Torino Capitale

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Federico Maria Ferrazzino

Torino Capitale



Federico Maria Ferrazzino

Torino Capitale


“Torino mi sembra la cità più graziosa d’Italia e, per quel che credo, d’Europa per l’allineamento delle strade, la regolarità delle costruzioni e la bellezza delle piazze”.

Charles de Brosses


Cronologia

Torino romana L’origine vera e propria della città può essere fatta risalire al castrum costruito durante le guerre galliche di Giulio Cesare. Nel 28 a.C. fu eretta a colonia con il nome di Julia Augusta Taurinorum, da cui deriverà poi il nome moderno: Torino.

Torino medievale Dopo la caduta dell’Impero Romano Torino passò sotto il controllo degli Ostrogoti, dei Longobardi e dei Franchi di Carlo Magno (773). Inizialmente comune indipendente fu assoggettata dai Savoia intorno al 1280.


Torino capitale Nel 1563 il duca Emanuele Filiberto di Savoia spostò la capitale dello Stato Sabaudo da Chambèry a Torino. Questo episodio innescò una serie di trasformazioni che, in meno di due secoli, portarono la tranquilla e modesta città medievale a diventare un gioiello artistico e militare. Su ordine di Emanuele Filiberto e grazie alle abilità di Francesco Paciotto da Urbino, in soli 4 anni, tra 1564 e il 1568, fu eretta la Cittadella, un formidabile complesso difensivo e piazzaforte salda contro il nemico. Le trasformazioni cinquecentesche, quindi, si limitarono, sostanzialmente, a questa radicale innovazione militare che non intaccò il tessuto urbano della città.

Solo all’inizio del XVII secolo si assistette all’espansione di Torino, che condusse la città nel ‘700 a perdere la sua antica fisionomia di città quadrata per raggiungere una forma “a mandorla”. Questo avvenne attraverso 3 ampliamenti successivi.

Il 1° ampliamento (Carlo di Castellamonte – 1620) L’importanza assunta da Torino e l’aumento della popolazione resero necessario un ampliamento del tessuto urbano. Per realizzare questo progetto il duca Carlo Emanuele I assunse l’architetto Carlo di Castellamonte che disegnò un nuovo nucleo a sud dell’antica città, innestandosi a quest’ultima senza creare fratture nette fra vecchio e nuovo.


Il 2° ampliamento (Amedeo di Castellamonte – 1673) Toccò al figlio di Carlo, Amedeo di Castellamonte, il compito di realizzare il secondo ampliamento della città, su incarico del duca Carlo Emanuele II. Questo nuovo intervento aveva l’intento di integrare nel tessuto cittadino una gran parte del borgo Po ad est, collegandosi ad ovest con la città vecchia e a sud con il primo ampliamento.

Il 3° ampliamento (Filippo Juvarra – 1715) Dopo la vittoriosa resistenza all’assedio francese del 1706, il trattato di Utrecht del 1713 riconobbe al Duca di Savoia, oltre ad un notevole ingrandimento dei suoi territori, il titolo di Re di Sicilia, poi permutato in Re di Sardegna. Torino si ritrovò così ad essere la capitale di un Regno. Nel 1715 Vittorio Amedeo II incaricò l’architetto Filippo Juvarra di procedere ad un nuovo ampliamento della città, questa volta verso ovest.


Torino ottocentesca Dopo l’abbattimento delle mura della città, ordinato da Napoleone, si realizzò sotto il dominio francese solo la costruzione del ponte sul Po. Tornato Vittorio Emanuele I, furono realizzati i viali di circumvallazione dei progetti napoleonici. Inoltre sempre nella prima metà dell’ ‘800 furono rifatti i manti stradali e pavimentati i portici; avvenne poi la realizzazione sistematica di canali sotterranei di raccolta delle acque meteoriche e di quelle nere con impianti distinti. Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, Torino, elevata a capitale del nuovo Regno, contava quasi 200,000 abitanti, più di Roma. Nel 1865 la capitale fu trasferita a Firenze, per la sua maggiore centralità in attesa della conquista di Roma.




Torino romana e medievale

La Città di Torino nacque nel tratto di pianura che collega il Piemonte settentrionale a quello meridionale, tra i rilievi morenici di Rivoli e le colline del Po, in un’area delimitata dal corso di due fiumi: la Dora Riparia a nord ed il Po ad est. La città venne fondata e costruita ex novo - sul luogo di pre-esistenti insediamenti di tribù celtiche-liguri (i Taurini) - in epoca romana, ai tempi di Augusto. I Taurini avevano ottenuto la cittadinanza romana ed era stata insediata una prima colonia romana (Julia Taurinorum) già alla morte di Cesare, nel ‘44 a.C. Verso il 28-29 a.c. Augusto vi trasferisce una seconda colonia, ricostruisce l’insediamento e da allora la città viene denominata - come noto - Julia Augusta Taurinorum. Con questi atti la città divenne il più importante insediamento fortificato del Piemonte ed il suo impianto urbanistico, tipico della colonia militare, o castrum, ebbe un ruolo determinante per il successivo sviluppo della città. Si trattava - in origine - di una forma urbis quadrata, cinta da mura e lottizzata a scacchiera, con lati di circa 720x 660 metri (secondo il Promis). La superfìcie della città era secondo alcuni di circa 53 ettari (180 jugeri romani) secondo altri di 45 ettari. La popolazione allora residente era di 5000/7000 abitanti. Le vie che componevano la griglia reticolare, a maglie quadrate, si chiamavano cardines e decumani e delimitavano una serie regolare di circa 70/100 isolati (insulae), edificati con costruzioni di un solo piano, eccezionalmente due. Le vie romane erano lastricate e dotate di marciapiedi rialzati, ed avevano una larghezza di 4/5 metri, al massimo 8 metri. L’interasse della griglia viaria era di circa 75 metri ed era contrassegnato, sulla cinta muraria, da una serie di torri.


La geometria regolare della viabilità dell’insediamento era gerarchizzata funzionalmente con due assi viari principali, ortogonali fra di loro ed attestati sulle 4 porte principali della città: il “decumana maximus” (attuale via Garibaldi) ed il “cardo maximus” (attuali vie S. Tommaso e Porta Palatina), ambedue di larghezza circa doppia rispetto alle altre vie. Le quattro porte principali erano • a ovest la “Porta Decumana” (sbocco di via Garibaldi su via della Consolata), • a est la “Porta Pretoria” (attuali torri del Palazzo Madama in piazza Castello), • a sud la “Porta Prìncipalis Dextera” (sbocco di via S. Tommaso su via S. Teresa), • a nord la “Porta Prìncipalis Sinistra” (attuali Porte Palatine). Il perimetro della città romana insisteva approssimativamente sulle attuali vie: Giardini Reali - torri del Palazzo Madama - via Accademia delle Scienze a est; vie S. Teresa e Cernaia a sud; corso Siccardi e via della Consolata a ovest; via Giulio, Bastion verde e Giardini reali a nord. Dell’impianto viario originario, in gran parte coincidente ancora oggi con la griglia del nucleo storico centrale, esistono varie ricostruzioni storiche; tra le più note citiamo quella ottocentesca di Carlo Promis e quella dì Alfredo d’Andrade del primo ‘900. Nel 940 fu fondata la Marca di Torino, controllata dalla cosiddetta dinastia arduinica che, attraverso il matrimonio tra la sua ultima discendente, Adelaide di Susa, con Oddone, il figlio di Umberto Biancamano (fondatore della casa Savoia) portò la città sotto l’influenza della dinastia savoiarda. Dopo alterne vicende che videro, nei secoli seguenti, anche l’elezione della città a libero comune, Torino venne inglobata definitivamente nei possedimenti dei Savoia che nel frattempo avevano ottenuto l’elevazione al rango di duchi.


Pianta di Torino Romana Ufficio Regionale dei Monumenti


Tratto del decumano massimo

Venuto alla luce durante gli scavi del 1980


Pianta di Torino Romana Ricostruzione storica


Torino capitale Torino non è solo uno dei maggiori centri del Barocco italiano; una discreta parte della sua ricchezza architettonica risale infatti al periodo rinascimentale, quando l’antico insediamento di Augusta Taurinorum cominciò ad affacciarsi sulla scena politica ed artistica internazionale. Fu un processo lungo, che vide come attori principali i conti di Savoia, destinati a trasformare per sempre l’aspetto della piccola cittadina ai piedi delle Alpi. Inizialmente comune indipendente, Torino fu assoggettata dai Savoia intorno al 1280. La nobile famiglia francese non sembrò prestare particolare attenzione al suo nuovo insediamento, mantenendovi solo un semplice vicario per l’amministrazione generale. Tuttavia la crescita economica della città nel corso di tutto il XIV secolo, dovuta alla sua posizione centrale sulla via della Lombardia, spinse Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde (1334-1383) a concederle un’importante serie di privilegi commerciali, accelerando la crescita di interi quartieri come quello di Porta Palazzo. Il conte approfittò del clima di prosperità generale per ospitare in città la firma del trattato di pace tra Genova e Venezia (1381), inserendosi così a pieno titolo nelle vicende politiche della penisola italiana. Ormai il piccolo borgo sul Po non era più una località insignificante ai margini della Pianura Padana. Nel 1404 nacque l’università cittadina, che ottenne presto il riconoscimento ufficiale dell’Antipapa Benedetto XIII (1328-1423): nell’arco di mezzo secolo l’istituzione contava già oltre venti professori, impegnati nell’insegnamento di Filosofia, Teologia, Medicina, Diritto ed Arti Liberali. Nel frattempo Amedeo VIII di Savoia aveva ricevuto il titolo di Duca da parte dell’imperatore Sigismondo del Lussemburgo (1368-1437): la prestigiosa nomina portò alla formazione di un vero e proprio Principato del Piemonte, dotato di organi amministrativi indipendenti da quelli dei territori sabaudi transalpini.


Nel 1453 un celebre miracolo eucaristico diede il via alla costruzione di un piccolo edificio votivo dedicato al Corpus Domini, trasformato quasi due secoli dopo in un’elegante chiesa dal grande Ascanio Vittozzi (1539-1615). Tuttavia il rinnovamento urbanistico di Torino andò molto a rilento a causa delle numerose vicissitudini politiche e militari di quegli anni. Nel 1472 la morte del duca Amedeo IX scatenò infatti una vera e propria faida intestina tra i Savoia, rischiando di polverizzare i loro domini sia in Francia che in Italia. Inoltre, nel 1536 il Piemonte fu occupato interamente dalle truppe di Francesco I, che controllarono la regione per oltre vent’anni. Solo dopo la pace di Chateau-Cambrésis (1559) il duca Emanuele Filiberto detto Testa di Ferro rientrò in possesso dei suoi territori: da quel momento in avanti Torino conobbe uno sviluppo architettonico e artistico senza precedenti. Il duca infatti decise di trasferire la capitale del suo risorto principato proprio nel vecchio centro subalpino, iniziando così una lunga serie di importanti lavori pubblici poi ampliati dai suoi successori. Anzitutto venne edificata a tempo di record un’importante cittadella militare, situata sul lato sud-orientale della città: la struttura fu progettata dal generale Nicolis di Robilant e dall’architetto urbinate Francesco Paciotto, che impiegarono le tecniche fortificatorie più innovative della loro epoca. Purtroppo l’imponente complesso è stato quasi completamente distrutto dopo il 1850; tuttavia si è ben conservato il Mastio principale della fortezza, oggi sede del Museo Storico Nazionale dell’Artiglieria. Oltre alla Cittadella, vennero erette o ammodernate anche diverse residenze di campagna destinate allo svago della corte ducale, inclusa la villa della famiglia Birago in riva al Po trasformata poi nel celebre castello del Valentino. Nel 1570 la popolazione torinese raggiunse le 30 000 unità, generando parecchi problemi di ordine pubblico; per calmare la situazione, Emanuele Filiberto lanciò un vasto programma di pavimentazione delle strade e copertura dei canali cittadini, avvalendosi della collaborazione di molti abili architetti tra cui il Vitozzi. Piazza Castello fu allargata e decorata con eleganti portici, mentre


gli imponenti lavori del monte dei Cappuccini, terminati solo a metà del Seicento. Il grande complesso sacro è visibile ancora ai giorni nostri, nonostante molteplici distruzioni e restauri, ed ospita il Museo Nazionale della Montagna e la sede torinese del Club Alpino Italiano, fondato nel 1863 dallo statista biellese Quintino Sella. A coronamento del “Rinascimento torinese” vi fu infine il trasferimento della Sacra Sindone da Chambery alla nuova capitale, effettuato dal duca sabaudo per venire incontro alle pressanti richieste del cardinale milanese Carlo Borromeo. L’evento trasformò Torino in un centro religioso di grande importanza, costringendo le autorità cittadine a restaurare l’antico duomo situato in Piazza San Giovanni Battista.


Torino barocca

La forma urbis di impianto romano, pur con le sostituzioni edilizie succedutesi nei secoli, non subì modifiche sostanziali fino alla seconda metà del ‘500. Fino a tale periodo, infatti, l’impianto viario urbano rimane confinato entro il perimetro delle mura romane, rifatte e rinforzate con nuovi bastioni, e viene mantenuto in gran parte il reticolo ortogonale, anche se col tempo viene meno il rigoroso allineamento degli edifici, sostituiti e cresciuti in altezza, e quindi cambiano le sezioni stradali. Gli ampliamenti della città murata, disposti dai sovrani e sviluppati dal suo primo architetto secondo piani di lottizzazione unici, avverranno in tre periodi successivi (1619,1673,1702/20) sino a quando, con l’abbattimento definitivo dei bastioni sancito da Napoleone nel 1800, si esprimeranno logiche diverse di sviluppo della città. Dal punto di vista documentario, per gli ampliamenti fino al XVI II secolo, appare interessante il confronto delle varie mappe della città ricostruite nel 1892 dal prof. Francesco Caneparo, topografo del Re, ove appare evidente la rigorosa e coerente pianificazione della griglia viaria e degli assi rettori principali. Il primo provvedimento adottato da Emanuele Filiberto, per Torino capitale del ducato, fu tuttavia di carattere strategico-militare: la costruzione della cittadella, progettata dall’architetto militare urbinate Francesco Paciotto ed inaugurata nel 1566. Con tale intervento viene evidenziata la vocazione sempre esistita per Torino, già ai tempi dei romani, di essere una piazzaforte militare prima ancora di essere una città polifunzionale. Solo il successore del duca, Carlo Emanuele I, concesse i primi abbellimenti della città, ora anche sede di governo, incaricando nel 1612


Ascanio Vittozzi di riprogettare la piazza Castello con porticati e facciate continue. Sarà questo il modello per lo sviluppo successivo di tutte le vie porticate della città. Nel 1613 viene aperta dal Vittozzi la via Nuova (attuale via Roma), nel tratto piazza Castello - via S. Teresa. Anche in questo caso si pone un modello per lo sviluppo futuro della rete viaria, concepita in un progetto unico con le facciate e volumetrie degli edifici, e con il rispetto di precise assiali tà coerenti con la originaria griglia romana e gerarchizzate per assi storici, sovente attestati su piazze o porte di accesso alla città-fortezza. SÌ ponevano così le basi per il primo ampliamento della città avvenuto nel 1619 su progetto unico di lottizzazione del 1615 di Carlo Castellamonte, che la espandeva verso sud, fino all’attuale piazza Carlo Felice (Porta Nuova). Egli realizzò così una piazza che fosse insieme collegamento con la città antica e fulcro intorno al quale impostare il nuovo ampliamento. Inoltre realizzò la struttura viaria replicando lo schema ortogonale imposto dai romani nel costruire la città vecchia, prolungando verso sud gli antichi cardini e tracciando nuovi decumani. Se Torino ha fama di essere la città delle strade diritte, lo dobbiamo oltre che ai Romani, alla lungimiranza e intelligenza di Carlo di Castellamonte. Il suo esempio verrà seguito anche dagli architetti barocchi che realizzeranno i successivi ampliamenti. Nel nuovo borgo sorsero, in tempi diversi, monumenti considerevolissimi. Basta per tutto l’esempio degli eleganti edifici porticati di piazza San Carlo e le Chiese di Santa Cristina e San Carlo.


Torino romana


Torino nel 1416


Torino nel sec XVI Prima del trasferimento della capitale da Cham-bery


Torino nel 1580


Torino all’inizio del secolo XVll


Foto Piazza S. Carlo nel 1890 Prima del trasferimento della capitale da Chambery


La città crebbe rapidamente e nel 1673 venne iniziato il secondo ampliamento, su progetto di Amedeo Castellamonte, figlio di Carlo. Questa espansione avvenne verso est, verso il Po, ed incluse il disegno di via Po e piazza Carlina. Via Po, per la prima volta, abbandonava il tracciato ortogonale del reticolo storico della città. La via risultava inclinata, dovendo congiungere il polo di comando - la piazza Castello ampliata - con la via foranea per Chieri, utilizzando l’unico ponte sul Po allora esistente, nei pressi dell’attuale ponte Napoleonico di piazza Gran Madre. Il completamento degli interventi edilizi andò tuttavìa molto a rilento, ed un esempio evidente ancora oggi delle difficoltà incontrate nella edificazione secondo progetti unici è riscontrabile in piazza Carlina, ove solo un edificio corrisponde alle aspettative castellamontiane. Contemporaneamente dal 1668, operava con interventi su singoli edifici il Guarini, che forni anche il disegno della splendida porta del Po, all’inizio di via Po, andata completamente distrutta in seguito alla formazione di piazza Vittorio Veneto. Sul finire del ‘600 tutte le risorse della città vennero indirizzate al rafforzamento delle opere difensive, alla luce del rinnovato deterioramento dei rapporti con la Francia, sfociato nel noto assedio di Torino e conclusosi vittoriosamente per la città nel 1706. In tale occasione, verso il 1702, vennero ampliate le fortificazioni della città verso ovest, lasciando un’ampia “piazza d’armi” all’interno della cinta. Questo spazio fu oggetto del terzo ampliamento di Torino, avvenuto verso il 1719/1720 su disegno di Filippo Juvarra e voluto dal primo re Sabaudo, Vittorio Amedeo II. . L’ampliamento iniziò con la costruzione dei nuovi quartieri militari su corso Valciocco e si sviluppò con la costruzione del nuovo borgo, ove gli interventi viabili maggiori furono l’allargamento delle attuali via Milano e via Corte d’Appello, la formazione del lato sud di porta Palazzo, la costruzione di piazza Susina (attuale piazza Savoia) sull’asse della nuova via del Cannine.


L’intenzione era quella di creare due nuovi assi viabili principali tra le due nuove porte della città - porta Palazzo a nord e porta Susina a ovest - e il Palazzo di città, sede dell’attuale municipio. Per il resto del ‘700 Torino non subì ulteriori ingrandimenti, ma si trasformò all’interno, con ampliamenti di vie, rettifiche, abbellimenti e costruzioni di nuovi palazzi, tra cui l’allargamento e la rettifica di via Dora Grossa (attuale via Garibaldi). L’assetto urbanistico e viabile sul finire del ‘700 appare altamente coerente con l’impianto ideale della città barocca, regolato da una sola volontà, quella del sovrano, e disegnato con progetto unico dall’architetto o ingegnere di corte. Dal punto di vista urbanistico gli elementi salienti ed i criteri informatori della Torino barocca non sono tanto i singoli episodi edilizi, quanto la pianificazione globale della città, che si manifesta soprattutto nella griglia viaria, concepita su progetti unici di vie, piazze, facciate e porticati. Il tessuto edilizio, sviluppatosi su lottizzazioni pianificate dal potere assoluto, viene realizzato con grande uniformità di altezza (i 21 metri della zona aulica) e volumetria. Lo stesso criterio costruttivo dei palazzi è rispondente ad esigenze uniformemente sentite, prima dai nobili e poi dai borghesi, di realizzare veri e propri investimenti immobiliari da reddito, ove il primo piano è adibito a residenza dei proprietari, mentre gli altri 2/3 piani vengono concepiti per la rendita, quindi affittati o venduti. La griglia viaria appare fortemente integrata con il tessuto pre-esistente ed è improntata da una gerarchia funzionale che risponde anche ad una precisa individuazione del potere assoluto che domina, crea e governa la città con assoluta autonomia nell’esercizio del potere. La piazza Castello, un tempo marginale ed ai confini della città, diventa il polo centrale di comando da cui sì dipartono gli assi rettori principali.


Torino nel 1720


Questi assi appaiono sostanzialmente bipolari, con origine dal polo centrale di comando (piazza Castello e piazza Palazzo di Città) e termine sulle porte principali della citta, trasformate con gli ampliamenti in grandi piazze, disegnate ad hoc. Il disegno originario delle piazze di attestamento degli assi storici appariva rigorosamente diversificato, per identificare i 4 poli cardinali dell’aggregato urbano. Così le piazze a est e ovest sono rettangolari, molto allungate, con esedre o rondò all’inizio degli assi storici, e sfondo aperto verso l’esterno. Invece le piazze a nord e sud sono previste, in origine, di forma ottagonale. Cosi via Po si attesta sullo scenario aperto di piazza Vittorio e via Garibaldi su piazza Statuto. Via Roma, invece, si attesta su piazza Carlo Felice, originariamente una piazza ottagonale, e via Milano su piazza della Repubblica, che è ottagonale. Da queste piazze si dipartivano alcune direttrici foranee verso le più vicine dimore e palazzine di caccia della famiglia reale, progettate, in coerenza agli schemi dell’epoca, come “viali d’onore”, con tracciati rettilinei ed in genere fiancheggiate da alberate (attuali via Nizza, corso Unione Sovietica, corso Francia, corso Regio Parco, via Villa della Regina). Le direttrici foranee erano anch’esse sostanzialmente bipolari, collegando le porte della città alle dimore di campagna della Corte Sabauda (Castello di Mirafiori, Palazzina di caccia di Stupinigi, Castello di Rivoli, Regio Parco, Villa della Regina rimanendo esclusa, nell’immediato comprensorio, Venaria Reale, separata dal corso della Dora - e completavano, a scala territoriale, la rigorosa pianificazione della città barocca. Queste direttrici diverranno in seguito assi portanti per lo sviluppo della città, quando, nel periodo ottocentesco, saranno assorbite, orientandole, dalle maglie viarie delle nuove lottizzazioni. Alla fine del ‘700 la popolazione della città raggiunge i 94.000 abitanti, su una superficie urbana, dopo il 3° ampliamento, di 157 ettari (circa 600 ab./ettaro).


Foto Piazza Castello nel 1890 Polo centrale di comando della cittĂ


Torino nel 1702 Subito prima dell’assedio francese


la cittĂ alla fine del 700 Disegnata dal regio architetto Carlo Randon


Torino ottocentesca II 13 giugno 1800, sette giorni dopo la battaglia di Marengo, Napoleone emanava un editto col quale ordinava — tra l’altro - l’abbattimento delle mura di Torino, “in guisa da renderne impossibile la ricostruzione’’, salvando solo la cittadella. Le mura vennero demolite in poco tempo e la città fu libera di espandersi in ogni direzione. Napoleone regalò a Torino, ed al Piemonte, importanti progetti di sistemazioni viabili, tra cui emergono, per Torino, i disegni dei grandi viali di circonvallazione, sul sedime dei bastioni abbattuti, ma realizzò nella città un solo intervento: la costruzione del ponte sul Po, completato nel 1813, sull’asse di via Po, in sostituzione del p re-esistente ponte in legno. Nel 1814, ritiratisi i Francesi, rientrò Vittorio Emanuele I, che immediatamente restaurò il potere assoluto esistente prima della Rivoluzione Francese. Nel 1817, per incentivare Io sviluppo della città, vennero formati ed aperti gli ampi viali di circonvallazione delia città, conformemente ai progetti napoleonici. Si trattava di un anello formato dagli attuali corso S. Maurizio, corso Regina Margherita, corso Principe Eugenio, corso Inghilterra, corso Vittorio, corso Cairoti. L’anello era interrotto da una grande piazza d’armi tra le attuali via Aspetta e corso Matteotti. Il primo ampliamento della Torino ottocentesca fu quello di piazza Vittorio Emanuele 1 (ora Vittorio Veneto), approvato nei 1818, e del Borgo Po, che veniva ristrutturato con la costruzione della nuova chiesa della Gran Madre. Successivamente, a partire dal 1823, sotto Carlo Felice, venne ampliata la omonima piazza e si iniziò la costruzione del Borgo Nuovo e del Borgo San Salvano, ai lati del viale del Re (attuale corso Vittorio Emanuele II), nel tratto Porta Nuova — corso Cairoli/Valentino. Verso nord, nel frattempo, si attuava l’ampliamento del Mosca, conseguente alla realizzazione del ponte omonimo sulla Dora,


alle spalle dell’attuale piazza della Repubblica. Verso ovest, invece, la cittadella e le servitù militari ad essa collegate impedivano l’espansione, che avverrà solo nella seconda metà dell’ottocento in seguito allo smantellamento della cittadella, disattivata nel 1852. Per quanto riguarda la sistemazione dei manti stradali, degli scoli delle acque, delle fognature e degli approvvigionamenti idrici, Torino era a quei tempi in una condizione assai precaria. Tutte le vie del centro, inclusa piazza Castello e via Po, ed anche i porticati di queste contrade erano ricoperte solo con selciato, senza guide lastricate e senza marciapiedi rialzati. Inoltre non esistevano i canali bianchi di scolo delle acque meteoriche, per cui sia l’acqua dei tetti delle case, che gli scoli dei cortili e delle strade erano liberamente convogliati al centro delle vie, le famose “Dorè”. Anche le fognature erano molto carenti e nella maggioranza dei cast si provvedeva con pozzi neri nei cortili delle case. Gli approvvigionamenti idrici non erano ancora garantiti da un acquedotto comunale, per cui ogni isolato o gruppo di case doveva provvedere con pozzi artesiani, da cui si attingeva l’acqua “potabile” con secchi o pompe a mano. Appare evidente come la situazione igienica fosse assai precaria, con pozzi neri e pozzi per l’acqua “potabile” contigui, anche in uno stesso condominio. Solo nel 1827 il Municipio provvide a realizzare il primo servizio pubblico di acqua potabile, attingendo inizialmente da un pozzo nei pressi del Bastion Verde e rifornendo una dozzina di fontane tra la piazza Emanuele Fili-beilo (Porta Palazzo) ed il Palazzo Civico.


Piazza Vittorio Emanitele I Ora Vittorio Veneto


la cittĂ di Torino nel 1840 Ora Vittorio Veneto


A partire dal 1830 si iniziò il rifacimento dei manti stradali, e per primo si lastricarono i portici, partendo da piazza Castello. Bisogna attendere il 1843 per l’attuazione sistematica della “riforma della pavimentazione cittadina”, con l’introduzione nelle contrade delle guide carrabili e dei marciapiedi in pietra da taglio. Da tale data vengono anche gradualmente eliminate le “Dorè”, con la realizzazione sistematica dei canali sotterranei di raccolta delle acque meteoriche e delle acque nere, con impianti distinti. Si poté così attuare il primo regolamento edilizio, reso pubblico nel 1843, in cui, fra l’altro, si obbligavano i proprietari dei nuovi fabbricati a costruire contestualmente i marciapiedi ad essi prospicienti ed ad allacciare gli scoli delle acque bianche e nere con i canali sotterranei che si stavano nel frattempo realizzando sotto al sedime stradale. Esistono varie cartografie della città e dei territorio circostante relative alla prima metà d sii ‘800. Occorre ricordare che durante l’occupazione Napoleonica venne introdotto il nuovo catasto geometrico, che si concretizzò nel cosiddetto catasto Gatti, che razionalizzava e perfezionava sistematicamente le procedure di accatastamento. Tra le planimetrie dei periodo si possono citare quelle del Gatti e del Rabbini. Nella seconda metà dell’800 gli ingrandimenti furono sempre più estesi, dovendosi la città adattare al forte incremento della popolazione, conseguente, prima, alla formazione di Torino capitale d’Italia e, poi, allo sviluppo industriale che già si stava delineando come forza socioeconomica trainante per la crescita della città.


Torino nel 1840 Nuovi viali di circonvallazione


“Piano d’Ingrandimento della Capitale” 1850-1852 con evidenziati gli ingrandimenti in costruzione


Torino nel 1859

pianta della cittĂ e dei borghi, 1859; con il tracciato della nuova cinta daziaria (1853)


Nel 1852 veniva redatto il piano di ingrandimento della capitale, ancorato al modello urbanistico -gerarchico della città settecentesca, in cui si poneva grande attenzione al rispetto della griglia ortogonale originaria e si proponeva di eliminare anche i pochi viali obliqui appena realizzati (“l’Allea Oscura” tra piazza Carlo Felice ed il Castello del Valemmo e la “promenade” di corso Principe Eugenio) mentre si incentivava la realizzazione degli spazi di relazione, portici e piazze. Nel 1853 venne istituita la prima cinta daziaria, in risposta ad uno sviluppo econo-n lieo -commerci a le sempre più tumultuoso e Quindi accogliendo l’esigenza governativa di regolamentare j flussi tra la città ed il territorio. Questa cinta venne tracciata con grande margine di spazio per la crescita della città, essendo delimitato un territorio 5 volte maggiore della parte costruita. Il tracciato spezzato ed irregolare della cinta, tuttavia, non risultava essere generato da alcun disegno pianificatone, essendo concepito unicamente come un confine di carattere economico. Sul sedime della 1” cinta daziaria verranno in seguito realizzati i grandi viali di circonvallazione della città industriale, che sono gli attuali corsi Tortona, Novara, Vigevano, Mortara, Svizzera, Ta ssoni, Ferrucci, Lepanto, Bramante e, nella zona oltre Po, i corsi Giovanni Lanza e Quintino Sella. Questo anello costituisce ancora oggi uno sfogo fondamentale per il traffico torinese. In quel periodo, progetto Pecco del 1864, si definì, tra l’altro, la piazza Statuto, che venne edificata anche con capitale straniero.


Ma altre erano le trasformazioni che si delineavano sull’orizzonte e che avrebbero pesantemente condizionato lo sviluppo della città. Nel 1848 si iniziò la costruzione della prima strada ferrata, la ferrovia Torino-Moncalieri, allungata i^t 1853 fino a Genova. Nei successivi 10 anni si delineava l’attuale nodo ferroviario di Torino, con i collegamenti di Porta Susa-Milano e Porta Nuova-Modane. Nel 1864 venivano collegate Porta Nuova con Porta Susa e si definì quel tracciato urbano a tenaglia che ancora oggi costituisce una barriera fisica di comunicazione fra parti della città. Nel frattempo la Cittadella venne smantellata e vennero fatte diverse proposte di sistemazione dell’area, ma alla fine prevalse uno schema di lottizzazione tradizionale, a scacchiera, redatto dall’ingegnere capo del Comune, Edoardo Pecco. La città si stava espandendo oltre i viali ‘ Napoleonici in varie direzioni: partendo da sud si possono citare i borghi S. Salvario, Nuovo (Porta Nuova), S. Donato, Valdocco, Dora, Vanchiglia e Borgo Po. Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, Torino capitale contava quasi 200.000 abitanti su un territorio edificato di 450 ettari, con una densità di circa 450 abitanti per ettaro (Roma allora non arrivava a 200.000 abitanti, Milano 245.000, Napoli 450.000). Fu di nuovo l’ingegner Pecco a redarre il progetto unico degli ingrandimenti della città del 1868 e fu questo l’ultimo tentativo di contenere gli ampliamenti entro grandi schemi urbanistici, progettati con criteri di crescita e continuità organica della griglia viaria originaria e degli assi storici. Si stavano già delineando logiche diverse nella crescita della città, che avrebbero presto portato all’abbandono dei progetti unici di formazione delle strade, facciate, volumetrie e porticati della città settecentesca. Venne redatto, a partire dal 1843, il primo regolamento edilizio, integrato dal regolamento d’ornato del 1862, che pose essenzialmente vincoli edilizi e d’igiene ed introdusse il principio che l’altezza delle case fosse proporzionale alla larghezza delle strade, abbandonando l’obbligo di ottemperare a progetti unici.


Nel 1854 si decretò su progetto di Carlo Promis, che la larghezza del le nuove strade non fosse inferiore ai 12 metri e l’altezza degli edifici non superasse i 21 metri, introducendo un criterio automatico di de! inizio ne delle nuove lottizzazioni. Il piano Pecco segnò anche l’inizio dell’abbandono della griglia a scacchiera, rigorosamente ortogonale. Difatti gli ingrandimenti verso sud, ovest e nord, si svilupparono sulle principali direttrici foranee (via Nizza, corso Francia, corso Regio Parco) ad andamento radiale. Cosi si sovrapposero, ai margini del tessuto urbano allora costruito, nuove griglie ad andamento inclinato, irregolare. Appare chiaro che lo scollamento tra il tessuto originario ed i nuovi ampliamenti fu influenzato dalla barriera di separazione della ferrovia, che interrompeva fisicamente la continuità della griglia viaria centrale, ma soprattutto lo sviluppo della città fu influenzato dalla cinta daziaria, sia per il tracciato anulare irregolare, che per la posizione delle barriere di esazione e relativi piazzali di sosta, dai quali iniziò lo sviluppo degli aggregati urbani estremi, o “barriere”, con logiche di crescita autonoma, non coordinata e, spesso, con lottizzazioni di iniziativa privata. Gli ampliamenti della fine ‘800 furono veramente notevoli, se si pensa che la popolazione raggiunse alla fine del secolo i 332.000 abitanti su una superficie urbanizzata di 1547 ettari (214 abitanti per ettaro). La connotazione comune di tutti i progetti di ampliamento fu il graduale abbandono di una logica pianificatoria gerarchica globale delle aree edificatoli, per ridursi ad una semplice logica di pianificazione della griglia viaria su cui si tracciavano ampi isolati, ove indistintamente potevano insediarsi industrie, abitazioni, servizi. Si andavano tuttavia definendo diversi settori di attività sul territorio urbanizzato. Si assiste, quasi spontaneamente e principalmente per concause esterne (posizione extra-cinta daziaria, presenza di abbondanti acque per mulini, collocazione privilegiata per i collegamenti extraurbani) allo sviluppo di attività produttive nel settore settentrionale della città (borgata Monte Bianco e Barriera di Milano).


Contemporaneamente i nuovi quartieri meridionali (Crocetta, S. Salvario) si stavano delineando sempre più come i quartieri residenziali della nuova borghesia. Gli interventi di pianificazione e controllo dello sviluppo della città si ridussero quasi esclusivamente al recupero delle grandi aree con servitù militari, e precisamente alle piazze d’armi, che progressivamente venivano spostate verso la periferia. Così si assiste alla realizzazione di un notevole polo dì servizi a scala urbana verso, ovest sull’asse di corso Vittorio Emanuele II (ove oggi si intende realizzare il nuovo Palazzo di Giustizia) ai lati del quale si svilupparono alla fine del XIX secolo le nuove carceri, il mattatoio, il foro boario, le caserme, le officine ferroviarie. Rispetto alla viabilità i provvedimenti principali della fine ‘800 furono il “piano regolatore pel prolungamento dei corsi e vie principali fuori dalla cinta daziaria” del 1887 ed il grande intervento di sventramento, risanamento e ricostruzione del nucleo storico più antico, che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di un nuovo collegamento diagonale tra il polo di comando di piazza Castello e la via Cemaia. L’attuale via Pietro Micca venne deliberata nel 1885, contemporaneamente all’allargamento di via XX Settembre ed alla apertura della via IV Marzo (tra piazza S. Giovanni e via Milano). La realizzazione dì questi nuovi assi viari si protrasse fino all’inizio del n900. Il piano per il prolungamento dei principali assi viari (1887) comprendeva le grandi direttrici di sviluppo storico, da via Genova e corso Stupinigi a sud, a corso Francia ad ovest, corso Vercelli e Regio Parco a nord e corso Casale ad est. Fu lungo queste direttrici che la città si sviluppò, avendo alla fine del secolo già raggiunto la 1° cinta daziaria.


L’evoluzione della cittĂ

Torino romana

Torino medievale


Torino nel 1500

Torino nel 1600


Torino nel 1700

Torino nel 1800



“Quadrata, turrita e con buone mura� Eilulfo - vescovo di Torino nel secolo X


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