CASTELLI del GREVEPESA Proposta di restyling del brand per un’azienda vitivinicola
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CASTELLI DEL GREVEPESA Proposta di restyling del brand per un’azienda vitivinicola
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Dicembre 2019, Calenzano 2
Scuola di Architettura Corso di Laurea in Disegno Industriale
CASTELLI DEL GREVEPESA Proposta di restyling del brand per un’azienda vitivinicola Tesi di Laurea di Federica Ferrini Relatore Prof. Marcello Scalzo Correlatore Prof. Angelo Minutella
Anno Accademico 2018/2019 3
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“L’acqua divide gli uomini; il vino li unisce” Libero Bovio
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Alla mia famiglia, mio padre, mia madre e mio fratello, che mi hanno dato la possibilità di rimettermi in gioco e di affrontare questa sfida per raggiungere i miei obiettivi. Mi hanno supportato a distanza, non facendomi mai mancare l’affetto di casa. Alle mie nonne, alle quali le mie telefonate riempivano il cuore di gioia, che tenevo sempre aggiornate sugli esami e sui voti. Alla mia migliore amica Alessandra, che tra alti e bassi è sempre stata al mio fianco, anche se lontane. C’è sempre stata nei miei momenti di sconforto ma sempre in prima linea per festeggiare. Alle mie disagiate Roberta e Nadia, non potevo chiedere compagne di avventura migliori in questi anni. Le mie rocce, le mie combattenti, insieme abbiamo affrontato i peggiori esami, ma anche le migliori risate. Alle mie amiche Roberta e Marika, che nonostante la distanza ci divide, non hanno perso occasione per venire a trovarmi a Firenze. Mi hanno sempre sostenuto e sono sempre state fiere di me, riempiendomi di gioia. A me, che sono arrivata alla fine di questo percorso consapevole di non essere la stessa che ha iniziato. Fiera di tutto ciò che ho imparato, della mia conoscenza ampliata, delle persone conosciute, delle esperienze vissute, dei sacrifici che sono riuscita a fare pur di raggiungere il mio obiettivo. E infine a Firenze, la città che mi ha ospitata per questi 3 anni, che ho odiato e che ho amato, che ancora devo finire di conoscere. Bella e affascinante non smette mai di lasciarmi a bocca aperta ogni volta che mi fermo ad ammirarla. 7
Indice Introduzione
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Castelli del Grevepesa: Analisi La storia
1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7
Premessa La crisi e la nascita della Castelli del Grevepesa Nuovi orizzonti: la nascita della cooperazione Gli esordi Un percorso complesso La vitalità di un’impresa L’eredità dei fondatori
L’azienda
2.1 2.2 2.3 2.4 2.5
La missione Il territorio La produzione Vini e denominazione Vitigni
I prodotti: le linee
3.1 3.2 3.3 3.4
Castelgreve Clemente VII Castello di Bibbione I Premi
p. 17 p. 19 p. 22 p. 25 p. 28 p. 31 p. 34 p. 37 p. 41 p. 43 p. 44 p. 46 p. 48 p. 53 p. 57 p. 59 p. 60 p. 62 p. 64
Struttura organizzativa dell’azienda
p. 69 p. 71
Utenti e mercati
p. 77 p. 79 p. 81 p. 84 p. 89
4.1 Organigramma
5.1 5.2 5.3 5.4
Utenti finali e intermediari Distribuzione Segmentazione e canali di distribuzione Tipologie contrattuali
Analisi Swot
6.1 Concorrenti e benchmarking 6.2 Punti di forza e punti di debolezza 6.3 Opportunità e minacce
p. 93 p. 95 p. 100 p. 101
Comunicazione: progetto L’identità visiva
7.1 La comunicazione visiva
p. 105 p. 107
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7.2 7.3 7.4 7.5
Il brand La brand identity Gli elementi della brand identity Rebranding e restyling
Comunicare il vino
8.1 8.2 8.3 8.4 8.5 8.6
La comunicazione del vino e i consumatori Le emozioni I sapori Comunicazione persuasiva Comunicazione emozionale I campi di applicazione nel mondo del vino
Il marketing del vino
9.1 9.2 9.3 9.4 9.5
Il mercato Acquisti e segmentazione Strategie di prodotto Strategie distributive Strategie di promozione e comunicazione
L’etichetta
10.1 10.2 10.3 10.4
Definizione e contenuto Storia ed evoluzione dell’etichetta Normativa dell’etichetta La reazione dei consumatori e gradimento
Il marchio
11.1 11.2 11.3 11.4 11.5
Il marchio e le sue tipologie Il logo Payoff o slogan Font Colore
Nuova proposta
12.1 12.2 12.3 12.4 12.5
Brief di progetto Il logo Etichette Cataloghi Packaging (bag in box)
Conclusioni Bibliografia Sitografia
p. 110 p. 112 p. 114 p. 117 p. 121 p. 123 p. 128 p. 131 p. 133 p. 136 p. 139 p. 141 p. 143 p. 145 p. 147 p. 150 p. 152 p. 157 p. 159 p. 161 p. 163 p. 170 p. 173 p. 175 p. 178 p. 18 p. 182 p. 187 p. 191 p. 193 p. 196 p. 216 p. 242 p. 256 p. 263 p. 264 p. 266 9
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Introduzione
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Comunicare attraverso le immagini Al giorno d’oggi, viviamo in una società delle immagini nella quale la comunicazione si fa strada prevalentemente attraverso fotografie, filmati e immagini. A seguito dell’avvento dell’era digitale e dell’innovazione tecnologica, infatti si è verificata una crescita esponenziale della quantità di informazioni reperibili sul web, di cui i social network rappresentano la quint’essenza di questo eccesso.
Sopra. Manifesto dello Zio Sam di James Montgomery Flagg, 1917
Sotto. Manifesto “We can do it!” di J. Howard Miller, 1943
Questo fenomeno ci fa capire quanto siano diventate importanti le immagini in internet e di conseguenza nel campo della comunicazione e della pubblicità. La progettazione di un’immagine che ha come suo fine quello di trasmettere un messaggio, appartiene come vedremo alla branca del visual design. Si progetta qualcosa secondo determinate intenzioni: informare, raccontare o sedurre persone all’interno della società di massa. Le immagini che vediamo entrano in comunicazione con le nostre esperienze precedenti, alle quali colleghiamo concetti, sensazioni, pensieri che si riuniscono in un vero e proprio bagaglio emozionale, che viene richiamato quando ricordiamo o visualizziamo un’immagine piuttosto che un’altra. Questa comunicazione per immagini è quindi altamente evocativa e costituisce una sorta di linguaggio visuale che affianca a un tipo testuale. L’unione e l’utilizzo di entrambi fanno si fanno così metafore, allegorie visive che incrementano l’efficacia del messaggio che si vuole trasmettere. Se tutto ciò funziona per le persone, lo è allora anche per le organizzazioni come le società, le quali dispongono a loro volta di personalità e identità
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che necessitano di essere convertite in immagini. Infatti ogni azienda, indipendentemente dalle sue dimensioni, possiede un proprio volto determinato nel tempo attraverso le sue attività ed espressioni: prodotti, servizi, packaging, marchio e così via. Tutti elementi, questi, che andranno a imprimersi nella mente del consumatore. In un mercato competitivo come quello odierno, se una società vuole distinguersi dalla concorrenza, deve costruirsi un’immagine personale, unica e originale, e comunicare in modo creativo la propria identità. Quest’ultima è intesa come l’insieme dei valori e contenuti tramite i quali è identificata un’azienda. A tal fine si rende necessaria una progettaione che sia capace di coordinare tutti gli elementi, il cui scopo sia quello di riunire ogni manifestazione visibile dell’azienda all’interno di un’unica immagine unitaria che nonostante possa dividersi a mutare nel tempo, rimarrà sempre tale grazie al ricorre costante dei suoi Sotto. Campbell’s Soup Cans, elementi principali. Andy Warhol, 1962
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Sopra. Evoluzione di due celebri loghi: Apple e Adidas
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La storia
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La Castelli del Grevepesa è una cantina sociale fondata nel 1965, con la denominazione giuridica “Castelli del Grevepesa S.c.a.”. È un’azienda che si occupa della trasformazione delle uve conferite dai soci (circa 100) e della commercializzazione del vino ottenuto in tutto il Mondo, situata a San Casciano Val di Pesa (FI). E’ costituita da un numero di addetti pari a 21 e fattura 10 milioni di euro all’anno.
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1 1.1 Premessa La Cantina Sociale Castelli del Grevepesa è nata il 21 giugno 1965, per volontà e intuizione del Cav. Gualtiero Armando Nunzi e di altri 17 soci. In quel periodo storico, l’agricoltura chiantigiana attraversò una crisi economica e tecnica, causata dalla necessità di sostituire la mezzadria e i vecchi modelli produttivi. Nacque così l’idea di fondare una cantina sociale moderna, capace di raccogliere e vinificare le uve dei futuri soci, ottenute da un rinnovamento della viticoltura in senso specializzato. La cantina contribuì alla rinascita del vino Chianti dando inizio a un notevole miglioramento delle qualità organolettiche del prodotto, inoltre contribuì a rendere ai soci diversi vantaggi, consentendo di ottenere un buon vino con le proprie uve, di poterlo conservare in un ambiente idoneo e di poterlo vendere con un profitto normalmente superiore alla media del mercato. I piccoli e grandi proprietari passarono ad una conduzione diretta dei propri possedimenti e videro di buon occhio l’adesione al progetto del fondatore
A destra. Il sistema agricolo mezzadrile, Greve in Chianti, 1950
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di intraprendere la strada della Cooperativa per produrre un vino di qualità, degno del nome di Chianti Classico e inoltrarsi infine nel mercato con un prodotto imbottigliato. Il Cav. Nunzi riuscì nell’impresa di convincere i produttori chiantigiani, in una zona geografica dove l’individualismo si manifesta nelle forme più spiccate e dove la cooperazione era inesistente, ad aderire all’idea della società cooperativa e infuse nei soci il principio di conferire alla cantina l’intera produzione dell’azienda. Per fare buoni vini bisognava partire dalla vigna, curando ogni pratica e ogni passaggio, ottennendo vini con particolari caratteristiche. Fu costruito lo stabilimento sotto la direzione generale del Dott. Raivo Luigi Lorenzetto Bologna che riuscì a superare le notevoli difficoltà iniziali dell’opera di costruzione. Nella conduzione di queste cooperative le difficoltà possono presentarsi ad ogni livello e per questo occorre poter contare sulla collaborazione dei soci, ma anche sulla qualità dei dirigenti, dei tecnici e del lavoro in cantina. Questo è il vero capitale delle cooperative, cui si unisce la forza della rete commerciale e la garanzia del marchio. Con la prima vendemmia del 1968 si ottenne un buon prodotto. L’11 gennaio 1969, in seguito alla promulgazione della legge sulla tutela della Denominazione di origine dei mosti e vini, la ragione sociale della cooperativa venne definitivamente modificata in Castelli del Grevepesa – Cantina Sociale – Società Cooperativa a Responsabilità Limitata e assunse un marchio con un simbolo chiantigiano. Venne scelto il giaggiolo, o giglio fiorentino, fiore tipico delle colline chiantigiane, inserito nella formella a cartiglio, tipica degli artisti fiorentini del trecento. La cooperazione non è solo una straordinaria risorsa sociale, ma rimane pur sempre una impresa che deve confrontarsi con il mercato e con tutto ciò che riguarda l’organizzazione aziendale, dall’innovazione
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FIRENZE San Casciano in Val di Pesa Tavarnelle in Val di Pesa Poggibonsi
Barberino Val d’Elsa
Castellina in Chianti
SIENA
dei processi produttivi ai prodotti.
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Tuttavia l’impresa cooperativa non può non basarsi sul capitale umano e, naturalmente, sullo spirito di associazione. Nel settore del vino, e in particolare nel Chianti, un territorio dove la vitivinicoltura può vantare una storia plurisecolare basata sulle grandi fattorie del patriziato cittadino, la cooperazione non poteva non essere la soluzione, quasi obbligatoria, per la sopravvivenza della piccola e media proprietà rurale. Greve in Chianti
Radda in Chianti Gaiole in Chianti Castelnuovo Berardenga
Sopra. Mappa del Chianti, Toscana
Una vera e propria scommessa, una terra difficile e “testarda”, fortemente voluta da Gualtiero Armando Nunzi e da altri diciassette “visionari” che, come lui, erano convinti che l’unico modo per evitare il disfacimento e l’abbandono di quelle colline, da secoli votate alla vite e al vino, fosse unire forze ed ingegno. Una scommessa che si è rivelata alla fine vincente e che ha fatto della Castelli del Grevepesa la più grande realtà cooperativa del Chianti Classico, capace di esportare oltre la metà della produzione sui mercati esteri, grazie all’ottima qualità dei propri vini. Una storia di successo che dimostra come un buon vino non sia solo <<un composto di umore e luce>>, come sosteneva Galileo, ma anche di storia, di tradizioni, di cultura e di uomini, aspetti che in un contesto cooperativo emergono con particolare forza e vigore.
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1 1.2 La crisi e la nascita della Castelli del Grevepesa Nel 1965 sulle colline del Chianti, in una terra apparentemente ostile e poco aperta al cambiamento, prese forma una novità, alla quale contribuì il disfacimento della mezzadria, con il tracollo del sistema di fattoria, e la necessità di una “riconversione” della vitivinicoltura in senso specializzato. Importanti mutamenti economici e sociale ai quali si unì la volontà imprenditoriale dei piccoli e medi proprietari per i quali produrre e vendere vino stava diventando sempre più difficile ed oneroso, a cui non rimaneva che un’unica soluzione: cooperare. Per capire le motivazione che dettero inizio alla prima esperienza cooperativa in campo vinicolo occorre partire dalle colline chiantigiane, dalla loro vocazione vitivinicola e dalla crisi che investì, nel secondo dopoguerra, le strutture agricole. A metà del secolo scorso sebbene la piccola proprietà, costituita da un solo podere generalmente coltivato dallo stesso proprietario, fosse numericamente Sotto. Condadini al lavoro in prevalente sulle colline chiantigiane, essa occupava una vigna, Chianti, 1950 un’estensione di territorio nettamente inferiore alla medio-grande proprietà a condizione mezzadrile. Circa il 64% della proprietà aveva infatti una superficie unitaria inferiore ai 10 ettari, mentre solo il 4% superava i 200 ettari e controllava il 55% dell’intera superficie1. Di ben più antica data era invece la mezzadria, le cui origini risalgono al Medioevo. Novità della mezzadria era l’essere un patto “societario” tra due contraenti, che univano le forze per un fine comune: i coloni fornendo forza lavoro ed i proprietari mettendo a disposizione i terreni da coltivare e l’abitazione, oltre a tutti o parte dei capitali necessari2. Perno di questa presenza secolare era il podere, luogo di vita e di lavoro, la cui estensione dipendeva dalle necessità
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Sopra. Un contratto di Mezzadria, San Casciano, 1950
e dalle capacità produttive della famiglia colonica, il motore del sistema mezzadrile, chiamata per intero a contribuire al bilancio poderale e la cui energia veniva impiegata per addomesticare e rendere produttivo un paesaggio spesso ostile. Il podere, doveva rispondere sia alle esigenze dei coloni, producendo tutto o quasi il necessario alla loro sopravvivenza, che alle richieste del mercato, fornendo prodotti commercializzabili. L’imperativo, tanto per l’universo mezzadrile quanto per quello dei piccolo proprietari, era quello dell’autosufficienza, senza però tralasciare le coltivazioni destinate al mercato. I poderi chiantigiani non si sottraevano all’imperativo della promiscuità culturale, ma la loro economia e la loro prosperità furono sempre più condizionate dalla coltivazione della vite e dalla produzione di vino, non solo per quanto riguardava la parte padronale, ma anche per
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quella mezzadrile che trovava in tale prodotto un’utile moneta di scambio con il sempre insufficiente grano3.
Sulle colline chiantigiane vino, mezzadria e piccola proprietà avevano dunque una storia di lungo periodo, ricca di intrecci e successi, che a metà del secolo scorso dovette però fare i conti con la crisi che investì il mondo agricolo, quando la rapida affermazione di nuove condizioni sociali, economiche e culturali, aggravò i vecchi squilibri rendendo palesi le contraddizioni di tali sistemi socio-economici. Il periodo dal 1951 al 1971 rappresentò un momento di forte trasformazione della società italiana a causa di una massiccia redistribuzione della popolazione sul territorio che vide i contadini abbandonare le Sopra. Una famiglia colonica durante la vendemmia, Val di campagne per i centri urbani. Sebbene l’esodo abbia pesa, 1950 conosciuto ondate diverse per tempi e intensità, il fenomeno inquietò non poco gli osservatori dell’epoca, particolarmente preoccupati per l’abbandono dei poderi da parte di interi nuclei familiari. In Toscana tra gli anni Sessanta e Settanta si ebbe una notevole perdita del numero complessivo delle aziende agrarie (-23%)4, e il Chianti in questo non fece eccezione, ma allo stesso tempo la fine della mezzadria, liberando i terreni dal vincolo di una produzione in gran parte incentrata sull’autoconsumo, aprì prospettive nuove ed inedite. La riconversione vitivinicola in senso specializzato, sebbene difficoltosa, si presentava perciò possibile. Ben diversa era la situazione per i piccoli e medi coltivatori diretti che, privi dei mezzi economici necessari, si trovarono di fronte ad una strada in salita. Note 1 Cfr. G. Rezoagli, Il Chianti, Società Geografica Italiana, Roma 1965. 2 Cfr. R. Cianferoni, Il Chianti Classico fra prosperità e crisi, Edagricole, Bologna 1979; Z. Ciuffoletti, L. Rombai (a cura di), Grandi fattorie in Toscana, Vallecchi, Firenze 1980. 3 Cfr. R. Cianferoni, Il Chianti Classico fra prosperità e crisi, Edagricole, Bologna 1979. 4 Cfr. P.L. Pisani, P. Nanni, La vitivinicoltura toscana, cit.
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1 1.3 Nuovi orizzonti: la nascita della cooperazione Per secoli la terra difficile e inospitale del Chianti era stata domata grazie al sapiente e paziente lavoro di generazioni di agricoltori e di proprietari che avevano coperto il territorio di una fitta rete di poderi e fattorie, nei cui bilanci il vino aveva sempre rivestito un posto di primo piano. Si era così instaurata una stretta correlazione tra l’andamento del prezzo del vino e la prosperità o la crisi di questa terra.
Sotto. Braccianti nei campi, Radda in Chianti, 1960
Con la trasformazione del volto dell’Italia, da nazione agricola a industriale, mutarono anche i consumi procapite di vino che ebbero un crollo considerevole. Alla diminuzione della produzione vinicola, con il suo seguito di degradazione dei terreni e alla necessità di procedere alla costosa ricostruzione delle viti, si andò sommando uno squilibrio tra i costi di produzione e i prezzi di vendita del vino. Questo portò a un mancato rinnovamento degli impianti e all’abbandono di quelli ancora in produzione. Il Chianti si apprestava ad attraversare anni difficili. La crisi con cui si trovavano a fare i conti le colline chiantigiane era una crisi strutturale dell’agricoltura collinare promiscua tipica dell’Italia mezzadrile, che nel Chianti si presentava aggravata dalle difficoltà delle vitivinicoltura. Destinata a segnare per sempre la fine di quell’agricoltura <<eroica>> in cui uomini e animali erano quotidianamente impegnati in una fatica immane. Se per alcuni questo significava la fine del Chianti come terra di vino e contadini, per altri la crisi apparve come una vera occasione rivoluzionaria attraverso la quale costruire un nuovo e moderno Chianti, dove potesse trionfare la scienza, dove tecnica e macchina liberassero definitivamente uomini ed animali dalla
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schiavitù della fatica senza per questo rinunciare a produzioni elevate e di qualità. Gli antichi nomi di queste terre Antinori, Ricasoli, Ruffino, ecc., eredi quella nobiltà legata alla terra e al vino, erano costretti a mutare. I grandi proprietari erano infatti gli unici ad avere la forza economica necessaria per affrontare i costi della ricostruzione e dell’ammodernamento degli impianti viticoli. La natura pietrosa dei terreni aveva determinato costi sempre più elevati, sacrifici inevitabili se si voleva continuare a produrre vino, necessari a rinnovare e ammodernare la viticoltura, sostituendo progressivamente la coltivazione promiscua. La riconversione coinvolse non solo i filari, ma anche le stesse strutture aziendali trasformandole da aziende condotte a mezzadria in aziende a conduzione diretta che si servivano di manodopera salariata. Grande sostengo allo sforzo di reimpianto e ricostruzione furono le molte sovvenzioni che si riversarono sul terreno del Chianti. Sopra. Aratura dei campi, Greve in Chianti, anni ‘50
Tutti piani che facevano parte del generale rilancio dell’agricoltura in atto dalla neonata Comunità Economica Europea1. Complice della rinascita delle colline del Chianti fu anche la promulgazione di regole precise e dettagliate sul vino, la sua produzione e commercializzazione, tese a tutelare e valorizzare le peculiari produzione italiane, di cui il Chianti rappresentava una delle eccellenze. Fondamentale fu l’approvazione nel 1967, del Disciplinare di produzione del vino Chianti che tutelava la denominazione di origine e riconosceva una condizione particolare al vino Chianti Classico e al suo territorio, definito come la zona di origine più antica. La vitivinicoltura divenne così la forza propulsiva dell’economia chiantigiana. Se i grandi proprietari
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poterono fare la loro parte fin da subito, non fu lo stesso per i medi e piccoli proprietari, che riuscirono a superare tale ostacolo dando vita a organismi cooperativi in cui si univano uomini e mezzi per il conseguimento di un obiettivo comune: nel primo quindicennio del XX secolo la cooperazione fiorì insieme all’economia italiana.
L’unione cooperativa generava un vantaggio duplice per il vitivinicoltore, consentendogli di ottenere un buon vino a costi contenuti, restituendogli la tranquillità della coltivazione, senza l’affanno e la preoccupazione di dover vendere le uve o di dover vinificare, conservare e poi vendere il vino, tutte operazioni di cui si faceva carico la cooperativa, pagando le uve a prezzi superiori alla media di mercato. La cooperazione in più occasioni era stata dunque un antidoto ai periodi di crisi, un efficace strumento di pacificazione sociale e di elevazioni delle classi più povere. Con il cambiamento della fisionomia sociale della penisola, con l’urbanizzazione e l’industrializzazione, il mercato interno si stava espandendo e richiedeva sempre più vini di buona qualità. La cooperativa Castelli del Grevepesa, avviata nel 1965 nel cuore Chianti, rappresenta la prima cooperativa in campo enologico, che nel giro di pochi anni divenne una delle cantine sociali più grandi della Toscana, a cui veniva conferito il 38% delle uve prodotte nel Chianti fiorentino.
Note 1 Cfr. A. Marianelli, Politica agricola nazionale, comunitaria e globale in F. Scaramuzzi, P. Nanni (a cura di) Storia dll’agricoltura italiana. III L’età contemporanea vol. 2, Polistampa Firenze 2002.
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1 1.4 Gli esordi L’imprenditore Gualtiero Armando Nunzi aveva deciso di dedicarsi all’azienda agricola di famiglia, proponendosi di farlo all’interno di una cornice cooperativistica, di fatto inesistente e quindi tutto da costruire. Nato a Firenze nel 1910, lascia gli studi per dedicarsi all’attività commerciale del padre defunto. Dopo la morte del fratello decide di cedere l’attività, investendo in agricoltura1. Iniziando dal nucleo originario, costituito dalla fattoria di Mercatale e dai suoi quattro poderi, Gualtiero mise in atto la ricostruzione del patrimonio, integrando il tutto con nuove acquisizioni, giungendo così alla creazione di un’azienda di oltre 200 ettari, con l’intenzione di dedicarne oltre la metà alla coltivazione specializzata della vite. Fu così che decise di farsi promotore di un progetto innovativo e ambizioso per le terre del Chianti: creare una cantina sociale in cui produrre vino di qualità degno del nome di Chianti Classico. La mezzadria era quasi scomparsa e la media e piccola proprietà a conduzione diretta era giunta davanti a un bivio: crescere ed ammodernarsi o perire. Nunzi e compagni riuscirono a fondare il 21 giugno 1965, la Castelli del Chianti Classico. Cantina Sociale, Società Cooperativa a responsabilità limitata. Diciotto tra agricoltori e coltivatori diretti, tra cui anche due donne, sottoscrivendo quote minime di 2.000 £, per un ammontare totale di 872.000 £, dettero così inizio alla prima esperienza cooperativa nel cuore del Chianti, con la precisa intenzione
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A destra. Fabbricato D: spicco piano rialzato, Fabbricato A: vasche zona b-a-ba, lato ovest, direzione est, 1968
Sotto. Situazione ultimazione scavi e sbancamenti, riempimenti, fondazioni fabbricato C, lato est, direzione ovest, 1968
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di dar vita a un organismo votato alla produzione e commercializzazione di un vino di qualità, che rendesse giustizia alla propria terra di origine, come il nome stesso scelto per la Cantina stava a indicare.
Uno degli ostacoli più grandi era riuscire a convincere i produttori chiantigiani della validità dell’impresa, in una terra dove l’individualismo si manifestava nelle forme più spiccate e la cooperazione era stata la grande assente. Ovviamente non mancarono diffidenze e malumori, alcuni produttori erano convinti di poter vinificare in proprio facendo così a meno della Cantina, mentre soprattutto da parte dei soci provenienti da Greve si lamentava della scelta di San Casciano Val di Pesa come sede della cooperativa, non per ragioni di prestigio, ma per questioni di praticità nei trasporti2. Per essere realmente operativa occorreva costruire uno stabilimento moderno e funzionale dove poter produrre quel vino di qualità. Il luogo venne individuato in un appezzamento di terreno di 6.660 ettari facente parte della Fattoria di Gabbiano, in località Ponte Gabbiano. Posto in località centrale rispetto alle strade provenienti da San Casciano Val di Pesa, Mercatale, Strada, Greve, il terreno rappresentava un’area che aveva le caratteristiche richieste per la costruzione di un grande stabilimento con un facile movimento dei carriaggi ed un sicuro accesso alle due strade provinciali sulle quali il terreno si affacciava. Stimando la produzione di vino nel Chianti Classico della zona fiorentina attorno ai 100.000 quintali si decise di dar vita a un impianto che potesse lavorare con facilità tra i 40.000 ed i 45.000 quintali di uva, vale a dire circa un terzo della produzione totale. Il tutto con un occhio sempre rivolto alla qualità che nel chianti era sinonimo di invecchiamento, cioè di appositi locali
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dove poter portare a maturazione il prezioso vino. Il 1967 rappresentò un momento di svolta per la Cantina: venne finalmente acquistato il terreno dove sarebbe sorto lo stabilimento e furono messe in atto le opere di ammodernamento dell’area. Per iniziare l’attività occorrevano regole e regolamenti precisi per la vendemmia, il conferimento delle uve, la vinificazione, ecc., oltre una direzione centralizzata dei lavori. Per questo all’inizio del 1968 venne nominato direttore della Cantina il Dott. Raivo-Luigi Lorenzetto Bologna. Con la vendemmia del 1968, pur con uno stabilimento da ultimare, un corpo sociale non ancora coeso e definito e con problemi di carattere pratico da risolvere, a poco più di tre anni dalla sua nascita la cantina sociale Castelli del Chianti Classico era riuscita, partendo dal nulla, a dare inizio alla sua attività.
Sotto. Ponte di Gabbiano, situazione del terreno prima dell’inizio dei lavori, lato sudest, direzione nord-ovest, 1968
Note 1 Cfr. Intervista a Giuseppe Nunzi Conti, 1 Luglio 2014, in possesso dell’autore. 3 ACG, Verbali Assemblea generale dei Soci, 1 aprile 1966.
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1 1.5 Un percorso complesso Il 5 ottobre 1968, nel nuovo stabilimento di Ponte di Gabbiano, prese avvio il conferimento delle uve da cui sarebbe nato il primo vino della Cantina. Così la Cooperativa aveva prodotto il suo primo vino. Un obiettivo che fin da subito aveva avuto uno dei suoi punti fermi nella ricerca della qualità, smentendo l’opinione corrente che le cantine sociali non fossero in grado di produrre nient’altro che vini di “massa”. Il cambio della ragione sociale della Cantina nel 1969 in Castelli del Grevepesa – Cantina Sociale – Sopra. Logo Castelli del Società Cooperativa a responsabilità limitata1 è dovuto Grevepesa, 1969 alla promulgazione della legge sulla Tutela delle Denominazioni di Origine dei Mosti e Vini. Con un nuovo nome e con lo stabilimento sociale ormai quasi ultimato la Cooperativa era pronta ad affrontare il mercato, mancava solo un marchio che divenisse il simbolo della Castelli del Grevepesa nel mondo e che al tempo stesso ne ribadisse l’appartenenza alle radici chiantigiane: per questo venne scelto il giaggiolo, fiore
A destra. Copertura fabbricato C e piazzali,lato sud, direzione nord, 1968
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tipico delle colline del Chianti, usato nell’industria della profumeria, incorniciato nella formella tanto cara agli artisti fiorentini del Trecento, riprendendo così l’emblema di una delle istituzioni storiche di Firenze e della Toscana, la Cassa di Risparmio, di cui, Gualtiero Armando Nunzi fu a lungo vicepresidente. Un marchio quindi non casuale, destinato a diventare il blasone della Cantina e a caratterizzare graficamente le etichette delle due diciture depositate: Castelgreve, riserva alla confezione del vino in bottiglia e Castelpesa per quella in fiaschi2. Ultimato il reparto di confezionamento, affinato il prodotto e depositato il marchio, la Cooperativa era pronta a dare il via alla vera e propria fase di commercializzazione, affiancando la vendita dei prodotti confezionati ai risultati ottenuti con quella all’ingrosso.
Sopra. Prime bottiglie Castelgreve e Valgreve, 1968
Per rendere più efficace la propria organizzazione di vendita la Cooperativa prese anche contatto con la Cantina Sociale di Vinci, che prese poi il nome di Cantine Leonardo, con la quale venne stretto un accordo di vendita abbinata dei rispettivi prodotti. La creazione di una efficiente rete di vendita prevedeva anche la disponibilità di molto materiale pubblicitario, al quale venne deciso di dedicare l’1% del ricavo complessivo delle vendite (destinata negli anni ad aumentare). Altrettando fondamentale era la scelta di diverse strategia di marketing che affermassero e consolidassero la presenza della Cantina facendola conoscere all’Italia e al mondo. Sul territorio si optò per una strategia diretta e mirata attraverso volantinaggio e tramite l’invio di circolari agli abitanti di San Casciano e di Greve, nelle quali li si invitava ad acquistare direttamente in cantina il vino. Altrettanto efficaci furono le visite organizzate allo stabilimento.
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Sotto. Prima etichetta Castelgreve, 1968
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Particolare attenzione venne dedicata alle iniziative pubblicitarie, nella consapevolezza che non fosse necessario solo saper fare grandi vini, ma anche trasmettere al consumatore tale grandezza.
Vennero così messi in atto importanti investimenti pubblicitari per raggiungere una presenza significativa sia sul territorio nazionale, ma anche nei media specializzati inglesi e tedeschi, sfruttando in questo caso la forza e la conoscenza dei consumatori europei del marchio consortile Gallo Nero.
Sopra. Pubblicità congiunta con la Cantina Leonardo, 1969
Non tutta l’attenzione venne indirizzata verso il mercato e il “mondo esterno”, altrettanta cura fu dedicata all’incremento delle compagine sociale e all’aggiornamento e ammodernamento di quella esistente, per migliorare le capacità produttive elevando la qualità delle uve e dei vini. Questo insieme di iniziative fece sì che i primi anni di vita della Cooperativa fossero estremamente floridi e vivaci, segnati da un crescendo di vendite e di produzione. Nella prima metà degli anni ‘70 gli affari andavano a gonfie vele e la decisione di ampliare le strutture produttive era stata tempestiva in presenza di un aumento dei conferimenti e della produzione. Tuttavia dopo una serie di anni felici la Cooperativa nel 1975 si trovò a dover affrontare una brusca battuta di arresto, quando la generale crisi del mondo del vino si abbatté con forza sul Chianti Classico. La Cooperativa “festeggiava” un decennio di attività in un clima tutt’altro che allegro, anche a causa del susseguirsi di una serie di annate disastrate contraddistinte da scarsi raccolti e infima qualità, che portò sfiducia tra soci e amministratori.
Note 1 Cfr. ACG, Verbali Assemblea generale dei Soci, 11 gennaio 1969. 4 Cfr. Verbali Consiglio di Amministrazione, 31 maggio 1969.
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1 1.6 La vitalità di un’impresa Dopo anni di costante crescita la Cooperativa si era trovata a dover affrontare un momento di stallo, ma non aveva mai smesso di guardare al futuro, puntando sulla ricerca della qualità e sull’ampliamento dei propri mercati per uscire da tale momento di crisi. A nulla sarebbe valsa questa costante ricerca della qualità senza un’adeguata rete di vendita capace di collocare sul mercato le eccellenze prodotte, per questo molti sforzi tra gli anni Settanta e Ottanta furono indirizzati all’ampliamento della rete di vendita e alla conquista di nuovi mercati. Di fronte alla nuova crisi degli anni Ottanta aveva messo in atto un tempestivo programma di vendite, ma far fronte a una produzione che continuava ad aumentare era sempre più difficile. La Cantina si trovò Sopra. Pubblicità Castelli del a limitare i danni derivanti dagli eccessi produttivi. Ad Grevepesa per l’estero, 1970 una esportazione verso l’estero in continuo aumento, si contrapponeva una contrazione di consumi di vino in Italia. Nulla impediva di creare le condizioni necessarie per tentare di adeguarsi agli specifici mercati di consumo, valorizzando al meglio la produzione anche attraverso la ricerca di vini “alternativi”: prodotti diversi il cui scopo era quello di conquistare nuove fette di consumatori e nuovi mercati, facendo conoscere il nome della Cooperativa. L’ampliamento della gamma dei prodotti non era una novità, infatti accanto al Castelgreve confezionato in bottiglia e al Castelpesa in fiaschi, venne proposto alla clientela un vin santo, una produzione tipica della Toscana. Prese così vita nel 1972 il Vin Santo degli Otto Santi1. Prese così inizio la produzione di un vino dal
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colore giallo dorato, dal sapore armonico e vellutato e dal profumo intenso ed elegante.
In questa ricerca di ampliamento dei prodotti rientrava anche il tentativo di produrre <<un vino alternativo, quale il rosato, al fine di aumentare la gamma di vendita dei nostri prodotti “sfusi” verso i privati consumatori>>2, avviato nel 1980 e il confezionamento del vino bianco prodotto dalla Cantina con il nome Vino Bianco Valgreve. Sopra. Etichetta Clemente Nel 1984 venne lanciato sul mercato il Maggese, vino rosso, fresco e di bassa alcolicità, che doveva VII, 1991 rappresentare una alternativa ai vini bianchi specie nelle calde giornate estive. Molto più audace e innovativa fu la scelta fatta nel 1981 di mettere sul mercato un vino aromatizzato da dessert denominato Moraiolo Grevepesa. Un vero punto di svolta si ebbe con la creazione di alcune selezioni di Chianti Classico, ricavate da uve Sangiovese. Con queste selezioni la Castelli del Grevepesa fu tra le prime a produrre in Chianti dei vini provenienti da zone specifiche dando seguito alla volontà di valorizzare le caratteristiche delle piccole realtà territoriali. Sotto. Pubblicità Castelgreve, 1970
Ad aprire la strada a queste produzioni di pregio fu la selezione Vigna Elisa (1980) ricavata dalle uve prodotte dalle viti situate lungo la strada che dalla Pieve di Campoli conduce alla quattrocentesca Villa di Barberino. Seguirono nel 1983 altre due selezioni provenienti da luoghi simbolici del territorio come i borghi medievali di Panzano e Lamole, da cui i nomi dei due pregiati vini. La scelta delle selezioni fu vincente sia sul mercato straniero che interno, tanto che nel 1984 si un’ Sant’Angiolo Vico l’Abate, ottenuta dalle viti che circondavano la pieve sulle colline di San Casciano Val Di Pesa, a cui negli anni seguirono molte altre (Castello di Bibbione, Pianacci, Montefiridolfi).
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L’esperienza delle selezioni spianò la strada nel 1991 al Clemente VII. Un vino così pregiato da essere degno di portare il nome di un papa, quello di Giulio dei Medici, secondo esponente della famiglia fiorentina a salire al soglio pontificio (1523). Puntare sulla qualità e sulla varietà dei prodotti si rilevò una strategia vincente al punto che nel 1984 si avvertì un graduale miglioramento del mercato del vino e della sua percezione come alimento e bevanda, in quanto componente centrale insieme a pane, pasta e olio di una dieta salutare che aveva nel Mediterraneo, e in Italia, il proprio punto di riferimento3.
Una prospettiva resa migliore per il Chianti dall’ avvento della Denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), che garantiva un innalzamento e una valorizzazione ulteriori della qualità dei vini. Un passo avanti venne fatto nel 1989 quando lo stabilimento venne aperto al conferimento e alla commercializzazione dell’olio d’Oliva Extra Vergine Chianti Classico.
Sotto. Stabilimento di Ponte di Gabbiano dopo l’ampliamento, 2002
Dalla seconda metà degli anni Ottanta ebbe inizio per il Chianti Classico un periodo felice che portò la Cooperativa, a trent’anni dalla sua fondazione, a raggiungere l’obiettivo tanto sognato: vendere l’intera produzione come prodotto imbottigliato. Così come tanta attenzione venne dedicata ai prodotti e all’immagine della Cooperativa, altrettanta fu riservata alle esigenze del corpo sociale mettendo in cantiere cosi di formazione per agricoltori, tecnici e operai agricoli.
Note 1 ACG, Verbali Consiglio di Amministrazione, 11 marzo 1972. 2 ACG, Verbali Assemblea generale dei Soci, 6 dicembre 1980. 3 Cfr. M. Mambini, Il vino italiano: un bene culturale, <<Rivista di Storia dell’Agricoltura>>, a. LIV, n.1 giugno 2014.
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1 1.7 L’eredità dei fondatori In trent’anni di attività la cooperativa Castelli del Grevepesa non solo aveva piantato radici in una terra “difficile” come il Chianti, ma le aveva rese profonde e solide, arrivando a realizzare più di quarantamila quintali di uva prodotti nel 19981. La gioia per questi successi venne turbata dalla scomparsa di Gualtiero Armando Nunzi che si spense all’età di 88 anni il 21 febbraio 1999, lasciando un senso di vuoto misto a tristezza, ma anche la consapevolezza di dover continuare sulla strada della cooperazione e della ricerca della qualità da lui tracciata. La sua scomparsa non ebbe conseguenze negative per la gestione della Cooperativa. La sua presidenza aveva consolidato sia l’organizzazione interna che la parte commerciale. Se ci fu un senso di smarrimento fu dovuto al fatto che il mercato e le realtà del vino stavano cambiando velocemente e occorrevano risposte altrettanto rapide. Ad affrontare tali sfide venne chiamato il figlio adottivo di Nunzi: Maurizio Nunzi Conti. In Italia la Cantina commercializzava i prodotti attraverso una rete di vendita, trattando direttamente con la grande distribuzione o vendendo direttamente al pubblico attraverso i punti vendita, mentre per l’estero si affidava a importatori/distributori o a contatti diretti con la grande distribuzione. Un modus operandi inadatto per affrontare le richieste di un mercato sempre più globale e sempre più vario. Venne quindi proposta la costituzione di una nuova società, il cui scopo sarebbe stato quello di coordinare le attività commerciali, gestendo i marchi consortili, la promozione, la pubblicità e la commercializzazione
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dei prodotti, oltre ai punti vendita già esistenti o che sarebbero stati acquisiti2. L’essere divenuta una cooperativa a carattere regionale, consentiva una presenza diffusa e costante sui mercati, garantendo alla clientela una vasta scelta di vini provenienti dalle più importanti zone DOC e DOCG toscane (Chianti, Chianti Colli Senesi, Morellino di Scansano, Vernaccia di San Gimignano). Un successo sottolineato da riconoscimenti e recensioni su riviste e guide del settore come Vini d’Italia del Gambero Rosso. Per questo gli eredi di Nunzi si poterono permettere di affrontare importanti investimenti strutturali come la ristrutturazione della vinoteca e una nuova linea di imbottigliamento con una capacità di produzione oraria di circa 12.000 bottiglie3.
Nel 2006 la Cooperativa chiuse un bilancio negativo sia per la contrazione del fatturato che per l’incapacità di adeguarsi con tempestività ai cambiamenti del mercato, non sfruttando a pieno le proprie potenzialità. Venne così presentato un piano industriale, avente come duplice obiettivo il risanamento e la crescita4. I suoi punti salienti erano il rafforzamento dell’identità della Cooperativa, con attenzione ai marchi storici come Castelgreve e Clemente VII, l’innovazione tecnologica e la messa in piena funzione del nuovo impianto di imbottigliamento; la valorizzazione dei conferimenti, per innalzare la qualità e n riassetto dell’organizzazione aziendale, il tutto ponendo al centro sempre la compagine sociale, come nella migliore tradizione della Cooperativa. Il piano messo a punto segnò una lenta ma incoraggiante ripresa grazie anche a una efficace campagna di comunicazione accompagnata da un restyling delle etichette che riportò il logo della Cooperativa su tutte le bottiglie5 .
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Sopra. Vasche di fermentazione, 2005
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I risultati ottenuti furono vanificati dall’avvento della crisi che investì l’economia mondiale a partire dal 2008. A rischio, non era solo il marchio, ma i soci, i dipendenti e le loro famiglie e tutto il territorio.
Nonostante i timori, dopo tre difficili anni di riorganizzazioni e ristrutturazioni, la Cooperativa è riuscita a risollevarsi. Una rinascita segnata anche dalla ripresa esportazioni che la rende in grado di vendere metà della propria produzione nei mercati esteri (Stati Uniti i primi), grazie alla capacità di adeguarsi ai cambiamenti dei gusti e al valore qualitativo dei prodotti, dimostrato dalle numerose medaglie vinte e dagli alti punteggi assegnati dall’importante rivista americana Wine Spectator. Oggi la Castelli del Grevepesa, sotto la guida del presidente Enzo Benucci, può tornare a guardare al futuro, continuando a portare avanti l’eredità di quanti, cinquant’anni addietro, in un momento critico per la storia del Chianti, avevano scommesso su un’idea visionaria e rivoluzionaria nella consapevolezza che <<ci si salva e si va avanti se si agisce insieme>>.
A destra. Linea di imbottigliamento nuova, 2005 Note 1 Cfr. Archivio Castelli del Grevepesa (ACG), Verbali Assemblea generale dei Soci, 29 novembre 1998. 2 Cfr. ACG, Verbali Consiglio di Amministrazione, 20 febbraio 2001. 3 Cfr. ACG, Verbali Assemblea generale dei Soci, 13 dicembre 2003. 4 Cfr. Ibidem. 5 Cfr. ACG, Verbali Assemblea generale dei Soci, 21 dicembre 2007.
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2 Lâ&#x20AC;&#x2122;azienda
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La caratteristica principale dell’azienda è quella di essere produttrice di Chianti Classico, anche attraverso l’attività produttiva dei soci. Sono circa 100 aziende agricole associate che conferiscono all’azienda l’uva e/o il vino, la cooperativa non ha terreni di pertinenza e il risultato finale è quello di produrre vino di alta qualità e venderlo in più di 30 paesi nel Mondo. La cooperativa è una forma complessa di impresa, perché deve ottenere un doppio risultato positivo e un doppio profitto: verso i soci “fornitori” e verso il mercato attraverso una intelligente gestione delle strategie commerciali. È un equilibrio molto difficile da trovare.
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2 2.1 La missione Custodi delle tradizioni secolari Il vino viene prima di tutto dalla vigna, come hanno insegnato gli antenati: la valorizzazione del territorio e la salvaguardia delle tradizioni e delle antiche maestranze è fin dall’origine un obiettivo primario per Castelli del Grevepesa. Perché è solo con la passione e l’amore per la nostra terra che si producono vini di alta qualità.
Sopra. Uva Sangiovese, Castellina in Chianti
L’alta qualità deve essere per tutti Essendo una delle prime cooperative nate in Italia riuscire a coniugare alta qualità e prezzo è sempre stato motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Uno dei valori portanti su cui si basa il loro lavoro è quello di individuare metodologie e tecniche di produzione sempre più innovative per permettere a tutti di entrare a far parte della famiglia e poter gustare vini del Chianti Classico di indubbia e riconosciuta qualità, ad un prezzo accessibile.
A destra. Bottiglie D.OC.G. Castelli del Grevepesa
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2 2.2 Il Territorio Una terra antica, unica al mondo, dove l’occhio si perde tra il dolce saliscendi delle colline solcate per gran parte dai filari di Sangiovese, il vitigno principe del Chianti Classico. Il questo luogo la genuinità, la passione e il saper fare di antica tradizione hanno saputo unirsi all’innovazione in maniera responsabile e sostenibile: niente è stato snaturato e l’anima è rimasta intatta. Ogni lembo di terra, ogni singolo vigneto, hanno una storia, un microclima e un terreno specifico, particolare, coltivato e curato con passione e maestria dalle famiglie proprietarie secondo modi e regole secolari. Molte di queste famiglie, provenienti da varie zone del Chianti Classico, si sono unite e hanno dato vita alla grande famiglia dei Castelli del Grevepesa. La porta del Chianti Classico Coloro che provengono da nord entrano nel Chianti Classico attraverso i comuni di Greve in Chianti, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa e Barberino Val d’Elsa. La maggior parte delle aziende associate di Castelli del Grevepesa si trova in questi territori, e danno per primi il benvenuto a coloro che vogliono vivere il Chianti in tutta la sua bellezza. Da secoli sulle colline e lungo le valli le mani dei vignaioli curano ogni giorno i vigneti millenari, alimentando quella maestranza antica che continua a crescere costante nel tempo. Dopo tanti anni di esperienza sono stati individuati piccoli territori e addirittura singoli vigneti dove si possono coltivare uve dalle caratteristiche qualitative uniche.
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Tra di esse le più conosciute in ogni parte del mondo A sinistra. Borgo di Panzano sono: •Panzano, un antico borgo medievale fortificato in Chianti sorto in prossimità di un insediamento etrusco e Sotto. Campoli successivamente romano. Sopra. Colline Chianti
•Lamole, piccolo borgo arrampicato sui poggi a sud est di Greve in Chianti. •Campoli, al centro dell’omonimo “Piviere”, nel comune di San Casciano Val di Pesa. •Bibbione, con il Castello, appartenuto fin dal 1511 a Niccolò Machiavelli, che lo utilizzava come dimora di caccia. Oltre ai territori già elencati, Castelli del Grevepesa può anche contare sulle uve provenienti da San Gimignano e dalla Maremma Toscana, dalle quali i nostri soci presenti producono Vernaccia, Morellino di Scansano e Vermentino di ottima qualità. La maggior parte delle aziende associate di Castelli del Grevepesa si trova nei comuni di Greve in Chianti, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa e Barberino Val d’Elsa. Oltre a queste, Castelli del Grevepesa può contare anche sulle uve prodotte dagli associati di San Gimignano e della Maremma Toscana.
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2 2.3 La produzione Le vigne il bene più prezioso Castelli del Grevepesa è fra i primi produttori per quantità e terroir del Chianti Classico. Oltre 120 famiglie che con passione e impegno curano i loro vigneti come figli, da generazioni, contando sulla preziosa supervisione di un team di Agronomi esperti che li affianca e li guida scrupolosamente durante tutto l’arco dell’anno, fino alla vendemmia. Hanno un compito fondamentale: monitorare lo stato dei vigneti ed intervenire, se necessario, in base all’andamento stagionale. Un grande lavoro di squadra che unisce le varie competenze con le tecnologie e i sistemi di coltivazione di ultima generazione. Una grande festa di famiglia La raccolta è ogni anno una grande festa, oltre a un duro lavoro. Le uve vengono interamente conferite dagli Associati alla cantina di Castelli del Grevepesa. Una volta giunte in cantina Cantinieri insieme a Enologi controllano in laboratorio la qualità delle uve e monitorano ogni fase del processo, dalla vinificazione fino all’imbottigliamento.
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Sopra. Gruppo enologi, Greve in Chianti A destra. Vigneto Greve in Chianti Sotto. Vendemmia in Val di Pesa
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Tanti terroir, una sola cantina La vinificazione è per tutti una fase molto articolata e complessa. I Castelli del Grevepesa è l’unica azienda che nel Chianti Classico può vantare una gamma così articolata di vini generati da uve provenienti da differenti terroir e che sono totalmente prodotti nella propria cantina. I vini provenienti dalle varie zone/ vigneti vengono mantenuti separatamente fino all’assemblaggio finale. Soltanto in questa maniera esprimono appieno le caratteristiche organolettiche di ogni singola zona produttiva. Ogni processo di vinificazione viene quindi differenziato a seconda delle diverse varietà di uve e delle loro caratteristiche fino all’imbottigliamento. La caratteristica principale dell’azienda è quella di essere produttrice di Chianti Classico, anche attraverso l’attività produttiva dei soci. Sono circa 100 aziende agricole associate che conferiscono all’azienda l’uva e/o il vino, la cooperativa non ha terreni di pertinenza e il risultato finale è quello di produrre vino di alta qualità e venderlo in più di 30 paesi nel Mondo. La cooperativa è una forma complessa di impresa, perché deve ottenere un doppio risultato positivo e un doppio profitto: verso i soci “fornitori” e verso il mercato attraverso una intelligente gestione delle strategie commerciali. È un equilibrio molto difficile da trovare. L’azienda produce e distribuisce un volume di 2 milioni e mezzo di bottiglie l’anno, ma ha un potenziale produttivo quasi doppio e quindi lo stabilimento di imbottigliamento opera anche per conto terzi, in ottica di business to business (2b2), verso operatori commerciali che acquistano il vino e lo affidano alla lavorazione della cooperativa, per un volume di circa 2 milioni di bottiglie l’anno. Da questa attività l’azienda ricava circa il 7% del fatturato e con il quale contribuisce a sostenere i costi per risorse e impianti.
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2 2.4 Vini e denominazione •CHIANTI D.O.C.G. La produzione del Vino Chianti interessa un’area vasta ed omogenea. Quando nel 1927 un gruppo di produttori delle Province di Firenze, Siena, Arezzo e Pistoia dette vita al Consorzio Vino Chianti, la distinzione tra Chianti e Chianti Classico non esisteva. Apparve la dicitura “Classico” solo nel 1932, mentre nel trentennio successivo la zona di produzione di quello che è il Chianti Doc, fu ampliata più volte, fino all’attuale configurazione che comprende zone ricadenti nelle provincie di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia e Siena, incluse nel 1967. Sopra. Fiasco Castelgreve
Il riconoscimento come Vino Chianti Docg arriva nel Chianti Classico 1984, ed oggi quella toscana è la denominazione rossista più grande d’Italia, su cui insistono 3.000 produttori, che coltivano 15.500 ettari di vigneto, per Sotto. Gran Selezione lo più a Sangiovese, per una produzione media di Lamole e Panzano 800.000 ettolitri. Le radici comuni, fanno sì che la “ricetta” sia la stessa: anche il Chianti Docg si rifà agli insegnamenti di Bettino Ricasoli, che nel 1834 pose le basi del vino: fu lui ad introdurre la separazione di raspi e vinacci, la fermentazione delle uve in vasi chiusi ed una svinatura rapida. E poi la mescolanza tra varietà stesse è il segreto di un grande vino: il Chianti andava perciò prodotto con il 70% di Sangioveto (cioè Sangiovese), 15% di Canaiolo e 15% di Malvasia, le tre varietà che hanno fatto grande la Toscana, insieme al Trebbiano. Il Chianti oggi nasce in una area geologicamente omogenea, a sud dell’Appennino e fra le latitudini che ricomprendono Firenze e Siena. Una fascia inizia a nord, dalla zona del Mugello verso Rufina e
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Pontassieve, prosegue lungo i monti del Chianti fino ad arrivare a ricomprendere il territorio del Comune di Cetona. L’altra si origina sul Montalbano e si allaccia alla Val di Pesa con direttrici verso San Gimignano e Montalcino. Il nucleo centrale è contornato da propaggini legate ai sistemi collinari dell’Aretino e del Senese, del Pistoiese, del Pisano e del Pratese. Ovviamente, anche la produzione dei Castelli del Grevepesa abbraccia il Chianti Docg, seppure con una sola etichetta: il Castelgreve Chianti Pontormo.
Sopra. Clemente VII, Castelgreve e Castello di Bibbione Chianti Classico
Sotto. Clemente VII, Castelgreve e Castello di Bibbione Riserva
•CHIANTI CLASSICO D.O.C.G. Quello del Chianti Classico è il primo esempio di denominazione ante litteram. Il suffisso “Classico” arriva nel 1932, per distinguere il territorio del Chianti Classico da quello del Chianti prodotto fuori dai confini storici, mentre nel 1984 ottiene la Docg. Oggi le varietà principali, rigorosamente a bacca rossa, oltre al “re” Sangiovese, sono gli autoctoni Canaiolo e Colorino e gli internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot. I Castelli di Grevepesa, circa 120 associati nel cuore del Chianti Classico, con i vigneti concentrati tra i comuni di Greve in Chianti, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa e Barberino Val d’Elsa, vantano in questo senso tre linee produttive: Castelgreve, Clemente VII e Castello di Bibbione. La Gran Selezione, è una delle maggiori innovazioni e rappresenta il vertice produttivo della denominazione: da un singolo vigneto e sul mercato dopo almeno 30 mesi di invecchiamento, quindi la Riserva, invecchiata almeno 24 mesi, e l’annata, la base produttiva di ogni cantina. •MORELLINO DI SCANSANO D.O.C.G. Denominazione di riferimento del Sud della Toscana enoica, quella del Morellino di Scansano è anche una delle più importanti: 1.500 ettari vitati iscritti a Morellino, tra l’Albegna e l’Ombrone, per 346 aziende produttrici
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nei comuni di Scansano, Campagnatico, Grosseto, Magliano in Toscana, Manciano, Roccalbegna e Semproniano, una produzione che va dalle 8 alle 10 milioni di bottiglie, di cui il 75% vendute in Italia, il restante 25% all’estero (in Germania e Stati Uniti). I Castelli del Grevepesa producono un loro Morellino, il Solatro, della linea Castelgreve, prevalentemente da uve Sangiovese. Fondamentale lo sbocco sul Mar Tirreno: E proprio verso il mare guarda il futuro della denominazione, che potrebbe agganciare il proprio exploit definitivo al boom del turismo costiero, capace di attirare ogni anno milioni di persone e di potenziali “wine lovers”. •I SUPER TUSCAN E IL CHIANTI CLASSICO Negli anni Settanta la famiglia Antinori lanciò una sfida al potere costituito, ossia quello del re dei vitigni delle colline tra Firenze e Siena, il Sangiovese con il Cabernet Sauvignon: nasce così il Tignanello, cui seguì il Solaia, che invertì le percentuali tra Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Nell’arco di poco tempo, tra i castelli del Chianti Classico, sembrava che tutti dovessero avere un proprio Super Tuscan, così ribattezzato dalla critica internazionale, venduto provocatoriamente come vino da tavola, e successivamente come Toscana Igt. Una delle novità più importanti del panorama produttivo italiano, ma si rischiava di allontanarsi dalla tipicità del Chianti. Fu anche sull’onda dell’innovazione dei Super Tuscan se il Chianti Classico, diventato una Denominazione indipendente nel 1996, si impose con gli stilemi di una tradizione più stringente. Definire il Settimo, il Rosso Toscana IGT della linea Clemente VII dei Castelli di Grevepesa come un Super Tuscan può suonare come una piccola forzatura, ma l’incontro tra Sangiovese, Merlot e Syrah ne fa, a tutti gli effetti, un piccolo Super Tuscan.
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Sopra. Solatro, Morellino di Scansano, Castelgreve Sotto a destra. Gran Selezione, Castello di Bibbione Sotto a sinistra . Settimo, Clemente VII
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•VINO ROSSO TOSCANO IGT Sott l’Indicazione Geografica Tipica Toscana trovano spazio tutti quei vini prodotti da uve coltivate nella Regione Toscana, da varietà ammesse all’albo delle varietà coltivabili, di qualunque genere.
Con il Toscana IGT Rosso, non bisogna credere che si tratti necessariamente di un vino meno “importante” di un vino a denominazione. Nella storia recente della viticoltura e dell’enologia toscana gli esempi più fulgidi dell’innovazione e della qualità, rientrano in questa categoria. Ovviamente però non bisogna neanche credere che i vini Toscana IGT sono nati per necessità di sfruttare il potenziale vitivinicolo aziendale al di là delle limitazioni imposte dai disciplinari di produzione delle Doc e delle Docg. Sopra. Rosso e Bianco Toscana, Casltegreve
Sotto. Elianto, Vermentino di Toscana
Nel caso della Castelli del Grevepesa, troviamo il Castelgreve Rosso Toscana e Bianco Toscana, ma anche l’Elianto, un Vermentino Toscana prodotto dalle uve a bacca bianca provenienti dall’alta Maremma. Nella linea Clemente VII, invece, c’è il Settimo. •VINO BIANCO TOSCANO IGT Proprio come per la versione rossa, i vini devono essere ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, da uno o più vitigni idonei alla coltivazione nella regione Toscana. Quando si parla di uve a bacca bianca in Toscana rispondono a tre nomi: Trebbiano, Chardonnay e Sauvignon Blanc, e Malvasia. Ogni latitudine ci porta a conoscere centinaia di varietà. E allora, dall’incontro tra la tradizione toscana e il gusto internazionale, e quindi tra Trebbiano e Chardonnay, nasce il Bianco Toscana IGT di Castelgreve. •VIN SANTO TOSCANO Le radici del Vin Santo sono tutt’altro che toscane, ma del resto la storia del vino è ricca di incontri, scambi e incroci.
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Tra mito e storia, quello che per secoli è stato un vino per pochi, destinato alle aristocrazie e non certo al popolo, è oggi una produzione secondaria, ma che resiste. Prima di tutto in Toscana, e non solo nel Chianti, ma anche in Emilia Romagna ed in Umbria. Quello che accomuna tutti i Vin Santo, e che li rende unici e differenti da ogni altro vino, è lo stile produttivo. Innanzitutto, le uve: ad ogni territorio e ad ogni terreno, le sue varietà, Malvasia e Trebbiano in Toscana, ma si usano Pinot Bianco o Grigio, Chardonnay, Sauvignon. L’operazione più delicata è quella dell’appassimento delle uve, pratica costosa ma necessaria. Si Sopra. Vin Santo del Chianti possono seguire tre metodi: appassimento sulla Classico, Castelgreve pianta; appassimento negli appassitoi, la modalità utilizzata dappertutto; infine, l’appassimento in locali con ventilazione forzata, come succede per le uve dell’Amarone. Quando la percentuale zuccherina ha raggiunto tassi compresi tra il 25% ed il 40%, i grappoli vengono avviati al processo di ammostamento. L’uva, così concentrata, passa alla spremitura, quindi il mosto, carico di feccia e di vinaccia, viene mantenuto solitamente per 3-4 Sotto. Vin Santo del Chianti giorni ad una temperatura di 20-22 gradi. Dopo la decantazione, inizia la fase determinante per la qualità: la fermentazione nei caratelli. Qui, hanno luogo sia la fermentazione che l’invecchiamento. Dopo un minimo di tre anni, il Vin Santo viene tolto dal caratello per essere imbottigliato, subendo un processo di filtrazione. Questo è il lungo processo ospitato anche nelle cantine dei Castelli del Grevepesa, dove nascono il Vin Santo del Chianti Classico Castelgreve ed il Vin Santo del Chianti Classico Riserva Clemente VII.
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Classico Riserva, Clemente VII
2 2.5 Vitigni •SANGIOVESE Tra le centinaia di vitigni autoctoni italiani, il più iconico è il Sangiovese, che copre poco meno di un decimo delle superfici vitate del paese (53.865 su 637.634). Coltivato ovunque, ha in Toscana il suo luogo d’elezione: il Sangiovese, infatti, è la base esclusiva dei più grandi vini della Regione, dal Brunello di Montalcino al Nobile di Montepulciano, dal Morellino di Scansano fino al Chianti ed al Chianti Classico.
Sopra. Grappolo di San Giovese
Tanti, però, sono i cloni di questo vitigno, ognuno con le sue caratteristiche, tanto che può rivelarsi difficoltoso definire caratteristiche organolettiche univoche del Sangiovese che, però, nel Chianti Classico esprime un’eleganza ed una finezza uniche. Per le sue numerose declinazioni è impossibile definirne l’origine. E’ nel 1875 che la Commissione Ampelografica di Siena definisce il Sangiovese come la varietà più coltivata nel Chianti, continuandolo a chiamare Sangioveto. •CHARDONNAY Lo Chardonnay è il vitigno a bacca bianca più coltivato al mondo, tanto da rappresentare il 6% di tutte le superfici vitate. Nonostante la sua popolarità, è per eccellenza il vitigno dei grandi bianchi di Borgogna e la base produttiva, insieme al Pinot Noir, dello Champagne.
Sopra. Grappolo di Chardonay
La sua incredibile capacità di adattamento lo rende coltivabile praticamente ovunque, eccetto le fasce più settentrionali e fredde. Per il suo carattere non eccessivamente marcato, si presta perfettamente alla declinazione che decide di dargli il produttore: in rovere assume note di nocciola e burro, come nello
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Chablis, nella sua versione spumantizzata, come nello Champagne e, in Italia, nel Franciacorta, dona invece freschezza ed acidità. In Toscana è una varietà ammessa in diverse Doc, dal Bianco di Pitigliano al Maremma Toscana Doc, mentre tra i filari del Chianti, dove è comunque assai popolare, può essere utilizzato esclusivamente per la produzione di Toscana IGT, come nel caso del Castelgreve Bianco Toscana IGT dei Castelli di Grevepesa, un blend di Trebbiano e Chardonnay. •TREBBIANO TOSCANO Il Trebbiano Toscano è una delle varietà tra le più bistrattate, associata alla produzione quantitativamente rilevante, di vini senza grande personalità ed incapaci di invecchiare. Il suo gemello francese, l’Ugni Blanc ha avuto maggiore fortuna: dalla sua distillazione, infatti, si produce il Cognac. La sua “italianità” è talmente forte da avere parenti come la Garganega, il vitigno chiave del Soave, ma ha parentele con almeno altri otto vitigni, e grazie alla sua incredibile capacità produttiva e ad adattabilità, è la più piantata tra le varietà a bacca bianca in Italia. Il suo ruolo nella produzione del Vin Santo è fondamentale, aggiunge acidità e permette, ancora una volta, di accrescere la quantità prodotta.
Sopra. Trebbiano Toscano
•MALVASIA DEL CHIANTI La Malvasia del Chianti, che tecnicamente si chiama Malvasia Bianca Lunga, ha origine dal Nord Est. A livello ampelografico, è una delle varietà più facili da riconoscere, con il suo tipico grappolo grande ed ampio, dagli acini rotondi e medio-piccoli e la buccia leggermente più spessa e resistente di quella del Trebbiano Toscano. Ovviamente, la morfologia cambia ma a grandi linee, queste sono le sue caratteristiche più evidenti. Cresce senza grosse difficoltà in tutta la Toscana, ma è particolarmente suscettibile alla peronospora,
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Sopra. Malvasia del Chianti
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ma non è troppo resistente a nessuna delle malattie della vite. Fondamentale il suo apporto al Vin Santo: dalla Malvasia del Chianti, come è giusto chiamarla in questo caso, vengono aromaticità e freschezza, centrali nel risultato del vino dolce reso grande dai viticoltori del Chianti.
Sopra. Vernaccia di San Gimignano
•VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO La più conosciuta denominazione di vini bianchi di Toscana è quella della Vernaccia di San Gimignano. Nel Cinquecento quella della Vernaccia è una realtà affermata, ogni famiglia nobile di San Gimignano e di Firenze ne produce in grande quantità. Oggi, è una denominazione affermata, prima Doc bianchista del Paese nel 1966, conta su 720 ettari vitati a Vernaccia, per una media produttiva che sfiora i 6 milioni di bottiglie l’anno ed un giro d’affari di 16 milioni di euro, legato a doppio filo alla vendita nella stessa San Gimignano, mentre il 52% dei fatturati arrivano dai mercati esteri. •VERMENTINO Neanche i più grandi studiosi di enologia sono riusciti a fare chiarezza sulle sue origini. Eppure, degli oltre 4.000 ettari di Vermentino coltivati in Italia, nell’isola sarda ne sono messi a dimora ben 3.300, ma è la Toscana la seconda terra d’elezione del popolare vitigno a bacca bianca, con 544 ettari. Il Vermentino, dà il meglio di sé su terreni poveri, specie vicino al mare, grazie ad una grande tolleranza al sale marino, baciati dal sole. Caratteristiche che, in Toscana, si ritrovano soprattutto nell’Alta Maremma, da dove arrivano appunto le uve dell’Elianto, il Vermentino Toscana IGT della linea Castelgreve dei Castelli del Grevepesa, un Vermentino al 100%, che esalta le caratteristiche organolettiche del vitigno: fiori bianchi, note fruttate ed una naturale sapidità, figlia delle influenze del Mar Tirreno.
Sopra. Vermentino
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3 I prodotti
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I Castelli di Grevepesa, circa 120 associati nel cuore del Chianti Classico, con i vigneti concentrati tra i comuni di Greve in Chianti, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa e Barberino Val dâ&#x20AC;&#x2122;Elsa, vantano in questo senso tre linee produttive: Castelgreve, Clemente VII e Castello di Bibbione.
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3 3.1 Castelgreve Il vino “Chianti Classico Castelgreve” è un Chianti, sicuramente uno tra i più importanti vini prodotti dall’azienda Castelli del Grevepesa. Esso si contraddistingue per il suo profilo organolettico caratteristico ed originale al tempo stesso. È un vino rosso, fermo e secco, vinificato da uve Sangiovese nel contesto delle tipologie previste dalla denominazione Chianti Classico DOCG. È caratterizzato dal giusto tenore zuccherino e alcolico e da buona acidità fissa, la quale contribuisce ad esaltarne i profumi e a mantenerli nel tempo. Colore rosso rubino intenso, si presenta con profumi eleganti, note di viola e sfumature di frutta matura. Gusto pieno, armonico con tannino morbido e vellutato, finale persistente.
Sopra. Castelgreve Chianti Classico, vendemmia 1967 A destra. Castelgreve Chianti Classico riserva, 1985 Sotto. Castelgreve Chianti Classico riserva, 1978
Il nome è legato al territorio, ci troviamo nella valle del Greve e molti soci che possedevano un castello (Castello di Bibbione, Castello di Strozzavolpe,…). Il nome Castelli del Grevepesa è dovuto al fatto che questi castelli erano collocati tra il fiume Greve e il fiume Pesa.
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3 3.2 Clemente VII Castelli del Grevepesa ha alcune delle sue vigne più prestigiose nell’antico terroir del Piviene di Campoli, nel cuore del Chianti Classico, a 25 km da Firenze. I vini prodotti a Campoli sono sempre stati rinomati e apprezzati. Per la sua posizione la Pieve di Campoli fu soggiorno prediletto di Vescovi fiorentini, tra i quali Giulio de Medici, che venne eletto Papa con il nome di Clemente VII nel 1523. Castelli del Grevepesa, dedicandosi alla selezione del suo Chianti Classico con particolare impegno, ha voluto ricordare con un vino prezioso la storia di un illustre personaggio. Il vino Clemente VII nasce dalla selezione di Uve Sangiovese provenienti da questo Terroir. Colore rosso rubino molto intenso e brillante. Al naso presenta un bouquet ricco e raffinato. Ottimo equilibrio tra i tannini del legno e quelli del vino così da rendere il gusto sapido, complesso, con retrogusto persistente. Il nome di questo vino è nato nel 1991 ed è un nome profetico. È un vino prestigioso che si situa nella gamma alta della produzione della qualità dei vini italiani. Quando nacque, il miracolo, era aver individuato e fatto un vino a un papa dei Medici, Papa che è poi il secondo della famiglia dei Medici, che è Clemente VII, raffigurato in un ritratto alla pieve che è vicino proprio alla cantina. In questa pieve il curato riceve il cavaliere Gualtiero Alessandro Nunzi, fondatore della Grevepesa, che era andato per vedere di fare un investimento di miglioria, restaurare un po’ questa pieve prestigiosa, bellissima, ma all’epoca abbandonata a se stessa. Nella penombra scorgono un quadro e questo quadro era il ritratto di Clemente VII, la genialità del Cav. Nunzi la sapete è proverbiale, conosceva il marketing perché veniva da una
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bellissima esperienza col caffè, era passato al vino per passione e quando le cose si fanno per passione c’è il pallino proprio e immagina di poter dedicare un vino, chiede tutti i permessi, fa le cose per bene e nascerà questo vino che è il Clemente VII.
A sinistra. Linea Riserva Clemente VII A destra. Bottiglia Clemente VII Chianti Classico del 1988 Sotto. Papa Clemente VII
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3 3.3 Castello di Bibbione l Castello di Bibbione è situato nel Comune di San Casciano Val di Pesa, a 20 km da Firenze e i proprietari sono soci dei Castelli di Grevepesa sin dagli anni ’70. Il Castello di Bibbione è documentato in antichissimi manoscritti fin dal 977 con il nome di Castrum Bibionis. Dal 1124 fu proprietà della Famiglia Buondelmonti, ed il Castello di Bibbione divenne uno dei quatto Castelli Buondelmonti, collegati tra loro e costituenti un quadrilatero a difesa della Valle del Pesa. Nel 1511 Niccolò Macchiavelli lo acquistò assieme alla fattoria usandola come dimore di caccia. Oggi il Castello di Bibbione è una splendida struttura inserita nel cuore del Chianti Classico. Il Chianti Classico Riserva Castello di Bibbione nasce dalla selezione delle migliori uve di Sangiovese del Castello di Bibbione, famiglia Rangoni Machiavelli. Colore rosso rubino intenso, profumo vivace, con sentori di frutta matura e vaniglia. Vino nobile, corposo, ampio e vellutato. Le Selezioni non hanno avuto il successo che si aspettava il Consorzio. La particolarità della cantina è quella di essere produttori del Chianti Classico e utilizzano una determinata denominaizone. Con le selezioni ci sono state perplessità legate alla vendita del vino: oltre al Chianti Classico di annata c’è sempre una Riserva, ovvero un affinamento più lungo di 12 mesi. Esisteva perciò, una scalettatura tra un livello qualitativo normale (il Chianti Classico) e un’eccellenza (la Riserva). Il problema è nato nel momento in cui sono state create le Gran Selezioni, poiché non si sapeva dove collocare, in teoria sopra la Riserva, però la presenza
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di entrambe cosĂŹ vicine metteva in dubbio la scelta.
Gli obiettivi del Consorzio di vendere queste bottiglie a prezzo elevato si scontra con un mercato verso il quale non viene recepita questa aspettativa: vanno vendute sempre a prezzi elevati ma con un target di riferimento diverso da quello che si immaginava il Consorzio.
A sinistra. Castello di Bibbione, San Casciano Val di Pesa Sotto. Castello di Bibbione Chianti Classico
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3 3.4 I premi Castelgreve
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3 Clemente VII
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3 Castello di Bibbione
A sinistra. Linea Clemente VII premiata
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Sopra. Clemente VII Gran Selezione in scatola
Sopra. Grappa Riserva Clemente VII
Sopra. Clemente VII Gran Selezione
Sopra. Vin Santo Clemente VII
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Struttura organizzativa
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I Castelli di Grevepesa, circa 120 associati nel cuore del Chianti Classico, con i vigneti concentrati tra i comuni di Greve in Chianti, San Casciano Val di Pesa, Tavarnelle Val di Pesa e Barberino Val dâ&#x20AC;&#x2122;Elsa, vantano in questo senso tre linee produttive: Castelgreve, Clemente VII e Castello di Bibbione.
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4 4.1 Organigramma La Castelli del Grevepesa, essendo una Cooperativa, la sua struttura organizzativa parte da un Corpo Sociale, composto da un’Assemblea Generale dei Soci che elegge il Consiglio di Amministrazione. Il Consiglio di Amministrazione è composto da otto membri, eletti dall’Assemblea fra i Soci. Degli otto Consiglieri, quattro sono scelti fra i conduttori non diretti coltivatori e quattro fra i conduttori diretti coltivatori. Esso ha il ruolo fondamentale di gestire la Società e per conseguire il suo obiettivo è investito dei più ampi poteri: può deliberare su tutti gli atti e le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione; può delegare parte delle sue attribuzioni ad uno o più dei suoi membri; delibera l’assunzione del personale necessario per l’espletamento dell’attività sociale, fissandone le mansioni e la retribuzione. Tra i suoi compiti principali esso pianifica la politica aziendale assegnando al Direttore Generale il compito di tradurla in programmi operativi, verificando e controllando le attività realizzate e il suo operato. Perciò è l’organo che elegge il Direttore Generale. Il Direttore ha il ruolo di sovrintendere la gestione della Cooperativa programmando obiettivi, azioni e tempistiche definite dal Consiglio di Amministrazione e assegnando gli opportuni obiettivi ai suoi subordinati. Ha il compito di pianificare gli investimenti strutturali, finanziari, impianti, macchinari ed attrezzature; verificare periodicamente le tempistiche di attuazione e il raggiungimento degli obbiettivi; promuovere, instaurare e garantire i rapporti con i clienti; gestire se autorizzato dal CdA i rapporti strategici con le banche e istituti di credito; coordinare e gestire i tre comparti dell’azienda: Amministrazione, Commerciale e Produzione.
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L’Amministrazione è gestita da un Direttore Amministrativo, che risponde al Direttore Generale, con il ruolo di controllo contabile-gestionale, inoltre verifica la registrazione di documenti contabili in uscita ed in entrata, aggiornando il Direttore sull’andamento del bilancio della Cooperativa e verifica le attività relative agli aspetti amministrativi (amministrazione del personale). Il suo compito principale quindi è quello di controllare la situazione amministrativa e contabile della Cooperativa avvalenosi di un personale composta da: Contabilità clienti - CED e Contabilità Fornitori - Banche. Il settore Commerciale è coordinato dal Direttore Commerciale, che risponde sempre al Direttore Generale, ed è il responsabile dell’attuazione delle politiche commerciali dell’azienda. La sua missione è quella di vendere: egli ha l’incarico di sviluppare la Cooperativa sul territorio in termini di immagine, innovazione, crescita occupazionale, radicamento e affermazione sul mercato, nel rispetto della mission principale. Perciò deve essere in grado di definire la strategia di penetrazione del mercato; la politica di comunicazione verso l’esterno e verso l’interno; promuovere e attuare il piano di marketing/aziendale; realizzare materiale promozionale, cataloghi e brochure. Svolge i suoi compiti muovendosi su quattro canali: Horeca Italia, la GDO Italia/Estero, Horeca Estero e il Digital Branding. In base al settore, il Direttore Commerciale, può avvalersi di due collaboratori. Nel settore dell’Horeca Italia ha alle dipendenza la figura di un Horeca Manager che gestisce le Agenzie di Vendita a Milano, Roma e Firenze, gli agenti e un adetto alle vendite in Enoteca. Invece nell’Horeca Estero si affida alla figura di un Export Manager, che ha il ruolo di sviluppare e gestire al meglio l’ascesa dell’azienda all’estero, quindi il suo compito è quello di accompagnare e introdurre l’azienda nei mercati esteri e di consolidare la sua presenza.
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Ha subordinato un Assistente alle Vendite Estero che svolge la mansione di Digital Branding promuovendo la comunicazione sui social ma anche quella di Back Office Manager, con il compito di preparare le offerte da presentare ai clienti, gestire gli ordini, eseguire ricerche mirate su prodotti specifici, possibili clienti e mercati esteri. In alcuni casi è suo compito anche ideare o supportare la preparazione di strategie di marketing (e web-marketing). A differenza, nel settore GDO e Horeca Italia, la funzione di Back Office è gestita da un’unica figura di Back Office Manager con il compito di gestire le richieste dei clienti, inserire gli ordini e preparare offerte commerciali.
La Produzione è diretta dal Responsabile della Produzione, che risponde anch’esso al Direttore Generale, che coincide con la figura dell’Enologo ed è il responsabile dell’intero andamento produttivo dell’impresa con il compito di pianificare, controllare e coordinare l’attività produttiva dell’azienda per ottimizzarne le risorse e il rendimento. Principalmente ha il compito di definire e dirigere le diverse fasi della produzione aziendale, nei tempi, nei metodi e nelle risorse da utilizzare; pianificare la programmazione della produzione, in base alla disponibilità delle risorse e agli impegni contrattuali assunti e garantire la qualità del prodotto finale. Si relaziona inoltre con due figure: i Responsabili del controllo di gestione che lo aiutano sia a gestire il reparto della Cantina, composta da una struttura innovativa come il laboratorio e dalle figure di due cantinieri, un agronomogo e un enologo, con il compito di guardare il vino, sia sulle procedure adottate per la produzione, che riguarda il reparto industriale dell’imbottigliamento, dove l’attività più importante è la Programmazione della produzione stessa e la Tracciabilità del prodotto perché ogni bottiglia deve poter essere riportata alla Cantina che la
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produce e con i Controllori della QualitĂ , per eventuali problemi tecnici sul funzionamento dei prodotti. Il settore Programmazione e Acquisti è affidato al Magazzino, che si compone di due addetti: un magazziniere e un addetto alle spedizioni, e alla Linea di Imbottigliamento, composta da tre collaboratori: un adetto alla manutenzione e due adetti alla linea. Infine esiste un Responsabile SSLL che si occupa dellâ&#x20AC;&#x2122;organizzazione, del mantenimento e del miglioramento del sistema di gestione del servizio della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, con il compito di coordinare il servizio di protezione e prevenzione dai rischi, con poteri decisionali in merito alla normativa in vigore sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. A destra. Organigramma della Castelli del Grevepesa
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5 Utenti e Mercati
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L’azienda opera sia su mercati nazionali che Internazionali. Si appoggia a due tipologie di distribuzione: la GDO è un insieme di punti vendita gestiti a libero servizio, organizzati su grandi superfici e, generalmente aderenti ad un’organizzazione o a un gruppo che gestisce una serie di punti vendita contrassegnati da una o più insegne commerciali comuni (la c.d. catena distributiva. Comprende sia le catene di punti vendita caratterizzati dalla gestione unitaria e dall’appartenenza a una medesima proprietà (la c.d. Grande Distribuzione o GD), sia le catene di distribuzione che si costituiscono grazie ad accordi di associazione tra commercianti, come consorzi e cooperative di consumo (la c.d. Distribuzione Organizzata o DO); Il canale HORECA che include l’industria alberghiera e tutte quelle attività che gravitano intorno a food, beverage e hospitality. Il canale Horeca non deve essere confuso con la GDO, quindi con la grande distribuzione, che invece si occupa del commercio di cibi e bevande e non della loro somministrazione. Perciò gli utenti finali spaziano da coloro che acquistano le bottiglie di vino al supermercato, fino ai clienti dei ristoranti. Proprio per questo che in base al canale di distribuzione l’etichetta avrà caratteristiche diverse.
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5 5.1 Utenti finali e intermediari Gli utenti finali sono di diverse categorie in base al canale di distribuzione: 1. GDO ITALIA e ESTERO 2. HORECA ITALIA e ESTERO
Sopra. Logo GDO
Sotto. Logo H.O.R.E.C.A.
Nel canale della GDO l’Azienda cura direttamente i rapporti con la GDO in Italia e spesso anche all’estero. Sia in Italia che all’Estero gli utenti finali sono i clienti (consumatori) che acquistano nelle grandi catene dei supermercati (Esselunga, Metro, Coop, Conad, ..). Il fattore che contribuisce ad aumentare le vendite è strettamente legato al personale del supermercato che crea le circostanze attraverso una specifica collazione dei prodotti sugli scaffali, seguendo una precisa scelta strategica e la possibile presenza di sommelier per far degustare un assaggio dei vini più pregiati. In Metro esistono dei “corner”, una sorta di manifestazioni in cui i rappresentanti della Cantina spiegano i proprio prodotti, dove in questo caso l’utente finale sono coloro che hanno la partita IVA. Tutte queste iniziative dipendono dalle scelte delle catene di supermercato. Nell’HORECA in Italia gli utenti finali sono coloro che acquistano le bottiglie in enoteca oppure l’avventore del ristorante. In entrambi i casi la vendita viene effettuata da addetti “specializzati”, che nel caso dell’enoteca è il personale, mentre nei ristoranti è l’addetto ai vini (Sommelier interno), i quali si riferiscono direttamente all’utente poiché non è detto che esso sia così esperto da sapere già cosa desidera. Queste figure che vendono sono stimolate dalla vendita dei prodotti da cui possono ricavare il maggior guadagno. Per quanto riguarda l’estero, esiste una differenza rispetto al canale GDO. In questo caso, l’Azienda
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stipula un accordo di partnership con un importatoredistributore per i mercati esteri e ne delega la gestione della successiva distribuzione al dettaglio, agli hotel, ristoranti, etc. La scelta del canale in cui distribuire resta all’importatore-distributore, che consegue una funzione di intermediario, tra l’Azienda e il distributore finale. Perciò, nella vendita all’estero l’acquirente (l’importatore-distributore) rimane lo stesso, mentre l’utente finale cambia in base al canale in cui il prodotto viene venduto. La differenza tra GDO e HORECA è la presenza di un intermediario quando l’attenzione dell’azienda si sposta all’estero, figura che non è presente quando l’azienda si interfaccia con le Grandi Distribuzioni. Il fattore che orienta nella scelta di acquisto degli utenti finali è il rapporto qualità/prezzo. Nel caso dei ristoranti dipende molto dall’abilità dell’agente di vendita: nel mondo del vino, gli agenti di vendita non sono monomandatari, ma sono plurimandatari e perciò possono rappresentare più aziende. La fidelizzazione avviene una volta che il prodotto è stato acquistato riesce a soddisfare i criteri di qualità/ prezzo. A sinistra. Indagine GDO italiana, focus ortofrutta, 2017
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5 5.2 Distribuzione L’azienda produce e distribuisce un volume di 2 milioni e mezzo di bottiglie l’anno, ma ha un potenziale produttivo quasi doppio e quindi lo stabilimento di imbottigliamento opera anche per conto terzi, in ottica di business to business (2b2), verso operatori commerciali che acquistano il vino e lo affidano alla lavorazione della cooperativa, per un volume di circa 2 milioni di bottiglie l’anno. Da questa attività l’azienda ricava circa il 7% del fatturato per servizi e ne trae un benefico economico eccellente perché contribuisce a sostenere i costi per risorse e impianti disponibili che diversamente peserebbero sui costi fissi. Di seguito una serie di tabelle esprimono la distribuzione dell’azienda, grazie alle quali è possibile sapere quale tipologia di vino l’azienda è andata a vendere, in base questo viene fatto il riscontro con il budget. Utile anche per il commerciante per andare a vedere dove e a chi ha venduto. Sotto. Attività di vendita dell’azienda 2018
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Sopra. Distribuzione per Paese, 2018
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Sopra. Distribuzione geografica, lâ&#x20AC;&#x2122;analisi si può specializzare sui Paesi di appartenenza, la Ragione Sociale e il singolo articolo
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5 5.3 Segmentazione e canali di distribuzione I principali canali di distribuzione in cui la Castelli del Grevepesa opera sono due: la GDO, Grande Distribuzione Organizzata, e l’HORECA, o meglio Ho.Re.Ca., che è l’acronimo di Hotellerie, Restaurant e Cafè (in molte interpretazioni sostituito da Catering). I quali a loro volta si dividono tra Italia e Estero: 1.GDO Italia: in Italia, la Grande Distribuzione Organizzata soffre una notevole debolezza delle catene nazionali che si trovano sottomesse dalla potenza dei colossi esteri, in particolar modo nei settori discount e ipermercati, rispettivamente dominati da gruppi tedeschi e francesi. Solo nei modelli di vendita superstore, supermercati e superette dominano i gruppi italiani. 2. GDO Estero 3.HORECA Italia: in Italia il comparto Horeca rappresenta uno dei settori più redditizi e più propensi ad innovazione e cambiamenti) 4. HORECA Estero Come sono ripartite le vendite nei diversi canali distributivi: In Italia la GDO è un canale distributivo nel quale l’azienda opera da molto tempo. Tra le principali insegne ci sono: Esselunga (partnership storica), Metro, Conad, Coop e rappresentano circa il 60% delle vendite. Quello dell’Horeca è un settore che va ben oltre le barriere nazionali e che coinvolge player da tutto il mondo, soprattutto negli ultimi anni in cui il turismo internazionale è sempre più sviluppato e gli spostamenti, per lavoro e per piacere, sono sempre più frequenti.
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La distribuzione in questi due diversi canali è caratterizzata da una strategia commerciale diversificata per linee di prodotti, per etichette e per politica di marca. La differenza tra i due tipi di canali (GDO e HORECA) è nella differenziazione nei prodotti che vengono venduti a loro, dato che non si può vendere la stessa bottiglia con la stessa etichetta in entrambi i canali. Nella GDO si opera con delle Private Label (etichette private), che sono i prodotti a marchio, ossia i prodotti commercializzati con il marchio del distributore, anziché quello del produttore. Questi prodotti presentano una qualità simile a quella dei prodotti delle brand più note, ma vengono proposti a un prezzo più competitivo, questo per agevolare l’impresa distributiva che non deve sostenere i costi di marketing propri dell’industria di marca. Se sfruttata correttamente, è una leva di marketing in più nelle mani del distributore, in modo da rafforzare agli occhi del consumatore l’immagine dell’insegna, della sua convenienza e della sua qualità. Nel caso della Castelli del Grevepesa è stato deciso di proporre prodotti alla GDO che non riportassero il marchio dell’Azienda, ma in alternativa nomi di Aziende presenti all’interno dello Statuto Speciale dell’Azienda. Mentre nell’etichetta della bottiglia destinata al canale HORECA (ai ristoranti) è ben specificata la cantina di provenienza e il marchio è in bella vista. Questa è una pratica fondamentale per tenere separati i canali distributivi. Le bottiglie hanno prezzi, marginalità e quantità diverse, nella GDO si può avere una marginalità del 15%. Caratteristica importante legata al canale della GDO è la RAPIDITA’ E CERTEZZA DELL’INCASSO: è applicata una legge che stabilisce che prodotti di questo tipo, alimentari, devono essere pagati entro 30 giorni se sono prodotti deperibili, 60 giorni gli altri tipi, tra cui rientra anche il vino. Mentre un rivenditore arriva ad avere un lasso di tempo che può arrivare fino a
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90/100 giorni per pagare, la GDO rispetta la scadenza altrimenti si squalificherebbe subito. Per i clienti della GDO si possono scontare le fatture presso la banca, operazione che permette di anticipare l’incasso a fronte di un tasso di interesse: l’azienda scrive alla banca dicendo che ha emesso una fattura per il supermercato, che se è affidabile chiede alla banca di anticipare il 70/80% del valore della fattura, in questo modo si possono accelerare i processi di incasso così da tenerli più vicini ai cicli dei pagamenti: tanto più viene ristretto questo ciclo e più l’azienda sta meglio. HORECA: •Italia: è organizzato tramite una distribuzione che coinvolge agenzie e/o una rete di agenti, in modo da potersi focalizzare sull’obiettivo di intervento. Le città italiane che la Cantina ha deciso di rendere un punto di riferimento in cui vendere il vino sono Roma, Milano e Firenze, avvalendosi di agenzie professioniste che possiedono una loro rete di agenti: ad esempio a Milano c’è un agenzia che copre la città con 9 agenti differenti, ciascuno per ciascuna zona o settore. Mentre per il resto dell’Italia è coperto da grossisti o da una piccola rete di agenti. •Estero: dipende da altri fattori, o da conoscenze pregresse del commerciale che permette la creazione di partnership per facilitare l’ingresso nel mercato, oppure, soprattutto nel reparto Stati Uniti e Canada, dai premi che l’azienda è riuscita a vincere. In questi Paesi, esistono delle riviste di settore (Wine Spectator, Wine Enthusiast) che indirizzano il mercato, infatti vengono definite come “bibbie” dei vini, che programmano assaggi periodici e delineano un rating (giudizio). Se le votazioni sono elevate, specie negli Stati Uniti, il prodotto viene acquistato senza assaggiarlo, però non è semplice arrivare a queste quotazioni. Per le Aziende, essere nominati in queste riviste, significa acquistare un grado di notorietà elevato,
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che permette di migliorare le vendite, ma perché ciò accada, l’Azienda deve essere già conosciuta e quindi deve essere presente con una propria distribuzione all’interno del Paese. In questo caso la Castelli del Grevepesa è stata aiutata dall’enologo Ugo Pagliai, di fama internazionale, che ha migliorato sensibilmente la qualità dei suoi prodotti, in modo da ottenere premi rispettosi. E’ stato in grado di elaborare dei vini equilibrati, di ottima qualità, con un ottimo rapporto qualità/prezzo, con il beneficio di una immagine di marchio molto positiva e un bel prodotto, questo è quello che conta nel canale HORECA: marchio, prodotto, rapporto qualità/prezzo. Per la Cantina agricola è stato più difficile collocarsi e farsi conoscere anche in Toscana, data la diffidenza nei confronti delle cooperative agricole, considerate “aziende di serie b” perché vedevano la cooperazione come la realizzazione di prodotti scadenti. Da 10 anni a questa parte la Cooperativa viene gestita come se fosse un’azienda di profitto a tutti gli effetti. Quindi, cambiata la mentalità e la struttura, l’azienda è nelle condizioni di approcciare il mercato nella maniera migliore possibile e rivelarsi competitiva rispetto ai diretti concorrenti. I castelli del Grevepesa è un’azienda snella, prima era costituita da 40 dipendenti ora l’organico contiene 20 dipendenti, è stata ristrutturata la vecchia concezione della cooperativa, adesso è un’azienda che è in grado di crearsi le condizioni minime per stare sul mercato e per avere successo.
Vengono attuate politiche commerciali per penetrare in determinati mercati e per farlo all’estero ci sono due modalità: •Cercare di entrare nel Paese attraverso la realizzazione di una partnership con un distributore •L’azienda ha già il distributore o importatore, deve aiutarlo nelle vendite con attività di comunicazione e
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promozione, organizzando eventi di PR, degustazioni, etc. In passato, egli Stati Uniti, tramite conoscenze c’è stata una collaborazione con la Camera di Commercio Italo-Americana di New York. Grazie a questa collaborazione è stato possibile cercare e trovare importatori e distributori. Una volta che l’Azienda è riuscita a introdursi nel mercato e inizia le vendite, va a supportare il suo importatore.
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5 5.4 Tipologie contrattuali La Cantina non pubblicizza gli stessi prodotti nella GDO e nell’HORECA, altrimenti il rischio è quello di presentare lo stesso prodotto a utenti finali diversi con esigenze diverse. In questo modo il prodotto potrebbe diminuire di significato e di importanza. Sono in possesso di un listino prezzi per la GDO e uno per l’HORECA: -Nella GDO sono presenti due tipologie di accordo tra l’azienda e il Supermercato: può avvenire la stipulazione di un contratto o la delineazione di promozioni. Il contratto è un accordo mediante il quale, la Cantina ha l’obbligo di fornire il supermercato con una specifica quantità di prodotto ad un determinato prezzo (come ad esempio avviene con il Lidl) definito insieme ad esso, ma non conosce le tempistiche rispetto alle quali deve consegnare i prodotti. Mentre le promozioni, che consistono nell’allestimento di uno spazio per un determinato periodo nel quale viene offerto ai consumatori una determinata serie di prodotti con una scontistica molto forte, nascono sempre dall’accordo tra la Cantina e il supermercato (come ad esempio in questo caso l’Esselunga) ed è ciò che spesso attira l’attenzione dei consumatori durante la scelta di acquisto. Ciò che non viene concordato è la quantità di prodotti da fornire, poiché verrà deciso in seguito all’andamento della promozione, se questa funziona, la Cantina dovrà continuare a fornire i prodotti necessari, se non funziona, ne fornirà in quantità minori. In questo caso l’elasticità della produzione è gestita dalla Cantina. -Nell’HORECA è la Cantina stessa che propone il proprio listino prezzi a grossisti o alle vendite al dettaglio (enoteche e ristoranti), ma ovviamente si
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avvarrà di due listini diversi. Il grossista svolge una funziona da intermediario, perché una volta scelto e acquistato il vino sarà lui stesso poi a distribuirlo a dettaglianti, ovvero i ristoratori. In alcuni casi la Cantina si interfaccia direttamente con il ristoratore. La cosa fondamentale da trasmettere nella presentazione dei prodotti un ottimo rapporto qualità/prezzo.
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Analisi S.W.O.T.
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L’analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica che consiste nell’individuare quattro categorie di elementi che caratterizzano l’attività aziendale. SWOT è l’acronimo di Strenghts (Punti di Forza), Weaknesses (Punti di Debolezza), Opportunities (Opportunità) e Threats (Minacce). L’analisi guarda sia agli elementi interni all’azienda, e cioè i punti di forza e debolezza, sia agli elementi esterni, e quindi le opportunità e le minacce. I punti di forza sono gli elementi interni all’azienda che, se ben sfruttati, possono permettere di raggiungere o mantenere un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. I punti di debolezza sono degli elementi di svantaggio rispetto alla concorrenza. Uno stesso elemento può assumere anche un ruolo opposto se l’obiettivo è differente. Minacce e opportunità si riferiscono a fattori esterni. Le prime sono eventi, situazioni e decisioni che potrebbero mettere in difficoltà l’impresa, mentre le seconde sono, al contrario, eventi, situazione e decisioni che possono creare un vantaggio. Anche in questo caso uno stesso elemento può rappresentare una minaccia o un’opportunità a seconda dell’azienda e dei suoi obiettivi.
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6 6.1 Concorrenti e benchmarking Come qualsiasi Azienda che opera su un mercato, anche la Castelli del Grevepesa si trova a fronteggiare competitors che potrebbero mettere a rischio il suo operato, la qualità e la sua immagine. Vista la varietà di mercati su cui agisce l’Azienda, è stato deciso di limitarsi ad analizzare i principali competitori delimitati nella zona del Chianti, con i quali agisce sugli stessi mercati con prodotti simili, concentrandosi su un’unica denominazione, quella del Chianti Classico che rappresenta l’80% del fatturato aziendale.
Sopra. Rocca delle Macìe, loc. Le Macìe (SI)
Sotto. Società Agricola San Felice, Castelnuovo Berardenga
-Rocca delle Macìe, (azienda privata), loc. Le Macie, Castellina in Chianti (SI). Nasce nel 1973, con Italo Zingarelli, il produttore cinematografico, che decise di acquistare la tenuta “Le Macìe” di 93 ettari di cui solo due coltivati a vigneto, dando avvio ad un’azienda vitivinicola nel cuore del Chianti Classico. Oggi l’azienda dispone di circa 500 ettari, di cui oltre 200 coltivati a vigneto e circa 22 ad oliveto, suddivisi tra le sei tenute di proprietà: Le Macìe, Sant’Alfonso, Riserva di Fizzano e le Tavolelle nella zona del Chianti Classico, Campomaccione e Casamaria in Maremma nella zona del Morellino di Scansano. -Società Agricola San Felice S.p.A. (azienda privata) Loc. San Felice, Castelnuovo Berardenga (SI). Società del gruppo Allianz dal 1978, si articola oggi su tre tenute, per un totale di 210 ettari vitati: San Felice a Castelnuovo Berardenga, nel cuore del Chianti Classico, Campogiovanni a Montalcino e Perolla nella Maremma toscana. La sua fama, oltre al Chianti Classico e al Brunello di Montalcino, è legata allo storico Vigorello, precursore dei Supertuscans. Con la ristrutturazione dell’antico borgo di San Felice,
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l’azienda dispone anche di una elegante struttura alberghiera e vari agriturismi. -Tenute Piccini (Azienda privata) Loc. Piazzole, Castellina in Chianti (Si) Fondata nel 1882 con Angiolo Piccini, da una piccola azienda di 7 ettari. E’ una storia di famiglia, quattro generazioni che si sono trasmesse valori, passione e conoscenza del vino. Oggi Tenute Piccini comprende quattro distinte tenute in Toscana: Fattoria di Valiano nel Chianti Classico, Tenuta Moraia nella Maremma e Villa al Cortile a Montepulciano, il cui marchio viene classificato come uno dei più riconosciuti al Mondo. Questo ha permesso di spostarsi in Basilicata con la Regio Cantina, specializzata nella produzione di Aglianico del Vulture, e in Sicilia con Torre Mora, Sopra. Tenute Piccini, Castellina in Chianti nell’area dell’Etna Doc. Una volta inquadrate ed analizzate le aziende competitrici è stato possibile effettuare un’analisi di benchmark, ovvero una valutazione comparativa fra la Castelli del Grevepesa e i concorrenti, concentrando l’attenzione sui fattori competitivi più rilevanti e focalizzandosi sulla stessa denominazione del vino (Chianti Classico). Come fattori competitivi di valutazione sono stati decisi: •Superficie vigneti specializzati •Volume produzione – fatturato •Prezzo al pubblico in vinoteca •Prezzo al pubblico in GDO •Prezzo al pubblico in e-commerce •Immagine di marca (prestigio, qualità e valori percepiti che derivano dalla storia, dal prestigio e dalla notorietà) •Pubblicità – comunicazione (volume, frequenza temporale, intensità di presenza, mezzi utilizzati) Sulla base di questi elementi sono state realizzate due tabelle, una con i dati effettivi relativi a ogni singola azienda rispetto a ogni singolo fattore e l’altra con
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una valutazione numerica da 1 a 10 che ha permesso di ottenere, attraverso il calcolo della media, valori identificativi delle varie aziende. La tabella è finalizzata a rilevare i Punti di Forza e i Punti di Debolezza attraverso i fattori competitivi selezionati. I dati ottenuti hanno dato un’ampia visione dell’azienda nei confronti dei competitori.
Nonostante la Castelli del Grevepesa è superiore nella superficie di vigneti specializzati e al pari nel volume di produzione – fatturato, si offre agli utenti con prezzi più bassi, nonostante ciò riesce ad offrire vini con un’ottima qualità prezzo che le permette ottimi fatturati. Anche per quanto riguarda l’immagine di marca e la pubblicità è inferiore ai competitori, ma ciò non le impedisce di ottenere grandi premi che la rendono conosciuta e apprezzata in tutto il Mondo. Nella tabella di valutazione si mettono in evidenza i valori dei diversi livelli di competitività dei fattori selezionati, cioè ciò che favorisce o penalizza la competizione rispetto ai concorrenti. Il valore competitivo del fattore Prezzo è inversamente proporzionale al livello del Prezzo a parità di qualità e valori percepiti (Prezzo più elevato è meno competitivo, quindi valore più basso; prezzo più basso è più competitivo, quindi valore più alto). Dalle tabelle risulta evidente che il competitor più aggressivo è Tenute Piccini perché ha una forte presenza nei canali GDO, di conseguenza prezzi più competitivi, ai quali si aggiunge una certa notorietà di marca e la pressione pubblicitaria. Rocca delle Macìe e San Felice sono più vicini nel posizionamento sui canali retail, vinoteche e HORECA, ma ognuno di loro ha un carattere distintivo per l’immagine, per la storia e il prestigio della marca.
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Il posizionamento di prezzo presenta delle sensibili Sotto. Tabella di valutazione differenze per San Felice ma è anche vero che nei con i parametri e i mercati di nicchia contano di piÚ i valori qualitativi e competitors immateriali, rispetto ai quali il prezzo è ovviamente di secondaria importanza.
A sinistra. Tabella di valutazione (scala 1-10) A destra. Grafico dei valori competitivi
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6 6.2 Punti di forza e punti di debolezza Analizzando l’Azienda è stato possibile delineare alcune caratteristiche che possono andare a identificare i Punti di Forza, che sono i fattori positivi interni all’organizzazione, al territorio o al settore d’intervento che rendono l’Azienda quella che è, e i Punti di Debolezza, che rappresentano i fattori negativi interne all’Azienda a cui possono appellarsi i competitori e che devono essere tenuti sotto controllo e nell’evenienza essere marginati. PUNTI DI FORZA: •L’azienda è percepita come produttore •Ottimo rapporto qualità/prezzo •Aggregazione e sinergia con altre cooperative •Prestigio di alcune “etichette” (alcuni prodotti) •Buona dimensione di fatturato per il posizionamento di nicchia PUNTI DI DEBOLEZZA: •Bassa quota di mercato •Difficoltà di penetrazione nei nuovi mercati •Immagine critica della forma giuridica di cooperativa I punti di forza e debolezza possono creare o distruggere valore all’interno di un’azienda, alcuni esempi sono gli skill, le competenze o le risorse possedute da una determinata azienda, ciò si identifica con un vantaggio competitivo rispetto ai competitors. Questi fattori possono essere oggetto di misurazione attraverso la raccolta, descrizione e quantificazione di informazioni sulle prestazione di individui o organizzazioni, interni od esterni (benchmarking).
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6 6.3 Opportunità e minacce Oltre ai Punti di Forza e Debolezza è stato possibile evidenziare altre due variabili che compongono la SWOT e sono le Opportunità e le Minacce. Le opportunità sono le possibilità offerte dal mercato potenzialmente vantaggiose per il business, variano in base al mercato di riferimento e agli obiettivi aziendali, ma è importante saperle cogliere per capire quali azioni mettere in campo per sfruttarle. Le minacce invece comprendono tutti i possibili ostacoli che potrebbero impedire la realizzazione dell’idea di business. OPPORTUNITA’: •Nuovo trend “biologico” •Aumento delle vendite online •Aumento del numero di consumatori di vino sui mercati emergenti •Enoturismo •Nuove e più efficaci modalità di comunicazione del vino con i consumatori •Nuovi mercati emergenti •Nuovi packaging •Miglioramento delle tecniche di vinificazione e vinicole •Nuovi accordi commerciali internazionali MINACCE: •Difficoltà nel distinguersi nei vari mercati •Aumento della tassazione delle bevande alcoliche •Presenza di altre bevande alcoliche concorrenti al vino •Aumento delle regole nella vendita delle bevande alcoliche •Aumento dei costi di produzione •Invecchiamento della popolazione
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•Disinteresse dei millennials al vino •Cambiamenti climatici Per non perdere quote di consumo e provare ad aumentarle, è necessario migliorare la comunicazione del vino e anche un po’ di innovazione nel packaging. Inoltre una parte delle paure si trasformano in opportunità viste da altri punti di vista.
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Sotto Grafico dei punti di forza/debolezza
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Lâ&#x20AC;&#x2122;identitĂ visiva
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Un’identità visiva può essere definita come una differenza e una permanenza al tempo stesso. È differenza nel senso che assicura il riconoscimento e la buona riuscita dell’azienda e che esprime la sua specificità. È permanenza in quanto rende conto del perdurare dei valori industriali, economici e sociali dell’azienda. Oggi possiamo viviamo in un mondo dove l’interazione con le cose viene rafforzata da una comunicazione visiva. Ritroviamo le immagini ovunque dalla pubblicità in tv ai siti web, dall’arte ai videogiochi, dai cartelloni pubblicitari alle indicazioni stradali e in tanto altro. Tutte immagini create per comunicare, per essere funzionali e ideologiche. Infatti, un grafic designer usa le immagini per emozionare, per convincere, per divertire e per provocare reazioni o invogliare all’azione. Una volta realizzato il progetto chi lo osserverà darà ad esso una propria interpretazione. Tale interpretazione può variare da persona a persona, forse perché proviene da una cultura o un’esperienza diversa o ha gusti ed abitudini diverse. Per questo quando si parla di comunicazione visiva di parla anche di percezione. L’uomo trae informazioni dal mondo in cui vive, le elabora, fa una selezione e le interpreta. L’obiettivo della comunicazione visiva è quello di trasmettere un messaggio chiaro e il più diretto possibile al pubblico. Tale obiettivo si raggiunge quando forma e concetto sono in sintonia tra loro. Più sono in sintonia e più il messaggio viene percepito.
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7 7.1 La comunicazione visiva Il Novecento si può definire il vero e proprio “secolo della grafica”, poiché è in questo periodo che si è sviluppato il concetto di pubblicità, fin ad allora associato solo ad alcune forme di comunicazione. Fino all’Ottocento, le condizioni sociali e culturali non portavano la necessità di reclamizzare prodotti o servizi, come accadde con l’affermazione dell’era industriale. In questo contesto i produttori sentirono l’esigenza di rivolgersi in modo diretto a un’utenza che stava iniziando a definirsi per stato sociale e possibilità economiche. Così i muri delle città diventarono un prezioso supporto per un nuovo tipo di comunicazione alle masse. Sopra. Manifesto pubblicitario Lo Spiritello, Leonetto Cappiello, 1921
Sopra. Manifesto pubblicitario Fiat Balilla, Marcello Dudovich, 1934
Già alcune fotografie a fine Ottocento per la prima volta compaiono delle frasi ad effetto in grado di catturare l’attenzione: “gli slogan”. In quegli anni anche il mondo della pubblicità fu influenzato dai nuovi studi sulla psicologia umana, al punto che i manifesti iniziarono a colpire anche le componenti istintive ed emozionali di ogni individuo. Fu proprio il contributo della psicoanalisi a sviluppare una vera e propria cultura del marketing, che portò a un orientamento più rigoroso, che tendeva non a descrivere in modo generico il prodotto, ma a mostrarne e esaltarne le qualità e i prestazioni. Questo portò a messaggi più articolati, meno immediati, ma più efficaci sul piano della proposta di uno stimolo d’acquisto. Spesso, allora, si ricorreva alla riproduzione fedele dell’oggetto, cercando in questa forma di rappresentazione realistica un elemento di coinvolgimento con il pubblico. Tale approccio pone al centro dell’attenzione la memoria che diventa un elemento centrale per chi produce comunicazione
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visiva. Su di essa si fa leva per riutilizzare patrimoni già noti, capaci di essere riconosciuti con rapidità, ma anche di focalizzare il contenuto espressivo del messaggio. Negli anni Ottanta durante le campagne pubblicitarie, prese avvio una nuova strada che prevedeva, attraverso l’uso di fotografie, di ritrarre soggetti che evocano temi di attualità sociale, senza coinvolgere il prodotto. Un atteggiamento, per cui il prodotto viene richiamato esclusivamente dal marchio del promoter, che oggi è utilizzato da molte aziende che ritengono più efficace legare il proprio nome ad un messaggio forte e ad immagini di impatto visivo, piuttosto che soffermarsi sulle caratteristiche e proprietà del prodotto, avendo cura di non perdere mai di vista il target a cui è riferito. Si arriva a realizzare pubblicità con messaggi che si preoccupano di avere un forte impatto nei confronti del probabile utente e consumatore. Ciò avviene tramite slogan e ad immagini dal forte impatto visivo e dal suggestivo effetto cromatico. In un contesto come quello attuale, dove il messaggio pubblicitario è diventato un elemento della Sopra. Campagna quotidianità, in cui prevalgono colori contrastanti e pubblicitaria McDonald’s forme dinamiche, alcune agenzie hanno iniziato ad utilizzare sfondi omogenei e immagini minimaliste per emergere con la propria comunicazione. Oggi è possibile raggiungere la quasi totalità del pubblico, individuando le diverse categorie di consumatori e le rispettive classi sociali e culturali di appartenenza. Si parla di target, individuando in esso un gruppo di persone legate da aspetti in comune (interessi, disponibilità economica, ..) che sono rivolti a un certo tipo di prodotto o servizio. La conoscenza del target di riferimento è un fattore fondamentale nella scelta di una campagna pubblicitaria. Il target non dipende solo dalle intenzioni del produttore di rivolgersi a un certo tipo di mercato, ma anche dall’insieme delle caratteristiche del prodotto che lo rendono appetibile
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e accessibile a determinati soggetti. La volontà del produttore e le caratteristiche del prodotto diventano gli elementi tipici per la definizione del target, del quale andranno poi studiati i comportamenti, le scelte, ecc… tutto ciò che può essere utile per poter realizzare un certo tipo di messaggio. Il messaggio non può essere svincolato dal linguaggio grafico da utilizzare. Anche il tipo di media e di supporto da utilizzare per la comunicazione contribuiscono a definire le caratteristiche del linguaggio.
Sono le indagini di mercato riferite ai target selezionati e i test effettuati sui focus group che permettono di acquisire la consapevolezza di ciò che deve essere comunicato, il modo in cui deve avvenire e la partecipazione dell’utente. La consapevolezza può evitare l’insorgere di ambiguità e incomprensioni a porterà a definire messaggi pubblicitari che siano corretti, efficaci e immediati. Saranno i colori, i contrasti cromatici, la tipologia dei caratteri e dalla composizione grafica a rendere riconoscibile un messaggio che dovrebbe risultare efficace. Al momento della concezione del messaggio pubblicitario sono stati già messi a fuoco i contenuti. Una volta identificati si hanno gli elementi per definire gli strumenti con i quali esprimersi come le immagini o le parole. È importante anche conoscere i mezzi con i quali il messaggio verrà comunicato: ogni media, oltre a rivolgersi a un target diverso, ha diversi tempi e modi di lettura che influenzano le scelte grafiche e linguistiche. Per raggiungere gli obiettivi di una campagna pubblicitaria si arriva infine alla definizione dei contenuti e all’individuazione degli strumenti. A sinistra. Campagna pubblicitaria IKEA
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7 7.2 Il Brand Il brand, in italiano traducibile con “marca”, è l’insieme degli elementi visivi, percettivi ed emozionali che vengono associati a determinate aziende, organizzazioni, prodotti o persone. Il significato di brand è l’insieme di tutto quello che viene percepito di una determinata azienda. Un brand forte è riconoscibile anche in mezzo a molti altri ed è quello del quale le persone si fidano o pensano che sia superiore agli altri. Il modo in cui una marca viene percepita dal pubblico ne influenza enormemente il successo dell’azienda che rappresenta. Il brand non è solo il logo e usarli come sinonimi è sbagliato. Il logo è la prima cosa che le persone vedono di un Brand. Proprio per questo deve essere capace di identificare tutto il resto del Brand. Storicamente il “segno” apposto su oggetti e prodotti funzionava non solo per identificare la provenienza e come forma di tutela del produttore o del venditore, ma era anche veicolo di informazione per i consumatori poiché legato alla reputazione del produttore o venditore in questione. Ancora oggi una marca forte, con una brand reputation molto positiva, funge da garanzia della qualità del prodotto anche per un consumatore che non lo ha mai acquistato, ma che conosce il marchio e lo associa alla qualità o ad altre caratteristiche positive. L’impiego del brand genera benefici sia per le imprese ottenendo maggiore fedeltà dei clienti che per i consumatori. Un alto livello di soddisfazione dei clienti contribuisce a consolidare la posizione di mercato del brand e a garantire all’impresa continuità di profitti nel lungo periodo. Nel caso in cui in cui gli acquirenti diventano fedeli a una marca, la quota di mercato
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Sopra. Grafica che illustra le componenti del brand
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dell’impresa per quel prodotto raggiunge un certo livello di stabilità, permettendo così di mantenere un prezzo piuttosto costante invece di ridurlo per attrarre nuovi clienti.
Si possono identificare tre funzioni primarie comuni a tutti i brand: 1.Componente identificativa: riferita a tutti gli elementi che agevolano il cliente nel riconoscimento della marca e nella distinzione della stessa da quelle della concorrenza. Da questa dipende la consapevolezza di marca o notorietà. 2.Componente percettiva: l’insieme di associazioni percettive evocate nel sistema cognitivo del consumatore. Riguardano gli attributi della marca, direttamente collegabili alle caratteristiche del prodotto contraddistinto; benefici della marca, di natura funzionale ed esperienziale; i valori della marca, riconducibili agli importanti obiettivi che il cliente vuole raggiungere. 3.Componente fiduciaria: questa scaturisce dalla conferma delle aspettative maturate dai clienti. Questi, dopo aver maturato determinate convinzioni sulla capacità della marca di soddisfare un particolare bisogno, tenderanno ad associare tali abilità a tutte le manifestazioni della marca e ad aumentare di conseguenza la fiducia in essa. Il Branding è l’insieme delle attività operative e strategiche che riguardano la gestione e il consolidamento di una marca nel mercato e che contribuiscono alla differenziazione di un prodotto rispetto a quello dei competitor. La strategia di branding può essere basata su degli attributi fisici dei prodotti, distinti e che portino un beneficio, oppure su attributi intangibili, che riguardino il prestigio del marchio e il loro uso.
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7 7.3 La brand Identity La brand identity può essere intesa sia come l’insieme degli elementi di riconoscimento del brand (nome, simboli, logo, slogan, jingle, ecc.) che agevolano il consumatore nell’identificazione distintiva dell’azienda, sia come il complesso dei valori imprenditoriali che contraddistingue un brand e che ne determina l’evoluzione. La brand identity è la parte tangibile di un brand, ovvero tutto ciò che si può vedere, toccare, sentire o maneggiare. Tutti questi elementi devono rappresentare ciò che l’azienda intende comunicare ai consumatori. L’immagine coordinata dipende direttamente dalla Brand Identity. Essa rappresenta l’insieme degli elementi che formano la comunicazione visiva di un’azienda. Questa comprende la grafica dei cataloghi, biglietti da visita, carta intestata (per la stampa), il packaging, il sito web e le App. Il punto centrale è la coerenza visiva, che si può esprimere ad esempio attraverso la scelta di una gamma limitata di colori, una o più famiglie di carattere, la griglia tipografica adottata, lo stile fotografico o di illustrazione. L’identità aziendale si deve basare principalmente su due elementi: 1.Coerenza comunicativa: tra l’azienda, il prodotto e la comunicazione esterna. La coerenza riguarda l’uso dello stile grafico adottato nella comunicazione, nelle pubblicità, nel packaging, fino all’arredo delle sedi e dei negozi. 2.Semplicità: è la complice perfetta dell’identità visiva. Per far sì che il proprio messaggio arrivi all’interlocutore è necessario eliminare le distrazioni. Si parte dall’analisi interna dell’azienda, della sua
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Sotto. Il “prisma della brand identity” di Jean-Noel Kapferer
mission, dei suoi prodotti, punti di forza e debolezze. Lo sguardo passa poi all’esterno, studiando il pubblico di riferimento e i concorrenti, per capire il mercato in cui si va ad operare. L’analisi dei competitor è utile anche per vedere come gestiscono la loro comunicazione.
Jean-Noel Kapferer, un esperto in materia di branding, ha elaborato il “prisma della brand identity” per riassumere i sei elementi principali che la costituiscono: 1.Fisici: riguardano sia attributi fisici e le qualità del prodotto, ma anche gli attributi fisici del brand (nome, logo, design, colori, packaging). 2.Personalità: si sviluppa attraverso la comunicazione creata dal brand. Il modo in cui presenta i propri prodotti, il “tono di voce” usato. 3.Cultura: è un aspetto importante della brand identity e riguarda tutti i valori sui quali si fonda il modello di business. 4.Relazione: il rapporto tra l’azienda e i clienti è decisivo per trasmettere ai consumatori i valori e l’identità che il brand vuole che siano percepiti dai diversi stakeholder. 5.Immagine riflessa: il target dell’azienda viene collegato alla marca e contribuisce alla costruzione identitaria. Esistono dei marchi la cui comunicazione punta chiaramente a un target molto giovane ed è anche questo a definirli e a distinguerli dai competitor. 6.Auto-immagine: la brand identity si costruisce anche sulla percezione che il target ha di se stesso grazie all’uso del marchio.
A sinistra . Brand identity di Starbucks
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7 7.4 Gli elementi della brand identity La prima applicazione del logo di un’azienda avviene sui supporti coordinati: biglietti da visita e carta intestata. Ma può avvenire anche su gadget personalizzati, oggetti e packaging, come ad esempio i supporti come chiavette USB, CD e DVD dove l’aspetto esterno è più visto rispetto al contenuto, o anche capi d’abbigliamento pubblicitari (cappellini magliette, felpe, ombrelli, ecc…). Tutti gli elementi presi in considerazione devono mantenere inalterate forme e colori del brand e della comunicazione coordinata dell’azienda. Alcuni possono essere considerati secondari o marginali nella strategia di un brand, ma un’immagine proporzionata alle dimensioni e agli obiettivi di un’azienda può rivelarsi essenziale. Gli elementi chiave di una brand identity sono: •NAMING: è il processo di sviluppo e creazione del nome di un’azienda, una marca o un prodotto. E’ importante individuare un riferimento sonoro adeguato con il target di riferimento: nel settore food parole più morbide, con lettere doppie e ricche di vocali, possono richiamare un senso di benessere ed abbondanza, mentre suoni più duri e con prevalenza di consonanti sono più facilmente associati a un mondo più tecnico. •LOGO DESIGN: è il processo di ideazione e progettazione di un marchio, attraverso un percorso di ricerca e sintesi dell’identità di un brand in design grafico e tipografico. La scelta dei colori sarà fondamentale: un colore può aiutare a memorizzare un marchio, ma è importante mantenere coerenza con il settore di riferimento. Infine per poter adattare il logo a tutti i possibili supporti online e offline è
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Sopra. Applicazione del brand Calvin Klein su più prodotti
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necessario e deve essere prevista una versione del logo in negativo per l’utilizzo su toni poco contrastanti e in tutte le applicazioni online.
•FONT DESIGN (o type design): è la progettazione di un carattere tipografico personalizzato per un brand, completo di tutto l’alfabeto e utilizzato per comporre logotipi e glifi. Nel font design esistono diversi set riconoscibili di caratteri, che saranno associati alla brand identity dell’azienda e saranno utilizzati in tutta la documentazione scritta sia online che offline (firme, email, documenti commerciali, ecc.). Sono preferiti font della famiglia dei bastoni lineari, per garantire una facile leggibilità.
Sotto. Brand identity Coca Cola
•MATERIALE BELOW THE LINE: rappresenta tutte le attività di comunicazione a budget ridotto che non includono la pubblicità a pagamento. Tutto il materiale offline utile alla forza commerciale, dal biglietto da visita,carta intestata, buste e slide di presentazione. Tanto più l’immagine coordinata è rappresentata da un kit (penne, gadget, accessori ecc.) quanto più il brand potrà essere facilmente memorizzabile. L’aspetto sensoriale dei materiali può coinvolgere il pubblico con un ricordo positivo associato al brand.
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•PRODUCT IDENTITY: consiste nell’applicazione dei principi di brand identity al singolo prodotto. Nel caso della realizzazione del packaging dipende dalla brand identity e dai risultati delle analisi di mercato e del target di riferimento. E’ indispensabile l’incontro di due aspetti: funzionalità ed estetica. Per questo spesso il packaging si presenta come un “assaggio” del contenuto in modo di anticiparne le caratteristiche Sopra. Packaging cioccolato e la qualità. Il punto d’arrivo è il posizionamento nel Feletti punto vendita, a scaffale o in espositori dedicati: questo aspetto viene studiato in particolare dai principi del visual merchandising. •BRAND BOOK (o identity manual): è costituito da un insieme di linee guida per la comunicazione del brand su tutti i supporti, online e offline: include riferimenti cromatici, indicazioni di proporzioni dei font e applicazioni dal positivo al negativo. In un mercato sempre più competitivo, capire come creare una propria brand identity è la chiave per il successo per emergere così da riuscire a distinguersi dagli altri ed essere facilmente riconoscibili. Per creare una brand identity forte occorre non solo sviluppare logo e slogan, ma seguire una strategia di marketing che sfrutti ogni occasione per diffondere il nome del proprio marchio. Per raggiungere l’obiettivo oggi tutto deve essere “brandizzato”: ad esempio, creare dei prodotti da ufficio o per la corrispondenza personalizzati, consente non solo di far girare il proprio nome, ma anche di dare ai propri clienti l’immagine di un’azienda professionale, curata e attenta ai dettagli, elementi che aumentano anche la fiducia del pubblico nei confronti del brand. Ecco allora che per una brand identity efficace il design diventa un aspetto fondamentale: il segreto è creare una grafica originale e accattivante e utilizzarla.
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7 7.5 Rebranding e restyling Negli anni, è capitato spesso che molti loghi o marchi, si siano evoluti nel corso della loro carriera. L’evoluzione di un logo può rappresentare una scelta di adattamento temporale molto importante per un’azienda, in modo di non risultare obsoleta ma di stare al passo con le tendenze del momento, inoltre l’innovazione può essere causata anche da un cambio di valori e di ideologie, o di gusto estetico.
Sopra. Evoluzione del logo Barilla
Il rebranding è quella fase di rinnovamento o cambiamento dell’immagine coordinata (il brand) di un’azienda. Questo processo creativo comprende il cambiare logo, ma non solo, si può cambiare anche l’intera immagine aziendale, i prodotti, i font scelti e, a volte, il nome stesso dell’azienda o del prodotto. Il logo è l’elemento grafico più importante all’interno dell’immagine coordinata ed è quello a subire il principale restyling. Ci sono casi in cui si parte proprio dall’analizzare i punti deboli del marchio, per poterlo poi cambiare in modo coerente con quella che dovrà essere la nuova mission aziendale. Cambiare strategia di brand può avere pro e contro. Conoscere il mercato di riferimento, le sue necessità e il suo target, è molto importante per fare un buon rebranding. I motivi più comuni per cui si attua una strategia di rebranding riguardano: •L’immagine aziendale è fuori moda: le aziende rinnovano periodicamente la propria immagine o il proprio marchio per seguire le tendenze del momento e rimanere sempre freschi nei confronti del cliente (come nel caso della Pepsi o della Apple). •Il brand ha una cattiva reputazione: la “Bad reputation”, ovvero quando un’azienda sbaglia tutta una serie di mosse di marketing, di gestione, di produzione
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o si ritrova immischiata in fallimenti, rapporti con personaggi non raccomandabili, ecc. In questi casi è necessario attuare un cambiamento ed è essenziale che al cambiamento di immagine, corrisponda un coerente cambiamento dell’azienda. È l’unico modo in cui un cambiamento di questo tipo può portare vantaggi a lungo termine. (Philip Morris- Altria Group) •Fusioni, scissioni o acquisizioni: Nel caso di fusione tra due aziende, spesso si sceglie di conservare parte dell’immagine di entrambe, mentre nel caso di acquisizioni spesso si considera prioritaria l’immagine dell’azienda che ha acquistato. (ExxonMobilUnipolSai) •Il riposizionamento dell’azienda sul mercato: l’azienda vuole cambiare approccio aziendale, ampliando la propria gamma di produzione o diffondendosi in nuovi mercati o in nuovi Paesi. In questi casi fare rebranding è necessario perché all’interno del logo solo presenti elementi (specialmente i pay-off, le scritte) che rimandano a qualcosa che può limitare l’azienda. (Starbucks) Il restyling è il rifacimento di un simbolo, segno grafico o logotipo, realizzato operando su forma, stile, colori, carattere tipografico. E’ buona norma conservare una continuità rispetto alla precedente versione del logo, già conosciuta dagli utenti e dal mercato. Bisogna continuare a riconoscere il marchio, riconoscendone anche la volontà di rinnovamento. L’obiettivo è un rinnovamento in linea con i tempi del mondo dell’immagine o con le evoluzioni dell’azienda/ marchio/prodotto. Perciò Il rebranding è un’azione di marketing strategico che serve a risolvere alcuni problemi specifici e comporta un cambiamento di percezione nei confronti un’azienda, un prodotto o un servizio. Il restyling è un’azione di comunicazione che serve a “rinfrescare” l’identità visuale di un marchio esistente.
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Sopra. Evoluzione del logo Coca Cola e Pepsi
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Comunicare il vino
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Comunicare il vino è sempre più una forte esigenza da parte di imprenditori ed esperti del mondo vitivinicolo determinato da una serie di elementi e profondi cambiamenti che hanno caratterizzato il mercato del vino, la produzione vitivinicola e l’enogastronomia in questi ultimi decenni. Comunicare il vino è sempre più una forte esigenza da parte di imprenditori ed esperti del mondo vitivinicolo determinato da una serie di elementi e profondi cambiamenti che hanno caratterizzato il mercato del vino, la produzione vitivinicola e l’enogastronomia in questi ultimi decenni.
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8 8.1 La comunicazione del vino e i consumatori Una maggiore attenzione da parte di un consumatore, sempre più consapevole di ciò che intende assaggiare, è alla base di un profondo mutamento della relazione con il mercato. Il cambiamento del consumatore moderno racconta il passaggio da una cultura degli anni Sessanta del <<Made of>> che esplicita le componenti di quello che si beve, a quella degli anni Ottanta del <<Made in>> dove si dà rilievo all’importanza del territorio, a quella del <<Made by>> degli anni Novanta dove diventa importante la firma, sapere chi sta dietro, il brand, infine si arriva alla cultura del <<Made by for me>> tipica di questo periodo: la customizzazione del prodotto che rispetta il consumatore e le sue esigenze. Sopra. Campagna pubblicitaria vino Chessa
Oggi più di ieri sono importanti il brand e la faccia del produttore, la storia di chi lo ha fatto, accanto a questo il prodotto deve essere pensato sempre più su misura del cliente e deve essere personalizzato. I consumatori sono sempre più attenti a scegliere i prodotti alimentari e a valutare con attenzione la loro esperienza enogastronomica. Non a caso il mercato vinicolo in Italia ha registrato in questi anni una tendenza di riduzione della quantità del vino consumato e la crescita della ricerca di prodotti di migliore qualità, in grado di soddisfare palati più <<educati>>. Nonostante il settore del vino abbia affrontato una crisi nei consumi interni, è stato in grado di creare reddito e occupazione in Italia perché ha saputo puntare sulla qualità, sulla distintività e sul legame con il territorio, in modo da creare le condizioni per una valorizzazione sul mercato nazionale ed stero dove è diventato simbolo del Made in Italy. Un primo elemento distintivo va rintracciato nella maggiore attenzione alla qualità, infatti negli ultimi
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anni si è rivolta molta più attenzione alla qualità dei prodotti. A seguito di questo si è registrata una maggiore attenzione ai processi di promozione e un investimento sulle strategie di comunicazione in modo da far trasparire meglio la qualità del prodotto, spesso non percepita adeguatamente dal consumatore. In questo modo si è venuto a creare un’immagine più forte di <<italianità>> nel mondo, che ha reso più desiderabile il vino italiano a livello globale, rendendo più facile la penetrazione in mercati considerati difficili, come quelli orientali. Un’altra causa del miglioramento dell’export di vini italiani è dovuta all’aumento del consumo di vino nel mondo e alla valorizzazione della valenza culturale e simbolica del cibo e del vino. La scelta del vino e l’alimentazione, rientrano in processi di consumo caratterizzati da una forte valenza di narrazione della propria identità e del mondo al quale si vuole appartenere. Oltre a ciò bisogna considerare anche la spinta del vino italiano nella competizione mondiale. Le aziende vitivinicole sono state costrette a confrontarsi con esperienze di promozione e comunicazione storicamente più consolidate (come il vino francese), con sistemi produttivi più organizzati (come quelli del vino californiano), con Paesi più forti nella competizione dell’export grazie a vantaggi doganali più convenienti (come la facilitazione dell’esportazione del vino cileno in Cina). Ad aggravare la situazione in Italia è stata la mancanza di una politica di promozione coordinata e centralizzata. A fronte di questi elementi di difficoltà, ne deriva un profondo mutamento dovuto al lavoro svolto da imprenditori e consorzi vitivinicoli nel miglioramento della qualità del prodotto. I vini italiani hanno raggiunto i principali competitor sia nei mercati saturi che emergenti. La scelta di acquistare una marca di vino in enoteca, al supermercato, al ristorante o sul web è indirizzata
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Sopra. Infografica della qualità del vino dal terroir
Sotto. Strategia di marketing nel packaging del vino
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da <<scorciatoie>>, cioè da meccanismi di facilitazione della decisione (la marca, il prezzo, l’etichetta, la bottiglia), da esperienze pregresse o da aspettative connotate di emotività. Queste soluzioni permettono di risparmiare energia soprattutto se non si è competenti. Per questo è necessario trovare nuove soluzioni di marketing che siano capaci di colpire emotivamente, anche se in un mercato che è sempre più competitivo non è semplice. Ruolo importante giocano strategie di comunicazione e di marketing sempre più efficaci e pervasive. Per sostenere una competizione così agguerrita, le strategie possono essere quelle di valorizzare a pieno le soluzioni offerte dagli enti pubblici per il supporto alla promozione. Una comunicazione che non può limitarsi alla narrazione della qualità del prodotto, ma che deve essere in grado di <<emozionare>>. Purtroppo ancora è stato fatto troppo poco in termini di comunicazioni e di marketing per rendere evidente la forza narrativa conservata dal vino italiano. Spesso le strategie vengono decise sulla base di esperienze passate, di altri contesti e da una insufficiente analisi dei target di riferimento e dei loro stili di vita e comportamenti.
Il processo di acquisto di un vino non è facile per un consumatore medio, molti vini si assomigliano, le etichette sono simili e dicono le stesse cose. Molti non sanno distinguere i vitigni e temono il giudizio degli altri. Ovviamente questi processi si riferiscono a consumatori diversi, facendo riferimento a quella che viene chiamata <<segmentazione>> fatta in base alle caratteristiche demografiche e anagrafiche o per stili di vita. Nel settore del vino la segmentazione può avvenire distinguendo i consumatori molto attenti, informati e competenti (i wine lovers) in grado di scegliere in base al brand, al vitigno, all’annata e agli abbinamenti. Poi ci sono quelli con basso livello di coinvolgimento che usano strategie più semplici, impiegando delle semplificazioni come il
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prezzo, la provenienza geografica, i premi, l’estetica dell’etichetta. Tra questi consumatori si può trovare chi riesce a comprendere il valore di guide in modo da facilitare la celta. Conoscere il consumatore è il primo passo per una buona comunicazione, mirata in base ai diversi target di riferimento. Un esempio di segmentazione dei consumatori viene proposta da Johnson (2003) e da Bruwer et al. (2002) che distinguono i seguenti segmenti: •I consumatori conservatori, conoscitori e bevitori di vino. •I consumatori affascinati dall’immagine, ricercatori di informazione. •I consumatori bevitori di base, amano bere vino anche se non sono particolarmente interessati ad avere più informazioni. •I consumatori sperimentali con alta conoscenza del vino. •I consumatori guidati dal piacere, animati dalla condivisione sociale del vino. Questa conoscenza non si deve fermare alle caratteristiche anagrafiche, demografiche e stili di vita, dato che per ottenere una comunicazione efficacie non si può fare affidamento solo sul modello decisionale del consumatore. Questo modello decisionale si è sempre basato su una visione razionalistica dell’uomo. Mentre per comprendere meglio gli elementi che rendono un’azione di marketing molto più persuasiva, esiste la necessità di usare un marketing emozionale o relazionale, sfruttando conoscenze ottenute da studi di economia comportamentale e dalle neuroscienze. Quest’ultime soprattutto hanno aiutato a capire come <<funziona>> il nostro cervello e i meccanismi che stanno alla base della scelta. Informazioni che possono offrire soluzioni interessanti per verificare l’efficacia della comunicazione.
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Per decenni le decisioni sono state studiate come un processo lineare, secondo modalità logico – matematiche, considerando le emozioni come elementi disturbanti. Secondo questa visione la comunicazione del vino non può che fare leva sui costi, la qualità del prodotto, la descrizione secondo la visione del produttore che illustra il suo valore dal suo punto di vista.
Le neuroscienze hanno dimostrato come le emozioni in realtà sono in grado di guidare la decisione. Questo significa che il consumatore medio quando sceglie si serve delle sue emozioni agendo come un soggetto emozionalmente intelligente. La comunicazione del vino ha una fortissima connotazione emozionale. A destra. Grafico consumi mondiali di vino (2018)
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8 8.2 Le emozioni il vino viene comunicato e presentato attraverso la ripetizione di parole con un costante riferimento alle emozioni che provoca. I motivi per cui viene usato il concetto di emozione, associandola al vino, sono essenzialmente tre. Prima di tutto si vuole creare un legame tra dimensione sensoriale del processo olfattivo e gustativo e l’attivazione celebrale. Inoltre si fa riferimento alle emozioni legate ai processi di scelta del consumatore e nei processi di valutazione sensoriale. Infine ha importanza il ruolo che ha la comunicazione del vino nella competizione di mercato per attrarre i consumatori, che si lasciano guidare dalle emozioni invece che da una scelta razionale guidata da competenze e conoscenze. A tal proposito va data rilevanza al fatto che a parte la conoscenza ottenuta dall’esperienza personale o mediata da altri, il <<consumatore medio>> non ha le conoscenze che può avere un produttore, un sommelier o un assaggiatore esperto, per questo nel momento dell’acquisto farà affidamento ad altre informazioni. E’ in questo processo che il brand e la sua pervasività hanno un ruolo importante, come il prezzo e l’effetto euristico e pregiudiziale che provocano nella mente le aspettative di qualità (più costa e più buono sarà). Se il tempo di permanenza allo scaffale è in media 7 o 8 secondi, e il consumatore non ha abilità per scegliere, verrà guidato da elementi superficiali, ma Sopra. Triangolo di Vedel che possono avere una forte capacità attrattiva, come sull’equilibrio del vino l’etichetta, la bottiglia, il packaging, il posizionamento nello scaffale, il brand e il territorio di provenienza. Dato che i consumatori sono macchine emotive che
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pensano e possono usare un percorso di analisi delle situazioni decisionali quando motivati e competenti, occorre saper usare tecniche di influenzamento basato sulle emozioni. Per questo vengono usate tecniche di priming, per stimolare certi comportamenti senza che le persone ne siano consapevoli attraverso un processo di associazione che rende più immediato uno schema di azione che si conserva nella nostra memoria a lungo termine. Il compito della comunicazione è quello di stimolare la visione del brand, del prodotto o del claim pubblicitario il più possibile. La comunicazione funziona se è presente una forte pervasività e una costante presenza sul campo, sia attraverso la pubblicità tradizionale (on-line e off-line) che con la presenza in eventi e fiere. In questo ambito le tecniche di neuromarketing permettono di modificare immagini, colori, soluzioni di design al fine di rendere più evidenti e salienti le stimolazioni comunicative.
Uno degli aspetti che più giustificano l’associazione della parola vino a quella delle emozioni è legato ai meccanismi cerebrali che caratterizzano la percezione del gusto e la sensazione olfattiva. Secondo Gordon Shepherd, professore di neurobiologia della Yale School od Medicine, il sapore non dipende dal cibo, ma è creato dal cervello, attraverso i suoi sistemi sensoriali e motori multipli e i processi di elaborazione centrale. Nello stesso modo non c’è odore nelle molecole che stimolano i nostri recettori che riescono a riconoscere le caratteristiche delle diverse molecole odorose attivando una parte del cervello, percependo così l’odore. Il collegamento tra emozione e sapore è stretto grazie alla struttura celebrale che caratterizza il sistema olfattivo e gustativo. Attraverso il sistema retronasale, ovvero quando respiriamo emettendo piccoli sbuffi dal retro della bocca con la presenza del cibo o del vino, le molecole vengono tradotte in <<immagini dell’odore>>
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che stimolano i recettori olfattivi nella cavità nasale, i quali trasmettono l’informazione al cervello. Questo ingresso diretto ai più altri centri cognitivi del cervello è una proprietà speciale dell’odore, fondamentale per la sua percezione e l’esperienza del sapore. I sistemi olfattivo e gustativo sono determinati da specifici organi di senso e di elaborazione delle informazioni che mettono in atto prima il sistema delle emozioni e della memoria e poi quello razionale. Un ruolo determinante nel riconoscimento dell’odore è attribuito all’emozione e al riconoscimento mnemonico dell’odore determinato da circuiti nell’area talamica.
Sopra. Esempio di output di analisi dell’asimmetria della zona prefrontale destra e sinistra del cervello. Maggiore attivazione delle onde alpha nell’emisfero destro è correlata con l’emozione di avvicinamento (piacevolezza), Fonte “Comunicare il vino: tecniche di neuromerketing applicate”
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Sopra. Esempio di output di analisi dell’asimmetria della zona prefrontale destra e sinistra del cervello. Maggiore attivazione delle onde alpha nell’emisfero sinistro è correlata con l’emozione di allontanamento (sgradevolezza), Fonte “Comunicare il vino: tecniche di neuromerketing applicate”
8 8.3 I sapori A differenza del sistema olfattivo quello gustativo è guidato dalle papille gustative che inviano il segnale attraverso il tronco encefalico. La percezione del gusto avviene nell’area celebrale in cui si trova l’opercolo. Quindi in sistema olfattivo interagisce perfettamente con quello gustativo, anzi la loro coerenza rende più gustosi i sapori e allettanti i profumi o viceversa. La loro unione a livello retronasale costituisce la base principale del sapore. Anche il sistema gustativo attiva il sistema emozionale: un sapore è in grado di attivare ricordi e emozioni, e di farci provare piacere o disgusto. Il tema del gusto e della gradevolezza è strettamente legato sia ad aspetti culturali che psicofisiologici. Quelli culturali fanno riferimento ai comportamenti di consumo che possono essere modificati dall’esperienza. Mentre una delle principali varianti del gusto dipende dalla capacità di percepire un preparato particolarmente amaro chiamato propiltiouracile detto PROP, e si possono distinguere le persone in base a un’avversione forte al PROP. Questo è un’aggiunta di valore nelle ricerche di mercato con degustazione. È importante analizzare la percezione
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del gusto attraverso tecniche di indagine che vanno al di là del dichiarato e comprende anche la dimensione psicofisiologica. Il sapore è influenzato anche da altri aspetti sensoriali come per esempio il tatto e la vista. Il sapore ha le caratteristiche dell’illusione e risulta facilmente influenzabile: per questo un ruolo importante nei processi di comunicazione è dato dalle sensazioni visive di un cibo. Quello che vediamo influisce sulla nostra percezione del cibo. Quando mangiamo i nostri sensi lavorano sinergicamente per consentire al cervello di identificare esattamente gli alimenti ingeriti. Nel mondo del vino è ben nota l’importanza che hanno i colori, basti pensare anche al ruolo che hanno nella sommellerie. Il colore permette di anticipare i sapori, creando forti aspettative in grado di modificare la percezione del gusto. Le aspettative hanno un ruolo determinante nonostante le perone non ne siano consapevoli, per questo la comunicazione del vino e del cibo si devono basare sulla capacità di influenzare, anche inconsapevolmente, la percezione sensoriale come mostrato in numerose ricerche.
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8 8.4 Comunicazione persuasiva Il vino è un prodotto con una forte caratterizzazione simbolica e psicologica che ritroviamo nella comunicazione. Sia per la sua natura, sia perché rientra nella categoria degli <<alimenti>>. La scelta di un prodotto alimentare è molto influenzata dall’attribuzione di significato che porta con sé, e del valore privato e pubblico che viene dato a questo tipo di consumo. Chi si occupa di comunicazione del vino non può solo soffermarsi sugli aspetti sensoriali e sulla storia del produttore o sul territorio, deve, piuttosto considerare l’effetto emozionale che la comunicazione può avere sui processi sensoriali, ma anche valutare il ruolo che la scelta di un prodotto o di un’etichetta ha per una persona e per la sua esigenza psicologica di comunicare qualcosa a sé e agli altri. Il tema della comunicazione identitaria in relazione alla scelta del vino rientra in una riflessione più ampia che pone il mondo dei consumi come un interlocutore dei consumatori per la costruzione identitaria. Scegliere un vino, saper rappresentare a sé e agli atri le sue caratteristiche, contribuisce a dare un ruolo e una personalità al soggetto stesso. Nella società postmoderna l’identità deve fare i conti con l’avvenimento di nuovi valori, nuovi e diversi stili di vita, con la perdita degli organi educativi. Un ulteriore elemento che rappresenta la forza e la valenza comunicativa di un prodotto e la sua funzione di rappresentazione sociale è rappresentato dal meccanico per cui gli stessi consumatori tendono ad associare ai prodotti attribuiti intangibili e funzioni simboliche che in origine non erano stati previsti né dal comunicatore né dal produttore. In questo processo
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il valore simbolico dei prodotti e del vino acquista un rilievo che va oltre al semplice <<valore d’uso>>. Il consumo alimentare e del vino, diventano attività complesse che richiedono la possibilità di manifestare uno stile di vita, prevedono l’uso di tempo, di energie psichiche e monetarie contribuendo alla necessità del consumatore di raccontarsi e raccontare al mondo chi si vuole essere. Questa estensione del significato del consumo alimentare e del vino trasforma la relazione tra prodotto enologico e consumatore. Il processo di scelta diventa soprattutto un atto comunicativo attraverso il quale trasmettere agli altri un messaggio o un’immagine di sé. La preferenza accordata a un’etichetta piuttosto che all’altra assume il valore simbolico, di stemma, con cui il consumatore esprime il suo personale stile di vita, l’adesione a determinati valori, la condivisione di certe tendenze culturali, l’appartenenza a una storia o a un territorio. I prodotti alimentari comunicano non solo significati tecnico-funzionali, ma anche valori simbolici che nascono dalla relazione con il consumatore e possono rispondere a bisogni <<espressivi, di rappresentazione sociale>> della propria personalità. Gli oggetti di cui il consumatore si circonda rappresentano un <<sistema di segni>>. I beni di consumo acquistano un linguaggio proprio, che li porta a significare altro rispetto e a rispondere a bisogni psicologici. L’etichetta di un vino, la sua bottiglia, il suo tappo e la storia che circonda possono diventare segni importanti in questa narrazione e per tale motivo richiedono sempre più attenzione e progettazione professionale. Ovviamente questi elementi sono importanti nel processo di scelta e di attrazione dell’attenzione secondo criteri di attivazione più noti, ma accanto a questi elementi e, vista la forte competizione del mercato, occorre considerare anche la dimensione della rappresentazione.
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Sotto. Esposizione Enoteca Pellegrini
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Ecco che la brandizzazione del vino, così come tutti gli oggetti della vita quotidiana, sono una conseguenza dell’affiancamento tra la dimensione narrativa, simbolica identitaria e quella sensoriale e di gradevolezza palatale. Una comunicazione efficace del vino deve pertanto considerare, non solo le aspettative del consumatore nel valore funzionale del prodotto e alla sua gradevolezza sensoriale (in un’etichetta, il vitigno, il profumo del vino, la storia della cantina, gli abbinamenti), ma anche il valore che viene attribuito a dimensioni simboliche e sociali, come la relazionalità può garantire la scelta di un particolare vino e il reciproco riconoscimento sociale che questa scelta comporta.
In un momento dove la comunicazione tra aziende e consumatore deve trovare un modo di esprimersi molto più articolato e profondo, la relazionalità e il riconoscimento diventano importanti obiettivi del marketing. Il marketing relazionale è una nuova forma di relazione con il consumatore che impone meccanismi di riconoscimento difficili da attuare che non sono finalizzati a rintracciare i bisogni del consumatore, ma i suoi desideri e a soddisfare le esigenze che vanno oltre la funzionalità del prodotto.
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8 8.5 Comunicazione emozionale Il marketing del vino richiede un’attenta valutazione del significato immateriale che si vuole trasmettere, oltre a quello organolettico e di sapore. Come capita per tutti gli ambiti di consumo dove la dimensione simbolica è prevalente, l’attenzione agli elementi narrativi e simbolici deve guidare la progettazione della comunicazione e le operazioni di marketing. Questi elementi devono essere in grado di evitare incoerenze tra ciò che si narra e ciò che si è realmente. La narrazione deve fare i conti anche con le competenze del consumatore, poiché il rischio di comunicare con un esperto è elevato, utilizzando una narrazione incomprensibili per la maggior parte dei consumatori. I consumatori sono sempre più riflessivi, capaci di intercettare le informazioni necessarie per fare una scelta consapevole e critica, attenti alla qualità dei prodotti in una ricerca del giusto rapporto qualità/prezzo. Si cerca di soddisfare i desideri individuali attraverso un consumo sostenibile, questo spinge alcuni produttori a investire sul tema della sostenibilità anche nel mondo del vino. Stanno nascendo nuovi comportamenti di consumo del vino, in cui la relazione con gli altri, con lo spazio e con la natura ha riacquisito valore. Il compito della comunicazione è quello di descrivere un prodotto e le sue specificità, ma anche quello di emozionare. Alla base dell’emozione esistono alcuni criteri che devono essere presi in considerazione: •Il vero valore interattivo che si richiede nella comunicazione con il consumatore e la sua capacità Sopra. Pubblicità vino di provare emozioni che si presume facciano parte biologico Ausonia del progetto di comunicazione dei prodotti enologici.
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•La segmentazione del proprio target di riferimento. Ogni prodotto deve essere pensato per intercettare un target in una logica anche di differenziazione rispetto al mercato. Questo implica la conoscenza diretta del mercato di riferimento. Occorre sempre indagare il proprio target di riferimento per costruire etichette che vadano oltre la gradevolezza percepita dall’imprenditore. •L’esigenza di ascoltare il proprio target di riferimento in una logica di miglioramento continuo. Significa anche mettere in discussione scelte prese in passato che sembrano ancora avere successo. Possono essere studiate con tecniche di marketing ma uno dei presupposti è che tale studio comprenda il vissuto del produttore, ma soprattutto che rispetto le aspettative del consumatore. L’etichetta gioca un ruolo importante nella scelta dei prodotti. Quelle più apprezzate non sono quelle che possiedono particolari canoni estetici, ma anche quelle che rispondono a specifiche esigenze dei consumatori. Uno studio sulle aspettative dei consumatori rispetto all’efficacia della comunicazione delle retroetichette, ha rilevato che l’esigenza dei consumatori è quella di trovare alcune specifiche informazioni che a volte vengono <<sacrificate>> per dare spazio a narrazioni romanzate del prodotto e del territorio, non esaustive per il consumatore. In questa ricerca è stato chiesto a dei consumatori di indicare quali sono i principali fattori che influiscono l’acquisto di un vino. I primi due fattori sono il prezzo e la tipologia del vitigno. A seguire è importante il brand e all’effetto del passaparola. L’etichetta frontale influenza più della retroetichetta. L’aspetto importante è ciò che il consumatore si aspetta di trovare nella narrazione della retroetichetta: una chiara descrizione dei profumi e degli aromi che andrà a trovare nel vino, le principali informazioni riguardo la cantina e alla sua storia, gli abbinamenti
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con i cibi. A seguire tutte le informazioni tecniche che il consumatore non capisce fino in fondo, che per lui risultano comprensibili e complementari con le sue capacità di comprensione. Ciò che viene indicato come desiderabile è il riferimento al sito web per trovare informazioni, la mappa geografica del territorio di produzione, la narrazione di qualche aneddoto e le tecniche di produzione. •I meccanismi di semplificazione della conoscenza e la comunicazione possono condizionare le aspettative, e la valutazione categoriale fa parte del modo di relazionarsi del consumatore con il mercato. Una comunicazione del vino richiede attenzione a questi elementi. Questa misurazione non sempre rientra nelle abitudini dell’imprenditore di vino. Osservare se la comunicazione funziona richiede tempo e competenza e la prima associazione che viene fatta è il rapporto tra l’investimento in Sotto. Design etichetta vino comunicazione e le vendite. Cavè, Tenute Olbios
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8 8.6 I campi di applicazione nel mondo del vino Le etichette sono gli stimoli che facilitano l’acquisto, per questo hanno un ruolo determinante richiedendo attenzione e un rigoroso sistema di valutazione. Attraverso l’uso di eye tracker e parametri neuropsicofisiologici è possibile misurare la capacità attrattiva che l’etichetta ha in termini di comparazione con altre etichette o in uno specifico contesto di vendita (lo scaffale in store). L’eye tracking permette di avere indicazioni precise sulla sequenza di visione di ogni singola parte di un’etichetta sapendo quale parte viene vista prima di altre e quanto tempo impiega il consumatore nel vederla.
Sopra. Eyetracking etichetta di vino
Questo permette di comprendere i processi di attrazione attentiva, di attivazione emozionale e di facilità di lettura delle informazioni. L’user experience della bottiglia e della sua etichetta non si basa solo sull’utilizzo degli aspetti funzionali del prodotto, ma sul valore simbolico, emozionale e psicologico che può avere. Anche il packaging può essere analizzato attraverso le emozioni che provoca. Il neuromarketing applicato ad esso permette di capire gli elementi più rilevanti per quella tipologia di prodotto; individuare ogni difficoltà nel ricercare informazioni nel pack; misurare se elementi particolarmente importanti vengono percepiti o meno.
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Il marketing del vino
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Qualsiasi azienda che decida di adottare una strategia di marketing deve obbligatoriamente guardarsi intorno per valutare quale è la situazione del mercato, o mercati, in cui ha intenzione di operare. Qualsiasi scelta andrĂ a scontrarsi con le caratteristiche dellâ&#x20AC;&#x2122;offerta e della domanda, con il macroambiente e il microambiente del marketing.
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9 9.1 Il mercato Il mercato del vino in Italia e nel Mondo ha delle caratteristiche particolari rispetto a quello di altri prodotti dell’agroalimentare e quello delle bevande alcoliche. In Italia la domanda è frammentata. In altri Paesi esiste una maggiore concentrazione, con tenute più grandi, mentre la dimensione media del vigneto italiano è ridotta. Esistono piccoli vigneti abbandonati o perché i proprietari sono vecchi o per la crisi di cooperative meno efficienti. Per quanto riguarda le grandi tenute (con superfici maggiori di 50 ettari), rappresentano il 7% del vigneto italiano e si trovano in Toscana, FriuliVenezia Giulia e Umbria. Questa frammentazione del mercato ha un’implicazione per le strategie di marketing: creare un brand che possa emergere rispetto alla massa è più difficile che in altri settori.
Sopra. Infografica sul mercatodel vino nel 2018
Un altro trend importante è quello globale della riduzione delle superfici destinate a vigneto. Nel panorama italiano le regioni che producono più vino sono il Veneto, l’Emilia Romagna, la Puglia e la Sicilia. Un altro elemento che caratterizza l’offerta del vino in Italia è la molteplicità di vitigni allevati, soprattutto quelli autoctoni: viene valorizzato il patrimonio italiano recuperando vecchi vitigni abbandonati e vinificati. Questo da un lato determina una grande ricchezza e varietà nell’offerta, valorizzando l’unicità della produzione italiana e differenziandola in un mercato sempre più globale, dall’altro comporta uno sforzo maggiore di comunicazione per valorizzare i vitigni diversi. La domanda di vino a livello mondiale è stabile. Se da un lato, mercati maturi come quello italiano o francese, stanno accusando un calo dei consumi, dall’altro stanno emergendo nuovi mercati a cui destinare la
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produzione e quindi le esportazioni. Francia, Italia e Stati Uniti restano i Paesi che maggiormente consumano vino, ma, mentre per i primi i consumi stanno diminuendo, per gli Stati Uniti è l’opposto. Nel Nord Europa, Germania e Regno Unito il trend è in crescita. I consumi nei mercati scandinavi sono stabili. Elementi che caratterizzano la domanda del vino nei mercati emergenti si ricollegano alla formazione di una classe borghese medio-alta e allo status symbol che viene associato al vino. Tra le principali tendenze demografiche della popolazione italiana esistono alcuni fattori di lungo periodo: •Invecchiamento della popolazione, gli over 65 sono in aumento e non sono quelli di vent’anni fa. •Aumentano le donne che consumano vino, grazie alla crescita occupazionale e autonomia finanziaria. •Mutamento della struttura familiare, aumentano i single e le coppie senza figli. Negli ultimi dieci anni è aumentata la quota di persone che consumano altri tipi di alcolici (aperitivi, mari, superalcolici) ed è diminuita quella di coloro che consumano vino e birra. Tuttavia il vino resta in testa alle preferenze, seguito dalla birra. Quanto ai canali di distribuzione, il ruolo principali spetta alla grande distribuzione, seguita a grossisti e intermediari, dall’Ho.Re.Ca. e dalle rete diretta. Per finire le enoteche e wine bar. La GDO è da tempo il canale più importante per le vendite di vino.Nei consumi fori casa esistono canali preferenziali basati sulla tipologia del vino. Il principale mercato di sbocco sono gli Stati Uniti, seguito dalla Germania. L’Unione Europea rappresenta quasi la metà dell’export italiano. Se da un lato l’Italia è il maggior produttore di vino al mondo, a livello di export è al secondo posto, dopo la Spagna e prima della Francia. Nonostante il prezzo medio continua ad essere basso rispetto a quelli francesi, esiste un trend più forte di crescita e il prezzo medio sta aumentando.
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Sotto. Grafico sui criteri di scelta del vino
9 9.2 Acquisti e segmentazione Il processo decisionale del consumatore si suddivide in varie fasi. A seconda del tipo di acquisto, le varie fasi potranno essere più o meno complesse o importanti. Il processo si divide in cinque momenti: 1.Percezione del bisogno: il primo momento è riconoscere il problema. Così si genera un divario tra lo stato reale e lo stato desiderato, che rappresenta lo stimolo che porta a riconoscere un problema.
A sinistra. Grafico sui consumi del vino in Italia, relazione annuale 2018 del Ministero della Salute al parlamento (dati 2016), Report Istat aprile 2017 (dati 2016)
2.Ricerca di informazioni: Più il vino da acquistare è ricercato più lungo e complesso sarà il processo di raccolta delle informazioni. Prima viene effettuata una ricerca interna, prendendo spunto dalle esperienze passate. Questa ricerca è inconscia. Poi avviene la ricerca esterna, dove le fonti di informazione possono essere: personali (passaparola), commerciali (pubblicità), pubbliche (riviste e guide), empiriche (assaggio del vino). Capire dove un consumatore cerca le proprie informazioni è fondamentale perché permette di capire dove dirigere le risorse in termini di comunicazione. 3.Valutazione delle alternative: dopo aver raccolto le informazioni, il consumatore confronterà le informazioni e farà la sua lista di possibili vini da acquistare. Alcune caratteristiche serviranno da filtro, la prima è il prezzo: la disponibilità economica è il primo criterio per distinguere le alternative. Altre caratteristiche dipendono dai valori che si associano ai vini, ogni consumatore darà ai propri valori una determinata importanza, in base ai quali dirigerà la sua scelta. 4.Decisione di acquisto: effettuata la scelta decisiva si procederà all’acquisto del prodotto o servizio. L’azienda
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deve rendere questa fase semplice e soddisfacente, in modo da portare a termina la vendita. 5.Comportamento post-acquisto: Una volta acquistato il prodotto, il consumatore andrà a confrontarlo con le aspettative che si era posto. In base a queste considerazioni avrà un feedback personale che influenzerà i suoi futuri acquisti. La segmentazione serve a individuare i potenziali consumatori che costituiscono il target a cui l’azienda si vuole rivolgere con i propri prodotti. La segmentazione si basa su fattori precisi: •Fattori demografici •Fattori geografici •Fattori psicografici •Fattori comportamentali E’ importante sapere dove si posiziona l’azienda rispetto al mercato, dove si posiziona il vino rispetto a quello della concorrenza, ma soprattutto in cosa riesce a distinguere la propria cantina dalle altre. In un mercato frammentato come quello del vino, riuscire a posizionarsi in modo distinto dagli altri, differenziandosi, diventa essenziale per emergere rispetto alla massa. Bisogna individuare i valori che rendono diversa la produzione e l’immagine aziendale rispetto a quelle degli altri. Perciò si può fare leva sul valore del prodotto, il valore dei servizi, il valore del personale, il valore dell’immagine il rapporto qualità/ prezzo. Il posizionamento si riferisce sia all’azienda, sia alle decisioni che riguardano i prodotti. Per questo un vino di punta avrò un packaging più ricercato, mentre un vino “base” ne avrà uno più semplice. Sulla base dell’analisi di mercato e dei valori su cui si basa il posizionamento, si andrà a formulare la strategia di marketing della cantina.
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Sopra. Grafico che indica la percezione del vino in base a chi lo consuma, Fonte: Concumer survey WM 2018
9 9.3 Strategie di prodotto Quando si parla di vino da un punto di vista di marketing è fondamentale ricordarsi che non è soltanto una bevanda, ma è composto da una serie di elementi che costituiscono il prodotto-vino. Il vino è il fulcro del prodotto ed è composto da differenti elementi: colore, caratteristiche gustoolfattive, vitigni, area di produzione/denominazione, vinificazione e maturazione, gradazione, annata. Alcuni elementi sono inclusi nella scheda tecnica del vino, altre saranno presenti nell’etichetta e influenzeranno il consumatore. Tutti insieme questi elementi permettono di distinguere un vino dall’altro. L’aspetto particolare del mercato del vino è che pure implicando un forte coinvolgimento emozionale, il fulcro delle caratteristiche non può essere anticipato al consumatore prima dell’acquisto. In un’enoteca il personale è capace di illustrare i differenti vini, mentre nella grande distribuzione non ha le capacità adeguate. Per questo bisogna considerare gli altri fattori che compongono il prodotto-vino: Sotto. Dimensioni bottiglie del vino
1.La bottiglia e i contenitori del vino: la scelta della bottiglia è tra i primi indicatori che possono trasferire al consumatore un messaggio sulla qualità del vino. Si possono distinguere n base al formato, i più comuni sono: • 375 ml (mezza bottiglia) • 500 ml • 750 ml (standard) • 1,5 l (magnum) • 3 l (Réhoboram) • 6 l (Mathusalem) • 9 l (Salmanazar) • 12 l (Balthazar) • 15 l (Nabucodonosor)
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Quella di capienza standard è da 750 ml, in modo da facilitare il trasporto, lo stoccaggio e l’esposizione. La mezza bottiglia è usata per vini passiti, secchi e fermi. La magnum è la dimensione che garantisce le condizioni ideali di invecchiamento del vino. La forma della bottiglia dipende dalla tradizione di una zona oltre alle scelte di marketing. Un altro elemento importante è dato dal peso della bottiglia: più è pesante e più dà l’idea di un vino di migliore qualità. Nel corso degli anni l’attenzione alla sostenibilità ambientale ha portato a una valorizzazione del peso inferiore delle bottiglie: la leggerezza comporta costi inferiori di trasporto e un consumo minore di anidride carbonica. La scelta del colore ha un’importanza per la commercializzazione del vino, oltre che per la conservazione. Il colore verde viene scelto per favorire la preservazione: il vetro scuro filtra la luce rallentando l’ossidazione del vino. Il vetro trasparente è una scelta per i vini rosati e i bianchi, se si vuole valorizzare il colore. Anche il mondo del vino ha le sue innovazioni: nel caso delle conservazioni esistono le bag in box. Packaging formato da una scatola all’interno della quale si trova una sacca dalla quale si preleva il vino attraverso un rubinetto. Packaging ecologico. 2.L’etichetta: è il primo strumento attraverso il quale viene raccontato più nel dettaglio cosa c’è dentro la bottiglia. Ha una funzione di tutela nei confronti del consumatore, prima ancora di comunicazione. Le norme che regolamentano l’etichetta offrono garanzia rispetto al vino contenuto nella bottiglia. L’etichetta si divide in etichetta (frontale) e retro-etichetta. Contiene menzioni obbligatorie e facoltative. 3.La capsula: la capsula ricopre il tappo e l’imboccatura della bottiglie e ha l’obiettivo di proteggerli da sostanze inquinanti, oltre che a completare il packaging della bottiglia, cercando di renderlo elegante. Oggi si usano capsule di alluminio
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Sopra. Vino Bianco Chardonnay Trentino IGP delle Dolomiti Bag in box 3 litri
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polilaminato, PVC e altri materiali non tossici. Il colore è coerente con l’etichetta e la bottiglia, e insieme al materiale vengono cambiati nella diverse linee di prodotto, in modo da evidenziarlo. A volte può essere personalizzato con il marchio dell’azienda.
Sopra. Varie tipologie di tappo
4.Il tappo: è l’altro elemento importante del packaging. Oltre a chiudere la bottiglia ha molte implicazioni di marketing. Nuove innovazioni stanno tentando di risolvere il problema della scarsità di sughero e al tempo stesso i difetti che derivano dall’utilizzo di questo materiale: l’odore di tappo deriva da un fungo che attacca la corteccia della quercia da sughero. I tappi diffusi sono: •Tappo di sughero: naturale, tecnico e a fungo •Tappo polimero espanso (sintetico o di silicone) •Tappo di vetro •Capsula di alluminio (tappo a vite) Le implicazioni dipendono dal posizionamento e dal marcato a cui ci si rivolge. Per una bottiglia “importante” molti consumatori si aspettano un tappo di sughero. Tappi diversi sono considerati per vini di fascia più bassa. L’altra componente è il target: i consumatori più preparati non hanno preconcetti verso l’utilizzo di un tappo a vite. È importante spiegare il funzionamento e i vantaggi di questi nuovi tappi e attraverso la comunicazione abbattere i muri culturali e non qualitativi. A sinistra. Le componenti di una bottiglia
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9 9.4 Strategie distributive La necessità di adottare delle strategie distributive e di affidarsi a intermediari che si occupino di vendere è essenziale. In alcuni casi le aziende riescono a vendere direttamente attraverso il proprio punto di vendita, ma sono delle eccezioni. La scelta dei canali e degli intermediari dovrà essere coerente con le altre leve di marketing. I vari canali di distribuzione si distinguono in: •Vendita al dettaglio e vendita all’ingrosso: la prima include le enoteche, la grande distribuzione e il canale Ho.Re.Ca. Include quindi tutte le attività di vendita di beni direttamente i consumatori finali per il loro Sopra. Grafico soddisfazione uso personale. La distribuzione all’ingrosso include vendite per canale, Fonte: dati le attività di vendita di beni a quanti procedono ed elaborazioni wine2wine all’acquisto per poi poterle rivendere o impiegare nel loro processo produttivo. •Vendita diretta: viene realizzando uno spazio apposito nella cantina e implica il rapporto diretto con il cliente. Oltre a eliminare i costi d’intermediazione, nasce un rapporto diretto con il cliente, facilitandone Sotto. Grafico distribuzione la fidelizzazione. Canale principale per la vendita dello canali di vendita del vino in Italia sfuso. •Gli enotecari e altri dettaglianti: il canale delle enoteche è uno dei più importanti per un’azienda vitivinicola. Le enoteche tendono a specializzarsi, così da differenziarsi rispetto al mercato. Offrono servizi aggiuntivi: dai corsi di degustazione all’organizzazione di eventi e degustazioni, fino ai servizi di consegna a domicilio ai ristoranti della zona. •La grande distribuzione: in passato veniva associato alla distribuzione di vini di qualità media o bassa. Oggi molte catene si stanno specializzando, trasformando
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gli scaffali in vere e proprie enoteche. Inoltre la possibilità di sviluppare partnership anche localmente con produttori ha reso questo canale accessibile anche ad aziende di dimensioni medie e la selezione risulta più interessante anche agli occhi del consumatore finale. Si possono sviluppare partnership con la grande distribuzione, da cui nascono prodotti a marca privata (i private label): l’azienda produttrice resta in evidenza nell’etichetta, ma questa è disponibile sono nei punti vendita appartenenti a quellacatena.
•Il canale Ho.Re.Ca: include hotel, ristoranti e caffè. È un canale importante anche in termini di comunicazione. La ristorazione va divisa tra catene e ristorante indipendente. La seconda rappresenta in Italia la fetta principale, ma si stanno sviluppando catene di ristorazione di qualità ben lontane dall’immagine di fast food. Anche gli hotel sono una categoria importante: gli acquisti sono fatti dal buyer. •Grossisti e agenti: i primi sono società indipendenti che si occupano di acquistare i vini per poi rivenderli a enoteche e ristoranti della propria zona. Il servizio può essere libero o con consegna al punto vendita. I secondi sono indipendenti, ma non assumo la proprietà della merce. Possono rappresentare una o più aziende e si occupano di vendere il prodotto delle cantine che rappresentano alle enoteche e ai ristoranti della loro zona. Così facendo l’azienda rischia di meno, non dovendo assumere l’agente come dipendente, ma rinuncia a un certo livello di controllo sulla relazione con il cliente finale. •Incentivazione intermediari: gli intermediari vanno motivati e incentivati, partendo da una collaborazione che si basa su cooperazione, rispetto e controllo dell’operato. •E-commerce: è un canale in forte sviluppo per il mondo del vino, malgrado che il settore alimentare in Italia rappresenta solo l’1% del mercato.
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9 9.5 Strategie di promozione e comunicazione All’interno del marketing mix, una componente importante è la comunicazione: in passato era basata sul passaparola, uno strumento che oggi ha assunto maggior efficacia grazie allo sviluppo dei social network. Il presupposto della pubblicità è l’individuazione degli obiettivi da raggiungere. Spesso viene vista come uno spreco di risorse, ma questo avviene solo se le iniziative pubblicitarie non rientrano in un piano più ampio. In base ad essi potrà essere deciso il target, individuare il messaggio che vogliamo dare e capire quali sono i canali da utilizzare (media tradizionali, nuovi media, ecc). Nella pianificazione della campagna bisogna tener conto di due fattori: frequenza e ripetizione del messaggio e penetrazione, ovvero quante persone Sopra. Pubblicità vino Selenu riusciamo potenzialmente a colpire e quante volte. Il mix della promozione e comunicazione include una serie di strumenti che possono essere ricondotti a quattro categorie fondamentali: Sopra. Cartellone
pubblicitario azienda Matasci
1.Pubblicità: qualsiasi forma di presentazione e promozione impersonale di idee, beni e servizi da parte di un promotore ben identificato, fatta dietro compenso (annunci televisivi, manifesti, brochure, cataloghi, ecc). 2.Promozione vendite: comprende gli incentivi di breve periodi volti a favorire gli acquisti o le vendite (offerte speciali, campioni gratuiti, le fieri, ecc). 3.Pubbliche relazioni: le iniziative che puntano a migliorare e rafforzare l’immagine di un’azienda o di un vino. Da queste deriverà una comunicazione o una notizia editoriale non pagata.
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4.Vendita personale: è la presentazione orale fatta durante una conversazione con uno o più acquirenti potenziali, con l’obiettivo di realizzare una vendita (presentazione, riunioni e convegni, ecc).
Quindi la pubblicità include qualsiasi forma di presentazione e promozione impersonale di idee, beni e servizi da parte di un promotore fatta dietro compenso. In passato la comunicazione pubblicitaria si basava su un meccanismo semplice: l’azienda manda un messaggio, il consumatore lo recepisce e risponde acquistando o non acquistando il prodotto. I media tradizionali impiegati si possono raccogliere in: •La stampa generalista quotidiana, nazionale o locale: spazi pubblicitari di dimensioni diverse (pagina intera, mezza pagina, ecc) •La stampa specializzata, periodica: il target è definito in base ai contenuti della rivista. •La radio: gli pot e la sponsorizzazione di programmi tematici. •La televisione: scelta riservata a grandi aziende o ai consorzi. •Le affissioni: vengono utilizzati per indicare la presenza di un’azienda con un punto vendita. •La pubblicità dinamica: nelle grandi città è la pubblicità sugli autobus e altri mezzi di trasporto. Con l’avvento dei nuovi media questo meccanismo è cambiato. L’azienda manda ancora il messaggio, il consumatore oltre a scegliere se acquistare o meno il prodotto, può anche commentare e interagire con l’azienda stessa e con altri consumatori. Bisogna tenere conto di questo cambiamento e sfruttarlo, utilizzando le loro critiche, valorizzando i loro complimenti e creando un dialogo basato sull’ascolto.
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Ciò che è importante in un messaggio pubblicitario è ciò che rimane impresso nella mente del consumatore da quel momento fino a quando si troverà in un punto vendita davanti al vino. Ai loro occhi è necessario che il messaggio abbia due funzioni: 1.Informazione: una delle funzioni chiave della pubblicità (in passato era l’unica utilità). 2.Intrattenimento: dare informazioni in modo coinvolgente. L’attenzione al messaggio si baserà su fattori indipendenti dal messaggio, quindi sul fatto che il consumatore sia interessato a quel tipo di prodotto. Gli elementi di un messaggio pubblicitario sono: •Brand e identificazione della categoria •Strumenti che attirano l’attenzione •Piacevolezza •Semplicità •Originalità •Benefici •Umorismo e sesso •Dare l’opportunità di replicare Il modello delle 4C della comunicazione è stato creato nel 2009 da David Jobber e John Fahy e fornisce quattro linee guida da seguire affinché un messaggio sia efficace: Clarity (Chiarezza), Consistency (Coerenza), Credibility (Credibilità) e Competitiveness (Competitività). In vista delle fiere è importante preparare tutto il materiale necessario a promuovere la propria cantina. Il materiale promozionale dovrà avere un unico stile grafico che risponda all’immagine aziendale. Un elenco di materiali utili a promuovere il vino sono: brochure e pieghevoli, cataloghi, gadget (eventuali), penna usb o CD, presentazione PowerPoint.
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Sopra. Esempio di merchandising di vino A destra. Applicazione che aiuta nella selezione del vino
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10 Lâ&#x20AC;&#x2122;etichetta
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L’etichetta applicata su una bottiglia può essere considerata come la carta d’identità del vino e per questo deve riportare precise indicazioni e illustrazioni, in modo da definire sia le reali caratteristiche del vino, con lo scopo di informare il consumatore sull’effettiva natura del prodotto, sia informarlo sulla produzione e commercializzazione. L’aspetto estetico di un’etichetta coinvolge ed influenze nel scegliere un vino piuttosto che un altro (oltre ai gusti personali), ma il ruolo più importante, fondamentale, va ben oltre la prima fase “emozionale”, ed è quello di fornire informazioni riguardo il prodotto.
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10 10.1 Definizione e contenuto
Sopra. Etichetta Brunello di Montalcino
Sotto. Etichetta Pinot Grigio
L’etichetta deve porre il consumatore nella condizione di effettuare le proprie scelte tenendo conto soltanto dei requisiti propri nel prodotto. In questo modo l’etichetta assume una rilevanza importante, in quanto determina il primo contatto del consumatore con il vino: ciò si accentua maggiormente al giorno d’oggi, poiché nella maggior parte dei casi viene a mancare il rapporto diretto tra il produttore del vino ed il consumatore, tra il venditore commerciante e l’acquirente. E’ risaputo che la maggior parte degli acquisti avviene tramite la grande distribuzione, soprattutto nei supermercati, dove il personale, a parte che non sempre possiede una specifica competenza in materia, è distratto da altre incombenze, per cui spesso non è in grado di fornire al consumatore tutte le informazioni che vorrebbe riguardo al vino da acquistare. Perciò l’unico messaggio che l’imbottigliatore può far giungere a colui che berrà il prodotto è rappresentato dalle indicazioni riportate sull’etichetta. Le informazioni dovranno essere riportate in maniera chiara, completa e, ovviamente, veritiera e verificabile. Il tutto segue una regolamentazione ben precisa, emanata dalla Comunità Europea, proprio per garantire uniformità su scala europea. Gli elementi presenti in un’etichetta di identificazione variano a seconda del tipo di prodotto a cui è associata l’etichetta e a seconda delle normative vigenti. Le dimensioni e le misure delle etichette per vino dipendono dal tipo di bottiglia e dall’impressione più o meno raffinata che si vuole dare al cliente. Il formato maggiormente utilizzato è quello rettangolare con misure comprese tra gli 8×7 cm e i 12×10,5 cm, ma è possibile scegliere anche etichette rotonde, ovali e con bordi decorati.
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Importantissimo ruolo nell’etichettatura lo riveste la misura del carattere. In materia vi sono delle regole rigidissime. È assolutamente obbligatorio che indicazioni geografiche e denominazioni d’origine siano riportate in carattere almeno doppio rispetto all’indicazione della sede dell’imbottigliatore. Inoltre, l’eventuale menzione tradizionale o speciale quale “riserva”, “classico”, “superiore”, nonché il nome del vitigno, non devono essere di carattere maggiore rispetto alla denominazione. L’etichetta che viene applicata sul retro di ogni bottiglia di vino deve contenere una serie di informazioni indispensabili perché il cliente possa fare una scelta consapevole al momento dell’acquisto. La legge prevede inoltre che tali informazioni siano chiare e Sopra. Etichetta Syrah facilmente leggibili, in modo da tutelare gli interessi dell’acquirente. Sull’etichetta deve essere specificata anche la capienza del contenitore, compatibile con il volume di vino in esso contenuto, esprimibile in diverse unità di misura, ovvero litri, millilitri o centilitri. Nel caso in cui all’interno della bottiglia sia presente dell’anidride solforosa in quantità superiore ai 10 mg/litro, l’etichetta dovrà avere la dicitura “contiene solfiti”. A sinistra. Esempi di etichette su bottiglie di vino
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10 10.2 Storia ed evoluzione dell’etichetta La prima etichetta risale infatti agli antichi Egizi, che sulla chiusura delle anfore incidevano i dati riguardanti al contenuto: anno di produzione, provenienza e nome del produttore del vino. In Grecia, sulle anfore era normalmente citata la provenienza: vino di Cipro, vino di Lesbo, ecc. Anche nell’antica Roma le anfore, dopo essere state sigillate, venivano incise con il nome del vino, dei Consoli e con il numero di anfore prodotte con quel determinato tipo di uve. Sopra. Etichetta Champagne Dom Pérignon
Sotto. Una delle prime etichette da Champagne Perrier-Jouet
Il metodo dell’incisione venne utilizzato fino al 1600. L’avvento delle bottiglie in vetro creò la necessità di una più precisa identificazione dei vini: è così che nacque “l’etichetta”. La più antica è sicuramente quella scritta dal monaco benedettino Dom Pierre Pérignon. Il monaco, per non confondere le annate e le vigne di origine, etichettò le bottiglie con una pergamena legata al collo della bottiglia con uno spago. Verso la metà del Seicento, i nobili inglesi servivano il vino in caraffe ornate da una placca di peltro o di argento su cui era inciso il nome del contenuto. Essendo molto costosi, tali metodi di etichettatura vennero successivamente sostituiti da etichette di carta stampate con inchiostro nero: tra le più famose si ricorda quella di Claud Moët, oggi conosciuto come Moët & Chandon. La svolta si ebbe nel 1796 con l’invenzione della litografia ad opera del cecoslovacco Alois Senefelder. Tale sistema dava la possibilità di stampare più copie della stessa etichetta, disegnando un bozzetto da riprodurre. Tuttavia l’inventore dell’etichetta è lo svizzero Henri-Marc, proprietario della Maison De Venoge, che nel 1840 propose le proprie bottiglie di Champagne con etichette illustrate simili a quelle odierne.
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Aumentando la richiesta di bottiglie da vino divenne indispensabile l’impiego dell’etichetta: le prime erano generiche che riportavano la tipologia del vino. In Italia le etichette più antiche erano di produttori piemontesi (fornitori della Casa Savoia) e produttori siciliani. Le etichette italiane dei XIX secolo non risaltavano la qualità del vino , ma concedevano ampio spazio alla fantasia con immagini che traevano spunto dalla vita contadina, stemmi o medaglie appartenenti alle famiglie produttrici. Questo almeno fino al 1950, anno in cui la legge impose un’etichetta più didascalica e descrittiva.
Sopra. Una delle prime etichette di Villa Antinori
Con l’affermarsi della quadricromia si incominciò ad utilizzare il cliché: attraverso 4 o 5 impressioni tipografiche, si ottenevano impasti di colore che conferivano all’etichetta un aspetto smagliante. Con l’avvento dell’offset, i colori assunsero un aspetto più opaco. L’etichetta divenne commerciale ma, da un punto di vista estetico, meno pregiata. Di fronte a un fenomeno di così vasta portata,lo Stato è intervenuto per portare ordine e disciplina, passando da un regime liberalistico all’instaurazione di una disciplina normativa perfezionata con il tempo. Negli ultimi tempi le etichette si sono però evolute, diventando smart, intelligenti, capaci di contenere e rendere fruibili informazioni preziose. Un’etichetta intelligente è stata studiata soprattutto per combattere la contraffazione, come ad esempio grazie alle tecnologie come i QR-code, NFC implementate nelle classiche, attraverso i quali e grazie ad uno smartphone dotato di telecamera, è possibile accedere a tantissime informazioni extra. Nonostante i cambiamenti la vera funzione delle etichette è rimasta immutata, ovvero quella di rendere riconoscibile una bottiglia di vino attraverso uno strumento identificabile ed unico.
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Sotto. Etichetta italiana del XIX secolo Pino Vermouth
10 10.3 Normativa dell’etichetta Tra i prodotti agroalimentari, il vino è il più complicato da gestire sotto l’aspetto dell’etichettatura. L’etichetta di un vino non ha semplicemente un carattere informativo, ma rappresenta una sintesi narrativa della storia del prodotto: il luogo di origine, l’annata, le caratteristiche organolettiche, una lunga serie di elementi, in parte resi obbligatori da una normativa etichette vino ben precisa. Occorre considerare che il vino è un prodotto distribuito sul mercato internazionale, e l’etichettatura deve corrispondere a specifiche regole italiane ed europee, che determinano i contenuti obbligatori e non obbligatori e i criteri di visibilità. La legislazione vitivinicola europea discende dall’Organizzazione Comune di Mercato (OCM) per il vino, che sussiste nel più ampio contesto della Politica Comune Agricola. La normativa per le etichette del vino fa riferimento alla direttiva 2000/13/CE del 20/03/2000, è importantissimo attenersi alle disposizioni. La Normativa principale della legislazione vitivinicola europea fa riferimento al Regolamento UE n.1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla “OCM Unica”; Regolamento UE 1306/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune; le loro disposizioni sono state integrate mediante il regolamento delegato della Commissione 273/2018. Varie modificazioni sono in ultimo intervenute per effetto della riforma della PAC avvenuta nel 2013, che ha interessato anche la OCM Vino, nonché per effetto del “Regolamento Omnibus – Parte Agricola”. L’11 Gennaio 2019 sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea l’allegato regolamento delegato UE 2019/33 e l’allegato regolamento d’esecuzione 2019/34.
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Con l’introduzione di questi la Commissione Europea ha abrogato il previgente reg. CE n. 607/2009, dotandosi della nuova disciplina in materia di domande di protezione delle denominazioni di origine, delle indicazioni geografiche e delle menzioni tradizionali, la procedura di opposizione, le restrizioni dell’uso, le modifiche del disciplinare di produzione, la cancellazione della protezione nonché l’etichettatura e la presentazione dei vini. La legge ritiene che un consumatore abbia pienamente diritto a risposte chiare che devono necessariamente essere raggruppate in un unico campo visivo. Le indicazioni obbligatorie sono: 1-Denominazione di vendita: indica quale prodotto è contenuto in bottiglia. La norma fa riferimento a disposizioni differenti a seconda che si tratti di un vino con denominazione d’origine/indicazione geografica o un vino varietale. Indicazioni come “vino rosso”, “vino bianco”, “vino rosato” si possono usare solo laddove il prodotti in questione sia sprovvisto di DO (denominazione d’origine) o IG (indicazione geografica). Per quest’ultimi non si adotta la denominazione generica “vino”, giacché si ritiene che la denominazione specifica sia già esauriente. In questi casi sono nomi geografici identificanti una zona vinicola particolarmente vocata che sono in grado di produrre vini le cui caratteristiche sono legate in tutto (DOP) o in parte (IGP) alle caratteristiche di tale territorio. La regola generale impone di scrivere le denominazioni sempre per esteso, senza mai usare sigle in etichetta. È obbligatorio che indicazioni geografiche e denominazioni d’origine siano riportate in carattere almeno doppio rispetto all’indicazione della sede dell’imbottigliatore. Inoltre, l’eventuale menzione tradizionale o speciale quale “riserva”, “classico”, “superiore”, nonché il nome del vitigno, non devono essere di carattere maggiore rispetto alla denominazione.
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Sopra. Schema etichetta
2-Menzioni specifiche D.O.C. e D.O.C.G.: da indicare per esteso o come acronimo. 3-Anno vendemmia: obbligatoria nel caso delle D.O.C. e D.O.C.G. (facoltativo per I.G.T.). 4-Indicazione dell’azienda imbottigliatrice: l’obbligo di indicare sempre l’imbottigliatore, il produttore se si tratta di spumanti, o dell’importatore, nel caso di vini esportati insieme al nome del Comune di produzione. Il motivo di questa scelta è legato a ragioni di tutela del consumatore: infatti quest’ultimo deve poter facilmente individuare l’ultimo anello della catena produttiva, che, appunto, è l’imbottigliatore. E’ concessa la possibilità di indicare, in luogo del nome dell’imbottigliatore, il codice ICQRF unitamente al comune di provenienza dell’imbottigliatore stesso. L’art. 3 del DM 13 agosto 2012 ha disposto che gli imbottigliatori possono fregiarsi di una serie di dizioni aggiuntive, per tutte le categorie di vini DOP e IGP. Queste sono:
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-Imbottigliato dall’azienda agricola -Imbottigliato dal viticoltore -Imbottigliato all’origine da -Imbottigliato all’origine dalla cantina sociale -Imbottigliato all’origine dai produttori riuniti -Imbottigliato all’origine dall’associazione di produttori Inoltre, sono ammesse le seguenti espressioni: -Imbottigliato nella zona di produzione -Imbottigliato in “seguita dal nome DOP o IGP” Tutte queste espressioni possono essere completate dalla dicitura “integralmente prodotto”, a condizione che il vino sia ottenuto da uve raccolte esclusivamente in vigneti di proprietà dell’azienda e vinificate nella stessa. 5-Indicazione del Paese produttore: è uno dei requisiti imprescindibili e che non possono mai mancare. Rispetto all’indicazione dell’azienda imbottigliatrice, si fa riferimento al luogo dove sono state raccolte e vinificate le uve. Mentre il comune, la sede dello stabilimento e l’imbottigliatore possono essere sostituiti mediante l’apposizione del codice ICQRF, l’indicazione dello Stato di provenienza non può mai mancare e deve essere posta in maniera chiara e ben visibile mediante l’utilizzo di diciture quali “vino di..” o “prodotto in..”. 6-Il lotto: Il lotto indica un insieme di unità di vendita di bottiglie prodotte o confezionate in circostanze identiche. Viene identificato da un codice alfanumerico che può essere scelto dall’imbottigliatore (o produttore). È un’indicazione fondamentale per la rintracciabilità del prodotto. A differenza delle altre indicazioni il lotto non è soggetto a norme. È sufficiente che la combinazione usata e tipologia di vino indicato in etichetta permettano di poter risalire ad una data di imbottigliamento e ai registri dove la partita e le bottiglie sono stati indicati. 7-La percentuale di alcool sul volume: questa
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indicazione si riferisce al volume alcolometrico effettivo. La legge prevede l’obbligo di far seguire al volume del titolo alcolometrico (che può essere alternativamente espresso con “titolo alcolometrico effettivo”, alcool effettivo” o “alc.”) il simbolo “% vol.”. I caratteri con cui queste indicazioni devono essere presenti variano a seconda della percentuale di alcool effettiva: -Minimo 5 mm se il volume nominale è superiore a 100 cl -Minimo 3 mm se il valore nominale è pari o inferiore a 100 cl e superiore a 20 cl -Minimo 2 mm se il valore nominale è pari o inferiore a 20 cl La tolleranza minima è pari allo 0,5%.
8-Il volume nominale: il volume nominale si esprime alternativamente in litri, centilitri o millilitri, espressi attraverso gli acronimi “l”, “cl”, “ml”. Tale indicazione deve essere riportata in carattere più o meno grande a seconda della quantità presente: -6 mm di altezza se il contenuto è superiore a 100 cl -4 mm di altezza se il contenuto è inferiore a 100 cl e superiore a 20 cl -3 mm di altezza se il contenuto è inferiore a 20cl e superiore a 5 cl -2 mm di altezza se il contenuto è inferiore a 5 cl L’utilizzo del simbolo di stima (℮), deve essere nello stesso campo visivo della quantità in carattere di almeno 3 mm di altezza e attesta che il produttore dell’imballaggio ha rispettato le modalità di controllo metrologiche previste per la misurazione delle quantità nominali. 9-Solfiti e altri allergeni: L’ultima indicazione che deve necessariamente essere presente in un’etichetta di vino è quella relativa agli allergeni. E’ dovuto al fatto che questi si formano naturalmente nel vino. Non sempre sussiste l’obbligo di indicare i solfiti, giacché
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anche in questo caso la legge prevede dei limiti di tollerabilità. Tale soglia di tollerabilità è prevista per i soli solfiti, dal momento che l’eventuale presenza di altri allergeni quali derivati di uova o latte deve essere indicata obbligatoriamente a prescindere dalla quantità degli stessi. Quanto all’aspetto grafico la norma prevede l’obbligo che tale indicazione sia preceduta dal verbo “contiene”, espresso in una o più lingue dell’UE. Quanto al carattere l’obbligo generale di un’indicazione chiara porti a ritenere che l’altezza dello stesso non possa essere inferiore a 2mm. In alternativa si possono usare dei pittogrammi messi a punto dall’Unione Europea. L’omessa indicazione di solfiti o altri allergeni in etichetta è una responsabilità grave rispetto all’omissione di altre indicazioni, poiché può determinare gravi danni alla salute delle persone sensibili. Tutte queste indicazioni si devono trovare nel medesimo campo visivo. Indicazioni specifiche date in merito alla grandezza dei caratteri e hanno l’obiettivo di garantire la leggibilità delle informazioni fornite in etichetta. Oltre alle menzioni obbligatorie, ce ne sono alcune facoltative che possono essere aggiunte in etichetta. Queste non devono indurre in confusione il consumatore, né possono indicare caratteristiche speciale che non siano dimostrabili e verificabili. Se l’identità del produttore di vino deve essere chiaramente esplicitata all’interno dell’etichetta, non si può dire la stessa cosa di eventuali marchi o loghi. Le immagini identificative del brand possono essere inserite facoltativamente e su esplicita decisione del produttore. L’intero corredo di illustrazioni rappresenta un elemento importante dell’etichetta, in quanto aiuta a riconoscere immediatamente il prodotto e ne migliora l’estetica del packaging. Altre indicazioni che possono risultare utili alla vendita e che è consentito riportare sull’etichetta posta sul
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A sinistra. pittogrammi messi a punto dall’Unione Europea per identificare solfiti e allergeni
Sotto. Etichetta Tenute Piccini, Toscana
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retro della bottiglia riguardano le proprietà generali del vino. Si può specificare ad esempio se si tratti di un vino maggiormente adatto a piatti a base di pesce piuttosto che di carne, sulla base delle caratteristiche organolettiche predominanti. L’obiettivo l’etichetta rimane comunque quello di garantire trasparenza e chiarezza di informazioni, a totale beneficio del potenziale acquirente.
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10 10.4 La reazione dei consumatori e gradimento E’ stato effettuato uno studio sul valore delle etichette di vino in cui sono state analizzate le diverse variabili in grado di condizionare la percezione attesa e rilevata di prodotti vitivinicoli. L’esperimento è stato condotto con vino rosso in modo da andare a verificare il rapporto tra competenze enologiche e l’effetto di variabili di comunicazione, come le etichette, il prezzo o il grado di sostenibilità dei prodotti. Sono stati presi in considerazione due livelli di <<expertise>>: giovani inesperti di vino e sommelier esperti. L’etichetta apposta sulla bottiglia è ricca di informazioni che può aiutare in modo determinante (o meno) a orientare il consumatore e l’acquisto. Oltre alle esperienze precedenti acquisto e al grado di conoscenza del vino, a guidare il consumatore in modo decisivo è il prezzo, criterio tangibile in base al quale si crede di poter valutare in modo veritiero il livello della qualità del contenuto della bottiglia. Sapere che un vino costa una cifra elevata non solo lo fa percepire di qualità elevata, ma l’elevato prezzo attiva una parte del cervello legato al piacere che lo stesso vino presentato a un prezzo inferiore non attiva. Attraverso vari studi si è arrivati alla conclusione che il gusto è influenzabile dal prezzo, però farci affidamento per valutare la qualità del vino significa commettere un errore di valutazione. Considerando globalmente i risultati si è potuto dimostrare che i consumatori inesperti sono stati influenzati i modo significativo dalle informazioni relative al prezzo. Al contrario gli esperti sommelier, non cambiano il processo decisionale nella loro valutazione.
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10 Analizzando le heat map si nota che il titolo alcolometrico volumico è osservato in modo più significativo dai giovani inesperti rispetto ai sommelier. Inoltre il tempo medio di fissazione dei sommelier è stato di 100 millisecondi, mentre dei giovani 300 millisecondi. Questo dimostra che il grado di esperienza non solo influisce sui processi decisionali inerenti il gradimento, ma anche sui comportamenti dell’esplorazione visiva. Stupisce come i consumatori non esperti si sofferma su informazioni scontate, come ad esempio la capienza della bottiglia. In base a questo esperimento si deduce che i soggetti inesperti, ovvero i consumatori medi, guardano cose diverse e cercano informazioni diverse dall’esperto. In alcune etichette è emersa un’attenzione visiva da parte dei sommelier per l’anno di produzione e la cantina. Uno dei problemi che gli imprenditori devono affrontare è la scelta del packaging o di un’etichetta. I movimenti oculari, essendo collegati ai processi cognitivi, sono indicatori a misurare l’attenzione e tutto ciò che può derivare, come il gradimento o il processo di scelta. Il principio di base della ricerca eye tracking è l’ipotesi mente-occhio, secondo la quale ciò che una persona sta osservando riflette anche ciò a cui sta pensando o verso cui è interessato. Si tende ad osservare il nome del vino e al logo della bottiglia con l’etichetta rinnovata. La disposizione del testo sullo sfondo geometrico porta lo sguardo a concentrarsi sul centro dell’immagine. Oltre a questo anche il colore influisce sul grado di piacevolezza.
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11 Il marchio
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In un mercato molto globalizzato e concorrenziale, il potere individuale del marchio consente al titolare il suo uso esclusivo per costruire un’identità della propria produzione che gli consentirà di rendere riconoscibile il proprio contributo al mercato e di conseguire un profitto ulteriore. Il marchio è stato definito “collettore di clientela”: giunge ad acquistare importanza economica autonoma tanto da rappresentare un valore commerciale spesso molto superiore dei restanti beni aziendali.
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11 11.1 Il marchio e le sue tipologie Il Marchio consiste in un segno distintivo che serve a contraddistinguere i prodotti e i servizi che un’impresa produce o mette in commercio, differenziandoli da quelli offerti dalle altre imprese concorrenti. Sopra. Esempio di marchio denominativo Levi’s
Il marchio diventa uno strumento decisivo nella strategia commerciale dell’azienda tanto da diventare una parte consistente del suo patrimonio. Riveste un ruolo importante sia per l’impresa che per il mercato: ad esso l’impresa affida il compito di rappresentare i propri prodotti e la qualità; ad esso fa riferimento il consumatore per trarre indicazioni in merito ai prodotti offerti sul mercato in modo da orientare le scelte di acquisto. Presupposto necessario per una concorrenza effettiva è un sistema di tutela dei segni distintivi: per questo, l’attribuzione al singolo imprenditore di un diritto di esclusiva sul segno fa sì che il medesimo sia riconoscibile sul mercato e che tutti i suoi comportamenti possano essere percepiti e riferiti ad esso. Il diritto di esclusiva riconosciuto sul segno è atto a evitare che altri traggono profitto dal credito conquistato dall’imprenditore. Dal 19 marzo 2005 i principali aspetti del marchio nazionale vengono regolati dal nuovo Codice della proprietà industriale. All’interno della categoria dei segni distintivi il marchio rappresenta quello più importante, anche se non è l’unico. La classificazione in base ai contenuti del marchio: 1)Marchio denominativo: è il segno costituito solo da parole, a prescindere da eventuali elementi grafici di “contorno”.
Sopra. Esempio di marchio figurativo Adidas
2)Marchio figurativo o emblematico: è il segno costituito esclusivamente da figure, lettere o numeri.
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3)Marchio misto: è quello che risulta dalla combinazione di parole e figure. Il “cuore” del marchio risulta non solo dall’elemento denominativo ma anche dagli elementi cromatici, dai particolari grafici, dalle dimensioni e dal tipo di caratteri utilizzati. 4)Marchio di forma: è costituito dalla forma del prodotto o dalla confezione del prodotto stesso. La Sopra. Esempio di marchio misto Fujitsu forma naturale del prodotto, primo, non è dotata di nessun carattere di distintività; secondo, la forma che attiene a una funzione tecnica è proteggibile con un titolo di privativa di carattere brevettuale; terzo, la forma che da un valore sostanziale al prodotto rappresenta l’unica e esclusiva motivazione dell’acquisto e quindi non può garantire una funzione distintiva del marchio 5)Marchio di colore: possono essere oggetto di registrazione come marchi di colore le “combinazioni di colore” e le “tonalità cromatiche”. Per quanto riguarda l’applicazione dei criteri di distintività sorgono delle difficoltà, non tanto per le combinazioni di colore e le sfumature poiché dotate di carattere distintivo, ma quanto per l’ammissibilità della singola tonalità di colore. 6)Marchio di suono: per poter essere registrati come marchi i suoni devono essere idonei a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. Classici esempi di marchi sonori sono la sigla della The 20th Century Fox e il ruggito del leone della Metro Goldwin Mayer. Tali requisiti sono soddisfatti quando il segno venga rappresentato mediante un pentagramma diviso in battute in cui figurano: una chiave, note musicali e pause, la cui forma indica il valore relativo. 7)Marchio olfattivo: essendo la memoria olfattiva la più duratura, i segno olfattivi hanno un rilevante potere evocativo nei confronti del pubblico dei consumatori. Con la percezione della particolare fragranza i consumatori stabiliscono un immediato collegamento Sopra. Esempio di marchio di forma Coca Cola
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tra il segno olfattivo e i prodotti contrassegnati con tale marchio.
Sopra. Esempio di marchio debole Scarpamondo
Sopra. Esempio di marchio Forte Scottex
I marchi possono essere catalogati in funzione della tipologia di attività svolta dall’impresa: •Marchi di fabbrica: apposti dal produttore sui beni di fabbrica •Marchi di commercio: apposti dal rivenditore sui prodotti commercializzati (senza cancellare quello di fabbrica) •Marchi di servizio: utilizzati per individuare un’attività di prestazione di servizi ad altre imprese o consumatori La classificazione può essere legata a prodotti e servizi: •Marchi generali: usati dal titolare per contraddistinguere più prodotti e servizi •Marchi speciali: contraddistinguono un solo prodotto o servizio Per marchio collettivo si intende il marchio la cui registrazione viene richiesta dai “soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”. Per marchio forte si intende un marchio in cui la particolare grafica, denominazione o altro sono tali da attribuirgli un’elevata capacità distintiva. Sono dotati di particolare originalità, di pura fantasia. Il marchio debole è “quel marchio che, pur non identificandosi con la denominazione generica, lascia agevolmente trasparire quale prodotto contraddistingue”. Il marchio principale è quel marchio utilizzato dal titolare al fine di contraddistinguere i prodotti o i servizi in via principale. I marchi difensivi, detti “protettivi” sono marchi simili a quello principale.
Sopra. Esempio di marchio collettivo Grana Padano
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11 11.2 Il logo Il logo e il marchio sono figurazioni visive che hanno un significato importante perché funzionano da “biglietto da visita” di qualunque entità economica con lo scopo di rappresentarla e di renderla riconoscibile a tutti. Il Logo, o logotipo (parola composta dai termini greci: Logos, che significa “parola” e Typos, che significa “segno”) è la rappresentazione grafica del nome di un prodotto o un’azienda, che contribuisce a distinguerli dai competitori, in modo da portare al riconoscimento da parte dei consumatori, spesso grazie all’uso di un carattere specifico o all’aggiunta di altri elementi visivi, come per esempio i pittogrammi. Il logo è spesso l’immagine che si tende a collegare più facilmente a un brand e perciò deve rispecchiare i suoi valori e obiettivi. Per poter creare un logo efficace, questo importante elemento della brand identity deve essere costruito in maniera strategica. Il logo è un componente essenziale per una qualsiasi azienda che decide di iniziare la propria attività sul mercato locale o internazionale. La storia dei loghi nel campo della grafica risale al 1800, ma solo nell’epoca vittoriana ha iniziato ad emergere con tendenze innovative e semplificandosi nella sua espressione stilistica. Con il passare del tempo i loghi diventano infatti parte integrante della pubblicità aziendale. Grandi aziende tendono a rappresentare il prodotto attraverso segni semplici ma ricchi di potenza commerciale e comunicativa fino ad arrivare a riconoscerli anche solo con un font o una tonalità di colore unica e inconfondibile. Uno dei primi fattori fondamentali è che deve essere facilmente riconoscibile sia in grandi che piccole dimensioni, visto che gioca un ruolo preponderante
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Sotto. Applicazione logo McDonald’s
Sotto. Loghi famosi Starbucks, Wikipedia, Google, Pepsi
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per brand recognition e brand awareness. In secondo luogo non deve essere simile o comunque contenere elementi simili al logo (o ad altri elementi di identità visiva) dei competitori: anche il colore troppo simile può creare confusione. Infine deve essere in grado di rispecchiare l’identità del marchio, motivo per cui nel caso di grandi cambiamenti aziendali può essere necessario effettuare un rebranding che comprenda anche un adeguamento del logo ai nuovi obiettivi o caratteristiche del business. Esistono significati quasi “nascosti” dietro a molti loghi noti che includono elementi che riguardano la loro origine o provenienza; inoltre vi sono loghi più celebri sfruttati per il merchandising (si pensi al logotipo della Coca-Cola o della Ferrari, ormai presenti su oggetti di ogni tipo). Trattandosi di un segno in grado di essere rappresentato graficamente, il logo può essere registrato come marchio e acquisire anche un importante valore commerciale. I primi loghi essere stati registrati come marchi risalgono al XIX secolo. Nello specifico, il primo, nel Regno Unito, secondo l’Intellectual Property Office è stato quello della birra Bass Pale Ale, nel 1876.
Sotto. Logo birra Bass Pale Ale, 1876
Il logo presenta di solito un lettering molto specifico che funziona come elemento identificativo del brand: si pensi, per esempio, a quello di Coca-Cola o Walt Disney in cui il logotipo è costituito dalla parola completa. Esso in realtà può essere formato da altre tipologie di elementi: •monogrammi •acronimi •pittogrammi •diagrammi •pay-off
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11 11.3 payoff o slogan Quando si crea un nuovo marchio o lo si cerca di riposizionare per dargli una nuova identità, bisogna sempre creare un payoff, un elemento strategicamente importante tanto quanto il Brand stesso. Payoff e slogan sono elementi che compongono la brand identity di una marca. Il payoff di un marchio è uno specifico dispositivo testuale che rappresenta una vera e propria operazione strategica. E’ una breve espressione che deve sempre accompagnare e accostarsi fisicamente al marchio. Il termine inglese payoff deriva dal lessico economico e significa “liquidazione” o “saldo finale”. Da qui il concetto che viene declinato come chiusura di un messaggio, ma il payoff non è uno slogan e non deve essere usato come tale. Si lega visceralmente all’anima del marchio, in modo da rendere memorabile, riconoscibile e coerente il messaggio che differenzia il proprio Brand e che fa in modo che i clienti lo preferiscono ad altri. Con slogan pubblicitario si indica una frase orecchiabile destinata a rimanere impressa e che ha l’intenzione di persuadere un possibile utente a rivolgere la propria attenzione verso un determinato prodotto o servizio e, infine, invogliare ad acquistarlo. Sia slogan sia payoff sono frasi brevi che costituiscono elementi chiave che, per mezzo di accorgimenti che si rifanno anche alle figure retoriche classiche, servono a rendere ricordabile, o come si usa dire memorabile, qualcosa. E’ plausibile indicare con slogan un motto legato alla promozione di un determinato prodotto o servizio, mentre con payoff ci si potrebbe collegare direttamente alla marca, al brand. Il payoff, quindi, tende a restare invariato nel tempo mentre lo slogan
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Sopra. Esempi di pay-off e slogan
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è legato alla vita del prodotto e non del brand. Una differenza quindi che si concentra soprattutto sulla destinazione d’uso di questi “dispositivi testuali” in ambito pubblicitario, e che riguardano la brand identity di una marca (nel caso del payoff) o alle varie campagne pubblicitarie (nel caso dello slogan).
Ci sono diversi tipi di pay-off, alcuni descrivono in poche parole l’essenza del prodotto (es. “Ava come lava“) altri non sono direttamente riconducibili al prodotto venduto ma fanno leva su un sentimento, su una azione o su uno stato d’animo (es. McDonald’s “I’m lovin’ it“). Prima di tutto bisogna conoscere la mission aziendale, ovvero sapere di cosa si occupa l’azienda o le peculiarità del prodotto, sapere quali sono le qualità da far trasparire, sapere su cosa si vuole far leva. Successivamente sapere per cosa si distingue dai suoi concorrenti e infine conoscere il target di riferimento. Inoltre la sinteticità è una caratteristica molto importante, poiché più breve è un pay-off, tanto più sarà facile da memorizzare, di solito è formato da due o tre elementi. In fondo la finalità del pay-off è proprio quella di essere ricordato ed associato al brand per il messaggio che si fa carico di trasmettere. Deve essere semplice foneticamente e facilmente comprensibile, per questo l’immediatezza è tutto. Le funzioni principali di uno slogan: •Aiutare a specificare ulteriormente il messaggio dell’azienda; •Rendere memorizzabile il brand; •Suscitare un bisogno nel destinatario, offrendo al contempo la soluzione per soddisfarlo; •Conferire continuità alla comunicazione aziendale; •Imprimere maggior forza al messaggio aziendale;
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11 11.4 Font Per la creazione di un logo o marchio, scegliere correttamente un font è di sostanziale importanza. Non bisogna mai dimenticare che il font deve raffigurare la giusta armoniosità e contestualizzazione con il messaggio e i valori della marca presa in esame. Un font non adatto può comunicare in maniera errata il messaggio di una azienda o di una qualsiasi entità che si vuole rappresentare. Le due categorie principali in cui si dividono i font sono i serif (graziati) e i sans serif (bastoni) che significano “con grazie” e “senza grazie”. La differenza sta nell’utilizzo o meno di queste “grazie”, ovvero dei prolungamenti alle estremità delle aste, che derivano dalla scrittura calligrafica manuale. Le grazie nascono dal carattere lapidario romano, una forma di scrittura di epoca latina in cui le grazie erano funzionali a una più facile incisione del carattere sulla pietra. I font graziati vengono di solito usati per dare uno stile elegante o un’effetto old style. I san serif sono i più usati sul web, rappresentano semplicità e informalità ma anche stabilità e modernità. Per questo che sono preferiti per i loghi delle aziende moderne. In base al periodo storico sono stati usati caratteri tipografici con caratteristiche diverse. I font serif o graziati si dividono in 4 categorie: 1.Old Style: sono i primi caratteri romani, creati tra il XV e il XVIII secolo. L’asse dei tratti curvi è inclinato verso sinistra. Il contrasto tra lo spessore dei tratti non è troppo marcato. Le grazie sono modulate, mentre quelle di testa sono ad angolo. 2.Transizionali: qusto stile venne lanciato dallo stampatore e tipografo inglese John Baskerville a
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metà del XVIII secolo. Si differenziano dai romani antichi grazie a forme più geometriche, a un contrasto maggiore tra aste verticali e orizzontali. Hanno grazie più appiattite e da un allineamento più verticale negli occhielli delle lettere. 3.I Bodoni: Creati alla fine del XVIII secolo. Prendono il nome dal tipografo italiano Gian Battista Bodoni e dal carattere da lui creato. Hanno un passaggio molto marcato tra aste verticali e orizzontali e possiedono grazie molto fini e sottili che formano angoli retti con le aste. 4.Egiziani: Divennero popolari nel XIX secolo nei titoli pubblicitari. Sono caratterizzati da un utilizzo estremo del contrasto e dall’utilizzo di grazie perpendicolari e molto sottili, ovvero caratteristiche volte solamente a catturare l’attenzione e non a garantire leggibilità. I sans serif, in italiano detti caratteri a bastoni o lineari, nascono infatti in Inghilterra durante l’Ottocento, utilizzati con lo scopo di distinguersi. Si dividono in 3 categorie: 1.I Sans Serif Grotteschi: creati tra il XIX e il XX secolo. Sono caratterizzati dall’assenza di grazie, asse verticale delle lettere e forma tendenzialmente squadrata delle curve, scarso (ma presente) contrasto visivo. Alcuni hanno una g minuscola caratterizzata dalla presenza dell’occhiello inferiore. 2.I Neo-Grotteschi: hanno le stesse caratteristiche dei font grotteschi di fine ‘800 ma sono sviluppati a partire dal Secondo Dopoguerra, rispondendo alle esigenze del moderno graphic design e del crescente mondo digitale. Hanno maggior geometricità, una g minuscola senza l’occhiello inferiore e la presenza di numerose varianti di peso. 3.I Geometrici: nascono negli anni ’20 e ’30 del Novecento. Presentano forme geometriche semplici,
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le ste sono tratti rigidi e uniformi. Il disegno dei caratteri è compoto da forme geometriche quasi perfette. Oltre a serif, sans serif e alle loro sotto-categorie, esistono svariate altre famiglie di caratteri: •I caratteri medievali/gotici : simulano la scrittura dei monoscritti precedenti all’invenzione dei caratteri mobili. •I caratteri informali: sembrano disegnati in fretta e realizzati con un pennello. •I caratteri formali: derivano dagli stili di scrittura del XVII secolo. Molti caratteri hanno tratti che li legano ad altre lettere. •Caratteri calligrafici: simulano la calligrafia. Possono essere legati e non. Alcuni sembrano essere realizzati con una penna. Nonostante la scelta del font sia legata a scelte soggettive e personali di gusto e umore da trasmettere, ci sono anche dei componenti oggettivi come ad esempio i gradi di leggibilità di un carattere e di leggibilità di un testo. La leggibilità, anche detta legibility, è collegata con la struttura grafica del singolo carattere tipografico come lo spessore, la presenza o meno di grazie, il kerning, la spaziatura o l’interlinea, ed è una caratteristica oggettiva. Ad esempio un font decorativo o calligrafico non ha una buona leggibilità perché è progettato per essere attrattivo ad una prima occhiata e non in lunghi testi. Invece i font usati in libri, giornali o articoli online sono estremamente facili da leggere. La readbility è la leggibilità di un testo e ci si riferisce a tutte quelle caratteristiche di forma, tracking, kerning, colore e tutte le altre proprietà che collaborano nel creare un aspetto complessivo che può essere più o meno leggibile.
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Sopra. Graziati Old Style - Bembo
Sopra. Graziati Transizionali - Baskerville
Sopra. Graziati Bodoni
Sopra. Graziati Egiziani - Rockwell
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Sopra. Lineari Grotteschi - Franklin Gothic
Sopra. Lineari Neo-Grottecshi - Helvetica
Sopra. Lineari Geometrici - Futura
Sopra. Scritti Formali - Pinyon Script
Sopra. Scritti Medievali/Gotici - Agincourt 186
11 11.5 Colore La scelta di un font e/o di un’immagine che rappresenti lo spirito aziendale sono la prime e importanti scelte, ma a volte si sottovaluta l’importanza di una giusta scelta del colore per un marchio. Il colore non solo servirà ad identificare il brand e dargli un nome, ma avrà il compito di comunicare quelli che sono gli scopi del brand e dovrà farlo in modo del tutto indiretto, diventando parte dell’intera comunicazione. Lo stimolo visivo è il primo e fondamentale aspetto sensoriale che ci orienta nella scelta. Ma non hanno un significato universale: ogni cultura associa a ciascuna tonalità cromatica diverse proprietà. La psicologia aiuta a comprendere come i diversi colori vengano percepiti e utilizzarli quindi per creare delle strategie di marketing adeguate ai prodotti o ai brand. La psicologia del colore afferma che il colore è una sensazione che viene recepita dal nostro cervello e che provoca determinati sentimenti ed emozioni. La nostra relazione con i colori che ci circondano è strettamente legata al modo in cui li abbiamo percepiti nel corso della nostra vita e determinati colori ci trasmettono ben specifiche sensazioni perché il nostro cervello, in automatico, le associa grazie alla nostra esperienza su di essi. Nella grafica è fondamentale la scelta di un colore. •Rosso: è uno dei colori più utilizzati a causa delle sue sensazioni positive. Viene utilizzato specialmente nell’ambito dell’industria alimentare perché stuzzica l’appetito (McDonald, Coca-Cola, Barilla, Kinder e Nutella). Stimola eccitamento e impulsività ed è infatti usatonelle insegne di saldi nelle vetrine dei negozi. Rappresenta passione ed emozioni forti ed è
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per questo che viene usato anche per loghi di partiti politici e anche di gruppi musicali o eventi. •Giallo: è associato all’energia (Shell, Eni, Q8, Agip e IP). Rappresenta uno stimolo all’azione e all’attività mentale, favorisce la comunicazione e simboleggio ottimismo, positività e crescita. Utilizzato se si vuole trasmettere dinamicità come ad esempio Nikon oppure comunicazione come National Geographic. •Arancione: è in assoluto il colore della creatività, della fiducia e dell’energia mentale. È usato per loghi e marchi di bevande energetiche, società hi-tech o di consulenza. Le associazioni alla creatività e all’energia lo rendono uno dei colori prediletti per l’ambito del design e dell’architettura. •Viola: trasmette sensazioni molto spirituali e interiori. È un colore di eleganza ed è utilizzato da aziende nei settori dell’alta moda, dell’industria dei profumi e dell’igiene personale, ma anche in quelli della finanza, del marketing e del web (Yahoo!). •Rosa: rappresenta femminilità, delicatezza e anche romanticismo. Il suo punto di forza è anche il suo punto debole, ovvero l’associazione quasi stereotipata tra colore rosa e mondo femminile. Molto valido per grafiche o prodotti dedicate alla prima infanzia o al settore dei giochi per bambine (Barbie). •Blu: con tutti i derivati come azzurro, celeste, turchese, blu cobalto è uno dei colori più utilizzati. Ispira fiducia e calma, riduce lo stress e predispone ad un atteggiamento positivo e di lealtà. Le caratteristiche di rilassatezza e di spirito amichevole lo rendono perfetto per aziende che puntano sull’interazione ( Twitter, Skype, Facebook, Flickr, Linkedin e Vimeo). •Verde: è il colore della natura e quindi di tutto ciò che è ecologico, della vita e quindi è adatto a tutti quei loghi e quei progetti grafici che vogliono trasmettere
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vivacità in modo rilassato e naturale (Android, X-Box, Whatsapp, Acer). Verde scuro o oliva, trasmette un profondo senso di fiducia e sicurezza ed è infatti usato per istituti bancari o assicurativi. Un verde chiaro che trasmette caratteristiche di innovazione, giovinezza e vitalità può anche rappresentare immaturità e generare quindi mancanza di fiducia.
•Marrone: è il colore che colleghiamo alla terra e alla natura. Tinte scure danno un idea di semplicità e durevolezza, è usato dalle aziende che fanno del lavoro manuale o artigianale la loro identità. Tinte chiare esprimono comfort e tranquillità. Rappresenta tutto ciò che è rustico come pub, panifici, cantine vinicole, bed and breakfast in campagna, e per tutta l’industria legata al legno, al caffè e alla cioccolata. •Grigio: è il colore neutro per definizione. caratteristiche associate al metallo. Molto adatto per il settore tecnologico ed informatico (Apple,Wikipedia). È uno dei colori più utilizzati per marchi e loghi perché esprime calma, professionalità e autorità. E’ usato nel mondo dell’industria automobilistica con Nissan, Peugeot, Audi, Toyota, Opel, ma anche nella moda. •Bianco: definito come un “non colore” non viene mai utilizzato da solo ma come sfondo per far risaltare altri colori. È adatto a tutto quello che vuole essere minimalista e puro con un potenziale estetico di eleganza che tende praticamente all’infinito. Nella nostra cultura il bianco è associato al mondo religioso, soprattutto al matrimonio. •Nero: può essere abbinato a qualsiasi colore, ma specialmente a tinte forti o sfumature molto chiare. L’abbinamento per eccellenza è quello tra bianco e nero, simbolo di eleganza e purezza delle forme per eccellenza. È un colore molto pesante e può essere abbinato alla morte e al lutto. Rimane pur sempre il colore dell’eleganza e quindi adatto per prodotti e marchi legati alla moda, profumi e del design.
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12 Nuova Proposta
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12 12.1 Brief di progetto L’analisi effettuata sull’azienda, conoscendo le sue origini e tutto il percorso effettuato che l’ha resa quella che è oggi, i valori e i principi su cui si basa, il territorio in cui si trova, i suoi prodotti e la loro storia, i vitigni, mi ha permesso di conoscere il suo aspetto fondamentale: il legame con le tradizioni e l’amore per la propria terra. Questo le ha permesso di essere vista come una realtà che trasmette fiducia e di cui ci si può fidare, ed è ciò che una cooperativa sociale deve saper fare. Questa capacità si può rintracciare anche nella sua organizzazione interna, dove ogni dipendente è in grado di svolgere il proprio compito e in parte anche quello dei colleghi, questo meccanismo evita di rendere l’azienda una struttura rigida. Lo studio dei mercati e degli utenti ha messo in mostra l’abilità di produrre vini di ottima qualità che l’ha portata a confrontarsi con determinati competitors e mercati oltreoceano. Dall’analisi di benchmark è stato possibile delineare l’immagine della Castelli del Grevepesa, così da capire quali sono i punti di debolezza su cui lavorare per poter proporre una strategia. Il punto di debolezza più evidente è la debole immagine di marca, che unito alla sua storia di provenienza dal “mondo delle cooperative” non mettono in mostra valori distintivi di qualità e pongono l’azienda in una posizione critica. Questo rappresenterebbe un ostacolo per l’azienda nel caso in cui la strategia dovesse essere quella di affermarsi su fronti competitivi di fascia medio-alta, per la quale i valori distintivi sono importanti. Con questa proposta di tesi l’obiettivo è proprio quello di focalizzare l’attenzione su una strategia
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comunicativa che possa “rimodernizzare” l’azienda da un punto di vista grafico, così da renderla riconoscibile e da ampliare la sua rete di conoscenze ma soprattutto di dare lo stimolo di essere un’azienda che riesce a stare al passo con i tempi, dato che la sua fama è sempre stata quella di seguire i mutamenti adattandosi ad essi. Nonostante la Castelli del Grevepesa è un’azienda che ormai si è consolidata nel Chianti con un nome e un logo che la identifica, esiste sempre una possibilità di rinnovarsi, poiché, nonostante la sua immagine abbia funzionato bene fino ad ora, può aver bisogno di cambiamento. Questa possibilità può essere vista anche come la capacità di potersi inserire in mercati nuovi con concorrenti e utenti nuovi. Per questo le aziende devono stare al passo con i tempi: “cambiare ogni giorno per non cambiare mai”. Riuscire a creare un’immagine forte nel mondo del vino è fondamentale, ma questo non serve a niente se non è accompagnata da un’ottima qualità del prodotto: immagine e qualità devono andare di pari passo per farsi portavoce di quei valori su cui si fonda l’azienda. A causa della diversità degli utenti che acquistano vino, non sempre si baseranno sugli stessi elementi per effettuare la propria scelta: per questo motivo una rappresentazione grafica è importante per indirizzare la scelta. Quindi, basandomi sui principi di tradizione e innovazione, la nuova proposta prevede uno studio da un punto di vista grafico/comunicativo che comprende l’analisi dei seguenti aspetti: • Logo • Biglietti da visita • Etichette prodotti • Brochure dei vini • Company profile • Catalogo prodotti • Grafica bag in box
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L’idea è quella di creare un’immagina coordinata che possa aiutare gli utenti a riconoscere immediatamente l’azienda.
Riprogettare il logo è il primo passo, probabilmente il più importante, perché deve essere in grado di identificare l’azienda, quindi deve avere caratteristiche che la possano ricordare o stimolare in chi lo guarda i principi aziendali. Successivamente, sulla stessa filosofia, andranno effettuate le scelte dei colori principali e il font in modo da essere segni rappresentativi. Una volta attuate queste scelte base, si ripresenteranno su ogni prodotto che descriverà l’azienda: dépliant, brochure ed etichette. In questo modo qualsiasi elemento che porterà il nome o il logo dell’azienda sarà in grado di trasmettere i principi e i valori, questo singolarmente, mentre nell’insieme tutti gli elementi, anche se di tipologie e forme diverse, potranno essere raggruppati in un prodotto unico, in grado di dare l’idea di chi è l’azienda, senza necessitare di spiegazioni.
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12 12.2 Il logo L’attuale logo dell’azienda è nato insieme ad essa nel 1969 con lo scopo di diventare il simbolo della Castelli del Grevepesa nel mondo e al tempo stesso di ribadire l’appartenenza alle radici chiantigiane. Un marchio quindi non casuale, destinato a diventare il blasone della Cantina e a caratterizzare graficamente le etichette. Esso è costituito da due elementi: •Una formella, tanto cara agli artisti fiorentini del Trecento, riprendendo così l’emblema di una delle istituzioni storiche di Firenze e della Toscana, la Cassa di Risparmio, di cui, Gualtiero Armando Nunzi fu a lungo vicepresidente. •Il giaggiolo (Iris), fiore che nasce spontaneamente tra la Val di Greve e la Val di Pesa. Fiore perenne che riesce a resistere al caldo torrido e al gelo dell’inverno: simbolo della solidità della Castelli del Grevepesa e del legame inscindibile con la cultura fiorentina e le sue tradizioni. Dato il profondo significato degli elementi che costituiscono il logo lo studio si è concentrato su un rinnovo del simbolo del giaggiolo, tenendo la formella invariata, delineando solo una piccola modifica. La scelta di tenerla è dovuta al fatto che così facendo ho voluto mantenere l’aspetto della tradizione nel logo. Con il termine formella si indica uno scomparto geometrico impiegato come elemento architettonico decorativo che può essere di varie dimensioni e materiali. Le formelle quadrilobate realizzate da Andrea Pisano per la porta bronzea del battistero di Firenze (1330-1336) e quelle marmoree del
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campanile di S. Maria del Fiore, ideate da Giotto ed eseguite da Andrea Pisano e dalla sua bottega (13371348), costituiscono un modello per le decorazioni trecentesche successive e anche quattrocentesche, seppure in forme più sobrie. Perciò visto ciò che rappresenta ho delineato una formella leggermenta allungata con al suo interno un giaggiolo totalmente rinnovato, visto di profilo, creato simmetricamente. Inoltre il logo si compone anche della dicitura del nome dell’azienda sotto e per questa è stato scelto il font Poor Richard, elegante ma al tempo stesso ben marcato. La bicromia scelta per identificare l’azienda è: •Rosso scuro •Marrone chiaro Color Rosso scuro C=25; M=100; Y=92; K=22
In modo da essere poter essere utilizzati in constrasto, dove il rosso richiama il colore del vino e dell’eleganza e il marrone richiama il colore della terra, del territorio e delle tradizioni. Un binomio che non va solo visto e sentito nei prodotti, ma in qualsiasi modo l’azienda si propone ai consumatori e produttori.
Color Marrone chiaro C=11; M=34; Y=58; K=2
Ovviamente prima di arrivare al concept finale sono state vagliate numerose soluzioni,
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Prove logo
CASTELLI del GREVEPESA
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CASTELLI del GREVEPESA
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CASTELLI del GREVEPESA
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CASTELLI del GREVEPESA
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Logo
CASTELLI del GREVEPESA
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Caratteri tipografico
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Poor Richiard Poor Richiard Regular
ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 . , - ; : _ Ò À Ù Ç ° È É + - * ! “ £ $ & / () = ? ^
Lucida Calligraphy Lucida Calligraphy Italic ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 . , - ; : _ Ò À Ù Ç ° È É + - * ! “ £ $ & / () = ? ^
Photograph Signature
Photograph Signature Regular
ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 . , - ; : _ Ò À Ù Ç È É + - * ! “ £ $ & / () = ? ^
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Costruzione Iris
Costruzione formella
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Applicazione in positivo, nero su bianco
CASTELLI del GREVEPESA
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Applicazione in negativo, bianco su nero
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CASTELLI del GREVEPESA
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Logo colorato, Rosso scuro su sfondo marrone chiaro
CASTELLI del GREVEPESA
Color Rosso scuro C=25; M=100; Y=92; K=22
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Color Marrone chiaro C=11; M=34; Y=58; K=2
Logo colorato, marrone chiaro su sfondo rosso scuro
12
CASTELLI del GREVEPESA
Color Marrone chiaro C=11; M=34; Y=58; K=2
Color Rosso scuro C=25; M=100; Y=92; K=22
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Prove di dimensionamento
100%
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12
80%
60%
40%
25%
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Variazioni colore logo
CASTELLI del GREVEPESA
Color Rosso scuro C=25; M=100; Y=92; K=22
CASTELLI del GREVEPESA
Color Blu turchese C=82; M=57; Y=0; K=0 212
CASTELLI del GREVEPESA
Color Marrone C=0; M=52; Y=91; K=32
CASTELLI del GREVEPESA
Color Giallo/Verde scuro C=35; M=0; Y=100; K=49
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CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLI del GREVEPESA
Color Arancione scuro C=0; M=44; Y=88; K=0
Color Grigio scuro C=68; M=49; Y=54; K=8
CASTELLI del GREVEPESA
Color Verde scuro C=58; M=0; Y=66; K=40 213
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Biglietti da visita
Alessandro Cardini Direttore Generale Tel. +39 055 8219127 Cell. +393284727254 alessandro.cardini@castelldelgrevepesa.it
Castelli del Grevepesa s.c.a
Via Gabbiano, 34 50026 - San Casciano in Val di Pesa (FI)
55 mm
www.castellidelgrevepesa.it
CASTELLI del GREVEPESA La piĂš grande famiglia del Chianti Classico
85 mm
214
i
vepesa.it
s.c.a
esa (FI)
a.it
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Francesco Gera Direttore Commerciale Cell. +393486003675 francesco.gera@castelldelgrevepesa.it
Castelli del Grevepesa s.c.a
Via Gabbiano, 34 50026 - San Casciano in Val di Pesa (FI)
www.castellidelgrevepesa.it
CASTELLI del GREVEPESA La piĂš grande famiglia del Chianti Classico
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12 12.3 Etichette Analizzando il layout attuale delle etichette, ho ritenuto necessario un rinnovamento. Nonostante l’impostazione grafica sia ormai collaudata per l’azienda, dato che ormai ha la stessa da anni attraverso la quale si è fatta conoscere, rinnovarsi sotto questo punto di vista credo sia fondamentale. Sono arrivata a questa conclusione attraverso l’analisi SWOT e il benchmarking con i competitors, dove è emerso che l’elemento debole dell’azienda è proprio la forza della sua immagine. Essendo sempre stata un’azienda al passo con i tempi, ho ritenuto necessario che fosse importante cambiare il suo aspetto. La scelta che sta alla base di ogni etichetta è il colore: cambia in base alla linea, mentre la grafica resta sempre la stessa. Ho deciso di focalizzarmi su di esso perchè data la varietà dei consumatori che acquistano vino, si va dai più esperti ai meno, dovevo trovare un elemento che permettesse l’immediata identificazione con l’azienda. Un elemento semplice e che catturasse l’attenzione data anche la varietà dei prodotti. Inoltre volevo rappresentare anche lo slogan dell’azienda “La più grande famiglia del Chianti Classico” data la sua natura di cantina sociale, quindi rendere le etichette al tempo stesso diverse, perchè ovviamente sono applicate su prodotti diversi, come all’interno di una famiglia non siamo tutti uguali, ma anche caratterizzarle di elementi simili, proprio per testimoniare il legame di sangue con i nostri parenti. Per questo per ogni linea ho delineato un colore che potesse rappresentarla al meglio:
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Color Rosso scuro C=25; M=100; Y=92; K=22
Color Marrone C=0; M=52; Y=91; K=32
Color Blu turchese C=82; M=57; Y=0; K=0
Color Giallo/Verde scuro C=35; M=0; Y=100; K=49
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•Rosso scuro per la linea Clemente VII, che è lo stesso scelto per rappresentare l’azienda, scelta volontaria dato che questa linea è quella più rappresentativa dell’azienda. Il rosso è un colore nobile, come lo è stato papa Clemente VII al quale è stata dedicata questa linea.
Color Arancione scuro C=0; M=44; Y=88; K=0
Color Grigio scuro C=68; M=49; Y=54; K=8
Color Verde scuro C=58; M=0; Y=66; K=40
•Marrone per la linea Castelgreve, che ricorda il colore terra di Siena, che vuole esaltare il territorio in cui il vino viene coltivato. •Blu turchese per la linea Castello di Bibbione, dove il blu è raffigurato nello stemma della famiglia Machiavelli, proprietaria del Castello. Lo stemma è composto da due scudi con all’interno una croce blu angolata da quattro chiodi a punta di diamante dello stesso colore. Secondo alcuni studiosi i chiodi rappresenterebbero le imprese in Terra Santa dei fratelli Alberico e Uberto Machiavelli. •Giallo/Verde scuro per la linea Castelgreen, una linea attualmente non presente in azienda, ma che vuole progettare in futuro: un vino biologico al 100%, dalla sua produzione fino al confezionamento. Perciò il verde richiama la sostenibilità. •Arancione scuro per la linea Vin Santo, sia Clemente che Castelgreve, colore energico che richiama il colore stesso del prodotto. •Grigio scuro per la grappa Clemente VII, dato che è un colore che esprime autorità l’ho preferito per questo prodotto essendo un distillato con alta gradazione. •Verde scuro per l’olio Clemente VII, essendo un colore che richiama la natura, in questo caso fa riferimento alle olive da cui si ricava. I vini selezionati sono stati 3 per ogni linea: un Chianti Classico DOCG, una Riserva e una Gran Selezione Riserva per il Castello di Bibbione che è l’equivalente di un IGT per Clemente VII, Castelgreve e Castelgreen. 217
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Per caratterizzare le etichette ho deciso di idealizzare una texture, partendo dalla formella che è parte del logo, è stata ripetuta in modo tale da ricreare una forma che ricorda i grappoli di uva. Questa texture che è l’emblema dell’intero progetto si trova su ogni etichetta, nelle brochure, cataloghi e bag in box. In base alla linea cambia il colore, inoltre, ho deciso di differenziare ulteriormente l’interno della linea invertendo i colori: nelle Chianti Classico DOCG e Riserva sono a sfondo bianco con la Texture piena colorata, mentre nelle bottiglie Gran Selezione Riserva e IGT, sono a sfondo del colore della linea con la texture bianca solo con il contorno. Inoltre anche il sigillo riprende il colore della linea ed è stato applicato in contrasto: nelle bottiglie con etichetta a sfondo bianco è colorato, mentre in quelle con sfondo colorato è bianco. La texture si trova nella parte superiore dell’etichetta, dopo di essa troviamo il nome della linea con l’anno di vendemmia, nella parte centrale il nome del vino scritto con il font Photograph Signature, ottenendo una scritta in corsivo molto elegante che richiama l’eleganza del vino, nella parte inferiore è presente la denominazione e il logo. Il tutto contornato da un quadrato colorato. Infine nelle retro etichette sono state portate tutte le informazioni necessarie ai consumatori per poterli aiutare nella scelta dell’acquisto. Queste si trovano all’interno di un rettangolo del colore della linea. Le dimensioni delle etichette sono: •Vini: 10x11 cm fronte e 7x9 cm retro. •Vin Santo Clemente e Grappa Clemente: 8x7 cm fronte e retro •Vin Santo Castelgreve e Olio Clemente: 8x7 cm fronte e 5x7 cm retro. La scelta delle dimensioni è stata decisa in base alla dimensione della bottiglia.
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Texture rossa piena e vuota
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12
Etichette vino Clemente VII
CLEMENTE VII 2018
Clemente CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CLEMENTE VII
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
2018
Vitigni: Sangiovese Abbinamenti: Carni rosse arrosto e alla griglia, cacciagione Temperatura di servizio: 18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
220
14% vol 750 ml
12
CLEMENTE VII 2018
Riserva RISERVA CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CLEMENTE VII RISERVA
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
RISERVA
2018
Vitigni: Sangiovese Abbinamenti: Carni rosse saporite, bistecca e formaggi Temperatura di servizio: 18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
13,5% vol 750 ml
221
12
CLEMENTE VII 2018
Settimo SETTIMO ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
CASTELLI del GREVEPESA
SETTIMO
ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
2018
Vitigni: Sangiovese, Merlot e Syrah Abbinamenti: Carni rosse arrosto e alla griglia, formaggi Temperatura di servizio: 18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
222
14% vol 750 ml
12
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Etichette vino Castelgreve
CASTELGREVE 2018
Castelgreve CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELGREVE
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
2018
Vitigni: Sangiovese e Merlot Abbinamenti: Carni rosse saporite, cacciagione e formaggi Temperatura di servizio: 16-18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
224
13% vol 750 ml
12
CASTELGREVE 2018
Riserva RISERVA CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELGREVE RISERVA
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
RISERVA
2018
Vitigni: Sangiovese e altre uve Abbinamenti: Carni rosse saporite, formaggi a pasta dura Temperatura di servizio: 18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
13,5% vol 750 ml
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12
CASTELGREVE 2018
Rosso ROSSO ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
CASTELLI del GREVEPESA
ROSSO
ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
2018
Vitigni: Sangiovese e altre uve Abbinamenti: Antipasto di crostini e salumi, primi di pasta Temperatura di servizio: 18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
226
13,5% vol 750 ml
12
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Etichette vino Castello di Bibbione
CASTELLO
DI BIBBIONE
Castello di Bibbione 2018
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLO DI BIBBIONE
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
2018
Vitigni: Sangiovese e Merlot Abbinamenti: Carni rosse alla griglia, cacciagione pelo e piuma Temperatura di servizio: 18-20° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
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14% vol 750 ml
12
CASTELLO
DI BIBBIONE
2018
Riserva RISERVA CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLO DI BIBBIONE RISERVA
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
RISERVA
2018
Vitigni: Sangiovese e Merlot Abbinamenti: Carni rosse, formaggi Temperatura di servizio: 18-20° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
13% vol 750 ml
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CASTELLO
DI BIBBIONE
2018
Gran Selezione GRAN SELEZIONE DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLO DI BIBBIONE GRAN SELEZIONE
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
GRAN SELEZIONE
2018
Vitigni: Sangiovese e Merlot Abbinamenti: Carni rosse, cacciagione, formaggio Temperatura di servizio: 20° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
230
14% vol 750 ml
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Etichette vino Castelgreen
CASTELGREEN 2018
Castelgreen CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELGREEN
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
2018
Vitigni: Sangiovese e Merlot Abbinamenti: Primi, carni bianche e rosse Temperatura di servizio: 16-18° C VINO BIOLOGICO operatore controllato N.36611 IT-BIO-004 AGRICOLTURA ITALIA
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
232
14% vol 750 ml
12
CASTELGREEN 2018
Riserva RISERVA CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELGREEN RISERVA
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
RISERVA
2018
Vitigni: Sangiovese, Caberné e Merlot Abbinamenti: Sughi a base di carne e selvaggina, arrosti Temperatura di servizio: 18° C VINO BIOLOGICO operatore controllato N.36611 IT-BIO-004 AGRICOLTURA ITALIA
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
13,5% vol 750 ml
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CASTELGREEN 2018
Green GREEN ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
CASTELLI del GREVEPESA
GREEN
ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
2018
Vitigni: Sangiovese e Caberné Abbinamenti: Carni rosse e selvaggina, formaggi Temperatura di servizio: 18° C VINO BIOLOGICO operatore controllato N.36611 IT-BIO-004 AGRICOLTURA ITALIA
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
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13,5% vol 750 ml
12
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Etichette vin santo Castelgreve
CASTELGREVE Vin Santo 2018
VIN SANTO CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA
CASTELLI del GREVEPESA
VIN SANTO CASTELGREVE
VIN SANTO DEL CHIANTI DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA
2018 Vitigni: Trebbiano e Malvasia Abbinamenti: Pasticceria secca Temperatura di servizio: 12-18° C
16% vol 375 ml IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
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Etichette vin santo Clemente VII
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CLEMENTE VII Vin Santo 2018
VIN SANTO CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA
CASTELLI del GREVEPESA
VIN SANTO CLEMENTE VII
VIN SANTO DEL CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA
2018 Vitigni: Trebbiano e Malvasia Abbinamenti: Pasticceria secca e formaggi Temperatura di servizio: 12-18° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
16,5% vol 375 ml
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Etichette grappa Clemente VII
CLEMENTE VII Grappa Riserva 2018
GRAPPA RISERVA DA VINACCE CHIANTI CLASSICO
CASTELLI del GREVEPESA
GRAPPA CLEMENTE VII
GRAPPA RISERVA CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA
2018 Vitigni: Da vinacce di uve Chianti Classico
Temperatura di servizio: 15-16° C
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
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45% vol 500 ml
Etichette olio Clemente VII
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CLEMENTE VII Olio Extra Vergine 2018
OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA
CASTELLI del GREVEPESA
OLIO EXTRA VERGINE CLEMENTE VII
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA
RACCOLTO 2018 Olio di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante processi meccanici. Varietà di olive: Frantoio, Moraiolo, Leccino e Pendolino Conservare in un luogo asciutto al riparo dalla luce e da fonti di calore
Prodotto da: Castelli del Grevepesa SCA, San Casciano in Va di Pesa - ITALIA
250 ml
Da consumarsi entro il 30-06-2020 WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
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12
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12
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12 12.4 Cataloghi La possibilità di presentarsi in modo chiaro ed efficente è già un’ottima partenza per una azinda vitivinicola. La scelta di studiare depliant e brochure nasce dalla consapevolezza che progettati nel modo giusto possono già dare chiare indicazioni sui prodotti. Al giorno d’oggi per farsi conoscere le azienda puntano molto sui social, ma il vino e le aziende produttrici sono legate al mondo delle tradizioni e dell’eleganza, dove sfogliare un depliant trasmette sensazioni diverse che scorrere sul sito web. Per ciò che il vino tramanda e trasmette è necessario non discostarsi da quello che è riuscito a creare nel corso degli anni. Per creare un legame di fiducia e familiarità con il cliente sono necessarie informazioni sia sul tipo di prodotto che sul mercato di produzione, oltre alla storia dell’azienda. . Ognuno di essi è stato progettato in base al target a cui fa riferimento, ma nonostante ciò ho cercato di mantenere la stessa grafica per poterli uniformare e creare l’idea di unione. Le mie scelte si sono orientate verso rivenditori che per i consumatori: •Brochure pieghevole generale (25x36cm) a 4 ante: per questa proposta progettuale ho deciso di adottare un formato personalizzato di 25x36 cm in modo che gli utenti possano facilmente portarlo con sè. Destinata al pubblico è utile perchè contiene le informazioni generali sui prodotti dell’azienda e li espone in modo chiaro e semplice. Quando chiusa nel lato frontale presenta il logo e lo slogan dell’azienda, nel lato posteriore la mappa e i principali recapiti (sito, social, telefono, indirizzo). Una volta che si apre presenta due facciate dove vengono delineate alcune brevi informazioni su ogni linea di prodotto.
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12
Queste a loro volta si aprono all’esterno così da vedere la parte interna che è divisa in quattro colonne, ognuna destinata ad una linea di vini. La grafica riprende la texture utilizzata nelle etichette sullo sfondo in trasparenza e sopra la bottiglie numerate con sotto l’elenco dei vini. •Brochure pieghevole per le linee (21x32cm) a 4 e 5 ante: Realizzata per ogni linea presenta la stessa struttura e grafica, si differenziano per i colori (ogni linea con il suo colore) e per i prodotti esposti. Anche in questo caso le dimensioni sono state personalizzate: 21 x 32 cm, divise in 4 colonne che si piegano su stesse. L’unica che si differenzia è la linea Clemente VII, ha 5 colonne dato che ha più prodotti. Nella prima pagina è presenta un’immagine che rappresenta il nome del vino e nell’ultima i principali recapiti. All’interno nella prima colonna a sinistra una breve descrizione della storia del vino e poi per ogni colonna un prodotto con sotto riportate le principali informazioni. Nelle colonne posteriori è stata riportata la texture con il contorno. •Profilo aziendale (14x21cm): per i consumatori è stato progettato un profilo aziendale di dimensioni 14 x 21 cm che contiene le principali informazioni sull’azienda: la storia, la missione, il territorio, la produzione e i premi. Ho cercato di utilizzare immagini forti e un testo breve con un linguaggio semplice e scorrevole. •Catalogo prodotti (19x19cm): per gli acquirenti invece è stato realizzato un catalogo con i prodotti, uno strumento del tutto nuovo per l’azienda. Le dimensioni sono 19 x 19 cm e presenta un linguaggio più tecnico e informativo. È stato diviso in base alle tipologie, ogni prodotto differenziato con il suo colore, le immagini dei prodotti grandi con accanto le informazioni necessarie.
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12
Brochure pieghevole generale
MIGLIOR SELEZIONE
LA NOSTRA
CLEMENTE VII Castelli del Grevepesa ha alcune delle sue vigne nell’antico terroir del Piviene di Campoli. Per la sua posizione la Pieve di Campoli fu soggiorno di Vescovi fiorentini, tra cui Giulio de Medici, eletto Papa con il nome di Clemente VII nel 1523.Questo vino prezioso vuole ricordare la storia di un illustre personaggio.
CASTELGREVE Castelli del Grevepesa può avvalersi di una ricca e varia selezione di uve. Ciò contirbuisce a rendere unici i nostri vini e la maggior parte dei vigneti è situata nel Chianti Classico fiorentino fino a estendersi nel Greve in Chianti, le località di Lamole e Panzano, San Casciano Val di Pesa, Tavernelle di Pesa e Barberino Val d’Elsa.
CASTELLO DI BIBBIONE Il Castello di Bibbione è situato nel Comune di San Casciano Val di Pesa e i proprietari sono soci dei Castelli di Grevepesa sin dagli anni ’70. Nel 1511 Niccolò Macchiavelli lo acquistò assieme alla fattoria. Oggi il Castello di Bibbione è una splendida struttura inserita nel cuore del Chianti Classico che vanta una notevole diversità di zone di produzione.
CASTELLI del GREVEPESA La più grande famiglia del Chianti Classico
www.castellidelgrevepesa.it CASTELGREEN Linea nuova che si affaccia al mondo Biologico ed Ecosostenibile. Racchiude i principali prodotti: Chianti Classico DOCG, Chianti Classico Riserva, Rosso Toscana IGT. Lo scopo è quello di portare il mondo del vino ad un livello superiore, facendolo legare ancora di più a tutto ciò che il territorio ha da offrire.
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Tel. +39 055 821911 Fax +39 055 8217920 info@castellidelgrevepesa.it VENDITA DIRETTA – DEGUSTAZIONI vinoteca@castellidelgrevepesa.it Via Gabbiano, 34 50026 San Casciano Val di Pesa (FI) ITALIA
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1
Clemente VII - Clemente VII Chianti Classico - Clemente VII Riserva - Settimo Rosso Toscana - Olio Extra Vergine di Oliva - Grappa Gran Riserva - Vin Santo Chianti Classico
Castelgreve 1 2 3 4
- Castelgreve Chianti Classico - Castelgreve Riserva - Rosso Rosso Toscana - Vin Santo Chianti Classico
Castello di Bibbione
Castelgreen
1 - Castello di Bibbione Chianti Classico 2 - Castello di Bibbione Riserva 3 - Castello di Bibbione Gran Selezione
1 - Castelgreen Chianti Classico 2 - Castelgreen Riserva 3 - Green Rosso Toscana
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12
Brochure linea Clemente VII
Castelli del Grevepesa ha alcune delle sue vigne più prestigiose nell’antico terroir del Piviene di Campoli, a 25 km da Firenze. I vini prodotti a Campoli sono sempre stati rinomati e apprezzati. Per la sua posizione la Pieve di Campoli fu soggiorno prediletto di Vescovi fiorentini, tra i quali il noto Giulio de Medici, che venne eleto Papa con il nome di Clemente VII nel 1523. Castelli del Grevepesa, dedicandosi alla selezione del suo Chianti Classico ha voluto ricordare con un vino prezioso la storia di un illustre personaggio. Il vino Clemente VII nasce dalla selezione di Uve Sangiovese provenienti da questo Terroir.
Castelli del Grevepesa has some of its most prestigious vineyards in the ancient terroir of Piviene di Campoli, 25 km from Florence. The wines produced in Campoli have always been renowned and appreciated. Because of its position the Pieve di Campoli was the favorite stay of Florentine bishops, including the well-known Giulio de Medici, who was elected Pope with the name of Clement VII in 1523. Castelli del Grevepesa, dedicating himself to the selection of his Chianti Classico wanted remember the story of a distinguished person with a precious wine. The Clemente VII wine comes from the selection of Sangiovese grapes from this Terroir.
GRAPPA RISERVA DA VINACCE DI CHIANTI CLASSICO
CHIANTI CLASSICO DOCG
CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVA 2015
2013
93/1 00 es Su 2016 ckling
VIN SANTO DEL CHIANTI CLASSICO DOC RISERVA
2013
92/1 00 Falst aff 2018
Jam
ROSSO TOSCANA IGT 90/1 00 e Sp ec 2016 tator
Win
375 ml
750 ml
750 ml
750 ml
375 ml
Vitigni/Grapes: 100% Sangiovese Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 28° Fermentation at a controlled temperature of 28 ° Maturazione/Aging: 85% botte di rovere, 15% barrique in 12 mesi 85% oak barrel, 15% barrique in 12 months
Vitigni/Grapes: 100% Sangiovese Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 28° Fermentation at a controlled temperature of 28° Maturazione/Aging: 50% botte di rovere, 50% barrique in 12 mesi 50% oak barrel, 50% barrique in 12 months
Vitigni/Grapes: 50% Sangiovese, 25% Merlot, 25% Syrah Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 30° Fermentation at a controlled temperature of 30 ° Maturazione/Aging: 15 mesi in barrique di media tostatura 15 months in medium toasted barriques
Vitigni/Grapes: Trebbiano Toscano, Malvasia del Chianti Vinificazione/Vinification: Appassimento uve su cannicci Withering grapes on reed mats Maturazione/Aging: Almeno 48 mesi in piccoli caratelli di rovere At least 48 months in small oak casks
Clemente VII
Clemente VII Riserva
Settimo
Vin Santo Clemente VII
OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA DOP CHIANTI CLASSICO La più grande famiglia del Chianti Classico
SILV MED ER AL
Alam
bic
co 2015 d’Oro
CASTELLI del GREVEPESA
250 ml
500 ml
246
500 ml
Vitigni/Grapes: Da vinacce di uve Chianti Classico Metodo di distillazione/Distilling method: Distillazione a vapore diretto e ridistillazione Direct steam distillation and redistillation Invecchiamento/Aging: 24 mesi in botte di rovere e poi in tonneaux 24 months in oak barrels and then in tonneaux
Varietà di olive/Olive varieties: Frantolo, Moraiolo, Leccino, Pendolino Raccolta/Harvest: A mano da fine ottobre a inizio novembre Handmade from late October to November Frangitura/Pressing method: A ciclo continuo In a continuous cycle
Grappa Clemente VII
Olio Extra Vergine Clemente VII
Via Gabbiano, 34 50026 San Casciano Val di Pesa (FI) Tel. +39 055 821911 Fax + 39 055 8217920 info@castellidelgrevepesa.it www.castellidelgrevepesa.it
CLEMENTE VII
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Brochure linea Castelgreve
Castelli del Grevepesa può avvalersi di una ricca e varia selezione di uve. Ciò rende unici i vini e la maggior parte dei vigneti è situata nel Chianti Classico fiorentino fino a estendersi nel Greve in Chianti, le località di Lamole e Panzano, San Casciano Val di Pesa, Tavernelle di Pesa e Barberino Val d’Elsa. Il nome è legato al territorio dato che ci troviamo nella valle del Greve e molti soci possedevano un castello (Castello di Bibbione, Castello di Strozzavolpe, …). Perciò deriva dal fatto che questi castelli erano collocati tra il fiume Greve e il fiume Pesa.
Castelli del Grevepesa can make use of a rich and varied selection of grapes. This makes the wines unique and most of the vineyards are located in the Florentine Chianti Classico extending into Greve in Chianti, the towns of Lamole and Panzano, San Casciano Val di Pesa, Tavernelle di Pesa and Barberino Val d’Elsa. The name is linked to the territory since we are in the Greve valley and many members owned a castle (Castello di Bibbione, Castello di Strozzavolpe, ...). Therefore it derives from the fact that these castles were located between the river Greve and the river Pesa.
CHIANTI CLASSICO DOCG
CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVA
ROSSO TOSCANA IGT
2013
2016
90/1 00 es Su 2017 ckling
95/1 00 ante Aw r Win ards e
Jam
Dec
375 ml
750 ml
750 ml
750 ml
Vitigni/Grapes: 95% Sangiovese, 5% Merlot Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 28° Fermentation at a controlled temperature of 28 ° Maturazione/Aging: 12 mesi in botte di rovere di Slavonia 12 months in Slavonian oak barrels
Vitigni/Grapes: Sangiovese e una percentuale di altre uve Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 30° Fermentation at a controlled temperature of 30° Maturazione/Aging: 24 mesi in botte di rovere di Slavonia 24 months in Slavonian oak barrels
Vitigni/Grapes: 90% Sangiovese, 10% altre uve Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 25° Fermentation at a controlled temperature of 25 ° Maturazione/Aging: Serbatoio in acciaio inox Stainless steel tank
Castelgreve
Castelgreve Riserva
RossO
VIN SANTO DEL CHIANTI DOC La più grande famiglia del Chianti Classico
CASTELLI del GREVEPESA
375 ml Vitigni/Grapes: Trebbiano Toscano, Malvasia del Chianti Vinificazione/Vinification: Appassimento uve su cannicci Withering grapes on reed mats Maturazione/Aging: Almeno 36 mesi in piccoli caratelli di rovere At least 36 months in small oak casks
Vin Santo Castelgreve
Via Gabbiano, 34 50026 San Casciano Val di Pesa (FI) Tel. +39 055 821911 Fax +39 055 8217920 info@castellidelgrevepesa.it www.castellidelgrevepesa.it
CASTELGREVE
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Brochure linea Castello di Bibbione
Il Castello di Bibbione è situato nel Comune di San Casciano Val di Pesa, a 20 km da Firenze e i proprietari sono soci dei Castelli di Grevepesa sin dagli anni ’70. Dal 1124 fu proprietà della Famiglia Buondelmonti, diventando uno dei quatto Castelli collegati tra loro e costituenti la difesa della Valle del Pesa. Nel 1511 Niccolò Macchiavelli lo acquistò. Oggi il Castello di Bibbione è una splendida struttura. Il Chianti Classico Riserva Castello di Bibbione nasce dalla selezione delle migliori uve di Sangiovese del Castello di Bibbione.
The Castello di Bibbione is located in the municipality of San Casciano Val di Pesa, 20 km from Florence and the owners have been members of the Castles of Grevepesa since the 1970s. From 1124 it was owned by the Buondelmonti family, becoming one of the four Castles linked together and constituting the defense of the Valle del Pesa. In 1511 Niccolò Macchiavelli bought it. Today the Castello di Bibbione is a splendid structure. The Chianti Classico Riserva Castello di Bibbione is born from the selection of the best Sangiovese grapes of the Castello di Bibbione.
CHIANTI CLASSICO DOCG
CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVA
CHIANTI CLASSICO DOCG GRAN SELEZIONE
2013
2013
93/1 00 es Su 2016 ckling
93/1 00 es Su 2017 ckling
Jam
750 ml
Jam
750 ml
750 ml
Vitigni/Grapes: 90% Sangiovese, 10% Merlot Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 28° Fermentation at a controlled temperature of 28 ° Maturazione/Aging: 12 mesi in botte di rovere di Slavonia 12 months in Slavonian oak barrels
Vitigni/Grapes: 95% Sangiovese, 5% Merlot Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 30° Fermentation at a controlled temperature of 30° Maturazione/Aging: 80% in botte di rovere, 20% barrique,18/12 mesi 80% in oak barrels, 20% barriques, in 18/12 months
Vitigni/Grapes: 95% Sangiovese, 5% Merlot Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 30° Fermentation at a controlled temperature of 30 ° Maturazione/Aging: 30 mesi di cui 12 in barriques di rovere 30 months of which 12 in oak barrels
Castello di Bibbione
Castello di Bibbione Riserva
Castello di Bibbione Gran Selezione
La più grande famiglia del Chianti Classico
CASTELLI del GREVEPESA
Via Gabbiano, 34 50026 San Casciano Val di Pesa (FI) Tel. +39 055 821911 Fax +39 055 8217920 info@castellidelgrevepesa.it www.castellidelgrevepesa.it
CASTELLO DI BIBBIONE
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Brochure linea Castelgreen
La Castelgreen è la nuova linea presentata che si affaccia al mondo Biologico ed Ecosostenibile, sotto tutti i punti di vista. Racchiude i principali tipi di prodotti: Chianti Classico DOCG, Chianti Classico Riserva, Rosso Toscana IGT. Lo scopo è quello di portare il mondo del vino ad un livello superiore, facendolo legare ancora di più a tutto ciò che il territorio ha da offrire. Ciò che si vuole fare con questi prodotti è quello di dare l’idea di un territorio (Toscana) unito che punta sulle caratteristiche delle proprie terre.
The Castelgreen is the new line presented that faces the world of Biology and Ecosustainability, from all points of view. It contains the main types of products: Chianti Classico DOCG, Chianti Classico Riserva, Rosso Toscana IGT. The aim is to bring the world of wine to a higher level, making it tie even more to all that the territory has to offer. What we want to do with these products is to give the idea of a united territory (Tuscany) that focuses on the characteristics of its lands.
CHIANTI CLASSICO DOCG
750 ml
CHIANTI CLASSICO DOCG RISERVA
ROSSO TOSCANA IGT
750 ml
750 ml
Vitigni/Grapes: 95% Sangiovese, 5% Merlot Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 28° Fermentation at a controlled temperature of 28 ° Maturazione/Aging: Dai 6 ai 10 mesi in botte di rovere di Slavonia From 6 to 10 months in Slavonian oak barrels
Vitigni/Grapes: 90% Sangiovese, 5% Cabernè 5% Merlot Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 30° Fermentation at a controlled temperature of 30° Maturazione/Aging: In botti di rovere francese da 35hl per 2 anni In 35hl French oak barrels for two years
Vitigni/Grapes: 50% Sangiovese, 50% Cabernè Vinificazione/Vinification: Fermentazione a temperatura controllata di 28° Fermentation at a controlled temperature of 28 ° Maturazione/Aging: In barriques di rovere francese da 9 a 14 mesi In French oak barrels for 9 to 14 months
CastelGreen
CastelGreen Riserva
Green
La più grande famiglia del Chianti Classico
CASTELLI del GREVEPESA
Via Gabbiano, 34 50026 San Casciano Val di Pesa (FI) Tel. +39 055 821911 Fax + 39 055 8217920 info@castellidelgrevepesa.it www.castellidelgrevepesa.it
CASTELGREEN
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Profilo Aziendale
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Catalogo prodotti
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12 12.5 Packaging (Bag in box) Il Bag in Box è un contenitore per liquidi alimentari inventato e brevettato negli anni ’50 negli Stati Uniti d’America. E’ formato da una scatola (BOX) solitamente di cartone di varie forme e misure che serve per proteggere e contenere una sacca (BAG) realizzata in materiale plastico poliaccoppiato (poliestere metallizzato per l’esterno e polietilene per prodotti alimentari per l’interno) con termosaldato un rubinetto per l’erogazione: quest’ultimo è il “cuore” di questo contenitore innovativo perché permette la fuoriuscita del liquido ma non l’ingresso dell’aria. La sacca viene colmata di vino senza che l’aria rimanga al suo interno e durante lo svuotamento, grazie allo speciale sistema di cui è fatto il rubinetto e alla flessibilità del materiale della sacca, esce solo il liquido senza che l’ossigeno penetri. In questo modo si elimina la possibilità dell’ossidazione e dalla presa di “spunto”, tipici problema che si riscontra invece nel vino conservato nelle bottiglie aperte. Quindi il Bag in Box risulta ad oggi il miglior contenitore sul mercato per i vini di uso quotidiano, permette di mantenere sempre il vino “pronto all’uso” anche per un consumo saltuario e sporadico. Per quanto riguarda la scatola (il Box) anche qui i vantaggi sono innumerevoli. Protegge il sacco dallo schiacciamento dagli urti e dai tagli, è impilabile protegge il vino dagli sbalzi di temperatura e dalla luce e non ultimo è un’ottima soluzione per le spedizioni con i corriere che per quanto riguarda la spedizione delle bottiglie obbligano ormai ad imballi speciali e molto costosi.
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Per il vino i due formati più usato sono il 3 litri e il 5 litri che corrispondono a circa 4 bottiglie e 6 bottiglie di vino, ottimi per un “uso domestico” .Esistono poi anche da 10 e 20 litri più per uso nella ristorazione.
Anche la bag in box, come tutto il resto dei prodotti, deve uniformarsi. Per questo la scelta grafica con la quale si presenta si è orientata a quella delle etichette dato che le confezioni sono un’estenzione dei vini. In questo caso sono stati presi in considerazione solo 3 vini: Settimo della linea Clemente VII, Rosso della linea Castelgreve, Gran selezione della linea Castello di Bibbione e Green della linea Castelgreen, nella confezione da 3 litri, dimensione 22x18x10 cm. La scatola presenta la texture piena in alto che gira tutta intorno alla scatola, nella parte centrale si riprende l’etichetta del medesimo vino e infine è stata colorata per metà del colore della linea e l’altra metà lasciata bianca, in modo da riprendere le varianti delle etichette. Nella parte superiore all’altezza della maniglia si trova la texture vuota, in questo caso, con sopra il nome dell’azienda e sotto il nome del vino. Nei parti laterali sono presenti le istruzioni per l’uso da una parte e dall’altra le indicazioni riportate nel retro etichetta. Lo scopo era quello di non discostarsi troppo dai vini in bottiglia per evitare che i consumatori non associno entrambi i prodotti alla stessa azienda. Le bag in box sono state progettate con la stessa grafica, ciò che cambia è il colore di ogni singola linea.
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Bag in box Clemente VII
C LEMENTE VII CASTELLI del GREVEPESA
CLEMENTE VII
ISTRUZIONI PER Lâ&#x20AC;&#x2122;USO
CLEMENTE VII
2018
2018
Settimo
Settimo
SETTIMO ROSSO TOSCANA
SETTIMO ROSSO TOSCANA
SETTIMO ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
2018
3l
14% vol
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
CASTELLI del GREVEPESA
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CASTELLI del GREVEPESA
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Bag in box Castelgreve
C ASTELGREVE CASTELLI del GREVEPESA
CASTELGREVE 2018
Rosso ROSSO ROSSO TOSCANA
ISTRUZIONI PER Lâ&#x20AC;&#x2122;USO
CASTELGREVE
ROSSO ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
2018
2018
Rosso ROSSO ROSSO TOSCANA
3l
13,5% vol
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLI del GREVEPESA
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Bag in box Castello di Bibbione
C ASTELLO DI BIBBIONE CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLO
DI BIBBIONE
ISTRUZIONI PER Lâ&#x20AC;&#x2122;USO
CASTELLO
CASTELLO DI BBIONE GRAN SELEZIONE
DI BIBBIONE
2018
2018
GranSelezione
GranSelezione
GRAN SELEZIONE CHIANTI CLASSICO
GRAN SELEZIONE CHIANTI CLASSICO
CHIANTI CLASSICO DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA
2018
3l
14% vol
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
CASTELLI del GREVEPESA
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CASTELLI del GREVEPESA
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Bag in box Castelgreen
C ASTELGREEN CASTELLI del GREVEPESA
CASTELGREEN
ISTRUZIONI PER Lâ&#x20AC;&#x2122;USO
CASTELGREEN
2018
2018
Green
Green
GREEN ROSSO TOSCANA
GREEN ROSSO TOSCANA
GREEN ROSSO TOSCANA INDICAZIONE GEOGRAFICA TIPICA
2018
3l
13,5% vol
IMBOTTIGLIATO DA CASTELLI DEL GREVEPESA SCA SAN CASCIANO IN VAL DIPESA - ITALIA WWW.CASTELLIDELGREVEPESA.IT
PRODOTTO IN ITALIA CONTAINS SULPHITES - ENTHALT SULFITE CONTIENE SOLFITI - CONTIENT SULFITIES
CASTELLI del GREVEPESA
CASTELLI del GREVEPESA
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Conclusioni Il progetto di restyling dell’immagine coordinata è stato realizzato con l’obiettivo di esprimere la volontà e i valori dell’azienda, e quindi offrire un prodotto simbolo della terra, ma al tempo stesso genuino, nobile ed elegante. Troppe volte la conoscenza di vino, uve e vigneti è vista come qualcosa destinata solo a pochi intenditori, e per questo purtroppo il mercato del vino si delinea in una piccola fetta di mercato. Non perchè simboleggia nobiltà è scontato che non possa essere apprezzato da tutti. Attraverso uno studio grafico di questo tipo è possibile dare voce e visibilità a tutti quei prodotti che non vengono visti nel modo giusto. Se al giorno d’oggi è importante come ci presentiamo noi stessi verso le persone, figuriamoci l’importanza delle aziende che ogni giorno lottano per rimanere vive nel mercato. Tutte le scelte fatte sono state prese dietro ad un accurato studio e ricerca di ciò che già è presente, ciò che funziona e ciò che non funziona, solo così si può capire in che direzione andare, tenendo sempre ben a mente i principici che vuole trasmettere l’azienda. In base a ciò ho cercato di realizzare un’immagine coordinata che più si adattasse a tutto e che potesse esprimere ciò che non sempre si può dire con le parole.
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Bibliografia • Appiano Ave, “Comunicazione visiva: apparenza, realtà, rappresentazione”, UTET libreria, Torino 1996. • Baroni Daniele, “Il manuale del design grafico”, Longanesi, Milano 2003. • Branzaglia Carlo, Anceschi Giovanni, “Comunicare con le immagini”, prefazione di Giovanni Anceschi”, Bruno Mondadori, Milano 2011. • Cegarra Jean Jack, Botton Marcel, Ferrari Beatrice, “Il nome della marca: creazione e strategia”, Guerini, Milano 1992. • Cerri Susanna, “Il potere del brand: graphic design tra identità e comunicazione”, DIDA Press, Firenze 2017. • Falcidieno Maria Linda, “Il ruolo del disegno nella comunicazione”, Alinea, Firenze 2007. • Falcidieno Maria Linda, Giulini Saverio, “Parola, disegno, segno: comunicare per immagini segno, significato, metodo, con un saggio su notazioni in matematica di Saverio Giulini”, Alinea, Firenze 2006. • Ferraresi Mauro, “I linguaggi della marca: breve storia, modelli, casi”, Carocci, Roma 2008. • Fittante Aldo, “Brand, Industrial design e Made in Italy: la tutela giuridica, lezioni di diritto della proprietà industriale”, Giuffrè Editore, Milano 2017. • Floch Jean Marie, “Identità visive: costruire l’identità a partire dai segni, introduzione di Giulia Ceriani”, F. Angeli, Milano 2002.
264
• Galeffi Agnese, “Se il catalogo parlasse, lo capiremmo? Cinque assiomi della comunicazione catalografica”, AIB Studi, Maggio-Agosto 2017, Vol.57(2). • Klein Naomi, Equa Trading, Borgo Serena, “No logo: economia globale e nuova contestazione”, Baldini & Castoldi, Milano 2001. • Mambrini Maurizio, “Mezzo secolo di vita e di vino, la cantina Castelli del Grevepesa, introduzione di Zeffiro Ciuffoletti”, Edizioni Polistampa, Firenze 2015. • Marin Patrizia, Russo Vincenzo, “Comunicare il vino: tecniche di neuromarketing applicate / a cura di Vincenzo Russo e Patrizia Marin, prefazione di Patrizia Marin”, Guerini Next, Milano 2016. • Sbalchiero Saverio, Bassani Marco, “Brand design: costruire la personalità di marca vincente”, Alinea, Firenze 2002. • Scarso, Slawka G, “Marketing del vino: dalle etichette ai social network, la guida completa per promuovere il vino e il turismo enogastronomico”, LSWR, Milano 2017. • Ventura Ilaria, “Che cos’è il packaging”, Carocci, Roma 2014. • Vitta Maurizio, “il sistema delle immagini: estetica della rappresentazione quotidiana”, Liguori, Napoli 1999.
265
Sitografia •Agricola San Felice http://www.agricolasanfelice.it •Brand identity https://www.brand-identikit.it •Castelli del Grevepesa https://www.castellidelgrevepesa.it •Dentro il design https://www.dentroildesign.com •Diritto vinicolo http://dirittovitivinicolo.eu •Di vino sfuso https://www.divinosfuso.it •Draft https://www.draft.it •Followine https://followine.eu •GFdesign https://gfdesign.it •Graficata https://www.grafigata.com •Glossario marketing https://www.glossariomarketing.it •Inside marketing https://www.insidemarketing.it
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•Intravino http://www.intravino.com •LabelDoo https://labeldoo.com •Netrising https://www.netrising.com •Nielsen Communication https://www.nielsencommunication.com •Retorica comunicazione https://www.retorica.net •Rocca delle Macìe https://www.roccadellemacie.com •Tasting lover http://www.tastinglover.com •Tenute Piccini http://www.tenutepiccini.it •Vino 75 https://blog.vino75.com •Web in fermento https://www.webinfermento.it
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UniversitĂ degli Studi di Firenze Corso di Laurea in Disegno Industriale A.A. 2018/2019 Federica Ferrini Relatore Prof. Marcello Scalzo Correlatore Prof. Angelo Minutella