Sverre Fehn

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Nato il 14 agosto 1924 a Konsberg in Norvegia, Sverre Fehn ha studiato alla Scuola di architettura di Oslo (Norvegia) dove si è laureato nel 1949. Diventato rapidamente il più famoso architetto norvegese della sua generazione, trasse la prima ispirazione alla propria formazione professionale dal suo maestro Arne Korsmo. Nel 1950 Sverre Fehn assieme al suo professore Arne Korsmo e ad altri architetti norvegesi della sua generazione fonda, infatti, il gruppo PAGON(Gruppo degli Architetti Progressisti di Oslo Norvegia) che era il ramo norvegese dei CIAM. L'intento del gruppo, rimasto attivo fino al 1956, era quello di progettare un'architettura fondata sui principi del Movimento Moderno, ma espressa con i materiali ed il linguaggio della loro regione e del loro tempo. Durante un viaggio in Marocco nel 1952-53, Fehn entrò in contatto con l'architettura primordiale che lo avrebbe poi ispirato nella sua evoluzione professionale. L'anno seguente, a Parigi, Fehn collaborò e studiò con il noto architetto francese Jean Prouve mentre cercava di trarre massima ispirazione dalle opere di Le Corbusier. Quest'apertura a influssi internazionali lo aiutò a conciliare i sofisticati approcci architettonici del suo tempo con forme espressive più elementari e popolari. La notorietà giunse a Sverre Fehn in Norvegia nel 1955 progettando insieme al collega Geir Grung l'edificio modernistico che ospita la Casa per Anziani diØkern, a Oslo. A 34 anni Fehn divenne un nome conosciuto internazionalmente grazie al progetto del Padiglione Norvegese all'Esposizione Universale di Bruxelles nel 1958. Agli anni 60 risalgono le opere destinate a restare i suoi capolavori: il Padiglione dei Paesi Scandinavi (1962) alla Biennale di Venezia e il Museo dell'Hedmark di Hamar, in Norvegia.

1951 - Case a schiera, Oslo (con G. Grung e J. Utzon), Norvegia. 1952/55 - Casa per anziani, Økern, Oslo (con G. Grung) Norvegia. 1957 - Cottage Lie, Oppdal, Norvegia. Progetto. 1958 - Padiglione della Norvegia all'Esposizione Intern. di Bruxelles. 1959 - Casa T. Noer, Svartsskog. Progetto. 1961/65 - Casa A. Bødtker, Oslo, Norvegia. 1962 - Padiglione dei Paesi Scandinavi alla Biennale di Venezia. 1962/64 - Casa Skagestad, Oslo, Norvegia. 1962/72 - Centro sociale a Bøler, Oslo (Piscina 197 1-75), Norvegia. 1963 - Casa Schreiner a Oslo, Norvegia. 1963/64 - Villa a Norrköping, Svezia. 1963/73 - Ristrutturazione del teatro Colosseum, Oslo, Norvegia. 1965 - Concorso per un insediamento residenziale, Skedsmo. 1965 - Concorso per la sala da concerti Edvard Grieg, Bergen. 1965/66 - Cottage Isaksen, Hemsedal Concorso per il Museo della foresta, Elverum. 1965/67 - Casa C. Bødtker I, Oslo, Norvegia. 1965/67 - Casa Sparre, Skedsmo. 1967/70 - Scuola di Agraria, Ulefoss. 1967/79 - Museo Arcivescovile, Hamar. 1972 - Mostra dei Soldati Cinesi a Hovikodden. 1972 - Mostra sull'arte medioevale, Hovikodden.

Sverre

Fehn

Dal 1971 al 1977 Fehn vide la realizzazione del suo progetto per la Scuola per Sordi di Skådalen, con i suoi molti edifici piazzati con eleganza sui declivi di Holmenkollåsen, nella zona nord di Oslo. In anni più recenti Fehn ha realizzato in Norvegia una serie di edifici molto apprezzati: il Museo dei Ghiacciai diFjærland (1991), il Centro Aukrust di Alvdal (1996), il Centro Ivar Aasen a Ørsta (2000) e il Museo Norvegese della Fotografia a Horten (2001). Durante la propria carriera, Fehn è stato responsabile anche della progettazione di molte pregevoli case private, tra le quali Casa Schreiner a Oslo ( 1963 ) eVilla Busk a Bamble, una residenza dichiarata monumento nazionale subito dopo la sua inaugurazione avvenuta nel 1990.

1972/97 - Casa Holme, Holmsbu. . 1971/77 Scuola Skådalen per non udenti a Oslo, Norvegia. 1979/80 - Allestimento della mostra permanente sul Medioevo, museo di Storia, Oslo. 1982/85 - Casa C. Bødtker LI, Oslo, Norvegia. . 1986 - Casa Brick a Baerum. 1987/90 - Casa Kise, Skien. 1987/90 - Casa Busk, Bamble. 1988 - Galleria d'arte, Verdens Ende. Progetto. 1989/90 - Concorso a inviti per il nuovo palazzo del Cinema, Lido di Venezia. Progetto. 1989/91 - Museo dei ghiacciai, Fjaerland. 1991 - Concorso a inviti per l'ingresso della Hakonshalle, Bergen. Progetto. 1991/92 - Casa ecologica, Norrköping, Svezia. 1993/96 - Concorso a inviti per il museo Aukrust, Alvdal. Primo premio. 1994/95 - Concorso per il Museo dell'energia idrica, Suldal. Primo premio (non realizzato) . 1995 - Stazione di ricerca, Museo dei ghiacciai, Fjærland. Museo Regionale, Ulefoss. 1995/96 - Concorso per l'ampliamento del teatro Reale di Copenaghen, Danimarca. 1996 - Museo di Aukrust di Alvdal. 2000 - Centro Ivar Aasen a Ørsta. 2001 - Museo della Fotografia a Horten 2007 - Museo Norvegese di Architettura, Oslo 2007 - Sede della casa editrice norvegese Gyldendal, Oslo.

L'architetto norvegese è considerato anche un designer di grandi capacità creative nella realizzazione di mostre ed eventi, quali una mostra di arte ecclesiastica medievale del 1972 e un'altra detta La mostra dei Soldati Cinesi , in cui furono esibite antiche figure in terracotta. Già insignito di vari riconoscimenti internazionali, tra i quali la Medaglia d'Oro dall'Accademia Francese di Architettura nel 1993 e quello di primo vincitore della Medaglia Grosch nel 2001 (un premio istituito per commemorare il lavoro del famoso architetto norvegese dell'epoca della costruzione della nazione), nel 1997 ha ricevuto sia il Premio Pritzker che la Medaglia d'oro Heinrich Tessenow. L'architetto Sverre Fehn è morto il 23 febbraio 2009, all'età di 84 anni.


Sverre Fehn


i giorni dell'immobile angoscia La nave è il soggetto che ricorre con più frequenza negli innumerevoli schizzi che Fehn ha raccolto in molti album e quaderni, mescolandoli ad annotazioni, appunti, scritti, progetti e disegni appena abbozzati.

La loro presenza tra le annotazioni dei progetti, rispetto ai quali rappresentano una necessaria ma radicale alterità, dimostra che il senso di ogni divagazione architettonica in null'altro consiste se non in una constatazione melanconicae come ciascuna costruzione non possa che esprimere il sentimento di una perdita.

Non più misura dello smisurato, il vascello diviene semplice forma geometrica, prodotto delle possibilità limitate che con la terra si identificano.

Le sue opere esprimono la nostalgia che le costrizioni del mondo suscitano. In questo sì simili ai vascelli che affascinano il loro autore, anch'esse trasportano verso una meta che non consola l'angoscia che le governa. Non a caso, Fehn sempre disegna il mare su cui si avventurano le sue imbarcazioni con una linea continua.

Sverre Fehn



La terra è detta nel linguaggio mitico la madre del diritto. In primo luogo la terra fertile serba dentro di sé, nel proprio grembo fecondo, una misura interna. In secondo luogo il terreno dissodato e coltivato dall'uomo mostra delle linee nette nelle quali si rendono evidenti determinate suddivisioni. Queste linee sono tracciate e scavate attraverso le delimitazioni dei campi, dei prati e dei boschi. E' in queste linee che si riconoscono le misure e le regole della coltivazioni, in base alle quali si svolge il lavoro dell'uomo sulla terra.

terra In terzo luogo, infine, la terra reca sul proprio saldo suolo recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura, case e altri edifici. Qui divengono palesi gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Così la terra risulta legata al diritto in un triplice modo. Essa lo serba dentro di sé, come ricompensa del lavoro; lo mostra in sé, come confine netto; infine lo reca su di sé, quale contrassegno pubblico dell'ordinamento

mare Il mare invece non conosce un'unità così evidente di spazio e di diritto, di ordinamento e localizzazione. Nel marenon è possibile seminare e neanche scavare linee nette. Le navi che solcano il mare non lasciano dietro di sé alcuna traccia.

"Sulle onde tutto è onda"

Sverre Fehn


dal relitto alla perdita dell'orizzonte L'opposizione terra/mare si materializza in maniera esplicita; tra l'onda che travolge e la terra che accoglie l'architettura può compiere un'unica scelta: non solo metaforicamente, il prezzo della sicurezza è rappresentato dalla rinuncia al viaggio. Di questa rinuncia parlano con continuità le opere di Fehn, non a caso, assai spesso simili a relitti; resti sconfitti su spiagge deserte, denunciano la distanza incolmabile che separa i sogni di libertà affidati ai disegni di agili vascelli e la realtà del costruire che si adegua all'immobilità della terra e soddisfa il bisogno di sicurezza del mondo. Il relitto, archetipo di molte creazioni di Fehn; è il tema che poeticamente allude a una possibilità inaccessibile e a uno spazio inafferrabile.

“Mellom jord og himmel” - “Tra terra e cielo”

la rinuncia al viaggio Sverre Fehn


Sverre Fehn


Il villaggio nel deserto è costruito con la sabbia. Prima le si aggiunge una certa quantità di acqua, poi il tutto viene pressato per qualche giorno in una cassaforma di legno di misura standard; il resto lo fa il sole. La cassaforma di legno è il modulo del villaggio. Il suo utilizzo dipende dalla velocità e dalla facilità con cui questo cubo di argilla umida riesce ad asciugarsi. In termini di tecnica della costruzione, la casa fabbricata in questo modo non crea un'unità completa, ma può essere ampliata in qualsiasi direzione e in qualsiasi momento. Poiché il materiale è una solo, l'architettura non ha nient'altro con cui lavorare, se non l'eterno variare di luce e ombra. I colori del villaggio sono gli stessi della terra. L'unica cosa che ci permette di scorgere le case è il fatto che riflettono la luce del sole con un angolo diverso a quello della superficie sulla quale sorgono.

Ma perché analizzare queste case che fanno parte di una cultura così infinitamente lontana da noi? L'unica risposta di fronte alla semplicità e alla chiarezza dell'architettura è la sua esistenza in una cultura che a noi sembra senza tempo. L'architettura "funziona" alla perfezione perché lavora in uno spazio atemporale. E' firmata dall'anonimo, ossia dalla natura.

Sverre Fehn


"Ai tempi in cui si credeva che la terra fosse piatta, l'uomo si sentiva al sicuro sulla terra come in uno spazio definito. Da qualsiasi campanile si poteva misurare la propria esistenza... La terra era un luogo comune, perché il terreno, come pure gli elementi, appartenevano a ciascuno; sole, pioggia, vento, freddo, richiedevano che la casa fosse un luogo protetto. La natura diventava similitudine di elementi... Costruire significava scoprire una misura entro una scala data". Quando si poteva abbracciare lo spazio dell'esistenza da un campanile, si percepiva un assortimento di tipi edilizi relativamente statici, continuamente ripetuti con leggere variazioni. E' possibile riconoscere questi tipi nei paesaggi di tutto il mondo. Ma con la "perdita dellorizzonte" il loro significato è decaduto ed essi hanno dovuto cominciare a interagire con ciò che si trova al di là dell'orizzonte. Da quel momento l'architettura è diventata una questione di stile e di prospettiva.

"Per recuperare il senso di sicurezza che è andato perduto, l'uomo ha usato l'espediente della prospettiva, uno strumento che serve a ristabilire la sicurezza dello "spazio" esterno, e a distinguere tecnicamente l'esterno dall'interno. L"immagine architettonica potrebbe considerarsi finita al tavolo da disegno... la si potrebbe giudicare anche solo in termini visuali". Certamente stile e prospettiva hanno dato origine a manifestazioni grandiose nel rinascimento e nel barocco, ma nel diciannovesimo secolo hanno finito per degenerare, producendo sistemi combinatori di elementi separati, come dimostrano le opere di Durand. Uno degli scopi principali del movimento moderno fu proprio di uscire da questa impasse con la riconquista di quelle che Giedion chiamava "le cose primitive". Ma non si auspicava un ritorno al vernacolare, anche se molti modernisti si ispiravano all'architettura popolare; si cercava semmai una nuova interpretazione dell'"atemporale".

Sverre Fehn


Giappone


Se si osservano i corpi di ingresso con tetti sostenuti da strutture in legno, incurvati come lunghe spine dorsali con spioventi accentuati, di villa Busk (1987-90) o del museo a Fjaerland (1989-91), si ha una prova della bravura con cui Fehn sa mescolare suggestioni tratte dall'architettura giapponese prebuddhista e dalla tradizione costruttiva nordica, conseguendo risultati di ammirevole semplicità e senza mai far ricorso alla citazione. In particolare, le travi di sostegno incrociate delle coperture dei ripari primitivi e temporanei che i carpentieri giapponesi chiamavano tenchigogen-zukuri, "la tipologia dell'età mitica", rivelano sorprendenti analogie formali, puntualmente colte da Fehn, con le soluzioni, derivate dalle tecniche utilizzate per la costruzione delle navi vichinghe, che compaiono nell'edilizia tradizionale norvegese e poi evolvono con le tipologie dello stavloe.

Nel 1964 Fehn omaggiò il Giappone con la casa Schreiner, tutta in legno, che sorge nella periferia di Oslo. L'idea di base è un edificio a L costruito intorno ad un cortile, ma la cubatura del volume interno forma qui un rettangolo. Una cornice con travatura a giorno circonda su tre lati il prisma di base. Sul lato dell'ingresso a malapena funge da schermo poco profondo, mentre verso il giardino ha una funzione di sostegno e copertura per la lunga veranda sulla quale di estate si aprono gli ambienti principali. Nonostante non compaiano elementi giapponesi, a parte i piedistalli di pietra grezza che sostengono le colonne perimetrali, niente potrebbe avvicinarsi di più allo spirito architettonico dello shoin dell'esuberante sfoggio di incastri di legno a vista e di pareti e porte scorrevoli di legno chiaro. Qui la struttura viene progettata slla base di un modulo preciso, un metodo razionale di pianificazione e produzione che però non turba mai la calma unità della casa.

Casa Schreiner- Hommage au Japon

Giappone Sverre Fehn


Sverre Fehn


Quanti hanno voluto avvicinare alcuni aspetti dell'architettura di Fehn all'opera del maestro veneto Carlo Scarpa hanno commesso un errore di valutazione. Le loro realizzazioni, infatti, si differenziano proprio per il diverso, se non addirittura opposto, ruolo affidato ai materiali, alle loro lavorazioni, al significato attribuito alla manipolazione stessa della materia.

"Carlo Scarpa lottava per garantire l'esistenza stessa degli oggetti sull'orizzonte". "Quante volte il metallo, il marmo, il legno e il calcestruzzo sono stati da lui costretti a sorreggere un crocifisso in un punto preciso di un ambiente, lì dove quell'oggetto doveva incontrare la sua nuova luce?" Per Fehn, invece, i materiali possono dialogare solo attraverso contrapposizioni, prive di mediazioni, in grado di evidenziarne drammaticamente i diversi significati e le diverse qualità.

Scarpa Se si vuole trovare un nesso che permetta di avvicinare lo si deve ricercare negli obiettivi piuttosto che nelle metodologie progettuali. Ambedue gli architetti, infatti, mirano a trasformare le consuetudini che governano i rapporti tra fruitori e oggetti, e concentrano a tal fine i loro sforzi sul tentativo di rendere espliciti il senso e il significato non palesi di ciascuna delle "cose" con cui si confrontano. Attraverso i loro allestimenti, gli oggetti, ormai sottratti ai luoghi di origine e al loro tempo, vengono messi nella condizione di "raccontare" nuovamente la propria storia e di proporsi con nuovi significati. Pur così distanti nella forma, gli allestimenti di Scarpa e di Fehn posseggono pertanto una sostanza comune e sono animati da analoghe finalità perseguite però attraverso strategie compositive opposte.


Korsmo


Dotato di un vivo interesse per quanto accadeva all'estero, Arne Korsmo era in certo senso l'opposto di Ove Bang (famoso architetto norvegese). Non erano comunque le mode e le tendenze del tempo ad affascinarlo, ma piuttosto quelle che Giedion definì "le cose più primitive", ossia ciò che si deve riconquistare nella ricerca di un ambiente significativo per la vita umana. Come Le Corbusier, Korsmo aspirava a "colpire la sensibilità" allo scopo di "far germinare la gioia entro la logica della nostra epoca". Per lui era importante ricercare l'essenza delle cose: "Gli oggetti si concretizzano", diceva, "alla vista, al tatto, nell'aria pura e fragrante di cani e di luce, in prossimità del centro dell'essere, come catalizzatori tra i sogni umani e l'irrequieto mutare del tempo, come memorie della pulsante drammatizzazione di quello stesso tempo, in quella frazione di spazio che si trova fra la vita e la morte. Creare oggetti è perciò offrire l'occasione a tutti i sensi, a tutto l'organismo umano, di incamminarsi verso la comprensione di se stesso e degli altri nel gioco della luce..." Per Korsmo era essenziale l'identità peculiare delle cose: "il bambino vede il cane, prima di saper distinguere un cane dall'altro". Nelle sue opere egòo temtò quindi di fondere, in situazioni date, l'essenziale e il particolare. Il processo creativo equivaleva alla messa in opera di una visione poetica; infatti "ogni cosa, ogni dimora dventa non solo un oggetto d'uso ma un simbolo... una prova dell'esistenza dell'uomo". Citare Korsmo per chiarire il suo approccio all'architettura, la sua personalissima posizione che originava dalle radici del movimento moderno per approdare a quelle possibilità che dopo la guerra dovevano essere realizzate proprio da Sverre Fehn.

Villa Damman

Sverre Fehn


Wright

Le Corbusier

V.d. Rohe

Sverre Fehn


La contrapposizione delle parti

Non ho visto molte opere di Wright, ma di recente sono andato in California, dove ho visitato alcune delle case piĂš piccole. Era come vagare da una poesia all'altra, da una pagina all'altra, in un mondo che giĂ mi apparteneva da anni.

Lo stare sotto il cielo dei gardini pensili

Si ridia la terra alla terra. Tra i muri delle loro case gli uomini siano ancora padroni dell'orizzonte che i giardini pensili divengano grandi spazi per i rapporti sociali e per il dialogo visivo con gli elementi del cielo.

Lo sconfinato dei muri di Mies

Aveva una chiara concezione dei piani orizzontali e i suoi muri segnavano la linea dell'orizzonte. E la casa Farnsworth.. Mai vomr in quella casa la persona è nuda nella natura.

Sverre Fehn


Fehn


Fehn Padiglioni All'inizio della carriera Fehn disegnò una serie di costruzioni isolate ad un piano influenzato da Mies van der Rohe, uno dei maestri del tempo: come l'Eretteo dell'Acropoli di Atene era stato preso a modello per il padiglione Barcellona, così l'Altes Museum di Schinkel lo era stato per la Galleria Nazionale diBerlino; egli, però, era un classicista in "ferro e vetro". Ed è attraverso di lui che si riprendono i contatti con l'eredità dell'antico, anche se in maniera del tutto inconsapevole. Nel libro Modern Movements in Architecture, Charles Jencks ha scritto su "the problem of Mies", affermando che l'architettura di quest'ultimo è costituita da soluzioni "pulite" che rispecchiano una regolarità universale. L'architettura di Fehn può presentare caratteri minimalisti, ma le sue soluzioni non risultano mai "pulite" come quelle di Mies, rivelando in questo modo la sua matrice nordica.

Padiglione di Bruxelles

Sverre Fehn


Venezia

Hedmark Cathedral, Hamar

Fehn Strutture Il suo progetto di concorso per la casa prefabbricata in Eternit (1964) fu giudicato il più innovativo; ciò derivava dal fatto che i locali di servizio erano stati disegnati come unità prefabbricate poste all'esterno dello stretto corpo dell'abitazione. Questi locali potevano anche essere acquistati separatamente ed essere acquistati separatamente ed essere aggiunti alla casa in base alle necessità e alle disponibilità finanziarie dei proprietari. La soluzione rappresentava quindi un esempio di architettura plug-in. Ci sono tre aspetti del progetto della casa in Eternit che ritornano nella produzione successiva di Fehn: locali di servizio razionali, corpi di fabbrica allungati e separazione dei vani dei genitori da quelli dei figli. Fehn non si lascia mai intrappolare dalle regole dello strutturalismo: la rigida geometria delle strutture portanti si piega a seguire l'andamento del percorso viario, le regole della città prevalgono su quelle della griglia strutturale del complesso. Quando la situazione lo richiede, egli ritaglia una via pedonale in diagonale e scava un anfiteatro.

Norsk Bremuseum, Fjærland

Sverre Fehn


Hedmark Cathedral, Hamar

Venezia

Fehn Calpestio Nell'architettura di Fehn esistono due modi assai diversi di rapportarsi al terreno: o costruisce un podio su cui viene poggiata la costruzione, oppure scava il suolo inglobando il luogo nell'architettura; nel primo caso il terreno viene ricoperto da un basamento, mentre nel secondo vengono portati alla luce i segreti del sottosuolo. La costruzione a podio è di antica tradizione, mentre l'atteggiamento "archeologico" rappresenta il contributo più originale di Fehn all'architettura. "Il grande museo è la terra stessa", scrive Fehn. "Nel sottosuolo gli oggetti si conservano perfettamente per millenni, ma quando li riportiamo alla luce del sole incontriamo, a dispetto di tutte le nostre conoscenze tecniche, grandi difficoltà a impedirne il deterioramento. Occorrerebbe perchò riflettere attentamente, prima di scavare".

Hedmark Cathedral, Hamar

Sverre Fehn


Venezia

Fehn Copertura E'stata questa la sfida piÚ ardita con cui l'architetto si è dovuto confrontare nel tempo; per un verso come problema da risolvere, per un altro come opportunità di realizzare articolazioni costruttive interessanti. Nelle realizzazioni di Fehn la lce naturale penetra all'interno degli spazi attravero aperture collocate nella parte alta dei locali di servizio (case unifamiliari); viene riflessa dalle travi in calcestruzzo (padiglione di Venezia); si diffonde attraverso la copertura trasparente (padiglione di Bruxelles), o ancora penetra attraverso tegole di vetro (museo di Hamar). Fehn cerca di evitare soluzioni massicce nel disegno delle coperture, dissolvendole in modo da renderne manifesto il gioco delle forze.

Villa Busk, Bamble

Sverre Fehn


Hedmark Cathedral, Hamar

Fehn Percorsi Hamar rappresenta l'occasione in cui Fehn ha potuto sperimentare la sua concezione della passeggiata architettonica in maniera più diffusa: la soluzione proposta, infatti, combaciava perfettamente con il carattere del problema da risolvere, dando la possibilità di realizzare una costruzione di grande forza poetica. La passerella diventa una necessità per non toccare l'area degli scavi, e il percorso equivale a un viaggio nel tempo: ci si muove tra i diversi periodi storici come su un tappeto volante. A metà strada il viaggio viene interrotto da alcune salette per l'esposizione degli oggetti rinvenuti nel sottosuolo captando, così, l'attenzione del pubblico. "Esiste in Norvegia un altro edificio dotato di tale forza?" La passeggiata architettonica è un'idea che ha segnato l'architettura moderna per lungo tempo; pionieri come Le Corbusier e Wright sono tra coloro che se ne sono serviti più abbondantemente. Fehn, invece, cita un architetto meno conosciuto, Nelson.

Hedmark Cathedral, Hamar

Sverre Fehn


L’ampiezza delle esperienze compiute da Fehn, e dei suoi riferimenti, lo rende un vero architetto moderno. E come vero architetto moderno egli ha unificato tutte queste componenti in una nuova sintesi, forte nel senso innato per l’origine, per i principi atemporali che contengono tutto ciò che è stato e che ancora è da venire. Questi principi, e quanto a essi connesso, non sono atomi e molecole, ma si traducono nell’architettura di Fehn in immagini concrete, aperte, che uniscono sito, funzione e forma costruitra. Con la sua visione poetica, Fehn dimostra che l’architettura esiste ancora.

Sverre Fehn



Padiglione Nordico, Venezia

Sverre Fehn


Nel 1958 viene indetto il concorso per la costruzione del padiglione dei Paesi Nordici ai Giardini della Biennale di Venezia. Il comitato organizzatore, inizialmente comprensivo di tutti i Paesi del Norden e in seguito limitato solo a Finlandia, Norvegia e Svezia, invita a partecipare Klas Anshelm (Svezia), Sverre Fehn (Norvegia) e Reima Pietila (Finlandia). Nel febbraio 1959 il progetto di Sverre Fehn, dichiarato vincitore, viene definito dalla stampa svedese "di stupefacente semplicità", grazie anche all'estrema flessibilità e "illimitata possibilità di suddivisione degli spazi entro una forma saldamente costruita e compatta". Il Padiglione è realmente uno spazio essenziale " un'aula rettangolare -, delimitato da pochi e primari elementi architettonici - il muro e il tetto ", permeabile allo sguardo e privo di separazioni definitive tra interno ed esterno, capace di esprimere con chiarezza il proprio contenuto, proponendosi come forma del senso prima che della funzione. Obiettivo evidente di Fehn non è quello di costruire semplicemente uno spazio per esporre quanto piuttosto di realizzare un luogo significante, un ambiente capace di raccontare la sua ragion d'essere, direttamente, attraverso la spazialità generata dalle proprie strutture e dalla sua morfologia. Il padiglione dei Paesi Nordici è pensato per essere la materializzazione - la forma costruita - delle identità nazionali di cui è espressione. Come altre volte nella storia dell'architettura, la costruzione diviene luogo di condensazione disciplinare e di resistenza culturale: Fehn non rimanda ad un altrove, non mette in scena una rappresentazione, piuttosto realizza a Venezia, attraverso i mezzi propri dell'architettura, un frammento di Nord, inteso come spazio emblematico, capace di stigmatizzare un mondo e una cultura. In maniera chiara e programmatica, quasi rinunciando ad una immagine esteriore, l'architetto dosa con discrezione due elementi archetipi dell'architettura, il tetto e il muro, raggiungendo l'obiettivo di costruire una macchina per esporre concentrandosi esclusivamente sui valori dello spazio interno. Destinato ad accogliere le opere d'arte e gli allestimenti, il padiglione viene definito da una silenziosa struttura in calcestruzzo a faccia vista che realizza il carattere specifico, omogeneo, compatto, continuo, che domina lo spazio del padiglione, che sembra sospendere o rallentare finanche la dimensione temporale della fruizione delle opere, grazie alla complicità narrativa della luce naturale ottenuta dalla particolare soluzione della copertura. Fehn trasforma la luce mediterranea di Venezia nella luce omogenea, priva di ombre violente e uniforme del nord, disegnando un doppio ordine di travi sovrapposte, dello spessore di soli 6 centimetri alte 1 metro e con un interasse di 52,3 centimetri, nelle quali la luce veneziana resta "intrappolata" anche durante il solstizio estivo. Impedendo ai raggi solari di penetrare in maniera diretta nello spazio espositivo. Il tema del tetto e del recinto, presentato e affrontato per la prima volta a Bruxelles, nel Padiglione Norvegese all'Expo Universale (1958), attraversa caparbiamente tutta l'attività del maestro, fino all'ultima realizzazione, la nuova sede del Museo Nazionale di Architettura ad Oslo (2008). Un tema che costituisce l'elemento più palese del legame che Fehn contrae direttamente (come con Le Corbusier e Prouvè) e indirettamente (come con Mies e Kahn) con la tradizione del moderno, a partire dalla quale instaura un dialogo senza tregua con la grande architettura di tutti i tempi, interrogandosi sulla rifondazione permanente di alcuni temi basilari della disciplina attraverso la pratica del costruire. A Venezia, come in molti altri progetti degli anni Sessanta, la delimitazione tra interno ed esterno non è raggiunta attraverso una chiusura rigida, ma grazie a due lati totalmente vetrati (e apribili) e all'assenza di strutture puntuali (l'unico pilastro è esterno posto in prossimità di un albero che ne determina la particolare forma). Ideale prosecuzione della ricerca di continuità spaziale e rigore costruttivo che aveva caratterizzato le esperienze di Mies negli Stati Uniti. Per il Padiglione dei Paesi Nordici, pertanto, più che di spazio delimitato e chiuso, si può parlare di luogo significante, in continuità con l'ambiente naturale, incluso tra la "terra e il cielo", per usare un'espressione cara a C. Norberg-Schulz; dove terra e cielo diventano elementi simbolici che rinunciano a contenere e delimitare e tendono piuttosto a caratterizzare e inscrivere. La costruzione di questo frammento nordico non è compromessa o confusa da sofisticati sistemi linguistici o da ridondanti dettagli costruttivi: l'essenzialità dei principi compositivi, la manifestazione chiara di un ordine tra le parti, il ricorso alla monomatericità della costruzione, la proporzione degli elementi e dello spazio, e infine la ripetizione di componenti strutturali che diviene ritmo e musica per "ascoltare" la forma dell'architettura, tutto confluisce alla realizzazione di una fabbrica che è moderna e classica allo stesso tempo. A Venezia, l'architettura sembra parlare il linguaggio di una lassicità senza tempo né stile, fatta di misura, composizione, ordine, riduzione ed esattezza.

Sverre Fehn


Sverre Fehn


Sverre Fehn


Sverre Fehn


Sverre Fehn


E' possibile interpretare l'architettura di Fehn come un sistema compositivo che si avvale essenzialmente di luce, diaframmi e ombre e il padiglione dei paesi nordici nei Giardini della Biennale di Venezia lo dimostra in maniera lampante. In questa occasione il problema di organizzare uno spazio espositivo in grado di accogliere allestimenti temporanei di varia natura è stato magistralmente risolto costruendo un'ampia sala squadrata, del tutto semplice, la cui copertura, costituita da un cassettonato in calcestruzzo completamente permeabile all'ingresso della luce naturale, costituisce al contempo l'unico elemento strutturale visibile e il solo connotato formale dell'opera. Attraversando la doppia orditura di travi della copertura, la luce intensa della laguna subisce una magica metamorfosi e si trasforma in una luce omogenea, senza ombre, strisciante quale quella dei paesi del nord. Liberata dalla presenza fastidiosa degli elementi mediani di supporto, la grande sala in cui il padiglione si compendia si offre come luogo ideale per esposizioni d'arte. Ma ancora una volta terra e cielo sono gli unici due limiti che configurano lo spazio, resi percepibili e misurabili perchè riscattati dall'architettura della loro altrimenti indefinita naturalità .

Sverre Fehn


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Planimetria area 1:500

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Copertura 1:200

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Pianta 1:200

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Nord Est

Sud Est

Prospetti 1:200

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A-A

Sezione 1:200

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Schema esemplificativo strutture

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Particolari copertura

Sverre Fehn


Le prime opere, in ordine di tempo, sono chiari esperimenti nella direzione di un uso "portante" della luce legato ad una ipotesi di smaterializzazione delle strutture verticali: il Padiglione della Norvegia a Bruxelles del 1958, oggi demolito, ed il Padiglione dei Paesi Scandinavi del 1962 ai Giardini della Biennale a Venezia, nei quali è palese il desiderio di far sparire (o di rendere inconsistenti) le strutture verticali portanti e di demandare la qualità dello spazio espositivo esclusivamente alla luce "modellata" dal tetto. A Bruxelles infatti Fehn concepisce pilastri e pareti completamente trasparenti (in un materiale plastico sperimentale) i quali, oltre a perdere la loro consistenza materica, divengono altresì "ambigui conduttori" della luce captata dalla copertura. "La cosa veramente fantastica nel progettare un edificio è che anche un solo pilastro, se realizzato secondo una diversa natura, ad esempio in vetro, può modificare il concetto stesso dell'architettura, dei ruoli e dei rapporti tra le parti". Ambiti scoperti, lungo il muro perimetrale, inondati di luce si contrappongono a zone caratterizzate da ombre e penombre rese attraverso pannelli traslucidi posti tra le alte travi di legno lamellare. Ne risulta così che i luoghi, al suo interno, sono ottenuti esclusivamente per modulazioni e sfumature di luce. Analogamente il Padiglione di Venezia ripropone una situazione in cui le strutture verticali risultano avere un ruolo secondario disponendosi, in questo caso, esclusivamente lungo il perimetro, ottenendo così un interno privo di interferenze ad eccezione dei tronchi degli alberi preesistenti volutamente lasciati da Fehn nelle posizioni originali. Il muro di fondo a L e l'unico pilastro conformato ad accogliere un grande albero (quasi ad ironizzare su chi porti realmente la grande trave di cemento armato) non interferiscono infatti con l'idea progettuale primaria dell'architetto: "l'intenzione in quel caso specifico era di trasformare la luce mediterranea, italiana, in una atmosfera più nordica".Il tetto non è quindi più soltanto un elemento strutturale nel senso tradizionale del termine ma diviene un mezzo per manipolare componenti della natura, esso diviene un diaframma la cui qualirà strutturale e funzionale è resa attravero la "tessitura" di due ordini di ravi sottili e alte sovrapposte (ortogonalmente) con cui riuscire a guidare la luce, per rifrazioni successive, fin dentro lo spazio una volta raggiunto il "tono" voluto. L'aspetto meramente funzionale, quello di proteggere dalle intemperie , è qui secondario, quasi che il soddisfacimento delle esigenze psicologiche sia sufficiente all'uomo che incontra l'arte, e viene demandato ad un espediente, squisitamente tecnologico, che offre il riparo opportuno senza apparire eccessivamente nella composizione: un semplice sistema di elementi in plastica inseriti tra travi superiori infatti provvede a rccogliere e portare via l'acqua piovana. La variabilità e diversità delle soluzioni proposte da sta a mostrare, infine, come per Fehn non esistano forme o assetti tipologici precostituiti, bensì come l'aspetto finale sia sempre da scoprire nella ricerca attenta e scrupolosa, nel porsi cioè nei confronti del tema senza pregiudizi e consci del proprio ruolo.


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