FOCUS/RAPPORTO CENSIS
VERSO UNA SOCIETÀ SOSTENIBILE
IL FUORI CASA PUÒ DARE UN GRANDE CONTRIBUTO ALLA TRANSIZIONE GREEN, NON SOLO ADEGUANDO I PROPRI MODELLI E PROCESSI, MA FACILITANDO L’ACCETTAZIONE DI UN PERCORSO CHE GLI ITALIANI SPESSO PERCEPISCONO SOLO COME UN INSIEME DI PRIVAZIONI E RINUNCE
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Tutto può accadere: è questa la convinzione che gli italiani hanno fatto propria nell’ultimo triennio. Persino eventi estremi, che in precedenza trovavano spazio solo nell’immaginario letterario o cinematografico, si sono purtroppo materializzati sotto i nostri occhi.
Una pandemia, il lockdown, la crisi energetica e il ritorno della guerra di trincea, oltre che il rischio del ricorso all’atomica. Cosa ha a che fare tutto questo con il mondo del fuori casa e la distribuzione Horeca? Una risposta arriva dal secondo Rapporto Censis-Italgrob, di cui GBI ha pubblicato ampi stralci
anche nello scorso numero (si veda GBI n.201 pag.10). Eco-ansia, sostenibilità, qualità della vita sono gli elementi da cui emerge la rilevanza strategica dell’intero comparto del fuori casa.
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I TIMORI PER IL FUTURO
Cominciamo dal primo punto, cioè l’incertezza generata dal timore degli effetti che l’attività umana ha sul pianeta. L’indagine del Censis evidenzia che il 68,3% degli italiani dichiara di avere paura che il pianeta e la vita umana finiscano in catastrofe a causa del riscaldamento globale, dell’inquinamento o di altri eventi atmosferici avversi.
Inevitabilmente la nostra società guarda al domani con poche certezze: il 66,5% (+10 punti percentuali rispetto al 2019), pensando al futuro proprio, si sente insicuro. Dunque, la sostenibilità trova terreno fertile anche in contesti di consumo extradomestici e infatti ben il 91,1% delle persone apprezza molto i locali che comunicano in modo trasparente le pratiche ecologiche quali, ad esempio, la riduzione degli sprechi, la differenziata per i rifiuti, il ricorso a prodotti bio o a chilometro zero (si veda fig. 1). Nel Rapporto si legge che questa è un’opinione condivisa da quote plebiscitarie trasversalmente ai gruppi sociali e dai territori.
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OLTRE LA QUESTIONE AMBIENTALE
Appare insomma indubbio che in un periodo segnato dal susseguirsi di emergenze, la sostenibilità si è affermata come componente costitutiva della cultura sociale collettiva e criterio ordinatorio primario di attività economiche e sociali I ricercatori del Censis fanno però notare come troppo spesso prevalga una visione ristretta e semplificatoria della sostenibilità
stessa, schiacciata sui temi della tutela ambientale e della lotta al riscaldamento globale. Una dimensione decisiva, perno di tanta nuova programmazione Ue che poi ricade nei processi operativi nazionali, orienta e condiziona l’attività delle aziende e gli stessi comportamenti dei cittadini, ma che tuttavia da sola non riuscirà a modificare l’economia e la società. Intanto va detto che il boom dei costi dell’energia, amplificato dall’aggressione russa all’Ucraina, ha imposto di considerare al fianco della questione ambientale quella economica, di sostenibilità dei budget delle famiglie, delle imprese e degli Stati. Prende poi quota anche l’aspetto sociale, inteso come inclusione che richiede sempre maggiore puntualità ed efficacia poiché, ad esempio, deve con-
sentire la partecipazione piena alla vita economica e sociale delle tante componenti della popolazione. È l’obiettivo della diversity a cui se ne aggiungono altri ancora, dal rispetto dei diritti dei tanti stakeholder della vita economica e d’impresa al coinvolgimento nei processi decisionali d’impresa come della società. Ambiente, economia e società si sono quindi imposti come le tre dimensioni che devono convivere nella nuova idea di sostenibilità.
LA QUALITÀ DELLA VITA
Queste tre dimensioni non sono però ancora sufficienti e la particolarità del Rapporto Censis- Italgrob sta nel fatto di ampliare il significato di sostenibilità con un aspetto poco richiamato e che invece risulta decisivo: la qualità della vita. Infatti, dal contesto ambientale a quello economico e sociale l’esito complessivo non potrà che essere una migliore qualità della vita dei cittadini. Pertanto, quando si parla di transizione
verso una società più sostenibile non si può non considerare oltre alla tutela ambientale, che implica beni e servizi accessibili così da generare inclusione sociale, anche una più alta e diffusa qualità della vita che risponda alle aspettative dei cittadini, a cominciare da una relazionalità gratificante, che soddisfa e risponde alla domanda di socialità. Per gli autori dello studio è importante valorizzare il richiamo alla qualità della vita come componente costitutiva della società sostenibile, il cui raggiungimento deve guidare ed essere visibile nella fase di transizione. Altrimenti sarà molto difficile ottenere una elevata social acceptance all’idea stessa di società sostenibile e più ancora alla transizione verso tale modello.
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L’EREDITÀ DI UN TRIENNIO DIFFICILE
Anche perché c’è nella società una stanchezza per la persistenza di eventi avversi che portano sempre nuove rilevanti sfide nel quotidiano. L’80,3% dichiara di sentire il peso degli ultimi anni difficili, duri, fatti di sacrifici e impegni di fronte ai tanti eventi inattesi che citavamo in precedenza. Gli italiani in questa fase sono convinti che di sacrifici ne hanno fatti e ne dovranno fare ancora tanti – sottolinea il Il Rapporto Censis-Italgrob – e pertanto valutano come puro autolesionismo aggiungerne altri, non importa se in nome di una società che nel tempo dovrebbe essere migliore perché tutela l’ambiente. In tanti ritengono che la propria vita sia ormai troppo piena di ingiunzioni invasive che vorrebbero colpevolizzare le persone.
Il 79% dichiara che capita di sentirsi colpevole quando non adotta comportamenti ecosostenibili, cioè se ritiene di sprecare cibo, di non praticare la differenziata per i rifiuti, di acquistare o gettare prodotti in plastica. Non solo: il 79,2% teme il razionamento dell’acqua e sente la pressione di diktat relativi ad utilizzi non conformi a criteri di sobrietà. Ci si sente giudicati per docce prolungate, per aver lavato l’auto o per avere innaffiato il giardino. Così, la sostenibilità a livello sociale viene troppo spesso associata a forme di colpevolizzazione nel quotidiano che pesano sui singoli e vorrebbero indurli ad adottare comportamenti che, di fatto, sono percepiti come rinunce, privazioni, sacrifici. È evidente che una tale visione della transizione sostenibile è ad alto rischio di subire un rigetto da parte degli italiani.
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IL VALORE DELLA BUONA RELAZIONALITÀ
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Ecco il motivo per cui, secondo il Rapporto Censis-Italgrob, occorre una visione alta e ampia della sostenibilità, ben oltre i suoi limiti solo ambientali o tecnico-astratti, per entrare nella molteplicità di aspetti senza i quali difficilmente potrebbe imporsi. Non ci può essere sostenibilità ambientale senza inclusione economica, ma non ci può essere sostenibilità senza l’indicazione che produrrà una migliore qualità della vita. Perché ciò sia possibile, una società sostenibile deve disporre di un tessuto relazionale significativo, in grado di generare ricadute positive sulla qualità della vita ed il benessere delle persone e delle comunità.
È qui che si innesta l’apporto specifico della filiera del fuori casa che, se da un lato adotta criteri di sostenibilità dalla produzione, dai servizi ai prodotti, dall’altro però, tramite la buona relazionalità, contribuisce ad innalzare la qualità della vita individuale e collettiva. In definitiva, il fuori casa rende più sostenibile la società non solo perché pratica il green economicamente sostenibile e inclusivo, ma perché la sua attività è di per sé stessa promozione di una dimensione costitutiva della società sostenibile, la buona qualità della vita, ed è anche origine di una più facile transizione ad essa.