KOSOVO E TIMOR EST NOVE ANNI DOPO: OSSERVAZIONI SULLE AMMINISTRAZIONI TERRITORIALI DELL’ONU IVAN INGRAVALLO SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’amministrazione diretta di territori nella prassi della Società delle Nazioni e dell’ONU. – 3. L’istituzione, nel 1999, da parte del Consiglio di Sicurezza, dell’UNMIK in Kosovo e dell’UNTAET a Timor est. – 4. Caratteristiche delle Amministrazioni territoriali. L’accentramento in capo al Rappresentante speciale dei poteri di governo. – 5. Il fondamento giuridico della competenza del Consiglio di Sicurezza ad istituire operazioni di pace con un mandato di amministrazione diretta di un territorio. – 6. Gli sviluppi della situazione in Kosovo e a Timor est in tempi recenti. – 7. Osservazioni sull’efficacia dello strumento giuridico dell’Amministrazione territoriale alla luce della prassi dell’UNMIK e dell’UNTAET.
1. L’istituzione, avvenuta nel 1999, ad opera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di due operazioni di pace aventi ampie funzioni di amministrazione dei territori in cui sono state dispiegate, l’UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) e l’UNTAET (United Nations Transitional Administration in East Timor)1, ha posto numerose e complesse questioni giuridiche. Se la loro istituzione non ha sollevato contestazioni da parte degli Stati membri e della dottrina, si discute piuttosto in merito ai caratteri delle Amministrazioni territoriali e al loro fondamento giuridico2. Non si tratta di un fenomeno insolito, in quanto la prassi mostra, sin dai primi decenni del XX secolo, diversi esempi di esercizio, da parte di organizzazioni internazionali, di rilevanti poteri pubblici (esecutivi, legislativi, giudiziari) su una comunità territoriale, attraverso organi facenti capo alle organizzazioni stesse. Si tratta però di un fenomeno abbastanza recente, in quanto connesso all’esistenza di organizzazioni internazionali non-settoriali, aventi finalità ampie e poteri significativi, in particolare per quanto riguarda la soluzione delle controversie tra gli Stati membri e il mantenimento di relazioni pacifiche tra di essi. Non sembrano esserci peraltro obiezioni di principio, né queste emergono dalla pertinente prassi internazionale, alla possibilità che un’organizzazione internazionale svolga anche funzioni di amministrazione diretta di un territorio3, qualora ne abbia la competenza e i mezzi e ricorrano le condizioni all’uopo richieste4. 1
Cfr., rispettivamente, le risoluzioni 1244 del 10 giugno 1999 e 1272 del 29 ottobre 1999. V. infra, par. 5. 3 DAUDET, L’action des Nations Unies en matière d’administration territoriale, in Cursos Euromediterráneos Bancaja de Derecho Internacional, vol. VI, 2002, 466, rileva: «L’administration internationale est un procédé ancien de la gestion de territoires ou 2
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L’organizzazione internazionale può limitarsi all’esercizio di compiti di supervisione e controllo sull’amministrazione di un territorio da parte di uno o più Stati – come nel caso dei mandati della Società delle Nazioni5 e dell’amministrazione fiduciaria nell’ambito dell’ONU6 –, il che non dà luogo ad un’amministrazione internazionale in senso proprio, quanto piuttosto ad un’amministrazione statale sotto controllo internazionale7, ovvero assumere il carattere più ampio di amministrazione diretta di territori, che offre maggiori garanzie di imparzialità ed obiettività8. L’estensione dei poteri dell’UNMIK e dell’UNTAET e l’incisività con cui gli stessi sono stati esercitati hanno prodotto un rinnovato interesse per il fenomeno dell’amministrazione territoriale, anche se negli studi ad esso dedicati9, a parte un “nocciolo duro” di situazioni d’activités. Curieusement, antérieure aux organisations internationales elles-mêmes, elle peut être considérée comme se trouvant à l’origine de leur création». In tema v. anche STAHN, International Territorial Administration in the former Yugoslavia: Origins, Developments and Challenges ahead, in ZaöRV, 2001, 107 ss. e 114 ss. 4 Per riprendere le parole di VIRALLY, La notion de fonction dans la théorie de l’organisation internationale, in Mélanges offerts a Charles Rousseau, Paris, 1974, 292: «le traité constitutif d’une Organisation n’établit plus qu’une structure fondamentale, mais inachevée, appelée à connaître un continuel développement, au fur et à mesure de l’apparition de besoins fonctionnels nouveaux». DAUDET, op. cit., 473 (rileva l’esistenza di un «véritable principe d’adaptation constante» dei fini contenuti nell’art. 1 della Carta ONU) e 477 ss. 5 Previsti dall’art. 22 del Trattato istitutivo della stessa. 6 Disciplinata dai capitoli XI e XII della Carta. 7 Così RAUSCHNING, Mandates, in EPIL, vol. III, 1997, 286; STAHN, op. cit., 117; DAUDET, op. cit., 466 s. In tema v., più in generale, MATZ, Civilization and the Mandate System under the League of Nations as Origin of Trusteeship, in Max Planck YUNL, 2005, 69. 8 DAUDET, op. cit., 468. 9 BOTHE e MARAUHN, UN Administration of Kosovo and East Timor: Concept, Legality and Limitations of Security Council-Mandated Trusteeship Administration, in TOMUSCHAT (ed.), Kosovo and the International Community. A Legal Assessment, The Hague-LondonNew York, 2001, 217 ss.; RUFFERT, The Administration of Kosovo and East-Timor by the International Community, in ICLQ, 2001, 613 ss.; STAHN, The United Nations Transitional Administrations in Kosovo and East Timor: A First Analysis, in Max Planck YUNL, 2001, 105 ss ; WILDE, From Danzig to East Timor and beyond: The Role of International Territorial Administration, in AJIL, 2001, 583 ss.; CAPLAN, A New Trusteeship? The International Administration of War-torn Territories, Oxford-New York, 2002; DAUDET, op. cit., 459 ss.; CHESTERMAN, You, The People. The United Nations, Transitional Administrations, and StateBuilding, Oxford, 2004; DE WET, The Direct Administration of Territories by the United Nations and its Member States in the Post-Cold War Era: Legal Bases and Implications for National Law, in Max Planck YUNL, 2004, 291 ss.; SMYREK, Internationally Administered Territories – International Protectorates?, Berlin, 2006; KIDERLEN, Von Triest nach Osttimor / From Trieste to East Timor, Berlin, 2008; WILDE, International Territorial Administration, Oxford, 2008. Per un’analisi critica delle principali ricostruzioni proposte in dottrina v. ARDAULT, ARION, GNAMOU-PETAUTON e YETONGNON, L’administration internationale du
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da tutti ricomprese in tale fenomeno, ogni autore individua poi la prassi rilevante per la propria indagine basandosi su criteri diversi. Si ottiene così un risultato che appare difficile ricondurre ad unità, come dimostrato anche dal numero di espressioni utilizzate (amministrazione diretta10, amministrazione internazionale11, amministrazione internazionale di territori12, amministrazione civile internazionale transitoria13, amministrazione transitoria14, amministrazione fiduciaria del Consiglio di Sicurezza15, ecc.), e dalla circostanza che la stessa ONU ha di volta in volta parlato di amministrazione “transitoria”, “provvisoria”, “ad interim”. Nel presente studio, utilizzeremo l’espressione “amministrazione diretta di territori” per riferirci allo svolgimento, da parte di un’operazione di pace dell’ONU (definita quale Amministrazione territoriale), di un mandato che prevede l’esercizio di funzioni di governo, con riferimento a tutti i settori dell’amministrazione, ovvero ad una parte significativa di essi. Nella ricostruzione che appare preferibile, quindi, l’elemento determinante è dato dalla circostanza che “l’ultima parola” spetti all’Organizzazione piuttosto che al sovrano territoriale o alle istituzioni di governo locali. Di conseguenza, non possono essere considerati esempi di amministrazione diretta di territori quei casi, numerosi, in cui un’operazione di mantenimento della pace dell’ONU territoire à l’épreuve du Kosovo et du Timor Oriental: la pratique à la recherche d’une théorie, in RBDI, 2006, 309 ss.; con riferimento a contributi esclusivamente in inglese, v. WILDE, Representing International Territorial Administration: A Critique of Some Approaches, in EJIL, 2004, 71 ss. 10 LAGRANGE, La Mission intérimaire des Nations Unies au Kosovo, nouvel essai d’administration directe d’un territoire, in AFDI, 1999, 335 ss. 11 CAPLAN, op. cit., 13 ss. In adesione v. SALAMUN, Democratic Governance in International Territorial Administration. Institutional Prerequisites for Democratic Governance in the Constitutional Documents of Territories Administered by International Organisations, Baden-Baden, 2005, 74. 12 ARDAULT, A RION, GNAMOU-PETAUTON e YETONGNON, op. cit., 317. 13 Nell’Introduzione al volume di KOLB, PORRETTO e VITÉ, L’application du droit international humanitaire et des droits de l’homme aux organisations internationales. Forces de paix et administrations civiles transitoires, Bruxelles, 2005, 8, lo stesso KOLB sottolinea il carattere descrittivo dell’espressione “amministrazione civile internazionale transitoria” e delle espressioni simili, in quanto tali non comportanti alcuna conseguenza normativa precisa. 14 CHESTERMAN, op. cit., 5, parla di «transitional administrations» quale forma di “statebuilding”, svolta dall’ONU o da altri soggetti internazionali, che, a differenza dei mandati delle operazioni di peace-keeping e di peace-building, è finalizzata a costruire o ricostruire le istituzioni di governo in un territorio attraverso l’assunzione di alcuni o di tutti i poteri sovrani in via temporanea. Nella medesima direzione v. MANNING, Local Level Challenges to PostConflict Peacebuilding, in Int. Pk. (Frank Cass), 2003, n. 3, 25 ss. 15 BOTHE e MARAUHN, op. cit., 219 s.
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non ha esercitato direttamente poteri di governo su un territorio, limitandosi a svolgere compiti di supervisione, assistenza o supporto al funzionamento delle istituzioni pubbliche di uno Stato o di un territorio. 2. L’idea di istituire un’amministrazione territoriale con ampi poteri pubblici, facente capo direttamente ad un’organizzazione internazionale, trovò una prima realizzazione nell’ambito della Società delle Nazioni, in particolare nei casi della Città libera di Danzica, del bacino della Saar – entrambi previsti dal Trattato di Versailles del 28 giugno 1919 –, e del Distretto di Leticia16. La città di Danzica, abitata in gran parte da tedeschi, fu ceduta dalla Germania alle principali Potenze alleate ed associate, che decisero di costituirla come Città libera17 e di porla sotto la protezione della Società nell’ambito della ricostituita Polonia, cui furono assegnati il potere di condurre le relazioni esterne della Città libera e quello di proteggere i suoi cittadini all’estero18. Il Trattato di Versailles prevedeva di affidare ad un Alto commissario nominato dal Consiglio della Società il compito di contribuire a preparare la Costituzione della Città libera di Danzica, predisposta dalle istituzioni locali19. La Costituzione della Città libera fu quindi approvata dal Consiglio della Società e non avrebbe potuto essere modificata senza il suo consenso20. Un’altro esempio di amministrazione diretta di territori da parte della Società delle Nazioni ha riguardato il bacino minerario della Saar che, pur posto sotto la sovranità tedesca, vide lo sfruttamento 16 WILDE, From Danzig to East Timor, cit., 586, e CHESTERMAN, op. cit., 21 ss., aggiungono a quelli ricordati anche altri due casi minori, quelli del Presidente della Commissione mista per l’Upper Silesia (territorio conteso tra Polonia e Germania) e del Presidente dell’Autorità incaricata di gestire la Baia di Memel (l’attuale Klaipėda, in Lituania). A nostro avviso, questi due esempi, in particolare il secondo, non sono configurabili quali amministrazioni dirette di territori, in ragione della scarsa rilevanza dei poteri di assegnati alla Società delle Nazioni. In tema v. anche ROUSSEAU, Droit international public, vol. II, Les sujets de droit, Paris, 1974, 441. 17 La Città libera fu costituita con una decisione del 27 ottobre 1920, che entrò in vigore il 15 novembre 1920. Sulla sua qualificazione giuridica si sono espressi in molti. In tema v., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, SALAMUN, op. cit., 31 (nota 108), che ha redatto una apposita “statistica”, basata sull’opinione di 65 autori. 18 Cfr. gli articoli 100-104 del Trattato di Versailles. 19 Essa fu redatta dalla Società assieme a rappresentanti della Città libera (art. 103), per essere poi approvata dall’Assemblea popolare il 19 agosto 1920 e, con emendamenti, dal Consiglio della Società il 13 maggio 1922. In tema v. YDIT, Internationalised Territories. From the “Free City of Cracow” to the “Free City of Berlin”, Leyden, 1961, passim. 20 Cfr. gli articoli 47-49 della Costituzione della Città libera.
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delle proprie risorse ceduto alla Francia per quindici anni, mentre poteri esclusivi di amministrare il territorio furono riconosciuti alla Società21, attraverso una apposita Commissione22. Questa esercitò le funzioni legislative ed esecutive – anche la funzione giudiziaria era svolta in suo nome23 – e amministrò la Saar per quindici anni, finché gli abitanti del territorio24 non scelsero, in occasione di un plebiscito preparato dalla stessa Commissione e svoltosi il 13 gennaio 1935, il ritorno sotto l’amministrazione della Germania, a far data dal 1° marzo successivo25. Il terzo esempio di amministrazione diretta di un territorio occorso nel contesto della Società delle Nazioni fu l’istituzione di una Commissione, composta da tre cittadini stranieri, incaricata di amministrare il Distretto di Leticia (sotto la sovranità colombiana, ma occupato da insorti peruviani)26 dal 23 giugno 1933 al 19 giugno 1934, nell’ambito della risoluzione della controversia territoriale tra Colombia e Perù27. Al termine del periodo di amministrazione territoriale, dopo che il 24 maggio 1934 i due Stati avevano firmato un Accordo di pace globale, il controllo del Distretto fu trasferito nuovamente alle autorità colombiane, secondo le indicazioni ricevute dal Consiglio della Società28.
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I paragrafi 16-33 dell’allegato all’art. 50 del Trattato di Versailles disciplinarono la questione del governo sulla Saar nel periodo transitorio, fino allo svolgimento del plebiscito. 22 La Commissione di governo, ai sensi del par. 17, fu composta da un cittadino francese, un abitante della Saar e tre stranieri neutrali, nominati per un anno dal Consiglio della Società e rinnovati in mancanza di revoca. V. l’ampio studio di RUSSELL, The International Government of the Saar, Berkeley, 1926. 23 Cfr. i paragrafi 19 e 25 dell’allegato, cit. 24 Sulla differenza tra i concetti di “abitanti”, “popolo” e “cittadini”, utilizzati al fine di definire le persone sottoposte alle differenti forme di amministrazione diretta di un territorio con riferimento al concetto di sovranità incarnato dallo Stato, dal territorio o dalla popolazione, v. SALAMUN, op. cit., 112 ss. 25 Cfr. la decisione del Consiglio della Società del 17 gennaio 1935. Il plebiscito fu previsto dai paragrafi 34-39 dell’allegato all’art. 50 del Trattato di Versailles. 26 Il territorio era stato ceduto dal Perù alla Colombia con un Trattato del 24 marzo 1922. 27 Cfr. la delibera approvata all’unanimità dal Consiglio della Società il 18 marzo 1933 e il successivo Accordo trilaterale (Colombia, Perù, Società delle Nazioni) del 25 maggio 1933. 28 Sull’intera vicenda v. WOOLSEY, The Leticia Dispute between Colombia and Peru, in AJIL, 1933, 317 ss. e 525 ss., e 1935, 94 ss.; LE FUR, L’affaire de Leticia, in RGDIP, 1934, 129 ss., partic. 143 ss.; YDIT, op.cit., 49 ss. È interessante rilevare come BOTHE, PeaceKeeping, in SIMMA (ed.), The Charter of the United Nations. A Commentary, 2ª ed., vol. I, Oxford-New York, 2002, 664, consideri i casi della Saar e di Leticia quali forme primordiali di operazioni di peace-keeping, utilizzando quindi una nozione alquanto ampia di tale concetto.
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In diverse occasioni, anche le Nazioni Unite hanno svolto funzioni di amministrazione territoriale. Già la Carta di S. Francisco immaginava un ruolo attivo dell’ONU nell’ambito del regime di amministrazione fiduciaria, finalizzato, tra l’altro, a «promuovere il progresso politico, economico, sociale ed educativo degli abitanti dei territori in amministrazione fiduciaria, ed il loro progressivo avviamento all’autonomia o all’indipendenza»29. In base all’art. 81, l’autorità incaricata dell’amministrazione «potrà essere costituita da uno Stato o da più Stati o dall’Organizzazione stessa»30, ma l’ONU non è mai stata indicata quale autorità amministratrice di un territorio. Nella prassi non sono però mancate le occasioni in cui l’Organizzazione ha amministrato un territorio, o almeno ha tentato di farlo. Volendo seguire un ordine cronologico, ricordiamo il progetto di amministrazione del Territorio libero di Trieste31 e quello relativo alla città di Gerusalemme32, l’amministrazione della Nuova Guinea occidentale (Irian occidentale) da parte dell’UNTEA (United Nations 29 Cfr. l’art. 76, lett. b), della Carta. In tema v. CAPOTORTI, Amministrazione fiduciaria di territori, in Enc. Dir., vol. II, 1958, 192 ss. 30 Sulla difficoltà pratica di applicare le disposizioni sull’amministrazione fiduciaria all’Organizzazione quale autorità amministratrice v. già KELSEN, The Law of the United Nations. A Critical Analysis of Its Fundamental Problems, London, 651: «in this case most of the [...] provisions of the trusteeship system are hardly applicable. [...] If the Organization itself is the administering authority, no supervision in the true sense of the term is possible». In base all’art. 78 della Carta, il regime di amministrazione fiduciaria «non si applicherà ai territori che siano divenuti Membri delle Nazioni Unite». Taluni, fondandosi sui lavori preparatori, hanno proposto una interpretazione restrittiva di questo divieto, di modo che Stati membri o parti del loro territorio potrebbero essere volontariamente sottoposti ad un’amministrazione fiduciaria dell’ONU (RAUSCHNING, Article 78, in SIMMA (ed.), op. cit., vol. II, 1117 s.; STAHN, International Territorial Administration, cit., 129; BOTHE e MARAUHN, op. cit., 234). Tale ricostruzione risulta però in contrasto con il chiaro dettato dell’art. 78. 31 Il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 16 del 10 gennaio 1947, accettò le responsabilità derivanti dagli allegati VI (Statuto permanente), VII (Strumento relativo al regime provvisorio), e VIII (Strumento relativo al porto franco di Trieste) del successivo Trattato di pace con l’Italia, concluso a Parigi il 10 febbraio 1947. 32 Cfr. la risoluzione 181 (II) del 29 novembre 1947, con la quale l’Assemblea Generale raccomandò tra l’altro l’istituzione di Gerusalemme quale corpus separatum sottoposto ad uno speciale regime di amministrazione internazionale, gestito dal Consiglio di Amministrazione Fiduciaria. In tema si rimanda, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, a BARON, The International Legal Status of Jerusalem, in Touro International Law Review, 1998, 1 ss.; VAN GENUGTEN, Jerusalem, City in Need of a Special Legal Regime?, in VAN GENUGTEN et al. (eds.), Realism and Moralism in International Relations. Essays in Honour of Frans A. M. Alting von Gesau, The Hague-London-Boston, 1999, 223 ss.; VILLANI, Lo status di Gerusalemme nel diritto internazionale, in questa Rivista, 1999, 217 ss. (che la qualifica come «progetto di regolamento amichevole», avente un carattere non vincolante).
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Temporary Executive Authority) nel periodo 1962-6333, i poteri che l’Assemblea Generale assegnò al Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia34. Mentre nei casi appena ricordati, con l’eccezione di quello relativo al Territorio libero di Trieste, era stata l’Assemblea Generale a svolgere, o a tentare di svolgere, funzioni di amministrazione territoriale, nel corso degli anni ‘90 fu il Consiglio di Sicurezza a conferire ad alcune operazioni di pace da esso istituite un mandato comprensivo di quella funzione. Rinviando al paragrafo seguente l’esame dei casi più recenti del Kosovo e di Timor est, ciò avvenne già con riferimento al mandato originario della MINURSO (United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara) nel Sahara occidentale35 e 33
In base alla richiesta formulata nell’Accordo di New York del 15 agosto 1962 tra Paesi Bassi, potenza amministratrice ai sensi del capitolo XI della Carta, e Indonesia, l’Assemblea Generale approvò la risoluzione 1752 (XVII) del 21 settembre 1962, incaricò il Segretario Generale di gestire l’UNTEA e di dotarla delle forze di sicurezza necessarie, con il compito di mantenere la pace e l’ordine in quel territorio (UNSF, United Nations Security Force). Sull’UNTEA v. la pubblicazione, a cura dell’ONU, The United Nations in West New Guinea: An Unprecedent Story, New York, 1963. In dottrina v. LEYSER, Dispute and Agreement on West New Guinea, in AVR, 1962/1963, 257 ss.; VAN DER VEUR, The United Nations in West Irian: A Critique, in IO, 1964, 53 ss.; HIGGINS, United Nations Peacekeeping, 1946-1967. Documents and Commentary, vol. II, Asia, London, 1970, 91 ss.; DURCH, UN Temporary Executive Authority, in DURCH (ed.), The Evolution of UN Peacekeeping, Houndmills, 1994, 285 ss.; GRUSS, UNTEA and West New Guinea, in Max Planck YUNL, 2005, 97 ss. Secondo l’opinione di KONDOCH, The United Nations Administration of East Timor, in Jou. Conf. Sec. L, 2001, 252, il caso dell’UNTEA differisce da quelli di UNMIK e UNTAET, in quanto il suo principale obiettivo fu il trasferimento pacifico del territorio da uno Stato ad un altro, mentre l’istituzione di un’Amministrazione territoriale ne costituì un corollario. 34 Il 27 ottobre 1966 l’Assemblea Generale approvò la risoluzione 2145 (XXI), ponendo termine al mandato del Sudafrica su quel territorio e il 19 maggio 1967 approvò la risoluzione 2248 (S-V), istituendo il Consiglio delle Nazioni Unite per il Sud-Ovest africano, rinominato in seguito “per la Namibia” con la risoluzione 2372 (XXII), per amministrare quel territorio fino all’indipendenza. In argomento v. HERMAN, The Legal Status of Namibia and of the United Nations Council for Namibia, in CYIL, 1975, 319 ss.; BARSOTTI, In tema di amministrazione diretta di territori non autonomi da parte dell’ONU: il caso della Namibia, in Com. St., vol. XVI, 1980, 53 ss.; ZACKLIN, The Problem of Namibia in International Law, in Rec. des Cours, vol. 171, 1981-II, 308 ss. 35 Il Sahara occidentale è una ex-colonia spagnola, in seguito occupata dal Marocco. Il 30 agosto 1988 fu raggiunta a Ginevra un’intesa di principio tra Marocco e Frente POLISARIO (Frente Popular para la Liberación de Saguía el-Hamra y de Río de Oro) che prevedeva, al fine di consentire al popolo saharawi di autodeterminarsi, lo svolgimento un referendum. Il Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 690 del 29 aprile 1991 istituì la MINURSO, che avrebbe avuto “autorità unica ed esclusiva” su ogni questione relativa al referendum (inclusa la componente militare) e, a tal fine, avrebbe potuto adottare ogni misura tecnica, amministrativa o di sicurezza e chiedere la sospensione di ogni legge o misura che ritenesse di ostacolo per lo svolgimento della consultazione. In tema v. DURCH, United Nations Mission for the Referendum in Western Sahara, in DURCH (ed.), op. cit., 406 ss.; ORTEGA TEROL , Una
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dell’UNTAC (United Nations Transitional Authority in Cambodia) in Cambogia36, e con l’istituzione dell’UNTAES (United Nations Transitional Administration for Eastern Slavonia, Baranja and Western Sirmium) in Slavonia orientale nel periodo 1996-199837. Tra gli esempi ricordati, alcuni rimasero inattuati, in ragione della mancata intesa tra i membri permanenti (Territorio libero di Trieste), dell’assenza del consenso del sovrano territoriale (Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia), o tra gli Stati che si contendevano la sovranità sul territorio (progetto per Gerusalemme). In altri casi, operazioni istituite dal Consiglio di Sicurezza con poteri di amministrazione territoriale sono state attuate solo in parte e non hanno esercitato gli incisivi poteri loro conferiti. Nel caso della MINURSO il operación para el mantenimiento de la paz: la MINURSO, in An. Der. Int., 1995, 317 ss.; SOROETA LICERAS, El conflicto del Sahara Occidental, reflejo de las contradicciones y carencias del Derecho Internacional, Bilbao, 2001; JENSEN, Western Sahara. Anatomy of a Stalemate, Boulder-London, 2005. 36 In Cambogia il Consiglio di Sicurezza decise, su richiesta delle quattro fazioni cambogiane – il Governo di quello Stato e i principali gruppi dell’opposizione armata – formulata nell’allegato 1 agli Accordi di Parigi del 23 ottobre 1991, il dispiegamento di un’operazione di pace avente compiti di amministrazione diretta. In tema v. CELLAMARE, L’Autorità Transitoria delle Nazioni Unite in Cambogia, in PICONE (a cura di), Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, Padova, 1995, 261 ss. Per ZEMANEK, PeaceKeeping or Peace-Making?, in BLOKKER e MULLER (eds.), Towards More Effective Supervision by International Organizations, Essays in Honour of Henry G. Schermers, Dordrecht-Boston-London, 1994, 34 ss., il mandato dell’UNTAC «is nothing less than the reconstruction of the Cambodian state» e tale esperienza «raises doubts whether the UN can fulfil such a mandate with the means presently at its disposal and with the method used». 37 L’UNTAES fu istituita con la risoluzione 1037 del 15 gennaio 1996 a seguito dell’Accordo di pace firmato il 12 novembre 1995 dal Governo croato e dai rappresentanti della numerosa comunità serba, nel quale le parti chiesero al Consiglio di Sicurezza di istituire un’Amministrazione transitoria con il compito di “governare” quel territorio. Sull’UNTAES v. CELLAMARE , Note sull’Amministrazione Transitoria delle Nazioni Unite in Slavonia Orientale (UNTAES), in Divenire sociale e adeguamento del diritto. Studi in onore di Francesco Capotorti, vol. I, Milano, 1999, 83 ss.; GARGIULO, Le Peace Keeping Operations delle Nazioni Unite, Contributo allo studio delle missioni di osservatori e delle forze militari per il mantenimento della pace, Napoli, 2000, 281 ss.; S CHOUPS, Peacekeeping and Transitional Administration in Eastern Slavonia, in REYCHLER e PAFFENHOLZ (eds.), Peacebuilding. A Field Guide, Boulder-London, 2001, 389 ss.; C OLEIRO, Bringing Peace to the Land of Scorpions and Jumping Snakes: Legacy of the United Nations in Eastern Slavonia and Transitional Missions, Clementsport, 2002, 72 ss.; KLEIN, The United Nations Transitional Administration in Eastern Slavonia (UNTAES), in ASIL Proc., 2003, 205 ss. L’UNTAES non è, con una scelta discutibile, presa in considerazione da MATHESON, United Nations Governance of Postconflict Societies, in AJIL, 2001, 77, né da HENRY, L’administration exercée par les Nations Unies sur le territoire: démocratisation et respect de la souveraineté ou le paradoxe de l’histoire juridique internationale, in MEHDI (dir.), La contribution des Nations Unies à la démocratisation de l’État, Paris, 2002, 161 ss.
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Marocco, dopo l’iniziale disponibilità, non ha consentito il suo pieno dispiegamento e la sua libertà di movimento; stante la mancanza di un accordo tra il Marocco e il Frente POLISARIO che andasse oltre le mere affermazioni di principio, il Consiglio di Sicurezza ha progressivamente ridotto il mandato dell’operazione38. L’UNTAC, dal canto suo, ha esercitato in maniera incompleta gli ampi poteri ricevuti dagli Accordi di Parigi e dal Consiglio di Sicurezza39; a causa della difficoltà di ottenere il sostegno durevole di tutte le fazioni in lotta, la sua azione ha assunto più i contorni di una mediazione continua tra queste che quelli di un’amministrazione diretta del territorio cambogiano. 3. Questa prassi mostra, quindi, una propensione dell’Organizzazione, sin dalla sua origine, a svolgere una funzione di amministrazione diretta di territori40, anche se, fino al 1999, gli unici due casi in cui essa ha esercitato effettivamente ampi poteri diretti di governo su un territorio hanno riguardato l’UNTEA e l’UNTAES, due situazioni territorialmente e temporalmente circoscritte. Come accennato, una svolta si ebbe nel 1999, quando il Consiglio decise di istituire, a distanza di pochi mesi, le due maggiori Amministrazioni territoriali41. Si è trattato di una scelta importante, alla luce della precedente prassi, anche in ragione della differenza tra i due contesti: in Kosovo si è posto un problema di violazione dei diritti della minoranza albanese, a Timor est una violazione del diritto 38
Cfr., da ultimo, il rapporto del Segretario Generale del 14 aprile 2008 (UN Doc. S/2008/251). In senso critico v. il rapporto dell’INTERNATIONAL CRISIS GROUP, Sahara occidental: sortir de l’impasse, Rapport Moyen-Orient/Afrique du Nord, n. 66, 11 juin 2007, consultabile sul sito www.crisisgroup.org. 39 Ma v. CELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping multifunzionali, Torino, 1999, 101 ss. 40 All’inizio degli anni ‘90, in seguito all’emergere di numerosi casi di “failed States”, HELMAN e RATNER, Saving Failed States, in Foreign Policy, winter 92-93, n. 89, 12 ss., proposero la realizzazione di un “United Nations Conservatorship”, a sua volta articolato in tre modelli: «governance assistance, delegation of governmental authority, and direct U.N. trusteeship». Quest’ultimo, poi, avrebbe costituito una rivitalizzazione dell’amministrazione fiduciaria, in cui «states could voluntarily relinquish control over their internal and external affairs for a defined period», affidando ogni scelta all’ONU. L’indicata tripartizione è ripresa da STAHN, International Territorial Administration, cit., 129. 41 Rileviamo, con WILDE, Representing International Territorial Administration, cit., 75 ss., che è errata la posizione di quegli autori che hanno considerato i compiti assegnati all’UNMIK e all’UNTAET come novità assolute, secondo una visione di “progressione temporale” delle operazioni di pace; isolare le due Amministrazioni territoriali costituite nel 1999, secondo un approccio che vorrebbe considerarle come eccezionali, porta infatti ad ignorare gli aspetti che le stesse hanno in comune con precedenti esperienze simili.
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all’autodeterminazione. Entrambe le Amministrazioni territoriali sono state costituite a seguito di un intervento armato: l’UNTAET, già prefigurata dall’Accordo del 5 maggio 1999 tra Portogallo e Indonesia, è stata dispiegata dopo l’intervento della forza multinazionale INTERFET autorizzata dal Consiglio di Sicurezza, mentre l’UNMIK è stata costituita in seguito all’intervento armato unilaterale della NATO. Inoltre, il Consiglio ha operato una scelta di fondo diversa nella costituzione delle due Amministrazioni, in quanto ha deciso che l’UNTAET fosse responsabile sia degli aspetti civili, sia di quelli militari, mentre per il Kosovo ha deciso lo sdoppiamento delle funzioni militare e civile e il loro affidamento a soggetti diversi. Il Kosovo, provincia della Serbia abitata in grande maggioranza da persone di origine albanese, nel corso degli anni ‘80 perse lo statuto di provincia autonoma riconosciutogli dalla Costituzione iugoslava del 1974. A ciò si accompagnò la crescente discriminazione degli albanesi a favore dei serbi, in risposta alla quale gli albanesi del Kosovo diedero vita ad una forte opposizione al Governo di Belgrado, subendone la dura repressione. Nonostante l’adozione di alcune risoluzioni da parte del Consiglio di Sicurezza, la situazione non ha conosciuto miglioramenti e non è stato possibile raggiungere un accordo di riconciliazione nazionale neppure a seguito dei negoziati svoltisi a Rambouillet e a Parigi tra febbraio e marzo 1999. La grave violazione dei diritti umani dei kosovari albanesi è stata invocata dai numerosi Stati appartenenti alla NATO che condussero un attacco armato contro la Repubblica federale di Iugoslavia, al di fuori del sistema di sicurezza collettiva dell’ONU42. 42 Esula dalla presente indagine l’approfondimento degli aspetti problematici connessi all’intervento armato contro la RFI. In tema, tra gli assai numerosi contributi apparsi in dottrina e limitandoci a quella italiana, si rinvia (anche per ulteriori riferimenti bibliografici) a CASSESE, Ex iniuria ius oritur: Are We Moving towards International Legitimation of Forcible Humanitarian Countermeasures in the World Community?, in EJIL, 1999, 23 ss.; STARACE, L’azione militare della NATO contro la Iugoslavia secondo il diritto internazionale, in Filosofia dei diritti umani, 1999, n. 1, 36 ss.; VILLANI, La guerra del Kosovo: una guerra umanitaria o un crimine internazionale?, in Volontari e terzo mondo, 1999, n. 1-2, 26 ss.; CONDORELLI, La risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di sicurezza e l’intervento NATO contro la Repubblica federale di Iugoslavia, in R ONZITTI (a cura di), NATO, conflitto in Kosovo e Costituzione italiana, Milano, 2000, 31 ss.; PICONE, La «guerra del Kosovo» e il diritto internazionale generale, in RDI, 2000, 309 ss. (partic. 324 ss.); MARCHISIO, L’intervento in Kosovo e la teoria dei due cerchi, in SCISO (a cura di), L’intervento in Kosovo. Aspetti internazionalistici e interni, Milano, 2001, 21 ss.; S CISO, L’intervento in Kosovo. L’improbabile passaggio dal principio del divieto a quello dell’uso della forza, ivi, 47 ss.; MILANO, Security Council Action in the Balkans: Reviewing the Legality of Kosovo’s Territorial Status, in EJIL, 2003, 1009 ss.; PALMISANO, L’ammissibilità del ricorso alla forza
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Al termine dell’attacco armato, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza, con l’astensione della Cina, adottò la risoluzione 124443, con cui decise il dispiegamento in Kosovo di due presenze internazionali44, una a carattere civile l’United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK), l’altra militare, la Kosovo Force (KFOR), composta in gran parte da contingenti appartenenti a Stati membri della NATO, oltre ad una significativa presenza iniziale della Russia45. Gli intensi bombardamenti sul territorio iugoslavo ebbero termine solo quando l’allora Presidente iugoslavo Milosevic accettò i principi per una soluzione della crisi del Kosovo decisi dai Ministri degli esteri dei Paesi del G-8 nell’incontro di Petersberg del 6 maggio 199946. La risoluzione 1244 richiama espressamente il consenso delle autorità iugoslave su tali principi, al punto che essi ne costituiscono l’allegato 247. La sospensione delle attività militari era condizionata alla definizione di un rapido e preciso piano per il ritiro delle forze militari, paramilitari e di polizia serbe dal Kosovo e l’effettivo inizio di tale ritiro. Ciò è stato definito nell’Accordo tecnico-militare tra le
armata a fini umanitari e la guerra del Kosovo, in questa Rivista, 2003, 17 ss.; TREVES, Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, 2005, p. 464 ss. 43 La risoluzione 1244 non è configurabile quale approvazione implicita o a posteriori dell’intervento armato contro la RFI, ma si occupa unicamente della situazione post-bellica. In tal senso, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, v. VILLANI, Les rapports entre l’ONU et les organisations régionales dans le domaine du maintien de la paix, in Rec. des Cours, vol. 290, 2001, 371 ss. In senso difforme v. però RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, 3ª ed., Torino, 2006, 74. 44 Cfr. il par. 5 della risoluzione 1244. 45 Cfr. l’Accordo di Helsinki del 18 giugno 1999 sulla partecipazione della Russia alla KFOR. Si segnala peraltro che il contingente russo ha cessato di operare in Kosovo a partire dal 2 luglio 2003 e che, al 1° aprile 2008, la KFOR comprendeva circa 16000 effettivi appartenenti a 34 Stati, di cui 24 sono Membri della NATO. 46 UN Doc. S/1999/516, che costituisce l’allegato 1 alla risoluzione 1244. La difficoltà del negoziato in seno al G-8, che ha portato ad una soluzione di compromesso in sede di Consiglio di Sicurezza e al conseguente insorgere di diversi problemi sul terreno, è segnalata da HEINBECKER, Kosovo, in MALONE (ed.), The UN Security Council, From the Cold War to the 21st Century, Boulder-London, 2004, 547. 47 Per le differenti opinioni espresse in dottrina sulla validità del consenso iugoslavo v. LAGRANGE, op. cit., 343, CONDORELLI, op. cit., 37; B ARTOLOMEOLI, Il regime di amministrazione delle Nazioni Unite per il Kosovo, in SCISO (a cura di), op. cit., 94; CERONE, Minding the Gap: Outlining KFOR Accountability in Post-Conflict Kosovo, in EJIL, 2001, 484; MILANO, op. cit., 1004 ss.; VON CARLOWITZ, UNMIK Lawmaking, between Effective Peace Support and Internal Self-determination, in AVR, 2003, 343; ARDAULT, ARION, GNAMOU-PETAUTON e YETONGNON, op. cit., 332 ss.
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autorità iugoslave e serbe e la KFOR del 9 giugno 1999 (c.d. Accordo di Kumanovo)48. La risoluzione 1244 è stata adottata sul presupposto che la situazione nella regione continuasse a costituire una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale e richiama il capitolo VII ai fini di assicurare la sicurezza del personale internazionale e di garantire a tutti i soggetti operanti in Kosovo, a partire dalle due presenze internazionali, la possibilità di svolgere le proprie attività. L’UNMIK ha avuto il compito di amministrare quel territorio per garantirne l’autonomia sostanziale nell’ambito della RFI e quello di creare le istituzioni provvisorie democratiche di autogoverno per una convivenza pacifica e per una vita normale per tutti gli abitanti del Kosovo49. La risoluzione non parla di autodeterminazione del Kosovo, il che appare peraltro condivisibile, in quanto alla situazione in questione non sembra applicabile quel diritto, quanto piuttosto le norme a tutela delle minoranze50. Come già accennato, accanto alla presenza civile il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri e le organizzazioni internazionali ad istituire una presenza internazionale militare sotto comando unificato51. La KFOR si pone su un piano di parità, non di subordinazione, rispetto all’UNMIK. Sul piano operativo c’è solo la richiesta di uno stretto coordinamento, anche se entrambe dipendono dalla volontà del Consiglio di Sicurezza52. Per l’UNMIK ciò implica un controllo diretto e stringente, mentre per la KFOR vi è il blando controllo conseguente all’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, con i limiti 48
Cfr. UN Doc. S/1999/649. Sulla possibile legittimità dell’Accordo di Kumanovo in base al principio di effettività e al perseguimento da parte della KFOR di un interesse fondamentale della Comunità internazionale v. MILANO, op. cit., 1020 s. 49 Cfr. i paragrafi 6, 10 e 11 della risoluzione 1244. 50 In tema v. l’analisi condotta da QUANE, A Right to Self-Determination for the Kosovo Albanians?, in Leiden JIL, 2000, 219 ss. 51 Cfr. i paragrafi 7 e 9 della risoluzione 1244 e il par. 4 dell’allegato 2 alla medesima. In tema v. GUILLAUME, MARHIC e ETIENNE, Le cadre juridique de l’action de la KFOR au Kosovo, in AFDI, 1999, 308 ss. 52 Nel par. 6 della risoluzione 1244, infatti, il Consiglio chiede al Segretario Generale di istruire il proprio Rappresentante speciale al fine di realizzare uno stretto coordinamento con la KFOR, per assicurare che le due operazioni operino verso gli stessi obiettivi e attraverso un reciproco rafforzamento; allo stesso modo, il par. 9, lett. f), include, tra i compiti della KFOR, quello di sostenere e coordinarsi strettamente con l’UNMIK. CORELL, The Role of the United Nations in Peacekeeping – Recent Developments from a Legal Perspective, Conference “National Security Law in a Changing World: The Tenth Annual Review on the Field” (Washington, 1 December 2000), consultabile sul sito untreaty.un.org, 6: «In Kosovo the United Nations has only a civilian administration [...]. KFOR is not a UN operation» (l’autore era, all’epoca dei fatti, Under-Secretary-General for Legal Affairs e Legal Counsel dell’ONU); MATHESON, op. cit., 79.
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che derivano dal mandato specifico ad essa assegnato e dall’obbligo per gli Stati (e/o l’organizzazione regionale) autorizzati ad usare la forza di presentare rapporti allo stesso Consiglio. La scelta di affidare il mandato di amministrazione civile e quello di enforcement a due operazioni tra loro indipendenti, pur legittima sotto il profilo giuridico, appare peraltro non opportuna nel caso di un’operazione avente la funzione di amministrazione diretta di un territorio, la quale, per essere credibile, ha talora bisogno di “mostrare i muscoli”. Le vicende relative a Timor est hanno invece riguardato un territorio che fino alla metà degli anni ‘70 fu colonia portoghese e che, una volta ottenuta l’indipendenza nel contesto dell’autodeterminazione, fu occupato con la forza e annesso all’Indonesia, dando vita ad una situazione di occupazione illegittima53, condannata dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza54 e non riconosciuta dalla quasi totalità degli Stati, con la significativa eccezione dell’Australia, che l’11 dicembre 1989 concluse un trattato con l’Indonesia per lo sfruttamento della piattaforma continentale di Timor est55. Come accennato, il 5 maggio 1999 Portogallo e Indonesia raggiunsero un Accordo sulla questione di Timor est e ne stipularono altri due con il Segretario Generale dell’ONU56, sulle modalità di svolgimento di un referendum al fine di permettere alla popolazione di Timor est la scelta tra un regime di ampia autonomia all’interno 53
Per una ricostruzione dei principali avvenimenti e per ulteriori riferimenti bibliografici v. CHINKIN, East Timor: A Failure of Decolonization, in Australian YIL, 1999, 35 ss.; VILLANI, L’ONU di fronte alla crisi di Timor Est, in Volontari e terzo mondo, 1999, n. 3, 57 ss.; ROTHERT, U.N. Intervention in East Timor, in Colum. J Trans. L, 2000, 257 ss.; D REW, The East Timor Story: International Law on Trial, in EJIL, 2001, 651 ss.; FERRER LLORET, op. cit., 92 ss. e 140 ss.; SMITH e DEE, Peacekeeping in East Timor. The Path to Independence, Boulder-London, 2003, 33 ss. 54 Cfr., tra quelle adottate subito dopo l’annessione, le risoluzioni 3485 (XXX) del 12 dicembre 1975 dell’Assemblea e 384 del 22 dicembre 1975 del Consiglio. 55 Il Timor Gap Treaty (Treaty between Australia and the Republic of Indonesia on the Zone of Cooperation in an Area between the Indonesian Province of East Timor and Northern Australia) e la connessa violazione del diritto all’autodeterminazione del popolo di Timor est furono al centro della controversia portata nel 1991 dal Portogallo contro l’Australia davanti alla Corte internazionale di giustizia, la quale si pronunciò il 30 giugno 1995 e, pur affermando di non poter decidere il merito della controversia senza occuparsi della legittimità della presenza indonesiana a Timor est, il che le era precluso dal momento che l’Indonesia non era parte alla controversia e non riconosceva la competenza della Corte, affermò il carattere cogente della norma sull’autodeterminazione dei popoli. In tema v., anche per ulteriori riferimenti biblio-grafici, C RAWFORD, The Creation of States in International Law, 2ª ed., Oxford, 2006, 168 ss. 56 Cfr. UN Doc. A/53/951-S/1999/513, allegati I-III.
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dell’Indonesia e l’indipen-denza57. Nel caso in cui fosse prevalsa questa seconda opzione, l’art. 6 dell’Accordo già prefigurava l’istituzione di un’Amministrazione dell’ONU al fine della creazione delle strutture di governo del futuro Stato est-timorese58. Il referendum ebbe luogo il 30 agosto 1999, il risultato fu a grande maggioranza nel senso dell’indipendenza, ma prima che l’Amministrazione dell’ONU potesse insediarsi, la violenza delle milizie pro-indonesiane sconvolse il territorio, al punto che il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 1264 del 15 settembre 1999, agendo ai sensi del capitolo VII, autorizzò l’invio di una forza multinazionale (INTERFET, International Force for East Timor, guidata dall’Australia)59, con il mandato di usare “tutti i mezzi necessari” al fine di far cessare le violenze e consentire il dispiegamento dell’Amministrazione territoriale60. L’UNTAET (United Nations Transitional Administration in East Timor), che comprendeva una componente militare (che poteva utilizzare tutti i mezzi necessari a realizzare il proprio mandato e costituiva un’evoluzione dell’INTERFET) e una componente civile61, fu istituita dal Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 1272 del 25 ottobre 1999, agendo in base al capitolo VII62, con il mandato di esercitare la piena autorità legislativa ed esecutiva, inclusa l’amministrazione della giustizia. Nel caso di Timor est è applicabile il principio di autodeterminazione dei popoli e, anche se il Consiglio di Sicurezza non lo menziona nella risoluzione 1272, nel par. 8 esso afferma la 57
Accolti positivamente dal Consiglio di Sicurezza il 7 maggio 1999 (risoluzione 1236). BURDEAU, Quelle voie pour le Conseil de sécurité après l’affaire du Kosovo? Le ban d’essai du Timor-Oriental, in International Law FORUM du droit international, 2000, 33, afferma: «L’eventualité d’une administration temporaire du territoire par l’ONU […] était donc expressément envisagée et, compte tenu des prévisions, devenait la plus vraisemblable». In senso opposto v. BOTHE e MARAUHN, op. cit., 239 ss. 59 BENZING, Midwifing a New State: The United Nations in East Timor, in Max Planck YUNL, 2005, 308, rileva: «Ironically, Australia, the only state that had recognised Indonesia’s claim to East Timor, now volunteered to “act in defence” of the right to self-determination of the territory’s population». 60 Cfr. i paragrafi 3, 10 e 11 della risoluzione 1264. In tema v. VILLANI, L’ONU di fronte alla crisi di Timor Est, cit., 60 ss.; CAHIN, L’action internationale au Timor oriental, in AFDI, 2000, 139 ss.; ROTHERT, op. cit., 272 ss.; TOOLE, A False Sense of Security: Lessons Learned from the United Nations Organization and Conduct Mission in East Timor, in Amer. UILR, 2000, 199 ss.; ABLINE, De l’independance du Timor-Oriental, in RGDIP, 2003, 349 ss. 61 DE CONING, The UN Transitional Administration in East Timor (UNTAET): Lessons Learned from the First 100 Days, in Int. Pk. (Kluwer), 2000, n. 2-3, 83 ss. 62 Cfr. anche le successive risoluzioni 1338 del 31 gennaio 2001 e 1392 del 31 gennaio 2002, con cui fu prorogato il mandato dell’UNTAET, fino all’indipendenza del nuovo Stato. 58
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necessità per l’UNTAET di consultarsi e cooperare pienamente con il popolo di Timor est in modo da realizzare effettivamente il proprio mandato in vista dello sviluppo di istituzioni democratiche locali, cui in seguito trasferire le proprie funzioni amministrative63. 4. Le Amministrazioni territoriali, sono qualificabili quali organi sussidiari del Consiglio di Sicurezza ai sensi dell’art. 29 della Carta64 e sono gestite dal Segretario Generale65, a ciò delegato dal Consiglio di Sicurezza ai sensi dell’art. 98 della Carta. Il Segretario Generale è tenuto a presentare al Consiglio di Sicurezza rapporti periodici66 e, su
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CHESTERMAN, op. cit., 136 ss., rileva una contraddizione nella risoluzione 1272 tra la volontà di consentire agli abitanti di Timor est di proseguire in autonomia verso la realizzazione di uno Stato indipendente e la scelta di un modello di Amministrazione territoriale simile all’UNMIK. Sul modo eccessivamente ampio in cui l’UNTAET ha interpretato il proprio mandato ed i relativi poteri, a discapito della popolazione di Timor est, v. CHOPRA, Introductory Note to UNTAET Regulation 13, in ILM, 2000, 938; ID., The UN’s Kingdom in East Timor, in Survival, 2000, n. 3, 31 ss.; K ONDOCH, op. cit., 250; BONGIORNO, A Culture of Impunity: Applying International Human Rights Law to the United Nations in East Timor, in Colum. HRLR, 2002, 656 s. In senso opposto, almeno in una fase successiva al suo dispiegamento, una volta costituite le prime istituzioni rappresentative locali, v. MORROW e WHITE, The United Nations in Transitional East Timor: International Standards and the Reality of Governance, in Australian YIL, 2002, 28. 64 Nel senso indicato nel testo v. RUFFERT, op. cit., 622 (che le qualifica anche quali organi sussidiari dell’Organizzazione ai sensi dell’art. 7, par. 2 della Carta). IRMSCHER, The Legal Framework for the Activities of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo: The Charter, Human Rights, and the Law of Occupation, in GYIL, 2001, 355 s. (nota 8 e testo corrispondente), invece, qualifica l’UNMIK come «an agency within the Secretariat». Di una natura “ibrida” di queste operazioni sotto il profilo organizzativo parla anche BOTHE, op. cit., 687. In generale sull’art. 29 si vedano i commenti di PAULUS, Article 29, in SIMMA (ed.), op. cit., 539 ss., e di DECAUX, Article 29, in COT, PELLET e FORTEAU (dir.), La Charte des Nations Unies. Commentaire article par article, 3ª ed., vol. I, Paris, 2005, 975 ss. Quest’ultimo rileva come il Consiglio di Sicurezza «tend à créer dans sa mouvance des organes dotés de moyens puissants, déplaçant ainsi le centre de gravité de l’organisation» (991). 65 In tema v., in generale, PINESCHI, Le operazioni delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, Parte I, Le competenze degli organi delle Nazioni Unite, Padova, 1998, 232; SAROOSHI, The Role of the United Nations Secretary-General in United Nations Peace-Keeping Operations, in Australian YIL, 1999, 279 ss.; G ARGIULO, op. cit., 169 s.; VAURS-CHAUMETTE, Article 98, in COT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., vol. II, 2046 ss. Con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 102, hanno messo in luce l’accresciuto ruolo del Segretario Generale, sul piano normativo e operativo, definendolo quale «organe de sinthèse des pouvoirs de l’Organisation». 66 PINESCHI, op. cit., 256 s.
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delega dello stesso Consiglio, nomina il capo-missione, che di regola è chiamato Rappresentante speciale del Segretario Generale67. I principali tratti distintivi delle operazioni di amministrazione territoriale dell’ONU sono l’estensione dei loro poteri (esecutivi, legislativi e giudiziari)68 e il loro accentramento nella persona del Rappresentante speciale69. Anche se la risoluzione 1244 non era esplicita in tal senso, con la sezione 1.1 del regolamento 1999/1, il primo adottato dall’UNMIK, il Rappresentante speciale si assegnò poteri molto ampi di amministrazione del Kosovo70: «All legislative and executive authority with respect to Kosovo, including the administration of the judiciary, is vested in UNMIK and is exercised by the Special Representative of the Secretary-General»71. Più 67
In tema v. PECK, Special Representatives of the Secretary-General, in MALONE (ed.), op. cit.: «SRSG becomes the head of mission and has authority over all its components, as well as all aspects of its management and functioning» (327); «The tasks required for an SRSG managing a transitional authority in which the UN temporarily takes over the function of a government [...] are even more challenging» (328). 68 CORELL, Authorization for State-Building Missions: Legal Issues Related to Their Creation and Management, in ASIL Proc, 2005, 31 ss., rileva: «If, like in the situations of Kosovo and East Timor, the UN mission is charged with the government of the territory, the picture changes completely». Ma v. anche la posizione pragmatica di CAPLAN, op. cit., 10, il quale rileva come un’amministrazione internazionale dotata di piena autorità esecutiva abbia maggiori possibilità di raggiungere i propri obiettivi rispetto ad un’operazione di peacekeeping avente unicamente poteri di supervisione e controllo. 69 CHESTERMAN, op. cit., 155, rileva come l’UNMIK e l’UNTAET rappresentino l’unico caso in cui un’operazione delle Nazioni Unite ha esercitato «full judicial power within a territory». Sull’accentramento dei poteri v. MORROW e WHITE, op. cit., 17 ss.; ABLINE, op. cit., 364 s.; VON CARLOWITZ, op. cit., 346; BENZING, op. cit., 343 ss.; KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 270 s. L’ampiezza dei poteri conferiti ai Rappresentanti speciali del Segretario Generale in queste due Amministrazioni territoriali ha portato HILL HAWK, Constructing the Stable State, Goals for Intervention and Peacebuilding, Westport-London, 2002, 98, a paragonarli a quelli di uno “zar”, mentre SASSÒLI, Droit international pénal et droit pénal interne: le cas des territoires se trouvant sous administration internationale, in HENZELIN e ROTH (pub.), Le droit pénal à l’épreuve de l’internationalisation, Paris-Genève-Bruxelles, 2002, 127, definisce il Rappresentante speciale come un «souverain de l’époque absolutiste» e DAUDET, op. cit., 521, come un «véritable chef de gouvernement». Più in generale, SALAMUN, op. cit., 125, afferma: «the absence of binding legal rules for the exercise of power by representatives of the international organisation [...] displays obvious similarities with a dictatorship». Per una critica all’accentramento dei poteri in capo ad un solo responsabile v. già MARAZZI, I territori internazionalizzati, Torino, 1959, 125. 70 Il regolamento 1999/1 (On the authority of the interim Administration in Kosovo) è stato adottato il 25 luglio 1999. BRAND, Effective Human Rights Protection when the UN ‘Becomes the State’: Lessons from UNMIK, in WHITE e KLAASEN (eds.), The UN, Human Rights and Post-Conflict Situations, Manchester, 2005, 348 ss. 71 In tal senso cfr. già il par. 35 del rapporto del 12 luglio 1999 con cui il Segretario Generale propose al Consiglio la struttura e i poteri dell’UNMIK (UN Doc. S/1999/779).
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esplicita in tal senso fu la successiva risoluzione 1272, il cui par. 1 affermò che l’UNTAET «will be empowered to exercise all legislative and executive authority, including the administration of justice»72. L’idea alla base di questo ampio conferimento di poteri è che, nei casi considerati, l’esercizio da parte dell’Organizzazione di poteri di governo può garantire la pace nel territorio in questione. Non si tratta di un esercizio illimitato, in quanto l’Amministrazione agisce nell’ambito del mandato conferito dal Consiglio di Sicurezza e deve essere conforme alle norme consuetudinarie a carattere cogente e a quelle della Carta ONU73. Ma, fintantoché l’Amministrazione esercita il proprio potere di governo, quelli del sovrano territoriale sono fortemente limitati74, quando non addirittura sospesi75. Si potrebbe parlare di una sovranità formale in capo al sovrano territoriale e di una sovranità sostanziale in capo all’Amministrazione territoriale, ovvero di una sovranità posseduta dallo Stato e/o dalla popolazione, che ne trasferisce l’esercizio in maniera temporanea all’Amministrazione dell’ONU76. Non sarebbe però corretto affermare che essa ha 72
Cfr. anche il par. 6, che assegnò al Rappresentante speciale il potere «to enact new laws and regulations and to amend, suspend or repeal existing ones». 73 È rilevante in tal senso l’opinione di CORELL, The Role of the United Nations, cit., 5; BOTHE e MARAUHN, op. cit., 237. 74 VIRALLY, op. cit., 297, parla di «souveraineté [...] gravement compromise [per uno Stato] si des autorités extérieures acquièrent le droit d’agir sur son territoire et d’exercer un pouvoir sur les personnes qui s’y trouvent». 75 Così si esprime SALZANO, ONU e Kosovo: un caso sui generis, in BALDI e BUCCIANTI (a cura di), Le Nazioni Unite viste da vicino. Aspetti e problemi dell’attività dell’ONU e dell’azione dell’Italia, Padova, 2006, 105, il quale, pur rilevando il carattere non appropriato di tale secondo il diritto internazionale, nondimeno lo utilizza per mettere in luce il carattere peculiare della situazione del Kosovo sotto l’amministrazione dell’UNMIK. Di sovranità sospesa, con riferimento alla situazione della RFI rispetto al Kosovo, parlano RINGELHEIM, The Legal Status of Kosovo, in EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE, Kosovo, 1999-2000. The Intractable Peace, consultabile sul sito www.iue.it; STAHN, International Territorial Administration, cit., 135; FRIEDRICH, UNMIK in Kosovo: Struggling with Uncertainty, in Max Planck YUNL, 2005, 242; A RDAULT, A RION, GNAMOU-PETAUTON e YETONGNON, op. cit., 339. In tema di sovranità in relazione ai territori sottoposti ad amministrazione internazionale, si rinvia a YANNIS, The Concept of Suspended Sovereignty in International Law and Its Implications in International Politics, in EJIL, 2002, 1037 ss.; KNOLL, United Nations Imperium: Horizontal and Vertical Transfer of Effective Control and the Concept of Residual Sovereignty in “Internationalized Territoires”, in Austrian RIEL, 2004, 3 ss.; SALAMUN, op. cit., 31 ss. 76 In questo senso v. BRAND, Institution-Building and Human Rights Protection in Kosovo in the Light of UNMIK Legislation, in Nordic JIL, 2001, 463; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., 119; RIGAUX, Guerres et interventions dans le sud-est européen, Paris, 2004, 202 (che parla di scissione degli attributi della sovranità); DE WET, op. cit., 331; SALAMUN, op. cit., 29. DAUDET, op. cit., 470 ss., rileva come la possibilità di istituire
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sovranità “piena” sul territorio77, in quanto l’ONU interviene in base ad accordi tra le parti o con il consenso del sovrano territoriale e non è competente a determinare autonomamente il destino del territorio78. Ciò costituisce, in ultima analisi, una tra le maggiori prerogative della “piena” sovranità e la distingue da quella che autorevole dottrina indica quale sovranità “qualificata”, che comprende il diritto alla potestà di governo, ma non il diritto di disporre del territorio79. L’accentramento in capo all’operazione e nella persona del Rappresentante speciale del Segretario Generale, che la guida, dei poteri esecutivi, legislativi e giudiziari fa emergere due principali questioni: quella del loro esercizio in via esclusiva da parte dell’Amministrazione e quello della mancanza di una divisione tra i poteri. Rispetto alla prima questione, si segnala che solo in casi estremi e di particolare urgenza le Amministrazioni territoriali hanno dovuto esercitare in autonomia questi poteri, senza quindi condividerli con le istituzioni politiche locali. In molti casi, anzi, uno dei principali compiti dell’Amministrazione è stato quello di creare istituzioni locali di governo, rappresentative del territorio (oltre che istituzioni giudiziarie), e trasferire progressivamente a queste gli anzidetti poteri. La ripartizione dei poteri con le istituzioni locali si è comunque sviluppata Amministrazioni territoriali sia favorita da un contesto internazionale in cui la sovranità non è più intesa come concetto unitario e ad appannaggio esclusivo dello Stato. 77 CHOPRA, Introductory Note, cit., 936 ss., afferma tra l’altro, con riferimento all’UNTAET, che questa ha rappresentato «in every respect the formal government of the country», che la risoluzione 1272 «was the instrument for bestowing sovereignty over East Timor to the U.N.» e che «the U.N. had achieved a form of statehood in East Timor». Simile è la posizione di RINGELHEIM, op. cit., e di STAHN, International Territorial Administration, cit., 171, con riferimento all’UNMIK, almeno sino all’approvazione del regolamento n. 2001/9 del 15 maggio 2001, contenente il Constitutional framework for provisional selfgovernment in Kosovo, che ha portato ad una condivisione dei poteri con le istituzioni locali. 78 ZIMMERMANN e STAHN, Yugoslav Territory, United Nations Trusteeship or Sovereign State? Reflections on the Current and Future Legal Status of Kosovo, in Nordic JIL, 2001, 423 ss. 79 CONFORTI, Sovranità sui Paesi in amministrazione fiduciaria e rapporti tra gli ordinamenti dell’amministrante e dell’amministrato, in RDI, 1955, 23; LAUTERPACHT, The International Personality of the United Nations. Capacity to Administer Territory, in ICLQ, 1956, 410; MARAZZI, op. cit., 80 ss. (che parla a tal proposito di internazionalizzazione “parziale” o “totale” a seconda che intervenga in territori posti o meno sotto la sovranità di uno Stato); SOLÁ DOMINGO, La competencia de administración de territorios por las organizaciones internacionales, in REDI, 1982, 132 ss. (che parla di una competenza di natura funzionale in capo all’Organizzazione, contrapposta alla competenza di natura territoriale, che è quella esercitata di regola dagli Stati); LAGRANGE, op. cit., 350. In senso diverso v. GORDON, Some Legal Problems with Trusteeship, in Cornell ILJ, 1995, 316: «Control of internal and external affairs is the essence of sovereignty, and surrendering all powers over these matters to another entity is a relinquishment of sovereignty».
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nel contesto di una rigida gerarchia, in quanto l’Amministrazione territoriale ha il potere di modificare o bloccare ogni decisione adottata dalle istituzioni locali, incluse quelle scelte dai cittadini, che venga ritenuta contraria al mandato dell’operazione. L’altro rilevato profilo di perplessità riguarda l’intrinseca contraddizione tra l’accentramento dei poteri in capo al Rappresentante speciale e l’affermazione, da parte delle Nazioni Unite, dei principi di democrazia e dello stato di diritto. L’accentramento dei poteri nelle mani di un’unica struttura e la connessa mancanza di un equilibrio tra i poteri e di un reciproco controllo non appaiono, infatti, espressione di principi democratici80; emerge quindi la difficoltà di conciliare l’obiettivo, costituire le Amministrazioni territoriali per creare istituzioni di governo democratiche e rappresentative, e lo strumento a tal fine utilizzato, l’accentramento dei poteri in capo alle Amministrazioni81. Questa critica appare ancor più fondata se si considerano l’esiguità e la scarsa incisività dei meccanismi di controllo sugli atti e i comportamenti delle Amministrazioni territoriali, sia quelli interni all’ONU, sia quelli ad essa esterni. D’altro canto, alcuni hanno rilevato come, di fronte alla minaccia alla pace, sia possibile giustificare una temporanea sospensione, totale o parziale, della sovranità sul territorio e che comunque non sarebbe corretto valutare un’Amministrazione territoriale utilizzando i canoni della democrazia rappresentativa, ossia di un governo responsabile di fronte alla popolazione su cui esercita le proprie funzioni82. La circostanza di esercitare poteri legislativi ed esecutivi comporta in capo all’Amministrazione l’onere di disciplinare una grande quantità di aspetti relativi alla gestione quotidiana del territorio stesso e alla vita dei suoi abitanti, incidendo quindi in maniera diretta e rilevante sul sistema normativo applicabile e occupandosi anche della sua effettiva messa in opera83. Inoltre, i funzionari internazionali 80
CHESTERMAN, op. cit., 150 s., utilizza al proposito l’espressione «‘do-as-I-say-not-as-Ido governance’»; BONGIORNO, op. cit., 655 s.; MARSHALL e INGLIS, The Disempowerment of Human Rights-Based Justice in the United Nations Mission in Kosovo, in Harvard Human Rights Journal, 2003, 114 s. 81 CAHIN, op. cit., 162; CHESTERMAN, Kosovo in Limbo: State-Building and “Substantial Authonomy”, August 2001, consultabile sul sito www.ipacademy.org, 10. 82 CAPLAN, op. cit., 77. 83 STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., 145, definisce ciò come una “internazionalizzazione” del sistema giuridico precedentemente applicabile nel territorio. In senso critico sull’attribuzione da parte del Consiglio di Sicurezza di poteri legislativi all’UNTAET, definita da tale autore quale operazione di peace-keeping, v. DE HOOGH,
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sono al contempo anche gli amministratori pubblici nel territorio interessato dall’operazione, secondo quella che la Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina ha definito “functional duality”84, e sono quindi qualificabili, per riprendere un’espressione da tempo proposta in dottrina, come «organi internazionali di attività interna degli Stati interessati»85. Tra le caratteristiche peculiari delle Amministrazioni territoriali rientra quella per cui i loro atti non hanno unicamente il valore di atti dell’Organizzazione, ma anche di atti normativi applicabili nel territorio86. Essi, definiti genericamente “regolamenti”, hanno un valore giuridico superiore al diritto già vigente nel territorio, in quanto adottati dall’autorità internazionale che in esso esercita funzioni di governo, per cui si realizza una compenetrazione tra il diritto applicabile nel Attribution or Delegation of (Legislative) Power by the Security Council? The Case of the United Nations Transitional Administration in East Timor (UNTAET), in Yearbook IPO, 2001, 26 ss. Per una diversa ricostruzione v. DE WET, The Chapter VII Powers of the United Nations Security Council, Oxford-Portland, 2004, 315, secondo cui la delega del potere di adottare decisioni e atti vincolanti trova fondamento e legittimazione nell’art. 98 della Carta. La natura “duale” delle Amministrazioni territoriali era già stata affermata con riferimento al Consiglio per la Namibia; cfr. il memorandum del 20 aprile 1982 indirizzato al Segretario Generale dall’Ufficio legale dell’ONU, in Annuaire juridique des Nations Unies, 1982, 190. Cfr. anche la risoluzione dell’Assemblea Generale A/32/9F dell’11 novembre 1977, che separava le funzioni del Consiglio quale organo sussidiario dell’ONU da quelle svolte quale amministratore del territorio namibiano. 84 Caso U 9/00 del 3 novembre 2000, e anche il successivo caso U 25/00 deciso il 23 marzo 2001 (le sentenze cono consultabili sul sito www.ustavnisud.ba). In tema, anche per osservazioni critiche sull’approccio troppo riduttivo assunto dalla Corte nel caso U 9/00, v. MARKO, Challenging the Authority of the UN High Representative Before the Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina, in DE WET, NOLLKAEMPER e DIJKSTRA (eds.), Review of the Security Council by Member States, Antwerp, 2003, 113 ss. Con riferimento all’UNMIK e all’UNTAET, v. RUFFERT, op. cit., 626 s.; VON CARLOWITZ, op. cit., 344; KNOLL, From Benchmarking to Final Status? Kosovo and the Problem of an International Administration’s Open-Ended Mandate, in EJIL, 2005, 645. MARTIN, East Timor. A Field Perspective, in MALONE (ed.), op. cit., 571, rileva la confusione che questo duplice ruolo ha comportato nel caso dell’UNTAET, mentre WILDE, The United Nations as Government: The Tensions of an Ambivalent Role, in ASIL Proc., 2003, 214, e VON CARLOWITZ, op. cit., 383 segnalano la differenza di impostazione che caratterizza un funzionario internazionale da un funzionario governativo e il potenziale conflitto tra gli obiettivi perseguiti attraverso queste due funzioni. In senso contrario, ma non condivisibile, v. DAUDET, op. cit., 502 s. («le personnel est recruté par l’administration des Nations Unies pour servir l’administration des Nations Unies») e KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 112 s., sul presupposto che in Kosovo e a Timor est è mancato, almeno in una fase iniziale, un sistema giuridico locale autonomo. 85 ARANGIO-RUIZ, Diritto internazionale e personalità giuridica, Bologna, 1972, 207. 86 RUFFERT, op. cit., 622; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., 146 ss.; DAUDET, op. cit., 528 ss.; DE WET, The Chapter VII Powers, cit., 331. In senso dubitativo v., invece, BENZING, op. cit., 321.
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territorio e le norme progressivamente emanate dall’Amministrazione territoriale dell’ONU. In Kosovo e a Timor est i regolamenti in materia di diritto applicabile hanno previsto che continuassero ad applicarsi le norme del diritto iugoslavo e indonesiano precedenti all’istituzione delle due Amministrazioni87, a condizione che fossero compatibili con gli standards internazionali sui diritti umani, con il mandato assegnato alle Amministrazioni dalle risoluzioni istitutive del Consiglio di Sicurezza e con i regolamenti successivi emanati dalle stesse Amministrazioni88. Questa scelta, giustificata dalla necessità di evitare un vuoto normativo, ha comportato però dei problemi applicativi, in quanto, non specificando quali tra le norme precedentemente in vigore fossero da considerarsi compatibili, ha posto a carico degli operatori del diritto il difficile compito di interpretazione ed applicazione delle norme, caso per caso89. Un rilievo particolare, tra le norme applicabili nel territorio, hanno quelle internazionali pattizie a tutela dei diritti umani, che le Amministrazioni territoriali richiamano nei loro atti, senza che sia necessaria una procedura di ratifica ai fini della loro applicazione nei territori amministrati90. 5. Come accennato, non ci sono contestazioni alla competenza del Consiglio di Sicurezza ad istituire un’operazione di pace avente un mandato di amministrazione diretta di un territorio. Parte della dottrina ritiene che tale competenza si fondi su una norma 87
Del resto, non si tratta di una scelta innovativa. Già D AILLIER, L’administration internationale directe dans le contexte de la decolonisation, in Revue juridique et politique. Indépendance et coopération, 1973, 60, con riferimento all’UNTEA e al Consiglio per la Namibia, rilevava: «L’Organisation ne peut invoquer ni législation propre ni services publics en activité. Elle doit donc faire appel dans la mesure du possible aux Etats – ceux qui fournissent des contingents militaires pour les tâches de police et de securité du territoire – et à la legislation de l’Etat prédécesseur». 88 Si consideri, peraltro, che in Kosovo la sezione 3 del regolamento n. 1999/1 disponeva che il diritto applicabile fosse quello iugoslavo al momento dell’inizio dei bombardamenti da parte di numerosi Stati della NATO, salvo le norme che fossero in contrasto con gli standards internazionali sui diritti umani, ma l’UNMIK, a seguito delle proteste della maggioranza albanese, con la sezione 1.1, lett. b), del successivo regolamento n. 1999/24, dispose che il diritto applicabile sarebbe stato quello in vigore al 22 marzo 1989, data in cui fu soppresso il particolare status di autonomia della provincia, mentre quello iugoslavo successivo a tale data sarebbe stato applicato solo qualora disciplinasse materie diverse. 89 STROHMEYER, Collapse and Reconstruction of a Judicial System: The United Nations Missions in Kosovo and East Timor, in AJIL, 2001, 58 s. 90 DAUDET, op. cit., 532. In tema sia consentito il rinvio, anche per ampia bibliografia, al nostro studio su La tutela dei diritti umani nel Kosovo sotto amministrazione diretta dell’ONU, in Studi in onore di Vincenzo Starace, Napoli, 2008, p. 447 ss. (in corso di stampa).
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consuetudinaria, venutasi a creare in via di prassi e che proprio i casi dell’UNMIK e dell’UNTAET avrebbero cristallizzato91. Sono anche numerosi gli autori che, a proposito dell’UNMIK e dell’UNTAET, hanno richiamato, aggiornandola, la nozione di “trusteeship administration”92. Le Amministrazioni territoriali sono state considerate quali forme moderne di amministrazione fiduciaria, istituto del tutto nuovo e avente «caratteristiche largamente autonome e veramente peculiari», in cui «è l’intero capitolo VII a venire in rilievo [...] e a costituire la base e il punto di riferimento per il formarsi in capo all’Organizzazione di nuovi poteri di gestione normativi e fattuali»93. Altri, con specifico riferimento all’UNMIK, hanno parlato di a de facto trusteeship, che, pur non potendo essere propriamente inquadrata nel capitolo XII della Carta, persegue gli obiettivi posti dall’art. 76 e, mancando un accordo di amministrazione fiduciaria, poggia comunque sul consenso iugoslavo94. Non sarebbe peraltro possibile parlare di “reviviscenza” del capitolo XII della Carta, in quanto non solo mancano le condizioni da questo previste per l’esercizio, da parte dell’ONU, del compito di 91
CONFORTI, Le Nazioni Unite, 7ª ed., Padova, 2005, 221, afferma che nell’ONU tale prassi, «in una alla communis opinio degli Stati nel senso che l’intervento del Consiglio sia opportuno in ordine al mantenimento o al ristabilimento della pace», testimoniano a favore dell’esistenza di una norma consuetudinaria in materia. Nello stesso senso v. BRAND, Institution-Building, cit., 463; DE HOOGH, op. cit., 19 e 37; RUFFERT, op. cit., 616 ss.; BENZING, op. cit., 314 s. (che parla di un’acquiescenza degli Stati membri nel riconoscere tale potere al Consiglio nell’ambito del capitolo VII); KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 82. 92 STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., 182; FROWEIN e KRISCH, Article 41, in SIMMA (ed.), op. cit., 744; VON CARLOWITZ, op. cit., 362 ss.; HEINBECKER, op. cit., 549; FRIEDRICH, op. cit., 243 s. 93 PICONE, Le autorizzazioni all’uso della forza tra sistema delle Nazioni Unite e diritto internazionale generale, in RDI, 2005, 45 ss. 94 FRANCKX, PAUWELS e SMIS, An International Trusteeship for Kosovo: Attempt to Find a Solution to the Conflict, in St. Dipl., 1999, n. 5-6, 155 ss.; KONDOCH, op. cit., 253 s.; VON CARLOWITZ, op. cit., 345. Anche CAPLAN, op. cit., 57 s., afferma che le amministrazioni internazionali derivano la loro legittimità in parte dalla nozione di trust. GRIFFIN e JONES, Building Peace through Transitional Authority: New Directions, Major Challenges, in Int. Pk. (Frank Cass), 2001, n. 4, 77, parlano di “UN trusteeship”. Di “de facto U.N. trusteeship” aveva parlato già HAN, Building a Peace that Lasts: The United Nations and Post-Civil War Peace-Building, in New York Univ. JILP, 1994, 868 s., con riferimento all’azione dell’UNTAC in Cambogia (in adesione STAHN, International Territorial Administration, cit., 132 s.) e parlano ZIMMERMANN e STAHN, op. cit., 442, con riferimento all’UNMIK. RUFFERT, op. cit., 629 ss., con riferimento all’UNMIK, afferma trattarsi di una forma particolare di trust, se non fosse per la mancanza delle condizioni giuridiche poste dagli articoli 77, par. 1, e 78. Ma v. BENZING, op. cit., 330 s., che ha proposto di applicare per analogia a Timor est gli standards previsti dal capitolo XII per i territori sottoposti ad amministrazione fiduciaria.
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amministrazione fiduciaria, ma soprattutto perché il potere esercitato dalle Amministrazioni è stato più ampio di quello affidato alla potenza amministratrice e la loro istituzione è avvenuta da parte del Consiglio di Sicurezza ex capitolo VII, senza alcun cenno al capitolo XII95. Inoltre, lo stesso concetto di trusteeship e il riferimento a tale capitolo sono in contrasto con i caratteri e la finalità perseguiti dalle Amministrazioni territoriali, stante la loro connotazione coloniale96. Altri autori considerano tout court le Amministrazioni territoriali quali operazioni di mantenimento della pace multifunzionali97 o comunque quali casi in cui i compiti loro affidati raggiungono la massima estensione98. Nello stesso senso è collocabile l’opinione di chi delinea una differenza quantitativa, nel senso dell’ampiezza dei poteri esercitati, piuttosto che qualitativa, tra Amministrazioni territoriali e operazioni di mantenimento della pace, ponendosi le Amministrazioni quale tool for refined peacekeeping99. C’è poi chi ha affermato che l’UNMIK e l’UNTAET (assieme all’UNTAES) avrebbero dato vita ad una quarta categoria di operazioni di peace-keeping, caratterizzate dalla circostanza di non essere solo multifunzionali e “robuste”, ma dal fatto di svolgere in prima persona funzioni di governo nel territorio in cui sono dispiegate100. Infine, una soluzione di compromesso è quella di chi propone di considerare le Amministrazioni territoriali quali operazioni di mante95
Per una diversa ricostruzione v. SUHRKE , Peacekeepers as Nation-builders: Dilemmas of the UN in East Timor, in Int. Pk. (Frank Cass), 2001, n. 4, 7. 96 In tema v. DAUDET, op. cit., 467. Sulla difficoltà, pratica e concettuale, di realizzare un “modern trusteeship system” v. già le argomentazioni addotte da G ORDON, op. cit., 301 ss., in risposta all’idea di HELMAN e R ATNER, op. cit., 3 ss., di «resurrect the old trusteeship system and apply it to failed states». V. anche, per una radicale critica all’idea stessa di trusteeship, GORDON, Saving Failed States: Sometimes a Neocolonialist Notion, in American University Journal of International Law and Policy, 1997, 903 ss. Per il concetto di benevolent colonialism, con riferimento all’UNTAET a Timor est, v. già TRAUB, Inventing East Timor, in For. Aff., 2000, n. 4, 75. Ma v. anche CHESTERMAN, You, The People, cit., 47, che afferma la necessità di un approccio coloniale nell’amministrazione diretta di territori, quale temporaneo e «necessary evil». 97 KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 108. 98 SICILIANOS, L’ONU et la démocratisation de l’Etat, Paris, 2000, 224 (con riferimento all’UNMIK). Del resto, già CELLAMARE , L’Autorità Transitoria, cit., 332 ss., al fine di giustificare l’istituzione dell’UNTAC, affermò che le forze di peace-keeping, in ragione della molteplicità e della diversità delle situazioni in cui intervengono, possono perseguire scopi non tutti definibili a priori, poiché la norma consuetudinaria su cui poggiano «presenta un ambito obiettivo di applicazione non rigorosamente definito». In questo senso v. anche KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 108; RUFFERT, op. cit., 619. 99 BOTHE e MARAUHN, op. cit., 242. 100 VON CARLOWITZ, op. cit., 350. In questo senso v. già KONDOCH, op. cit., 246.
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nimento della pace di seconda generazione, affermando al contempo che esse avrebbero rivitalizzato l’idea di trusteeship presente nella Carta101. Tali ricostruzioni sono state oggetto di critica, sul presupposto che le Amministrazioni territoriali sono diverse dalle operazioni di mantenimento della pace sotto il profilo della relazione con gli organi dello Stato in cui sono dispiegate, in quanto esercitano poteri sovrani e non coesistono con organi statali102, mentre l’operazione di peacekeeping non sostituisce completamente il governo dello Stato in cui è dispiegata103. Inoltre, le Amministrazioni territoriali svolgono funzioni di governo, che di regola non rientrano tra quelle assegnate alle forze di peace-keeping104. A nostro avviso, piuttosto che cercare di inquadrare le Amministrazioni territoriali nell’ambito del concetto di operazioni di peacekeeping, con delle forzature, sarebbe più opportuno valutare le caratteristiche tipiche di tali operazioni alla luce del mandato assegnato alle Amministrazioni territoriali. Ciò, infatti, porta a ricostruire tutte le azioni decise dal Consiglio e da questo dirette in prima persona come “operazioni di pace”, quale categoria ampia in grado di comprendere non solo le Amministrazioni territoriali, ma ogni altra tipologia di operazioni istituite dal Consiglio al fine di esercitare la responsabilità principale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che gli Stati membri delle Nazioni Unite gli riconoscono ai sensi dell’art. 24 della Carta. Secondo la ricostruzione che pare preferibile, esisterebbe un’unica modalità “strutturale-istituzionale” – o, come è stato affermato per le operazioni di mantenimento della pace, uno “strumento d’azione”105 –, costituita dalle operazioni di pace, decise dal Consiglio di Sicurezza e aventi alcuni caratteri comuni (il consenso, l’imparzialità 101
STAHN, International Territorial Administration, cit., 120 ss. Del resto, PICONE , Il peace-keeping nel mondo attuale: tra militarizzazione e amministrazione fiduciaria, in RDI, 1996, 26, era da tempo giunto ad affermare che le operazioni di mantenimento della pace, in conseguenza dell’ampliamento delle funzioni assunte dall’ONU, svolgevano rilevanti compiti di peace-building, concludendo: «Esse finiscono perciò con l’assumere [...] funzioni quasi di amministrazione fiduciaria». 102 BOTHE, op. cit., 683. 103 BOTHE e MARAUHN, op. cit., 224. 104 CAPLAN, op. cit., 9 ss. 105 CELLAMARE, Le operazioni di peace-keeping, cit., 71: «l’espressione peace-keeping operations, nella sua genericità, allude a uno strumento d’azione connesso, per l’appunto, con il mantenimento della pace e non a un modello operativo predeterminato dal punto di vista dei compiti funzionali alla pace».
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e un uso della forza volto alla difesa personale e/o del mandato106, cui si accompagna il profilo operativo consistente nella delega al Segretario Generale per la loro organizzazione e gestione). Esse sono suscettibili di svolgere funzioni differenti a seconda del mandato di volta in volta ricevuto107 e la loro qualificazione giuridica dipenderà dal mandato108. Di conseguenza, le caratteristiche indicate, comuni a tutte le operazioni di pace, dovranno essere considerate alla luce del mandato che l’operazione è chiamata a svolgere e anche il fondamento giuridico dell’operazione dipenderà dal potere che il Consiglio esercita affidando loro un determinato mandato109. Per comprendere, quindi, “che cosa” viene istituito è necessario considerare quali sono le diverse funzioni che, di volta in volta, le operazioni sono chiamate a svolgere, a quale fine, con quale fondamento, con quali caratteristiche110. Il fatto di esercitare compiti di amministrazione territoriale non separa queste dalle altre operazioni di pace, ma la circostanza che il mandato loro affidato richieda un impegno quantitativamente (numero di funzioni da svolgere) e qualitativamente (tipo di funzioni da
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In tema v. FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e l’uso della forza, in RDI, 2001, 347 ss., anche per l’opportuna distinzione tra operazioni di mantenimento della pace e operazioni delle forze multinazionali autorizzate dal Consiglio di Sicurezza. Già BOWETT, United Nations Forces, London, 1964, 266 ss., distingueva le operazioni con funzioni di enforcement da quelle con funzioni di peace-keeping, in quanto queste ultime «for although [they] can be armed and become involved in fighting, [their] main purpose and intention is not military» (268). 107 Per utilizzare le parole di PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale, cit., 17 (nota 38), occorre «dar rilievo non ai modelli classificatori astratti delle varie operazioni di pace, ma alle diverse e sia pur principali finalità materiali degli interventi perseguibili dall’Organizzazione». 108 Appare quindi confermata l’opinione di PICONE, Il peace-keeping nel mondo attuale, cit., 27 (nota 68 e testo corrispondente) e 32 (nota 87 e testo corrispondente), che già nel 1996 negava l’esistenza di un unico modello e di un unico fondamento giuridico per tutte le operazioni di pace. Ciò non esclude la necessità di individuare il fondamento giuridico in base al quale le singole operazioni sono chiamate a svolgere le loro funzioni. In questo senso v. KAMTO, Le cadre juridique des operations de maintien de la paix des Nations Unies, in International Law FORUM du droit international, 2001, 101. 109 Con riferimento alle operazioni di peace-keeping, l’idea di un differente fondamento giuridico a seconda dei mandati è in BOWETT, op. cit., 266 ss.; PINESCHI, op. cit., 48 ss. 110 Con le Amministrazioni territoriali il Consiglio di Sicurezza decide infatti di perseguire al massimo grado quella che è stata definita una “paix sécuritaire”, piuttosto che limitarsi a garantire una “paix sectorielle”, come avviene con le operazioni aventi il tradizionale mandato di peace-keeping. Concetti sui quali v. DUPUY (R.J.), Le Conseil de sécurité en recherche de paix, in DAUDET (dir.), Les Nations Unies et la restauration de l’Ėtat, Paris, 1995, 15.
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svolgere) maggiore rispetto alle altre operazioni111, impone di considerare diversamente le caratteristiche di cui abbiamo parlato. La ricostruzione qui proposta, che emergeva già nel c.d. Rapporto Brahimi112, appare quella che meglio riesce a cogliere e razionalizzare la prassi recente delle operazioni decise dal Consiglio. A seconda dei casi, quindi, il fondamento della componente civile delle Amministrazioni territoriali andrebbe ricondotto ai poteri del Consiglio ex art. 41, mentre il fondamento della componente militare (di enforcement) è negli articoli 39 e 42113. In aggiunta alle menzionate disposizioni, alcuni autori richiamano la nota teoria dei poteri impliciti114, spesso facendo riferimento alla pronuncia del Tribunale Penale Internazionale per i crimini commessi nella ex-Iugoslavia nel caso Tadić115, in specie ai paragrafi 35 e 36116. In effetti, l’idea che le Amministrazioni territoriali costituiscano una “misura atipica” che il Consiglio è competente ad adottare ai sensi 111
DAUDET, op. cit., 465. Per un’opinione parzialmente differente v. GRIFFIN e JONES, op. cit., 75 ss. 112 Il Report of the Panel on the United Nations Peace Operations, del 17 agosto 2000, è contenuto in UN Doc. A/55/305-S/2000/309, del 21 agosto 2000. In tema v. BEN ACHOUR, Les opérations de maintien de la paix, in COT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., 280. 113 In questo senso, con riferimento alle Amministrazioni territoriali v. BOTHE e MARAUHN, op. cit., 231 ss.; KONDOCH, op. cit., 256 s.; STAHN, International Territorial Administration, cit., 131; ID., The United Nations Transitional Administrations, cit., 139 s.; DAUDET, op. cit., 488; BENZING, op. cit., 315 s.; FRIEDRICH, op. cit., 234; KOLB, PORRETTO e VITÉ, op. cit., 108. Con riferimento alle autorizzazioni, la loro legittimità in base agli articoli 39 e 42 è da tempo affermata da VILLANI, L’ONU e la crisi del Golfo, 3ª ed. riveduta ed ampliata, Bari, 2005, 83 s. 114 RUFFERT, op. cit., 620 s.; DAUDET, op. cit., 488 ss.; VON CARLOWITZ, op. cit., 341 ss.; FRIEDRICH, op. cit., 234 s.; A RDAULT, A RION, GNAMOU-PETAUTON e YETONGNON, op. cit., 326 ss. DE WET, The Chapter VII Powers, cit., 315. 115 Cfr. Prosecutor v. Dusko Tadić (IT-94-1), Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, 2 ottobre 1995. Nel senso indicato nel testo v. MATHESON, op. cit., 83 s.; NILSSON, UNMIK and the Ombudsperson Institution in Kosovo: Human Rights Protection in a United Nations “Surrogate State”, in NQHR, 2004, 391 (nota 11); YANNIS, The UN as Government in Kosovo, in Global Governance, 2004, 84. 116 Laddove il Tribunale afferma che «nothing in the Article [41] suggests the limitation of the measures to those implemented by States. The Article only prescribes what these measures cannot be. Beyond that it does not say or suggest what they have to be» (par. 35), per aggiungere: «Logically, if the Organization can undertake measures which have to be implemented through the intermediary of its Members, it can a fortiori undertake measures which it can implement directly via its organs, if it happens to have the resources to do so. It is only for want of such resources that the United Nations has to act through its Members. But it is of the essence of “collective measures” that they are collectively undertaken. Action by Member States on behalf of the Organization is but a poor substitute faute de mieux, or a “second best” for want of the first» (par. 36). Ma su questa pronuncia v. la decisa critica di ARANGIO-RUIZ, On the Security Council’s Law-Making, in RDI, 2000, 723 s.
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dell’art. 41117 trova conferma nei lavori preparatori della Carta ONU. Alla Conferenza di San Francisco, nella discussione in merito alle misure coercitive, fu infatti proposto dalla delegazione norvegese un emendamento, al fine di inserire nella Carta un riferimento espresso al potere del Consiglio di Sicurezza di «take over on behalf of the Organization, the administration of any territory of which the continued administration by the state in possession is found to constitute a threat to the peace»118. Di fronte al rilievo del delegato britannico che tale previsione avrebbe potuto essere considerata troppo specifica e quindi limitativa delle misure a disposizione del Consiglio, la delegazione norvegese accettò di ritirare il proprio emendamento «with the understanding that the record of the Committe’s work should show fully the grounds upon which the Delegate from the United Kingdom had opposed the amendment»119. 6. Come accennato, nella vicenda del Kosovo manca un accordo di riconciliazione nazionale120, ma vi sono intese parallele tra le due parti in conflitto, le Nazioni Unite e la NATO121. Non sono un accordo di riconciliazione nazionale i c.d. Accordi di Rambouillet122, ricciamati nella risoluzione 1244 unicamente nel quadro del processo politico
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LAGRANGE, op. cit., 344; ZIMMERMANN e STAHN, op. cit., 438; FROWEIN e K RISCH, op. cit., 743 s.; EISEMANN e LAGRANGE, Article 41, in COT, PELLET e FORTEAU (dir.), op. cit., 1221 s. 118 Cfr. Amendments and observations on the Dumbarton Oaks proposals, submitted by the Norwegian delegation (Doc. 2 G/7 (n) (1), del 3 maggio 1945), in Documents of the United Nations Conference on International Organization (San Francisco, 1945), vol. III, London-New York, 1945, 365 ss., partic. 371 s. 119 Cfr. Summary Report of eleventh meeting of Committee III/3, del 23 maggio 1945, e Report of Mr. Paul-Boncour, rapporteur of Committe III/3 to Commission III on Chapter VIII, section B (Doc. 881, III/3/46, del 10 giugno 1945), in Documents of the United Nations Conference, cit., vol. XII, rispettivamente a 354 s. e 357, e a 508 e 524. 120 Per CHESTERMAN, You, The People, cit., 169, un «deeper problem underlying UNMIK’s difficulties is the lack of any serious interest in reconciliation on the part of the local actors». 121 Il consenso all’istituzione di un’Amministrazione territoriale dell’ONU in Kosovo è stato prestato anche dalla minoranza albanese; cfr., in particolare, l’Accordo del 21 giugno 1999 tra l’UCK e il comandante della KFOR sulla demilitarizzazione di quel gruppo armato, o quello tra minoranza albanese e UNMIK del 15 dicembre 1999 sull’istituzione di una Joint Interim Administrative Structure, confluito nel regolamento 2000/1. L’UNMIK e la KFOR hanno concluso alcune intese anche con gruppi di serbi del Kosovo. 122 Il 18 marzo 1999 la delegazione kosovara albanese firmò i c.d. Accordi di Rambouillet (Interim Agreement for Peace and Self-Government in Kosovo, UN Doc. S/1999/648 del 7 giugno 1999), ma lo stesso non fecero i serbi, non convinti delle soluzioni cui si era pervenuti.
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volto alla sistemazione definitiva della situazione del Kosovo123. La mancanza di un accordo tra le parti in conflitto sullo status finale della provincia, che si riflette nell’ambiguità della risoluzione 1244124, ha reso assai complesso il lavoro dell’UNMIK125, che per un verso ha sviluppato le istituzioni di autogoverno dei kosovari, spesso senza la presenza dei serbi del Kosovo, per l’altro avrebbe dovuto fare in modo che queste non fossero percepite come le strutture di un futuro Stato kosovaro. Il Segretario Generale ha inizialmente articolato l’UNMIK in cinque fasi progressive e integrate, l’ultima delle quali avrebbe dovuto condurre alla definizione dello status definitivo del Kosovo126. Il permanere della distanza tra le parti ha portato il Rappresentante speciale del Segretario Generale a elaborare nel dicembre 2003 una strategia definita degli “standards before status”, focalizzata sul principio di discutere dello status finale solo dopo aver garantito il raggiungimento di alcuni standards in settori-chiave per la riconciliazione nazionale127. Inoltre, è rimasta inattuata la previsione del par. 6 dell’allegato 2 123
Cfr. par. 11, lett. b), della risoluzione 1244. Nella successiva lett. e), il Consiglio impegna l’UNMIK a facilitare il processo politico finalizzato a determinare il futuro status del Kosovo «taking into account» gli Accordi di Rambouillet. In ragione di ciò, appare forse eccessivo affermare, come fa SANTORI, The United Nations Interim Administration Mission in Kosovo and the Sovereignity and Territorial Integrity of the Federal Republic of Yugoslavia, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, vol. III, Napoli, 2004, 1693, che quegli Accordi «constituted the basis of UN action in Kosovo». 124 FROWEIN e KRISCH, Introduction to Chapter VII, in SIMMA (ed.), op. cit., 713, rilevano in generale come l’ambiguità della risoluzione 1244 rifletta il compromesso e la mancanza di un sostanziale accordo nel Consiglio di Sicurezza, il che ne impone un’interpretazione “restrittiva”. In tema v. KEOHANE , Secession Without Independence?, in Yearbook IPO, 2001, 360 ss.; YANNIS, Kosovo under International Administration, in Survival, 2001, n. 2, 31 ss.; ZIMMERMANN e STAHN, op. cit., 423 ss.; CHESTERMAN, Justice under International Administration: Kosovo, East Timor and Afghanistan, September 2002, consultabile sul sito www.ipacademy.org, 3 s.; DAUDET, op. cit., 522; TOMUSCHAT, op. cit., 326 ss.; SANTORI, op. cit., 1714 ss.; F RIEDRICH, op. cit., 260 ss. 125 Cfr. LAGRANGE, op. cit., 343 ss.; RINGELHEIM, op. cit.; RODRIGUEZ-PIÑERO ROYO, The International Mandate, in EUROPEAN UNIVERSITY INSTITUTE, op. cit.; STAHN, The United Nations Transitional Administrations, cit., 152; F RIEDRICH, op. cit., 250; ARDAULT, ARION, GNAMOU-PETAUTON e YETONGNON, op. cit., 342 ss. 126 Cfr. il citato rapporto S/1999/779. Le quattro fasi precedenti erano: creazione delle condizioni per lo stabilimento e il consolidamento della strutture dell’Amministrazione transitoria, amministrazione dei servizi sociali e consolidamento dello stato di diritto e trasferimento parziale dei poteri alle istituzioni locali (al termine di questa seconda fase si è avuta l’adozione del Constitutional framework), svolgimento di elezioni, creazione di istituzioni rappresentative quale premessa per il passaggio dei restanti poteri amministrativi. 127 Essi sono relativi a: funzionamento delle istituzioni democratiche, affermazione dei principi dello stato di diritto, libertà di movimento, ritorno degli sfollati e loro reinserimento
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alla risoluzione 1244, secondo il quale un certo numero di personale iugoslavo e serbo sarebbe dovuto tornare in Kosovo al fine di svolgervi alcuni compiti civili e militari128. In seguito il Segretario Generale ha cambiato strategia129. Nel novembre 2005 ha nominato Ahtisaari quale proprio Inviato speciale per discutere con il Governo serbo e la minoranza albanese la questione del futuro status del Kosovo. Dopo numerosi incontri con le parti e alcuni tentativi di trovare un accordo condiviso, stante la mancanza di una comune volontà non solo in merito all’approdo finale, ma anche su alcuni principi di base dai quali prendere le mosse in vista di una possibile intesa130, il 15 marzo 2007 Ahtisaari ha presentato il proprio progetto definitivo al Segretario Generale, che il 26 marzo lo ha trasmesso al Consiglio di Sicurezza, con il proprio “pieno sostegno”131. Il “piano Ahtisaari” prevede l’indipendenza del Kosovo, dopo un iniziale periodo di supervisione da parte della Comunità internazionale, posto che l’incertezza sullo status futuro sta polarizzando il confronto etnico e rischia di minacciare l’intera regione dei Balcani meridionali e che l’indipendenza costituisce l’unica possibilità di rendere politicamente stabile e economicamente sostenibile quel territorio. Il 17 febbraio 2008 l’Assemblea del Kosovo ha proclamato unilateralmente l’indipendenza dalla Serbia, accettando in pieno gli obblighi posti dal “piano Ahtisaari”, incluso un periodo di supervisione internazionale da parte di una missione dell’Unione Europea, per gli aspetti civili132, e della KFOR a guida NATO, per quelli militari. In ragione di quanto abbiamo rilevato, questa dichiarazione di indipendenza si pone in contrasto con la risoluzione 1244133 e non appare nella società, corretto funzionamento del sistema economico, disciplina dei diritti di proprietà, instaurazione di un dialogo con il Governo serbo, scioglimento dei Kosovo Protection Corps. 128 Sotto tale profilo, per una severa critica all’azione dell’UNMIK v. YANNIS, Kosovo under International Administration, cit., 31 ss. («Yugoslav presence [...] resembled a diplomatic mission inside its own state») e SANTORI, op. cit., 1718, che qualifica tali autorità «more as representatives of a foreign State than co-citizens of the same legal persons». 129 Cfr. i paragrafi 21-23 del rapporto del 23 maggio 2005 (UN Doc. S/2005/335). 130 Cfr. anche il rapporto della missione del Consiglio di Sicurezza che si è occupata della questione del Kosovo (UN Doc. S/2007/256 del 4 maggio 2007). 131 Cfr. UN Doc. S/2007/168 (il cui allegato 1 contiene la Comprehensive proposal for the Kosovo status settlement formulata da Ahtisaari). 132 Cfr. l’azione comune 2008/124/PESC relativa alla missione dell’Unione Europea sullo Stato di diritto in Kosovo (EULEX KOSOVO), adottata dal Consiglio il 4 febbraio 2008. 133 Il Segretario Generale, nel primo rapporto sulla situazione in Kosovo successivo alla dichiarazione di indipendenza, rileva come la risoluzione 1244 sia ancora vigente e come quella dichiarazione abbia reso più difficile per l’UNMIK lo svolgimento della propria azione in Kosovo. Cfr. i paragrafi 29 e 30 del rapporto del 28 marzo 2008 (UN Doc. S/2008/211).
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conforme alle consolidate regole di diritto internazionale, invocabili a tutela della sovranità della Serbia. Inoltre, al Kosovo mancano entrambi i requisiti che il diritto internazionale richiede affinché uno Stato possa essere soggetto internazionale, ossia l’effettività e l’indipendenza. Allo stesso modo, non appare legittimo il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo operato da numerosi Stati134, poiché se è vero che si tratta di un atto politico, nondimeno riconoscere l’indipendenza di un territorio presuppone la volontà di instaurare con il medesimo relazioni giuridiche internazionali, sotto forma di accordi, il che, stante l’illegittimità di quella dichiarazione unilaterale, comporta una violazione della sovranità serba e si pone quindi in contrasto con norme imperative del diritto internazionale. Né è convincente l’affermazione, contenuta nel “piano Ahtisaari” e riproposta in molti degli atti con cui gli Stati hanno riconosciuto il Kosovo indipendente, che si tratterebbe di “una soluzione unica per un caso unico”, poiché per otto anni il Kosovo è stato governato dalle Nazioni Unite in piena separazione dalla Serbia, il che ha reso tale separazione irreversibile. Ciò infatti dovrebbe valere quale critica al modo in cui l’UNMIK ha svolto il proprio mandato, piuttosto che come un elemento che contribuisce a violare la sovranità della Serbia135. L’elemento di ambiguità presente nella risoluzione 1244 distingue la situazione del Kosovo da quella di Timor est, laddove era fissato sin dall’inizio l’obiettivo dell’UNTAET. Ma l’indipendenza raggiunta nel maggio 2002 non ha risolto i profondi problemi di instabilità di quel territorio. Quello della exit strategy è un problema che riguarda tutte le operazioni di pace dell’ONU e che non si presta a soluzioni univoche, come segnalato dallo stesso Segretario Generale in un rapporto preparato ad hoc su richiesta del Consiglio di Sicurezza136. I tempi di realizzazione del trasferimento di poteri mutano a seconda della situazione concreta, ma in linea di massima si possono svolgere alcune considerazioni in merito. Il passaggio dei poteri, infatti, avviene per gradi, con 134
Per l’Italia cfr. la decisione assunta dal Consiglio dei ministri il 21 febbraio 2008 e l’intervento dell’allora Ministro degli esteri D’Alema alle Commissioni parlamentari riunite Esteri-Emigrazione del 20 febbraio 2008, in cui quella del Kosovo è definita un’indipendenza sui generis, in quanto «a sovranità limitata sotto la supervisione internazionale». 135 In tema v. le considerazioni di VILLANI, Un’indipendenza senza giustificazione giuridica: il Kosovo resta sotto “controllo” internazionale, in Guida al diritto- Diritto comunitario e internazionale, 2008, n. 3, 7 ss. 136 Cfr. No exit without strategy: Security Council decision-making and the closure or transition of United Nations peacekeeping operations (UN Doc. S/2001/394, 20 aprile 2001).
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un continuo impegno di mediazione tra le parti e solo una volta che sia stata riportata una relativa tranquillità nel territorio e sia avviato il processo di ricostruzione economica, senza “accelerazioni” che potrebbero rischiare di vanificare il lavoro compiuto dall’Amministrazione territoriale, ma cercando anche di evitare eccessivi “rallentamenti”, che farebbero emergere un problema di sovranità sul territorio e sulle scelte per esso determinanti. Considerati i poteri delle Amministrazioni territoriali, tali questioni risultano ancora più complesse137. A Timor est è stata adottata una strategia di disimpegno progressivo138, in quanto il trasferimento dei poteri alle istituzioni di governo del territorio è stato accompagnato dalla sostituzione dell’UNTAET dapprima con un’operazione avente un più limitato mandato volto al consolidamento della pace e, in seguito, con una avente meri compiti di assistenza tecnica, in modo da accompagnare il territorio, senza “abbandonarlo”139. Il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 1410 del 17 maggio 2002, ha sostituito l’UNTAET con l’UNMISET140, istituita in vista dell’indipendenza, che ha avuto luogo il 20 maggio 2002 con la nuova denominazione di Timor Leste141. All’UNMISET ha fatto seguito l’UNOTIL, costituito con la risoluzione 1599 del 28 aprile 2005142, composto da poche decine di unità di personale e avente unicamente compiti di sostegno alle istituzioni e all’apparato di polizia locali. 137
CAPLAN, op. cit., 55. In adesione v. SALAMUN, op. cit., 63: «ruling by decree risks that local population [...] will draw the wrong lessons from the more peremptory methods employed by transitional administrators». 138 Sull’approccio dell’UNTAET, improntato ad una notevole flessibilità, v. VIEIRA DE MELLO, View from the Field, in AZIMI e LI LIN (dir.), The Reform Process of United Nations Peace Operations, The Hague-London-Boston, 2001, 96. 139 DAUDET, op. cit., 511 s. 140 United Nations Mission of Support in East Timor (in seguito prorogata con le risoluzioni 1543 del 14 maggio 2004 e 1573 del 16 novembre 2004). In tema v. ISHIZUKA, Peacekeeping in East Timor: The Experience of UNMISET, in Int. Pk. (Frank Cass), 2003, n. 3, 44 ss. KLABBERS, Redemption Song? Human Rights Versus Community-Building in East Timor, in Leiden JIL, 2003, 370, considera la sostituzione dell’UNMISET all’UNTAET quale manifestazione della difficoltà dell’ONU nel settore del community-building; tale critica non appare condivisibile, in quanto quel settore era stato gestito per tre anni dall’UNTAET e poi trasferito alla popolazione di Timor est nell’esercizio del suo diritto all’autodeterminazione. 141 Si segnala peraltro che il Governo del nuovo Stato ritiene che questa data sia quella del riconoscimento internazionale di uno Stato indipendente sin dal 28 novembre 1975 e per lungo tempo sottoposto all’illegittima occupazione indonesiana. 142 United Nations Office in Timor-Leste, il cui mandato è stato in seguito prorogato fino al 25 agosto 2007 (cfr. le risoluzioni 1677 del 12 maggio 2006, 1690 del 20 giugno 2006 e 1703 del 18 agosto 2007).
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Quella di Timor est (oggi Timor Leste) avrebbe potuto quindi essere considerata una delle operazioni di pace meglio riuscite dell’ONU, inclusa l’appena ricordata transizione progressiva verso la stabilità. Essa ha però incontrato un serio ostacolo nel conflitto tra il Governo del nuovo Stato e una parte dell’esercito e delle forze di polizia, cui sono seguiti contrasti anche all’interno dello stesso Governo timorese. Il 24 maggio 2006 le autorità di Timor Leste hanno chiesto il sostegno militare di Australia, Malaysia, Nuova Zelanda e Portogallo, che hanno inviato forze militari e di polizia al fine di contribuire al ristabilimento dell’ordine pubblico, al rispetto della legge e al ritorno alla normalità. Anche il Consiglio di Sicurezza ha dovuto modificare la propria strategia e il 25 agosto 2006 ha approvato la risoluzione 1704, con cui oltre a mostrare apprezzamento e sostegno per l’azione condotta dai quattro Stati membri su richiesta del Governo timorese, ha istituito una nuova operazione per quel territorio, l’UNMIT (United Nations Integrated Mission in Timor-Leste), al fine tra l’altro di sostenere le autorità locali, contribuire allo svolgimento delle future elezioni e assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico143. Ad oggi, non sembra che la situazione nel Paese sia sostanzialmente migliorata, come testimoniano drammaticamente gli attentati dell’11 febbraio 2008 contro il Presidente e il Primo ministro144. 7. L’esercizio di ampi poteri di governo su un territorio da parte delle Amministrazioni territoriali ha anche comportato, per le strutture interne dell’ONU, l’emergere di alcuni problemi organizzativi e talvolta di una conflittualità, dovuti all’incerta divisione del lavoro tra il Dipartimento per gli affari politici (Department of Political Affairs, DPA) e quello per il peace-keeping (Department of Peacekeeping Operations, DPKO)145. Quest’ultimo, infatti, che per il carattere di operazione di pace delle Amministrazioni è quello che ha il compito di gestirle, non ha tutte le competenze necessarie ad affrontare problemi a forte caratterizzazione politico-amministrativa come quelli 143
L’UNMIT è stata prorogata con le risoluzioni 1745 del 22 febbraio 2007 e 1802 del 5 febbraio 2008. 144 Cfr. anche i rapporti del Segretario Generale, in particolare quelli del 6 dicembre 2007 (UN Doc. S/2007/711) e del 17 gennaio 2008 (S/2008/26). 145 Sui problemi di coordinamento tra DPA e DPKO v. THEUERMANN, Peace-Building Activities of the United Nations, in CEDE e SUCHARIPA-BEHRMANN (eds.), The United Nations. Law and Practice, The Hague-London-Boston, 2001, 105 ss.
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che emergono nel governo di un territorio, competenze che invece sono presenti nel DPA. È stato criticato, ad esempio, l’approccio seguito a Timor est, laddove il Dipartimento per gli affari politici, che ha gestito la fase di negoziazione dell’Accordo trilaterale del 5 maggio 1999 e i successivi sviluppi, incluso lo svolgimento del processo referendario, nella fase di pianificazione e di realizzazione dell’UNTAET è stato prima affiancato dal Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace – il che ha creato incertezza su chi fosse il soggetto responsabile dell’operazione146 –, per essere poi sostituito dallo stesso DPKO147. L’approccio utilizzato da quest’ultimo è stato giudicato inadeguato sotto due profili, in quanto impostato sul modello dell’UNMIK148 e in quanto il DPKO non aveva l’esperienza né la struttura per occuparsi di un’operazione complessa qual è un’Amministrazione territoriale149, pur sapendo che l’esito del referendum avrebbe con tutta probabilità richiesto lo svolgimento di un’operazione con queste caratteristiche150.
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SUHRKE, op. cit., 6; SMITH e DEE, op. cit., 60 e 127 (in cui si segnalano anche incomprensioni tra DPKO e Ufficio per gli affari giuridici e all’interno dello stesso DPKO). 147 SUHRKE, op. cit., 1, afferma che per l’UNTAET è stato un limite l’essere stata istituita e strutturata come una missione di peace-keeping. 148 CHOPRA, The UN’s Kingdom, cit., 33 s.; BEAUVAIS, Benevolent Despotism: A Critique of U.N. State-Building in East Timor, in New York Univ. JILP, 2001, 1164 s.; STAHN, International Territorial Administration, cit., 113; SUHRKE, op. cit., 7; K REILKAMP, U.N. Postconflict Reconstruction, in New York Univ. JILP, 2003, 652; FRIEDRICH, op. cit., 239. In senso contrario v. FITZPATRICK, Developing a Legal System in East Timor: Some Issues of UN Mandate and Capacity, in Austrian RIEL, 2000, 13. Un approccio intermedio è quello scelto da CHESTERMAN, East Timor in Transition: Self-determination, State-Building and the United Nations, in Int. Pk. (Frank Cass), 2002, n. 1, 62 s. (ID., You, The People, cit., 64 s.), il quale argomenta che al momento del dispiegamento dell’UNTAET era ragionevole ritenere che il contesto nel quale era stata chiamata ad operare sarebbe stato conflittuale, ma che vi è stata una incapacità di modificare il mandato e l’approccio dell’operazione, adattandoli alla situazione venutasi concretamente a realizzare. In altra sede lo stesso CHESTERMAN, Virtual Trusteeship, in MALONE (ed.), op. cit., 231, afferma come, paradossalmente, in Kosovo si è realizzata l’operazione che ci sarebbe voluta per la Bosnia-Erzegovina, a Timor est si è avuta l’operazione che sarebbe stata appropriata per il Kosovo e in Afghanistan si è realizzata l’operazione appropriata per Timor est. 149 TRAUB, op. cit., 86; SUHRKE, op. cit., 7; CHESTERMAN, Virtual Trusteeship, cit., 221 ss.; ID., You, The People, cit., 49 ss. 238 s. V. anche STAHN, Justice under Transitional Administration, 327: «international engagement has been improvisational rather than principled in nature; [...] international practice jumps from one model to other, without showing coherence or consistency in institutional design». 150 Ciò spiega l’affermazione di MARTIN, op. cit., 570: «The factors that explain the absence of contingency planning for a military intervention in no way excuse the inadequacy of planning for transitional administration».
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Tale questione è stata oggetto di riflessione anche nel Rapporto Brahimi, nel quale si raccomanda, in vista di future operazioni di tal genere, l’istituzione di «a dedicated and distinct responsibility centre for those tasks […]. In the interim, DPKO has to continue to support this function»151. Alcune delle proposte contenute nel Rapporto Brahimi vanno proprio nella direzione di un miglioramento nella pianificazione delle operazioni e sono state, seppur in parte, rese operative nell’ambito dell’Organizzazione152. Con riferimento alle “transitional civil administrations” peraltro, nel Rapporto Brahimi si riconosce che esse affrontano «challenges and responsibilities that are unique among United Nations field operations», ma si pone in termini problematici la questione della loro istituzione e gestione da parte dell’Organizzazione153. Anche se, sotto il profilo considerato, il Rapporto Brahimi pone una questione di opportunità e di capacità dell’Organizzazione nel gestire tali operazioni, piuttosto che di legittimità154, non appare casuale che, in adesione all’approccio proposto in quel Rapporto, dopo il 1999 non sia stata istituita nessuna Amministrazione territoriale. In particolare, quando si è posta la questione del contributo dell’ONU alla ricostruzione dell’Afghanistan dopo l’intervento armato dell’ottobre 2001 (operazione Enduring Freedom) e la conseguente caduta del regime dei Talebani il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 1401 del 28 marzo 2002, ha dispiegato un’operazione (UNAMA, United Nations Assistance Mission in Afghanistan) caratterizzata da una assai ridotta 151
Rapporto Brahimi, cit., par. 78. In tal senso v. anche SMITH e DEE, op. cit., 119. Ad esempio, è stato accresciuto il numero di personale per il DPKO, è stata migliorata la comunicazione tra i due Dipartimenti, sono state create delle Integrated Mission task Forces (IMTFs), che per ogni operazione riuniscono rappresentanti di DPKO, DPA, altri Dipartimenti, unità e agenzie in essa coinvolti, sono state migliorate le best practices e la Lessons Learned Unit del DPKO è divenuta la Peacekeeping Best Practices Unit. 153 Cfr. i paragrafi 77 e 78 del Rapporto, su cui v. DAUDET, op. cit., 478 s. L’argomento è sostenuto anche da SMITH e DEE, op. cit., 19: «the UNTAET period revealed a number of limitations in the UN’s ability to conduct this type of operations». Anche nel caso dell’UNTEA fu criticata la fretta con cui le Nazioni Unite dovettero assumere il ruolo di amministratore territoriale (VAN DER VEUR, op. cit., 58). 154 In tale prospettiva si collocano anche F RANCK, Lessons of Kosovo, in AJIL, 1999, 859, il quale, criticando l’approccio ad hoc seguito in Kosovo afferma «[i]f the world is to take responsibility for the condition of oppressed people, it must be given the means promptly to effect the civil reconstruction of destroyed civil cultures. That requires a dedicated, rapid deployable reserve of police, judges, magistrates, health care providers and administrators», e CHOPRA, The UN’s Kingdom, cit., 35. Parzialmente differente è la posizione di CHESTERMAN, East Timor in Transition, cit., 47: «the United Nations is becoming involved in such statebuilding projects without any clear institutional mandate or political consensus». 152
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partecipazione di personale straniero e con un mandato limitato al supporto alle istituzioni locali155. Queste considerazioni, in uno con le ricordate vicende relative allo svolgimento delle operazioni dispiegate in Kosovo e a Timor Leste, non inducono a prevedere, almeno nel breve periodo, un nuovo impegno dell’ONU nell’amministrazione diretta di territori.
155 In argomento, oltre che a VILLANI, Riflessioni sul ruolo dell’ONU per il mantenimento della pace e la lotta al terrorismo nella crisi afghana, in Volontari e terzo mondo, 2001, n. 4, 14 ss.; CHESTERMAN, Walking Softly in Afghanistan: The Future of UN State-Building, in Survival, 2002, n. 3, 37 ss. (ID., You, The People, cit., 88 ss.) e DAUDET, op. cit., 490 ss., sia consentito rinviare al nostro studio su L’azione internazionale per la ricostruzione dell’Afghanistan, in questa Rivista, 2004, 525 ss. Non è quindi accoglibile la ricostruzione di STAHN, Justice under Transitional Administration: Contours and Critique of a Paradigm, in Houston JIL, 2005, 314 s., che considera insieme situazioni tra loro assai diverse per presupposti giuridici e modalità d’azione, quali quelle del Kosovo e di Timor est sotto Amministrazione territoriale e quelle dell’Afghanistan dopo l’intervento armato dell’ottobre 2001 e dell’Iraq dopo l’attacco anglo-americano del marzo 2003. Sulle missioni politiche dell’ONU per il consolidamento o il ristabilimento della pace v., in generale, DAILLIER, Les opérations multinationales consécutives à des conflits armés en vue du rétablissement de la paix, in Rec. des Cours, vol. 314, 2005, 251 s., che le qualifica alla stregua di una caterogia “residuale”, «plus proche d’une forme institutionnalisée de bons offices du Secrétaire général [...] que des opérations multinationales en vue du rétablissement de la paix».