La morte è fatta a scale

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LA MORTE È FATTA A SCALE Autori vari A cura di Giovanna Bragadini Copertina: Cecilia Mistrali

© 2015 fermoeditore Via Cairoli 15 – Parma Sito web: www.fermoeditore.it E-mail: info@fermoeditore.it

ISBN 978-88-6317-036-8

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Come nasce un’antologia

Questa raccolta nasce da due diverse “operazioni”, un corso e un concorso. Il corso è quello di scrittura creativa tenuto ogni anno a Parma dallo scrittore Mauro Martini Raccasi: a lui abbiamo chiesto di collaborare coinvolgendo gli allievi nella creazione di racconti noir a tema “Le scale”. Il concorso invece è il primo contest fotografico Fermoeditore, a tema “Le scale, di giorno e di notte”: abbiamo scelto fra le immagini dei partecipanti quelle più attinenti al genere noir, per arricchire l’antologia di suggestioni visive. I racconti scelti fra i tantissimi elaborati ricevuti – e ringraziamo di cuore tutti gli corsisti per l’entusiasmo dimostrato – sono dodici, proposti per autore in ordine alfabetico: nessun vincitore, solo aspiranti scrittori che meritano di essere conosciuti e apprezzati.

Giovanna Bragadini

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Salve, sono la Presentazione! (cit. Zuzzurro & Gaspare – Rizzoli – 1988) Oggi tutti scrivono. Non perché non siamo più ai tempi di Alberto Manzi e della tardiva alfabetizzazione degli italiani nel secondo dopoguerra, ma perché il mondo è diventato digitale e multimediale, fatto di blog, social network, addirittura di short-stories da scaricare a pagamento e consumare tra una fermata e l’altra della metro. Il mondo si è riempito di opinionisti anche quando non ce ne sarebbe bisogno o non se ne avvertirebbe la necessità. Insomma: grafomani. Sempre più spesso con fonti non controllate e quindi inattendibili. E l’Editoria (tutta l’Editoria) è sempre più in crisi. Nera. Anzi, lugubre come un rivoletto d’inchiostro da stampa. Siamo sempre stati un Paese di lettori deboli, molto più propensi al telecomando per vedere calcio e veline, non necessariamente in quest’ordine. Molto più spiccio rispetto alla riflessione solitaria di fronte al ritmo e all’equilibrio della frase ben costruita, del piacere di apprendere a parlare e scrivere con i congiuntivi al posto giusto, dell’appropriarsi di un linguaggio ricco e brillante da sfoggiare in compagnia quando non si parla solo di veline o di calcio (stavolta le veline le ho messe prima), della scena visualizzata con gli occhi della mente che tanto bene fa alla materia grigia specie dei più giovani, del capitolo mozzafiato. Insomma, il garbato lirismo della pagina stampata non acchiappa da tempo l’italiano medio (e non mi riferisco alla lingua nazionale). Colpa dei géni? (Non ho scritto gèni). In parte. Perché in fondo vale anche per il passato e noi siamo sempre stati un popolo di santi, poeti e navigatori. Esatto: scribacchini o grandi letterati, ma non lettori. Poi c’è il tempo. O – peggio – la sua mancanza. Giusto il consumare qualcosa di televisivo veloce, una specie di fast food per la mente; figurarsi leggere un libro intero, magari un romanzone storico. Affare per chi soffre d’insonnia cronica. Potrebbe esserci una soluzione salomonica: roba rapida, consumabile in fretta che vada subito alla bocca dello stomaco o alla pompa cardiaca, fruibile anche sugli onnipresenti smartphone. Editoria digitale, storie brevissime l’una indipendente dall’altra, fulminanti e aggressive. Legate da un fil rouge che le accomuna. Perché no, a sfondo giallo o noir. Ne leggo una sull’autobus (sempre se non mi borseggiano prima), poi rimetto il cellulare in tasca e, dopo la partita di stasera in tivvù, me ne leggo un altro di questi racconti, tanto bastano pochi minuti; quelli ce li ho. Prima di dormire, seduto nel letto come nelle pubblicità smielate delle case perfette, sempre se chi dorme con me non si lamenta per la luce accesa. Ma no, che dico? Lo schermino è retroilluminato e la

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abat-jour non mi serve. Con buona pace delle mie retine. Dormire? Chi ha detto dormire? Se un racconto – con tanto di omicidio annesso – è ben congegnato, ci si può scordare di prender sonno. Ben venga, dunque, questa iniziativa editoriale. Un e-book al passo coi tempi vien da dire. Una raccolta di racconti brevi che potrebbe funzionare. Un mix di creatività di persone diverse, da amalgamare e frullare e servire per divorare (la creatività, non le persone). Risultato da talent scout di un editore e del suo staff che hanno avuto il coraggio di pescare e selezionare fra le decine di corsisti di un (favoloso!) corso di scrittura creativa. Persone che più diverse non si può, eppure accomunate dalla stessa passione, che tutto livella, tutto appiana, tutto abbraccia. Persone entusiaste che tanto bene hanno fatto a chi si è preso la responsabilità di provare a insegnare loro un po’ di mestiere. Fra di essi anche talenti. E poi cos’hanno da rischiare? Sembra il calcio quando sbattono fuori l’allenatore se la squadra perde: qui se qualcosa va male, la colpa è dell’insegnante.

Mauro Martini Raccasi

Note biografiche Nato a Parma, Mauro Raccasi divide il suo tempo fra la sua città e la Francia. Giornalista, soggettista, sceneggiatore, autore di saggi e biografie, è stato il primo in Italia a laurearsi in Economia & Commercio con una tesi sul giornalismo presso l’istituto IFOR dell’Università Bocconi di Milano. Da allora ha viaggiato spesso all’estero, lavorando come manager.Ha esordito nella narrativa con una saga storica – la tetralogia “Il Romanzo dei Celti” – ambientata tra le isole britanniche e la Scandinavia: “La Spada del Druido”, “Il Regno di Conan”, “Il Guerriero di Stonehenge”, “I Guerrieri dei Fiordi”.Cimentandosi anche col romanzo di formazione per adolescenti “Tommy Boomer” ha dimostrato di padroneggiare anche il viaggio nell’uomo. Ha dato alle stampe anche libri illustrati e biografie autorizzate, nonché vita a nuovi soggetti e scritture per lo schermo. Oltre alla narrativa, la sua passione è il cinema. Ama gli scrittori anglosassoni come Crichton, Cussler e la Cornwell, di cui ammira la capacità di farsi leggere dal grande pubblico afferrando il lettore alla gola e appassionandolo già alle prime pagine. Da loro ha coniato un suo marchio di fabbrica, la regola delle tre A: Azione, Avventura, Amore.

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Per altre informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Raccasi http://it.wikiquote.org/wiki/Mauro_Raccasi

Foto di Ludovica Guardasole

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Indice

Francesca Sole Barbarossa L’AMORE MANGIA TUTTO Sabina Bruschi LA SCALA DELLA PRESIDENZA Karin Colanero LA SCALA IN FAGGIO Enrico Cristalli SCHISM Anna Ferrari Scott IL NIDO DELL’AQUILA Rosanna Figna ASSASSINIO SUL PO Gerantonio Guarnieri SCALE PULITE Daniele Marchi LA SCALA A CHIOCCIOLA Roberto Marzioli CIAO, COME STAI? Marcello Mendogni SPIC & SPAN Raffaella Risolo I RICORDI DELLE SCALE Gianluca Toti LE URLA DENTRO Brevi autobiografie degli autori

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Francesca Sole Barbarossa L’AMORE MANGIA TUTTO

Alice, Chiara, Dario. Chiara amava Alice. Alice amava Dario. Dario amava se stesso. Erano cresciute insieme, Alice e Chiara; la prima più sognatrice e romantica, la seconda più selvaggia e tormentata. Entrambe molto belle ed entrambe molto amiche, anche se durante l’adolescenza Chiara aveva mano a mano percepito che ciò che la legava ad Alice non era semplice amicizia ma qualcosa di più forte e intimo. La sua pelle, i suoi occhi, il suo respiro. La voleva nella sua vita, la desiderava, ne aveva bisogno. Alice questo lo aveva capito, senza bisogno di parole. Conosceva la sua amica come conosceva sé stessa, ma persa nella concezione borghese dell’amore che le era stato insegnato non poteva che immaginarsi tra le braccia di un principe azzurro e non di una principessa. Solo quando calava la sera, nascosta dagli occhi del mondo e dai giudizi, poteva finalmente abbandonarsi ai propri pensieri e alle proprie debolezze. Poi era arrivato lui, Dario, il principe che Alice aveva sempre aspettato, e tutto era diventato più chiaro; tutto aveva preso una direzione e un senso. Il resto, compresa Chiara, non aveva più molta importanza. Con quei capelli color miele e gli occhi freddi come il ghiaccio, Dario aveva conquistato il cuore della giovane Alice, conducendola senza che se ne rendesse conto nel pericoloso mondo di cui era sovrano. Un mondo fatto di luci sfarzose e ombre profondissime; di eccessi e possibilità illimitate... Meraviglioso come lui, pensava Alice: bello... bello da morire... E così, il 4 aprile 2003, all’età di 23 anni, Alice morì di overdose per la droga che lui le aveva dato. Il suo corpo era stato rinvenuto dai carabinieri accasciato sui gradini della scala antincendio che si trovava nel retro dell’ex stadio, con la siringa ancora piantata nell’incavo dell’avambraccio e il laccio emostatico che le stringeva la pelle. Non aveva con sé né portafoglio né documenti, solo uno zainetto: dentro, un diario e un telefono cellulare con quattro numeri salvati – mamma, papà, Dario e Chiara. I carabinieri chiamarono tutti, ma i genitori erano fuori città, troppo lontani per tornare in tempi utili e Dario non rispose. Fu Chiara a dover riconoscere il corpo.

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Sabina Bruschi LA SCALA DELLA PRESIDENZA

Thobias Fu solo quando lo persi che realizzai quanto fossero state importanti la dedizione e l’affetto che mi aveva sempre riservato. Era riuscito anche a cambiare l’opinione che mi ero fatto sugli uomini, individui arroganti e maleodoranti. Per la prima volta feci un sogno: seguendo una pista, contribuivo alle indagini sul suo assassinio, ancora meglio di quanto avrebbe potuto fare il cane-poliziotto della tv. Ricordo benissimo l’ultima volta che lo annusai, sapeva di buono, come il salumiere di Corso Garibaldi. “Thobias, senti! Ti piace il salame, eh?” Mentre con una mano mi avvicinava al muso una fetta di salame profumato, con l’altra mi accarezzava la testa e il collo. Il mio padrone festeggiava i risultati della Grande Banca di cui lui era il numero uno. Quando l’occasione era importante mi portava sempre con sé, a dispetto di tutti i presenti che avrebbero fatto volentieri a meno di veder gironzolare un cane fra le tavole imbandite. Mi tolleravano solo perché ero il cocker spaniel del Direttore Generale, nonché il primo dei non-eletti all’ultimo Consiglio di Amministrazione della Grande Banca. Non che io sappia veramente cosa significhi, ma da quella volta che il biglietto col mio nome non solo era comparso tra gli eleggibili, ma aveva anche ricevuto una manciata di voti, la mia fama era salita alle stelle. Neanche fossi la cagnetta Laika... Conosco solo duecento parole della lingua degli uomini, ma mi bastano per decifrare molti dei loro discorsi. Me le insegnò lui, con giochi di “nascondi e cerca”, associando le parole agli oggetti. Così, quel giorno, quando il padrone finì di rifocillarmi con le leccornie che riempivano la sala riunioni e si rivolse al signor Carlo, il mio dog-sitter, capii quasi tutto quello che disse. “Carlo, ... Thobias a casa..., ... resto fino a tardi... a domani” E poi, rivolto a me: “Thobias, domani... qui... gioco... palla gialla... scala, ... ?” Già non vedevo l’ora che fosse il giorno dopo, quando lui mi avrebbe dedicato un po’ del suo tempo per farmi giocare con la palla gialla, sulla scala. Un gioco più che proibito, dato che la scala in questione era la Scala della Presidenza, uno dei luoghi accessibili solo a pochissime persone della Grande Banca (e a un solo cane). Purtroppo la leccata che diedi alla sua mano fu l’ultimo contatto che ebbi col mio caro padrone.

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Karin Colanero LA SCALA IN FAGGIO

Quel giorno avevo una gran voglia di fare ordine. Capita anche a voi ogni tanto? Voglio dire se vi capita mai di sentirvi centro e origine del caos cosmico e di volerne uscire prima di essere ingoiati da un gigantesco buco nero. Beh, quel giorno volevo iniziare dalla libreria. Avrei prima tirato fuori tutti i libri e poi li avrei risistemati in base al genere. Primo passo, ovviamente, era scegliere il pezzo giusto. Intendo musicale. Non posso assolutamente lavorare senza il sostegno psicologico di un pezzo di buona musica. Rovistai tra i miei CD. Non riesco ad arrendermi al formato Mp3. Cioè, sono giovane e quindi dovrei essere attratto da ogni novità tecnologica, ma certe cose devo sentirle anche tra le mani, col tatto, oltre che con l’udito. Ho ancora una grossa collezione di vinile di mio nonno, roba che solo a dirvi i titoli vi farebbe venire il mal di pancia. Ma che ne so, forse sotto sotto sono un romantico e, se devo dirvela proprio tutta, a volte mi metto anche una mazurca. Quando devo usare il martello o il trapano per esempio, la mazurca riesce ad ammorbidire i materiali più duri, forse spaventandoli. Comunque, tornando ai CD, optai per i Muse. Con i Muse si va sul sicuro, secondo me ci stanno bene sempre. Per arrivare in alto presi la scala a pioli in faggio che usava mio nonno in campagna. La stessa che lo fece cadere a terra e morire. Lo trovarono con la testa rossa di sangue, la scala al suo fianco e l’ombra dell’ulivo come lenzuolo. Così mi raccontò mio padre, ignorando la sensibilità dei miei dieci anni. Indelebile l’immagine di quella descrizione e, ovvia la rabbia per un amico perduto. I can’t get this memories out of my mind / it’s some kind of madness / it started to evolve (Muse). La scala rimase a me. La reclamai, prima con l’insistenza dei capricci infantili, poi con l’ostinazione dei diritti adolescenziali e un anno fa, quando lasciai mia madre (già lasciata, con me, da mio padre) me la portai dietro come una grossa e sacra reliquia. Quel giorno dunque appoggiai la scala alla libreria e buttai subito giù i volumi più leggeri. Quelli più pesanti invece li impilai a mucchietti sui ripiani e iniziai a portarli giù un po’ alla volta. La terza discesa fu fatale e mi ritrovai a terra con quella stupida scala al fianco, un male bestiale a una gamba e un lenzuolo di Dylan Dog addosso. Lo so, lo so, ho detto che i volumi leggeri li avevo buttati giù direttamente, ma i Dylan Dog, pur essendo leggeri, sono anche estremamente preziosi e quindi volevo farli atterrare dolcemente. Cosa che poi si è verificata visto che si sono adagiati sul mio corpo. Provai a muovermi ma il dolore era troppo forte. Cercai il telefono e lo sentii vibrare sotto la mia schiena. Con un po’ di sforzo riuscii a prenderlo e lessi “arrivata

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Enrico Cristalli SCHISM

– Scusa... dicevi? Non si era nemmeno accorta che era entrato, e sicuramente non sapeva da quanto tempo fosse lì. Non era la prima volta del resto. Lui rimase a osservarla qualche istante senza aggiungere altro. Appoggiò la valigetta di cuoio nero sul divano, si allentò il nodo della cravatta e poi ci riprovò: – Ho solo chiesto com’è andata la giornata, che hai fatto... – Tutto bene. Si fermò in mezzo alla sala indeciso sul da farsi, poi quasi subito si diresse verso il bagno. Aprì l’acqua fresca, ne fece scorrere una discreta quantità e vi immerse il viso diverse volte. Senza asciugarsi, si guardò allo specchio per un paio di minuti respirando profondamente. Aprì l’anta smaltata della mensola e prese la confezione bianca e rossa, estrasse il blister e ne contò le compresse disposte su cinque file da due ciascuna. Intatto. Esercitò una lieve pressione su una capsula e una piccola sferetta rosa ruppe l’involucro cadendogli sul palmo dell’altra mano, la strinse in pugno e si diresse in cucina, riempì un mezzo bicchiere d’acqua e tornò in sala. Lei non si era mossa di un centimetro. Seduta sul quarto gradino della scala a chiocciola, a fissare la città dall’alto, con le braccia a raccogliere le ginocchia e la testa appoggiata alla ringhiera in metallo. Quel viso magro e pallido seminascosto da lunghi capelli lisci, una sottana di seta bianca che arrivava alle caviglie dalla quale pareva che tutte le prominenze ossee spingessero per uscire. Le si avvicinò lentamente, appoggiò il bicchiere di fianco al posacenere come ogni sera stracolmo di mozziconi e le scostò una ciocca di capelli dal viso. – Non mi chiedi com’è andata al lavoro? – Com’è andata al lavoro? – Da domani sono in ferie sai? – In ferie? – Sì, sorpresa? Potremmo andare via qualche giorno, che ne dici? – Mi passi una sigaretta? Estrasse una Camel dal pacchetto, la accese, ne inspirò un paio di boccate e poi gliela porse vicino alla bocca. Lei aprì le labbra disidratate quel tanto che bastava per

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Anna Ferrari Scott IL NIDO DELL’AQUILA

Ha visto qualcosa di strano? gli avevano chiesto i poliziotti. Riusciva ancora, all’età di cinquant’anni, a trovare gente vedente molto più cieca di quanto non fosse lui. Mondo ladro, che rabbia. E tutto perché, al piano di sotto, quel pomeriggio era stata trovata una studentessa morta per strangolamento. Così presumevano. Poi si erano corretti: ha sentito qualche rumore strano? A parte la pioggia forte, ovviamente. E ancora, vista l’eccezionalità del suo olfatto, ha avvertito qualche strano odore? Devo prenderli sul serio? Si impose un sì. Aldo diceva sempre che a un cieco salire una scala riesce facile, perché ha a disposizione una ringhiera che lo guida e sa che a ogni passo deve salire un po’. Percorrere i quattro piani senza ascensore di casa sua era diventata una piacevole routine e quel labirinto verticale era diventato un tracciato di odori che gli consentivano di orientarsi all’istante. Al primo piano la quotidianità del burro e della cipolla soffritti si attaccava alle pareti come ruggine sulle cancellate. Al secondo piano il puzzo delle sigarette e l’aroma degli oli essenziali di lavanda duellavano confusamente, senza che l’uno sconfiggesse l’altro. Al terzo piano nessun odore e nessun rumore: una reale mancanza di vita. L’appartamento era vuoto, gli avevano detto, non senti che silenzio? Lo sapeva bene, ma di notte, certe volte, Aldo sentiva dei rumori provenire da lì. Forse sono topi, ma lui non voleva saperne: quelli erano fantasmi. – Dovrei insegnarti a colorare il mondo – gli aveva detto un giorno un caro amico. – E perché dovrei imparare una cosa che non mi appartiene? Che è fuori dal mio essere? – Perché una paura è meglio affrontarla, invece di soffocarla... Così Aldo aveva imparato che il burro era dorato, la cipolla rossa, la lavanda viola. Il silenzio, si era fatto idea che fosse blu. L’appartamento al terzo piano era blu. Anche il buio, il suo elemento, era blu. E aveva dipinto di blu anche la paura...

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Rosanna Figna ASSASSINIO SUL PO

29 giugno – esterno notte Sulla sponda destra del Po, vicino al paese di Boretto, la nave Stradivari era tutta illuminata. L’eleganza degli arredi interni si intravedeva dai grandi oblò rettangolari. Sul ponte superiore c’era un’orchestra numerosa, con luci che venivano da sotto e lucerne stese su fili in alto. Sembrava la scenografia di un film felliniano o di una fiaba moderna: la musica si diffondeva verso la sponda dove il pubblico, al buio, ascoltava. Le centinaia di sedie allestite erano quasi tutte occupate. Non si era mai vista tanta eleganza sulle sponde del Po. Era l’opera, la grande Opera che si diffondeva nell’aria calda d’inizio estate. L’ouverture del Trovatore, poi alcune arie della Traviata e della Forza del destino. Tutta la potenza e la magnificenza della musica di Verdi dispiegata nella sua terra d’origine. Il cielo era particolarmente brillante e l’acqua rifletteva i raggi d’argento di una luna quasi piena. Quasi per magia, sulla superficie del fiume mille candele galleggianti scorrevano come lucciole, o come anime del purgatorio. Insieme a loro scorreva una barchetta con il corpo esanime di un giovane nudo: una mano pendeva fuori, verso l’acqua; dentro la barca, sparpagliate, un mazzo di carte da gioco. Un cadavere bello come un quadro del Caravaggio, con la grazia di un Cristo deposto, seguiva la scia della luna sulla corrente. Antefatto 18 giugno – esterno giorno – Ecco, vedi? Queste sono le dahlia pon pon e qui la salvia ananas, senti come profuma di frutti! Colleziono vegetali un po’ particolari: la lavanda cuscino, il basilico nano... faccio anche un po’ di orto, il pomodoro bistecca, la melanzana innestata e ho anche le arachidi mignon. – Dicono che il giardinaggio sia un sostituto del sesso: è vero? – Sicuro... ammira questa mise da miss Marple: quando sono qui, mi sento molto zitella: ho un’età che mi sottrae anche dalla bagarre, dall’agone sessuale e dal gioco della seduzione. – Ci dedichi molto tempo? Anche a me piacerebbe avere piante e fiori, ma sono sempre in viaggio. – No, non molto: d’inverno quasi niente; in primavera vengo qui soprattutto quando rientro dal museo. Così due donne in un pomeriggio di giugno assolato e ventoso conversavano in un

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Foto di Domenico Guddo

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Gerantonio Guarnieri SCALE PULITE

ORA notte Non fa male... non riesco a gridare, tutto questo sangue in gola, nel naso, in bocca, perché? Perché? Ghhh... lentamente il corpo si inginocchia, poi cade su un fianco negli ultimi sussulti, la bocca piena di bolle di sangue, quello strano fischio dallo squarcio nella gola, un ultimo tremito poi gli sfinteri si rilasciano, e il nulla. La Nemesi lo osserva, si asciuga lentamente il viso dagli schizzi di sangue, e con appena l’impressione di un sorriso pensa che terminare l’agonia sporco dei suoi escrementi rende il tutto vagamente poetico, per uno soprannominato Shit. DUE ORE FA – Forza, banda di falliti! – esclama Shitney, detto Shit, per abbreviare il cognome e perché dal punto di vista umano è veramente una merda. – Il solito lavoro del venerdì notte, queste stramaledette scale di sicurezza devono essere linde per lunedì, non si sa mai che uno di quegli strafottuti avvocati, con i loro fottutissimi uffici, sia un salutista e decida di cambiare piano usando le scale invece del loro fottuto, profumato ascensore. La missione è la solita, 52 piani di scale antincendio da pulire, 12 scalini, porta antipanico che si apre solo verso l’interno, pianerottolo, teca con idrante, 12 scalini, pianerottolo con finestrella in vetro temperato, 12 scalini, porta antincendio... e così via siano al piano terra, l’ultima porta antincendio, l’androne luccicante del palazzo e finalmente la strada, meta ultima di un lavoro claustrofobico e monotono. D’altra parte il lavoro era di quel tipo che si fa per fame, non per scelta. La squadra era affiatata: Bob detto Spider perché si occupava delle ragnatele, partiva per primo, dava la voce dopo tre rampe di scale e quindi partivano in sincronia Frank, detto Osama perché manovrava la scopa come un guerriero integralista, e Bill detto Prof, perché continuava a parlare e nessuno lo ascoltava, che spolverava i corrimano e le ringhiere delle scale. Quarto partiva Rocco detto Poeta perché ripeteva le strofe delle canzoni imparate a memoria, a lui spettava la ramazza con lo straccio bagnato. Per ultimo arrivava Shit, il caposquadra con due enormi bombolette spray, una d’insetticida inodore e una di deodorante agli agrumi, perché quegli strafottuti avvocati avevano il naso delicato. Sì la squadra era affiatata, e li univa anche un segreto comune, un macabro segreto.

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Daniele Marchi LA SCALA A CHIOCCIOLA

L’acquisto era avvenuto cinque anni prima, in pieno boom edilizio. Sembrava la scelta più sensata investire nel mattone. Poi la crisi, e da circa un anno non riusciva più ad affittare il monolocale nel pieno centro storico della città. A dire il vero non era proprio un monolocale: una scala a chiocciola si arrampicava nel sottotetto dell’antico palazzo emergendo in una spaziosa camera matrimoniale. Era la caratteristica che l’aveva convinto a fare l’investimento. Poi la crisi. Non aveva bisogno di venderlo ma se fosse riuscito a liberarsene per la stessa cifra pagata da lui, perché no; visto che queste cose ormai si fanno tutte al computer, mise un annuncio su un sito specializzato in compravendite: Vendesi monolocale in antico palazzo storico, situato su due livelli collegati da una scala a chiocciola, completamente arredato, disponibilità immediata, ecc. ecc. Inserisce anche diverse fotografie che evidenziano, nonostante la limitata metratura dell’appartamento, l’utilizzo di due spazi ben separati ma uniti dalla scala a chiocciola. Dopo giorni di silenzio informatico arrivò l’e-mail. Ciao mi chiamo Marc, sono un veterano di guerra delle Nazioni Unite che ha combattuto nella 1° divisione corazzata in Iraq. Ho bisogno di trasferirmi in Europa per motivi di sicurezza e potrei lasciare gli Stati Uniti con molta più facilità se acquistassi un immobile. Durante la guerra ho saputo di traffici illeciti fra esercito americano e terroristi e questo mi ha permesso, ricattando entrambi gli schieramenti, di impossessarmi di 16,2 milioni di dollari in contanti. Il traffico di armi fra la Russia e terroristi è gestito da militari americani e io non ho fatto altro che rubare a ladri e carnefici. Questo denaro è sotterrato in un luogo sicuro e attraverso le mie conoscenze posso, in una settimana e attraverso i container della Croce Rossa, far arrivare il denaro in Europa. Ho bisogno di una persona che si presti a depositare su un conto sicuro questo denaro e ovviamente io non devo apparire come intestatario.

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propongo

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l’acquistodell’appartamento, passaggio fondamentale per il mio trasferimento in Europa. Ciao, Marc Era tardi, la giornata era stata lunga e il lavoro di programmatore di videogiochi lo

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Roberto Marzioli CIAO, COME STAI?

Domenica sera Sarah attraversa il giardino di casa. Nell’aria è rimasto il profumo di erba tagliata, in testa ancora le grasse risate di Marion, i versi delle smorfie di Jane, le battute piccanti di Rebecca. Ripensa alle luci del locale, al gusto di birra e sudore, alla ragazza con il piercing alla narice che sorrideva e ballava con tutti. Sarah cerca le chiavi. Mentre fruga tra gli oggetti nella borsetta torna con la mente all’immagine delle sue amiche, quelle amiche, così allegre, così esuberanti, così diverse da lei. Le rivede a quel tavolo, tutte insieme, con cui parla, scherza, ride. Ma non troppo. Loro camminano nella vita con leggerezza, non come lei, che a ogni passo affonda nella fanghiglia dei giorni che passano. La serratura scatta. Un suono secco. Tutto sommato la sua vita però non è poi male. Le piace. Ma non troppo. Senza eccessi, senza grandi pretese. Di nessun tipo. Sarah chiude la porta alle sue spalle e accende le luci del soggiorno, non tutte. Si scioglie i capelli e lascia la borsetta sulla poltrona. Sopra al copridivano beige Tai Chi s’ingobbisce, sbadiglia, la saluta con una serie di miagolii e vocalizzi che rivelano tutta la sua natura di gatto siamese. Sarah gli passa più volte la mano sul mantello di seta. – Ciao Tai Chi. E si avvia verso la cucina dove riempie una ciotola con crocchette di marca. Il gatto la segue, con la coda dritta. – Buon appetito, gattone! Prima di salire in camera, Sarah attiva l’allarme, beve un bicchiere d’acqua fresca e inizia a sbottonarsi la camicetta. Domani l’agenda del Direttore Generale è piena di appuntamenti. Sarà una settimana pesante. Come altre. Come tutte. Il Direttore si mostrerà nervoso e lei paziente, fino a tardi, fino a sera. La solita routine. Ma lo stipendio è buono ed è sicuro, ogni fine mese. Sarah ha un piede sul gradino della scala quando si ferma a guardare il notebook aperto sul mobiletto lì vicino. Una breve pausa per consultare la posta elettronica diventa una

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Marcello Mendogni SPIC & SPAN

Quella del terzo piano, la Ridolfi, non mi piace per niente: troppo affettata, e buongiorno di qua, e buonasera di là, e mi scusi se le sporco le scale... sì, gentile, sorridente, troppo sorridente, ma non è proprio il mio tipo, troppo alta, troppo bionda, troppo avvizzita, anche se si veste come una ragazzina, con quei vestitini leggeri che le scoprono le cosce; coscette, per la verità, troppo magre, anche se abbronzate tutto l’anno. Ma per il resto non è male, il condominio di via Condotti: le scale sono bianche e questo non va bene perché si vedono le impronte, ma il marmo si lava senza problemi; però sono abbastanza ampie e girano intorno all’ascensore, un vecchio arnese di prima della guerra, con la griglia di ferro e la porta a due battenti. E per tutti i sei piani del condominio, almeno quando c’è bel tempo, non faccio fatica a lavare e pulire. Certo, ho anch’io come tutti le mie antipatie e simpatie, ma sono una professionista, non mi lascio influenzare. Ho iniziato tre anni fa a pulire le scale nel condominio; certo, quella che ci stava prima era un’incapace, e forse anche una sfaticata, usava il Vetril per lucidare meglio il corrimano di legno, il Vetril, figurarsi, solo un’incompetente può pensare una cosa del genere. Mi chiama l’amministratore, il geometra Zatti, un uomo davvero corretto e serio per quanto un po’ troppo grasso per i miei gusti, e anche la pelata spesso lucida di sudore non mi ispirava granché; insomma, il geometra Zatti mi chiama e mi fa: – Aconcè, che tte va de pulì le scale in via Condotti? Quando c’era qualche compito importante da svolgere il geometra chiamava sempre me, ero la sua specialista di fiducia. – A dottò – rispondo, lo chiamavo dottore per rispetto, poi so che a lui faceva piacere – a dottò che me so’ mai tirata indietro... Quando mi chiama così vuol dire che la questione è delicata. – Se vedemo a via Condotti 45 domattina a le 8. – Dottò, so’ a disposizione, e me saluti la signo’. Concludevo sempre così, per rispetto, sempre, anche se lui chiudeva la conversazione e non mi ringraziava nemmeno; ho capito dopo che gli accenni alla signo’ non gli facevano piacere, si grattava la pappagorgia e faceva una smorfia come se avesse bevuto dello Spic & Span.

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Raffaella Risolo I RICORDI DELLE SCALE

Posò le buste delle spesa sul pavimento e alzò lo sguardo. Eccole. Le scale. “Ce la posso fare” sussurrò, ma forse non così piano come aveva creduto perché la voce di Maddalena le echeggiò da dietro le spalle. – Sarebbe meglio se ci fosse l’ascensore, ma sa, qui nessuno vuole pagare... tanto lei è ancora giovane e poi non ha famiglia, quindi non ha molta roba da portar su. Secondo me pesa più la sua borsa piena di libri che quelle due bustine della spesa... eppure mica la poggia per terra quella! Per essere una portiera avanti negli anni che si lamentava della vista, delle gambe e della testa che non l’accompagnavano, era comunque piuttosto perspicace, pensò Alice. – Buona giornata, Maddalena. Ora è meglio che vada, altrimenti poi si fa troppo tardi e devo andare a scuola”. – Buona giornata a lei signorina. E coraggio, che sono solo tre piani! Mentre Maddalena si allontanava cinguettando per andare ad accogliere il postino, Alice riprese in mano il suo carico di yoghurt, biscotti e cotolette surgelate. Peccato che il carico più grande non le pesasse sulle braccia, ma nel petto. Perché salire tutti i giorni quelle scale era come scegliere volontariamente di rivivere una sofferenza che aumentava a ogni rampa: proprio su quei gradini appena dopo l’atrio Riccardo le aveva stretto la mano per la prima volta e lei aveva ricambiato con un sorriso imbarazzato. Alice scosse la testa cercando di scacciare quell’immagine e ripeté tra sé le parole di Maddalena: “Coraggio, sono solo tre piani”. Un piede dopo l’altro, uno scalino dopo l’altro, un piano dopo l’altro. Eppure, come sempre, ricordare era inevitabile. In quell’angolo del pianerottolo, ad esempio, Riccardo le aveva scattato una foto all’improvviso perché quella sera era più bella del solito. “Non pensare e continua a camminare...” Su quell’ultimo scalino prima della porta della signora Moretti, al secondo piano, le aveva proposto di andare in vacanza insieme, loro due soli, come una coppia. “Smettila, ti fai solo del male”.

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Brevi autobiografie degli autori Francesca Guidetti Amo la vita, le parole, gli spazi aperti e le sfide, anche se a volte fanno paura. Credo che la lettura e la conoscenza siano le chiavi per la libertà. Ho trent’anni, un titolo da avvocato, due gatti e tanta voglia di raccontare storie. In arte: Francesca Sole Barbarossa. Sabrina Bruschi Scrivendo storie di altri, indago pensieri e sentimenti, ricordo chi mi fa stare bene, condivido le immagini che ho nel cuore. Alla fine, eccomi qua, bancaria di professione, moglie e mamma per scelta, ‘scrittrice per caso’. Karin Colanero Karin ènata unpo’di annifa il martedì dicarnevale. Forseper questononriescea scriverestorie troppo serie. Ama ilcircoesi allena sul monociclo. Vorrebbecantarema nonglielopermettono,lotta controle parolaccema avoltescappanoanchealei.Litigaefa la pace. Enrico Cristalli Penso al Noir come a un genere capace di far provare la sensazione di trovarsi in una stanza degli specchi. Voglio spingere il lettore a guardarsi dentro, portandolo a scoprire e ad affrontare sfaccettature e imperfezioni dell’animo umano. Anna Ferrari Scott “Sapevo che avrei danzato con l’istinto, ero nato per quello, in fondo.” (Viaggio d’ali, Anna Ferrari Scott) Rosanna Figna Nata il 21 luglio come Hemingway, scrive meno bene ma è più sobria nel bere. Ha pubblicato due raccolte di aforismi dal titolo “Spuntini di Riflessione”, tradotte anche in inglese, il romanzo fantasy “Triade” e un romanzo erotico. Lavora a Parma e si occupa di Controllo qualità in un’azienda alimentare. Gerantonio Guarnieri Che dire di me? un nome desueto, l’età più pesante di quella percepita... solo quattro grandi passioni: i mestieri strani, l’altra metà del cielo, leggere, scrivere. Daniele Marchi Ha 57 anni. Nasce a Imola, vive a Faenza, lavora a Parma e appena può fugge nel lembo estremo della Puglia. La sua passione è la pallacanestro ma da quarant’anni lavora in un’industria metalmeccanica. Felicemente nonno dal 2014.

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Roberto Marzioli Laureato in Economia e Commercio. I numeri sono solo una parte della sua vita: l’altra, più appassionante, è fatta di parole. Il primo amore non è stato la compagna di banco, ma la poesia. Cosa farebbe per l’eternità? Leggere libri. Marcello Mendogni Vive e lavora a Parma da decenni. Cerca di ascoltare musica, leggere e, quando capita, scrivere, riuscendovi di tanto in tanto. Raffaella Risolo Pugliese di nascita, insegnante di professione, viaggiatrice per vocazione. Fotografa per diletto, scrittrice per difetto. Gianluca Toti Da sempre ha la passione per la scrittura. Ama camminare nella sua pianura della provincia di Parma, soprattutto nelle giornate di nebbia; lì dentro si nascondono le sue storie.

Gli autori ringraziano la casa editrice Fermoeditore e il suo staff per l’opportunità offerta e lo scrittore Mauro Martini Raccasi per tutti i consigli, gli insegnamenti e l’entusiasmo trasmessi nelle sue lezioni di scrittura creativa.

Foto di Fabrizio Ara

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