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Considerazioni Generali
Scrivere un rapporto sulla distribuzione Ho.Re.Ca. in Italia significa provare ad affrescare la realtà sociale del Paese partendo da un fenomeno residuale; una sorta di sinossi olistica degli atti di consumo che dalla periferia si muove verso il centro. Si tratta di un’impostazione basata sul “recupero del resto” inteso come quell’insieme di manifestazioni che sono altro rispetto ai grandi temi di cronaca ma che, proprio per questo, restituiscono un’immagine più vivida ed autentica della quotidianità italiana. Per l’italiano, l’universo alimentare è uno spazio sociale che assume connotati diversi in base ai correlati esperienziali che lo descrivono e alle modalità di “stare insieme”. Una prima modalità la si rintraccia nella partecipazione a sagre e feste fenomeno, di per sè, economicamente poco rilevante. Secondo il Censis1 in Italia si tengono ogni anno 32.000 feste o sagre che impegnano 250.000 giorni, pari ad una durata media per evento di 7,8 giorni, per un fatturato di 700 mila Euro, pari a 21.875€ per manifestazione, che vedono la partecipazione di 39,5 milioni di italiani (9,8 milioni dei quali giovani), per una spesa media pro capite di 17,7€. Si tratta di una sorta di terminale nervoso di tanti Mattia Pascal che trovano il completamento della loro esistenza attraverso il contatto sociale in cui il prodotto fisico è accidente. In questo contesto il distributore è chiamato ad operare professionalmente, spesso in condizioni antieconomiche, prestando le proprie capacità organizzative e gestionali con il solo fine di reificare quel collante relazionale senza il quale si perderebbe il senso della vita di buona parte del Paese. Diverso per esperienza, ma altrettanto importante, è il fenomeno della Movida. Sono circa 29 milioni gli italiani che escono alla sera2, dei quali 15,6 milioni con cadenza settimanale. Si tratta di un fenomeno che se da un lato non è più assimilabile alla vita della vibrante Madrid postfranchista, altrettanto non merita lo slittamento semantico verso il “disordine pubblico” come è avvenuto in Italia. La Movida italiana, nella sua accezione corretta, rappresenta l’aspetto distintivo dell’esercizio della socialità che trova nella segmentazione antropologica dei partecipanti un elemento aggregante. Anche in questo caso il Distributore
1 Indagine Censis-Coldiretti 2014. 2 Indagine Censis-Fipe 2013.
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è chiamato ad interagire con le forze economiche del territorio, per dare concretezza ad un bisogno sociale consustanziale alle dinamiche di relazione del Paese. Il mondo dei pubblici esercizi evoca da sempre il fantasma dell’economia sommersa. Nella storia sociale italiana il fenomeno del “sommerso” ha attraversato tre grandi momenti: a. Preindustriale, intriso di falso moralismo e vero e proprio sfruttamento che ha portato alle tensioni sociali degli anni ’70. b. Industriale, in cui il sommerso è stato utilizzato come fonte di energia per alimentare il motore dello sviluppo e quindi, pur nella sua patologi ca indifendibilità, destinato ad una forma di crescita corale del Paese. c. Posterziario, in cui il sommerso è un fenomeno molecolare, una sorta di occultamento monadico di risorse votate al soddisfacimento inerziale dei bisogni e, per questo, sganciato da qualsiasi riferimento valoriale. Non sorprende, quindi, che il 20% degli italiani3 dichiari senza difficoltà di aver effettuato consumazioni “in nero” nei pubblici esercizi e, altrettanto, che il 15% degli Hotels e Ristoranti siano stati chiusi, negli ultimi 30 anni, per provate infiltrazioni mafiose. In questa situazione, a cavallo tra illegalità strutturale e tollerante anomia, opera il distributore Ho.Re.Ca., consapevole che quasi 1 transazione effettuata su 5 ha come controparte il sottobosco criminale. Si tratta di un mercato complesso, in cui il mantenimento dei rapporti commerciali richiede una notevolissima capacità di adattamento e in cui, però, occorre aver ben chiaro il senso del limite oltre il quale il “fare business” diventa malaffare arrembante e d’accatto. Nel 2017 circa 3 milioni di italiani hanno consumato pasti pronti consegnati a casa o sul luogo di lavoro dalle società di food delivery, per una spesa di 267 milioni di euro4. Si tratta di un fenomeno da analizzare non tanto nelle sue connotazioni quantitative, ad oggi pari allo 0,3% di quota di mercato dell’intero settore del consumo fuori casa, quanto piuttosto per le derive esperienziali che esprime. È un po’ come se l’italiano promuovesse le capacità funzionali dei pubblici esercizi bocciandone, però, le caratteristiche esperienziali. Si tratta dell’emersione di una sostanziale inadeguatezza relazionale del pubblico esercizio che, frammentato e chiuso all’innovazione, ha esasperato l’ipertrofia funzionale, la cosiddetta “professionalità”, perdendo di vista il senso ultimo della sua esistenza, quell’essere genius loci del buon vivere.
3 Rapporto Censis, 2017. 4 Statista, 2017.
Siamo il popolo della sabbia5 e anche la nostra socialità conviviale è continuamente rivista e rimescolata. In questo contesto i tradizionali driver di segmentazione del mercato diventano afoni e il recupero della dimensione esperienziale appare l’unico modello esplicativo dei processi di consumo. La definizione rigorosa dei costitutivi della customer experience diventa la via principale attraverso cui cercare di comprendere i comportamenti di un consum-attore che sempre più si muove attraverso, e non lungo, i Canali. In questo humus gravido di vita ineunte si colloca l’esperienza di FICO a Bologna, il primo parco tematico sul food cui, non a caso, partecipa anche il più grande player italiano del retail, a dimostrazione che, probabilmente, anche la distinzione tra i Canali, “a casa” e “fuori casa”, sta diventando più fuorviante che descrittiva. Il progressivo sviluppo di un paradigma imprenditoriale post terziario, destrutturato e apolide, spinto da una deriva tecnologica sempre più pervasiva, sta richiedendo un recupero di connettività. Connettività intesa non solo come ampliamento delle infrastrutture tecnologiche finalizzate ad una revisione delle logiche imprenditoriali, ma anche come motore per attivare processi ad alta inferenza reciproca, in luogo di uno sviluppo perseguito quasi esclusivamente lungo linee meridiane. Si tratta di un processo multivariato che richiede uno sforzo culturale, prima che organizzativo o tecnologico. Dal punto di vista strettamente funzionale va rimarcata la necessità di accelerare, e in alcuni casi addirittura di iniziare, il processo di alfabetizzazione digitale che non ammette ulteriori ritardi. La riduzione delle asimmetrie informative (si pensi a SCIO, il primo scanner molecolare tascabile, o, più banalmente, alle continue interazioni con le principali piattaforme di produzione di contenuti) e organizzative (la cosiddetta disintermediazione), l’aumento delle simmetrie informative (attraverso la spettacolarizzazione condivisa sui social media della propria vita) stanno denunciando la progressiva inadeguatezza della “filiera” come modello descrittivo del reale, sostituendola con il concetto di “ecosistema”. L’altra spinta della connettività riguarda l’impulso verso linee parallele di sviluppo, per evitare l’insorgere precoce di un analfabetismo funzionale d’impresa, si pensi ai mancati appuntamenti organizzativi con i nuovi schemi culturali proposti dalla pervasività della tecnologia. Ed è attraverso la ricerca di queste nuove forme di connettività che il distributore può ricostruire l’efferve-
5 De Rita, 2014.
scenza del sale alchemico imprenditoriale, in luogo di una sempre più desolante logica da rentier. Ridisegnare il proprio modello di business, impostare un nuovo modello strategico, vedere la propria struttura come una sorta di blockchain organizzativa, queste sono le determinanti del vantaggio competitivo che il distributore Ho.Re. Ca. è chiamato a costruire. Compito difficile già di per sé, decisamente impossibile se affrontato con la presunzione, o l’incoscienza, di una illusoria autosufficienza, frutto del riflesso abbagliante di una ricchezza senza valore accentuata dalla refrattarietà mentale alla messa in discussione del proprio agire e, ancor di più, delle proprie convinzioni profonde. In questo senso, l’apertura verso linee di sviluppo interconnesse, che assumano la forma consortile o federale è solo una questione dimensionale, è l’unica strada percorribile per far emergere ciò che, rilkianamente, è da qualche parte nel profondo. La ricerca di una dimensione orizzontale del modello di sviluppo pone la necessità di definire i punti di equilibrio sugli assi delle polarità Rappresentatività-Governabilità e Strategia-Tattica. Sull’asse Rappresentatività-Governabilità occorre negoziare nuovi spazi di manovra in cui da un lato la consapevolezza dell’inevitabilità di convergere verso forme di aggregazione non azzeri, dall’altro, quella capacità di adattamento tutta italiana che costituisce l’originalità del fare impresa nel mondo della distribuzione. Sull’asse Strategia-Tattica l’equilibrio cade nell’intorno delimitato da un lato dalla volontà di comprendere la complessità dei nuovi modelli di business, dall’altro dalla capacità di mantenere la necessaria attenzione alle contingenze economiche. Il compito è difficile, e di tempo ne è stato perso, si tratta solo di capire se la categoria deciderà, leopardianamente, di naufragare dolcemente o di riprendere in mano intelligentemente il proprio destino.
Febo Leondini
Consigliere Italgrob