La scoperta dell'acqua calda vol 1

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GIOVANNI BALLARINI

LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA Invenzione della cucina e creazione della gastronomia VOLUME I

Acqua calda la scoperta più importante dopo il fuoco e prima della ruota

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LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA VOLUME I

Autore: Giovanni Ballarini Copertina di Cecilia Mistrali © 2014 fermoeditore Via Cairoli 15 – Parma Sito web: www.fermoeditore.it E-mail: info@fermoeditore.it ISBN 978-88-6317-032-0 Riproduzione vietata – Tutti i diritti riservati Il presente file può essere utilizzato esclusivamente per finalità di carattere personale. Nessuna parte di questo e-book può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi formato o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. File non stampabile. Stampa on demand da richiedere a info@fermoeditore.it Segui Fermoeditore su Facebook

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INDICE PREFAZIONE Acqua calda. La più grande scoperta dopo il fuoco e prima della ruota

Pag. 4

I – L’INVENZIONE DELLA CUCINA La scoperta dell’acqua calda

Pag. 9

Dal fuoco all’acqua, una lunga preistoria

Pag. 17

Il mito di una cucina naturale

Pag. 24

Tappe nell’invenzione della cucina

Pag. 28

La cucina nell’evoluzione umana

Pag. 48

Alle radici della nostra alimentazione

Pag. 57

Alimentazione culturale umana

Pag. 63

Orme biologiche in cucina

Pag. 73

Parlando attorno al fuoco

Pag. 82

Cucina e miti

Pag. 96

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PREFAZIONE ACQUA CALDA, LA PIÙ GRANDE SCOPERTA DOPO IL FUOCO E PRIMA DELLA RUOTA Tutti gli esseri viventi si nutrono: gli animali cercano e catturano il cibo seguendo l’istinto, e solo un piccolo numero di specie ha elaborato semplici sistemi di trasmissione dei comportamenti alimentari, dando avvio a schegge di cultura 1. Solo l’uomo2 ha trasformato il cibo in oggetto di ricerca e studio da parte dell’antropologia alimentare3; già all’inizio del secolo XIX Anthélme BrillatSavarin così apriva il suo celebre libro4 : «L’universo esiste soltanto per la vita e tutto ciò che vive si nutrisce. Gli animali si pascono: l’uomo mangia: solo l’uomo intelligente sa mangiare». L’antropologia alimentare5 è una disciplina d’interesse antico ma di ricerca scientifica recente. In un passato a noi vicino, dell’argomento si sono interessati con successo storici, letterati, umanisti in genere; i ricercatori sperimentali, o scienziati, si sono occupati soprattutto degli aspetti fisiologici della nutrizione6 a partire dalla metà del XIX secolo. L’alimentazione umana è stata trasformata dallo sviluppo di nuove scienze e dall’affermarsi dell’antropologia, come dimostrano i numerosissimi contributi di questi ultimi decenni7. Mentre la fisiologia della nutrizione, comprendendo anche gli aspetti patologici – definiti un po’ grossolanamente ma in modo efficace “alimentazione del corpo” – è tipica di società “povere”, gli aspetti psicologici (“alimentazione dell’anima” o della psiche) è caratteristica delle società “ricche”8. Pur essendo presenti, in entrambe le situazioni, aspetti di tipo economico, sociale, psicologico ecc., è indubbio che con il passaggio da società “povere” a “ricche” sono questi ultimi aspetti – tipicamente antropologici – ad aumentare, senza tuttavia negare che ogni alimentazione

Il gatto è fra queste specie. La gatta insegna ai gattini come nutrirsi, con tre distinte lezioni: come individuare preda, come catturarla, come mangiarla. Su questa linea si sviluppano anche “culture” alimentari di gatti che si cibano di topi, di uccellini oppure di pesci. 2 Homo sapiens sapiens o uomo di Cro Magnon, diverso dalla specie Homo sapiens (Neanderthal), quest’ultimo scomparso circa 30 mila anni prima dell’Era Corrente (E.C.), e da tante altre specie di ominidi. 3 Nel vastissimo ambito dell’antropologia – che grosso modo si occupa della specificità umana – le ricerche riguardanti i comportamenti alimentari specifici della nostra specie (antropologia alimentare o nutrizionale) sono molto numerose e sparse in una folla di riviste e libri. 4 Anthélme Brillat-Savarin, La Physiologie du Goût, Paris, 1825 (Fisiologia del Gusto ovvero Meditazioni di Gastronomia Trascendente – Trad. Dino Provenzal – B.U.R., Rizzoli, Milano, 1955). 5 Vittorio Lanternari ha definito l’antropologia come “la più ardimentosa scienza dell’uomo” (Lanternari V., Religione, magia e droga – Studi antropologici, Manni, San Cesario di Lecce, 2006). L’antropologia alimentare è stata sinteticamente definita come lo studio delle interazioni tra gli uomini ed i loro cibi, in un contesto non nutrizionale, che può descrivere i sistemi alimentari con il fine di conoscere i comportamenti alimentari nelle diverse culture. Antropologia dell’alimentazione o degli alimenti come vorrebbero alcuni, o antropologia alimentare? Chi scrive ritiene più corretta la seconda dizione, che pone l’accento sulla dimensione antropologica, e cioè umana, anziché sul cibo o alimento. 6 Non dimentichiamo l’italiano Lazzaro Spallanzani (1729-1799) che nel 1780 per primo studiò la digestione nell’animale e nell’uomo, con metodo sperimentale. 7 Per rendersi conto di questo fenomeno è sufficiente consultare internet con un qualsiasi motore di ricerca. 8 Il limite che da un punto di vista nutrizionale separa le società o gli strati sociali “poveri” da quelli “ricchi” sta nella disponibilità alimentare di circa tremila chilocalorie giornaliere. 1

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umana abbia la sua ineliminabile antropologia9. Ne consegue l’attuale, crescente interesse per l’antropologia alimentare umana in tutti i suoi aspetti, dalle patologie comportamentali10 all’utilizzo di tecniche psicologiche, anche subliminali, nella distribuzione, vendita e uso degli alimenti, da parte della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e GRO (Grande Ristorazione Organizzata). Non bisogna poi sottovalutare il fenomeno mediatico nella cucina delle società ricche, fenomeno un tempo molto limitato11 e ora diventato di massa12. Su questa linea, molto importante è la crescita della bibliografia culinaria o cuciniera, in modo particolare di ricette, indirizzata a un pubblico sempre più vasto13. Con modi diversi e in misura più o meno subdola, argomenti che sono oggetto d’analisi e ricerca da parte dell’antropologia alimentare si sono diffusi nelle società “ricche” tanto da sollevare l’interesse di strati sempre più consistenti della popolazione. Non dimentichiamo che noi “siamo quel che mangiamo”, non tanto e non solo perché il cibo può modificare la nostra identità (fenomeno che sembra peraltro limitato14), quanto perché il cibo, in tutte le sue diversificazioni – compresi i modi di preparazione e consumo, e attraverso i miti alimentari – è un importante elemento d’identità etnica, religiosa, sociale, di classe e personale 15. In un mondo che per certi aspetti si va unificando attraverso processi di globalizzazione e cosmopolitismo,

diventa sempre più importante

la conoscenza

dei

processi

identitari

dell’alimentazione umana, quindi di un particolare aspetto antropologico. Mai come oggi l’alimentazione è campo di disinformazione, apprensioni, paure e speranze. Drammatico il risultato di un’inchiesta compiuta in Europa nel 2000: il 35% degli intervistati credeva che nei cibi normali non fossero presenti geni immessi invece in quelli transgenici. Un tempo l’uomo fantasticava di diventare forte come un leone, astuto come una volpe, veloce come una lepre o resistente ai veleni come una vipera mangiando le carni di questi animali. Oggi si è sviluppata un’inconscia paura negativa, altrettanto fantastica, che i cibi possano alterare il nostro essere (genetico). Al di fuori di fantasie, le neo-biotecnologie applicate agli alimenti, figlie delle vetero-biotecnologie iniziate migliaia di anni fa, oggi assumono nuove prospettive e devono essere esaminate alla luce delle idee darwiniane sull’alimentazione e nell’ambito di una moderna antropologia alimentare. In questo contesto bisogna considerare il nuovo ruolo dell’uso dei cibi La cottura dei cibi sembra essere uno degli elementi antropologici specifici della nostra specie, come anche recentemente hanno sottolineato Wrangham e Conklin-Brittain (Wrangham R., Conklin-Brittain N., Cooking as a biological trait, Comp. Biochem. Physiol. a Mol. Integr. Physiol., 2003, p. 136 (1), pp. 35-46). 10 Fra i disturbi dei comportamenti alimentari sono da ricordare l’anoressia, la bulimia, l’alimentazione compulsiva, le sempre più diffuse avversioni alimentari e, non da ultimo, la dilagante “epidemia obesità”. 11 Al proposito basta citare la cena dell’arricchito romano Trimalcione o i banchetti ostensivi e sfarzosi del Rinascimento italiano. 12 La conferma più evidente è la quasi onnipresenza di rubriche di cucina su giornali, riviste, programmi televisivi, senza contare le riviste specializzate e i canali Tv monotematici. 13 Anche se “nella ricetta c’è tutto, salvo l’essenziale”, come ha sentenziato Gualtiero Marchesi, gli scaffali delle librerie, ma anche di molti supermercati, sono pieni di libri di ricette, tradizionali, innovative, etniche ecc., molte delle quali sono perlomeno improbabili. 14 Le influenze del cibo sulla psiche sono studiate dalla Psicodietetica. 15 Quasi infiniti gli esempi al riguardo; fra tutti, basti pensare ai fenomeni dell’astensione dalle carni (in tutte le diverse declinazioni religiose e laiche), dell’avversione culturale per le carni di taluni animali (maiale, ma anche cane, cavallo, lumache, rane ecc.), dei rapporti con il latte (lattofilia e lattofobia) con i funghi (micofilia e micofobia) e via dicendo, fino ad arrivare all’ortoressia (ricerca spasmodica di un’alimentazione assolutamente salutistica). 9

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(cucina):

invenzione

umana

strettamente

correlata

alle

invenzioni

dell’agricoltura

e

dell’allevamento, la cucina rappresenta l’indispensabile punto di collegamento tra biologia e cultura, e il necessario raccordo della genetica con una corretta nutrizione umana16. L’antropologia alimentare sta entrando nell’ambito dell’insegnamento impartito da istituti specializzati – come gli Istituti alberghieri o le Scuole di Cucina più varie – e dalle Università, in modo particolare da quando lo Stato Italiano ha riconosciuto il corso di laurea triennale in Scienze Gastronomiche, mentre diversi sono i master universitari e i corsi di specializzazione riguardanti l’alimentazione umana. In ognuna di queste attività formative si riconosce l’importanza sempre maggiore degli aspetti antropologici di alimentazione e nutrizione, condizione che porta un discreto numero di studenti a richiedere materiali didattici riguardanti l’antropologia alimentare, sui quali costruire e approfondire la propria professionalità17. Le caratteristiche dell’antropologia alimentare ora tracciate da una parte s’identificano con alcuni dei più importanti tratti di un’attualità quasi impellente, dall’altra segnalano l’estrema, se non infinita, dimensione di una disciplina in rapida e tumultuosa evoluzione, che non pare aver trovato sempre se sarà possibile – univoci strumenti metodologici d’analisi, interpretazione, utilizzo. Non siamo più inseriti in un sistema che poteva comprendere un’enciclopedia dove riunire tutta una disciplina – e tantomeno una o più visioni del mondo – come accade nell’antropologia18. Dobbiamo quindi accontentarci, soprattutto sfruttare gli innegabili vantaggi di una conoscenza sviluppata per singoli aspetti, problemi e argomenti. Questo libro, che ha come sottotitolo «Invenzione della cucina e costruzione della gastronomia», ha come titolo «La Scoperta dell’Acqua Calda», una scoperta che dev’essere definita come “la più importante dopo il fuoco e prima della ruota” 19. Sono stati affrontati solo alcuni argomenti di antropologia alimentare, con un linguaggio facilmente comprensibile, tenendo conto delle più recenti conoscenze e idee scientifiche: un’interpretazione antropologica completa ed esaustiva dell’alimentazione umana richiederebbe un lavoro enorme. La mia intenzione è quella di proporre un libro per chi dei nuovi argomenti d’antropologia alimentare non sa nulla o quasi, che desidera una sintesi e, soprattutto, concretezza. Conoscere poco, ma chiaramente, è meglio che non conoscere nulla. È quest’ultima una richiesta di benevolenza per i limiti dell’esposizione? Anche, ma non bisogna dimenticare che se le schematizzazioni possono non essere tutta la verità, sono tuttavia utili, se non necessarie, per comprenderla. Con La scoperta dell’acqua calda, che segue Alimentazione e patologia alimentare darwiniana, intendo contribuire a una migliore conoscenza dei principali e fondamentali aspetti del Vedi G. Ballarini, Alimentazione e patologia alimentare darwiniana, Mattioli 1885, Parma, 2005. Chi scrive svolge da diversi anni attività didattica nell’area dell’antropologia alimentare in istituti specializzati – Istituti alberghieri, Scuole di Cucina ecc. – Università e corsi di specializzazione professionale. 18 Non si vuole qui affrontare la questione del se esista una sola o, come è più probabile, più e diversificate antropologie, pur tutte indirizzate a metodi di ricerca e comunicazione se non uguali, almeno tra loro compatibili. 19 La scoperta del fuoco e il suo utilizzo non è esclusivo della nostra specie, ma anche di altri ominidi che ci hanno preceduti. Non esistono culture umane senza cucina (Wrangham e Conklin-Brittain, op. cit.), sviluppata almeno 35 mila – 30 mila anni prima dell’E.C., mentre esistono grandi culture, come quelle americane precolombiane, che per svilupparsi non hanno avuto bisogno della ruota. 16

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fenomeno alimentare umano nelle sue dimensioni genetiche, socioculturali e antropologiche, che possa continuare in successive pubblicazioni, aperte a nuove interpretazioni. Non è comunque possibile chiudere questa prefazione senza chiedersi: perché dedichiamo tanta attenzione alla cucina? Come avviene una continua comunicazione tra i cibi di ieri e quelli di oggi? Perché è possibile un dialogo gastronomico tra cucine diverse? Esistono delle idee nascoste e inconsce che guidano e sostengono l’evoluzione della cucina controllando gastronomie eccessive? Per rispondere a queste e altre domande non è sufficiente studiare le odierne cucine o quelle del passato ma è necessario scavare più a fondo e cercare di capire perché solo la nostra specie ha creato la cucina e l’ha fatta evolvere in alta cucina o gastronomia, tentando d’individuare le linee di sviluppo che ancora agiscono nella Civiltà della Tavola e la mantengono in essere. Anche per la cucina, solo conoscendo le origini possiamo interpretare la storia passata, il presente e immaginare un futuro. Solo la nostra specie, in stretto rapporto con l’invenzione dell’agricoltura, ha creato la cucina che, nei suoi aspetti quotidiani e in quelli gastronomici, si è sviluppata come una tradizione primordiale di comunicazione di valori alimentari, espressi dalla scelta, associazione, trattamento, presentazione e consumo dei cibi. La creazione della cucina non può essere attribuita soltanto e singolarmente a un’eredità genetica, a singole caratteristiche od “orme” della nostra specie, a un imprintig d’atteggiamenti parentali, al trasferimento di informazioni o ad altri elementi, indubbiamente presenti nella nostra specie in modo separato ma che non potevano agire se non innescati da un evento originale. La creazione della cucina è da collegare a schemi biologici, reazioni e sentimenti attivati ed elaborati mediante pratiche rituali e insegnamenti verbalizzati, con un ruolo primario svolto dal soddisfacimento di un benessere psicofisico (eucenestesi ed emozione), che va oltre la semplice risposta della fame biologica e che interessa la sfera della psiche e della sociologia. Con la cucina, la nostra specie cambia lo scenario biologico. Ciò che importa non è più il successo dei propri “geni egoisti”, ma il successo della propria cultura, di cui cucina e gastronomia sono importanti marcatori che su questa linea divengono lo strumento per la creazione di un ininterrotto senso alimentare e di un nuovo rapporto con il mondo. È un processo continuo, nel quale operano le componenti biologiche e culturali della nostra specie. Oggi nella cucina emerge la “perdita del soggetto”. L’individuo, per la scomparsa delle tradizioni e l’inesauribile diversificazione dell’offerta, si trova nella solitudine dell’arbitrarietà alimentare ed è assalito da nuove e incontrollabili dipendenze, così sottili ed efficienti da far apparire goffe e antiquate le vecchie forme di comunicazione. Ricordando il detto di G. K. Chesterton secondo il quale un popolo che non crede a niente è disposto a credere a tutto, dobbiamo riconoscere che con la perdita delle tradizioni si è disposti a tutto, e la perdita di una memoria alimentare porta all’ansia e a un’invadente insicurezza.

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