Stato alle imprese varato dagli Usa per favorire la transizione energetica, che però potrebbe mettere fuori mercato le aziende europee. Ecco cosa ci hanno risposto.
Come noto, l’inflazione ha tre possibili cause. La causa classica è quella che determina la cosiddetta inflazione monetaria, ovvero quella spinta dall’aumento della quantità di moneta in circolazione: quando si stampa più moneta, ciò determina un aumento dei prezzi (e quindi inflazione) perché più moneta insegue una quantità di beni relativamente scarsa e ciò fa aumentare i prezzi. La seconda causa è l’inflazione determinata dalla spinta reale ovvero dalla spinta dei costi delle aziende. Questa fonte inflazionistica ha due canali di pressione: il primo passa da un aumento dei costi di produzione. Un caso di scuola è proprio quello dei costi energetici, in particolare quando si tratta di una spinta esogena determinata da dinamiche dei mercati internazionali. Ma esiste un secondo importante canale di pressione ed è quello delle aspettative. Se ci si attende che i prezzi aumentino nel futuro, da un lato questa spinta può essere anticipata (le aspettative che si autorealizzano) e, inoltre, tutti coloro che fissano prezzi per il medio-lungo periodo, come i contratti di lavoro, tenderanno a chiedere aumenti salariali.
C’è infine una terza spinta inflazionistica che qualcuno definisce “inflazione fiscale” ed è quella che nasce nei momenti in cui, per effetto per esempio di una spinta determinata dalla spesa pubblica o da una riduzione fiscale finalizzata a stimolare la crescita (come è successo per il Covid), ci si attende che l’inflazione possa essere spinta dalla necessità di tagliare il valore reale del debito che cresce nei periodi di aumento dei deficit di bilancio. Non deve sorprendere che la Bce stia insistendo sui tassi di interesse alti. Deve in modo inequivocabile lanciare il messaggio che si intendono
raffreddare fortemente le aspettative inflazionistiche e si vuole contrastare una possibile tendenza alla insostenibilità dei bilanci. La difficoltà è trovare un equilibrio tra questa necessità e il rischio paventato, ovvero che gli alti tassi di interesse possano determinare un rallentamento dell’economia.
Per quanto concerne la seconda domanda, cioè come reagire all’Inflation reduction act, il punto fondamentale è politico. Noi abbiamo uno svantaggio competitivo determinato dal fatto che l’Europa è una unione economica, ma non è una unione politica. Per determinare un cambiamento in questo ambito ci vorrebbe l’evoluzione politica dell’Europa verso una unione politica, ma su questo personalmente penso che la prospettiva non sia concreta. Ciò detto, voglio avere fiducia che si sia davvero capaci di utilizzare i tanti strumenti che già ci sono, a partire da un efficiente uso del Pnrr, ma anche di una azione ancora più concreta sul fronte dei costi energetici, che sono oggi il nostro tema critico principale.
Esiste un elemento di incertezza che purtroppo caratterizza il futuro immediato: si tratta di capire se questo clima di tensione politica si protrarrà a lungo nel tempo o rientrerà in tempi rapidi verso un nuovo equilibrio. Questo elemento peserà molto sul futuro. Il mondo che si restringe e che aumenta i conflitti tra aree geografiche è certamente peggio di un mondo interconnesso. Potremo difenderci, e dovremo farlo, ma dobbiamo sapere che se i conflitti internazionali aumenteranno, un paese come l’Italia (ma anche tutti i paesi europei), relativamente povero di materie prime, ma che trasforma ed esporta, non potrà che esserne danneggiato.
La Presidente Christine Lagarde sta ossequiando pedissequamente lo statuto della Bce, il cui obiettivo principale è il mantenimento della stabilità dei prezzi con un’inflazione prossima al 2% nel medio periodo. A differenza degli Stati Uniti, in Europa l’eccesso di inflazione rinviene dal lato dell’offerta a causa dei rincari energetici e delle derrate alimentari e non per un incremento della domanda. Il neologismo agflazione specifica la natura dell’inflazione importata dal mondo agricolo e, in generale, dalle materie prime. Una banca centrale può stimolare o decelerare la domanda, ma non può interferire direttamente sull’offerta; piuttosto, bisognerebbe rafforzare gli strumenti di politica fiscale comune, purché ispirati al principio di concreta solidarietà europea, evitando una eccessiva restrizione monetaria. Inoltre, è indispensabile l’imposizione del tetto al prezzo di gas e petrolio, nonché il disallineamento del costo dell’energia elettrica dal gas; ma l’assenza di coesione politica sta ritardando e ostacolando l’applicazione di tali misure correttive.
La politica monetaria adottata in questo momento non risponde coerentemente alle esigenze dell’economia reale. Nell’ultimo periodo le parole sono il principale strumento della politica monetaria e la chiarezza della comunicazione della Bce con la giurista Christine Lagarde è peggiorata in termini di trasparenza di linguaggio. L’Italia, nel frattempo, è diventata da due anni un Paese creditore netto sull’estero, pur includendo il debito pubblico finanziato dagli stranieri; quindi, l’Italia non costituisce assolutamente l’anello debole dell’euro e dell’eurozona.
La restrizione progressiva della liquidità accompagnata dall’incertezza acuisce l’effetto
psicologico di tassi di interesse più alti, generando allarme nelle imprese. Invero, gli ultimi dati dimostrano che i tassi sui prestiti stanno salendo più rapidamente che in passato e i prestiti a imprese e famiglie stanno decelerando velocemente, con una probabile compressione dei consumi e degli investimenti già nel breve e medio periodo.
A FARI SPENTI NELLA NOTTE
Fabio Panetta, membro del Comitato Esecutivo della Bce, ha recentemente ammonito la Bce di non “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte” nel contrasto all’inflazione, citando una canzone di Lucio Battisti. Anche perché sembra che l’indice dei prezzi al consumo possa aver raggiunto un apice con un importante impatto reale del calo dei prezzi, che dovrebbe sostenere l’ancoraggio delle aspettative di inflazione.
I dati per il 2023 sono migliorati rispetto alle stime, ma la politica europea deve trovare delle intese condivise per evitare concretamente una recessione, attraverso la promozione di riforme strutturali verso una transizione digitale e sostenibile, che garantiscano approvvigionamenti a prezzi convenienti.
Una prima valutazione sulla proposta di una strategia europea per rafforzare la competitività in risposta all’Inflation reducion act non è positiva. L’idea più concreta riguarda la rimozione delle restrizioni sugli aiuti di Stato che avvantaggia i paesi con maggiore capacità fiscale.
Nel breve periodo è condivisibile la proposta del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, sulla possibilità di riprogrammare i fondi europei a vantaggio dell’industria per agevolare le transizioni. L’Italia deve far valere le sue proposte in sede europea, perché non esiste industria europea senza industria italiana.
Italgrob, è l’associazione nazionale di riferimento che raggruppa tutti i Distributori e le associazioni consortili che operano nel fuori casa Italiano. A seguito dell’evoluzione del mercato e della stessa categoria, la sua identità si è meglio esplicitata con la dizione: Federazione Italiana Distributori Horeca.
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